UNCM Vademecum CEDU parental rights

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UNCM Vademecum CEDU parental rights
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Factsheet – Parental Rights
UNCM – Progetto “Vademecum CEDU”
Traduzione aggiornata al 28 marzo 2014
Diritti genitoriali1
Il presente documento riporta alcuni dei casi riguardanti principalmente i diritti genitoriali alla luce
dell’art. 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) della Convenzione Europea dei Diritti
dell’Uomo.
Allo scopo di determinare se le ingerenze delle Autorità nella vita privata e familiare dei ricorrenti
siano giustificate in una società democratica e, soprattutto, se rispettino un giusto equilibrio tra i
differenti interessi coinvolti, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo verifica se tale interferenza sia
conforme alla legge, persegua uno o più obiettivi legittimi e sia proporzionata agli obiettivi
perseguiti.
Filiazione
Marckx c. Belgio
13 giugno 1979
La ricorrente lamentava che la legge belga, nei confronti di una madre single, prevedeva la
costituzione del rapporto di filiazione ex matre solo attraverso il volontario riconoscimento della
madre oppure attraverso un procedimento legale appositamente predisposto. Quest’ultima sosteneva
che un tale riconoscimento restringeva la possibilità per lei di lasciare in eredità le sue proprietà alla
figlia e non avrebbe, quindi, permesso il crearsi di un legame familiare tra la minore e la sua
famiglia. Solo sposandosi e adottando la sua stessa figlia (o facendo ricorso per ottenere lo stato di
figlia legittima), quest’ultima avrebbe potuto godere degli stessi diritti previsti per i figli legittimi.
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha ritenuto vi fosse una violazione degli articoli 8 (diritto
al rispetto della vita privata e familiare) e 14 (divieto di discriminazione) in riferimento
all’affermazione della filiazione materna, alla mancanza di qualsiasi legame giuridico tra la figlia e
la famiglia della madre, ai diritti patrimoniali della minore e alle restrizioni sulla libertà della madre
di disporre della sua proprietà come desiderato.
Rasmussen c. Danimarca
28 novembre 1984
Nel caso di specie era stato impedito al ricorrente di proporre, in seguito alla separazione dalla
moglie, un’azione per contestare la paternità di un bambino perché una legge del 1960 aveva posto
un limite temporale al diritto del padre di contestare la paternità di un figlio nato durante il
matrimonio e che permetteva, invece, alla madre di contestare la paternità sul proprio figlio in
qualsiasi momento.
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Traduzione libera in lingua italiana con aggiornamenti a cura del Settore Internazionale dell’Unione Nazionale
Camere Minorili, responsabile avv. Grazia Ofelia Cesaro in collaborazione con gli avv.ti Silvia Veronesi, coordinatrice
del progetto, Carlotta Barbetti, Carla Lettere, Rita Perchiazzi, Manuela Toma, Elena Zazzeri.
Non si assume alcuna responsabilità in merito ad eventuali errori, omissioni o inesattezze del testo.
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La Corte ha stabilito che non vi fosse violazione dell’art. 14 (divieto di discriminazione) in
combinato con l’art. 6 (diritto ad un equo processo) e 8 (diritto alla vita privata e familiare) della
Convenzione: “La differenza di trattamento stabilita sul punto tra mogli e mariti si fondava
sull’assunto per cui il limite temporale per contestare la filiazione era meno necessario per le mogli
piuttosto che per i mariti essendo che l’interesse della madre solitamente coincide con quello del
bambino e che nella maggioranza delle cause di divorzio o separazione l’affidamento è disposto a
favore della madre. Le regole vigenti sono state modificate dal Parlamento Danese nel 1982 in
quanto è stato considerato che il pensiero sottostante all’Atto del 1960 non fosse più conforme
all’evoluzione della società; ma ciò non può far presumere che il modo in cui era stata valutata la
situazione ventidue anni prima non fosse più sostenibile” (§ 41 della sentenza).
Kroon e altri c. Olanda
27 ottobre 1994
Il caso riguardava il rifiuto da parte delle Autorità di riconoscere il partner della ricorrente come
padre del suo bambino. La ricorrente non aveva più avuto contatti con il marito per diversi anni, ma
il suo divorzio non era stato portato a termine fino ad un anno dopo la nascita del figlio, quindi
quest’ultimo era stato registrato come figlio del marito della ricorrente.
La Corte ha rilevato una violazione dell’art. 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) della
Convenzione, affermando che la nozione di “vita familiare” non era confinata alle sole relazioni
basate sul matrimonio e ben poteva comprendere altri “legami familiari” (cfr. Keegan c. Irlanda,
sentenza 26 maggio 1994). Laddove l’esistenza di un legame familiare con un bambino è stata
accertata, lo Stato ha l’obbligo di agire in modo da permettere ad un tale legame di svilupparsi,
nonché di predisporre misure dal punto di vista legale per rendere possibile l’integrazione del
minore con la sua famiglia dal momento della nascita o, comunque, nel più breve tempo possibile.
X, Y e Z c. Regno Unito (ricorso n. 21830/93)
22 aprile 1997
Il caso riguardava X, un transessuale (da donna a uomo), che intratteneva una stabile relazione con
una donna Y e il loro figlio Z, nato dopo inseminazione artificiale con sperma di un donatore. Il
ricorrente lamentava che il ruolo di X come padre di Z non era riconosciuto e che la loro situazione
era classificabile come discriminazione.
La Corte ha stabilito che non vi fosse violazione dell’art. 8 (diritto al rispetto della vita privata e
familiare) della Convenzione. Assunto che lo status di transessuale ha sollevato complesse
questioni in riferimento alle quali non c’è generale condivisione in Europa; il fatto che la legge del
Regno Unito non ammettesse uno specifico legale riconoscimento della relazione tra X e Z, non
poteva essere visto come violazione del rispetto della vita familiare alla luce del predetto articolo
della Convezione.
Mikulic c. Croazia
7 febbraio 2002
Il caso riguardava una bambina nata fuori dal matrimonio che, insieme a sua madre, aveva deciso di
proporre una causa in riferimento alla sua paternità. La ricorrente lamentava che la legge della
Croazia non obbligava gli uomini contro cui era intentata una causa per la paternità di aderire
all’ordine della Corte di sottoporsi ai test del DNA e che il fallimento, da parte delle Corti nazionali,
di decidere in ordine alla sua paternità, l’aveva lasciata incerta sulla sua identità personale. La stessa
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lamentava, inoltre, l’eccessiva lungaggine del procedimento e la mancanza di un rimedio efficace
per accelerare le tempistiche processuali.
La Corte ha ritenuto sussistente la violazione dell’art. 6 § 1 (diritto ad un equo processo in un
tempo ragionevole), 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) e 13 (diritto ad un ricorso
efficace) della Convenzione in ragione dell’inefficienza delle Corti nazionali che avevano lasciato
la ricorrente in uno stato di prolungata incertezza circa la sua identità personale.
Mizzi c. Malta
12 gennaio 2006
Il ricorrente lamentava la presunzione assoluta di paternità applicata nel suo caso, nonché di essere
stato oggetto di discriminazione perché le altre parti in causa con il medesimo interesse a stabilire la
paternità non erano state sottoposte alle stesse condizioni restrittive e ai medesimi limiti temporali.
La Corte ha ritenuto sussistente una violazione dell’art. 8 (diritto al rispetto della vita privata e
familiare) della Convenzione. Il fatto che il ricorrente non fosse mai stato messo in grado di negare
la propria paternità non era proporzionato all’obiettivo perseguito. Nessun equo bilanciamento è
stato realizzato tra il generale interesse di protezione della certezza legale dei rapporti familiari e il
diritto spettante al ricorrente di contestare la presunzione legale di paternità alla luce dei rilevamenti
biologici.
La Corte ha, inoltre, ritenuto sussistente una violazione dell’art. 14 (divieto di discriminazione) in
combinato con l’art. 6 § 1 (diritto di accesso alla tutela giurisdizionale) e 8.
Cfr. anche Grönmark c. Finlandia e Backlund c. Finlandia sentenze del 6 luglio 2010, Laakso c.
Finlandia, sentenza del 15 gennaio 2013 e Röman c. Finlandia, sentenza del 29 gennaio 2013, dove
la Corte ha stabilito che un limite temporale per la presentazione di un ricorso in materia di
paternità non dovrebbe essere applicato automaticamente.
Krušković c. Croazia
21 giugno 2011
Questo è stato il primo caso ad essere stato portato dinanzi alla Corte, relativo al riconoscimento di
paternità di un padre privato della propria legal capacity. Il ricorrente lamentava che gli era stato
negato il diritto di essere registrato come il padre di suo figlio biologico, nato fuori dal matrimonio.
Dal momento che egli soffriva di disturbi della personalità a causa dell’abuso di droga per lungo
tempo, era stato privato della legal capacity su raccomandazione di uno psichiatra.
La Corte ha stabilito la sussistenza di una violazione dell'articolo 8 (diritto al rispetto della vita
privata e familiare) della Convenzione, poiché il ricorrente era stato lasciato in un vuoto giuridico in
riferimento ai suoi diritti di paternità.
Chavdarov c. Bulgaria
21 novembre 2010
Il caso riguardava l’impossibilità di un uomo di ottenere il riconoscimento della paternità di tre
bambini nati della sua relazione con una donna sposata durante il tempo in cui vivevano insieme.
La Corte ha dichiarato che non vi era stata alcuna violazione dell'articolo 8 (diritto al rispetto della
vita privata e familiare) della Convenzione.
Le Autorità non erano responsabili per l’inerzia del ricorrente che non si era avvalso delle
possibilità previste dal proprio diritto nazionale per stabilire il legame paterno con i propri figli o
per superare gli svantaggi pratici che comporta la mancanza di un tale legame. La Corte ha anche
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preso in considerazione il margine di apprezzamento di cui gode lo Stato nella regolamentazione
della filiazione paterna e ha preso atto della mancanza di un consenso a livello europeo sulla
questione se la normativa nazionale debba consentire al padre biologico di contestare la presunzione
di paternità del marito.
A. M. M. c. Romania (n. 2151/10)
14 febbraio 2012
Il caso riguardava dei procedimenti per il riconoscimento di paternità proposti dalla madre di un
minore con disabilità, la quale era ella stessa gravemente disabile.
La Corte ha ritenuto che vi fosse una violazione dell'articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata
e familiare) della Convenzione: le corti nazionali hanno omesso di trovare un giusto equilibrio tra il
diritto del bambino ad avere i suoi interessi tutelati nei procedimenti di paternità e il diritto del
padre putativo di non prendere parte ai procedimenti o rifiutare di sottoporsi a un test di paternità.
Ahrens c. Germania e Kautzor c. Germania
22 marzo 2012
I casi Ahrens e Kautzor riguardavano il rifiuto dei Giudici tedeschi di contestare la paternità di un
altro uomo rispetto alla figlia biologica del primo ricorrente, in un caso, e rispetto alla presunta
figlia biologica del secondo ricorrente, nell’altro.
La Corte ha ritenuto che non vi fosse alcuna violazione dell'articolo 8 (diritto al rispetto della vita
privata e familiare) della Convenzione. In entrambi i casi, la Corte ha stabilito che la decisione dei
Giudici tedeschi di respingere le richieste dei ricorrenti per stabilire legalmente la loro paternità
aveva sì interferito con il diritto al rispetto della loro vita privata ma, allo stesso tempo, non vi era
ingerenza con la loro vita familiare ai sensi dell'articolo 8, poiché non c'era mai stato alcun rapporto
personale tra i ricorrenti ed i rispettivi figli.
La Corte ha inoltre dichiarato che non vi fosse alcuna violazione dell'articolo 8 in combinato con
l'articolo 14 (divieto di discriminazione) della Convenzione. La decisione di dare precedenza alla
relazione di parentela esistente tra il bambino e i suoi genitori legali rispetto al rapporto con il padre
biologico cadeva, nella misura in cui è coinvolto lo status giuridico, nel margine di apprezzamento
dello Stato.
Casi pendenti
Mennesson e altri c. Francia ( n. 65192/11 )
Ricorso trasmesso al Governo francese il 12 febbraio 2012
Il caso riguarda il rifiuto delle Autorità francesi di riconoscere una coppia come genitori di due
figlie gemelle nonostante la loro filiazione fosse stata legalmente riconosciuta in un altro paese. La
coppia ha fatto ricorso alla fecondazione in vitro con gameti del ricorrente e un ovulo donato, con
impianto degli embrioni così ottenuti nell'utero di una madre surrogata in California.
La Corte ha trasmesso il ricorso al Governo ed ha posto questioni alle parti ai sensi degli articoli 8
(diritto al rispetto della vita privata e familiare) e 14 (divieto di discriminazione) della Convenzione.
Ricorsi riguardanti questioni simili pendenti dinnanzi la Corte: Labassee c. Francia ( n. 65941/11),
trasmesso al Governo francese il 12 febbraio 2012.
X e altri c. Lettonia ( n. 27773/08 )
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Ricorso trasmesso al Governo lettone il 10 aprile 2012
I ricorrenti lamentano che le Autorità hanno loro imposto di sottoporsi a test genetici per stabilire la
paternità (un uomo aveva sostenuto di essere il padre del ragazzo prima che il secondo ricorrente lo
riconoscesse ufficialmente come suo figlio) .
La Corte ha trasmesso il caso al Governo lettone e ha posto alle parti domande ai sensi dell'articolo
8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) della Convenzione .
Riservatezza delle informazioni relative alle proprie origini
Odièvre c. Francia
13 febbraio 2003 (Grand Chamber)
La ricorrente, che era stata adottata, aveva scoperto di avere tre fratelli biologici. La sua richiesta di
accesso alle informazioni per identificarli era stata respinta perché, in occasione della registrazione
della sua nascita, la madre aveva scelto di restare anonima. Inoltre ella non poteva ereditare dalla
madre naturale.
La Corte ha ravvisato che non vi fosse alcuna violazione degli articoli 8 ( diritto al rispetto della
vita privata e familiare ) o 14 ( divieto di discriminazione) della Convenzione, in quanto la Francia
aveva rispettato il criterio dell’equo bilanciamento tra i diversi interessi concorrenti: l'interesse
pubblico (la prevenzione degli aborti - soprattutto aborti clandestini - e dell'abbandono dei
bambini); lo sviluppo personale del bambino e il diritto di conoscere le proprie origini; il diritto
della madre di proteggere la propria salute in caso di parto effettuato con procedure mediche
appropriate, e la tutela di altri membri delle altre famiglie coinvolte. Sarebbe anche stato possibile
per la ricorrente richiedere la rivelazione dell’identità di sua madre, laddove la stessa avesse dato il
suo consenso. Inoltre, la ricorrente avrebbe potuto ereditare dai genitori adottivi e non era nella
stessa posizione di altri figli naturali di sua madre.
Godelli c. Italia
25 settembre 2012
Il caso riguardava la riservatezza delle informazioni circa la nascita di un bambino e l’impossibilità
di una persona abbandonata dalla madre di conoscere le proprie origini. La ricorrente lamentava di
non essere riuscita ad ottenere informazioni non identificative sulla sua famiglia di origine. La
stessa sosteneva di aver subito gravi danni per non avere conosciuto la propria storia personale,
essendo stata impossibilitata a rintracciare qualsiasi delle sue radici pur cercando di assicurare la
protezione degli interessi dei terzi.
La Corte ha ravvisato la sussistenza di una violazione dell'articolo 8 (diritto al rispetto della vita
privata e vita familiare) della Convenzione. Si è riscontrato che l’ordinamento italiano non aveva
tenuto conto degli interessi della minore. Si è ritenuto che non fosse stato raggiunto un equo
bilanciamento degli interessi coinvolti poiché la legislazione, nei casi in cui la madre aveva scelto di
non rivelare la sua identità, non permetteva al bambino, che non era stato formalmente riconosciuto
alla nascita e successivamente era stato adottato, di chiedere informazioni non identificative sulle
sue origini nonché la rivelazione dell'identità della madre naturale con il consenso di quest'ultima.
Responsabilità genitoriale, affidamento del minore e diritti di visita
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Hoffmann c. Austria
23 giugno 1993
Il caso riguardava la revoca dei diritti genitoriali alla ricorrente dopo il divorzio dal padre dei suoi
due figli, dovuta al fatto che ella era Testimone di Geova.
La Corte ha ritenuto che vi fosse una violazione dell'art. 8 (diritto al rispetto della vita privata e
familiare) in combinato con l'art. 14 (divieto di discriminazione) della Convenzione. La revoca
della responsabilità genitoriale si fondava su una discriminazione essenzialmente determinata da
considerazioni di ordine religioso.
Kutzner c. Germania
22 febbraio 2002
I ricorrenti lamentavano che l'ablazione della loro responsabilità genitoriale sulle figlie ed il
collocamento di queste ultime in una famiglia affidataria, basato principalmente sul fatto che i
genitori non avessero la capacità intellettuale di crescere i propri figli, avesse violato il loro diritto
al rispetto della vita familiare.
La Corte ha ritenuto che vi fosse una violazione dell'art. 8 (diritto al rispetto della vita privata e
familiare) della Convenzione. Nonostante le motivazioni fornite dalle Autorità nazionali e dalle
Corti fossero fondate, le stesse non erano state ritenute sufficienti a giustificare un’interferenza così
rilevante nella vita familiare dei ricorrenti.
P.v. c. Spagna
30 dicembre 2010
La ricorrente lamentava le restrizioni imposte da una Corte al suo diritto di visita del figlio, basate
sulla considerazione per cui la sua “instabilità emotiva” (conseguente al suo cambio di sesso)
avrebbe potuto creare disagio al figlio, allora di sei anni.
La Corte ha ritenuto che non vi fosse una violazione dell'art. 8 (diritto al rispetto della vita privata
e familiare) della Convenzione: i limiti al diritto di visita non erano dovuti ad una discriminazione
basata sulla transessualità della ricorrente.
Anayo c. Germania
21 dicembre 2010
Il caso riguardava il rifiuto delle Corti tedesche di consentire al ricorrente di vedere i suoi figli
biologici, gemelli, con i quali egli non aveva mai vissuto.
La Corte ha ritenuto che vi fosse una violazione dell'art. 8 (diritto al rispetto della vita privata e
familiare) della Convenzione; in particolare ha affermato che le Autorità non avessero esaminato la
questione se la relazione fra i gemelli ed il ricorrente sarebbe stata nell'interesse dei minori.
Schneider c. Germania
15 settembre 2011
Il caso riguardava il rifiuto, da parte delle Corti tedesche, di consentire al ricorrente di avere contatti
con un ragazzo che, a suo dire, era il proprio figlio biologico. Il padre legittimo del minore era
sposato con la madre.
La Corte ha ritenuto che vi fosse una violazione dell'art. 8 (diritto al rispetto della vita privata e
familiare) della Convenzione. Il fatto che non vi fosse vita familiare - non era stato accertato che il
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ricorrente fosse padre biologico del bambino e non c'era mai stato alcun rapporto personale e diretto
fra loro - non poteva essere utilizzato contro il ricorrente. La questione se lui avesse il diritto di
visita o di informazione nei confronti del bambino, anche in assenza di vita familiare, riguardava
una parte significativa della sua “identità” e quindi della sua vita familiare.
Diamante e Pelliccioni c. San Marino
27 settembre 2011
Il caso riguardava il procedimento di affidamento e di collocamento di un minore la cui madre era
italiana ed il cui padre era cittadino di San Marino.
La Corte ha ritenuto che non vi fosse una violazione dell'art. 8 (diritto al rispetto della vita privata
e familiare) della Convenzione. In generale le Corti nazionali avevano condotto il procedimento con
la dovuta diligenza; il provvedimento in questione perseguiva il legittimo obiettivo di proteggere i
diritti e la libertà del minore e dei suoi genitori. Il miglior interesse del minore e la situazione
particolare della famiglia erano stati tenuti in debita considerazione, ed era stata prevista, ove
necessaria, anche una modifica del regime di affidamento.
Lyubenova c. Bulgaria
18 ottobre 2011
Il caso riguardava il diritto di affidamento di una madre che aveva temporaneamente affidato i
propri figli ai suoceri.
La Corte ha ritenuto che vi fosse una violazione dell'art. 8 (diritto al rispetto della vita privata e
familiare) della Convenzione. Nonostante i servizi sociali avessero avuto a disposizione strumenti
coercitivi per comminare multe al fine di imporre alle parti l’osservanza di istruzioni tassative, tali
strumenti non erano mai stati utilizzati, né le Autorità avevano mai motivato l’inerzia da parte dei
servizi sociali.
Giszczak c. Polonia
29 novembre 2011
Il caso riguardava il rifiuto di concedere ad un detenuto polacco il permesso di lasciare il carcere
per far visita alla figlia (la quale era stata investita da un autobus ed era in coma, in terapia
intensiva). Dopo la morte della figlia, il ricorrente non aveva partecipato al suo funerale, poiché non
era chiaro se egli sarebbe dovuto andare indossando la tenuta carceraria ed in manette o sotto scorta
della polizia.
La Corte ha ravvisato due violazioni dell’art. 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare)
della Convenzione. Le ragioni addotte per non consentire al ricorrente di far visita alla figlia in
ospedale non erano convincenti, dato che le preoccupazioni delle Autorità (gravità del reato e
cattiva condotta del ricorrente) avrebbero potuto essere affrontate organizzando un’uscita sotto
scorta. Inoltre, le Autorità non avevano risposto in maniera tempestiva ed appropriata alla richiesta
di partecipare al funerale della figlia.
Cengiz Kilic c. Turchia
06 dicembre 2011
Il caso riguardava l’eccessiva durata del procedimento di divorzio, con riferimento all’attribuzione
della responsabilità genitoriale e i diritti di visita del genitore non convivente con il minore.
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La Corte ha ritenuto che vi fosse una violazione dell'art. 8 (diritto al rispetto della vita privata e
familiare) della Convenzione. Lo Stato non era stato all’altezza dei suoi compiti e non aveva
adottato tutte le misure che avrebbero potuto ragionevolmente essere adottate in tali circostanze.
La Corte ha inoltre ravvisato una violazione dell’art. 6 §1 (diritto al giusto processo in un tempo
ragionevole), con riferimento all’eccessiva durata dei due gradi del procedimento di divorzio, avuto
riguardo alla materia del contendere ed alle conseguenze sulla relazione fra il ricorrente e suo
figlio2.
Pontes c. Portogallo
10 aprile 2012
Il caso riguardava una decisione del giudice nazionale che aveva condotto all’allontanamento dai
ricorrenti di uno dei loro figli, e quindi alla revoca della loro responsabilità genitoriale ed
all’adozione del minore.
La Corte ha ritenuto che vi fossero due violazioni dell’art. 8 (diritto al rispetto della vita privata e
familiare) della Convenzione, poiché le Autorità non avevano adottato misure tali da consentire ai
ricorrenti di beneficiare di contatti regolari con il loro figlio e poiché la decisione di dare il minore
in adozione non era fondata su ragioni rilevanti o sufficienti.
Santos Nunes c. Portogallo
22 maggio 2012
Il caso riguardava l’esecuzione di una decisione di affidamento al ricorrente di suo figlio. Il minore
era stato affidato dalla madre alle cure di un’altra coppia che rifiutava di consegnare il figlio al
ricorrente. Quest’ultimo aveva cercato, numerose volte ma senza successo, di far eseguire la
decisione in questione.
La Corte ha ritenuto che vi fosse una violazione dell’Articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata
e familiare) della Convenzione. La situazione inusuale che le Autorità avevano affrontato in questo
caso, al di là di una disputa tra genitori biologici o nei confronti dello Stato, non le dispensava
dall’impiego del massimo sforzo per assicurare l’esecuzione della decisione che attribuiva
l’affidamento del minore al ricorrente.
A.K. e L. c. Croazia (n. 37956/11)
8 gennaio 2013
Il caso riguardava una madre con una lieve disabilità mentale che era stata privata dei suoi diritti
genitoriali. Suo figlio era stato dichiarato adottabile senza che lei ne fosse a conoscenza, avesse dato
il consenso o avesse partecipato al procedimento di adozione.
La Corte ha ritenuto che vi fosse una violazione dell’Art. 8 (diritto al rispetto della vita privata e
familiare) della Convenzione. Non avendo informato la ricorrente del procedimento di adozione, le
Autorità nazionali l’avevano privata della possibilità di ripristinare i suoi diritti genitoriali prima
che il legame tra lei e suo figlio fosse definitivamente spezzato con l’adozione.
Vojnity c. Ungheria
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La Corte ha richiamato la raccomandazione n. R(98)1 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa sulla
mediazione familiare, il ricorso alla quale avrebbe potuto “migliorare la comunicazione fra i membri ella famiglia,
ridurre i conflitti fra le parti in causa, produrre un accordo amichevole, consentire la continuità dei rapporti personali
fra genitori e figli e ridurre i costi economici e sociali della separazione e del divorzio per le stesse parti e per gli
stati”.
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12 febbraio 2013
Il caso riguardava la totale rimozione del diritto di visita di un padre, sul fondamento che le sue
convinzioni religiose erano pregiudizievoli per la crescita di suo figlio.
La Corte ha ritenuto che vi fosse una violazione dell’art. 14 (divieto di discriminazione) in
combinato con l’Articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) della Convenzione. La
stessa ha ritenuto che le Corti ungheresi non avevano dimostrato che fosse nel miglior interesse del
minore spezzare tutti i legami col padre, il quale perciò era stato discriminato riguardo all’esercizio
del suo diritto al rispetto della vita familiare. Infatti, non vi erano state circostanze eccezionali che
potessero giustificare una misura così radicale come l’eliminazione di ogni forma di contatto e di
vita familiare tra il ricorrente e suo figlio.
Ageyevy c. Russia
18 aprile 2013
Il caso riguardava il ricorso di una coppia coniugata contro l’allontanamento dei loro due figli
adottivi e la revoca dell’adozione a seguito di un incidente domestico in cui il figlio si era bruciato e
successivamente era stato ricoverato in ospedale.
La Corte ha ritenuto vi fossero cinque violazioni dell’Articolo 8 (diritto al rispetto della vita
privata e familiare) della Convenzione basate su: la decisione di revocare l’adozione dei figli dei
ricorrenti; l’impossibilità dei ricorrenti di cambiare la posizione delle Autorità riguardo alla visita ai
figli tra il 31 marzo 2009 e il 3 giugno 2010; le azioni dei funzionari dell’ospedale dove il figlio
adottivo era in cura; il mancato accertamento da parte delle Autorità russe circa la divulgazione non
autorizzata di informazioni confidenziali circa lo status di figlio adottivo del bambino dei ricorrenti
e il non aver le Corti russe protetto il diritto del secondo ricorrente alla reputazione nel
procedimento di diffamazione nei confronti di una casa editrice. La Corte ha inoltre ritenuto che
non vi fosse una violazione dell’Articolo 8 per l’iniziale allontanamento dei figli adottivi dei
ricorrenti.
Jiaoqin Zhou c. Italia (n. 33773/11)
21 gennaio 2014
La ricorrente si opponeva al provvedimento del Tribunale italiano che sospendeva il diritto di visita
nei confronti della figlia biologica dichiarata in stato di adottabilità. La stessa dichiarava infatti, che
il consulente incaricato di fare indagini sulla situazione familiare della minore aveva rilevato che,
nonostante la madre fosse ritenuta dalle Autorità incapace di badare alla propria figlia, la sua
condotta non poteva essere considerata pregiudizievole nei confronti di quest’ultima.
La Corte ha riconosciuto la sussistenza di una violazione ai sensi dell’art. 8 (Diritto al rispetto della
vita privata e familiare) della Convenzione considerando che il Tribunale sarebbe dovuto
intervenire per proteggere il rapporto tra madre biologica e figlia e non dichiararne l’adottabilità.
Le Autorità italiane avrebbero dovuto aiutare concretamente la ricorrente nella ricerca di una
sistemazione per lei e per i suoi figli.
La Corte ha, inoltre, ribadito che, nel caso di specie, le Autorità nazionali avrebbero dovuto
proteggere il legame tra madre e figlia garantendo un’assistenza appropriata.
Casi pendenti
Francine Bonnaud e Patricia Lecoq c. Francia (n. 6190/11)
Ricorso trasmesso al Governo francese il 30 maggio 2011
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Il caso riguarda il rigetto della domanda che i ricorrenti avevano proposto per il riconoscimento
reciproco della responsabilità genitoriale nei confronti dei rispettivi figli. Gli stessi, che vivono
insieme come coppia, avevano avuto un figlio ciascuno tramite procreazione medicalmente
assistita.
Nel maggio 2011 la Corte ha comunicato la richiesta al Governo francese per ricevere informazioni
e, nel maggio 2013 ha invitato il Governo a depositare le osservazioni alla luce delle pronunce nei
casi Gas e Dubois c. Francia e X e altri c. Austria, nonché alla luce dell’introduzione in Francia
della Legge n. 404 del 2013 che ammette i matrimoni tra persone dello stesso sesso dichiarata
costituzionalmente legittima dal Conseil Consitutionnel il 17 maggio 2013.
Sottrazione internazionale di minore
In questi casi la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha interpretato la Convenzione Europea dei
Diritti Umani alla luce della Convenzione de L’Aja sugli aspetti civili della sottrazione
internazionale di minore del 25 ottobre 1980.
Nel Preambolo della Convenzione de L’Aja, gli Stati parte della Convenzione esprimono la loro
convinzione per cui “gli interessi dei bambini sono di importanza preminente nelle questioni
relative al loro affidamento” e sottolineano il loro desiderio di proteggere i minori, a livello
internazionale, dagli effetti dannosi derivanti dalla loro illecita sottrazione o trattenimento, nonché
di stabilire delle procedure che assicurino il loro veloce rientro nello Stato di loro residenza
abituale, così come di assicurare la tutela del diritto di visita.
In tema di affidamento di minore, per esempio, la ragione di prendere in considerazione il “miglior
interesse del minore” può essere duplice: in primo luogo assicurare che il minore cresca in un
ambiente sano e che un genitore non possa prendere misure che potrebbero danneggiare la sua
salute e il suo sviluppo; in secondo luogo, mantenere i suoi legami con la famiglia, eccetto in quei
casi dove la famiglia si sia dimostrata particolarmente inadatta, poiché tagliare quei legami significa
privare un bambino delle sue radici3.
Richieste avanzate da genitori il cui figlio è stato sottratto dall’altro genitore
Ignaccolo-Zenide c. Romania
25 gennaio 2000
La ricorrente, di nazionalità francese, aveva sposato un cittadino rumeno da cui aveva avuto due
figli. Dopo il loro divorzio, una decisione del Tribunale francese aveva concesso il diritto di visita
alla ricorrente. In seguito il padre aveva portato i minori negli Stati Uniti rifiutandosi di portarli
dalla madre così che la stessa potesse esercitare i propri diritti. La ricorrente lamentava che le
Autorità rumene non avevano eseguito il provvedimento urgente della Corte di Prima Istanza di
Bucarest per la restituzione alla madre, intanto dichiarata collocataria dei minori, dei bambini.
La Corte ha sostenuto che vi fosse una violazione dell’Articolo 8 (diritto al rispetto della vita
privata e familiare) della Convenzione, non essendo stata adottata alcuna delle misure di cui
all’articolo 7 della Convenzione de L’Aja del 25 ottobre 1980 (in particolare nessuna misura
coercitiva contro il padre, nessuna misura preparatoria per l’incontro tra la madre e i figli in vista
del loro ritorno, ed infine una decisione del Ministro che autorizzava il non rientro dei minori, e
senza che fosse stata intrapresa alcuna azione per ricongiungere madre e figli).
3
vedi Maumousseau e Washington / France, decisione del 6 dicembre 2007, § 67.
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Iglesias Gil e A.U.I. c. Spagna
29 aprile 2003
La ricorrente sosteneva che le Autorità spagnole non avevano assunto misure appropriate per
assicurare l’immediata esecuzione delle decisioni giudiziali che le assegnavano la custodia e
l’affido esclusivo della figlia – che era stata portata negli Stati Uniti dal padre. La stessa lamentava,
in particolare una mancanza di diligenza da parte delle Autorità nel trattare la sua denuncia di
sottrazione.
La Corte ha sostenuto che vi fosse una violazione dell’art.8 (diritto al rispetto della vita privata e
familiare) della Convenzione. Era compito delle Autorità attuare le misure appropriate previste
nella Convenzione dell’Aja del 25 ottobre 1980, per assicurare il ritorno della bambina presso la
madre. Nessuna misura era stata adottata per assicurare l’esecuzione delle decisioni prese in favore
della ricorrente e di sua figlia.
Bianchi c. Svizzera
22 giugno 2006
Il caso riguardava la sottrazione di un bambino al padre italiano (il ricorrente) da parte della madre
svizzera. Il ricorrente lamentava la lunghezza del procedimento dinanzi alle Autorità cantonali di
Lucerna e l’inadempimento delle Autorità svizzere nel dare esecuzione alla decisione del Tribunale
che ordinava il ritorno del figlio in Italia.
La Corte ha ritenuto che vi fosse una violazione dell’art. 8 (diritto al rispetto della vita privata e
familiare) della Convenzione. L’inerzia delle Autorità, in violazione dell’oggetto e dello scopo della
Convenzione de L’Aja del 25 ottobre 1980, aveva causato un’interruzione totale nelle relazioni tra
bambino e padre – una separazione che non poteva essere considerata nel migliore interesse del
minore.
Si veda anche: Monory c. Romania e Ungheria, sentenza del 5 aprile 2005; Carlson c. Svizzera,
sentenza del 6 novembre 2008.
Shaw c. Ungheria
26 luglio 2011
In questo caso le Autorità ungheresi avevano fallito nell’assicurare che una bambina sottratta dalla
Francia da parte della madre ritornasse a Parigi per vedere il padre, rendendo impossibile a
quest’ultimo gli incontri con la figlia, malgrado l’affidamento dovesse essere esercitato
congiuntamente.
La Corte ha ritenuto che vi fosse una violazione dell’art. 8 (diritto al rispetto della vita privata e
familiare) della Convenzione. Le Autorità non avevano fatto nulla per assicurare l’esecuzione della
sentenza che ordinava il rientro della minore. Il ricorrente non aveva visto la figlia per tre anni e
mezzo, in quanto le Autorità ungheresi avevano ritenuto di non poter far rispettare il diritto alle
visite.
Karrer c. Romania
21 febbraio 2012
Il ricorso, presentato da un padre e dalla figlia, riguardava i procedimenti di cui alla Convenzione de
L’Aja del 25 ottobre 1980 nei Tribunali rumeni, dove il primo ricorrente aveva richiesto il rientro
della figlia in Austria. Egli aveva sposato una cittadina rumena in Austria e la moglie era ritornata
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in Romania con la loro figlia, malgrado il giudizio sull’affidamento fosse ancora pendente in
Austria.
La Corte ha ritenuto che vi fosse una violazione dell’art. 8 (diritto al rispetto della vita privata e
familiare) della Convenzione. Il Tribunale rumeno non aveva svolto un’analisi approfondita per
valutare il miglior interesse della minore e non aveva dato la possibilità al primo ricorrente di
presentare il suo caso in modo rapido, come richiesto dalla Convenzione Europea sui Diritti Umani,
interpretata alla luce della Convenzione de L’Aja del 25 ottobre 1980.
Ilker Ensar Uyanik c. Turchia
3 maggio 2012
Il caso riguardava i giudizi introdotti in Turchia dal primo ricorrente per ottenere il ritorno della
figlia negli Stati Uniti, dove viveva con la moglie. Quest’ultima era rimasta in Turchia con la figlia
dopo una vacanza trascorsa lì.
La Corte ha ritenuto che vi fosse una violazione dell’art. 8 (diritto al rispetto della vita privata e
familiare) della Convenzione. I Tribunali turchi non avevano effettuato un’analisi approfondita
della complessiva situazione familiare del ricorrente, non riuscendo tra l’altro ad esaminarla alla
luce dei principi contenuti nella Convenzione de L’Aja del 25 ottobre 1980.
Raw e altri c. Francia
7 marzo 2013
Il caso riguardava l’inadempimento nell’esecuzione di una sentenza che confermava l’ordine di
rientro dei minori presso la loro madre in Gran Bretagna, avendo i figli, che erano stati tra loro
separati, i medesimi diritti di residenza. I minori desideravano stare con il padre in Francia.
La Corte ha ritenuto che vi fosse una violazione dell’art. 8 (diritto al rispetto della vita privata e
familiare) della Convenzione. La stessa ha ritenuto che, nell’ambito di applicazione della
Convenzione de L’Aja del 25 ottobre 1980 e del regolamento di Bruxelles II bis 4, sebbene
l’opinione dei minori debba essere presa in considerazione, la loro opposizione non
necessariamente è di ostacolo al loro rientro.
Ricorsi presentati da genitori sottraenti
Eskinazi e Chelouche c. Turchia
6 dicembre 2005 (decisione sull’ammissibilità)
Una madre franco – turca e la figlia contestavano l’ordine emanato dalle Autorità turche per il
ritorno della minore in Israele (le due ricorrenti erano andate in vacanza in Turchia con il consenso
del padre e si erano poi rifiutate di tornare in Israele).
La Corte ha dichiarato il ricorso irricevibile (manifestamente infondato). L’ordine per il ritorno in
Israele della minore, che era stata considerata illegittimamente trasferita ai sensi della Convenzione
de L’Aja del 25 ottobre 1980, non poteva essere considerato una violazione da parte delle Autorità
degli obblighi di cui all’art.8 in particolare, non avendo le Autorità turche alcun motivo concreto
per rifiutare la richiesta di rimpatrio in Israele.
4
Regolamento (CE) n. 2201/2003 del Consiglio del 27 novembre 2003 relativo alla competenza, al
riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità
genitoriale.
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Maomousseau e Washington c. Francia
15 novembre 2007
La prima ricorrente, cittadina francese, aveva sposato un cittadino americano e con lui aveva avuto
una figlia (la seconda ricorrente). La madre si era rifiutata di ritornare negli Stati Uniti dopo un
viaggio in Francia a cui il padre aveva acconsentito. La prima ricorrente sosteneva che il rientro
della minore negli Stati Uniti (così come ordinato da un Tribunale dello Stato di New York) non era
nel suo interesse, e la poneva in una situazione intollerabile, essendo ancora una bambina. La stessa
adduceva, inoltre, che l’intervento della polizia all’asilo infantile allo scopo di eseguire l’ordine di
rimpatrio, aveva creato nella figlia un importante trauma psicologico.
La Corte ha ritenuto che non vi fosse alcuna violazione dell’art.8 (diritto al rispetto della vita
privata e familiare) della Convenzione. La stessa ha affermato che il Tribunale francese aveva
tenuto in debito conto il miglior interesse della minore, ossia che lei dovesse immediatamente
ritornare nel suo ambiente abituale, dopo aver effettuato un esame generale e approfondito della
situazione e permettendo alle ricorrenti di far valere completamente i loro diritti. Quanto
all’intervento della polizia, sebbene non fosse il metodo più appropriato poiché avrebbe potuto
essere traumatico, esso era stato posto in essere in presenza del Pubblico Ministero, diretto referente
della polizia. Inoltre, trovatisi di fronte alla resistenza di persone, che cercavano di difendere le
ricorrenti, le Autorità non avevano proseguito nel loro tentativo di portare via la minore.
Neulinger e Shuruk c. Svizzera
6 luglio 2010 (Grand Chamber)
Il caso riguardava l’esecuzione forzata di un ordine di rientro nei confronti di un minore (il secondo
ricorrente), che era stato illegittimamente trasferito in Svizzera dalla madre (la prima ricorrente). Il
padre, che viveva a Tel Aviv e apparteneva alla comunità “Chabad Lubavitch”, aveva l’affidamento
congiunto del minore.
La Corte ha rilevato che vi sarebbe stata una violazione dell’art. 8 (diritto al rispetto della vita
privata e familiare) della Convenzione nei confronti dei due ricorrenti se l’ordine di rientro fosse
stato messo in esecuzione. Tenendo conto, in particolare, delle misure provvisorie ordinate dalla
Corte amministrativa – il minore doveva risiedere con la madre, i diritti di visita del padre erano
sospesi, la responsabilità genitoriale era attribuita alla madre, in modo che la stessa potesse
rinnovare i documenti di identità del minore – la Corte non era convinta che il ritorno in Israele
rappresentasse il migliore interesse del minore.
Sneersone e Kampanella c. Italia
12 luglio 2011
Il caso riguardava la decisione del Tribunale italiano di ordinare il rientro in Italia dal padre di un
giovane che viveva con la madre (il primo ricorrente) in Lettonia.
La Corte ha ritenuto che vi fosse una violazione dell’art. 8 (diritto al rispetto della vita privata e
familiare) della Convenzione. La decisione del Tribunale italiano aveva dato una motivazione
inadeguata e non aveva costituito una risposta appropriata al trauma psicologico che inevitabilmente
sarebbe derivato da un taglio improvviso e irreversibile del forte legame tra madre e figlio. Inoltre,
il Tribunale non aveva considerato nessun’altra soluzione per assicurare il contatto tra padre e
figlio.
M.R. e L.R. c. Estonia (n.13420/12)
4 giugno 2012 (decisione sull’ammissibilità)
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Le ricorrenti erano una madre e una figlia, il cui padre ne aveva richiesto il rientro in Italia in base
alla Convenzione de L’Aja del 25 ottobre 1980. Le istanti non erano ritornate in Italia dopo un
viaggio in Estonia. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo aveva richiesto al Governo estone, in
base all’art. 39 (misure provvisorie) del Regolamento della Corte, di non far rientrare la minore
mentre il procedimento era ancora pendente. In considerazione dell’urgenza, la Corte aveva
esaminato il caso in meno di tre mesi.
La Corte ha dichiarato il ricorso irricevibile (manifestamente infondato). Le Autorità estoni,
rigettando le tesi della madre per le quali ella non poteva tornare in Italia, non avevano oltrepassato
i loro margini di discrezionalità. Né c’erano elementi che suggerissero che la loro decisione di
ordinare il rientro della minore fosse stata arbitraria o che le Autorità avessero violato il loro dovere
di raggiungere un equo bilanciamento tra gli interessi in gioco. La Corte ha inoltre deciso di
revocare l’applicazione dell’art. 39 (misure provvisorie) delle Regolamento della Corte.
B. c. Belgio (n.4320/11)
10 luglio 2012
Il caso riguardava la decisione di ordinare il rientro di una minore negli Stati Uniti dopo che la
madre l’aveva portata in Belgio senza il consenso del padre o del Tribunale statunitense. La Corte
aveva disposto una misura provvisoria (in base all’art. 39 del regolamento della Corte) nei confronti
del Governo belga, invitandolo a non rinviare la bambina negli Stati Uniti nel corso del
procedimento dinanzi alla Corte.
La Corte ha ritenuto che vi fosse una violazione dell’art. 8 (diritto al rispetto della vita privata e
familiare) della Convenzione, rilevando in particolare, che la Corte d’Appello, ordinando il rientro
della minore negli Stati Uniti, non aveva sufficientemente valutato il rischio che rappresentava il
ritorno dal padre; la stessa avrebbe dovuto tenere in conto anche il passare del tempo e
l’integrazione della bambina in Belgio.
X c. Lettonia (n. 27853/09)
26 novembre 2013 (Grand Chamber)
Il caso riguardava la procedura per il rientro di una minore in Australia, il suo Paese d’origine, che
aveva lasciato con sua madre all’età di tre anni e cinque mesi, in applicazione della Convenzione de
L’Aja sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori, e la denuncia della madre per cui
la decisione della Corte lettone con cui le veniva ordinato di ritornare con la bambina aveva violato
il suo diritto al rispetto della vita familiare ai sensi dell’art. 8 della Convenzione.
La Corte ha stabilito che vi fosse una violazione dell’art. 8 (diritto al rispetto della vita familiare)
della Convenzione. La stessa ha considerato che la CEDU e la Convenzione de L’Aja del 25
Ottobre 1980 dovevano essere applicate in modo armonioso per cui il miglior interesse del minore
doveva avere considerazione prioritaria. Nel caso di specie, è stato considerato che la Corte lettone
non aveva rispettato i requisiti procedurali prescritti dall’art. 8 della Convenzione Europea,
essendosi rifiutata di prendere in considerazione la sostenibile affermazione di un “rischio serio”
per la minore nel caso del suo rientro in Australia.
La presa in carico dei minori
Keegan c. Irlanda
26 maggio 1994
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Il ricorrente lamentava che la propria figlia fosse stata dichiarata in stato di adottabilità in assenza
del suo consenso e della sua consapevolezza, nonché il fatto che la propria legge nazionale non gli
avesse attribuito nemmeno il diritto, anche non definitivo, di essere nominato tutore. Inoltre, il
ricorrente lamentava di non avere avuto accesso ad un Tribunale, rispetto al procedimento in corso,
innanzi alla Commissione Adozioni.
La Corte ha ritenuto integrata una violazione dell’Articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata e
familiare) della Convenzione. L’eventualità di dare in adozione la minore senza il consenso del
padre aveva costituito un’interferenza nel diritto del ricorrente al rispetto della propria vita
familiare, violazione non “necessaria” in una società democratica.
La Corte ha statuito inoltre la configurabilità di una violazione dell’art. 6 § 1 (diritto ad un giusto
processo) della Convenzione. Il ricorrente non aveva avuto diritto, sotto la vigenza della legge
irlandese, di opporsi alla pronuncia dello stato di adottabilità della figlia, sia innanzi alla
Commissione Adozioni, sia innanzi alla Corte o, comunque, in alcuna fase del procedimento.
L’unica possibilità del ricorrente per impedire l’adozione della figlia era stata quella di
intraprendere un procedimento per la tutela o l’affidamento.
T.P. e K.M. c. Regno Unito (n. 28945/95)
10 maggio 2001 (Grand Chamber)
Il caso riguardava l’affidamento di una bambina di quattro anni all’Autorità pubblica locale. La
stessa lamentava di essere stata oggetto di abusi sessuali e la madre era stata considerata incapace di
proteggerla. Madre e figlia sostenevano di non avere avuto accesso ad un Tribunale né ad alcun
reale strumento per far valere la mancanza di fondamento della decisione relativa al collocamento,
con cui le due erano state separate.
La Corte ha ritenuto configurabile una violazione dell’Articolo 8 (diritto al rispetto della vita
privata e familiare) della Convenzione, essendo stata la madre privata di un adeguato
coinvolgimento nel procedimento che ha portato alla decisione relativa all’affidamento della figlia.
La Corte inoltre ha ritenuto non configurabile una violazione dell’articolo 6 (diritto ad un giusto
processo) della Convenzione, poiché le ricorrenti non erano state private di alcun diritto di
partecipare alla decisione, stanti le loro carenti pretese nei confronti dell’Autorità locale. Infine, la
Corte ha statuito che vi fosse una violazione dell’articolo 13 della Convenzione (diritto ad un
ricorso effettivo), poiché le ricorrenti non avevano avuto a disposizione i mezzi appropriati per
ottenere una pronuncia riguardo alle loro affermazioni di avere subìto una violazione del proprio
diritto al rispetto della vita privata e familiare. Le stesse non avevano, infatti, avuto alcuna
possibilità di ottenere un risarcimento per i danni subiti in conseguenza a tale violazione.
K.A. c. Finlandia (n. 27751/95)
14 aprile 2003
Il ricorrente (sospettato, insieme alla moglie, di essere colpevole di incesto e di abuso sessuale nei
confronti dei propri figli) contestava la decisione di affidamento dei figli all’Autorità pubblica, il
procedimento con cui si era giunti a tale decisione, nonché l’esecuzione di tale forma di
affidamento.
La Corte ha ritenuto integrata una violazione dell’articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata e
familiare) della Convenzione per la mancata adozione di tutte le misure necessarie per riunire la
famiglia del ricorrente. La Corte ha statuito invece che non vi fosse stata violazione dell’articolo 8
sia riguardo all’affidamento dei minori, sia riguardo al coinvolgimento del ricorrente nel
procedimento decisionale.
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Wallová e Walla c. Repubblica Ceca
26 ottobre 2006
I ricorrenti lamentavano di essere stati separati dai loro cinque figli, affidati all’Autorità pubblica, a
causa delle difficoltà incontrate nel reperire un’abitazione idonea per una famiglia tanto numerosa;
essi lamentavano la mancanza di assistenza nei loro confronti da parte delle Autorità ceche.
La Corte ha ritenuto configurabile una violazione dell’articolo 8 (diritto al rispetto della vita
privata e familiare) della Convenzione, ritenendo che il problema risiedesse in una mera mancanza
di risorse economiche che le Autorità ceche avrebbero potuto risolvere con strumenti diversi dalla
separazione dei membri della famiglia.
Kearns c. Francia
10 gennaio 2002
Il procedimento riguardava una ricorso, tardivo rispetto al termine di legge, per il ricongiungimento
tra la ricorrente ed un minore nato dalla stessa ma registrato anonimamente.
La Corte ha ritenuto non configurabile una violazione dell’Articolo 8 (diritto al rispetto della vita
privata e familiare) della Convenzione. Nonostante il termine di due mesi potesse sembrare breve,
esso era tuttavia apparso sufficiente per permettere alla madre biologica di riflettere e di
riconsiderare la propria decisione di abbandonare il figlio. Inoltre, la ricorrente al momento del
parto aveva 36 anni, era accompagnata dalla propria madre ed era stata ascoltata a lungo dai servizi
sociali.
Y.C. c. Regno Unito (n. 4547/2010)
13 marzo 2012
Il caso della ricorrente riguardava un procedimento per l’affidamento del figlio minorenne, nato nel
2001, e dichiarato con provvedimento in stato di adottabilità a causa delle preoccupazioni
riguardanti il suo rapporto con il padre. La ricorrente lamentava in particolare il rifiuto opposto dal
Tribunale di nominarla come unica affidataria del figlio.
La Corte ha ritenuto che non fosse configurabile una violazione dell’Articolo 8 (diritto al rispetto
della vita privata e familiare) della Convenzione. Il Giudice si era concentrato, come richiesto dallo
stesso Articolo 8, sul migliore interesse del minore, aveva avuto riguardo a diversi e rilevanti fattori,
ed aveva fatto dettagliati riferimenti alle relazioni scritte ed alle testimonianze orali dell’assistente
sociale, del curatore e dello psicologo, i quali avevano tutti identificato le questioni in gioco.
Conseguentemente, la decisione di pronunciare la dichiarazione di adottabilità non aveva ecceduto
la discrezionalità dello Stato, e le motivazioni della decisione erano state ritenute fondate e
sufficienti.
Alla ricorrente era stata data ogni opportunità di esporre il proprio caso e la stessa era stata
pienamente coinvolta nel procedimento volto alla decisione finale.
B. (n. 2) c. Romania (n. 1285/2003)
19 febbraio 2013
Il procedimento riguardava il ricovero psichiatrico di una madre ed il conseguente collocamento in
comunità dei due figli minori.
La Corte ha ritenuto configurabile una violazione dell’articolo 8 (diritto al rispetto della vita
privata e familiare) della Convenzione, con riguardo sia al ricovero della ricorrente, sia
all’affidamento ed al collocamento dei suoi figli minorenni. La Corte ha sottolineato che in
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Romania vi era un ampio numero di precedenti per reclusione impropria di soggetti affetti da
disordini psichiatrici, malgrado le recenti modifiche legislative in favore dei diritti dei pazienti. La
Corte ha conseguentemente concluso che, nel giudizio basato sulla situazione clinica della
ricorrente, le Autorità non avevano seguito le procedure applicabili nel prendere la decisione
relativa al ricovero. Inoltre, l’assenza di una protezione specifica, in particolare attraverso la nomina
di un avvocato o la designazione di un curatore, aveva avuto l’effetto di privare la ricorrente del suo
diritto ad essere parte del procedimento volto all’emissione della decisione riguardante il
collocamento dei figli in una comunità.
R.M.S. c. Spagna (n. 28775/2012)
18 giugno 2013
Il caso riguardava il collocamento della figlia della ricorrente – una lavoratrice agricola in
condizione di estrema povertà – presso una famiglia adottiva, disposto dai servizi sociali contro la
volontà di quest’ultima. La ricorrente lamentava, infatti, in via principale di essere stata privata di
ogni contatto con la propria figlia, nonché di esserne stata separata in assenza di valida motivazione.
La Corte ha ritenuto che vi fosse violazione dell’Articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata e
familiare) della Convenzione. Le Autorità non avevano fornito adeguati ed effettivi strumenti per
garantire il diritto della ricorrente a vivere con la propria figlia, violando in tal modo il diritto della
ricorrente alla propria vita privata e familiare.
Zambotto Perrin c. Francia
25 settembre 2013
Il procedimento riguardava una minore nata al di fuori di un vincolo coniugale, registrata su
richiesta della madre che chiedeva l’anonimato. La ricorrente si opponeva, in particolare, alla
decisione del Tribunale nazionale di affidare la minore allo Stato, autorizzandone la piena adozione.
A parere della ricorrente, le decisioni del Giudice nazionale avevano violato il proprio diritto al
rispetto della vita familiare.
La Corte ha ritenuto che non sussistesse alcuna violazione dell’Articolo 8 (diritto al rispetto della
vita privata e familiare) della Convenzione. In particolare, la mancata dimostrazione di
interessamento alla propria figlia da parte della ricorrente aveva avuto un ruolo decisivo nel caso e
rispondeva certamente al migliore interesse della bambina rendere la sua situazione personale sicura
e stabile attraverso l’instaurazione di un vincolo legale e certo di filiazione con la famiglia adottiva,
non appena il Tribunale ne avesse dichiarato lo stato di abbandono. La Corte ha, inoltre, statuito che
lo Stato non aveva ecceduto nella propria discrezionalità decidendo che la piena adozione fosse
rispondente al migliore interesse della bambina.
A.E.L. c. Finlandia (n. 59435/2010)
10 dicembre 2013
Il procedimento riguardava l’affidamento del figlio della ricorrente, una donna in cura per problemi
gravi di salute mentale, all’Autorità pubblica, nonché la limitazione del contatto tra la stessa ed il
bambino. La ricorrente ravvisava una violazione dell’art. 8 (diritto al rispetto della vita privata e
familiare) della Convenzione alla luce del fatto che gli interventi psicologici erano ritenuti dalla
stessa non necessari.
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La Corte non ha ravvisato una violazione dell’art. 8 (diritto al rispetto della vita privata e
familiare) della Convenzione e ha dichiarato il ricorso irricevibile.
La stessa ha, inoltre, colto l’occasione per ribadire che nei casi riguardanti i minori, il
raggiungimento del loro migliore interesse deve essere il criterio fondamentale che le Autorità
devono perseguire.
I Tribunali nazionali, nell’identificazione del migliore interesse dei minori, devono tenere conto di
diversi fattori, inter alia, l’età, il grado di maturità, nonché l’ascolto dei minori stessi.
Il margine di apprezzamento concesso alle Corti nazionali varia a seconda della natura
dell’interesse da proteggere e delle circostanze nel caso concreto.
Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che le Autorità pubbliche avessero agito nel totale interesse
del minore cercando di bilanciare il diritto della madre ai sensi del suddetto art. 8 della
Convenzione e la necessità di proteggere il figlio ritenendo sufficientemente motivate le ragioni
addotte per l’allontanamento dello stesso dalla madre.
Adozione
Fretté c. Francia
26 Febbraio 2002
Il caso riguardava il rigetto di una domanda per la preliminare autorizzazione all’adozione di un
minore basato esclusivamente, secondo il ricorrente, su di uno sfavorevole pregiudizio circa il suo
orientamento sessuale.
La Corte ha ritenuto che non sussisteva una violazione dell’art. 14 (divieto di discriminazione) in
combinato con l’art. 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) della Convenzione,
sottolineando che la medesima convenzione non garantiva, di per sé, un diritto ad adottare. Il diritto
al rispetto della vita familiare presupponeva l’esistenza di una famiglia e, pertanto, l’art. 8 non
proteggeva il mero desiderio di formare una famiglia.
Wagner e J.M.W.L c. Lussemburgo
28 Giugno 2007
Il caso riguardava la proposizione di un’azione volta ad ottenere il riconoscimento in Lussemburgo
di una sentenza di adozione pronunciata in Perù. La corte del Lussemburgo aveva rigettato la
domanda, in ragione del fatto che il codice civile nazionale non prevedeva l’adozione piena da parte
di una donna single.
La Corte ha rilevato una violazione dell’art. 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) della
Convenzione poiché la Corte del Lussemburgo non aveva riconosciuto i legami creatisi a seguito
della pronuncia dell’adozione piena in Perù, ed una violazione dell’art. 14 (divieto di
discriminazione) in combinato con l’art. 8 poiché la minore (e di conseguenza la madre) era stata
penalizzata nella sua vita quotidiana sulla base del suo status in quanto figlia adottiva di madre non
sposata di nazionalità lussemburghese con legami familiari costituiti in virtù di sentenza straniera
non riconosciuta in Lussemburgo.
E.B. c. Francia (n. 43546/02)
22 Gennaio 2008 (Grand Chamber)
La ricorrente lamentava di aver subito un trattamento discriminatorio, in ogni grado del
procedimento instaurato al fine di ottenere un’autorizzazione ad adottare, basato sul suo
orientamento sessuale e che aveva ostacolato il suo diritto al rispetto della vita privata.
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La Corte ha stabilito la sussistenza di una violazione dell’art. 14 (divieto di discriminazione) in
combinato con l’art. 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) della Convenzione. Le
Autorità amministrative interne, ed in seguito la Corte davanti alla quale si era svolto l’appello,
avevano basato le loro pronunce di rigetto del ricorso per l’adozione prevalentemente a causa
dell’assenza di una figura maschile di rifermento nel contesto familiare della ricorrente, pur non
essendo questa una ragione legittima. Inoltre, l’influenza della circostanza dell’omosessualità della
ricorrente sulla valutazione della domanda non era stata solo riconosciuta, ma aveva avuto un
rilievo decisivo.
Negrepontis-Giannisis c. Grecia
3 Maggio 2011
Il caso riguardava il rifiuto, da parte delle Autorità greche, di riconoscere l’efficacia di un
provvedimento di adozione piena, pronunciato con sentenza negli Stati Uniti, che concedeva ad un
monaco di adottare il nipote.
La Corte ha ritenuto sussistente una violazione dell’art. 8 (diritto al rispetto della vita privata e
familiare) della Convenzione. Il rifiuto di applicare il provvedimento di adozione del ricorrente in
Grecia non andava incontro ad alcuna esigenza sociale pressante e non era proporzionato al fine
perseguito.
La Corte, inoltre, ha rilevato una violazione del combinato disposto dell’art. 8 (diritto al rispetto
della vita privata e familiare) e dell’art. 14 (divieto di discriminazione) della Convenzione. La
disparità di trattamento del ricorrente, come figlio adottivo, rispetto ad un figlio biologico, era
discriminatoria, poiché non fondata su di una giustificazione obiettiva e ragionevole.
La Corte, infine, ha rilevato una violazione dell’art. 6 §1 (diritto ad un equo processo), in
particolare a causa delle fonti normative utilizzate dalla Corte di Cassazione greca per rifiutare il
riconoscimento dell’adozione ed una violazione dell’art. 1 del Protocollo numero 1 (protezione
della proprietà) della Convenzione, in quanto la decisione della Corte greca aveva privato il
ricorrente della sua condizione di erede.
Kopf e Liberda c. Austria
17 Gennaio 2012
Il caso era relativo al ricorso promosso da una coppia di genitori affidatari, poiché non erano stati
autorizzati a visitare il minore che era stato loro affidato in precedenza .
La Corte ha ritenuto che vi fosse una violazione dell’art. 8 (diritto al rispetto della vita privata e
familiare) della Convenzione. Mentre la Corte austriaca, nel momento della decisione, aveva
operato un corretto bilanciamento tra gli interessi contrapposti del minore e dei suoi precedenti
genitori affidatari, essa non aveva proceduto in modo sufficientemente rapido all’esame della
richiesta dei ricorrenti per essere autorizzati ad incontrare il minore, che era stato loro
antecedentemente affidato.
Gas e Dubois c. Francia
15 Marzo 2012
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Factsheet – Parental Rights
UNCM – Progetto “Vademecum CEDU”
Traduzione aggiornata al 28 marzo 2014
Il caso riguardava il rifiuto di pronunciare a favore di una delle ricorrenti, che convivevano, l’ordine
di adozione semplice del figlio dell’altra ricorrente.
La Corte ha ritenuto che non vi era stata alcuna violazione dell’art. 14 (divieto di discriminazione)
e dell’art. 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) della Convenzione. In particolare, non
sussisteva una disparità di trattamento basata sull’orientamento sessuale, in ragione del fatto che,
anche a coppie di sesso opposto che avevano costituito una ‘civil partnership’, era, allo stesso
modo, impedito di ottenere un provvedimento di adozione semplice.
Harroudj c. Francia
4 Ottobre 2012
Il caso concerneva il rigetto del ricorso, promosso da una cittadina francese, per ottenere l’adozione
di una minore algerina di cui aveva già la custodia in virtù di una misura di tutela di diritto islamico
denominata Kafala.
La Corte ha rilevato la non sussistenza di una violazione dell’art. 8 (diritto al rispetto della vita
privata e familiare) della Convenzione. La Corte ha considerato che fosse stato operato un
equilibrato bilanciamento tra l’interesse pubblico e l’interesse della ricorrente, avendo le Autorità,
con il dovuto rispetto per il pluralismo culturale, cercato di favorire l’integrazione dei minori
affidati in Kafala, ma senza recidere immediatamente il legame con le leggi del paese di origine.
X e altri c. Austria (n. 19010/07)
19 Febbraio 2013 (Grand Chamber)
Il caso riguardava il ricorso promosso da due donne, legate da una stabile relazione omosessuale,
avverso il rifiuto dei Tribunali austriaci di concedere ad una delle due il diritto di adottare il figlio
della compagna, senza recidere i legami giuridici del bambino con la madre biologica.
La Corte ha rilevato una violazione dell’art. 14 (divieto di discriminazione) in combinato con
l’art.8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) della Convenzione, a causa della disparità di
trattamento delle ricorrenti rispetto a coppie non sposate eterosessuali, nelle quali uno dei partner
desiderasse adottare il figlio dell’altra; allo stesso tempo, la Corte ha stabilito che non vi era stata
una violazione dell’art. 14 in combinato con l’art. 8, laddove la condizione delle ricorrenti fosse
confrontata con quella di coppie sposate in cui uno dei coniugi desideri adottare il figlio dell’altro.
La Corte ha ritenuto che la disparità di trattamento tra le ricorrenti ed una coppia eterosessuale non
sposata in cui uno dei partner cercasse di adottare il figlio del compagno fosse basata
sull’orientamento sessuale delle ricorrenti. Infatti, non erano state addotte motivazioni idonee a
dimostrare che tale disparità di trattamento fosse necessaria alla protezione della famiglia o alla
protezione degli interessi del minore. Allo stesso tempo, la Corte ha sottolineato che la
Convenzione non obbliga gli Stati ad estendere il diritto all’adozione del secondo genitore anche a
coppie non sposate. Inoltre, il caso doveva essere tenuto distinto da Gas e Dubois contro Francia
(trattato supra) in cui la Corte aveva rilevato che non vi fosse una disparità di trattamento basata
sull’orientamento sessuale tra coppie di fatto eterosessuali e coppie di fatto omosessuali poiché,
nell’ordinamento francese, l’adozione del figlio del coniuge non era accessibile a nessuna coppia,
omosessuale o eterosessuale, non sposata.
Minori scomparsi
Zorica Jovanovic c. Serbia
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Factsheet – Parental Rights
UNCM – Progetto “Vademecum CEDU”
Traduzione aggiornata al 28 marzo 2014
26 Marzo 2013
Il caso riguardava la presunta morte del figlio sano appena nato della ricorrente nel 1983 in un
ospedale statale. Alla ricorrente non fu mai permesso di vedere il corpo del bambino, facendole
sorgere il sospetto che questi potesse essere ancora vivo e che fosse stato dato in adozione
illegalmente.
La Corte ha rilevato una violazione dell’art. 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) della
Convenzione. La Corte, infatti, ha affermato che, sebbene le procedure ospedaliere in caso di morte
di neonati fossero state migliorate ed il Parlamento avesse redatto rapporti sui casi di minori
scomparsi, nessuna soluzione era stata in definitiva trovata al fine di porre rimedio all’esperienza
traumatica vissuta dai genitori, inclusa la ricorrente, nel passato. Pertanto, la Corte ha concluso che
la ricorrente avesse subito una continua violazione del diritto al rispetto della vita familiare, a causa
della perdurante incapacità della Serbia di procurarle valide informazioni su quanto accaduto a suo
figlio.
Considerato il gran numero di potenziali ricorsi, la Corte ha stabilito, inoltre, ai sensi dell’art. 46
(forza vincolante ed esecuzione delle sentenze) della Convenzione che la Serbia dovesse adottare
tutte le misure necessarie al fine di reperire risposte credibili su quanto accaduto a ciascun minore
scomparso e dovesse disporre un risarcimento adeguato a favore dei genitori.
Caso pendente
T.T.S. c. l’ “ex Repubblica Jugoslava di Macedonia” (n. 57289/09)
Ricorso trasmesso al Governo dell’“ex Repubblica Jugoslava di Macedonia” il 10 aprile 2013
Il caso riguarda la presunta morte in ospedale della figlia neonata della ricorrente, dieci giorni dopo
la sua nascita nel 1981. La ricorrente lamenta che sua figlia è stata rapita e adottata illegalmente da
un’altra famiglia.
La Corte ha comunicato il ricorso al Governo dell’“ex Repubblica Jugoslava di Macedonia”
ponendo quesiti alle parti ai sensi dell’art. 35 (criterio di ammissibilità) e dell’art. 8 (diritto al
rispetto della vita privata e familiare) della Convenzione.
Congedo parentale
Konstantin Markin c. Russia
22 marzo 2012 (Grand Chamber)
Il caso riguardava il rifiuto da parte delle Autorità Russe di concedere al ricorrente, un operatore
radio divorziato nelle forze armate, il congedo parentale.
Il ricorrente lamentava una differenziazione di trattamento rispetto al personale femminile delle
forze armate e alle donne ‘civili’.
La Corte ha stabilito che nel caso di specie sussisteva una violazione dell’articolo 14 (divieto di
discriminazione) in combinato con l’art. 8 (diritto al rispetto della vita privata e famigliare) della
Convenzione. La stessa ha sottolineato come la Convenzione fosse comunque applicabile
all’interno delle caserme.
Dato che il ricorrente avrebbe potuto essere facilmente sostituito nei suoi doveri nell’esercito da
altre colleghe di sesso femminile, non c’era ragione di escluderlo dal diritto di congedo parentale.
Il ricorrente aveva così sofferto di una discriminazione sulla base del sesso.
Hulea c. Romania
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Traduzione aggiornata al 28 marzo 2014
2 ottobre 2012
Il caso riguardava la decisione delle Corti rumene di rifiutare la concessione al ricorrente (un
militare) di un risarcimento per la discriminazione sofferta in relazione alla sua richiesta di congedo
parentale. Quest’ultima era stata, infatti, diverse volte respinta poiché il Ministero della Difesa
rumeno sosteneva che il congedo parentale spettasse al solo personale femminile dell’esercito.
La Corte ha ritenuto che vi fosse una violazione dell’art. 14 (divieto di discriminazione) in
combinato disposto con l’art. 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) della Convenzione.
Il rifiuto della Corte d’Appello di concedere il risarcimento al ricorrente per la violazione del suo
diritto a non essere discriminato nell’esercizio di un diritto inerente alla sua vita famigliare non è
apparso sufficientemente motivato. Sotto questo aspetto, era irrilevante che la Corte d’Appello non
avesse presentato argomenti discriminatori nella sua decisione, stante che la stessa aveva rifiutato,
senza motivi sufficienti, di risarcire il danno non patrimoniale provocato al ricorrente dalla
discriminazione vissuta a causa del rifiuto del congedo parentale .
Diana Topčić – Rosemberg c. Croazia
14 novembre 2013
Il caso riguardava il diritto della ricorrente al congedo di maternità retribuito. Nell’ottobre 2006,
mentre lavorava come imprenditrice, la ricorrente aveva adottato un bambino di 3 anni.
Poco dopo la stessa si rivolgeva al Fondo croato di assicurazione sanitaria per ottenere il congedo di
maternità retribuito. La sua richiesta veniva rigettata sulla base del fatto che la domanda era
proponibile solo per le madri biologiche fino al primo anno di età del bambino, e i genitori adottivi
dovevano essere assoggettati al medesimo trattamento delle madri biologiche. La ricorrente
lamentava di aver, quindi, subito una discriminazione come madre adottiva e come lavoratrice
autonoma.
La Corte, considerando in particolare che una tale differenza di trattamento ben poteva essere
valutata come discriminazione, ha ritenuto la sussistenza di una violazione dell’art. 14 (divieto di
discriminazione) in combinato con l’art.8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) della
Convenzione.
Misure di espulsione e rifiuti per la concessione di permessi di soggiorno
Üner c. Olanda
18 ottobre 2006 (Grand Chamber)
Il ricorrente lamentava di essere stato separato dalla propria famiglia a causa del ritiro del suo
permesso di soggiorno nonché di un ordine di espulsione che gli proibiva il rientro in Olanda per 10
anni.
La Corte ha stabilito che non vi fosse violazione dell’art. 8 (diritto al rispetto della vita privata e
familiare) della Convenzione. L’espulsione del ricorrente nonché la sua esclusione dal territorio
olandese erano proporzionate all’obiettivo perseguito (protezione della pubblica sicurezza,
prevenzione dei disordini e del crimine) e perciò necessarie in una società democratica. La Corte ha
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inoltre preso in considerazione la capacità dei bambini, ancora piccoli (6 e 18 mesi) di adattarsi
qualora fossero andati in Turchia col padre, e la possibilità per loro di tornare regolarmente in
Olanda. Consapevole delle difficoltà che avrebbe dovuto affrontare la fidanzata olandese del
ricorrente qualora fosse dovuta andare in Turchia, la Corte ha comunque considerato come
prevalenti rispetto agli interessi della famiglia la serietà delle offese poste in essere dal ricorrente e,
tra le altre cose, i suoi precedenti penali.
Nunez c. Norvegia
28 giugno 2011
In questo caso la ricorrente, di origini dominicane, affermava che l’esecuzione di un ordine di
espulsione contro la sua persona l’avrebbe separata dai suoi figli piccoli.
La Corte ha ritenuto che ci sarebbe stata violazione dell’art. 8 della Convenzione se la ricorrente
fosse stata allontanata ed espulsa dal territorio norvegese per due anni, perché ciò avrebbe inciso
eccessivamente sul rapporto con i suoi bambini.
Antwi e altri c. Norvegia
14 febbraio 2012
Il ricorrente si opponeva alla decisione, presa dai servizi per l’immigrazione, di espulsione e di
divieto di reingresso per 5 anni, dopo che lo stesso aveva fatto ingresso nel Paese con un passaporto
falso. Quest’ultimo si vedeva quindi separato dalla moglie e dalla figlia.
La Corte ha ritenuto che non vi fosse violazione dell’art. 8 della Convenzione poiché le Autorità
norvegesi avevano compiuto un giusto bilanciamento tra l’interesse generale al controllo effettivo
dell’immigrazione e l’interesse del ricorrente a restare in Norvegia.
K.A.B. c. Spagna (no. 59819/08)
10 aprile 2012
Il caso riguardava l’adozione, nonostante l’opposizione del padre, di un bambino dichiarato in stato
di abbandono dopo l’espulsione della madre.
La Corte ha stabilito la sussistenza di una violazione dell’art. 8 (diritto al rispetto della vita privata
e familiare) della Convenzione ritenendo in particolare che l’inerzia da parte delle Autorità,
l’espulsione della madre senza previe verifiche, la mancata assistenza al ricorrente nello
svolgimento delle formalità nel periodo in cui versava in situazioni precarie, e l’attribuzione della
responsabilità per lo stato di abbandono del bambino esclusivamente al ricorrente, hanno
decisamente contribuito all’impossibilità di qualsiasi riunione tra padre e figlio, in violazione del
diritto del ricorrente di vedere rispettata la propria vita famigliare.
Udeh c. Svizzera
16 aprile 2013
Il caso riguardava l’espulsione di un cittadino nigeriano in seguito a un procedimento penale a suo
carico promosso dalle Autorità svizzere. Il ricorrente lamentava che, se la decisione di non
concedergli il permesso di soggiorno fosse stata eseguita, sarebbe stato impossibile per lui avere dei
contatti con i suoi figli, violando così la sua vita famigliare.
La Corte ha stabilito che l’espulsione del ricorrente avrebbe costituito una violazione dell’art. 8
(diritto al rispetto della vita privata e familiare) della Convenzione. Avendo riguardo alle
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circostanze del caso, e in particolare ai bambini, alle relazioni famigliari esistenti tra il ricorrente e i
suoi figli, nonché il fatto per cui lo stesso aveva commesso un solo delitto grave e che la sua
condotta successiva era stata esemplare facendo ben sperare per il futuro, lo Stato Svizzero aveva
ecceduto il margine di apprezzamento di cui godeva nel presente caso.
Berisha c. Svizzera
30 giugno 2013
Il caso riguardava il rifiuto da parte delle Autorità svizzere di concedere il permesso di soggiorno ai
tre figli del ricorrente, nati in Kosovo ed entrati illegalmente in Svizzera, e la decisione delle stesse
Autorità di espellere i tre bambini rimandandoli in Kosovo.
La Corte ha considerato non sussistente alcuna violazione dell’art. 8 (diritto al rispetto della vita
privata e familiare) della Convenzione poiché i ricorrenti avevano intenzionalmente deciso di vivere
in Svizzera e non in Kosovo e, soprattutto, che i tre bambini non erano vissuti in Svizzera tanto a
lungo da avere completamente perso i legami con il loro Paese natale dove comunque erano
cresciuti e dove avevano frequentato la scuola per diversi anni.
Inoltre i bambini avevano ancora legami familiari in Kosovo, i figli più grandi (di 17 e 19 anni)
avevano una età per la quale potevano essere mantenuti a distanza, e nulla impediva ai ricorrenti di
viaggiare, o di stare, con la bambina più piccola, di dieci anni, in Kosovo per salvaguardare il suo
interesse come minore.
Prendendo, infine, in considerazione la condotta in mala fede dei ricorrenti nei procedimenti interni,
la Corte ha concluso che le Autorità svizzere, nel negare il permesso di soggiorno ai figli del
ricorrente, avevano rispettato il margine di discrezionalità ai sensi dell’art. 8 della Convenzione .
Caso pendente
Jeunesse c. Olanda (n. 12738/10)
Ricorso dichiarato parzialmente ammissibile il 4 dicembre 2012 – rinuncia a favore della Grand
Chamber nel maggio 2013
Il caso riguarda il rifiuto di concedere il permesso di soggiorno ad una donna surinamese, sposata
con un cittadino olandese e con tre bambini, che non ha lasciato l’Olanda dopo la scadenza nel 1997
del suo visto turistico. La ricorrente lamenta in particolare, ai sensi dell’art. 8 (diritto al rispetto
della vita familiare) della Convenzione che la stessa non era stata esentata dall’obbligo di possedere
un visto provvisorio di residenza rilasciato dalla delegazione olandese in Suriname prima di poter
chiedere un permesso di soggiorno in Olanda.
La ricorrente deduce che la pratica per tale domanda può durare da tre mesi a oltre un anno e non
c’è garanzia che il visto venga effettivamente rilasciato.
La stessa contesta infine, ai sensi dell’art. 8, il rifiuto di concederle un permesso di soggiorno in
Olanda. Nella decisione del 4 dicembre 2012 la III Section della Corte ha dichiarato ammissibile la
parte di ricorso che lamenta la violazione dell’art. 8 della Convenzione, mentre il resto del ricorso è
stato dichiarato irricevibile.
Il 14 maggio 2013 la predetta Camera ha deciso di trasmettere la competenza e la giurisdizione del
caso alla Grand Chamber ai sensi dell’art. 30 della Convenzione.
La Grand Chamber ha fissato udienza il 13 novembre 2013.
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