patologie dell`apparato uditivo e del linguaggio

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patologie dell`apparato uditivo e del linguaggio
PATOLOGIE DELL’APPARATO UDITIVO E
DEL LINGUAGGIO: FUNZIONAMENTO DELLE STRUTTURE E
DISABILITÀ’
ELEMENTI DI AUDIOLOGIA PEDIATRICA
Notes on Paediatric Audiology
Edoardo Arslan, Elisabetta Genovese, Rosamaria Santarelli
Servizio di Audiologia e Foniatria – Università di Padova
Dott.ssa Elisabetta Genovese
Università Modena e Reggio Emilia
INTRODUZIONE
In termini generali ipoacusia significa un'alterazione della percezione del suono, dovuta ad
una lesione del recettore uditivo periferico. Le ipoacusie si classificano in:
1.
Ipoacusie trasmissive dovute ad una lesione dell’orecchio medio e/o esterno
2.
Ipoacusie neurosensoriali dovute ad una lesione dell’orecchio interno
3.
Ipoacusie centrali caratterizzate da una disfunzione del processing uditivo da
lesione delle vie uditive centrali. Queste forme non hanno ancor oggi un inquadramento
clinico e diagnostico definito, in particolare in età pediatrica e si possono far rientrare nel
più ampio contesto dei disturbi del linguaggio, poiché di norma hanno una soglia uditiva
normale.
In campo pediatrico quindi le ipoacusie che hanno particolare rilevanza clinica sono le
patologie dell’apparato uditivo periferico che provocano un innalzamento della soglia
uditiva tale da compromettere la percezione degli stimoli verbali.
Secondo l'American National Standards Institute (ANSI, 1991) l'handicap uditivo viene
classificato essenzialmente in base alle ripercussioni della perdita uditiva,
sull'acquisizione linguistica e sulle possibilità di intervento per ridurne la gravità.
Le ipoacusie in età pediatrica vengono pertanto suddivise in base alla soglia, intesa come
soglia media per le frequenze 500-2000 Hz nell'orecchio migliore, in sei categorie riportate
nella tabella 1:
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0-15 dB udito nella norma con nessuna compromissione a livello linguistico.
16-25 dB ipoacusia lieve, causata da patologie dell'orecchio medio o perdite
neurosensoriali; possono presentarsi difficoltà nella percezione di alcune consonanti e
può essere richiesto, a seconda dei casi, un intervento protesico-logopedico o
chirurgico per la risoluzione delle patologie dell'orecchio medio.
26-40 dB ipoacusia media, causata da patologie dell'orecchio medio o perdite
neurosensoriali; vengono percepiti correttamente solo alcuni fonemi ad una intensità
elevata ed è presente un ritardo di acquisizione fonemica e di linguaggio; in questo
caso un intervento protesico-logopedico o chirurgico per la risoluzione delle patologie
dell'orecchio è necessario.
41-65 dB ipoacusia moderata, causata da patologie croniche dell'orecchio medio,
malformative o neurosensoriali; non viene percepita la maggior parte dei suoni
linguistici a livello di conversazione e sono presenti ritardi di linguaggio e di
apprendimento; gli interventi riabilitativi sono analoghi ai precedenti con l'aggiunta in
alcuni casi di un supporto educativo nella scuola.
66-95 dB ipoacusia severa, causata da patologie neurosensoriali o miste; non viene
percepito alcun suono linguistico a livello di conversazione e sono presenti gravi
problemi di acquisizione fonologica, ritardi di linguaggio e di apprendimento; gli
interventi riabilitativi sono analoghi ai precedenti con l'obbligo di un supporto educativo
nella scuola.
- + di 96 dB ipoacusia profonda, causata da patologie neurosensoriali o miste; non
viene percepito alcun suono linguistico e ambientale, sono presenti gravi problemi di
acquisizione fonologica, ritardi di linguaggio e di apprendimento; gli interventi
riabilitativi sono analoghi ai precedenti con l'obbligo di un supporto educativo nella
scuola.
E' bene chiarire come l'epoca d'insorgenza della sordità abbia però diversi effetti sullo
sviluppo comunicativo nel bambino affetto da ipoacusia neurosensoriale. A tale riguardo
in ambito audiologico viene comunemente usata la suddivisione in due categorie:
preverbale e postverbale, anche se all'interno di ciascuna di esse esistono significative
differenze.
Per sordità "preverbale" intendiamo due tipi di ipoacusia:
- ipoacusia insorta prima dell'inizio del processo di acquisizione del linguaggio che viene
comunemente fissato intorno all'anno di età, momento in cui il canale uditivo diventa
l'organizzatore principale dello sviluppo linguistico;
ipoacusia insorta tra il primo ed il terzo anno di età, epoca in cui il bambino dovrebbe
aver raggiunto la struttura sintattico-grammaticale minima propria del linguaggio
dell'adulto.
L'età del soggetto al momento d'insorgenza dell'ipoacusia costituisce uno dei fattori
predittivi, unitamente alle abilità cognitive e linguistiche possedute dal bambino, del
possibile utilizzo del canale uditivo con le conseguenti ripercussioni sull'organizzazione
centrale. L'insorgenza di una sordità profonda in epoca preverbale in un bambino in cui lo
sviluppo comunicativo è già iniziato può facilitare l'adattamento alle protesi acustiche ed
all'eventuale impianto cocleare, oltre che i successivi apprendimenti linguistici.
-
Nelle sordità "postverbali" in epoca infantile distinguiamo:
le ipoacusie insorte nella prima infanzia, dai tre ai sette anni, periodo in cui le abilità
comunicativo-linguistiche anche se acquisite non sono ancora del tutto consolidate;
- le ipoacusie insorte nella seconda infanzia, dai sette ai diciotto anni, periodo in cui il
linguaggio verbale è già consolidato.
Nel primo caso l'insorgenza di una sordità severa o profonda provoca il più delle volte una
rapida regressione delle abilità linguistiche, mentre nel secondo caso si assiste a quadri
diversi per lo più legati allo sviluppo psicointellettivo del soggetto.
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Tra le ipoacusie postverbali vanno ancora ricordate le otiti medie presenti soprattutto nella
prima infanzia, che, se trascurate possono provocare perdite uditive di diversa entità tali
da compromettere la percezione verbale con conseguenti ritardi nello sviluppo linguistico
a vari livelli.
Appare evidente che le ipoacusie più rilevanti per le conseguenze che possono avere
sullo sviluppo del linguaggio nel bambino, sono le ipoacusie pre-verbali, che insorgono
prima dell’anno di vita. La mancata percezione degli stimoli verbali che sono il reattivo su
cui si innesca lo sviluppo del linguaggio nel bambino a partire soprattutto da 6-8 mesi di
vita, può causare gravi ritardi o alterazioni permanenti nel processo di acquisizione del
linguaggio del bambino che saranno fonte di una potenziale disabilità comunicativa.
Quando parliamo di ipoacusie infantili ci riferiamo quindi, in particolare, alle ipoacusie
neurosensoriali bilaterali profonde perché le conseguenze di tale patologia sullo sviluppo
psichico del bambino sono talmente gravi da costituire un problema sanitario e sociale di
grande rilevanza. Una perdita uditiva nel bambino è infatti una condizione doppiamente
"silente": perchè isola il bambino dal mondo circostante privandolo del linguaggio,
principale canale e strumento comunicativo, ed in secondo luogo perchè è una patologia
con una sintomatologia "silente", senza segni evidenti della sua presenza fino
all'instaurarsi di effetti irreversibili.
Il mancato o ritardato sviluppo del linguaggio ed i gravi effetti ad esso collegati sono
evitabili se viene instaurata una corretta e tempestiva terapia riabilitativa che ricordo ancor
oggi ha il suo cardine nell'immediata applicazione di un'amplificazione protesica. Quindi,
nonostante l'incidenza relativamente scarsa di bambini ipoacusici, 1/1000 nati nei paesi
occidentali, appare evidente la necessità di attuare programmi sanitari di prevenzione
delle ipoacusie preverbali, volti non solo alla diminuzione delle cause, ma soprattutto alla
identificazione precoce.
Lo sviluppo del linguaggio in un bambino inizia, infatti, in un periodo critico
importantissimo, dagli 8-12 mesi d'età, quando inizia ad instaurarsi quel feed-back
acustico-fonologico-comunicativo che è alla base delle prime acquisizioni verbali e del
loro successivo arricchimento lessicale e morfo-sintattico. Fondamentale in questo
periodo è la percezione da parte del bambino di strutture acustiche del linguaggio in gradi
di innescare tutto il processo dell'apprendimento linguistico.
La diagnosi dell'ipoacusia e la correzione protesica dovranno quindi avvenire al massimo
entro l'anno di età e, perchè ciò avvenga, è indispensabile che vi siano a monte delle
procedure di screening che consentano la identificazione dei possibili portatori di
ipoacusia. Diversamente il bambino dovrà sviluppare metodiche comunicative basate su
altre modalità di ingresso sensoriale e tali modalità saranno comunque sempre meno
efficienti di quella acustico-verbale e potranno solo vicariare parzialmente il canale uditivo.
Lo scopo finale della riabilitatizione di un deficit sensoriale, non si limita alla sola
correzione della perdita sensoriale, vale a dire dell'impairment e della disabilità che è
l'effetto che l'impairment ha sulla vita singola dell'individuo, ma soprattutto al recupero
dell'handicap (Stephens, 1987; WHO, 1980). Per handicap s'intende l'impatto che la
disabilità provoca sulla vita di relazione dell'individuo, considerando soprattutto gli aspetti
sociali e vale a dire le limitazioni nei rapporti e nelle relazioni con gli altri membri della
società, sia individualmente sia come collettività. Nel caso di bambini con ipoacusie
preverbali diventa quindi essenziale, per evitare l'instaurarsi di una situazione di grave
handicap, favorire al massimo e con qualsiasi mezzo l'apprendimento di una
comunicazione acustico-verbale. Essenziale quindi è un riconoscimento precoce
dell'ipoacusia e l'avvio del bambino ad una terapia protesico-riabilitativa efficace.
La correzione della disabilità dovuta ad una sordità preverbale dovrebbe perciò essere
sempre impostata su un programma riabilitativo che consideri prioritari i mezzi e i sistemi
di comunicazione tipici della nostra società, e quindi il canale uditivo e la comunicazione
verbale, se si vuole raggiungere la finalità di abolire o almeno di ridurre il futuro handicap
del soggetto. Solo quando la correzione della disabilità così attuata risultasse del tutto
insoddisfacente, per evitare l'instaurarsi di un handicap maggiore, rappresentato da una
abilità comunicativa insufficiente a cui si potrebbero associare conseguenze negative
nello sviluppo psicointellettivo, si dovrà ricorrere a sistemi di riabilitazione alternativi alla
comunicazione verbale che vanno scelti accuratamente in base alle potenzialità del
soggetto e non in modo aprioristico.
Vi sono infine oggi dati sempre più significativi che dimostrano che il mancato
funzionamento del recettore uditivo periferico, in particolare se dovuto ad una lesione
congenita, provoca una condizione di deprivazione sensoriale nel sistema nervoso
centrale. Per deprivazione si intende la mancata organizzazione neurale, dell’analizzatore
centrale, ai vari livelli fino alla corteccia, che implica modificazioni nella struttura neurale e
nelle sinapsi che diventano sempre meno reversibili dopo il periodo di plasticità e di
organizzazione del SNC nel bambino. In altre parole l'ingresso sensoriale funge da
modulatore e da regolatore dello sviluppo dell'analizzatore centrale, che si organizza
attorno alle informazioni acustiche e agli impulsi neurali che provengono dalla periferia.
Per il sistema uditivo in particolare se viene a mancare il reattivo sensoriale linguistico non
si svilupperà o si svilupperà in modo inadeguato, anche l’analizzatore linguistico. Vi sono
dimostrazioni sperimentali molto evidenti della deprivazione uditiva: la mancata
organizzazione tonotopica delle stazioni intermedie della via uditiva, nuclei, collicolo
inferiore e corpo genicolato mediale, e soprattutto della corteccia uditiva primaria e
secondaria (Harrison, 1993; Salvi, 2000), il mancato sviluppo delle strutture sottocorticali
deputate alla fusione del messaggio proveniente dalle due orecchie (King e Coll., 2001).
Questi dati danno ovviamente oggi un substrato scientifico a situazioni e concetti che però
erano già ben noti in campo riabilitativo in particolare gli scarsi risultati di una riabilitazione
protesica tardiva. Infatti si ripristina un ingresso sensoriale che a valle non ha più una
struttura neurale efficiente e si spiega così anche la grande variabilità dei risultati e
l'impossibilità di stabilire a priori le strategie uditive che ciascun soggetto metterà in atto.
Infatti sono praticamente infinite le correlazioni che vi possono essere tra grado della
perdita uditiva, tempo ed efficacia della correzione protesica e conseguente influenza che
tutto questo processo può avere sullo sviluppo e l'organizzazione di un analizzatore
centrale così complesso come quello deputato alla percezione e produzione verbale.
Anche alla luce di queste considerazioni appare sempre più determinante la necessità di
strategie di identificazione dell'ipoacusia che consentano una diagnosi sempre più
precoce e precisa, in modo da poter sfruttare nel periodo fisiologico di plasticità del SNC,
le possibilità di ripristinare la funzione uditiva periferica attraverso l’utilizzo delle protesi
acustiche e degli impianti cocleari.
Protesi e impianti ripristinano la soglia uditiva e consentono al bambino di instaurare le
strategie percettive verbali di un sistema uditivo normale. I risultati nelle sordità preverbali,
a parità di perdita uditiva, sono tanto più soddisfacenti quanto minore è il tempo intercorso
tra l'insorgenza della perdita uditiva ed il ripristino della funzione uditiva. Nel caso invece
di applicazioni tardive l'analizzatore centrale ha già sviluppato strategie diverse da quelle
fisiologiche e quindi l’ingresso sensoriale viene utilizzato in modo meno efficace.
L'identificazione e la diagnosi precoce nelle sordità preverbali diventano quindi la
condizione irrinunciabile per raggiungere l'obiettivo di ridurre se non addirittura abolire
oggi con i mezzi protesici disponibili, la disabilità uditiva.
INCIDENZA ED EZIOLOGIA
L'incidenza della sordità neurosensoriale bilaterale grave e profonda è stimata ancor oggi
nei paesi occidentali di circa 1 bambino ogni 1000 nuovi nati. Alcuni autori infatti stimano
che la sordità infantile nel mondo possa variare da 0.5/1000 a 1.5/1000 nati (Davis e
Wood, 1992; Parving, 1993; Fortnum e Davis, 1997)
Uno degli studi più importanti al riguardo è quello effettuato da Davis su una coorte di
366.480 bambini di età da 1 a 6 anni, dal 1985 al 1990, nella Contea di Trent, in
Inghilterra con una popolazione di 4.700.000 abitanti. Tale studio per l’ampiezza del
campione in esame, il periodo di tempo considerato e le modalità di esecuzione, può
essere considerato come il dato statistico ed epidemiologico più significativo per un paese
industrializzato. Invece per i paesi del terzo mondo e per i paesi in via di sviluppo non vi
sono infatti ancora oggi stime precise, anche se dai pochi dati disponibili si stimano
incidenze molto superiori da 2 a 20 volte quelle dei paesi occidentali soprattutto per la
maggiore incidenza di processi flogistici (Fortnum e Davis, 1997).
Prima di esaminare più in dettaglio i dati epidemiologici riteniamo utile richiamare i
concetti di incidenza e prevalenza. Il termine incidenza viene riferito al numero di casi
affetti da una determinata patologia, in un periodo di tempo definito ed in una popolazione
specifica (numero di nuovi casi per anno su 100.000 bambini). Il termine prevalenza
indica il numero totale di casi affetti da una patologia nell'ambito di una data popolazione
in un tempo specifico (numero di casi affetta da un determinato tipo di ipoacusia in una
specifica coorte).
Nella tabella 2, ricavata da Davis, sono riportati i dati relativi alla prevalenza delle
ipoacusie infantili nella Regione di Trent nei nati tra il 1985 ed il 1990, suddivisi in due
categorie:
- ipoacusie congenite, dove si presume che il danno uditivo sia intervenuto in epoca prenatale o perinatale;
- ipoacusie acquisite: in cui il danno uditivo è intervenuto durante la prima infanzia o in
modo progressivo.
Appare evidente l'incidenza delle ipoacusie moderate con soglia superiore ai 40dB che
sono circa i due/terzi rispetto alle ipoacusie di entità severa o profonda, e l'elevata
percentuale di ipoacusie infantili di natura congenita, circa l'84%, mentre solo il 16% di
natura acquisita.
Nello stesso studio vengono poi esaminate in dettaglio le diverse cause
eziopatogenetiche (Tab. 3), da cui emerge che le cause congenite sono in gran parte
di tipo genetico circa il 45%, prenatali solo il 4% e perinatali 7%; una piccola
percentuale è imputabile ad anomalie cranio-facciale ed a altre cause associate.
Come appare chiaro le ipoacusie perinatali sono ancora una quota considerevole,
malgrado negli ultimi anni sia sensibilmente migliorata la sorveglianza durante il
parto, ma parallelamente si è assistito al sempre maggiore sviluppo delle
tecniche di monitoraggio delle terapie neonatali intensive che hanno contribuito a
mantenere in vita gravi prematuri affetti frequentemente da patologie associate.
La maggior parte delle ipoacusie acquisite invece viene ovviamente riferita a patologie
postnatali (circa il 42%), tuttavia esiste una percentuale elevata stimata attorno al 23% di
cause genetiche anche in questa categoria.
Tra le diverse cause etiologiche, congenite ed acquisite, appare evidente la
grande incidenza delle ipoacusie genetiche. Le sordità da cause genetiche sono
per circa il 70% isolate e per il restante 30% sindromiche, cioè associate ad altri
difetti congeniti. La più frequente modalità di trasmissione del difetto è di tipo
mendeliano (sordità monogenica), in circa il 66% dei casi autosomica recessiva,
nel 32% autosomica dominante e nel 2% X-linked; altre modalità di trasmissione,
più rare, sono cromosomiche (aneuploide, sindromi cromosomiche) e
mitocondriali, cioè dovute a mutazioni del genoma mitocondriale, come riferito da
Dalla Piccola e Coll. (1996).
Negli ultimi anni la ricerca genetica ha evdenziato che caratteristiche mutazioni
del gene Cx-26 ( Cx26 o GJB2) localizzate sul cromosoma 13q12 (DFNB1 e
DFNA3), sono responsabili di ipoacusie non sindromiche a carattere recessivo o
dominante (Kelsell e Coll., 1997; Denoyelle e Coll., 1998; Estivill e Coll., 1998).
La più frequente mutazione genetica recessiva del Cx26 è la delezione di una
singola base (35delG).Altri geni appartenenti alla famiglia della Connexina sono
stati recentemente associati ad ipoacusie: quali il gene CX30, 31 e 32 (White e
Coll., 1998).
Appare evidente come i principali fattori eziopatogenetici sono andati via via
modificandosi negli ultimi trent’anni con il progredire dei programmi di prevenzione nel
periodo della gravidanza e nella prima infanzia, come ad esempio:
- l'introduzione della vaccinazione obbligatoria per la rosolia delle bambine in età premenarca; il monitoraggio sierologico dell'eventuale contagio in gravidanza di infezioni
del complesso TORCH,
- il controllo delle incompatibilità Rh o AB0 con la quasi totale scomparsa di quadri di
eritroblastosi fetale e di grave emolisi postnatale,
- l'utilizzo di criteri più efficienti nel monitoraggio e nella terapia dell'ittero neonatale,
- l'abolizione della commercializzazione di farmaci ototossici ora limitata ai soli ambienti
ospedalieri,
- la quasi scomparsa di traumi ostetrici dovuta ad una sempre migliore sorveglianza
della gravidanza e del parto,
- la sempre maggiore prevenzione delle forme ereditarie attraverso l'attivazione di
servizi di diagnostica e counseling genetico.
D’altro canto a partire dal 1960 i progressi in ambito medico, con l’introduzione delle unità
di terapia neonatale intensiva (NICU) aumentano l’incidenza di bambini con perdita uditiva
in quanto:
-sopravvivono neonati gravi prematuri, con problemi di asfissia e basso peso alla nascita;
-i neonati che afferiscono alle NICU sono esposti a più fattori di rischio, quali:
somministrazione di farmaci ototossici e meningiti batteriche.
Programmi di prevenzione per individuare precocemente i neonati a rischio di ipoacusia
infantile sulla base dei fattori eziologici sono stati introdotti già da vent’anni dal Joint
Committee on Infant Hearing (JCIH, 1982) con la creazione di un Registro di Rischio per
Ipoacusia Infantile.
I fattori di rischio individuati inizialmente, sono stati successivamente modificati ed
integrati fino all’ultima stesura del 2000 in cui alcune possibili cause eziopatogenetiche di
ipoacusia neonatale sono state accorpate in un unico criterio connesso con il ricovero in
NICU per più di 24 ore. L’elevata incidenza infatti delle ipoacusie nei bambini ricoverati
nelle patologie neonatali (1-3% dei neonati ricoverati) è imputabile spesso a più fattori:
all’effetto lesivo della patologia stessa causa del ricovero, all’utilizzo di farmaci ototossici
ed alla frequenza di complicanze durante il ricovero; è quindi corretto identificarlo come
un unico fattore.
Riportiamo l’ultima position statement del 2000 con la suddivisione dei fattori di rischio in
due categorie: perinatali e postnali fino ai 2 aa.
Fattori di rischio dalla nascita a 28 giorni
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Tutti i neonati che vengono ammessi alla NICU per più di 24 ore
Tutti i neonati con segni di sindromi associate ad ipoacusia.
Tutti i neonati con una storia familiare di ipoacusia neurosensoriale
Tutti i neonati con anomalie cranio-facciali comprese quelle del padiglione auricolare e
del canale uditivo.
Tutti i neonati che sono stati esposti in gravidanza ad infezione del gruppo TORCH.
Il JCIH raccomanda inoltre i seguenti fattori di rischio per un’età compresa tra i 29 giorni e
i due anni per individuare ipoacusie ad insorgenza più tardiva come le forme
neurosensoriali progressiva e le ipoacusie trasmissive.
Fattori di rischio da 29 giorni a 2 anni
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Storie familiari di ritardi di linguaggio
Familiarità per gravi ipoacusie permanenti in adolescenti
Stigmate o altri segni riferiti a sindromi note per comprendere ipoacusia
neurosensoriale o trasmissiva
Infezioni postnatali legate a ipoacusia, compreso meningite batterica
Infezioni in utero come citomegalovirus, herpes, rosolia, sifilide, toxoplasmosi.
Indicatori neonatali (iperbilirubinemia, ipertensione polmonare persistente)
Sindromi associate a ipoacusie progressive (Sdr di Usher, neurofibromatosi)
Disordini neurodegenerativi (sdr hunter, atassia di Friederich, sdr di Charcot-MARIETOOTH)
Traumi cranici
Otiti medie persistenti.
Un’ipoacusia infantile può insorgere anche dopo il secondo di vita per cause nongenetiche, come: meningite, traumi cranici, patologie infettive, farmaci ototossici. Anche le
otiti medie ricorrenti, come sottolineato da Parving (1993), devono essere considerate tra
le cause di ipoacusia infantile.
E' quindi di estrema importanza effettuare anche programmi di screening per la detezione
della sordità infantile anche nel periodo prescolare e scolare.
Un altro aspetto epidemiologico rilevante da considerare è l’associazione della ipoacusia
con patologie associate.
Dallo stesso studio emerge un altro dato significativo relativo alla associazione della
sordità infantile con patologie extrauditive: visive, neuromotorie, cognitive, etc.(Tab. 4). La
percentuale di patologie associate aumenta sensibilmente nei neonati che hanno una
storia di permanenza prolungata in NICU.
DIAGNOSI
La diagnosi di una ipoacusia infantile è un processo complesso che deve soddisfare
innanzitutto l’obiettivo di rendere il più efficace possibile il procedimento terapeutico di
correzione della perdita uditiva nel bambino in modo da ridurre o abolire la disabilità
uditiva che ne potrebbe conseguire. Contemporaneamente o successivamente attraverso
altre metodologie diagnostiche, che non hanno gli stessi criteri di priorità della
quantificazione del grado di perdita uditiva, verranno poi programmati tutti gli accertamenti
necessari per arrivare alla diagnosi medica della patologia che ha provocato la lesione
uditiva. Infatti a differenza dell’adulto i requisiti che il procedimento di diagnosi
dell’ipoacusia deve possedere nel bambino sono essenzialmente la precocità, entro il
periodo di plasticità del sistema uditivo centrale, in modo da correggere la disabilità uditiva
prima dello sviluppo del linguaggio. Solo così si possono evitare gli effetti che l’impairment
uditivo può avere nello sviluppo del linguaggio del bambino e in termini più generali sulle
sue future competenze comunicative ed evitare l’instaurarsi di una condizione di
deprivazione uditiva dovuta ad un intervento tardivo.
Un intervento efficace implica quindi che tutto il procedimento diagnostico, dalle
procedure di screening per l’individuazione di un bambino con un sospetto deficit uditivo
fino alla diagnosi finale con l'acquisizione dei dati clinici necessari all'impostazione del
programma protesico-riabilitativo, dovrebbero concludersi entro l'anno di età. Il
conseguimento di questo obiettivo pone quindi la necessità di utilizzare procedure
diagnostiche oggettive, poiché nell'arco di età considerato le tecniche comportamentali
non possono essere sufficientemente precise ed affidabili da consentire una corretta e
sicura impostazione dei parametri di prescrizione protesica. Le metodiche di audiometria
obiettiva ed in particolare le indagini con i potenziali uditivi evocati (Auditory Evoked
Responses, ERA) hanno assunto un ruolo determinante e insostituibile nella diagnosi e
quantificazione del grado di perdita uditiva. Successivamente le metodiche
comportamentali, attraverso le quali si potrà ottenere una descrizione più dettagliata della
percezione uditiva, sia in termini di soglia audiometrica, sia in termini di disabilità uditiva
con l’utilizzo delle protesi, diventeranno il cardine della valutazione audiologica del
bambino.
LA DIAGNOSI OBIETTIVA DELLE IPOACUSIE INFANTILI: L’UTILIZZO DEI
POTENZIALI EVOCATI UDITIVI
CLASSIFICAZIONE
I potenziali evocati uditivi possono essere prelevati sia mediante tecniche a campo vicino
(near-field) che a campo lontano (far-field), in base alla distanza tra l’elettrodo registrante
e generatore del potenziale bioelettrico. Sono registrazioni a campo vicino quelle
dell’elettrococleografia prelevate con elettrodo transtimpanico ed a campo lontano le altre
(ABR, MLR, SVR, CNV) registrate con elettrodi di superficie.
Le derivazioni a campo vicino sono invasive, ma presentano un rapporto segnale-rumore
molto favorevole e quindi danno luogo a risposte molto più ampie.
La classificazione più utilizzata dei potenziali evocati uditivi si basa sul tempo di comparsa
delle singole componenti ovvero sulla loro latenza rispetto al tempo di presentazione dello
stimolo. Sulla base di questo parametro i potenziali uditivi vengono classificati in (Fig. 1):
-FAST: Elettrococleografia (ECochG). Le varie componenti originano dalle cellule cigliate
interne ed esterne e dalle fibre del nervo uditivo. La latenza è compresa tra 0 e 5 ms.
-EARLY: Le risposte ABR (Auditory Brainstem Responses) e FFR (Frequency Following
Responses) sono potenziali precoci generati rispettivamente dal tronco encefalico e dal
nervo cocleare. La loro latenza è compresa tra 1,5 e 15 ms.
-MIDDLE: Le risposte a media latenza (MLRs, Middle Latency Responses) sono
generate a livello della corteccia cerebrale. La loro latenza è compresa tra 10 e 100
ms.
-SLOW: Le risposte SVR (Slow Vertex Responses) sono potenziali lenti generati dalla
corteccia uditiva e compaiono tra 100 e 300 ms.
-LATE: Le risposte CNV (Cognitive Negative Variation), P300 (Late Positive component) e
SW (Slow Wave) sono potenziali tardivi generati dalle aree frontali della corteccia con una
latenza compresa tra 300 e 800 ms.
Fra le indagini ERA hanno trovato una applicazione in ambito clinico i potenziali evocati
del tronco (Auditory Brainstem Response, ABR) e l’elettrococleografia (ECochG) per
l’elevato grado di precisione con cui determinano la soglia monoaurale, per l’affidabilità
della risposta e, per quanto riguarda l’ABR, per la semplicità di esecuzione dell’esame.
I POTENZIALI EVOCATI UDITIVI DEL TRONCO (ABR) NELLA DIAGNOSI DELLE
IPOACUSIE INFANTILI
Registrati per la prima volta nell’uomo nel 1967 i potenziali evocati uditivi del tronco si
sono largamente affermati in audiologia come metodica di fondamentale importanza nella
diagnosi delle ipoacusie infantili.
Aspetti Metodologici
L’ABR viene registrata per mezzo di 3-4 elettrodi di superficie dei quali l’attivo (+) è posto
al vertice (Cz) mentre il riferimento (-) corrisponde all’orecchio (lobo o mastoide) in
esame. L’elettrodo di massa è posizionato alla fronte. Il segnale opportunamente
amplificato e filtrato viene inviato ad un computer che, previa conversione analogicodigitale, effettua l’averaging e consente quindi di estrarre le risposte dal rumore
elettroencefalografico. La stimolazione viene ottenuta mediante una cuffia audiometrica
standard applicata al soggetto in esame. Per quanto riguarda il tipo di stimolo, viene
utilizzato il click, costituito da una stimolazione estremamente breve (0.1 msec) con un
fronte di ascesa molto ripido, adatto a ottenere la massima sincronizzazione possibile a
livello delle fibre del nervo uditivo, la cui attività, sommandosi, dà luogo a una risposta di
superficie registrabile. Nella pratica corrente il numero di stimoli impiegati è di circa 2000
mentre la frequenza di ripetizione utilizzata è di 20 stimoli/secondo. L’esame viene
condotto partendo da intensità di stimolazione a livelli di “comoda udibilità”, per evitare il
risveglio del piccolo paziente, procedendo con decrementi di 10 dB fino a determinare la
soglia elettrofisiologica.
Nel corso dell’esame dovrà essere costantemente verificato lo stato di quiete del piccolo
paziente, dal momento che il movimento del soggetto in esame, peggiorando il rapporto
segnale/rumore, può pregiudicare la registrazione in corso, soprattutto quando in
prossimità della soglia l’identificazione della risposta diventa critica. Lo stato di sonno
spontaneo può essere facilmente ottenuto dopo il pasto nei bambini a 6-8 mesi. Dopo
quest’età è raccomandabile il ricorso sistematico alla sedazione, limitando a casi
selezionati l’uso della narcosi.
Descrizione della risposta
Nel soggetto normale la presentazione di una stimolazione impulsiva (click) presentata a
intensità sopraliminari evoca una risposta costituita da una successione di picchi a
polarità positiva rispetto al vertice denominati con numeri romani da I a VII (Fig. 2).Tali
deflessioni derivano dall’attivazione sincrona delle strutture neurali dalla periferia uditiva al
tronco dell’encefalo: le onde I e II sono generate rispettivamente dalle porzioni intra ed
extra-cocleare del nervo uditivo, l’onda III deriva dall’attivazione di gruppi cellulari
localizzati a livello dei nuclei cocleari, mentre le onde dalla IV alla VII rappresentano
l’attività di generatori multipli lungo la via uditiva troncoencefalica e diencefalica. In
particolare, il complesso IV-V, dominante rispetto alle altre componenti della risposta,
origina a livello del lemnisco laterale. Anche per stimolazioni sopraliminari i picchi
predominanti e più costantemente presenti sono rappresentati dalle onde I, III e V. Con la
riduzione dell’intensità dello stimolo tutte le componenti mostrano un progressivo aumento
di latenza e una riduzione di ampiezza fino a non essere più identificabili nel tracciato
(Fig. 5). La prima a scomparire è l’onda I, seguita dalla III e quindi dalla V onda, che
appare perciò come la più “resistente” ed identificabile per intensità di stimolazione assai
prossime alla soglia psico-acustica. Per questa sua proprietà essa costituisce il parametro
su cui si basa la diagnosi di soglia.
La diagnosi di soglia
La diagnosi obiettiva di soglia si basa essenzialmente sulla determinazione del minimo
livello di intensità efficace per ottenere una risposta (onda V) identificabile e riproducibile.
Dalla soglia elettrofisiologica è possibile stimare quella psico-acustica che si colloca a un
livello che appare di 5-10 dB inferiore. L’interpretazione dei risultati ottenuti con i click
deve tuttavia tenere conto del fatto che questo tipo di stimolo determina una attivazione
dominante nel giro basale della coclea. La soglia ABR pertanto risulta essenzialmente
correlata con la soglia audiometrica nell’intervallo di frequenze 2-4 kHz. Il click non
consente quindi di ottenere una valutazione precisa della configurazione audiometrica e,
pertanto, le ipoacusie zonali e quelle limitate alle frequenze medio-gravi potrebbero non
essere rivelate o comunque adeguatamente diagnosticate.
In presenza di una ipoacusia, la sua differenziazione in neurosensoriale o trasmissiva è di
importanza fondamentale per l’impostazione del programma terapeutico. Tale distinzione
per mezzo dell’ABR si basa sull’analisi dei parametri della risposta alle intensità di
stimolazione sopraliminari e sul comportamento della funzione intensità-latenza dell’onda
V.
Una ipoacusia trasmissiva (Fig. 3) determina una attenuazione dell’intensità efficace dello
stimolo di un valore pari all’entità dell’ipoacusia. Di conseguenza a tutte le intensità
sopraliminari l’ampiezza delle risposte sarà ridotta mentre la latenza di tutte le componenti
identificabili risulterà uniformemente aumentata. A ciò corrisponde uno spostamento verso
destra della funzione intensità-latenza dell’onda V che decorre parallela rispetto a quella
del soggetto normale.
In presenza di una ipoacusia neurosensoriale da cocleopatia il comportamento dell’ABR è
essenzialmente determinato dalla configurazione tonale dell’ipoacusia. Nelle ipoacusie
pantonali o con curva audiometrica “in salita” (Fig. 4) la risposta alle intensità sopraliminari
è caratterizzata da valori di latenza prossimi a quelli del soggetto normale. Riducendo
l’intensità, questo comportamento può persistere o si può osservare un brusco aumento
dei valori di latenza in prossimità della soglia. In pratica, la funzione intensità-latenza
appare sovrapponibile a quella ottenuta nel soggetto normale, rispetto alla quale essa
appare semplicemente “amputata”, a causa dell’innalzamento di soglia. Nelle ipoacusie
con curva audiometrica “in discesa”, in cui si verifica un trasferimento del pattern di
eccitazione verso aree più apicali della coclea, la latenza della risposta potrà risultare
aumentata rispetto al normale con conseguente spostamento verso destra della funzione
intensità-latenza rispetto al soggetto normale. In queste condizione la diagnosi
differenziale tra ipoacusia trasmissiva e neurosensoriale non può basarsi unicamente sui
risultati forniti dall’esame ABR, ma dovrà essere integrato con i dati dell’otoscopia e
dell’esame impedenzometrico.
Nelle ipoacusie di tipo misto l’ABR risente degli effetti combinati delle due distinte
componenti dell’ipoacusia. In queste condizioni accade spesso che, con la
sovrapposizione dei diversi deficit, il livello di soglia è tale da pregiudicare una efficace
analisi dei parametri quantitativi o anche la possibilità di identificare la risposta. In questi
casi, soprattutto quando si protrae la presenza della componente trasmissiva nonostante i
provvedimenti terapeutici attuati, il ricorso alla registrazione della elettrococleografia
diventa inevitabile.
L’ELETTROCOCLEOGRAFIA (ECochG) NELLA DIAGNOSI DELLE
IPOACUSIE INFANTILI
L’elettrococleografia è stata introdotta nella pratica clinica alla fine degli anni ’60 ad opera
del gruppo di Bordeaux (Portmann e collaboratori) che ha svolto un ruolo di primo piano in
questo senso. L’esame veniva utilizzato nell’ambito della diagnosi audiologica infantile per
la valutazione obiettiva di soglia.
La tecnica di registrazione
Il piccolo paziente viene posto su di un lettino in una cabina schermata acusticamente e
elettricamente attrezzata per l’espletamento dell’anestesia generale. Dopo l’induzione
dell’anestesia si procede al posizionamento dell’elettrodo attivo, costituito da un sottile
ago di acciaio, isolato su tutta la sua superficie eccetto che in corrispondenza della punta
e preventivamente sterilizzato. Tale elettrodo viene collocato a livello del promontorio (Fig.
5) sotto controllo microscopico. La stimolazione viene effettuata in campo libero con clicks
della durata di 0.1 ms, in condensazione o in rarefazione, presentati separatamente ad
intensità decrescenti in step di 10 dB a partire da una intensità massima di massima di
120 dB p.e. SPL (corrispondente a 90 dB nHL rispetto alla soglia psicoacustica dei
soggetti normali).
Gli elettrodi di riferimento e di massa vengono applicati rispettivamente in corrispondenza
della fronte e della mastoide. Il segnale viene amplificato, filtrato e inviato ad un computer
che, previa conversione analogico-digitale, effettua l’averaging, l’estrazione delle risposte
dai tracciati elettrococleografici e il salvataggio delle tracce.
I potenziali elettrococleografici
L'elettrococleogramma è la registrazione dei potenziali elettrici evocati a livello della
coclea e delle fibre del nervo uditivo in seguito a una stimolazione impulsiva. Ogni
risposta risulta dalla sovrapposizione di due categorie di potenziali: i potenziali di
recettore, microfonico cocleare (CM) e potenziale di sommazione (PS), e il potenziale di
azione del nervo (PA) (Fig. 6).
Il potenziale microfonico cocleare è generato nelle cellule del Corti ed è correlato allo
spostamento, istante per istante, della membrana basilare. Il potenziale microfonico
evocato da un click è rappresentato da una breve serie di oscillazioni ad alta frequenza,
legate alla fase dello stimolo, che riproduce strettamente la vibrazione della membrana
basilare. Si ritiene che esso sia generato fondamentalmente dalle cellule ciliate esterne
del giro basale della coclea.
Il potenziale di sommazione e' un potenziale continuo, generalmente a polarità negativa,
di durata corrispondente alla vibrazione della partizione cocleare. Viene generato
essenzialmente dall’attività delle cellule ciliate interne.
Le informazioni utili dal punto di vista clinico sono in massima parte quelle che vengono
fornite dallo studio del potenziale d'azione. Esso rappresenta l'espressione della scarica
sincrona delle fibre del nervo uditivo in risposta allo stimolo acustico. Sulla sua presenza o
assenza in funzione dell'intensità si basa il rilievo della soglia elettrococleografica. Tenuto
conto della sovrapposizione delle varie componenti della risposta, l’individuazione del
potenziale di azione può non essere agevole, essendo perlopiù ostacolata dalla presenza
del potenziale microfonico. L'uso di clicks di polarità' opposta permette la estrazione e la
visualizzazione del solo potenziale di azione del nervo (Fig. 6). Infatti, la semplice somma
delle risposte evocate separatamente da click con polarità negativa e positiva ad uguale
intensità porta alla eliminazione del microfonico cocleare che, come si è detto, e' un
potenziale che riproduce strettamente lo spostamento della membrana basilare, che
mostra evidentemente una fase opposta in risposta a stimoli di opposta polarità.
La risposta normale
Nella figura 7 è riportato un esempio di risposta elettrococleografica normale. Ad elevati
livelli di stimolazione prevale nel PA una componente negativa (N1), seguita da un'onda
negativa più piccola (N2) che diviene poi la componente principale per intensità inferiori a
80-70 dB. La latenza del PA aumenta gradualmente, mentre l'ampiezza si riduce
progressivamente al diminuire dell'intensità della stimolazione.
Il PS è identificabile come una piccola deflessione negativa inserita nel tratto N1 della
risposta neurale, la sua soglia è normalmente attorno a 80 dB peSPL e la sua ampiezza è
molto variabile da registrazione a registrazione, probabilmente in rapporto alle inevitabili
differenze nella posizione dell'elettrodo sul promontorio.
Il MC è generalmente registrabile nei soggetti normali fino a 60-70 dB peSPL; la sua
ampiezza diminuisce al ridursi dell’intensità di stimolazione. Il potenziale microfonico
cocleare non ha però una vera soglia; il livello di intensità a cui esso non è più
evidenziabile dipende principalmente dai limiti imposti dalla qualità e dal guadagno degli
amplificatori utilizzati e non dalla scomparsa dell'attività elettrica che ne sta alla base.
Le indicazioni cliniche
Rispetto ai potenziali far-field, l’elettrococleografia presenta tutta una serie di vantaggi,
primi fra tutti la valutazione della funzionalità della periferia uditiva, l’indipendenza dallo
stato di veglia del soggetto, la minore durata dell’esame, la sua elevata affidabilità, la
possibilità di effettuare una valutazione strettamente monoaurale. Tutte queste
caratteristiche sono sostanzialmente riconducibili al fatto che l’elettrococleografia
costituisce una registrazione near-field dei potenziali elettrici extracellulari generati in
risposta ad una stimolazione impulsiva dall’attivazione sincrona dei recettori cocleari e
delle fibre del nervo uditivo. Pertanto, poiché le risposte che vengono registrate sono di
notevole ampiezza e presentano un favorevole rapporto segnale-rumore, possono essere
visualizzate facilmente dopo un ridotto numero di averaging e presentano una ripetibilità
elevatissima, cosa questa che non rende necessario il ricorso alle repliche. Le limitazioni
dell’esame discendono indirettamente dalla sua invasività. Infatti, la puntura timpanica,
pur essendo risultata del tutto innocua in mani esperte, risulta dolorosa. Inoltre, a parte la
possibile interferenza con la registrazione da parte di artefatti di origine miogenica, la
completa immobilità del bambino è strettamente legata al mantenimento della posizione
dell’elettrodo per tutta la durata della registrazione. Su questa base si giustifica il ricorso
all’anestesia generale, procedura oggigiorno innocua nei soggetti che non presentino
delle controindicazioni specifiche. La sua attuazione presuppone inoltre una complessa
organizzazione dei servizi con il coinvolgimento di tutta una serie di figure professionali
non confinate all’ambito strettamente audiologico.
L’introduzione dell’ABR nella diagnosi audiologica infantile ha soppiantato l’utilizzazione
dell’elettrococleografia nella valutazione obiettiva di soglia per diversi motivi. Essendo una
metodica di registrazione far-field, l’ABR presenta rispetto all’ECochG una sensibilità
minore, richiede un maggior numero di averaging per la identificazione della risposta
specie alle basse intensità di stimolazione dove il rapporto segnale-rumore è più
sfavorevole, impone il ricorso alla esecuzione di repliche al fine di una corretta
identificazione della risposta. I vantaggi nella scelta della sua esecuzione sono tuttavia
consistenti, dal momento che si tratta di un esame sicuramente affidabile e non invasivo,
che può essere eseguito in condizioni di sonno spontaneo o di blanda sedazione. Inoltre,
dal punto di vista tecnico non richiede il complesso equipaggiamento necessario ai fini
della corretta esecuzione dell’elettrococleografia e può quindi essere ottenuto con le più
comuni apparecchiature commerciali da parte di personale tecnico opportunamente
addestrato. Il ricorso all’elettrococleografia si rende quindi necessario nei bambini in cui
non si riesce ad ottenere la opportuna tranquillità per l’esecuzione dell’ABR e in tutte
quelle condizioni in cui non risulti inequivocabile la valutazione ottenuta attraverso la
registrazione dei potenziali del tronco. Esistono infatti situazioni cliniche definite, quali la
presenza di una patologia del SNC o di un versamento nell'orecchio medio, in cui l'ABR
può non essere affidabile. Infatti, una lesione delle vie uditive centrali può alterare
l'elettrogenesi dell'ABR, risultandone un'assenza della risposta in presenza di una
periferia uditiva normale (Fig. 8). La presenza di un versamento nell'orecchio medio rende
ancor più sfavorevole il rapporto segnale-rumore, già piccolo nella registrazione delle
risposte evocate del tronco, compromettendo l'affidabilità dell'esame.
In questo ambito quindi l’elettrococleografia si viene a configurare essenzialmente come
un esame di secondo livello con una indicazione limitata. L'uso complementare delle due
metodiche, ABR ed elettrococleografia, dimostra una sensibilità diagnostica pari al 100%,
cioè consente di individuare correttamente la totalità delle sospette ipoacusie sottoposte a
tali procedure.
La diagnosi elettrococleografica
Il cardine della diagnosi risiede nella identificazione e nella misura dei parametri di latenza
e ampiezza della risposta neurale.
Il dato saliente che emerge dall’analisi delle registrazioni elettrococleografiche ottenute
nelle ipoacusie trasmissive (Fig. 9) è quello di un innalzamento della soglia del PA che
mostra una latenza aumentata rispetto alla risposta normale. In particolare, la funzione
latenza-intensità risulta traslata verso destra di una entità corrispondente alla perdita
uditiva. Analogamente a quanto si verifica per la risposta ABR, i reperti elettrococleografici
della ipoacusia trasmissiva sono sostanzialmente giustificabili sulla base della riduzione
della stimolazione efficace, sebbene alcuni aspetti come la riduzione di pendenza della
regressione lineare sulla funzione intensità-latenza, possano essere attribuiti a differenze
di attivazione nel corso della stimolazione con clicks lungo la partizione cocleare tra le
orecchie normali e quelle con perdita trasmissiva.
Considerando le ipoacusie di origine cocleare, le risposte elettrococleografiche possono
mostrare l’assenza di risposta neurale alla massima intensità di stimolazione (120 dB
peSPL corrispondenti nella normativa del nostro laboratorio a 90 dB nHL). In queste
registrazioni è possibile evidenziare unicamente il potenziale microfonico che presenta
un’ampiezza significativamente ridotta rispetto alle orecchie normali ad intensità di
stimolazione corrispondenti. L’assenza del potenziale di azione del nervo in questi casi è
indicativa di una ipoacusia neurosensoriale di origine cocleare profonda, con soglia
uguale o maggiore a 90 dB nHL come media per le frequenze da 2 a 4 KHz.
Nei soggetti con ipoacusia cocleare e risposta neurale presente, il caso di gran lunga più
frequente è quello di una perdita con configurazione pantonale (Fig. 10). In questi soggetti
la soglia è innalzata e generalmente la morfologia del potenziale d’azione del nervo è di
tipo “stretto”, mentre la latenza della risposta è sostanzialmente sovrapponibile a quella
ottenuta da soggetti normali a intensità corrispondenti di stimolazione. Ne deriva che la
funzione latenza-intensità si sovrappone a quella relativa alla risposta normale, eccetto
che alle basse intensità di stimolazione alle quali essa appare improvvisamente
“amputata”, analogamente a quanto si verifica per l’ABR. L’ampiezza della risposta
ottenuta in questi casi appare significativamente ridotta rispetto a quella dei soggetti
normali a intensità corrispondenti. Questo tipo di comportamento è facilmente
comprensibile se si tiene conto del fatto che la configurazione pantonale della perdita
uditiva riflette una degenerazione recettoriale distribuita in modo abbastanza uniforme
lungo la partizione cocleare. Si potrebbe quindi ipotizzare che, alle elevate intensità di
stimolazione, alle quali il reclutamento è massimo, la dinamica di generazione della
risposta non si discosti in maniera sostanziale da quella che si verifica in un orecchio
normale.
Nelle ipoacusie cocleari la cui configurazione tonale mostra un andamento in discesa (Fig.
11), la latenza del potenziale di azione del nervo appare aumentata rispetto ai soggetti
normali e la risposta mostra una morfologia di tipo “largo”. Il riscontro di queste
caratteristiche può essere spiegato tenendo conto del fatto che la stimolazione acustica
attiva preferenzialmente componenti della partizione cocleare con frequenza caratteristica
minore. Ne consegue, da una parte una riduzione del grado di sincronizzazione della
scarica delle fibre nervose in risposta alla stimolazione impulsiva, dall’altra una maggiore
latenza di attivazione derivante sostanzialmente dal tempo richiesto dall’onda viaggiante
per attivare unità con bassa frequenza caratteristica.
In realtà, il riconoscimento di questi due possibili quadri elettrococleografici nelle
ipoacusie di origine cocleare con potenziale di azione presente, costituisce solo una
approssimazione utile a fini operativi. Di fatto, la perdita recettoriale non è quasi mai
uniforme lungo l’intera partizione cocleare, potendo presentare anzi caratteri di grande
variabilità. Ne consegue che la morfologia come pure i parametri che caratterizzano la
risposta neurale, spesso non possono essere ricondotti a schemi unici o comunque fissi e
deve essere quindi posta estrema cautela sia nella formulazione della diagnosi sia nella
indicazione del grado di perdita uditiva.
Elettrococleografia e patologie a carico del SNC
Uno degli aspetti che emerge dall’analisi delle risposte elettrococleografiche consiste nella
notevole dispersione dei dati relativi all’ampiezza del potenziale microfonico e, in misura
minore, del potenziale di sommazione e del potenziale di azione. Sebbene non sia stata
condotta una analisi statistica volta alla identificazione di una specifica distribuzione dei
parametri delle risposte in qualche modo correlabile con variabili precise, il dato che
emerge è quello di un elevato riscontro di risposte di ampiezza elevata in pazienti con
possibili lesioni del sistema nervoso centrale riconducibili a patologie di vario genere (Fig.
12). L’aumento riguarda in particolare il potenziale microfonico che può raggiungere
ampiezze notevolmente elevate. Si può ipotizzare che le osservate differenze
dell’ampiezza delle risposte rispetto al normale possono essere attribuite a un alterato
controllo da parte della corteccia cerebrale sul sistema efferente olivo-cocleare, con
conseguente facilitazione dell’attività contrattile delle cellule ciliate esterne. Dal momento
che è dimostrato che l’attivazione del sistema efferente in condizioni fisiologiche
determina una ridotta frequenza di scarica nelle fibre afferenti ed essendo noto che le
fibre efferenti prendono contatto unicamente con le cellule ciliate esterne, è possibile che
una ridotta attività del fascio olivo-cocleare abbia come conseguenza una ridotta
inibizione dell’attività elettrica delle cellule ciliate esterne e quindi, indirettamente, una
facilitazione dell’attività elettrica delle cellule ciliate interne in risposta alla stimolazione
acustica. Da ciò deriverebbe l’incremento di ampiezza sia dei potenziali recettoriali sia
della risposta neurale.
AUDIOMETRIA COMPORTAMENTALE
L'audiometria comportamentale è stata criticata negli ultimi anni perché costituisce un
mezzo potenzialmente poco affidabile e inadeguato di determinare la soglia uditiva nei
bambini piccoli anche se rappresenta un test con
un rapporto costo-beneficio
vantaggioso per gli usi clinici di routine. Indubbiamente la sua affidabilità dipende
essenzialmente dall’età del bambino e dal suo sviluppo pico-motorio. In termini del tutto
generali si può affermare che è uno strumento diagnostico inadeguato come metodica di
screening neonatale. Successivamente a partire dai 6-8 mesi può fornire indicazioni
clinicamente utili, ma in genere insufficienti per una definizione della soglia a fini protesici.
Solo con l’instaurarsi di una collaborazione continuativa del bambino diventa la metodica
principale per una precisa valutazione della soglia con e senza protesi del bambino.
Essa richiede la capacità di interagire con il bambino nel rispetto dei tempi di attenzione e
delle procedure in grado di stimolarne la collaborazione al fine di ottenere un esame
attendibile (Diefendorf e Gravel, 1996; Renshaw e Diefendorf, 1998). L’audiometria
comportamentale necessità di una situazione logistica adeguata ad un bambino, di
personale altamente qualificato e con provata esperienza e di tempi di esecuzione che si
possono protrarre in varie sedute.
BOA Behavioral Observation Audiometry
L'audiometria comportamentale neonatale basata sull'osservazione delle reazioni allo
stimolo sonoro nel neonato e nel lattante fino ai cinque mesi di vita è considerata oggi una
metodica superata (JCIHS 2000) ed è stata oggi progressivamente sostituita da
procedure cliniche strumentali più affidabili come i potenziali evocati uditivi e le
otoemissioni acustiche.
VRA Visual Reinforcement Audiometry
I bambini normalmente, sviluppano la capacità di girare la testa verso una sorgente
sonora verso i 5-6 mesi di vita e questo comportamento è alla base dell'utilizzo della VRA.
Praticamente uno stimolo uditivo associato ad un rinforzo visivo provoca una risposta da
parte del bambino con localizzazione della sorgente sonora. Se il rinforzo è
sufficientemente efficace, la risposta sarà presente ad ogni ripetizione dello stimolo; come
suggeriscono Moore e Coll. (1977) l'utilizzo di soli toni puri e warble tones non attira in
modo costante l'attenzione del bambino, per cui è necessario ricorrere a rinforzi
gratificanti.
Il rinforzo è costituito da: giocattoli, stimoli in movimento, colori, cartoni animati, segnali
luminosi e qualsiasi gioco possa attrarre l'attenzione del bambino che abbiamo in esame.
Il successo della VRA è certamente in relazione al fatto che la risposta del bambino ed il
rinforzo devono essere adeguati al livello di sviluppo globale: cognitivo, motorio, visivo,
uditivo. Vanno ricordati a tale riguardo i normali tempi di maturazione della localizzazione
alla risposta uditiva (Fig. 13) riportati da Northern e Downs (1991).
Nella strategia di esecuzione dell'esame, la prima fase consiste nel processo di
condizionamento del bambino che può essere attuato con 2 modalità: 1) emissione di uno
stimolo sopra la soglia uditiva stimata associata ad un rinforzo visivo; 2) presentazione di
uno stimolo uditivo sopra la soglia stimata, osservazione della risposta spontanea del
bambino, seguita dall'attivazione del rinforzo.
Normalmente lo stimolo sopra soglia viene erogato a 30-50-70 dB, mentre in caso si
sospetti una perdita udtiva severa è necessario erogare uno stimolo iniziale di 90 dB o più
elevato.
La prima fase si conclude con il raggiungimento del condizionamento del bambino a
risposte consecutive.
Successivamente inizia l'esame vero e proprio in cui se la prima risposta è positiva
l'intensità dello stimolo sonoro successivo deve essere diminuita di 10 dB, in caso
contrario aumentata. Il test viene continuato fino a che viene raggiunto il criterio standard
di 4 presentazioni per ogni frequenza. La soglia (minima risposta udibile) viene poi definita
dalla media delle quattro presentazioni dello stimolo.
Una risposta affidabile alla VRA dipende dalla capacità di riconoscere le risposte "vere"
dai "falsi positivi" durante l'acquisizione della soglia.
Questo esame infatti presenta una certa variabilità nelle risposte ottenute in funzioni a
diversi fattori, tra i quali: età e condizionamento del bambino, situazioni di stress emotivo
dovuti all'ambiente, calibrazione del campo libero, esperienza del personale tecnico.
Comunque le soglie uditive ottenute nelle procedure VRA nei bambini tra i 6 e 12 mesi di
età hanno dimostrato una variabilità limitata a 10-15 dB rispetto a quelle ottenute in
bambini più grandi (Gravel e Wallace, 1998; Nozza e Wilson, 1984).
CPA Condition Play Audiometry
Nei bambini più grandi dopo i 2 anni e mezzo l'audiometria comportamentale continua ad
essere un approccio sempre più affidabile. Rispetto alla VRA cambia la risposta
comportamentale ed il rinforzo usato, ma alla base c'è sempre un rinforzo positivo alla
stimolazione sonora.
Nella Play Audiometry il bambino impara ad interagire in un'attività quando sente lo
stimolo test. Tali attività di gioco devono essere messe in relazione alle capacità del
bambino, allo sviluppo motorio ed ai suoi tempi di attenzione.
L'obiettivo nella Play Audiometry è quello di insegnare al bambino di aspettare, ascoltare
e solo successivamente rispondere al segnale. (Fig. 14)
Nella letteratura audiologica la Play Audiometry è ampiamente accettata come un
esame di utilizzo clinico di routine in audiometria infantile dopo i tre anni (Thompson e
Coll., 1989).
Valgono per la Play audiometry gli stessi presupposti citati nella VRA relativi alla abilità
del personale tecnico ed al condizionamento del bambino.
Con tale metodica è possibile ottenere un esame audiometrico completo con soglia
binaurale per via aerea ed ossea in grado di indirizzare l'iter diagnostico.
RIABILITAZIONE UDITIVA
L’applicazione di una protesi acustica, l’eventuale utilizzo di un impianto cocleare, nei casi
in cui l’ipoacusia è così grave che la protesi acustica si dimostra insufficiente, e la
abilitazione al linguaggio, attraverso la terapia logopedica sono i cardini terapeutici della
ipoacusia infantile.
Verranno ora esaminati più in dettaglio gli obiettivi del trattamento protesico, della terapia
logopedica ed i criteri che stanno alla base della scelta dell’impianto cocleare nel
bambino.
Obiettivi della protesizzazione acustica
La protesizzazione acustica nel bambino ha l'obiettivo di ripristinare la soglia uditiva a
livelli che permettano la percezione verbale e attraverso questa l’acquisizione e lo e lo
sviluppo del linguaggio.
Le informazioni audiometriche sulla base delle quali vengono stabiliti i parametri della
prima amplificazione protesica in un bambino derivano fondamentalmente dai test che
utilizzano i potenziali evocati. Sono sicuramente informazioni affidabili, che consentono di
applicare le protesi con sicurezza, ma però danno una immagine grossolana delle abilità
percettive del bambini. Per questo motivo la protesizzazione infantile deve considerarsi
come un processo longitudinale caratterizzato da progressive e sempre più precisi
adattamenti che verranno effettuati mano a mano che dal bambino si potranno ottenere
risposte più dettagliate sulla sua funzione uditiva (Cuda, 1994).
La scelta del tipo di apparecchio acustico
La tecnologia delle protesi acustiche si è notevolmente sviluppata negli ultimi 10 anni
permettendo di disporre di apparecchiature che consentono amplificazioni molto potenti,
fina a 60 dB di guadagno, dotate di sistemi di regolazione molto sofisticati. Le protesi
retroauricolari (Fig. 15).Sono infatti protesi molto duttili e quindi adatte alle successive
modifiche e adattamenti, robuste e soprattutto che consentono di arrivare in caso di
necessità a potenze molto elevate. Le protesi endoauricolari non sono indicate nei
bambini in primo luogo per le dimensioni ristrette del condotto uditivo, che non
consentono di applicare apparecchiature di potenza, e poi perché non garantiscono
potenze elevate, date le piccole dimensioni. Infine le protesi a scatola oggi si possono
considerare uno strumento ormai obsoleto, sostituito completamente da quelle
retroauricolari.
Nel bambino è importante verificare al più presto il guadagno della protesi in condizioni di
uso reale. La misura di guadagno protesico più importante è il "guadagno funzionale" che
si definisce come la differenza tra la soglia uditiva del bambino con e senza protesi.
Questa misura, rappresentativa del reale utilizzo dell'amplificazione protesica da parte del
bambino, deve essere ottenuta al più presto, ed è ovviamente soggetta alla variabilità e
affidabilità della audiometria comportamentale. Il processo di adattamento della protesi in
un bambino può essere lungo, svilupparsi in diversi mesi con controlli seriali nei quali in
base alla affidabilità e precisione dei dati audiometrici verranno modificati e affinati i
parametri di amplificazione fino a raggiungere la protesizzazione ottimale.
Si tenga presente che, a parte casi molto particolari e rari nei bambini, le protesi vanno
sempre applicate nelle due orecchie per consentire i vantaggi del processing uditivo
binaurale. Di norma se la diagnosi clinica è stata sufficientemente precisa ed accurata per
entrambe le orecchie, e quindi la prescrizione dei parametri di amplificazione corretta e
adatta alla perdita uditiva, non vi sono molti problemi per fare indossare e utilizzare le
protesi ad un bambino, che generalmente le accetta e in breve tempo le porta tutto il
giorno. E’ importante ovviamente che la famiglia sia collaborante, abbia accettato il
problema uditivo del bambino, inquadrando soprattutto le possibilità oggi offerte dalla
tecnologia protesica e non abbia preconcetti sul far indossare le protesi al figlio.
I rifiuti sono legati di solito a grossolane sotto o sovra-amplificazione, e non devono
essere sottovalutati. Rappresentano un importante segno clinico di un possibile errore
diagnostico e della necessità di eseguire indagini più affidabili.
Le misure di beneficio della protesizzazione acustica
Il processo di abilitazione protesica infantile ha come obiettivo quello di fornire al bambino
l'apporto di informazioni acustiche necessarie allo sviluppo della comunicazione verbale e
quindi tutte le informazioni sensoriali sulle componenti acustiche del parlato attraverso
una corretta amplificazione.
Le misure di beneficio protesico nel bambino piccolo presentano notevoli difficoltà dovute
in parte al tipo di abilità che vogliamo misurare (indice di efficacia), legate allo sviluppo
linguistico, ed in parte agli strumenti di cui disponiamo per misurare i risultati. Quest’ultimi
sono legati per lo più a risposte comportamentali che hanno spesso difficoltà di
interpretazione per le numerose variabili uditive ed extrauditive che intervengono.
La soglia uditiva amplificata consiste nel rilievo della soglia uditiva con la protesi acustica
allo scopo di verificare lo spettro acustico udibile dal bambino e la sua correlazione con il
riconoscimento del parlato. Il test viene eseguito in campo libero utilizzando toni modulati
o rumori a banda stretta.
La misura di elezione del beneficio protesico è però rappresentata dall'esecuzione di test
con con stimoli verbali, o test di percezione verbali. Il nostro gruppo ha realizzato per la
lingua italiana diversi test che indagano le abilità di percezione verbale di bambini
ipoacusici di diverse fasce d'età con appropriata amplificazione protesica (Arslan e Coll.,
1997). Questi test si sono rilevati utili per la descrizione e il monitoraggio nel tempo delle
capacità di discriminazione, identificazione e riconoscimento degli stimoli verbali per via
uditiva, oltre che per la programmazione della riabilitazione. Anche nelle migliori
condizioni però, al momento attuale, è difficile ottenere misure affidabili di percezione
verbale prima dei tre anni di età. In generale è difficile distinguere con precisione se le
abilità rilevate dipendono solo dalla reale capacità uditiva residua oppure se sono
condizionate anche da altri fattori extrauditivi. I diversi test attualmente disponibili sono
comunque molto utili nella valutazione delle performance relative alla percezione verbale
nel bambino nel tempo,e per confrontare l'efficacia di amplificazione acustica rispetto ad
un'altra.
Obiettivi della rieducazione logopedica
L'efficienza e la tempestività dell’intervento su una sordità pre-verbale non deve esaurirsi
nella identificazione precoce, nell'accurato iter diagnostico e nell'abilitazione protesica del
bambino, ma deve considerare la gestione dinamica del processo riabilitativo soprattutto
nel primo periodo di trattamento. Durante questo periodo infatti potranno essere prese
decisioni cruciali per lo sviluppo delle abilità linguistiche del bambino che condizioneranno
la presenza o meno di un handicap comunicativo per tutta la vita.
Alla luce delle possibilità di amplificazione acustica oggi possibili, in quanto la soglia
uditiva è sicuramente ripristinabile attraverso protesi acustiche ad elevata potenza o
impianto cocleare, anche le tecniche riabilitative nel bambino ipoacusico sono andate
modificandosi negli ultimi dieci anni. La stimolazione verbale associata allo sviluppo di
abilità comunicative accessorie, quali l'integrazione costante con la labio-lettura, l'utilizzo
della lingua dei segni, il ricorso a diverse metodiche accettate nell'ambito di una total
communication, oggi è definitivamente scomparsa a vantaggio di un training sempre più
specifico di tipo percettivo-verbale finalizzato all'acquisizione della comunicazione verbale,
entro tappe fisiologiche di sviluppo, necessaria per un normale inserimento nella scuola
dell'obbligo.
Il personale logopedico che si dedica alla riabilitazione del bambino ipoacusico oggi, deve
avere quindi una preparazione adeguata a questo iter riabilitativo, e deve mantenere
stretti contatti con lo specialista audiologo-foniatra per un'ottimale gestione della
protesizzazione che è frutto di vari aggiustamenti successivi a cui tutti devono collaborare.
Infatti è la logopedista che ha un contatto continuo e quotidiano con il bambino che è in
grado di monitorare e rilevare eventuali problemi di malfunzionamento nel presidio
protesico utilizzato.
Ovviamente anche gli altri operatori sanitari che collaborano all'iter diagnostico-riabilitativo
del bambino, e che spesso operano a livello territoriale, devono essere informati e
coinvolti nel programma riabilitativo in modo da fornire alla famiglia una continuità di
intervento necessaria soprattutto quando diverse figure sanitarie e scolastiche
intervengono sullo stesso bambino.
E' necessario comunque effettuare sempre un programma individuale che sia modulato
nel tempo, longitudinale, e monitorato attraverso l’utilizzo di strumenti diagnostici oggettivi.
Un altro fattore importante da non sottovalutare è l'ambiente in cui vive il bambino, non
solo in termini di rapporti interpersonali nell'ambito della famiglia, ma anche in termini più
specifici di coinvolgimento dei genitori nell'iter riabilitativo e di stimolazione linguistica in
grado di favorire l'apprendimento del linguaggio.
Il trattamento riabilitativo quindi deve essere concordato innanzi tutto con la famiglia e con
gli operatori territoriali, se il bambino viene rieducato in un luogo diverso da quello dove è
stata effettuata la diagnosi, e deve prevedere una precisa informazione circa: modalità,
tempi e mezzi riabilitativi utilizzati in accordo con le tappe evolutive del bambino.
Ovviamente l’efficacia del trattamento riabilitativo non può essere considerata
indipendentemente dagli obiettivi del trattamento stesso e gli obiettivi sono tanto diversi
quanto è eterogenea la popolazione dei bambini ipoacusici; questo presuppone che
dobbiamo effettuare un programma mirato alle esigenze del singolo bambino.
In generale comunque possiamo sintetizzare gli obiettivi che si pone un trattamento
logopedico dopo una protesizzazione precoce nello sviluppo delle seguenti abilità a
seconda delle diverse fasce di età, all'interno delle quali vanno stimolate attività
specifiche:
1. Sviluppo delle abilità percettive e sensoriali
-utilizzo costante dell'amplificazione acustica
-migliorare la percezione uditiva
-imparare ad utilizzare stimoli elettrici e tattili
-integrare le informazioni uditive, visive, elettriche e tattili.
2. Sviluppo delle abilità linguistiche:
-promuovere la relazione genitore-bambino
-sviluppare la comprensione di unità linguistiche e concetti progressivamente più
complessi
-aumentare l'acquisizione lessicale-semantica
-sviluppare le abilità verbali di supporto alle attività scolastiche
-favorire l'espressione spontanea e l'acquisizione delle regole pragmatiche, sintattiche e
semantiche
-sviluppare le abilità narrative
3.Sviluppo delle abilità fono-articolatorie:
-favorire la vocalizzazione con corretto utilizzo del tratto vocale
-aumentare il repertorio fonetico-fonologico
-stabilire una relazione tra percezione e produzione
-migliorare la voce e la prosodia
-migliorare l'intelligibilità del parlato
4. Sviluppo delle acquisizioni scolastiche:
-incrementare le abilità di letto-scrittura
-ottimizzare i livelli educativo-scolastici
5. Favorire la crescita emotiva e sociale
-stabilire un'accettazione della perdita uditiva
-ridurre l'ansia della famiglia
-promuovere lo sviluppo socio-relazionale del bambino.
Infine, come abbiamo ricordato precedentemente, molti sono i quadri sindromici in cui
un'ipoacusia neurosensoriale e/o trasmissiva compare come sintomo associato.
Tra le disabilità associate sia congenite che acquisite nei primi anni di vita, che rivestono
una particolare importanza, sono quelle relative alla presenza di altri deficit sensoriali o
cognitivi. In particolare un deficit visivo importante può compromettere il miglioramento
delle abilità comunicative in quanto il bambino non può utilizzare un importante canale
vicariante; l'eventuale associazione di un deficit cognitivo, nella maggior parte dei casi,
limita le possibilità di acquisizione linguistica.
In questi casi un'adeguata amplificazione acustica, fornita attraverso una protesi acustica
o l'impianto cocleare, anche se sfruttata in modo limitato, sarà di fondamentale
importanza per la vita di relazione. Quindi ancor più se ci troviamo di fronte a bambini con
disabilità associate va effettuato un programma abilitativo mirato ed individualizzato e si
ha la necessità di disporre di personale preparato ad affrontare l'iter riabilitativo in modo
adeguato.
La selezione all’impianto Cocleare
Gli impianti cocleari possono essere considerati una delle maggiori conquiste
tecnologiche degli ultimi anni in ambito biomedico. Basta pensare che l’udito è il primo
organo di senso ad essere sostituito da una protesi completamente artificiale con risultati
eclatanti ed indiscussi, che permettono agli utilizzatori il recupero della sensibilità uditiva
ed il ripristino della percezione di elementi linguistici.
Attraverso l'applicazione chirurgica di un elettrodo multicanale endococleare, l'impianto
cocleare permette di oltrepassare il ruolo della coclea deficitaria e stimolare direttamente
le fibre del nervo acustico con impulsi elettrici (Fig. 16).
Nel bambino con deficit cocleare profondo la scelta di un impianto cocleare è determinata
in gran parte dal grado di successo che il bambino dimostra con le protesi acustiche
convenzionali. In linea di principio vengono considerati candidati ad un impianto cocleare
tutti i bambini con una perdita neurosensoriale superiore ai 110 dBHL e anche molti
bambini con un deficit uditivo tra i 90 e i 110 in cui sia stato correttamente dimostrato uno
scarso beneficio protesico.
Ma il problema decisionale è molto più complesso in quanto intervengono due esigenze in
apparenza contrastanti.
La prima esigenza è la necessità di un intervento il più possibile efficace in tempo utile. La
seconda è la necessità, trattandosi di un intervento chirurgico con lesioni irreversibili della
coclea, di non fare un danno funzionale al bambino. Scelta quindi che deve avere un
contenuto etico e deontologicamente corretto che non può prescindere da informazioni
cliniche sufficienti ed esaustive.
Esaminiamo ora il primo aspetto, e cioè la disabilità nel bambino indotta da una perdita
uditiva.
Se viene a mancare la stimolazione uditiva o se abbiamo un ingresso acustico inadeguato
durante i primi anni di vita, periodo di massima plasticità cerebrale, il danno sarà
pressochè irreversibile e coinvolge in modo più o meno marcato tutti gli aspetti linguistici.
Infatti essi sono strettamente legati tra loro, ed una migliore percezione uditiva verbale
non influenza solo gli aspetti periferici legati al feed-back uditivo, come il controllo della
voce e dell’articolazione, ma anche le acquisizioni lessicali-semantiche e morfosintattiche.
Da qui la necessità di un intervento precoce che deve realizzarsi entro i 2-3 anni di vita.
In questo caso in base al rapporto tra efficienza della correzione protesica e processo
riabilitativo finalizzato alla acquisizione del linguaggio si possono verificare tre principali
situazioni :
1. La correzione è sufficiente alla percezione delle cues fonetiche ed allora non si
sviluppa alcuna deprivazione ed il processo segue la sua via fisiologica;
2. la correzione è buona ma insufficiente a coprire tutto il range di frequenza e intensità
delle “cues”. Questo deficit dell’analizzatore fonetico viene compensato durante il
processo riabilitativo da strategie e canali sensoriali accessori che permettono una
buona acquisizione linguistica; in questo caso l’unica disabilità indotta è la carenza
permanente nella efficienza dell’analizzatore fonetico. Nel caso di una successiva
correzione protesica più efficiente o nell’utilizzo di un IC si può rendere necessario un
periodo di riadattamento del sistema ad un ingresso acustico migliore, ma diverso.
3. La correzione protesica è insufficiente e l’analizzatore fonetico uditivo non si sviluppa.
Lo sviluppo del linguaggio in Ear. In: Northern Downs, ed. Hearing in Children. William
& Wilkins Press, 98-99, questo caso dipende solo dalle strategie riabilitative. Da un
lato l’abilitazione linguistica può avvenire indipendentemente dal sistema uditivo
attraverso la comunicazione gestuale. All’opposto l’analizzatore fonetico viene
sviluppato su ingressi vicarianti come la vista e il tatto.
In termini di disabilità indotta dalla mancanza dell’analizzatore fonetico le due ultime
situazioni sono praticamente uguali; in termini di handicap invece sono evidenti le
limitazioni nell’utilizzo di modalità comunicative limitate solo a poche persone. Nell’ipotesi
di ripristinare tramite un IC l’ingresso acustico in queste situazioni le difficoltà ed i risultati
attesi possono considerarsi sovrapponibili e quindi l’IC, se applicato in tempo utile, è il
solo mezzo disponibile per ridurre la parte più importante delle disabilità indotte dalla
sordità preverbale.
Ecco quindi come oggi la efficienza e la tempestività dell’intervento su una sordità preverbale non deve esaurirsi nella identificazione, diagnosi e abilitazione protesica del
bambino, ma anche nella gestione dinamica del processo riabilitativo soprattutto nel primo
periodo di terapia. Durante questo periodo infatti potranno essere prese decisioni cruciali
per lo sviluppo delle abilità linguistiche del bambino che condizioneranno la presenza o
meno di un handicap comunicativo per tutta la vita. Inoltre la decisione se modificare la
strategia protesica con l’utilizzo di un IC deve rispettare il più possibile le tappe di
maturazione del SNC, a patto di non ridurre l’efficienza di utilizzo dell’IC, e quindi alla fine
anche le abilità linguistiche finali.
Dai presupposti finora analizzati deriva il problema etico decisionale. Da un lato occorre
decidere in tempo utile e dall’altro lato occorre acquisire le informazioni cliniche a
supportare la scelta chirurgica. Infatti il vero punto cruciale è essere consci che
l’inserimento dell’IC nella coclea comporta una lesione permanente del recettore e la
perdita totale della funzione uditiva residua. Alla base vi deve essere la certezza clinica
individuale che quel bambino con l’amplificazione acustica ottimale non è in grado di
avviare una normale acquisizione linguistica.
Certi di questo passaggio il resto dei criteri decisionali è più semplice. In primo luogo le
controindicazioni mediche e chirurgiche all’intervento sono oggi limitate realmente a
poche evenienze e così il rischio chirurgico ed anestesiologico approssimabili ad un
qualsiasi intervento di routine.
Criteri invece di politica sanitaria e ci riferiamo al caso di liste di attesa o di parametri di
priorità per forniture limitate, rientrano nelle normali strategie di gestione della singole
Regioni o Aziende Sanitarie. Infine sono da considerare anche criteri aggiuntivi che sono
invece tipici del funzionamento di ogni singolo gruppo che si dedica agli IC e che quindi
sono appropriati alle competenze e risorse che il gruppo stesso possiede; in questo senso
la situazione emblematica è considerare o meno la possibilità di gestire per un IC bambini
con handicap associati.
Al momento attuale dobbiamo quindi considerare il problema etico dell’impianto cocleare
in età pediatrica in termini di rapporto tra benifici e rischi, e questo è, a nostro avviso,
decisamente a favore dei primi, come supportato da diversi Autori: Geers e Moog (1994),
Mc. Cormick e Coll. (1994), Tyler (1995).
Strategia diagnostica.
Abbiamo visto come la fase di selezione sia considerata la procedura più delicata ed il
punto chiave di tutta la applicazione di un IC ad un bambino. Ma occorre però ricordare
che, nonostante la peculiarità delle decisioni e delle procedure che gli IC comportano,
l’inserimento di un impianto costituisce solo un anello nell’ambito dell’intero iter
diagnostico e riabilitativo della sordità infantile.
Nello schema (Fig. 17)è riportato il flusso che un bambino che nasce oggi con una
ipoacusia congenita dovrebbe teoricamente subire. Vi sono essenzialmente tre fasi
successive, caratterizzate ciascuna da specifici obiettivi e quindi anche da proprie logiche
decisionali. Prima della decisione finale però occorre vengano rispettati e garantiti i
requisiti di base e cioè:
1. acquisire informazioni cliniche affidabili e sufficienti a gestire tutti gli stadi decisionali;
2. che sia trascorso un tempo sufficiente a garantire la completezza del percorso
diagnostico;
3. che la decisione sia sufficientemente tempestiva per impedire l’instaurarsi di un
processo di deprivazione sensoriale irreversibile.
Tempo sufficiente e tempestività sono ovviamente due requisiti contrastanti ma è proprio
nell’equilibrio, nella esperienza dell’equipe e nella validità dei test utilizzati che sta alla fine
la qualità e la bontà del percorso decisionale.
La valutazione clinica finale e la scelta se utilizzare l’IC in un bambino si compie quindi
solo a questo punto, quando sono disponibili informazioni affidabili e precise sull’entità
dell’ingresso acustico del bambino (guadagno funzionale) e sviluppo delle abilità
percettive linguistiche, valutate ovviamente in base all’età del bambino e al tempo e
qualità della riabilitazione effettuata.
La precocità e la qualità di intervento in caso di ipoacusia severa e profonda congenita
giocano un ruolo importantissimo nell'abilitazione uditiva di un bambino. Una corretta
protesizzazione acustica associata ad un corretto iter abilitativo avviati entro i primi mesi
di vita utilizzano infatti al meglio la plasticità delle vie uditive centrali e offrono un duplice
vantaggio: sfruttano appieno le potenzialità uditive e linguistiche di un bambino e possono
garantire un'applicazione precoce in caso di successiva scelta di impianto cocleare.
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FIGURE E TABELLE
Tabella 1
Classificazione ANSI (American National Standards Institute): Hearing Handicap as a
Function of Average Hearing Threshold Level of the Better Ear.
Average Threshold
Level at 500-2000 Hz
(ANSI)
Description
0-15 dB
Normal Range
16-25 dB
Slight hearing loss
26-40 dB
41-65 dB
Mild hearing loss
Moderate hearing
loss
Severe hearing loss
66-95 dB
96 + dB
Profound hearing
loss
Common Causes
What Can Be Heard
Without Amplification
All Speech sound
Degree of Handicap
(Il Not Treated in
First Year of life)
None
Probable Needs
None
Possible mild or
transitory auditory
dysfunction
Difficulty in
perceveing some
speech souns
Consideration of need for
hearing aid
Lip reading
Auditory training
Speech therapy
Preferenzial seating
Appropriate surgery
Auditory learning
Hearing aid
Hears omly some of
Serous otitis,
dysfunction
Lip readimg
speech sounds the louder
perforation,
Mild language
Auditory training
voiced sounds
tympanosclerosis,
retardation
Speech therapy
monomeric
Mild speech problems
Appropriate surgery
membrane,
Inattention
Speech problems
Language retardation
All of the above plus
Misses most speech
Sensorineural loss
Learning dysfunction considration of special
sounds at normal
Chronic ptitis, middle
Inattention
classroom situation
conversatinal level
ear anomaly,
sensorineural loss
Vowel sounds
Serous otitis,
Heard clearly, may miss
Perforation,
unvoiced consonant
monomeric
sounds
membrane,
sensorineural loss,
timpanosclerosis
Severe speech
All of the above; probable
Sensorineural loss or Hears no speech sound of
problems Language
assigment to special
normal convesations
mixed loss due to
reatardation
classes
sensorineural loss
Learning dysfunction
plus liddle ear
Inattention
disease
Severe speech
All of the above; probable
Sensorineural loss or Hears no speech or other
problems Language
assigment to special
suonds
mixed
reatardation
classes
Learning dysfunction
Inattention
Tabella 2
Prevalenza delle ipoacusie infantili nella Regione di Trent dal 1985-90.
Prevalence rate per 100 000 live births of
PCHI
dB HL
PTA (0.5-1-2)
Total
N
Congenital
(84%)
Prev
>40
487
> 50
403
40 - 50
84
23
51 - 69
186
70 - 94
104
≥ 95
113
%
N
133
100
(1/751) %
110
(1/909) 83%
Acquired
(16%)
Prev
%
409
N
Prev
%
112
100
(1/896) %
331
90
(1/1107) 19%
78
17%
78
21
19%
6
2
8%
51
38%
158
43
38%
28
8
36%
28
22%
85
23
20%
19
5
24%
31
23%
(1/3242)
88
24
22%
25
72
21
100
(1/4698) %
20
(1/5090) 92%
7
32%
(1/14659)
Trent UK; birth cohort 1985-1990. Number of live births 366 480
Fortnum and Davis, B.J.A.
1997
Tabella 3
Incidenza delle ipoacusie infantili in base all’eziologia nella Regione di Trent negli anni
1985-1993.
Clinical or developmental problems in addition to PHI
Total Number
% Total
% Affected
% Only one
253
38.7%
100%
-
Visual
62
9.5%
19.8%
19.4%
Neuro-motor
50
7.7
19.8%
16.0%
Cerebral
74
11.3%
29.2%
21.6%
Cognitive
91
13.9%
35.9%
22.0%
CFA
78
11.9%
30.8%
37.2%
Other
Systemic
Syndrome
86
13.2%
34.0%
34.9%
89
13.6%
35.2%
-
Any problem
NICU history sgnificantly raises odds of another problem of 3.6 (ci 2.5-5.1)
Modified from Fortnum and Davis, B.J.A. 1997
Tabella 4
Patologie associate alla ipoacusia infantile
Classification of aetiology of hearing impairment
Aetiology
Total
Congenital
(85%)
Acquired
(15%)
Genetic
259 (39.7%)
237 (42.6%)
22 (23.1%)
Prenatal
24 (3,7%)
23 (4.1%)
1 (1.0%)
Perinatal
44 (6.7%)
43 (7.7%)
1 (1.0%)
Postnatal acquired
40 (6.1%)
-
40 (41.2%)
CFA
8 (1.2%)
8 (1.4%)
-
Other
11 (1.7%)
8 (1.4%)
3 (3.0%)
267 (40.9%)
237 (42.6%)
30 (30.9%)
653
556
97
Missing
Total
Trent UK; birth cohort 1985-1993. Number of live births 552 558
Fortnum and Davis, B.J.A.
1997
Figura 1
Potenziali evocati uditivi evocati da una stimolazione impulsiva nell’uomo. L’asse delle
ascisse è riportato in scala logaritmica.
Figura 2
Risposta ABR evocata da click in una bambina normoacusica dell’età di 2 anni. L’onda V
risulta identificabile fino a 20 dB nHL.
Figura 3
Risposta ABR evocata da click in un bambino di 3 anni con ipoacusia trasmissiva. L’onda
V (indicata dalle frecce) appare incrementata di latenza alle varie intensità dello stimolo a
cui viene riconosciuta. La funzione intensità-latenza dell’onda V appare traslata verso
destra rispetto alla funzione normale.
Figura 4
Risposta ABR evocata da click in un bambino di 4 anni con ipoacusia neurosensoriale.
L’onda V (indicata dalle frecce) mostra valori di latenza prossimi a quelli normali, come è
possibile rilevare anche dall’analisi della funzione intensità-latenza.
Figura 5
Schema che illustra la posizione dell’elettrodo ad ago nell’orecchio medio nel corso della
registrazione dell’elettrococleografia transtimpanica.
Figura 6
Nella parte superiore della figura sono riportati i tracciati elettrococleografici ottenuti in
risposta a click presentati all’intensità di 120 dB peSPL, rispettivamente in condensazione
e in rarefazione. Attraverso la media di tali tracciati, sono state ricavate le risposte
riportate nella parte inferiore della figura. Sono identificabili il potenziale di azione del
nervo, su cui si inscrive il potenziale di sommazione, e il potenziale microfonico.
Figura 7
Potenziale di azione e microfonico cocleare ottenuti in un soggetto normoacusico a
intensità di stimolazione decrescenti.
Figura 8
Potenziale di azione del nervo e risposta ABR ottenuti in un bambino di 2 anni con
ipoacusia neurosensoriale. Si noti la presenza di una risposta neurale
nell’elettrococleografia fino a 70 dB nHL e l’assenza dell’onda V nell’ABR alla massima
intensità di stimolazione.
Figura 9
Potenziale di azione e microfonico cocleare ottenuti a intensità di stimolazione decrescenti
in un bambino di un anno con ipoacusia trasmissiva. La risposta neurale appare
incrementata di latenza alle varie intensità dello stimolo rispetto al normale.
Figura 10
Potenziale di azione e microfonico cocleare ottenuti a intensità di stimolazione decrescenti
in un bambino di 3 anni con ipoacusia neurosensoriale. La risposta neurale mostra valori
di latenza prossimi a quelli normali alle intensità alle quali risulta identificabile.
Figura 11
Potenziale di azione ottenuto a intensità di stimolazione decrescenti in un soggetto con
ipoacusia neurosensoriale e configurazione tonale in discesa. La risposta neurale mostra
valori di latenza aumentati rispetto a quelli normali. A destra vengono riportate insieme
alla funzione normale, le funzioni intensità-latenza di diversi soggetti affetti da ipoacusia
neurosensoriale con perdita prevalentemente localizzata alle frequenze acute.
Figura 12
Confronto tra la risposta neurale e il microfonico cocleare ottenuti rispettivamente in un
soggetto normale e un bambino normoacusico affetto da autismo. Si noti come l’ampiezza
appaia consistentemente maggiore per le due categorie di potenziali nel soggetto
autistico.
Figura 13
Tempi di maturazione della localizzazione alla risposta uditiva da Northern e Downs
(2001).
Figura 14
Schema di attuazione della CPA (Condition Play Audiometry)
Figura 15
Protesi retroauricolare
Figura 16
Componenti interne ed esterne di un impianto cocleare.
Figura 17
Schema di flusso del processo diagnostico-riabilitativo di selezione ad un impianto
cocleare nel bambino.
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Dott.ssa ELISABETTA GENOVESE
Laureata in Medicina e Chirurgia a Verona, specializzata in Foniatria e in
Otorinolaringoiatria a Ferrara
Ha ricoperto incarichi annuali di Professore a Contratto presso la Scuola per
Tecnici di Logopedia e presso le Scuole di Specializzazione in Foniatria ed
Audiologia dell’Università di Ferrara, presso il Corso di laurea in Medicina e presso
la Scuola di Specializzazione in Otorinolaringoiatria dell’Università di Sassari,
presso la Scuola di Logopedia, il Diploma Universitario in Logopedia ed il Diploma
Universitario in Tecnico Audiometrista dell’Università di Padova, i Corsi di Laurea
in Audiometria ed Audioprotesi.
Svolge attività a tempo pieno presso il Servizio di Audiologia e Foniatria
all’Ospedale di Treviso.
Attualmente ricopre il ruolo di Professore Associato in Audiologia e Foniatria
presso l’Università di Modena
Fa parte del Consiglio Direttivo della Società Italiana Medici Audiologi e Foniatri