2.1 Gli interventi dei VV.F. in presenza di sostanze radioattive.

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2.1 Gli interventi dei VV.F. in presenza di sostanze radioattive.
GLI INTERVENTI DEI VIGILI
DEL FUOCO IN PRESENZA
DI SOSTANZE RADIOATTIVE
L’importanza delle misure da adottare in caso di incidente e di incendio
in relazione ai tipi di materiali radioattivi coinvolti.
Dott. Ing. Antonio La Malfa
Le vigenti disposizioni legislative in materia di protezione della
popolazione, in caso di incidenti
con presenza di sostanze radioattive, affidano al Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco
( C . N . V V. F.) responsabilità e
compiti indicati in forma del tutto
generale.
Infatti, la legge 13 maggio
1961, n. 469, all’articolo 1 attribuisce al Ministero dell’Interno,
tra l’altro, “... i servizi tecnici
per la tutela della incolumità
delle persone e la preservazio ne dei beni anche dai pericoli
derivanti dall’impiego dell’ener gia nucleare”.
Questa attribuzione comporta, poiché non delimita in modo
esplicito il campo di competenza, la presenza dei Vigili del
Fuoco in tutti quei casi in cui si
presenti pericolo, per la salute
dei cittadini o per la sicurezza
dei loro beni, a seguito della
presenza di sostanze radioattive nell’ambiente.
Per soddisfare questa necessità, i Vigili del Fuoco sono organizzati nel territorio nazionale con strutture capaci di operare sia a livello centrale che
periferico.
L’intervento dei Vigili del Fuoco
può, quindi, andare dalla semplice ricerca di una sostanza radioattiva smarrita, alla protezione
della popolazione in caso di inci-
denti che comportano delle ricadute radioattive dovute ad esplosioni nucleari, connesse con
eventi bellici o con incidenti dovuti all’impiego pacifico dell’energia nucleare in impianti di ricerca
e/o di produzione dell’energia
elettrica.
Inoltre non viene suff i c i e n t emente chiarito, né quali siano i
compiti precisi, né la portata
dell’intervento; infatti, non raramente, si sono verificate situazioni nelle quali l’intervento dei
Vigili del Fuoco non si è limitato
solamente al primo soccorso, ma
si è dovuto prolungare fino al
completamento dell’opera di protezione.
Tale situazione non è cambiata
anche dopo la recente emanazione del Decreto Legislativo
17/03/95 n. 230 “Attuazione delle
direttive Euratom 80/836,
84/467, 84/466, 89/618, 90/641,
e 92/3 in materia di radiazioni ionizzanti”, che ha abrogato le disposizioni contenute nel D.P.R.
185/64, in quanto sono rimaste
sostanzialmente invariate le disposizioni riguardanti il Corpo
Nazionale dei Vigili del Fuoco e
che adesso sono principalmente
contenute nei capi V, VI e X del
D.L.vo 230/95.
La peculiarità del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco risiede
nella presenza capillare e continuativa in tutto il territorio nazioANTINCENDIO novembre 1996
nale di personale, opportunamente addestrato e fornito di
adeguata strumentazione, che
consente di definire la situazione
radiologica ambientale conseguente ad un qualsiasi incidente
che comporti la presenza di radiazioni ionizzanti nell’ambiente.
Prima di iniziare a trattare l’argomento degli interventi in presenza di sostanze radioattive, si
danno alcune brevi notizie sulle
grandezze radiometriche di maggiore interesse.
Principali grandezze
radiometriche
Esposizione
Le radiazioni nucleari, essendo
dotate di energia, producono
nell’attraversare un mezzo qualsiasi (acqua, aria, terra, piombo,
etc.), ionizzazione al suo interno.
Ovviamente, se è alto il numero di atomi ionizzati nel materiale
significa che la radiazione ha
elevata intensità e sarà capace
di provocare un danno maggiore
alla materia attraversata.
L’esposizione è appunto una
grandezza correlata alla capacità
che la radiazione di generare
coppie di ioni in aria.
In passato, si diceva che vi era
una esposizione di 1 R (Roentgen) quando una radiazione elet13
INTERVENTI IN PRESENZA
DI SOSTANZE RADIOATTIVE
tromagnetica X o γ era capace di
produrre in un centimetro cubo di
aria circa 2.080.000.000 coppie
di ioni.
La nuova unità di misura
dell’esposizione è il C/Kg.
Si ha:
1 C/Kg = 3876 R
Un’altra grandezza collegata
all’esposizione è l’intensità I di
esposizione; essa si esprime in
C/Kg · h (R/h) ed è l’esposizione
rapportata al tempo.
Nel caso di una sorgente puntiforme, è possibile valutare l’intensità di esposizione I che si ha
nell’ambiente a distanza d da
una sostanza radioattiva avente
attività A. Si ottiene:
K·A
I=
(R/h);
d2
dove, se l’attività è espressa in
Ci, la distanza in m, la costante
specifica gamma K (caratteristica
di ogni radioisotopo) è espressa
in R · m 2 / h · Ci, l’intensità di
esposizione sarà valutata in R/h.
Dose assorbita
La dose assorbita (D) è il quoziente di dE diviso per dm, in cui
dE è l’energia media ceduta dalle radiazioni ionizzanti alla materia in un elemento volumetrico e
dm la massa di materia contenuta in tale elemento volumetrico.
Essa descrive il danno che le
radiazioni provocano alla materia
nell’attraversarla; tale danno dipende, oltre che dalla natura ed
energia della radiazione, anche
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dal tipo di sostanza attraversata.
La dose assorbita si misura in
Gray (1 Gy = 1 J/Kg).
La vecchia unità di misura della dose assorbita è il rad. Si ha:
1 Gy = 100 rad.
Equivalente di dose
L’equivalente di dose (H) è una
grandezza radioprotezionistica
ottenuta moltiplicando la dose
assorbita (D) per il fattore di qualità Q.
Nel caso di esposizione non
omogenea, o di una parte dell’organismo di uno o più organi, si
utilizza l’equivalente di dose effi cace che è la somma degli equivalenti di dose medi nei diversi
organi o tessuti, opportunamente
ponderati. L’equivalente di dose
si riferisce all’esposizione omogenea del corpo intero (esposizione globale).
In radioprotezione viene impiegata anche la dose impegnata,
che è quella ricevuta da un organo o da un tessuto in un determinato periodo di tempo, di regola
cinquant’anni per i lavoratori, in
seguito all’introduzione di uno o
più radionuclidi.
L’equivalente di dose è utilizzato per valutare il danno che le radiazioni provocano all’organismo
umano. Infatti, è stato notato
che, a parità di dose assorbita, si
producono nel corpo umano effetti biologici diversi al variare del
tipo di radiazione assorbita. Per
tenere conto di ciò si è modificata la dose, moltiplicandola per
opportuni coefficienti correttivi,
ottenendo una nuova grandezza
chiamata equivalente di dose
che si misura in Sievert.
ANTINCENDIO novembre 1996
La vecchia unità di misura
dell’equivalente di dose è il rem.
Si ha:
1 Sv = 100 rem.
Si fanno adesso delle precisazioni riguardanti le suddette
grandezze per una migliore comprensione del loro significato e
dei cenni sulla protezione dalle
radiazioni ionizzanti.
Al riguardo, si immagini una situazione, come quella indicata
nella figura 1, in cui vi sia una
sorgente radioattiva ed una persona che si trova ad una determinata distanza da essa.
Potremo, idealmente, dividere
l’ambiente in tre zone: nella prima zona dove c’è solamente la
sorgente radioattiva, nella seconda il mezzo che divide la sorgente dalla persona e nella terza la
persona.
L’effetto che le radiazioni provocano sull’aria è misurato, come già detto, per mezzo di grandezze come l’esposizione o l’intensità di esposizione. Quindi
l’esposizione è una grandezza
che fa capire qual è l’effetto della
radioattività sull’ambiente; si è
scelta l’aria come mezzo di riferimento perché essa è sempre
presente. E’ opportuno notare
che può parlarsi di esposizione
solo per le radiazioni elettromagnetiche (X e γ). Quindi, in presenza di particelle α e β, non si
riferiranno i risultati di misura
C/Kg⋅h (R/h) ma genericamente
in impulsi al secondo (imp/sec)
oppure in Gy/h.
II danno che le radiazioni provocano sulle cose viene valutato
in Gray (rad) per tutte le sostanze (legno, mattoni, aria, ferro),
INTERVENTI IN PRESENZA
DI SOSTANZE RADIOATTIVE
ed in Sievert (rem) per il corpo
umano. Si ricorda che le sonde
in dotazione al C.N.VV.F. misurano, se opportunamente tarate,
l’intensità di esposizione.
Si precisa, comunque, che il
valore letto dagli strumenti (R/h)
coincide numericamente con
quello dei Sv/h (il valore dell’intensità dell’equivalente di dose è
quello che più interessa, in quanto da tale valore dipende l’entità
del danno causato dalle radiazioni all’organismo), poiché è pari
circa ad uno il valore del prodotto dei coefficienti correttivi per
cui bisogna moltiplicare l’esposizione per ottenere il valore
dell’equivalente di dose (prodotto
del fattore di qualità Q unitario
per i raggi gamma e del coefficiente, pari a circa 0,96, che
consente di passare dal valore
dell’esposizione a quello della
dose). (Fig. 1)
La combinazione dell’esposizione esterna e dell’esposizione
interna da luogo all’Esposizione
totale. Per proteggersi dalle radiazioni (visto che esse non sono
percepibili dai nostri sensi) bisogna tenere presente che:
a) nel caso di esposizione esterna le uniche radiazioni pericolose sono quelle gamma; infatti, se si è solamente in presenza di particelle α e β, per proteggersi basta mettersi ad alcuni metri dalla sorgente radioattiva; inoltre, gli indumenti
indossati sono già sufficienti a
proteggere l’operatore;
b) nel caso di esposizione interna, essendo tutti i tipi di radiazione pericolosi, bisogna evitare contatti di qualsiasi genere
con i contaminanti radioattivi e
proteggere bene tutte le parti
del corpo, mediante idonee tute anticontaminazione, e le vie
respiratorie.
L’equivalente di dose assorbita
dal personale di intervento dipende dal tempo di esposizione
e, specie nel caso dell’esposizione esterna, dalla distanza dalla
sorgente radioattiva.
L’elemento più importante per
definire, in aggiunta al tipo di radiazione emessa ed alla relativa
energia, la pericolosità per esposizione interna di un radionuclide, è il processo metabolico che
esso subisce nell’organismo, per
il quale può essere fissato in
qualche organo (organo critico)
e permanervi per tempi anche
l u n g h i . Se un radionuclide non
viene trattenuto dall’organismo e
la sua azione dura soltanto il
tempo di esposizione (es. gas
nobili) generalmente esso presenta un serio pericolo solo per
valori di concentrazione molto
elevata. In caso contrario ha importanza la permanenza del radionuclide nell’organo critico.
Esposizione esterna ed interna
L’esposizione esterna è prodotta da sorgenti radioattive che
si trovano all’esterno del corpo
umano; ad esempio, un uomo si
trova in strada ad una determinata distanza da una sorgente
radioattiva solida.
L’esposizione interna si ha, invece, quando la sostanza radioattiva penetra all’interno del
corpo per ingestione, per inalazione o perché si è depositata
sulla pelle (ad esempio quando
un liquido radioattivo cade addosso ad una persona). Il danno
che subisce l’organismo è diverso nei due casi; infatti una sorgente radioattiva che si trova
all’interno del corpo provoca più
danno di una che è all’esterno.
Aria γ
Sv (rem)
S
Gy (rad)
Bq (Ci)
C/Kg (R)
Fig. 1
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INTERVENTI IN PRESENZA
DI SOSTANZE RADIOATTIVE
Tale tempo dipende dal tempo
di dimezzamento effettivo del radioisotopo nel corpo umano; esso è la combinazione del tempo
di dimezzamento fisico e di quello biologico (tiene conto della capacità di smaltimento dell’organismo). Altri fattori inerenti la valutazione del rischio per esposizione interna sono lo stato di aggregazione del radionuclide, la solubilità, la tensione del vapore nel
caso di liquidi, la diffusione negli
aeriformi; essi determinano le
eventuali concentrazioni in aria e
ovviamente il tempo di permanenza nella zona contaminata.
Si ricorda che, il materiale plastico con cui generalmente sono
realizzate le tute anticontaminazione è in grado di schermare le
particelle alfa e in buona parte anche quelle beta, ma è inefficace
nei confronti delle radiazioni gamma. Pertanto, la tuta anticontaminazione protegge unicamente
l’operatore dall’esposizione interna e scarsamente da quella esterna, specialmente quando si è in
presenza di radiazioni gamma.
Le sostanze radioattive
presenti in commercio
Le sostanze radioattive possono presentarsi in diverse forme a
seconda della loro utilizzazione.
Esse possono essere suddivise
in due grandi categorie al fine di
evidenziare i rischi connessi:
- i radioisotopi, presenti sotto forma di “sorgenti” utilizzabili
nell’industria, nei laboratori di
ricerca, negli ospedali ecc.;
- i materiali radioattivi che si originano negli impianti nucleari.
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Le sorgenti radioattive possono trovarsi sotto forma di “sorgenti sigillate” o di “sorgenti non
s i g i l l a t e ” . Le sorgenti sigillate
vengono definite come: “Sorgenti
formate da materie radioattive
solidamente incorporate in materie solide e di fatto inattive, o sigillate in un involucro inattivo che
presenti una resistenza sufficiente
per evitare, in condizioni normali
di impiego, dispersione di materie
radioattive superiori ai valori stabiliti dalle norme di buona tecnica
applicabili”.
Le sorgenti non sigillate invece
sono definite come: qualsiasi sorgente che non corrisponde alle
caratteristiche o ai requisiti della
sorgente sigillata; pertanto, esse,
in condizioni normali d’impiego,
non consentono di prevenire
eventuali dispersioni di sostanze
radioattive nell’ambiente.
Le sorgenti sigillate possono
contenere radionuclidi che emettono radiazioni molto penetranti
(generalmente solidi incapsulati in
contenitori di acciaio inossidabile
o di platino iridio) o poco penetranti. In questo secondo caso il
contenitore ha una finestra a parete sottile per consentire l’emissione delle radiazioni.
Le sorgenti non sigillate possono presentarsi allo stato solido, liquido o gassoso. (Tabella 1)
La strumentazione
di misura campale
in dotazione al C.N.VV.F.
Le radiazioni nucleari non vengono avvertite dall’uomo; quindi,
una persona può essere soggetta
a campi di radiazione pericolosi
senza notarne la presenza.
ANTINCENDIO novembre 1996
E’, pertanto, necessario adottare strumenti sufficientemente sensibili e capaci di rilevare i vari tipi
di radiazioni alfa, beta e gamma
che siano in grado di determinare
i valori delle grandezze radiometriche al fine di consentire una valutazione delle dosi assorbite e
quindi il rischio associato.
Gli strumenti di misura in dotazione al Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco basano il loro principio di funzionamento sul fenomeno della ionizzazione e su quello
della scintillazione.
Infatti, le radiazioni nucleari sono generalmente rivelate utilizzando gli effetti che esse producono (ionizzazione, scintillazione,
ecc.) nelle sostanze attraversate;
nella ionizzazione si ha la formazione di coppie di ioni, il cui numero dipende dalla quantità delle
radiazioni incidenti. Il comportamento di queste particelle cariche
dopo la formazione, dipende dalle
condizioni che esse trovano
nell’ambiente.
Camere di ionizzazione
La rivelazione delle cariche elettriche originate dalle radiazioni nucleari può essere fatta con una camera a ionizzazione, cioè un involucro riempito di gas contenente
due elettrodi posti a diverso potenziale (in tale caso, il campo elettrico fra gli elettrodi è pressoché costante). In questo modo, gli ioni
prodotti dalla radiazione ionizzante, si spostano verso gli elettrodi di
carica opposta neutralizzando alcune cariche presenti su di essi; si
ottiene così una diminuzione di potenziale, che è il segnale che evidenzia appunto la presenza di radiazioni ionizzanti nell’ambiente.
INTERVENTI IN PRESENZA
DI SOSTANZE RADIOATTIVE
Il C.N.VV.F. ha in dotazione uno
strumento portatile a camera di ionizzazione a lettura diretta, denominato R/54C, atto al controllo ed
alla misura di campi di radiazioni
gamma fino a valori di 0,129 C/Kg
· h (500 R/h) su quattro scale lineari a commutazione manuale.
Tutte le manovre sono concentrate su di un unico commutatore
posto sul pannello che consente
l’accensione, i controlli e le misure.
Lo strumento R/54C è provvisto
di una scala ruotante azionata
dallo stesso commutatore, sulla
quale sono riportate tutte le indicazioni necessarie per la lettura
dell’indicatore.
Scopo
Contatori Geiger - Muller
Questi rivelatori basano
anch’essi il loro principio di funzionamento sull’effetto della ionizzazione.
Essi sono composti da un tubo
metallico cilindrico (condensatore a geometria cilindrica in cui il
campo elettrico cresce procedendo verso l’anodo fino a raggiungere in prossimità di esso valori
molto elevati) riempito di gas, attraversato da un filo conduttore.
Fra il tubo e il filo conduttore
(anodo) è applicata una differenza di potenziale; quando le radiazioni attraversano il tubo, alcuni
PRINCIPALI IMPIEGHI DELLE SOSTANZE RADIOATTIVE
Dispositivo
Attività di utilizzo
Protezione di ambienti
1) Rivelatori
di fumo a camera di ionizzazione.
2) Parafulmini radioattivi.
3) Ionizzazione di atmosfere (contro
pericolo di scoppio per scariche
elettrostatiche).
Controllo di qualità
1) Radiografia, gammagrafia,
radioscopia, cristallografia.
2) Calibrazione dei laminati.
3) Verifica di spessori.
Controllo di processo
e protezione
Sterilizzazione e/o
per lunga conservazione
atomi del gas in esso contenuto
subiscono ionizzazione.
Anche qui gli ioni prodotti migrano verso gli elettrodi di carica
opposta, ma gli elettroni vengono
attratti dall’anodo con velocità elevatissime, a causa del crescente
intenso valore del campo elettrico
cui vanno incontro, tanto da essere in grado di produrre a loro volta
altre ionizzazioni.
In altre parole, la ionizzazione
iniziale si propaga ad un gran numero di atomi, per cui una valanga di elettroni colpisce il filo centrale provocando un intenso impulso elettrico (ampiezza di circa
1 V).
a) Magazzini di deposito merce (specie se grandi, se
meccanizzati, o di merce pregiata), centri di elaborazione dati. Am241 .
b) Depositi di sostanze infiammabili ,
edifici industriali . Am241 , Ra226.
c) Ambienti con polveri combustibili
in sospensione, gas o vapori infiammabili. Am241
a) Metalmeccanica.
Ir192, Co60, Cs137
b) Cartaria, tessile, dei laminati plastici,
metalmeccanica. Sr90, K85.
1) Misuratori di livello e/o di troppo pieno.
a) Chimica, farmaceutica di base
Co60, Cs137, Ir192.
1) Irradiatori di elevata attività.
a) Farmaceutica, alimentare, ortomercati
generali Co60, Cs 137.
Localizzazione di guasti in condotte
Tabella 1
a) Metanodotti, oleodotti/Ir192,
Co60, Cs137.
Impianti nucleari indicati nel Capo VII del D. L.vo 17/03/95 n° 230.
ANTINCENDIO novembre 1996
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INTERVENTI IN PRESENZA
DI SOSTANZE RADIOATTIVE
Per tale motivo i contatori
Geiger - Muller risultano più sensibili delle camere a ionizzazione
(ampiezza di qualche mV).
I contatori Geiger - Muller vengono impiegati per misure di attività delle particelle β e per misure di intensità di esposizione; in
particolare, quelli in dotazione al
C.N.VV.F., hanno una finestra di
mica molto sottile (circa 2
m g / c m2 di spessore fisico) per
consentire una agevole rilevazione delle radiazioni β.
Infine, i contatori Geiger - Muller
sono poco adatti alla rivelazione
delle particelle α, mentre hanno
una efficienza elevata per le particelle β (circa 97 - 99%) e bassa
per i raggi γ (al massimo 1 o 2%).
Il C.N.VV.F. ha in dotazione diverse sonde di tipo Geiger - Muller.
Esse sono denominate: GF 122
B, GF 129, GF 132 e GF 145.
Contatori a scintillazione
Tali strumenti basano il loro
principio di funzionamento su un
fenomeno, caratteristico dei cristalli fluorescenti NaI (Tl), ZnS
(Ag), nei quali a seguito di un assorbimento di energia si ha
l’emissione di un impulso di luce.
Se tale luce colpisce un fotocatodo (di solito antimoniuro di
Cesio SbCs 3 ), esso emette un
numero di elettroni proporzionale
alla quantità di luce incidente che
viene inviata alla finestra d’ingresso di un fotomoltiplicatore; in
questo modo, si produce una
corrente elettrica che da luogo
ad una differenza di potenziale,
che è appunto il segnale dal quale si può evidenziare la presenza
di radiazioni ionizzanti nell’ambiente.
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I contatori a scintillazione in
dotazione al Corpo Nazionale dei
Vigili del Fuoco sono adatti alla
rivelazione dei raggi γ e delle
particelle α. Essi sono denominati rispettivamente F118 Bγ e
F118 Bα.
I contatori a scintillazione, per
quanto concerne la rivelazione
delle radiazioni gamma, sono
molto più sensibili dei contatori
Geiger - Muller, in quanto la probabilità di interazioni dei raggi
gamma con le sostanze cresce
all’aumentare del numero atomico (nel caso dei contatori Geiger
- Muller l’elemento rivelatore è un
gas, mentre nei contatori a scintillazione è una sostanza solida).
Ad esempio, una sonda GF 145
ha una sensibilità alle radiazioni
gamma di 10 imp/s per ogni
mR/h, mentre tale valore è di circa
2000 imp/s per la sonda F118 Bγ.
La strumentazione fin qui descritta è in dotazione a tutti i Comandi Provinciali dei Vigili del
Fuoco. Inoltre, tutti i Comandi
Provinciali hanno una catena di
misura che consente di effettuare,
come meglio si dirà nel seguito,
misure di attività beta totale in
aria di radionuclidi attraverso
l’aspirazione di quantità note,
mentre presso alcuni Comandi
sono anche disponibili analizzatori multicanale per l’effettuazione di
misure spettrometriche gamma. A
livello interregionale, il C.N.VV.F.
dispone di sei laboratori mobili di
rilevamento della radioattività, dislocati nell’ambito di Gruppi Operativi Speciali (G.O.S.).
Tali laboratori sono equipaggiati con apparecchiature di misura più sofisticate di quelle in
dotazione ai Comandi Provinciali
e, pertanto, consentono un conANTINCENDIO novembre 1996
trollo più dettagliato in caso di incidenti con presenza di sostanze
radioattive.
Essi sono allestiti su automezzi, idonei anche per percorrenze
fuori strada e capaci di autonomia operativa di alcune ore in
zone altamente contaminate da
polveri e gas radioattivi, in
quanto risultano protetti in modo
da garantire ai Vigili del Fuoco
di operare in ampi limiti di sicurezza.
In particolare, con l’ausilio dei
laboratori mobili di rilevamento
della radioattività si può:
- delimitare una zona soggetta
ad irraggiamento gamma;
- prelevare campioni d’aria, con
o senza la fuoriuscita dell’operatore dall’automezzo, per determinarne l’entità della contaminazione mediante misure di
attività;
- prelevare campioni (acqua,
suolo, verdure, etc.) mediante
fuoriuscita di operatori opportunamente protetti;
- individuare, attraverso analisi
spettrometriche alfa e gamma,
la natura dei radionuclidi presenti in varie matrici della zona
contaminata e misurarne l’attività e la concentrazione.
A livello nazionale i Vigili del
Fuoco gestiscono la rete nazionale di rilevamento della radioattività
dovuta al “fall out” conseguente
ad incidenti nucleari di grande rilevanza.
Essa è costituita da radiametri
ad installazione fissa, denominati
XR 29 C, distribuiti con maglie di
15-20 Km di lato su tutto il territorio nazionale, che permettono il
controllo della radioattività in ca-
INTERVENTI IN PRESENZA
DI SOSTANZE RADIOATTIVE
so di eventi bellici o di catastrofici incidenti nucleari. Tali strumenti, sono costituiti da un contatore
Geiger - Muller che copre un
campo di misura dell’intensità di
dose assorbita che si estende su
nove decadi da 0.01 µGy/h a
9.99 Gy/h.
Tale rete ha, fra gli altri, lo scopo di rilevare la radioattività depositata al suolo ed in aria, in
modo da consentire il tracciamento delle curve di isointensità
della dose assorbita in aria, e fornire così informazioni sul grado di
contaminazione ambientale.
Infine, presso i locali del Laboratorio di Difesa Atomica del
Centro Studi ed Esperienze, è
presente una camera calda dove
vengono effettuate le operazioni
di collaudo, nonché le tarature
periodiche, degli strumenti precedentemente elencati; a tale scopo, vengono utilizzate sorgenti
radioattive campioni di Co 6 0 ,
Cs137 ed una macchina radiogena per dosimetria metrologica.
Si fanno adesso alcune considerazioni sull’utilizzo della strumentazione di misura portatile.
Utilizzo della strumentazione
Le sonde per poter funzionare
devono essere collegate ai radiametri; il C.N.VV.F. dispone attualmente di tre tipi di radiametri, di
cui i primi due sono a lettura
analogica. Essi sono rispettivamente: RA 143, RA 141 B/F e
RA 141 C.
I radiametri hanno unicamente
lo scopo di conteggiare i segnali
elettrici provenienti dalle sonde
ad esse collegate; pertanto, in
funzione del particolare tipo di
radiazione che si vuole rilevare,
bisogna scegliere una sonda
appropriata indipendentemente
dal tipo di radiametro che ad essi
si collega.
Le sonde hanno differenti sensibilità di rivelare le radiazioni
gamma a seconda del loro principio di funzionamento. In ordine
di sensibilità crescente, si hanno
prima le camere di ionizzazione,
poi i contatori Geiger - Muller ed,
infine, le sonde a scintillazione
che sono quindi le più sensibili.
Pertanto, se occorre ricercare
una sorgente radioattiva gamma
emettitrice, si utilizzerà per prima
la sonda F 118 B γ; successivamente, non appena il numero degli imp/s rilevato è tale da portare
l’indice del radiametro, ad esempio RA 141 B/F, a fondo scala
(10000 imp/sec vengono conteggiati per valori dell’intensità di
esposizione di circa 1⋅1 0 - 6
C / K g⋅h, ovvero circa 4 mR/h),
per poter seguire l’andamento
dei valori del campo di radiazioni, occorrerà cambiare tipo di
sonda e passare ad una meno
sensibile, ovvero di tipo Geiger Muller, ad esempio la GF 145.
Nel caso, che il livello delle radiazioni fosse molto elevato e
capace di mandare a fondo scala
l’indice del radiametro anche con
questo tipo di sonda (tale valore
è di 2,58⋅10-4 C/kg⋅h, cioè 1 R/h,
corrispondente a 10000 imp/sec
con sonda GF 145 collegata),
per poter effettuare la misura bisogna ricorrere ad uno strumento ancora meno sensibile, quindi
ad una camera di ionizzazione,
come il radiametro campale R54
C che è in grado di misurare valori dell’intensità di esposizione
fino a 1,29⋅10-4 C/Kg⋅h (500R/h).
Una delle cautele da seguirsi
ANTINCENDIO novembre 1996
in interventi in cui vi sia la presenza di sostanze radioattive, ad
esempio nel caso di una ricerca
di sostanze di cui non si conosce
il valore dell’attività, è quella di
iniziare la ricerca posizionando il
commutatore del radiametro sulla scala più bassa.
Tale procedura permette di evidenziare istantaneamente la presenza di radiazioni.
Successivamente, occorre, subito commutare lo strumento sulla scala più alta in modo da verificare la pericolosità del livello di
radiazione presente, perché ne fa
subito conoscere il valore massimo. Inoltre, questa accortezza
evita inutili allarmismi, perché se
si lasciasse il commutatore su
una scala di lettura bassa, l’indice del radiametro potrebbe andare a fondo scala anche per un
basso valore dell’intensità di
esposizione.
Vediamo adesso quali sonde bisogna utilizzare in funzione del tipo di radiazione da rilevare. Nel
caso delle particelle α esse possono essere individuate solo dalla sonda a scintillazione F118 Bα.
Le particelle β si possono rilevare con tutte le sonde di tipo
Geiger - Muller, avendo però
l’accortezza di togliere il cappuccio metallico posto davanti alla finestra di mica, in quanto esso le
schermerebbe.
Le radiazioni gamma, possono
essere rilevate da tutte le sonde
in dotazione ad eccezione della
F118 Bα.
Qualora si volesse fare una misura della intensità di esposizione,
occorre notare che non tutte le
sonde in dotazione al C.N.VV.F.
sono tarate, nel senso che ad un
determinato numero di imp/s cor19
INTERVENTI IN PRESENZA
DI SOSTANZE RADIOATTIVE
risponde un preciso valore
dell’intensità di esposizione.
Pertanto, per effettuare una misura dell’intensità di esposizione
è necessario collegare al radiametro una delle seguenti sonde:
GF 122 B a finestra di mica chiusa, GF 145 col commutatore in
posizione gamma e finestra di
mica chiusa.
Le altre sonde in dotazione
possono essere utilizzate come
strumenti di ricerca, poiché forniscono solamente un valore del
numero di imp/s a cui non è possibile far corrispondere con esattezza un determinato valore
dell’intensità di esposizione.
Le sonde non tarate sono: F
118 Bγ, F118 Bα, GF 132, GM
120, e GF 145 con finestra di mica aperta e commutatore in posizione β; il livello di radiazioni da
esse rilevato può essere espresso solamente, in modo qualitativo, dal valore degli imp/s conteggiati dal radiametro.
Con un sistema di misura campale composto da un radiametro
RA 143 collegato ad una sonda
GF 145, se si mantiene la finestra di mica chiusa ed il commutatore della stessa in posizione di
lettura gamma, si possono effettuare misure di intensità di esposizione fino al valore di 64,5
µC/Kg⋅h (250 mR/h).
Invece, con un radiametro RA
141 B/F collegato ad una sonda
GF 145, mantenendo la finestra
di mica chiusa e il commutatore
della stessa in posizione gamma,
si possono effettuare misure di
intensità di esposizione fino al
valore di 0,258 mC/Kg⋅h (1 R/h).
Dopo queste necessarie premesse, si tratta adesso l’argomento riguardante gli interventi
20
in presenza di sostanze radioattive. Esso è stato suddiviso in diverse sezioni.
Incidenti durante il trasporto
di sostanze radioattive
Le sostanze radioattive vengono trasportate in contenitori a
bordo di vettori autorizzati.
La resistenza al fuoco di questi
contenitori è variabile per cui la
protezione da essi assicurata dipende dal tipo di materiale con il
quale vengono realizzati.
Si possono considerare due
categorie di contenitori di protezione:
a) contenitori solidali con il radioelemento, ed utilizzati con
esso. Questa categoria comprende le sorgenti sigillate.
b) contenitori non solidali con il
radioelemento, che servono da
imballaggio per il trasporto, per
lo stoccaggio o per la protezione. A questa categoria appartengono, ad esempio, i contenitori di piombo, i bidoni, i fusti,
i contenitori di vetro trasportanti sorgenti liquide utilizzate per
analisi cliniche di tipo radioimmunologico.
Durante il trasporto può verificarsi, a seguito di incidente, o la
rottura dei contenitori di protezione con versamento della sostanza radioattiva su superfici (con
possibile rilascio nell’aria a seguito dell’evaporazione), o l’incendio dei predetti contenitori.
Quindi, la liberazione di radioelementi dai relativi contenitori
può comportare a seconda dei
casi: la contaminazione di superANTINCENDIO novembre 1996
fici, pavimenti, terreno o la contaminazione dell’aria.
a) contaminazione delle superfici
e del pavimento. Questo tipo di
contaminazione può essere
provocata da:
1) versamento o proiezione di liquidi radioattivi;
2) dispersione di materie radioattive solide sotto forma di polveri, pastiglie, ecc.
Occorre prendere ogni precauzione utile per evitare l’estensione della contaminazione, per cui
i differenti mezzi da usare sono:
- nel primo caso prodotti assorbenti (terra, sabbia, polvere,
ecc.)
- nel secondo caso, salvo norme
particolari, umidificare leggermente per mezzo di acqua nebulizzata onde evitare la risospensione in aria della sostanza radioattiva
Particolare cura deve essere
attuata in tale circostanza per
evitare inutili spargimenti di acqua che potrebbero allargare la
zona contaminata; inoltre, le zone contaminate dovranno essere
delimitate e segnalate per impedirne l’accesso incontrollato.
b) contaminazione dell’aria
(esterna).
Essa può essere provocata da
radioelementi sotto forma di polveri, aerosol, vapori e gas ecc.;
l’estensione della zona contaminata è legata alle condizioni meteorologiche ed è, ovviamente,
difficilmente controllabile.
Quando si verifica una diffusio-
INTERVENTI IN PRESENZA
DI SOSTANZE RADIOATTIVE
ne della sostanza radioattiva dal
suo contenitore all’ambiente
esterno insorgono pericoli di inalazione, ingestione o di assorbimento, con conseguente possibilità di esposizione interna.
E’ necessario, quindi, proteggere gli operatori isolandoli
dall’ambiente a mezzo di tute anticontaminazione e di idonei
mezzi di protezione delle vie di
respirazione.
In caso d’incendio, a seconda
dell’imballaggio o del contenitore
coinvolto, si potrà decidere circa
l’urgenza e il tipo di misure da
prendere in relazione al tipo di
incidente, poiché la natura e l’importanza di dette misure dipendono dalle caratteristiche o dai
materiali radioattivi coinvolti.
Se l’incendio minaccia, direttamente o indirettamente, i contenitori può verificarsi, come già
detto, la rottura delle protezioni
delle sorgenti o dei materiali radioattivi; i danni in tal caso, per i
soccorritori presenti sul luogo o
per le persone che si trovano
nelle vicinanze, possono essere
più gravi (gli operatori sono contemporaneamente soggetti ad
esposizione interna ed esterna)
di quelli che sono provocati da
un incendio di tipo “classico”.
Per questa ragione, il responsabile della squadra di intervento
dovrà assicurare la protezione dei
materiali radioattivi minacciati oltre ad osservare le normali regole
antincendio; inoltre, l’intervento
dovrà essere attuato dal minor
numero possibile di persone.
In questo incidente è importante, per valutare la pericolosità
della situazione, effettuare al più
presto negli ambienti circostanti il
luogo dell’incidente, misure di
concentrazione in aria dei radionuclidi.
Intervento con presenza
di una sorgente radioattiva
esposta
Vediamo adesso quale comportamento occorre tenere quando si debba effettuare un intervento in cui sia presente una sorgente radioattiva solida esposta.
In tale caso, che più frequentemente si presenta negli interventi, si ha esposizione esterna dovuta, nella quasi totalità delle situazioni, a sorgenti radioattive
gamma emettitrici. In questa circostanza, per proteggersi non è
s u fficiente mettersi a qualche
metro di distanza, come per le
particelle α e β, ma è opportuno
attenuare, quando possibile, l’intensità di esposizione che raggiunge gli operatori interponendo, tra essi e la sorgente radioattiva, uno schermo protettivo.
Si sottolinea che, in tale incidente l’uso della tuta anticontaminazione è assolutamente inefficace.
Questi interventi possono verificarsi, ad esempio, a seguito di
un incidente stradale in cui sia
coinvolto un automezzo adibito
al trasporto di sostanze radioattive, nella caduta di un parafulmine radioattivo dal proprio sostegno, quando una sorgente radioattiva utilizzata per gammagrafie non rientra dopo l’esposizione nel proprio contenitore,
ecc.
La prima azione da fare è assumere il maggior numero di dati
sulla sorgente radioattiva. In particolare, occorre conoscere l’attività della sorgente radioattiva e
ANTINCENDIO novembre 1996
lo stato fisico (solido, liquido, aeriforme), al fine di decidere l’utilizzo delle tute anticontaminazione; nella maggior parte dei casi,
non è fondamentale conoscere il
tipo di sostanza radioattiva
(eventualmente, per sapere il tipo di radiazioni che emette) poiché, purtroppo, nella maggior
parte dei casi le sostanze coinvolte emettono radiazioni gamma.
Assunte le informazione necessarie, occorre tempestivamente delimitare una zona circostante la sorgente, al cui margine
l’intensità di esposizione sia pari
a valori che non comportino pericolo per la popolazione.
Ciò si può fare in due modi: o
servendosi della formula teorica,
nel caso sia nota l’attività della
sorgente, o facendo delle misure
di intensità di esposizione con
una sonda tarata. Nel primo caso
si può valutare la distanza d alla
quale, ad esempio, si ha probabilmente un’intensità di esposizione pari a 6,45 ⋅1 0- 7 C / K g⋅ h
(2,5 mR/h), utilizzando la formula
già citata:
d = (k⋅A/I)1/2;
nella quale si pone:
I = 6,45⋅10-7 C/Kg⋅h (2,5 mR/h).
Esempio:
se si è in presenza di una sorgente solida sigillata di Cs 1 3 7
avente attività di 1,85 TBq (50
Ci), a quale distanza bisognerebbe porre la delimitazione se al
margine si vuole una intensità di
esposizione di 2,5 mR/h?
Servendoci della formula predetta e sapendo che la costante
21
INTERVENTI IN PRESENZA
DI SOSTANZE RADIOATTIVE
gamma specifica k (vedi tabella
2) del Cs 137 è pari a 0,323
[ R⋅m 2 / ( h⋅Ci)] ed imponendo un
valore di intensità di esposizione
pari ad 2,5 mR/h, avremo:
d = (0,323⋅50/0,0025)1/2
= 80,4 m;
Con maggiore precisione, si
può valutare la zona di rispetto
anche effettuando una misura di
intensità di esposizione, con un
radiametro RA 141 C collegato
ad una sonda GF 145 ed individuando i punti nei quali si registrano 25 imp/s.
Tale metodo può però diventare lento in presenza di sorgenti
radioattive aventi elevata attività;
in tal caso conviene effettuare la
delimitazione della zona di intervento avvalendosi della formula
predetta.
Effettuata la delimitazione, se
la situazione è tale da non creare
un imminente pericolo per le persone, si può programmare l’intervento di recupero, oppure sorvegliare la zona in attesa dell’arrivo
della U.S.L. o dell’esperto qualificato, appositamente convocati, i
quali provvederanno eventualmente al recupero della sorgente
radioattiva ed al suo deposito in
luogo sicuro.
Vediamo adesso come bisogna comportarsi quando è necessario ricercare una sostanza
radioattiva. Nella fase iniziale si
utilizzerà una sonda molto sensibile alle radiazioni gamma; questa è la sonda a scintillazione F
118 B γ, la quale, accoppiata ad
un radiametro RA 141 B/F fornisce, se esposta al fondo naturale
di radiazioni, un numero di imp/s,
variabile da località a località, da
22
30 a 150 imp/s.
Se durante la ricerca si registra
un aumento del numero di imp/s,
significa che ci si sta avvicinando
alla sorgente radioattiva.
Adesso è necessario continuare l’intervento anche con
una sonda tarata in modo da
poter valutare istante per istante, l’intensità di esposizione e
rendersi così conto della pericolosità della situazione.
Ci sono varie tecniche che
possono adottarsi nel caso di
una ricerca. Ad esempio, si potrebbe procedere nel seguente
modo: all’inizio si va in una direzione qualsiasi e si vede se il
numero di imp/s aumenta o diminuisce. Un aumento significa
che ci si sta dirigendo verso la
parte giusta; se ad un certo
istante si nota una diminuzione
degli imp/s rilevati allora bisogna ritornare indietro, rifacendo
lo stesso percorso, fermandosi
nel luogo dove era iniziata la diminuzione. Da tale punto ci si
muoverà lungo una direzione
diversa dalla precedente e sempre nel verso che conduce ad
un aumento degli imp/s registrati.
Alla fine, per successive approssimazioni, si individuerà
l’esatta posizione della sorgente radioattiva.
Nel caso in cui vi sia un immediato pericolo per la salute
delle persone o sia necessaria
una rapida rimozione della sorgente in relazione all’ambiente
in cui ci si trova (autostrada,
ferrovia, ecc.), occorrerebbe recuperare tempestivamente la
sorgente agendo in modo che il
personale di intervento non assorba eccessivi valori dell’equiANTINCENDIO novembre 1996
valente di dose.
Qualora si abbia fondato motivo di ritenere che i valori
dell’equivalente di dose cui può
andare incontro il personale di
intervento possano essere particolarmente elevati, dovranno
attuarsi le procedure relative
all’esposizione eccezionale
concordata di cui si dirà nel seguito.
In ogni caso, è opportuno che
l’intervento venga attuato in
modo che l’equivalente di dose
totale assorbita sia ugualmente
ripartito fra tutto il personale
presente.
Si noti, comunque, che i
V V. F., tranne casi eccezionali
(ad esempio, su incarico
dell’Autorità Giudiziaria) non
possono trasportare o tenere in
deposito una sorgente radioattiva, per cui l’intervento deve essere finalizzato ad eliminare il
pericolo imminente. Generalmente, dopo averne effettuato il
recupero, si potrà collocare la
sorgente radioattiva dentro uno
schermo di piombo posto in ambiente sorvegliato, in attesa di
un suo definitivo recupero da
parte di personale qualificato.
Si ritiene opportuno ricordare
che, in caso d’incendio che
coinvolge la sostanza radioattiva (solida, liquida o gassosa),
essa cambierà il suo stato fisico
iniziale, tramite processi, a seconda dei casi, di fusione, ebollizione, sublimazione con formazione di prodotti di combustione (corrispondenti alle caratteristiche chimiche del corpo)
che si presentano sotto forma
di ceneri, polveri, aerosol, vapori o gas; inoltre, l’incendio, comunque, non farà variare l’atti-
INTERVENTI IN PRESENZA
DI SOSTANZE RADIOATTIVE
vità della sostanza radioattiva.
Quindi, in caso d’incendio, ne
consegue un innalzamento del
rischio radiologico, non essendo nel frattempo mutate le caratteristiche radioattive delle sostanze, poiché si passerà per
l’operatore da una situazione
iniziale di sola esposizione
esterna ad una finale di esposizione interna ed esterna.
In tale situazione è importante
e ffettuare tempestivamente, ai
fini della valutazione della pericolosità
dell’incidente
e
dell’equivalente di dose eventualmente assorbita dagli operatori, la misura della concentrazione in aria dell’attività beta
totale (tramite la “catena beta“,
di cui si dirà nel seguito) e quella dell’attività gamma dei vari
radionuclidi (tramite una spettrometria gamma).
Pertanto, dovranno essere al
più presto prelevati campioni di
aria ambiente, sia nel luogo
dell’incidente, sia nei luoghi circostanti, al fine di poter seguire
il movimento della nube radioattiva ed intraprendere in tempo
eventuali provvedimenti a tutela
dell’incolumità pubblica.
Contemporaneamente, in via
subordinata, dovranno anche
essere eseguite misure dell’intensità di esposizione, soprattutto nel luogo dell’incidente;
successivamente, saranno effettuate misure di contaminazione delle superfici coinvolte.
Nel caso che nell’incendio
siano coinvolte sostanze emittenti particelle alfa (è un caso
non frequente), le misure, sia
su campioni di aria prelevati,
sia su superfici, saranno condotte con la sonda F 118 Bα po-
nendola quasi a contatto con il
campione da misurare.
Qualora durante un intervento
in presenza di una sorgente radioattiva gamma emittente allo
stato solido, si ha la possibilità
di utilizzare uno schermo protettivo, l’equivalente di dose assorbita per l’operatore è ovviamente
minore.
L’ e fficacia dello schermo dipende dal suo spessore, dal
materiale con cui è costituito e
dall’energia dei raggi gamma
emessi dalla sostanza radioattiva che produce l’irraggiamento.
Per esempio, uno schermo di
ferro dello spessore di 1,8 centimetri è in grado di dimezzare
l’intensità di esposizione prodotta nell’ambiente da una sorgente di Co 60.
Per ottenere lo stesso effetto
con uno schermo di calcestruzzo
occorrerebbe invece uno spessore di 5,4 centimetri; infatti, gli
schermi costruiti con materiali
più pesanti sono maggiormente
efficaci. Si definisce spessore di
dimezzamento di uno schermo
protettivo, quello capace di dimezzare l’intensità di esposizione incidente su esso.
Nella tabella 2 sono indicati
per alcuni materiali, a titolo
esemplificativo, i valori in centimetri dello spessore di dimezzamento.
Incidenti che provocano
l’immissione
di sostanze radioattive
nell’atmosfera
Quando nel corso di un intervento si produce una contaminazione dell’aria, in aggiunta alANTINCENDIO novembre 1996
la misura dell’intensità di esposizione, acquista particolare importanza la misura della concentrazione in aria del radionuclide; infatti, com’è noto, potrebbero aversi significativi valori di
dose da esposizione interna per
la popolazione e per il personale che interviene.
In tale eventualità, è necessario procedere al prelievo di campioni di aria in più punti dell’ambiente.
Sui filtri contaminati prelevati
verrà eseguita, sia la misura
dell’attività beta totale dei radionuclidi beta emettitori (con l’ausilio della catena beta), sia
un’analisi spettrometrica gamma
(con un analizzatore multicanale) per determinare il valore
dell’attività dei campioni tramite
una misura gamma. Si coglie
l’occasione per fare alcune considerazioni al riguardo.
Il controllo ambientale della
contaminazione radioattiva è
fondato sulla possibilità di rilevare variazioni anormali del fondo naturale di radiazioni e, successivamente, nell’identificare la
sorgente che ne è la causa.
Se si ha un rilascio di sostanze radioattive nell’ambiente, una
delle prime azioni da effettuare,
come già detto, è quella di realizzare dei rilevamenti atti a determinare l’aumento dei livelli di
radioattività nei luoghi circostanti, attraverso misure di concentrazione in aria di determinati
radionuclidi.
Sono, inoltre, necessarie misure di intensità di esposizione
ed altre per identificare la natura
e determinare la quantità dei
radionuclidi eventualmente riscontrati.
27
INTERVENTI IN PRESENZA
DI SOSTANZE RADIOATTIVE
Pertanto, nella prima fase
dell’incidente le valutazioni saranno eseguite in aria e sulle
verdure, riservandosi di misurare altre matrici (latte, acqua, terreno, etc.) in seguito; ad esempio, il latte entrerà nella catena
alimentare mediamente dopo
quattro giorni dalla contaminazione, mentre la verdura potrebbe essere consumata dalla popolazione subito dopo la contaminazione.
A seconda dei casi possono
eseguirsi misure di attività alfa
totale, beta totale e/o analisi
spettrometrica alfa o analisi
spettrometrica gamma.
Ad esempio, il radionuclide
che più interessa la radioprotezione, nel caso di incidente ad
un impianto nucleare che comporti l’immissione nell’ambiente
di isotopi radioattivi, è lo I131; le
misure di protezione per la popolazione dipendono, infatti, dalla
quantità di I131 fuoriuscita.
Attraverso misure di spettro-
metria gamma, si riesce a determinare con esattezza l’attività di
I 131 presente nell’ambiente, in
modo da poter intraprendere
tempestivi interventi che riducano il rischio da inalazione o di ingestione, principalmente di verdure, per la popolazione (come
si è già detto, per il latte si ha più
tempo a disposizione per intervenire con idonei provvedimenti).
E’ però necessario, considerata l’elevata pericolosità di tale
radioisotopo nei confronti dell’organismo umano, che la misura
dello I 131 sia la più rapida possibile; infatti, ad esempio, una
concentrazione in aria di I 131 di
115 nCi/m 3 (4,2 KBq/m 3 ) già
comporta per un bambino un
elevato valore dell’intensità
dell’equivalente di dose all’organo critico (tiroide) di 1 mSv/h
(0,1 rem/h).
E’ proprio a tale scopo che è
stato in precedenza indicato,
che una prima misura, indicativa
dello stato di contaminazione,
Tabella 2
VALORI APPROSSIMATI DELLO SPESSORE DI DIMEZZAMENTO (cm)
Materiale
schermante
Piombo
Ferro
Calcestruzzo
Legno
Acqua
Muratura di mattoni
Terra
28
Radiazioni gamma emesse da:
Co60
Cs137
I131
Ra226
1,1
1,8
5,4
18
12,5
6,2
8,3
0,86
1,5
4,6
16
11
5,8
7,7
0,4
1,1
3,15
10,3
7,25
3,6
4,6
1,4
2,3
7,1
23,5
16,5
8,2
10,9
ANTINCENDIO novembre 1996
consiste appunto nel valutare la
concentrazione dello I 131 quando
è ancora diffuso in aria.
Il sistema attualmente utilizzato dal Corpo Nazionale dei Vigili
del Fuoco per effettuare la misurazione di campioni per misure
di concentrazione in aria di I 131 è
quello di prelevare lo Iodio su un
filtro di carbone attivo (casa costruttrice Schleicher & Schuell
modello SS 508), di diametro di
55 mm, mediante l’aspirazione
di una determinata quantità di
aria (almeno pari ad 1 m 3).
Il flusso di aria aspirata passa
prima attraverso un prefiltro di
carta (casa costruttrice Schleicher & Schuell modello SS
5 8 9 2), ove vengono depositate
le particelle in sospensione presenti in essa, e poi in un filtro in
carbone attivo dove si fissa lo
I 1 3 1 ; è prudente assumere per
tale filtro un rendimento di raccolta dello Iodio pari a n = 0,8.
Su tale filtro aspirato, possono
essere condotte misure di particelle beta e/o di raggi gamma.
Il sistema utilizzato per la misurazione dell’attività delle particelle beta che è in dotazione ai
Comandi VV.F. è chiamato “catena beta “.
Esso comprende:
- una unità volumetrica modello
PC 9 (tale sistema è composto
da un aspiratore ed unità volumetrica; esso è in grado di
aspirare per almeno 50 minuti
una portata media di aria di circa 90 l/min);
- una sonda Geiger - Muller modello GF 145 (in tale tipo di misura la sonda viene utilizzata
con il commutatore in posizio-
INTERVENTI IN PRESENZA
DI SOSTANZE RADIOATTIVE
ne beta);
- un radiametro modello RA 141 C;
- un pozzetto di piombo modello
KS 101 B.
Per poter misurare il valore
della concentrazione in aria di
I131, occorre preventivamente conoscere l’efficienza εβ di conteggio alle particelle beta della sonda nelle condizioni di impiego
nella catena di misura; al riguardo, il valore di εβ dipende dai seguenti fattori:
- predisposizione della catena
elettronica di conteggio del sistema di misura;
- uniformità di contaminante sulla
superficie del filtro;
- geometria di misura;
- superficie del filtro effettivamente investita dal flusso di aria
aspirato.
Tali parametri influenzano il valori di εβ la cui espressione è:
εβ =
[(c.p.s.)s - (c.p.s.)f]
(c.p.s./Bq);
A
dove (c.p.s.) s rappresenta il
valore medio dei conteggi per
secondo ottenuto con un sorgente radioattiva campione, di attività nota, depositata su un filtro
posto all’interno del pozzetto di
piombo, (c.p.s.)f è il valore medio
dei conteggi per secondo del
fondo naturale di radiazioni all’interno del pozzetto di piombo, ed
A è l’attività della sorgente radioattiva campione.
Si reputa utile rappresentare
che, da esperienze condotte
presso il Laboratorio di Difesa
Atomica si è accertato che εβ assume valori variabili da 0,07 a
0,08 con sorgenti radioattive
campioni emittenti particelle beta
aventi energia massima di circa
500 - 600 KeV.
Quindi, nei calcoli può cautelativamente assumersi per il sistema di misura “catena beta” precedentemente descritto:
εβ = 0,070.
Si precisa che, qualora nella
catena beta si sostituisse la sonda GF 145 con la sonda GF 132
il valore da assumere nei calcoli
è εβ = 0,05.
Non appena conosciuto il valore di εβ, il valore della concentrazione C in aria di I131, può valutarsi approssimativamente con la
formula:
C=
[(c.p.s.)x - (c.p.s.)f ]
(Bq/m3);
εβ ⋅ n ⋅ Vasp.
dove, (c.p.s.)x è il valore medio
dei conteggi per secondo del
campione aspirato in zone contaminate, V asp. è il volume di aria
di misura aspirato, espresso in
m3, (c.p.s.)f, rappresenta la media dei valori dei conteggi per secondo dovuti al fondo naturale di
radiazioni, riscontrati in precedenza nell’ambiente a seguito di
numerose misurazioni eseguite
su filtri aspirati in diverse ore della giornata e con condizione di
tempo variabili.
Dalle campagne di misure condotte negli ultimi anni dal
ANTINCENDIO novembre 1996
C.N.VV.F., è risultato mediamente sul territorio nazionale un valore (c.p.s.)f, del fondo naturale di
radiazioni di circa 0,2 c.p.s.
Pertanto, se si suppone che:
- la minima attività rilevabile dal
sistema di misura corrisponda
cautelativamente ad un conteggio almeno doppio di quello
dovuto al fondo naturale di radiazioni;
- si abbia a che fare con radioisotopi che emettano particelle
beta di energia massima pari a
circa 500 - 600 KeV, come lo
I131 ed il Cs137;
- la quantità di aria aspirata sia
pari a 4 m3 (il tempo necessario per aspirare tale quantitativi
di aria è di circa 45 minuti).
Nelle predette condizioni, la
catena beta ha, in prima approssimazione, una sensibilità di misura pari a:
0,2
C=
0,07 ⋅ 0,8 ⋅ 4
= 0,9 Bq/m3;
E’ il caso di osservare che, nel
caso dello I 131, il D.L.vo 230/95
indica, in condizioni normali, per i
lavoratori esposti una concentrazione in aria massima ammissibile di 700 Bq/m 3; quindi, poiché in
caso di incidente è ragionevole
presumere che tali valori possano essere ancora maggiori, si
può affermare che la strumentazione in dotazione ai Vigili del
Fuoco è in grado di poter misurare adeguatamente i valori di misura attesi in caso di incidente.
Negli interventi che comporta29
INTERVENTI IN PRESENZA
DI SOSTANZE RADIOATTIVE
no una esposizione interna è
molto spesso necessario eff e ttuare un’analisi qualitativa e
quantitativa dell’aria contaminata, per determinare con esattezza i singoli radioisotopi presenti e
la loro attività.
Infatti, i valori massimi della
concentrazione in aria, consentiti
in determinate circostanze, variano in relazione al tipo di radioisotopo e delle persone coinvolte
nell’incidente (in tabella 2 sono
riportati i valori per alcuni radioisotopi); la predetta analisi viene
eseguita tramite apparecchiature
denominate analizzatori multicanale, preventivamente tarate con
l’utilizzo di sorgenti radioattive
campioni che emettono raggi
gamma di energia nota su un vasto campo di valori.
L’analisi qualitativa e quantitativa dell’aria contaminata è quasi
sempre possibile ad esclusione
di incidenti dove sono presenti
sostanze radioattive che emettono solamente particelle beta; infatti, tramite una misura beta non
si è in grado di distinguere il contributo che i vari radioisotopi danno all’attività totale del campione,
poiché le particelle beta non vengono emesse con una energia
ben definita ma variabile da zero
fino ad un valore massimo
Emax.
Pertanto, in tali misurazioni viene utilizzata una tecnica, chiamata “analisi spettrometrica”, dove i vari radionuclidi sono individuati grazie alla proprietà che
hanno di emettere, a seconda
del loro schema di decadimento,
raggi gamma e particelle alfa
sempre della stessa energia.
Pertanto, poiché nella maggior
parte degli interventi sono pre30
senti sostanze radioattive che
emettono raggi gamma, è possibile misurare con esattezza i
quantitativi degli eventuali radioisotopi presenti nell’ambiente
effettuando un’analisi spettrometrica gamma.
Con tale tecnica di misura si
riescono ad apprezzare anche
debolissimi valori della contaminazione volumetrica, dell’ordine
di 0,1 Bq/m 3 (2,7 pCi/m 3 ), in
quanto vengono impiegati quali
elementi rilevatori delle radiazioni gamma degli scintillatori di
grosse dimensioni di Ioduro di
sodio attivato al Tallio NaI (Tl) o
di Germanio ad elevata efficienza (50% di quella dell’equivalente cristallo di Ioduro di sodio attivato al tallio).
Si precisa che, i rivelatori allo
NaI (Tl) hanno una efficienza di
conteggio maggiore di quelli al
Germanio, però hanno una risoluzione in energia minore che
non consente, qualora si debbano misurare radionuclidi aventi
energia dei raggi gamma pressoché uguali, ad esempio, Ba133 e
I131, di poter distinguere la presenza contemporanea dei due
radioisotopi nell’ambiente.
Interventi che comportano
la valutazione
della contaminazione
superficiale
Vediamo adesso come bisogna comportarsi nel caso che, a
seguito di incidente, sia invece
necessario eseguire una valutazione approssimata della contaminazione rimovibile presente su
una superficie.
Tale tipo di contaminazione, a
ANTINCENDIO novembre 1996
differenza di quella di tipo fisso
che produce solo esposizione
esterna, può prevalentemente
dar luogo a significative contaminazioni ambientali a seguito della
risospensione in aria del radionuclide e, conseguentemente,
esposizione interna; nei calcoli,
può ragionevolmente assumersi
un valore del fattore di risospensione pari a 1⋅ 10-5 m-1 (tale coefficiente permette di passare dal
valore della contaminazione superficiale rimovibile a quella volumetrica; in pratica, in condizioni
normali migra dalla superficie in
aria una particella del radioisotopo ogni centomila) in accordo
con quanto indicato nel 1982 dalla United Nations Scientific Committee on the Effects of Atomic
Radiation (UNSCEAR); infatti,
come già detto, la contaminazione fissa di superfici produce solamente esposizione esterna
che, generalmente, non assume
valori particolarmente elevati a
causa dei bassi valori dell’attività
che si fissa sulle superfici; tuttavia, tali piccoli valori di attività, se
dovessero migrare nell’ambiente
circostante, sarebbero in grado
di produrre valori della concentrazione volumetrica che per
esposizione interna potrebbero
essere suscettibili di indurre
nell’organismo umano significativi assorbimenti di equivalente di
dose. La valutazione della contaminazione superficiale rimovibile
prodotta da un radionuclide, può
effettuarsi in prima approssimazione con l’ausilio della catena
beta, nelle seguenti ipotesi:
a) radionuclide β,γ emittente (sono la maggior parte);
INTERVENTI IN PRESENZA
DI SOSTANZE RADIOATTIVE
b) radionuclide che emette una
particella β ed un raggio gamma per ogni disintegrazione;
c) radionuclide avente particelle
β di energia massima pari a
circa 500 - 600 KeV.
In tali ipotesi, può pertanto risalirsi all’attività di un campione,
conteggiando il numero di particelle β o quello dei raggi gamma,
in quanto la quantità di particelle
emesse nell’ambiente nell’unità
di tempo coincide.
Quindi, si può risalire all’attività
del campione tramite la “catena
beta” misurandone l’attività beta.
Pertanto, sapendo che l’eff icienza εβ di conteggio delle particelle β, è pari a circa 0,070
(sonda GF 145, pozzetto KS 101
B e RA 141 C), se si esegue un
prelievo di un campione con la
tecnica dello “smear test“, su una
area A avente superficie di 100
cm2, mediante un filtro di diametro 55 mm del tipo di quelli utilizzati per le misure di contaminazione volumetrica, si ottiene:
C=
(c.p.s.)x - (c.p.s.)f
εβ ⋅ A ⋅ F
;
dove, C è il valore della contaminazione superficiale rimovibile, (c.p.s.) x è il numero medio dei conteggi per secondo
del campione “strofinato” sulla
superficie
contaminata,
(c.p.s.)f è il numero medio dei
conteggi effettuato all’interno
del pozzetto su filtri prelevati
su superfici analoghe a quelle
di misura ed in punti diversi
non soggetti a contaminazione
(fondo naturale di radiazioni), F
è il fattore di rimozione che, in
prima approssimazione, può
assumersi pari a 0,1 (norma
UNI 9101).
Come ordine di grandezza (livello di riferimento derivato), si
ricorda che un valore della
contaminazione superficiale rimovibile relativo a radioisotopi
beta e/o gamma emettitori di circa 1 ⋅ 10-4 µCi/cm2 (37 KBq/m2) è
già da considerarsi pericoloso.
Infatti, ad esempio, nella Circolare n. 334096/30 del
03/12/92 emanata dal Ministro
dei Trasporti, relativa al trasporto aereo di sostanze radioattive,
è fissato per i radionuclidi beta e
gamma emettitori ed alfa emettitori a bassa tossicità un valore
massimo della contaminazione
superficiale rimovibile all’esterno dei colli di 0,4 Bq/cm 2 (1,1 ⋅
1 0 - 5 µ C i / c m 2 ), mentre per i
radionuclidi alfa emettitori a tossicità più elevata il predetto limite è pari a 0,04 Bq/cm 2 (1,1 ⋅ 106 µCi/cm2).
E’ opportuno specificare che,
la tecnica di misurazione indiretta della contaminazione superficiale con la valutazione dell’attività rimovibile dalla superficie
contaminata (tecnica dello
“smear test”) non presenta una
elevata accuratezza a causa,
soprattutto, dell’incertezza del
valore del fattore F di rimozione.
Un esempio di calcolo, potrà
essere utile per avere un ordine
di grandezza dei dati di misura
che possono essere indici di situazioni pericolose; esso è utile
anche per verificare se la sensibilità di tale sistema di misura in
dotazione ai Comandi Provinciali Vigili del Fuoco è in grado di
poter rilevare situazioni pericoANTINCENDIO novembre 1996
lose.
Supponiamo che si abbia una
superficie contaminata con I 131
e che sia stato misurato un fondo naturale di radiazioni:
(c.p.s.)f = 0,15 c.p.s..
Calcoliamo il numero di conteggi per secondo (c.p.s.) x che
il campione dovrà dare per avere un valore di contaminazione
superficiale rimovibile di 1 ⋅ 10-4
µCi/cm2. Si ricava:
(c.p.s.)x - 0,15
1⋅10-4 · 3,7 ⋅ 104 =
,
0,07 ⋅100 ⋅ 0,1
cioè
(c.p.s.)x = 3,7 · 7 ⋅ 0,1 + 0,15 =
2,74 c.p.s..
Analogamente a quanto fatto
in precedenza, può calcolarsi la
sensibilità di tale sistema di misura. Si può ritenere che, in prima approssimazione quando
venga strofinata una superficie di
100 cm 2 , essa sia pari a 2,85
KBq/m2 (7,7 · 10-6 µCi/cm2).
Pertanto, il predetto sistema di
misura (catena beta), oltre ad essere versatile, può anche essere
idoneamente utilizzato in interventi tesi alla valutazione della
contaminazione superficiale rimovibile di beta e gamma emettitori (sono la maggior parte dei
casi) alla superficie dei colli utilizzati nei trasporti aerei.
31
INTERVENTI IN PRESENZA
DI SOSTANZE RADIOATTIVE
La valutazione
dell’equivalente di dose
assorbita negli interventi
sione diventa:
1 - e-λ·t
H = I · 0,96 ·
In relazione alle modalità
dell’incidente ed al modo con il
quale la sostanza radioattiva viene dispersa nell’ambiente può
variare il tipo di misure da eseguire e le conseguenti valutazioni dosimetriche.
Nel caso di una sorgente radioattiva solida che emette raggi
gamma e che ha conservato il
grado di integrità anche dopo
l’incidente, è sufficiente effettuare la misura, o la valutazione,
dell’intensità di esposizione per
poter successivamente fare una
stima approssimata dell’equivalente di dose assorbita dal personale intervenuto con la formula:
H = I · 0,96 · t · Q;
dove I è l’intensità di esposizione espressa in R/h, t il tempo di
esposizione alle radiazioni valutato in ore, H rappresenta l’equivalente di dose assorbita valutato in rem, Q è il fattore di qualità
che per i raggi gamma è pari ad
1 e 0,96 è un coefficiente che
consente di passare da intensità
di esposizione ad intensità di dose (tale coefficiente viene ottenuto moltiplicando 0,87 per 1,11
che rappresenta il valore medio
alle varie energie del rapporto fra
i coefficienti di assorbimento
massico del tessuto umano e
dell’aria).
Qualora il radioisotopo abbia
un tempo di dimezzamento fisico
piccolo, e comunque comparabile con il tempo di esposizione alle radiazioni ionizzanti durante
l’intervento, la predetta espres32
pari a:
λ
· Q;
dove λ = 0,693/T 1/2, è la costante di decadimento del radioisotopo, T 1 / 2 è il suo tempo di
dimezzamento fisico, espresso in
ore e t è il tempo di esposizione
alle radiazioni anch’esso espresso in ore.
Supponiamo che durante un
intervento in cui sia coinvolta una
sorgente radioattiva solida sigillata di Co60, di attività pari 30 Ci
(1,11 TBq), un Vigile del Fuoco
stazioni per 15 minuti dietro un
muro di mattoni, spesso 18,6 cm
(schermo costituito da tre spessori di dimezzamento alle energie del Co 60) e distante 8 m dalla
sorgente, in attesa di programmare il recupero della sorgente
radioattiva.
In tale ipotesi, il Vigile del Fuoco assorbirà in questa fase
dell’intervento un equivalente di
dose assorbita pari a:
H = 1,298 · 30/82 · 0,96 · 1/4 ·
1/23 · 1 = 18,2 mrem (182 µSv);
dove 1/4 rappresenta la frazione di ora di esposizione alle radiazioni, 1/2 3 è il fattore di attenuazione che si ha a causa della
schermatura dei raggi gamma
operata dal muro di mattoni e
1,298 R⋅m 2/(h⋅Ci) è la costante
gamma specifica k (vedi tabella
2) del Co60.
Invece, qualora in tale fase
l’operatore non si fosse riparato
dietro il muro, esso avrebbe assorbito un equivalente di dose
ANTINCENDIO novembre 1996
H = 18,2 · 8 = 145,6 mrem
(1,456 mSv).
Per quanto concerne il valore
dell’equivalente di dose assorbita
dagli operatori in un incidente
che possa dar luogo ad esposizione interna, esso può, in prima
approssimazione, essere valutato con la seguente formula:
H = C · F · Vresp.;
dove, C è la concentrazione
volumetrica del radioisotopo presente nell’ambiente espressa in
Bq/m3, V resp. è il volume di aria
contaminata introdotta nell’organismo dall’operatore, espresso in
m3 ed F è il valore dell’equivalente di dose impegnata per unità di
assunzione via inalazione
espresso in Sv/Bq.
Inoltre, nel D.L.vo 230/95 sono
indicati i valori del limite annuale
di introduzione (ALI), che rappresenta l’attività che, introdotta
nell’organismo, comporta per l’individuo una dose impegnata pari
al limite annuale appropriato.
Nel predetto Decreto Legislativo vengono anche dati i Limiti
derivati di concentrazione in aria
(DAC) dei vari radionuclidi, cioè
le concentrazioni medie in aria
dei vari radionuclidi, espresse in
unità di attività per unità di volume, che, in un determinato periodo di esposizione, comportano un’introduzione per inalazione pari al limite di introduzione
annuale ovvero comportano per
il cristallino o la pelle un equivalente di dose pari al pertinente
limite.
Tali valori si riferiscono a situa-
INTERVENTI IN PRESENZA
DI SOSTANZE RADIOATTIVE
zioni ambientali normali che possono essere tollerate, in quanto
comportano che, in un determinato periodo di tempo, l’equivalente di dose assorbita si mantenga inferiore a livelli che danno
luogo a rischi ritenuti dal legislatore accettabili.
Durante un incidente, possono
essere presenti per un limitato
periodo di tempo valori superiori
a quelli indicati negli allegati del
D.L.vo 230/95.
Infatti, ad esempio, se si suppone che durante l’incendio di un
laboratorio, di volume 100 m3, di
un ospedale dove vengono effettuate analisi di tipo radioimmunologico (ad esempio, scintigrafia
alla tiroide) vengano dispersi
nell’ambiente in modo uniforme
37 MBq (10 mCi) di I131, si avrà
che la concentrazione volumetrica di I131 sarà pari a 370 KBq/m3
(100 mCi/m 3); nella tabella IV.1
del D.L.vo 230/95 è indicato che
per lo I131 il limite derivato di concentrazione in aria per i lavoratori esposti è molto inferiore ed è
pari a 0,7 KBq/m3.
Nell’ipotesi che un Vigile del
Fuoco durante le operazioni di
soccorso sia rimasto nel locale
contaminato per trenta minuti, in
assenza di dispositivi di protezione delle vie respiratorie, il valore dell’equivalente di dose assorbita nell’intervento, a causa
dell’esposizione interna, dall’operatore sarà approssimativamente
di:
Hint. = 3,7 · 105 · 7,4 · 10-9 ·
1,5/2 = 1 mSv (100 mrem);
nell’espressione 7,4 · 10 - 9
Sv/Bq è il valore restrittivo
dell’equivalente di dose impe-
gnata per unità di assunzione via
inalazione per lo I131; inoltre, nel
calcolo è stato ipotizzato che il
Vigile del Fuoco abbia avuto
un’attività respiratoria media durante l’intervento di 36 m3 di aria
al giorno, cioè di 1,5 m3/h. E’ utile sapere che, in condizioni normali, un adulto inala in media un
quantitativo di aria 22,2 m 3 a l
giorno, secondo quanto indicato
nella pubblicazione n. 66 dell’anno 1994 della International Commission on Radiological Protection (ICRP) “Human respiratory
tract model for radiological protection”.
In tale caso, il Vigile del Fuoco
è anche sottoposto ad esposizione esterna a causa della presenza della nube radioattiva che lo
circonda. L’equivalente di dose
assorbita per esposizione esterna, è valutato con l’espressione:
Hest. = C · F1;
dove, C è la concentrazione
del radioisotopo nell’ambiente,
espressa in Bq/m 3, ed F 1 è il valore del rateo dell’equivalente di
dose efficace giornaliera da
esposizione esterna da nube per
concentrazione unitaria del radionuclide, espresso in Sv · Bq-1
· m3 · d-1 (i valori relativi ai vari radioisotopi sono riportati nel rapporto sugli effetti e rischi delle
sorgenti di radiazioni ionizzanti
pubblicato nell’anno 1988 dalla
UNSCEAR).
Quindi, l’equivalente di dose
assorbita nell’intervento descritto
è pari a circa:
Hest. = 3,7 · 105 · 1,44 · 10-9 ·
1/48 = 11,1 µSv (1,11 mrem);
ANTINCENDIO novembre 1996
dove, 1/48 è la frazione giornaliera del tempo di esposizione
(30 minuti) alla nube ipotizzato
per l’operatore ed 1,44 · 10 -9 Sv ·
Bq-1 · m 3 · d -1 è il valore del suddetto rateo F1 per lo I131 .
L’esposizione totale alla quale
è stato sottoposto il Vigile del
Fuoco durante l’intervento, sarà
pari a:
Htot. = Hint. + Hest. = 100 + 1,11
= 101,11 mrem (1,01 mSv);
Come può notarsi, a conferma
di quanto affermato in precedenza, l’equivalente di dose assorbita per esposizione interna è di
gran lunga maggiore di quello
per esposizione esterna.
Infine, si vuole effettuare un
calcolo, per dare un ordine di
grandezza, dell’equivalente di
dose assorbita da esposizione
esterna prodotta da una superficie uniformemente contaminata
da un radionuclide.
Come già affermato tale tipo di
contaminazione può prevalentemente dar luogo a significative
contaminazioni ambientali, e
conseguentemente a rischio di
esposizione interna per il personale di intervento, a seguito della
risospensione in aria del radionuclide, mentre non desta particolare preoccupazione per l’entità
dell’esposizione esterna a causa
dei livelli di intensità di esposizione prodotti nell’ambiente.
Comunque, in entrambi i casi i
valori dell’equivalente di dose assorbita per esposizione interna
ed esterna provocati dalla contaminazione superficiale rimovibile
di un radionuclide non destano
particolare preoccupazione.
Nel seguito, si effettua il calco37
INTERVENTI IN PRESENZA
DI SOSTANZE RADIOATTIVE
lo dell’equivalente di dose assorbita da esposizione totale al quale si sottopone un Vigile del Fuoco durante un ipotetico intervento, della durata di 60 minuti, in un
ambiente dove sia presente una
superficie uniformemente contaminata con Cs134, avente un valore della contaminazione superficiale rimovibile di 1⋅10-4 µCi/cm2
(37 KBq/m2).
In tale situazione, l’equivalente
di dose assorbita per esposizione esterna, è valutato approssimativamente con l’espressione:
Hest. = Csup. · F2;
dove, C s u p . è il valore della
contaminazione superficiale rimovibile espressa Bq/m2 ed F2 è
il valore del rateo dell’equivalente di dose efficace giornaliera da
esposizione esterna da contaminazione superficiale unitaria del
radionuclide, espresso in Sv ·
Bq-1 · m 2 · d -1 (i valori relativi ai
vari radioisotopi sono stati pubblicati dal National Radiological
Protection Board (NPRB) nell’anno 1986).
Quindi, l’equivalente di dose
assorbita nell’intervento descritto
è pari a circa:
Hest. = 3,7 · 104 · 1,1 · 10-10 ·
1/24 = 0,17 µSv (17 µrem);
dove, 1/24 è la frazione giornaliera del tempo di esposizione
(60 minuti) alla superficie uniformemente contaminata ipotizzato
per l’operatore ed 1,1 · 10-10 Sv ·
Bq-1 · m2 · d-1 è il valore del predetto rateo F2 per il Cs134 .
Per quanto concerne il valore
dell’equivalente di dose assorbita
dagli operatori a causa dell’espo38
sizione interna, esso può, in prima approssimazione, essere valutato con la seguente formula:
Hint. = K · Csup. · F · Vresp.;
dove, K è il fattore di risospensione pari a 1·10-5 m-1, Csup. è il
valore della contaminazione superficiale rimovibile, espressa
Bq/m2, V resp. è il volume di aria
contaminata introdotta nell’organismo dall’operatore espresso in
m3, ed F è il valore dell’equivalente di dose impegnata per
unità di assunzione via inalazione espresso in Sv/Bq.
Dalla predetta espressione, si
ricava:
Hint. = 1·10-5 · 3,7 · 104 · 6,6 ·
10-9 · 1,5/1 = 3,7 nSv (0,37
µrem);
nell’espressione, 6,6 · 10 - 9
Sv/Bq è il valore restrittivo
dell’equivalente di dose impegnata per unità di assunzione via inalazione per il Cs 134; inoltre, nel
calcolo è stato ipotizzato che il Vigile del Fuoco abbia avuto un’attività respiratoria media durante
l’intervento di 36 m3 di aria al giorno, cioè di 1,5 m3/h. L’esposizione totale alla quale è stato sottoposto il Vigile del Fuoco durante
l’intervento, sarà pari a:
Htot. = Hint. + Hest. = 0,37 + 17
= 17,37 µrem (173,7 nSv);
Come può notarsi, in tale tipo
di intervento l’operatore è soggetto a limitatissimo rischio, in
quanto il valore dell’equivalente
di dose assorbita risulta molto
basso.
In definitiva, com’era già noto,
ANTINCENDIO novembre 1996
può affermarsi che negli interventi in presenza di sostanze radioattive che in pratica possono
presentarsi, i valori più elevati
dell’equivalente di dose assorbita si hanno nei casi di esposizione esterna, a causa di sorgenti
solide sigillate aventi valori
dell’attività dell’ordine di qualche
Curie e nel caso di incendio di
un’attività che coinvolge sostanze radioattive.
I calcoli effettuati in precedenza hanno avuto unicamente lo
scopo di fornire agli operatori
l’ordine di grandezza dell’equivalente di dose assorbita che bisogna ragionevolmente aspettarsi
ed al quale sarà sottoposto il
personale nell’intervento; in questo modo, sarà possibile programmare le necessarie azioni in
modo da evitare, quanto più possibile, il superamento dei limiti
dell’equivalente di dose assorbita
ed, in ogni caso, ripartire in modo equo l’assorbimento di radiazioni fra tutti i soccorritori impegnati nell’occasione.
Le dosi massime ammissibili
per il personale VV.F. durante
gli interventi
Come già detto in precedenza,
le possibilità di intervento che i
Vigili del Fuoco sono chiamati ad
effettuare nel settore dell’impiego
dell’energia nucleare sono molteplici.
Da un punto di vista legislativo,
la classificazione ai fini della radioprotezione di questi lavoratori
non ha finora avuto una precisa
collocazione.
Con l’emanazione del Decreto
Legislativo 17/03/95 n. 230 (pub-
INTERVENTI IN PRESENZA
DI SOSTANZE RADIOATTIVE
blicato nel Supplemento ordinario n. 74 alla Gazzetta Ufficiale n.
136 del 13/06/95), tale situazione
dovrebbe essere al più presto
definitivamente chiarita, in quanto all’art. 74 di tale decreto legislativo viene indicato che per i
soccorritori di protezione civile
(ad esempio, i Vigili del Fuoco)
saranno stabiliti le modalità ed i
livelli di esposizioni di emergenza con apposito decreto del Ministro dell’Interno.
Al riguardo, si ricorda che il
predetto decreto legislativo definisce l’esposizione di emergenza
come “esposizione giustificata in
condizioni particolari per soc correre individui in pericolo, pre venire l’esposizione di un gran
numero di persone o salvare una
installazione di valore e che pro voca il superamento di uno dei
limiti di dose fissati per i lavora tori esposti”.
Pertanto, per meglio inquadrare l’attuale quadro legislativo si è
ricondotti a valutare la posizione
dei “lavoratori esposti”.
Il D.L.vo 230/95 definisce i lavoratori esposti quelle “persone
sottoposte, per l’attività che svol gono, ad un’esposizione che può
comportare dosi superiori ai
pertinenti limiti fissati per le per sone del pubblico. Sono lavora tori esposti di categoria A i lavo ratori che, per il lavoro che svol gono, sono suscettibili di riceve re in un anno solare una dose
superiore ad uno dei pertinenti li miti stabiliti; gli altri lavoratori
esposti sono classificati di cate goria B.”.
E’ evidente come i Vigili del
Fuoco, che sono deputati nella
loro attività istituzionale a svariati
compiti in aggiunta a quelli deri-
vanti dall’impiego dell’energia
nucleare, non possono essere
tutti classificati lavoratori esposti.
Tuttavia, qualora all’interno del
Corpo Nazionale dei Vigili del
Fuoco venisse individuato del
personale destinato ad essere
specificatamente impegnato in
interventi in presenza di sostanze radioattive, tali operatori potrebbero essere classificati
lavoratori esposti.
Pertanto, nelle more dell’emanazione del predetto decreto ministeriale, che dovrà definire le
modalità ed i livelli di esposizione di emergenza da adottare
per i Vigili del Fuoco, e che si
auspica fornisca anche utili indicazioni per individuare e classificare i lavoratori esposti del
C . N . V V. F., potrebbero attualmente applicarsi ai Vigili del
Fuoco, per analogia, i limiti
dell’equivalente di dose stabiliti
per i “lavoratori esposti”.
Il D.L.vo 230/95 ha stabilito per
i lavoratori esposti, sia il limite di
equivalente di dose per esposizione globale, sia il limite per
l’equivalente di dose efficace, indicando in entrambi i casi un valore di 100 mSv (10 rem) in cinque anni solari consecutivi qualsiasi, con l’ulteriore condizione
che non venga superato il limite
di 50 mSv (5 rem) in un anno solare.
Quindi, attualmente, per i Vigili
del Fuoco la pianificazione
dell’intervento potrebbe essere
attuata in modo da non superare
il limiti dell’equivalente di dose
assorbita previsti per i lavoratori
esposti.
In situazioni particolari di emergenza quali, ad esempio:
ANTINCENDIO novembre 1996
a) salvataggio di vite umane o
soccorso a persone per la limitazione di danni fisici;
b) azioni tese ad evitare l’esposizione di un gran numero di
persone;
c) azioni mirate ad evitare lo svilupparsi di condizioni catastrofiche.
In tali casi, il personale dei Vigili del Fuoco, anche ai sensi di
quanto disposto in forma generale dall’art. 1 della legge 469/61,
potrebbe essere sottoposto ad
una “ esposizione eccezionale
concordata” (il D.L.vo 230/95 la
definisce come un’esposizione
che comporta il superamento di
uno dei limiti di dose annuale fissati per i lavoratori esposti; essa
è ammessa in via eccezionale).
Tuttavia, poiché l’operatore in
tale circostanza potrebbe assorbire valori dell’equivalente di dose
suscettibili di provocare seri danni
al suo organismo, egli deve volontariamente dichiararsi disponibile e deve ricevere un’informazione completa sui rischi e sulle
precauzioni da adottare nel corso
dell’intervento in questione.
Dalle considerazioni fin qui
svolte, è evidente che la conoscenza dell’equivalente di dose
assorbita dal personale durante
un intervento è importante per
stabilire se un operatore, che ha
già assorbito radiazioni in precedenti occasioni possa nuovamente, entro un determinato intervallo di tempo, essere chiamato ad eseguire interventi in presenza di sostanze radioattive.
39
INTERVENTI IN PRESENZA
DI SOSTANZE RADIOATTIVE
Il servizio
dosimetrico
del C.N.VV.F.
Il Corpo Nazionale dei Vigili del
Fuoco, tramite il Laboratorio di
Difesa Atomica del Centro Studi
ed Esperienze, gestisce un servizio dosimetrico per il controllo
dell’equivalente di dose assorbita
dal personale (Circ. n. 15
M.I.S.A. (84) del 03/05/84) che
utilizza dosimetri a termoluminescenza al fluoruro di litio (TLD
100); tali dosimetri sono costituiti
da “card” di forma rettangolare di
dimensioni (4,3 · 3,1) cm nelle
quali sono contenuti due piccolissimi cristalli di LiF di dimensioni
(3,17 · 3,17 · 0,89) mm.
I materiali termoluminescenti
restituiscono, se opportunamente riscaldati, parte dell’energia
assorbita dalla radiazione ionizzante incidente sotto forma di
luce.
Questo fenomeno permette di
misurare con buona precisione la
dose assorbita dal dosimetro, e
quindi quella del Vigile del Fuoco
che deve sempre indossarlo durante gli interventi con presenza
di radiazioni ionizzanti; le misure
sono eseguite con una particolare apparecchiatura di lettura che
identifica i dosimetri mediante
l’uso di una sorgente luminosa.
Tale macchina fornisce automaticamente il valore dell’equivalente di dose assorbita dal personale di intervento se viene opportunamente inserito il coeff iciente di taratura di conversione
dei nC ai mSv; tale coefficiente
viene valutato sperimentalmente
irraggiando periodicamente i dosimetri in camera calda a valori
crescenti di dose noti ed ottenuti
40
tramite l’utilizzo di sorgenti radioattive campioni.
I valori dell’equivalente di dose
assorbita misurati, che vengono
comunicati ai Comandi Provinciali ed al Servizio Sanitario dei
Vigili del Fuoco, sono archiviati.
Si ricorda che i dosimetri a termoluminescenza forniscono solamente la misura dell’equivalente
di dose assorbita per esposizione
esterna dal personale nell’intervento e non danno, invece, indicazioni sui valori dell’equivalente
di dose assorbita per esposizione
interna.
La decontaminazione
del personale
Si danno adesso delle brevi indicazioni sul comportamento da
tenere nel caso che durante un
incidente che coinvolge delle sostanze radioattive, ad esempio
un incendio, avvenga la contaminazione del personale di intervento a causa, o del deposito dei
vapori del radioisotopo sulle parti
del corpo eventualmente scoperte (mani, capelli, ecc.), o dell’inalazione, o dell’ingestione accidentale della sostanza (gli ultimi
due casi sono ovviamente i più
gravi). Quando la sostanza radioattiva dopo l’incidente si è depositata all’esterno del corpo,
occorre assolutamente evitare
che passi all’interno dell’organismo, per ingestione accidentale,
per inalazione o attraverso la
pelle; inoltre, occorre anche
adottare le dovute cautele per
impedire il trasferimento della
contaminazione all’ambiente o
ad altre persone.
Quindi, è necessario effettuare
ANTINCENDIO novembre 1996
al più presto la decontaminazione della persona possibilmente
sul posto eseguendo un accurato
lavaggio della superficie di pelle
contaminata con acqua abbondante sapone detergente.
E’ particolarmente importante
evitare che, durante tale fase si
producano abrasioni e/o ferite
sulla pelle che potrebbero condurre ad una immissione della
sostanza radioattiva all’interno
del corpo.
Al termine di tale azione, occorre verificare la presenza residua di contaminante con gli strumenti in dotazione, ad esempio
con la sonda F 118 Bγ, ed eventualmente procedere nuovamente al lavaggio di quelle parti rimaste ancora contaminate; inoltre,
gli indumenti indossati devono
essere posti in contenitori, ad
esempio di polietilene, e trattati
come rifiuti radioattivi.
In caso di ferite contaminate,
dovrà attuarsi, in aggiunta alle
normali procedure di pronto soccorso, il lavaggio con acqua abbondante di ogni ferita sospetta
di essere contaminata. In tale fase, si favorirà la fuoriuscita di
sangue dalla ferita al fine di evitare quanto più possibile l’incorporazione del radionuclide.
Nel caso che la sostanza radioattiva penetri nell’organismo
umano, bisognerà anche prestare
particolare attenzione alla tossicità
dell’elemento (ad esempio, il plutonio è fortemente radiotossico).
In tale situazione (contaminazione interna dell’individuo), per
stabilire l’entità della contaminazione subita, dovranno quanto
prima eseguirsi esami mirati alla
valutazione dell’attività del radioisotopo incorporato, per indivi-
INTERVENTI IN PRESENZA
DI SOSTANZE RADIOATTIVE
duare i provvedimenti tempestivi
da intraprendere a salvaguardia
dell’integrità dell’individuo.
Pertanto, la persona dovrà essere sottoposta ad esami radiotossicologici delle urine ed a misure di spettrometria gamma al
corpo intero tramite il Whole
Body Counter (W.B.C.).
Per completezza si danno
adesso alcune informazioni sui
danni che possono provocare le
radiazioni quando vengono assorbite dall’organismo umano.
Essi possono essere classificati
principalmente in tre categorie:
- danni somatici non stocastici (o
graduati);
- danni somatici stocastici (o probabilistici);
- danni ereditari.
I danni somatici non stocastici
si manifestano a breve tempo
dall’irradiazione che ha comportato l’assorbimento di equivalenti
di dose elevati. Pertanto, queste
lesioni si possono produrre durante l’effettuazione di interventi
di particolare gravità.
Per avere un ordine di grandezza, è utile sapere che il valore
dell’equivalente di dose al corpo
intero che produce il 50% di morti
a 30 giorni dall’irradiazione acuta
è pari a circa 4 Sv (400 rem).
Invece, i danni somatici stocastici possono aversi dopo l’assorbimento di equivalenti di dose di
varia entità (piccoli o grandi, cioè
non mostrano una soglia di dose
al di sotto della quale sicuramente non si verificano) e danno luogo all’insorgenza di tumori maligni con frequenza che dipende,
sia della quantità di radiazioni,
sia dalla superficie investita del
corpo umano.
I danni ereditari sono quelli che
si manifestano nelle future generazioni e non nell’individuo direttamente irradiato.
L’azione
di prevenzione
dei Vigili
del Fuoco
Il Corpo Nazionale dei Vigili del
Fuoco, in aggiunta all’azione di
protezione a seguito di incidenti,
svolge anche compiti di prevenzione nel settore dell’energia nucleare; al riguardo, non è superfluo sottolineare che una efficace
azione di prevenzione può già
considerarsi una misura di protezione.
Infatti, il C.N.VV. F. ha come
compito istituzionale, nello specifico settore della radioattività,
quello della prevenzione degli incendi. Tale incarico si esplica nel
controllo delle attività, comprese
nei seguenti punti dell’elenco del
Decreto del Ministro dell’Interno
16/02/1982, soggette ai controlli
di prevenzione incendi:
punto 75
istituti, laboratori, stabilimenti e
reparti in cui si effettuano, anche saltuariamente, ricerche
scientifiche o attività industriali
per le quali si impiegano isotopi radioattivi, apparecchi contenenti dette sostanze ed apparecchi generatori di radiazioni
ionizzanti (art. 3 della legge 31
dicembre 1962, n. 1860 ed art.
102 del D.P.R. 13 febbraio
1964, n. 185, adesso art. 27
ANTINCENDIO novembre 1996
del D.L.vo 230/95);
punto 76 - esercizi commerciali
con detenzione di sostanze radioattive (capo IV del D.P.R. 13
febbraio 1964 n. 185, adesso
capo VI del D.L.vo 230/95);
punto 77
autorimesse di ditte in possesso di autorizzazione permanente al trasporto di materie
fissili speciali e di materie radioattive (art. 5 della legge 31
dicembre 1962, n. 1860 sostituito dall’art. 2 del D.P.R. 30 dicembre 1965, n. 1704);
punto 78
impianti di deposito delle materie nucleari, escluso il deposito
in corso di spedizione (individuati anche all’art. 33 del
D.L.vo 230/95);
punto 79
impianti nei quali siano detenuti combustibili nucleari o prodotti o residui radioattivi (art. 1,
lettera b, della legge 31 dicembre 1962, n. 1860 - individuati
anche al capo VII del D.L.vo
230/95);
punto 80
impianti relativi all’impiego pacifico dell’energia nucleare ed
attività che comportano pericoli
di radiazioni ionizzanti derivanti
dai predetti impieghi (individuati anche al capo VII del D.L.vo
230/95):
a) impianti nucleari;
b) reattori nucleari, eccettuati
quelli che facciano parte di un
mezzo di trasporto;
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INTERVENTI IN PRESENZA
DI SOSTANZE RADIOATTIVE
c) impianti per la preparazione o
fabbricazione delle materie nucleari;
d) impianti per la separazione
degli isotopi;
e) impianti per il trattamento dei
combustibili nucleari irradianti.
L’analisi generale di prevenzione incendi, nelle predette attività,
consiste nell’individuare le possibili cause di un incendio, prevedere quali siano gli eventi capaci
di compromettere le protezioni
poste a salvaguardia dell’attività,
quindi delle persone, e conseguentemente, intraprendere
provvedimenti atti a scongiurare,
con largo margine di sicurezza, il
verificarsi degli incidenti previsti.
In particolare, per quanto riguarda gli impianti nucleari, la
prevenzione incendi viene effettuata in due momenti diversi:
- in un primo tempo in sede di
esame dei singoli progetti particolareggiati nella Commissione Tecnica per la sicurezza nucleare e la protezione sanitaria
di cui all’art. 9 del D.L.vo
230/95, ove sono sempre presenti esperti in materia di sicurezza nucleare, di protezione
sanitaria dalle radiazioni ionizzanti e di difesa antincendio;
- in un secondo tempo da parte del
Comando Provinciale dei Vigili
del Fuoco in quanto, come precedentemente affermato, tali impianti sono compresi nell’elenco
delle attività contemplate dal
D.M. 16.02.1982 e necessitano,
quindi, del rilascio del Certificato
di Prevenzione Incendi previsto
dalla legge 966/65 e dal D.P.R.
42
577/82.
Sugli impianti quindi, vengono
disposte, da parte del Comando
Provinciale dei Vigili del Fuoco
competente per territorio, periodiche visite di controllo al fine di
verificare anche se i manufatti e
le attrezzature a disposizione
dell’impianto consentono, in
qualsiasi momento, ai soccorritori l’effettuazione di un intervento
rapido, sicuro ed efficace.
Si sottolinea che in tali attività
la possibilità di un intervento rapido, sicuro ed efficace non è
stato in passato sempre
possibile come, ad esempio, in
occasione dell’incidente alla centrale elettronucleare inglese di
Browns Ferry, dove, a causa
d e l l ’ i n e fficienza delle soluzioni
tecniche relative alla prevenzione incendi, l’intervento di estinzione da parte dei Vigili del Fuoco, nonostante la loro presenza
immediata, dovette essere ritardato di alcune ore.
Contemporaneamente, particolare cura viene data alla verifica
di tutte le misure antincendio,
predisposte per la sicurezza
dell’impianto e la salvaguardia
delle persone, affinché mantengano inalterata nel tempo la loro
efficacia. In definitiva l’incendio,
pur non costituendo nelle attività
predette la principale fonte di pericolo, può però rappresentare il
primo anello di una catena incidentale che potrebbe condurre
ad eventi dannosi dalle gravi
conseguenze per l’incolumità
della popolazione.
ANTINCENDIO novembre 1996