Gli echi della mente - Provincia di Frosinone

Transcript

Gli echi della mente - Provincia di Frosinone
Gli echi della mente
Relazione di Giuseppina Bonaviri
Presidente Tavolo provinciale Patto di Solitarietà
Provincia di Frosinone
Tavola Rotonda sulle FGM
26 febbraio 2014. Università Cattolica del Sacro Cuore , Roma
La violenza fisica, sessuale e psicologica che si produce nella famiglia, inclusi i maltrattamenti, gli abusi sessuali delle
bambine in ambito familiare, le violenze legate alla dote, lo stupro coniugale, la mutilazione genitale femminile e altre
pratiche tradizionali dannose per le donne, la violenza perpetrata da altri membri della famiglia e la violenza legata
allo sfruttamento, ovunque si manifesti, deve essere combattuto dallo Stato e da tutti i cittadini”.
L’Italia costituisce un interlocutore privilegiato con i Paesi africani che
hanno presentato la Risoluzione sulle MGF all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, adottata il 26 novembre 2012 e
co-sponsorizzata da oltre 110 Paesi (inclusi 50 Paesi africani). In questa cornice si inserisce l’aver promosso e
organizzato iniziative nazionali sull'eliminazione delle MGF durante della Commissione sulla Condizione Femminile
(CSW del 2012), che si va ad aggiungere a quelli già realizzati in occasione delle passate sessioni degli scorsi anni.
Imigliori risultati ottenuti, in questi ultimi anni, nell’ ambito della prevenzione rispetto alle MGFsono stati quelli che
hanno utilizzatoforme di collaborazione tra istituzioni nazionali e locali, società civile, apparati giuridici e mezzi di
informazione permettendo la creazione di una riflessione “culturale” a rete favorevole all’eliminazione di detto
fenomeno. Trattandosi, infatti, di una grave e globale criticità che va a ledere i diritti umani –armonizzare gli obiettivi,
incoraggiare,implementare i programmi di sostegno regionali per promuovere l’adozione di misure normative
comestrumento positivo edurevole di progresso sociale- appare prioritario in questo momento storico.
Basterebbe ricordare le due direttive europee: quelle sulla tratta di esseri umani e quella sull’Ordine di Protezione
Europeo, cui si può aggiunge quelle sulla tutela delle vittime di violenza. La violenza basata sul genere, comprese le
prassi nocive dettate dalle consuetudini o dalle tradizioni, costituisce una violazione dei diritti fondamentali, in
particolare della dignità umana, del diritto alla vita e del diritto all'integrità della persona. Tale violazione impedisce
l'autodeterminazione nella vita.
Attualmente, non sono molti gli studi scientifici validati che ci consentono di procedere con certezze assolute nel campo
delle mutilazioni. Ci piace ricordare, preliminarmente, la ricerca che qualche anno fa è stata portata avanti in Sicilia da
ricercatori e psichiatri con il sostegno degli operatori dei centri di accoglienza per immigrate-i su un gruppo di donne
africane sottoposte a MGF che da molti anni vivevano in Italia.
Lo scopo della ricerca era quello di esplorare il disagio, il malessere, la sofferenza psichica legataalle MGF, effettuando
uno studio clinico, attraverso la valutazione di alcunearee come la sessualità, le strategie e gli stili difensivi, il livello e la
qualità della mentalizzazione e quindi le capacità dicoping inteso come l’insieme di strategie mentali e
comportamentali che sono messi in atto per fronteggiare una certa situazione. Non mi soffermo sui metodi ( protocollo
che comprende Coloured Progressive Matrices di Ravens; State-Trate Anxiety Inventory diSpielberger; Storie Disegnate
di Trombini; Favole di Düss; )
L’intervista clinica è stata proposta a 20 donne che subirono una MGF nel proprio paese di origine.Le comunicazioni
sono sempre state sintetiche, semplici, espresse in modo molto rapido e ciò va, evidentemente, imputato alla difficoltà
nella linguae al fatto che le donne intervistate appartengono a nuclei familiari organizzati rigidamente diversamente
dalla nostra cultura. Ciò ha reso ancor più complesso il compito del ricercatore sul risultato finale dello studio.
I risultati emersi hanno posto in evidenza il ruolo dei meccanismi difensiviin rapporto alle funzioni riparatorie che
l’ambiente può assumere. È proprio il sostegno da parte dell’ambienteesterno il fattore determinante nel generare,a
fronte di una violenza traumatica insopportabile, tale da fratturare drammaticamenteogni schermo protettivo, la
possibilità di adoperare: 1) meccanismi dissociativi estremi, stabili ed espulsivi nell’ordinedella scissione, del diniego,
dell’identificazione proiettiva, impoverendo progressivamente le proprie funzioni, fallendoil lavoro elaborativo, finendo
con il danneggiare l’apparato preposto alla elaborazione dei pensieri stessi; 2) meccanismidissociativi più lievi che
consentono di affrontare l’evento traumatico ma che non impediscono definitivamente la suasuccessiva elaborazione.
Si sono riscontrati con alta frequenza, e non solo in questo lavoro, disturbi della sessualità, depressione,stati intensi di
ansia e di terrore, senso di umiliazionee tradimento. Queste donne hanno confessato che “non ci sono emozioni,
noncapita di innamorarsi, che ci si spaventa dei contattiumani. Insomma, con le loro parole, una donna mutilata non
può avere una vita intera”. Le donne intervistate hanno tutte dimostrato una caratteristica difensiva che permetteva di
collocare l’esperienza traumatica in un altro luogo, in un altro tempo, in un altro corpo: altrove insomma; esperienza,
questa, che èstata l’ unica in grado di preservare l’individuo quando è fatto oggetto di violenze terribili per mano di
coloro che avrebbero invece dovuto proteggerlo.
Certamente meccanismidissociativi estremi, stabili ed espulsivi, come evidenziati in casi si fatti,
impoverirannoprogressivamente le funzioni mentali finendocon il danneggiare l’apparato preposto all’elaborazionedei
pensieri stessi; meccanismi dissociativi più lieviconsentiranno invece di affrontare l’evento traumatico non impedendo
definitivamente la sua successiva elaborazione.
Vivere alcune parti del corpo in modoansiogeno e minacciante ci mette in stretta relazione con il corpo “violentato,
mutilato,cicatrizzato”, che per queste donne, perde il significatodi rifugio protettivo e diventa luogo di
reificazionecontinua della propria sofferenza. Il prendersi cura di queste donne assume inoltre un valore aggiunto di
“sostegno riparatore”, generando un clima difiducia utile per affrontare, elaborare e mentalizzare iltrauma subito e
contribuendo a sostenere quel processodi cambiamento fondamentale per una serena trasformazione culturale.
Possiamoaffermare che quanto più è estesa la ferita sul corpo,tanto più è compromessa la relazione con esso.
La letteratura evidenzia che le donne che hanno subito una MGF di III tipo devonofare i conti con un corpo
indelebilmentedeturpato e dolorante che, con la sua presenza ingombrante,rende complesse e a volte impedisce del
tuttole normali trasformazioni psichiche. Si tratta, dell’importante operazione di passaggio dalconsiderare il corpo
come oggetto reale all’immaginarlocome oggetto pensato, con inevitabili ricadutesul piano dell’immagine di sé,
ericordando Freud,sul primissimo senso dell’Io che è quello di Io corporeo.
Nei Paesi di appartenenza questotrauma rimane più facilmente “incistato” e probabilmente trova significazioni diverse
. Si possono definire come traumatismi culturalmente determinati,pratiche cruente sostanziate dalla cultura gruppale
con la “valenza positiva”di fare recuperare la vera identità, cancellando la natura bisessuale, eliminando il segno del
doppio ( infatti come abbiamo avuto modo di verificare anche nei gruppi studiati, per molti popoli africani il clitoride è
unfallo incompleto che con la propria crescita inficia lo sviluppo danneggiando il rapporto sessuale e la gravidanza).
Nelle donne con MGF di III tipo, come dicevamo, il corpo non è piùl’antico e sicuro rifugio della psiche ma, una volta
orrendamentesegnato, diventa il luogo del perturbante, testimone muto della violenza edella persecuzione, minando,
per sempre, il sensodi fiducia di sé e nel mondo. Dunque non saranno i parametri come le prestazioni cognitive, l’ansia
di stato e di tratto, la capacitàdi simbolizzare o il registro difensivo adoperato,comunque organizzato intorno alla
dissociazione ma è piuttosto il rapporto con il proprio corpo ad avere la prevalenza in quanto ambito psicodimanico da
analizzare.La donna non segnata-non connotata-non determinata eche decidesse di ribellarsi alla mutilazione, è vista
come unabambina di cui nessuno si è preso cura, una bambinacondannata ad una sicura emarginazione: senza
identità sessuale, senza marito, senza figli,senza sostegno sociale, una bambina “non nata”, quindinon esistente.
Queste considerazioni rendono piùcomprensibile come le donne della indagine da noi presa in considerazione ricordino
meccanismo di identificazionecon l’aggressore: sono donne che trovano, nella mutilazionedella figlia, una ragione per
significare la propria. Attraverso queste procedure dolorose e traumatiche,nelle bambine vengono inculcati gli
atteggiamentifemminili adeguati, atteggiamenti che vengono iscrittisui loro corpi non solo fisicamente ma anche
affettivamentee cognitivamente nella forma di inclinazionimentali, in veri e propri schemi di percezione e
pensiero.L’identità così ottenuta implica il ripudio definitivoalla propria sessualità che viene ridotta alla necessitàdi
procreare.In tal senso non si rintracciano differenze, in merito aiparametri psicologici valutati, tra donne che hanno
subitouna mutilazione di I tipo e donne che hanno subitouna mutilazione di III tipo molto più cruenta eviolenta. Del
resto, se dolore e trauma sono comunidenominatori di queste situazioni, più della lesionesubita, sugli effetti finali,
gioca un ruolo importantel’angoscia suscitata.
Gli effetti del trauma nonsono soltanto connessi all’ampiezza della ferita sulcorpo ma sono mediati dal proprio
equipaggiamentopersonale e dalla capacità dell’ambiente di coniugarela sua funzione supportante. È la diversa
miscela diquesti tre indicatori (ampiezza del trauma, equipaggiamentopersonale, capacità dell’ambiente di declinarela
sua funzione riparatrice) che regola gli effettidell’evenienza traumatica. L’utilizzo di strategie difensive volte alla
dissociazionecomporta al fine il non potersi fidare pienamentedelle autorità e quindi non potere denunciaregli
accaduti, dall’altra lo strutturarsi di un patto negativo/perverso con il gruppo carnefice diviene un patto per cui
lavittima si sente importante e quindi confermata nelproprio valore fondamentale per gli altri. Ciò spiegherebbeil
perché in questo fenomeno si abbianosolo stime e non cifre precise.
Assume un valore importante anche il senso di abbandono che le bambine provanoverso quelle figure che dovrebbero
proteggerle. L’atto violento, non si accompagna alla possibilità dielaborare il dolore attraverso il sostegno di un adulto,
cheanzi in genere esorta a inibire qualsiasimanifestazione emotiva. «Se non sei tagliata, non haidiritto al
corteggiamento di nessun ragazzo, non puoi comportarti da donna». In quel momento il conflitto tra integritàfisica,
cioè integrità del proprio sé, e il riconoscimento sociale diventa insostenibile e l’annichilimento delle proprie
sensazioniè l’unica via d’uscita.
Anche dopo il “taglio” la libera espressione del dolore e delle sensazioni conseguenti all’evento terrificante devono
essereforzatamente trattenute: le donne non possono piangere, lamentarsi, urlare, pur restando con le gambe legate
per giorni.Il senso di sottomissione che ha accompagnato tutta la procedura segna irreparabilmente l’autostima di
quasi tutte le donne esancisce la loro sottomissione all’uomo. La sensazione di impotenza, che deriva dall’impossibilità
di gestire il proprio corpo e disubire una pratica imposta dalle pressioni sociali e decisa da altri, influisce fortemente sul
loro stato l’affievolimento dell’autostima e il manifestarsi di reazioni psicosomatiche hanno un forte impatto psicosociale.
La conseguenza psicologica di fondo che si crea nella donna sopravvissuta a tale pratica è il senso di appartenenza
allasocietà di origine: la donna ha accettato pienamente le tradizioni della sua cultura ed è pronta a ricoprire il suo
ruolo di sposa.Colei che non si sottomette a tale pratica viene comunque schiacciata ed è destinata a soffrire dei
problemi psicologici legatiall’emarginazione e al rifiuto da parte del suo gruppo sociale il gruppodi donne deve avere
vissuto in modo difensivo la richiesta.
Con il riconoscimento della ferita al suo narcisismo si produce nella donna - in modo simile ad una cicatrice - un senso
di inferiorità. Dopo che essa è andata oltre il primo tentativo di chiarirsi la mancanza del pene considerandola come
una punizione personale e ha compreso la generalità di questo carattere sessuale, comincia a condividere il disprezzo
dell'uomo per questo sesso minorato in un punto decisivo e, almeno in questo giudizio, si trova assimilata all'uomo.
Infine, una considerazione va fatta rispetto al significato profondo del riconoscimento della masturbazione e della sua
attività rispetto al clitoride. Quest’ultimo è implicito nel contenuto immaginifico e reale dalla fase fallica fino alle
epoche successive adolescenziali.L'ipotesi che la masturbazione, almeno della clitoride,sia un'attività maschile e che lo
spiegamento della femminilità richieda come condizione l'abolizione della sessualità clitorideagiustifica, in molte
culture patriarcali, ilperchè la donna non possa concedersi godimenti rimanendo solo strumento del altrui piacere
maschile.La rimozione del clitorideda sola permetterebbe alla donna di raggiungere la maturità sociale e divenire, a
pieno titolo moglie e madre.Come ben evidenziato in questi ultimi passaggi ruolo fondamentale per il cambiamento di
paradigmi comuni assume la mediazione con l’istituzione di servizi specifici di supporto medico, psicologico e
sessuologicoe con particolare attenzione la nascita di ambulatori e corsi per la formazione specifica di facilitatori
specializzati nella figura di medici, psicologi, sessuologi, assistenti sociali ed infermieri . Attualizzare allora campagne
d’informazione e promozione come è stato già fatto nella Provincia di Frosinone con la Campagna di sensibilizzazione
“Diamoci la mano”, dibatti tematici e forum per la creazione di una rete reale di supporto e di trasformazione
salvaguardando la cultura della differenza e tutelando lo stato di diritto diventino i pilatri di quella innovazione sociale
che tutti noi ci auguriamo.
L’Italia può e deve diventare un paese per donne.Nasce spontaneo un appello alle Istituzioni perché finalmente si
attualizzano protocolli ed intese provinciali, regionali e nazionali contro discriminazioni, violenze e crimini di Stato.
Iniziamo da noi.
Grazie
Sotto il profilo preventivo, la legge stabilisce che il Dipartimento per le Pari Opportunità acquisisca a
livello nazionale e internazionale, le informazioni sulle attività di prevenzione e repressione nonché sulle
strategie di contrasto alle mutilazioni genitali femminili, programmate o realizzate da altri Stati. Ai fini
della prevenzione in Italia delle mutilazioni genitali femminili, sono demandati al Ministro con delega alle
Pari Opportunità, d’intesa con altre amministrazioni pubbliche, i compiti di: predisporre campagne
informative rivolte agli immigrati provenienti da Paesi in cui si praticano le mutilazioni, dirette a
diffondere la conoscenza dei diritti fondamentali della persona e del divieto vigente in Italia delle pratiche
di mutilazione; promuovere iniziative di sensibilizzazione dell'opinione pubblica, in collaborazione con
centri sanitari, organizzazioni di volontariato e organizzazioni no profit; predisporre corsi di informazione
per le donne infibulate in stato di gravidanza, finalizzati a una corretta preparazione al parto.
L’articolo 5 della Legge 9 gennaio 2006, n. 7 istituisce il numero verde contro le mutilazioni genitali
femminili 800.300.558 attivo presso il Ministero dell'Interno con l’obiettivo di raccogliere segnalazioni da
parte di chiunque venga a conoscenza dell’effettuazione, sul territorio italiano, delle pratiche di
mutilazione genitale femminile e di fornire informazioni sulle organizzazioni di volontariato e sulle
strutture sanitarie che operano presso le comunità di immigrati provenienti dai Paesi dove sono effettuate
tali pratiche.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce le mutilazioni genitali femminili come “forme di
rimozione parziale o totale dei genitali femminili esterni o altre modificazioni indotte agli organi
genitali femminili, effettuate per ragioni culturali o altre ragioni non terapeutiche”. Le mutilazioni
genitali femminili costituiscono un atto estremamente traumatico ed hanno gravi conseguenze
sulla salute fisica, psichica e sessuale delle bambine e delle giovani ragazze che le subiscono.
Sono principalmente diffuse presso gruppi ed etnie dei Paesi dell'Africa Subsahariana e della
penisola arabica, ma sono praticate anche in Europa e in Italia, per effetto dell'immigrazione.
Diverse sono le motivazioni per cui vengono effettuate e variano a seconda della comunità etnica
di appartenenza• Socio-culturali:, componente della comunità di appartenenza;
• Igieniche e estetiche: ai genitali femminili esterni è associata un’idea di bruttezza e di sporcizia.
La rimozione, più o meno radicale, delle parti esterne renderebbe la donna più bella da un punto di
vista estetico e più pulita da un punto di vista igienico;
• Spirituali e religiose: le mutilazioni genitali femminili renderebbero le donne pure spiritualmente;
• Psicologiche e sessuali: le mutilazioni genitali femminili prevengono un’incontrollata attività
sessuale, dovuta ad una crescita eccessiva del clitoride che aumenterebbe il desiderio sessuale.
Preserverebbero la verginità delle donne e tutelerebbero gli uomini da una vita sessualmente
dissolutaL'Organizzazione Mondiale della Sanità le ha classificate in quattro tipi:
• clitoridectomia: asportazione totale o parziale del clitoride e/o del prepuzio;
• escissione: parziale o totale rimozione del clitoride e delle piccole labbra, con o senza
escissione delle grandi labbra;
• infibulazione: restringimento dell'orifizio vaginale con una chiusura creata tagliando e
avvicinando le piccole e/o le grandi labbra, con o senza l'escissione del clitoride;
• tutte le altre procedure dannose per gli organi genitali femminili effettuate per scopi non
medici quali, ad esempio, punture, perforazioni o incisioni del clitoride o delle labbra; allungamento
per trazione del clitoride o delle labbra; abrasione del tessuto intorno all’orifizio vaginale o incisione
della vagina; introduzione in vagina di sostanze corrosive o vegetali allo scopo di provocarne il
sanguinamento o il restringimento.
I dati sulle mutilazioni genitali femminili
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha stimato che sono tra 100 e 140 milioni le bambine,
ragazze e donne nel mondo che hanno subito una mutilazione genitale. L’Africa è il continente in
cui il fenomeno è più diffuso, con 91,5 milioni di ragazze di età superiore a 9 anni vittima di tale
pratica. Il fenomeno è esteso anche in Medio Oriente (Iran, Iraq, Yemen, Oman, Arabia Saudita,
Israele), nei Paesi asiatici come l’Indonesia e la Malesia e in alcune regioni dell’India. In
particolare, in Egitto, Guinea, Sudan, e Somalia le donne tra i 15-49 anni sottoposte a mutilazioni
genitali superano il 90%, in Burkina Faso, Etiopia e Mauritania tra il 70% e l’80%. L’aumento dei
flussi migratori verso il mondo occidentale ha reso visibile anche nei Paesi Europei il fenomeno
delle mutilazioni genitali femminili. Per quanto riguarda l’Italia, la pubblicazione della ricerca
realizzata per conto del Dipartimento per le Pari Opportunità, nel 2009, ha consentito di avere una
stima quantitativa dell’incidenza del fenomeno delle MGF nel nostro Paese: la ricerca ha infatti
stimato che, su 110 mila donne provenienti dai Paesi in cui si praticano le mutilazioni genitali
femminili e residenti in Italia (dati Istat, 2008), circa 35 mila hanno subito tale pratica. Inoltre, sulle
circa 4.500 bambine e giovani con meno di 17 anni originarie di questi stessi Paesi o nate in Italia
da genitori provenienti da questi Paesi, si stima che le potenziali vittime di mutilazioni genitali siano
circa il 20%.
Le mutilazioni genitali femminili vengono praticate principalmente su bambine tra i 4 e i 14 anni.
Tuttavia, l’età può essere ancora più bassa: in alcuni Paesi vengono operate bambine con meno di
un anno di vita, come accade nel 44% dei casi in Eritrea e nel 29% dei casi nel Mali, o persino
neonate di pochi giorni nello Yemen (dati Unicef).
Il tipo di intervento mutilatorio varia a seconda del gruppo etnico di appartenenza: il 90% delle
mutilazioni genitali femminili praticate è di tipo escissorio, vale a dire avvengono con taglio e/o
rimozione di parti dell'apparato genitale della donna, mentre un decimo dei casi si riferisce
all'azione specifica della infibulazione che ha come scopo il restringimento dell'orifizio vaginale e
può, a sua volta, essere associata anche a un'escissione.
La normativa sulle mutilazioni genitali femminili
In Italia, la Legge 9 gennaio 2006, n. 7, recante "Disposizioni concernenti la prevenzione e il
divieto delle pratiche di mutilazione genitale femminile", detta le misure necessarie per prevenire,
contrastare e reprimere le mutilazioni genitali femminili, quali violazioni dei diritti fondamentali
all’integrità della persona e alla salute di donne e bambine.
Riguardo alle disposizioni penali, la legge introduce l’art. 583 bis del Codice penale riguardante le
pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili. Chiunque “cagiona una mutilazione genitale
femminile in assenza di esigenze terapeutiche, è punito con la reclusione da 4 a 12 anni” mentre
chiunque “provoca, in assenza di esigenze terapeutiche e al fine di menomare le funzioni sessuali,
lesioni agli organi femminili genitali è punito con la reclusione da 3 a 7 anni”. In ambedue i casi, la
pena è aumentata di un terzo quando le pratiche sono commesse a danno di un minore o con
finalità di lucro. Lo stesso articolo prevede il principio dell’extraterritorialità ogniqualvolta il fatto
è commesso all’estero da cittadino italiano o da straniero residente in Italia o a danno di cittadino
italiano o di straniero residente in Italia.
La legge n. 172, del 1 ottobre 2012, con cui l’Italia ha ratificato la Convenzione di Lanzarote,
prevede l’inserimento di un ulteriore comma all’articolo 583-bis, secondo cui la condanna prevista
per questo reato, nel caso in cui sia commesso dal genitore o dal tutore della bambina vittima,
comporta la decadenza dall’esercizio della potestà genitoriale oltre che l’interdizione perpetua da
qualsiasi ufficio attinente alla tutela, alla curatela e all’amministrazione di sostegno.
L’articolo 583 ter del Codice penale prevede per il personale medico che esegue una mutilazione
genitale la pena accessoria dell’interdizione dalla professione da tre a dieci anni. La sentenza di
condanna viene comunicata all’Ordine dei medici chirurghi e degli odontoiatri.
A livello europeo, è direzione comune dei Paesi occidentali contrastare la pratica delle mutilazioni
genitali femminili, ritenuta una violazione dei fondamentali diritti umani all’integrità della persona e
alla salute delle bambine e delle donne. Le politiche attuate variano da Paese a Paese: alcuni,
come la Svezia e la Gran Bretagna, hanno creato una legislazione specifica dove l’atto di
mutilazione genitale e l’istigazione a commetterlo sono considerati un reato specifico. In altri Stati,
come la Norvegia e la Grecia, l’interpretazione giurisprudenziale fa rientrare la pratica di
mutilazione genitale femminile in fattispecie di reato diverse, quali lesioni gravi o gravissime,
tentato omicidio o, in caso di morte della vittima della mutilazione, omicidio.Le mutilazioni genitali
femminili violano le principali convenzioni internazionali relative ai diritti umani, ai diritti delle donne
e ai diritti del fanciullo. In particolare:
• Dichiarazione Universale dei diritti umani (1948): proclama il diritto di ogni essere umano a
vivere in condizioni tali da godere di buona salute e assistenza sanitaria e stabilisce il diritto alla
vita, alla libertà e alla sicurezza della persona;
• Convenzione per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne (1981):
condanna ogni discriminazione sulla base del sesso che pone la donna in una condizione di
inferiorità rispetto all’uomo;
• Carta africana dei diritti umani e dei popoli (1981): afferma che gli esseri umani sono
inviolabili e, all’art. 5, dichiara che ogni individuo ha il diritto al rispetto della dignità insita in ogni
essere umano e al riconoscimento dello status legale e proibisce ogni forma di trattamento che
viola tale dignità;
• Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia (1989): offre strumenti di prevenzione delle
mutilazioni genitali femminili e all’art. 24 stabilisce che gli Stati devono prendere tutte le misure
efficaci ed appropriate per abolire le pratiche tradizionali pregiudizievoli alla salute del fanciullo;
l’art. 37 afferma che nessun bambino deve essere sottoposto a tortura o a trattamenti inumani e
degradanti;
• Carta africana sui diritti e il benessere del fanciullo (1990): raccomanda agli Stati di eliminare
pratiche sociali e culturali pericolose che influenzano il benessere, la dignità, la normale crescita e
lo sviluppo del bambino;
• Raccomandazione sull’uguaglianza dell’uomo e della donna nel matrimonio e nella
famiglia (1994): ad integrazione della Convenzione ONU per l’eliminazione di ogni forma di
discriminazione delle donne, ha riconosciuto il diritto alla donna di programmare il numero dei figli;
• Protocollo alla Carta africana sui diritti umani e dei popoli sui diritti delle donne in Africa
(Protocollo di Maputo, 2003): impegna gli Stati ad assicurare il diritto delle donne alle salute,
compresa la salute sessuale e riproduttiva;
• Dichiarazione di Ouagadougou (2008): chiede l’adozione di leggi nazionali che condannino le
mutilazioni dei genitali femminili e una loro armonizzazione a livello mondiale.
.
A livello europeo, è direzione comune dei Paesi occidentali contrastare la pratica delle mutilazioni
genitali femminili, ritenuta una violazione dei fondamentali diritti umani all’integrità della persona e
alla salute delle bambine e delle donne. Le politiche attuate variano da Paese a Paese: alcuni,
come la Svezia e la Gran Bretagna, hanno creato una legislazione specifica dove l’atto di
mutilazione genitale e l’istigazione a commetterlo sono considerati un reato specifico. In altri Stati,
come la Norvegia e la Grecia, l’interpretazione giurisprudenziale fa rientrare la pratica di
mutilazione genitale femminile in fattispecie di reato diverse, quali lesioni gravi o gravissime,
tentato omicidio o, in caso di morte della vittima della mutilazione, omicidio.
Le mutilazioni genitali femminili violano le principali convenzioni internazionali relative ai diritti
umani, ai diritti delle donne e ai diritti del fanciullo. In particolare:
• Dichiarazione Universale dei diritti umani (1948): proclama il diritto di ogni essere umano a
vivere in condizioni tali da godere di buona salute e assistenza sanitaria e stabilisce il diritto alla
vita, alla libertà e alla sicurezza della persona;
• Convenzione per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne (1981):
condanna ogni discriminazione sulla base del sesso che pone la donna in una condizione di
inferiorità rispetto all’uomo;
• Carta africana dei diritti umani e dei popoli (1981): afferma che gli esseri umani sono
inviolabili e, all’art. 5, dichiara che ogni individuo ha il diritto al rispetto della dignità insita in ogni
essere umano e al riconoscimento dello status legale e proibisce ogni forma di trattamento che
viola tale dignità;
• Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia (1989): offre strumenti di prevenzione delle
mutilazioni genitali femminili e all’art. 24 stabilisce che gli Stati devono prendere tutte le misure
efficaci ed appropriate per abolire le pratiche tradizionali pregiudizievoli alla salute del fanciullo;
l’art. 37 afferma che nessun bambino deve essere sottoposto a tortura o a trattamenti inumani e
degradanti;
• Carta africana sui diritti e il benessere del fanciullo (1990): raccomanda agli Stati di eliminare
pratiche sociali e culturali pericolose che influenzano il benessere, la dignità, la normale crescita e
lo sviluppo del bambino;
• Raccomandazione sull’uguaglianza dell’uomo e della donna nel matrimonio e nella
famiglia (1994): ad integrazione della Convenzione ONU per l’eliminazione di ogni forma di
discriminazione delle donne, ha riconosciuto il diritto alla donna di programmare il numero dei figli;
• Protocollo alla Carta africana sui diritti umani e dei popoli sui diritti delle donne in Africa
(Protocollo di Maputo, 2003): impegna gli Stati ad assicurare il diritto delle donne alle salute,
compresa la salute sessuale e riproduttiva;
• Dichiarazione di Ouagadougou (2008): chiede l’adozione di leggi nazionali che condannino le
mutilazioni dei genitali femminili e una loro armonizzazione a livello mondiale.
Circoncisione femminile”5 - tradizionalmente esclusiva, cioè non coincidente con quella della
circoncisione dell’organo genitale maschile, nell’ambito dei costumi sessuali di svariate
popolazioni, sembra risalire ad epoca preistorica - a differenza della classica “Circoncisione
maschile” che, invece, ha avuto origine in piena epoca storica (Reclus, 1879; Remondino, 1900;
Baudouin, 1910; Taylor, 1997; ecc.) -allorché si era già ben consolidato il “Patriarcato” in crescente
diffusione - a discapito del “Matriarcato” in via di estinzione- dopo almeno un paio di millenni dalla
sua sporadica insorgenza. Facciamo un appello perché le associazioni che hanno per oggetto la
sessuologia siano presenti con noi nel contrastare attivamente un apratica cruente si promuova
una iniziativa attribuita a motivi psico-sessuali e socio-culturali in quanto, inizialmente, sarebbe
sorta, con molta probabilità, in seguito a lesioni mutilanti, salvaguardia del valore assoluto della
persona umanasignifica cercare soluzioni dialettiche che possano sconfiggere conservatorismi e
contraddizioni culturali.