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GRANDE SCOMMESSA (LA)
THE BIG SHORT
RASSEGNA STAMPA CINEMATOGRAFICA
Editore S.A.S. Via Goisis, 96/b - 24124 BERGAMO
Tel. 035/320.828 - Fax 035/320.843 - Email: [email protected]
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Regia: Adam McKay
Interpreti: Christian Bale (Michael Burry), Steve Carell (Mark Baum), Ryan Gosling (Jared Vennett), Brad Pitt (Ben Rickert), Melissa Leo
(Georgia Hale), Hamish Linklater (Porter Collins), John Magaro (Charlie Geller), Rafe Spall (Danny Moses), Jeremy Strong (Vinny Daniel), Marisa Tomei (Cynthia Baum)
Genere: Drammatico - Origine: Stati Uniti d'America - Anno: 2016 - Soggetto: tratto dal romanzo 'The Big Short - Il grande scoperto' di Michael Lewis (ed. Rizzoli Etas, coll. Economia) - Sceneggiatura: Charles Randolph, Adam McKay - Fotografia: Barry Ackroyd - Musica: Nicholas Britell - Montaggio: Hank Corwin - Durata: 100' - Produzione: Brad Pitt, Dede Gardner, Jeremy Kleiner, Arnon Milchan per Plan B Entertainment, Regency Enterprises - Distribuzione: Universal Picture International Italy (2016)
A riprova di un cinema hollywoodiano
che non cessa di sorprendere, "La grande scommessa", attualmente in corsa
per il Golden Globe in svariate categorie, è firmato da Adam McKay, finora
noto come regista del 'Saturday Night
Live' e di scanzonate farse. Ma questa è
una commedia seria, o forse addirittura
una tragicommedia, sull'avventura di
quattro broker, sorta di outsider genialoidi che, prevedendo a tempo debito la
catastrofe finanziaria del 2008, decidono di scommettere contro il mercato dei
mutui a rischio. Non essendo tuttavia
né corrotti né completamente cinici, il
piacere di aver visto giusto e di aver
guadagnato somme stratosferiche verrà
in loro contro-bilanciato dallo sgomento di assistere alla strage economica di
milioni di innocenti.
Il film si basa sulle persone e i fatti veri
raccontati dal giornalista Michael
Lewis in 'The Big Short: Inside the
Doomsday Machine' - libro che nel
2010 è restato 28 settimane nella lista
dei bestseller del 'New York Times'.
Christian Bale è Mike Burry, un investitore con sindrome di Asperger che,
analizzando ossessivamente i dati dei
subprime, scopre le immense crepe alla
base del sistema. Steve Carell incarna
Mark Baum, un irascibile pessimista
che subito percepisce le conseguenze
globali della crisi; Brad Pitt un ex-guru
di Wall Street, stanato nel suo eremo in
Colorado da due giovani rampanti; e
Ryan Gosling un funzionario della
Deutsche Bank, con la testa lucida e
l'ambizione alle stelle.
Anche sceneggiatore con Charles Randolph, McKay trae spunto dalla pagina
con ritmo ed energia, ricorrendo spiritosamente all'aiuto di Margot Robbie
(immersa in una vasca da bagno), e del-
lo chef Anthony Bourdain al tavolo di
cucina per chiarire termini arcani quali
'credit default swap'; e mostrandoci gli
stravolti meccanismi finanziari (e l'avidità, la stupidaggine, l'irresponsabilità)
che hanno portato il sistema al collasso.
Gli interpreti, fra cui spicca un malmostoso, fantastico Carell, caratterizzano
felicemente i rispettivi personaggi, giocando anche d'improvvisazione: e si
ride come di fronte a un teatro dell'assurdo, ma è un riso amaro che sboccia
dall'indignazione e dalla consapevolezza di una coscienza morale oltraggiata.
La Stampa - 06/01/16
Alessandra Levantesi Kezich
Il mercato immobiliare Usa del 2005?
Solido come la roccia. Per banchieri e
analisti di Wall Street è sicurissimo
proprio come le obbligazioni di Banca
Marche, Etruria, Carife e Carichieti
nell'Italia prenatalizia del 2015. Che i
mutui subprime siano solo un'opportunità lo pensano tutti negli States tre anni prima della più grande crisi finanziaria dai tempi del 1929. Tutti tranne sei
outsider per non dire freaks: Michael
Burry (occhio destro di vetro e inettitudine alla socialità), Jared Vannett (broker belloccio con manie di onnipotenza), Mark Baum (ebreo paranoico gestore di un fondo) e Charlie Geller &
Jamie Shipley (imprenditori ragazzini
col mito del garage di Steve Jobs) affiancati da Ben Rickert (ex banchiere
ritiratosi a vita new age).
Questi accattivanti 'hateful six' scommettono tutto sulla crisi dei mutui subprime e relativi fondi di investimento
tossici. Nel 2005 vengono derisi. Nel
2008 saranno milionari. "La grande
scommessa" di McKay racconta le loro
marce separate verso l'albero della cuc-
cagna con un ritmo frenetico (montaggio di Hank Corwin già favorito all'Oscar), tono da delirante commedia cameratesca (il bravo regista viene da ottimi demenziali con maschi idioti allo
sbando come la saga 'Anchorman'),
icone pop pronte a spiegare guardando
nell'obiettivo astrusità economiche (geniale Margot Robbie di "The Wolf of
Wall Street" che ci chiarisce gli interessi delle banche nei mutui mentre è
mezza nuda in vasca) e un cast pazzesco (Christian Bale è Burry; Steve Carell è Baum; Brad Pitt è Rickert). A
volte testosterone e comicità di testa
vanno a braccetto. Ne esce fuori un film
forse ancora più drammatico perché
estremamente comico. L'Altman di
"M.A.S.H." avrebbe apprezzato. L'unico di loro in grado di provare un senso
di crescente disgusto per un successo
personale dentro una catastrofe mondiale è il Baum di un magistrale Carell,
meritevole di nomination Oscar a un
anno di distanza dal miliardario mostruoso di "Foxcatcher". Nessun film
aveva raccontato finora così bene la crisi finanziaria del 2008: né l'ottimo doc
"Inside Job" né il volenteroso dramma
morale "Margin Call". Ci voleva un cineasta proveniente dalla commedia di
pancia per descrivere un universo di
maschi in grado di distruggere ridendo
l'economia dell'Occidente.
Sarà interessante la sfida Oscar con
"Spotlight". Lì un collettivo di giornalisti senza macchia contro i preti pedofili
della Boston anni '70. Qui un branco di
capitalisti così assetati da non capire di
bere il sangue altrui. Chi vincerà? Entrambi i film dimostrano una bella voglia della Hollywood di oggi di tornare
a un cinema ispirato alla realtà. Qui il
punto di riferimento è l'omonimo libro
di Michael Lewis, tradito dagli sceneggiatori McKay e Charles Randolph solo
per quanto riguarda i nomi di cinque
dei sei protagonisti tranne il vero Michael Burry.
Il Messaggero - 07/01/16
Francesco Alò
Ci sono film che non si amano, ma si
ammirano. È questa la sensazione che
ci accompagna nel raccomandare attenzione per "La grande scommessa", una
farsa acida, cinica, a tratti sguaiata e
grottesca incentrata sugli annessi e i
connessi della spaventosa crisi che devastò Wall Street nel 2008 e ancora oggi minaccia la stabilità anche politica
mondiale. Non siamo ai livelli di "The
Wolf of Wall Street" di Scorsese, però
l'ex sceneggiatore del 'Saturday Night
Live' McKay ha congegnato un meccanismo formidabile di decostruzione stilistica: spezzoni di finto documentario,
siparietti con gli attori che parlano in
macchina, dialoghi svalvolati, show
storici che sembrano deliri personali e
viceversa, insomma un mega-mix immerso in un magma tutt'altro che serioso e moralistico eppure estremamente
illuminante sulle logiche dell'idra finanziaria nutrita da un establishment
pervertito ben al di là della famigerata
truffa dei subprime. La vera storia di un
gruppetto di esilaranti 'mostri' americani - interpretati da attori tanto carismatici da domare a piacimento le anse
schizofreniche dello script ricavato dal
libro 'The Big Short' - che si lanciano
nel progetto apparentemente folle di
scommettere sul default lascia un sapore spiazzante sul piano narrativo, ma
davvero strepitoso su quello della satira.
Il Mattino - 07/01/16
Valerio Caprara
Dimenticate "The Wolf of Wall Street",
'Al lupo, allupo!' alla Borsa americana
non si grida. Al massimo, possono farlo
quattro gatti, quattro Giovanni Battista
che gridano nella bolla: ma non arriverà
il Cristo, bensì la crisi, quella finanziaria del 2008.
Ancora oggi ne sappiamo ben poco, e
ne abbiamo capita quasi nulla. Va detto,
il cinema Usa ci ha provato, illuminan-
do gli effetti devastanti - "99 Homes" del crac dei 'subprime', ma anche ficcando la camera nel processo, dal doc
"Inside Job" al dramma "Margin Call".
Si poteva fare di più, e qualcuno l'ha
fatto; insignificante chiedersi se solo il
successo del "Lupo" di Martin Scorsese
abbia catalizzato quest'operazione targata Paramount, ma il film buono oggi
esiste, e si chiama "The Big Short", letteralmente "La grande vendita allo scoperto", tradotto da Universal Italia nel
più promettente "grande scommessa".
Quattro, sacrosante, nomination ai Golden Globes, e il 14 gennaio vedremo
quante altre agli Oscar, è diretto da
Adam McKay, noto per le collaborazioni comiche con Will Ferrell, e tratto
dal best seller di Michael Lewis, che al
cinema ha già dato quella chicca di
"Moneyball". È un grande film per tre
motivi: quel che racconta, come lo racconta e, osiamo, perché lo racconta.
Quali sono state le radici del collasso
del mercato globale nel 2008? Lo vediamo attraverso gli occhi (undici) di
sei addetti ai lavori che ne fiutarono le
avvisaglie e agirono di conseguenza,
arricchendosi parecchio.
L'apripista è Michael Burry (Christian
Bale, super), un neurologo di San José
divenuto stimato gestore di fondi: lo
direste fuori di testa, è inconfutabilmente sociopatico, con un occhio di vetro, i
piedi scalzi in ufficio e la batteria heavy
metal da pestare. L'apparenza inganna,
un occhio vede meglio di due, e Burry
scopre l'inganno diffuso: analizza migliaia di prestiti individuali legati ad
obbligazioni di mutui ad alto rischio, ne
profetizza il default di lì a qualche anno
e... scommette contro il mercato immobiliare.
La sua arma è il 'credit default swap'
(derivato di copertura), ma impugnarla
per la bellezza di un miliardo di dollari
non farà felici i proprietari e gli investitori del fondo. A ruota si muovono pure
il banchiere fighetto di Deutsche Bank
Jared Vennett (Ryan Gosling, perfetto),
che finirà per convincere a investire nei
'credit default swaps' un manager di
prodotti finanziari ad alto rischio in orbita Morgan Stanley, l'irascibile, abile e
cazzuto Mark Baum (Steve Carell:
"Foxcatcher" non fu un caso, che atto-
re!): attorniato da giovani e valenti collaboratori, Mark toccherà con mano,
nel mercato della Florida, la follia criminale dei broker di mutui immobiliari
non standardizzati, che ottengono prestiti per i loro clienti, quali spogliarelliste, senza garanzie.
Infine, gli ultimi tre cavalieri di questa
apocalisse finanziaria: dal Colorado i
giovani Charles Geller (John Magaro) e
James Shipley (Finn Wittrock), gestori
di un piccolo fondo, e il loro passepartout Ben Rickert (Brad Pitt), già squalo
di Wall Street e ora guru New Age.
Sono loro i nostri eroi, ma - è una delle
grandezze del film - McKay non lavora
sulla immedesimazione, nei fatti impossibile, dello spettatore e nemmeno
sull'empatia, che spetta al solo
Baum/Carell. Veniamo, appunto, a come "The Big Short" racconta queste
vicende: Vennett /Gosling a far da narratore e guardarci in camera, intromissioni di star quali Margot Robbie e Selena Gomez che provano a spiegarci
operazioni e termini finanziari a mo' di
tutorial, macchina da presa in costante e
spesso frenetico movimento, riempitivi
di 'found footage' (la tecnica di presentare un film come una serie di filmati
ritrovati e testimonianze) per abbassare
la tensione narrativa e, in primis, cognitiva, tutto concorre a una narrazione
iperrealistica, quasi extraterrestre, che
si attaglia perfettamente all'universo per
noi alieno e incomprensibile della finanza.
Vi girerà la testa, e potrebbe girarvi
qualcos'altro, ma questo è il - migliore cinema americano: indagare, informare,
denunciare (le responsabilità degli organi di controllo governativi furono
enormi) e, sperabilmente, far capire.
Costi quel che costi, perché non accada
più. Il cinema italiano un qualcosina su
Banca Etruria vuole provare a farlo?
Il Fatto Quotidiano - 07/01/16
Federico Pontiggia