Masone amministrazione sostegno

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Masone amministrazione sostegno
CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA
Ufficio per gli incontri di studio
Incontro sul tema:
“Il punto sull’amministrazione di sostegno a otto anni dall’entrata in vigore
della legge 6/2004” (Roma 16 -18 gennaio 2012)
Istruzione e competenza nel procedimento di sostegno
di Roberto Masoni, giudice del Tribunale di Modena
Sommario: 1. Le disposizioni procedurali sull’amministrazione di sostegno. - 2.
Competenza per materia e territorio. - 2.1. Beneficiario non residente in Italia. - 2.2. A.D.S.
e poteri consolari. - 2.3. Pronunzia di incompetenza. - 3. Esame ed ascolto del disabile. - 3.1.
Funzione dell’ascolto. - 3.2 Omissione dell’audizione. - 3.3. Una prassi curiale. - 3.4.
Modalità di espletamento. - 3.5. La presenza del P.M. - 3.6. Prova delegata. - 3.6. Le
necessarie informazioni. - 4. Principio inquisitorio.
A Guido Stanzani
2
1. Le disposizioni procedurali sull’amministrazione di sostegno
Il procedimento di nomina dell’amministratore di sostegno trova disciplina di governo nel
codice civile (artt. 404, 405, 406 e 407) ed in quello di procedura (art. 720 bis).
In termini sintetici e riassuntivi emerge che il procedimento è semplificato e gli snodi
processuali sono deformalizzati, ridotti al minimo indispensabile; lo stesso è dominato dall’impulso
officioso, cosicché dopo la sollecitazione iniziale di parte, tutto procede automaticamente, senza
necessità di un ulteriore stimolo; il provvedimento conclusivo non ha veste formale di sentenza ma
è un agile decreto (da pronunziare nei successivi sessanta giorni dalla presentazione del ricorso; art.
405, 1° comma., c.c.).
La disciplina di governo del procedimento non è unicamente contenuta nel codice
sostanziale, dal momento che una disposizione della procedura, sotto la rubrica “Norme applicabili
ai procedimenti in materia di amministrazione di sostegno”, rinvia in termini generali alla
disciplina dettata per il processo di interdizione ed inabilitazione, per quanto nei limiti della
compatibilità (“ai procedimenti in materia di amministrazione di sostegno si applicano, in quanto
compatibili, le disposizioni degli artt. 712, 713, 716, 719 e 720. Contro il decreto del giudice
tutelare è ammesso reclamo alla corte d'appello a norma dell'art. 739. Contro il decreto della corte
d'appello pronunciato ai sensi del secondo comma può essere proposto ricorso per cassazione”: art.
720 bis c.p.c., inserito dall’art. 17, 2° co., l. 9 gennaio 2004, n. 6).
Da un punto di vista storico la prima bozza Cendon scarsa attenzione prestava ai profili
processuali dell’amministrazione di sostegno, dato che lo sviluppo dinamico dell’intero
procedimento era compendiato in una sola previsione contenuta nell’art. 17 intitolata al
“Procedimento”, una disposizione assai succinta oltre che lacunosa.
In essa si precisava che, “ove possibile”, il giudice doveva sentire l’interessato, far luogo alla
nomina di un consulente tecnico “quando le condizioni della persona lo richiedano”, consultare i
soggetti indicati dal 4° co dell’art. 407 e disporre, anche d’ufficio “i mezzi istruttori utili ai fini del
giudizio, interrogare i parenti prossimi del disabile e assumere le necessarie informazioni”.
En passant, si chiariva che il procedimento apparteneva alla giurisdizione volontaria1.
Solo nel corso dei lavori preparatori della legge le lacune riscontrabili nella disciplina
processuale sono state in larga misura colmate, peraltro spalmando la disciplina procedurale tra
codice civile e codice di rito; in tal modo, però suscitando molteplici interrogativi cui non è agevole
fornire convincente risposta.
1
Cendon, Infermi di mente e altri disabili in una proposta di riforma del
codice civile, in Giur. it., 1988, IV, 123.
3
La regola di rinvio generale rinvenibile nell’art. 720 bis c.p.c. venne introdotta nel corso dei
lavori parlamentari di approvazione della l. n. 6 del 2004, da parte della Commissione Giustizia del
Senato, su proposta del relatore, sen. Zancan, nella seduta del 20 dicembre 2001. Il dato normativo
evidenzia che le regole dettate per il processo di interdizione e inabilitazione richiamate nei limiti
della compatibilità per la disciplina del procedimento di amministrazione di sostegno troverebbero
giustificazione secondo parte della dottrina nella “profonda affinità” intercorrente tra procedimento
di interdizione e procedimento di amministrazione.
Uno dei primi studiosi dei profili processuali della legge all’epoca ancora in itinere, ad un
convegno romano tenutosi il 20 giugno 2002 su “Capacità ed autonomia delle persone”, spiegava
che: “tale scelta riflette la sostanziale identità dell’oggetto e degli scopi dei due procedimenti,
un’identità che trova punti di significativa divergenza quasi soltanto nella forma del provvedimento
conclusivo e nella disciplina dei gravami: una sentenza appellabile, nell’interdizione: un decreto
reclamabile nell’amministrazione di sostegno, ma l’uno e l’altro inseriti in una rete procedimentale
che conosce la suprema garanzia del ricorso per cassazione”2 .
In forza di questa premessa teorico-metodologica, la disciplina procedimentale venne
collocata in due testi normativi distinti, il codice civile e quello di procedura, scarsamente chiara ed
ancora meno coerente, suscitando nell’interprete un’impressione di disordine, pressappochismo e
scarsa coerenza sistematica3. L’originario disinteresse legislativo per gli assetti processuali
dell’amministrazione di sostegno era riscontrabile sin dalla bozza primigenia, la quale, però, per
quanto eccessivamente stringata, non suscitava gli interrogativi che la disciplina vigente suscita
nell’interprete.
Le prime applicazioni giurisprudenziali del nuovo istituto, in forza di queste premesse
metodologiche, avevano evidenziato l’omogeneità strutturale e funzionale che intercorrerebbe tra
amministrazione ed interdizione; omogeneità riscontrabile, tanto sotto il profilo processuale, quanto
sotto quello sostanziale4.
2
Tommaseo,
Il
procedimento
di
ammissione
dell’amministrazione
di
sostegno,
Quaderni Famiglia, n. 1, (a cura di S. Patti), Milano, 2002, 144; ID, La
disciplina processuale dell’amministrazione di sostegno, Quaderni Familia, n. 4,
(a cura di S, Patti), 2005, 184.
3
Chizzini, in Bonilini e Chizzini, L’amministrazione di sostegno, Padova, 2007,
2° ed., 377, si limita a parlare, usando un evidente eufemismo, di “disposizioni
un poco scomposte”; Tommaseo, in Bonilini e Tommaseo, Dell’amministrazione di
sostegno (Il codice civile Commentario), Milano, 2008, 111, a sua volta, parla
di “disciplina processuale di non felice fattura”.
4
Si veda, ad es., App. Milano 11 ottobre 2005, in Giur. it., 2006, 1161 e 1611.
4
Peraltro, la Corte regolatrice, riecheggiando una diversa impostazione dogmatica5, ha posto
in luce la radicale novità sostanziale e procedurale del nuovo istituto, in alcun modo assimilabile
alle vecchie forme di protezione: “la l. n. 6 del 2004 ha introdotto un istituto la cui disciplina
presenta caratteristiche che lo distinguono, e lo contrappongono, nella sua stessa essenza
ontologica, alle altre figure di "protezione degli impediti ad agire" ed ai corrispondenti modelli
procedimentali già presenti nel nostro ordinamento positivo e rimasti peraltro in vigore”6.
In proposito, evidenziando ancora che ”sul piano del "modello del procedimento" relativo
all'amministrazione di sostegno si individuano precetti che - mentre sono sicuramente armonici e
coerenti al nuovo istituto - risultano del tutto antinomici rispetto al pregresso sistema processuale ed
alla sua ricostruzione da parte della dottrina e della giurisprudenza”7.
L’assetto normativo che risulta appare assai variegato e ricco di ambiguità sotto il profilo
procedurale anche perché se non sembra consentita un’assimilazione tra procedimento di nomina
dell’amministrazione e quello di interdizione ed inabilitazione, il legislatore ha omesso di
richiamare in via diretta le disposizioni che reggono i procedimenti camerali (artt. 737 e seg. c.p.c.),
fatta eccezione per la disciplina del reclamo richiamata dall’art. 720 bis, 2° comma, c.p.c.8.
In realtà, appare maggiormente adeguata alle finalità perseguite dalla riforma del 2004 ed
alla ratio legis che ha presieduto all’introduzione del nuovo sistema di protezione,
un’interpretazione che tenda “ad accentuare e adeguatamente svolgere i profili di autonomia e
specificità del nuovo procedimento per l’amministrazione di sostegno, evitando al massimo di
5
Scrivemmo che: “la distanza che separa l’istituto dell’amministrazione di
sostegno da quello dell’interdizione appare siderale ed è incolmabile. Si tratta
di discipline giuridiche appartenenti a mondi lontanissimi, frutto di concezioni
filosofiche dei valori umani molto distanti tra loro, espressione di fasi di
sviluppo della coscienza collettiva diversi; l’una rappresenta ormai il passato,
l’altra, il presente ed il futuro, oltre che la sensibilità dell’uomo moderno. I
due
mondi
sono
inconciliabili,
nonostante
gli
aggiustamenti
compiuti
dal
legislatore del 2004 per addolcire gli aspetti più arcigni ed anacronistici
dell’interdizione” (Masoni, Amministrazione di sostegno ed onere del patrimonio: primi contrasti tra le corti,
in Giur. it., 2006, 1614).
6
Cass. 29 novembre 2006, n. 25.366, in Guida dir., 2006, n. 49, 36 ss.; in
Giust. civ. 2006, 2685; Riv. not., 2007, 486.
7
8
Cass. 29 novembre 2006, n. 25.366 cit.
Chizzini, op. cit., 375; Punzi, Il processo civile sistemi e problematiche,
Torino, 2010, II° ed., III, 119. Per la convincente dimostrazione della scarsa
rilevanza concreta del richiamo generale contenuto nell’art. 720 bis c.p.c., si
vedano ancora le considerazioni di Chizzini, op. cit., 382-384.
5
ricalcare gli stereotipi, invero, un poco obsoleti, del processo di interdizione”9, ossia, quella
consistente nel dotare il disabile di un supporto gestionale in grado di sopperire alle sua incapacità
gestionale “con la minor limitazione possibile della capacità di agire”.
Per sopperire alle esigenze minime della quotidianità del beneficiario lo strumentario
rigido, formale e burocratico del processo ordinario a cognizione piena, quale quello avente
ad oggetto interdizione ed inabilitazione (artt. 712-720 c.p.c.), destinato a pervenire ad una
pronuncia di status idonea al passaggio in giudicato, nella maggior parte dei casi male si
sarebbe attagliato10.
Viceversa, le cadenze flessibili della procedura camerale appaiono maggiormente
funzionali alla finalità cui tende il procedimento diretto a “tutelare, con la minor limitazione
possibile della capacità di agire, le persone prive in tutto o in parte di autonomia
nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana” (come si esprime l’art. 1 della l. n. 6
del 2004, che indica quale ne sia lo scopo essenziale) destinato a concludersi con un agile
decreto, provvedimento sempre modificabile e revocabile col mutare delle esigenze del
beneficiario, omogeneamente a quanto è riscontrabile in tema di procedimenti in camera di
consiglio (art. 742 c.p.c.).
2. Competenza per materia e territorio
La competenza (per materia) per la nomina dell’amministratore di sostegno è
demandata al giudice tutelare, un organo giurisdizionale monocratico presente in ogni
tribunale (art. 344 c.c.), impersonato da un giudice dell’ufficio, tabellarmente proposto
all’espletamento delle funzioni tutelari.
La competenza per territorio è radicata avanti al giudice del “luogo in cui (la
persona) ha la residenza o il domicilio” (art. 404 c.c.).
La competenza del giudice del luogo di residenza o domicilio del disabile
(similmente alla regola dettata per i processi di interdizione ed inabilitazione; art. 712 c.p.c.)
indica che quelli indicati sono fori alternativi che “operano a prescindere dal contenuto
specifico del provvedimento richiesto, patrimoniale o non patrimoniale”11.
9
10
Chizzini, op. cit., 377.
Masoni, Il procedimento di sostegno in L’amministrazione di sostegno, (a cura
di Masoni), Rimini, 2009, 462.
11
Chizzini, op. cit., 398 e nota 64.
6
Dato che la legittimazione attiva è riconosciuta pure al P.M. il quale può quindi
rivestire veste di attore del procedimento ed in difetto di azione deve intervenire in giudizio
(artt. 406 e 407 c.c. e 70, n. 1, c.p.c.)12, la competenza territoriale è inderogabile (art. 28
c.p.c.). Pertanto l’eventuale incompetenza è rilevabile anche d’ufficio da parte del giudice
(seppur “non oltre l’ udienza di cui all’art. 183”13: art. 38, 3° comma, c.p.c., novellato).
Agli effetti della competenza per territorio sembra assumere rilevanza la residenza
effettiva della persona, a prescindere dalle risultanze anagrafiche14 e così adottando un
criterio analogo rispetto a quello enucleato per il processo di interdizione15.
La residenza viene individuata nel luogo di dimora abituale della persona (art. 43, 2°
comma, c.c.).
Data la palese diversità di presupposti, non è applicabile per analogia al beneficiario
dell’amministrazione il criterio dettato per l’individuazione del domicilio del minore e
dell’interdetto, rinvenibile presso la propria famiglia, ovvero, presso il tutore (art. 45, 2° e
3° comma, c.c.)16.
In sostanza, “il domicilio del beneficiario dell’assistenza e di sostegno si determina
alla stregua dell’ordinario criterio di cui al primo comma dell’art. 43 c.c.”17, come aveva
suggerito la dottrina18, perchè “il domicilio di una persona è nel luogo in cui essa ha
stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi” (art. 43 c.c.).
Si precisa che, diversamente dalla residenza, per il domicilio viene in rilievo non solo
il dato obiettivo (risultante dai registri anagrafici) ma anche quello soggettivo “del
12
Tommaseo, La disciplina processuale cit., 196 e nota 46; Chizzini, op. cit.,
398.
13
Tale tipologia di udienza non è evidentemente rinvenibile nel procedimento di
sostegno.
14
Per
questa
soluzione
e
per
la
conseguente
declaratoria
di
incompetenza
territoriale del g.t., Trib. Vercelli 26 luglio 2005, in www.personaedanno.it.
15
In giurisprudenza, Cass. 22 ottobre 1991, n. 11241. Per la dottrina, Napoli,
L’infermità di mente l’interdizione, l’inabilitazione, Milano, 1995, 2° ed.,
158; Campese, Il giudice tutelare e la protezione dei soggetti deboli, Milano,
2008, 368.
16
Chizzini, op. cit., 399. Contra Tommaseo, La disciplina processuale cit., 196
17
Cass., 16 novembre 2007, n. 23.743, ord.
18
Chizzini, op. loc. cit.
7
volontario stabilimento in un determinato luogo della sede principale dei suoi affari ed
interessi”19.
Non modifica pertanto il domicilio del beneficiario (e non incide quindi sulla
competenza territoriale del g.t.) la circostanza che la persona sia stata internata in
manicomio giudiziario (che si trovi in luogo diverso rispetto al domicilio), dal momento che
l’internamento non riposa su un fatto volontario posto in essere dall’interessato20.
L’inapplicabilità del criterio dettato dall’art. 45, 2° e 3° comma, c.c., a sua volta
preclude l’applicazione analogica della regola contenuta nell’art. 343, 2° comma, c.c., che
prevede il trasferimento della tutela, con decreto del Tribunale, “se il tutore è domiciliato o
trasferisce il domicilio in altro mandamento”21.
Può peraltro ipotizzarsi che il trasferimento del domicilio dell’amministratore di
sostegno in luogo lontano rispetto a quello di residenza o domicilio dell’amministrato, il
quale permanga immutato, renda accoglibile la richiesta di sostituzione dall’incarico per via
della difficoltà di espletamento dell’ufficio.
Se, in seguito all’apertura dell’amministrazione di sostegno, il disabile trasferisce la
residenza in altra circoscrizione di tribunale sorge il dubbio se il fascicolo processuale vada
trasferito all’ufficio tutelare di nuova residenza.
Seppur in difetto di specifica ed espressa disciplina positiva, appare opportuno il
trasferimento del fascicolo dell’amministrazione di sostegno già aperta (per i successivi
interventi), onde garantire la prossimità tra g.t. ed amministrato22; tale binomio dovrebbe
costituire garanzia per un proficuo controllo nella gestione della misura.
Da parte di Cendon e Rossi23 si evidenzia “l’opportunità che il fascicolo continui a
viaggiare insieme al beneficiario, come una sorta di bagaglio a mano, sempre a fianco
dell’interessato”.
La persona interessata al procedimento può essere un minore emancipato, ovvero, un
minore nell’ultimo anno della minore età (art. 405, 2° comma, c.c.). E’ tempo di chiedersi a
19
Cass. 14 gennaio 2008, n. 558, in Fam. pers., 2008, 1156; in Guida dir., 2008,
n. 3, 55.
20
Cass. 14 gennaio 2008, n. 558, in Fam. pers., 2008, 1156; in Guida dir., 2008,
n. 3, 55
21
Cass., 16 novembre 2007, n. 23.743, ord.
22
Campese, op. cit., 368-369 e nota 8. In giurisprudenza, in tal senso, Trib.
Vercelli 28 aprile 2005, in www.personaedanno.it; Trib. Arezzo 7 febbraio 2011,
in www.dejure.it
23
Cendon, Rossi, Amministrazione di sostegno, Torino, 2009, 573.
8
quale ufficio giudiziario vada riconosciuta in tale ipotesi la competenza per l’apertura
dell’amministrazione di sostegno.
Con riferimento all’interdizione ed all’inabilitazione, la scienza giuridica affermava
che la competenza spettasse al tribunale dei minorenni, come risulta del resto espressamente
dalla disciplina codificata (art. 40 att. c.c.)24.
Viceversa, coll’apertura del procedimento di amministrazione prevale l’opinione
favorevole a radicarne la competenza pur sempre innanzi al tribunale (ordinario) 25.
Soluzione condivisibile se solo si consideri che la competenza per materia del
Tribunale dei Minorenni non riveste carattere generale, restando circoscritta a specifici affari
ex lege attribuiti (artt. 38, 39, 40 att. c.c.). Pertanto, in difetto di specifica attribuzione
normativa in materia di amministrazione di sostegno di minori, nella specie mancante,
riemerge la competenza generale del tribunale (ordinario) (art. 9 c.p.c.) e perciò del giudice
tutelare26.
Se il ricorso avanzato ai sensi dell’art. 404 c.c. concerna persona interdetta o inabilitata
“… il medesimo è presentato congiuntamente all’istanza di revoca dell’interdizione o
dell’inabilitazione davanti al giudice competente per quest’ultima” (art. 406, 2° co., c.c.).
La disposizione precisa che il ricorso congiunto va rivolto al “giudice competente” per
la revoca dell’interdizione o dell’inabilitazione, e, perciò, al tribunale di residenza o
domicilio dell’interdetto (art. 404 c.c.).
2.1. Beneficiario non residente in Italia
Se la persona del cui procedimento si tratta, per quanto di cittadinanza italiana, non abbia
residenza o domicilio in Italia, ovvero, se ne ignori la residenza, secondo un’interpretazione
sarebbe applicabile per analogia una disposizione dettata per il processo ordinario di
cognizione; l’art. 18, 2° co., c.p.c., a tenore del quale la competenza per territorio si radica
“nel luogo in cui risiede l’attore”, ossia di colui che avanza ricorso27.
24
Per tutti, Napoli, op. cit., 154 e 158.
25
Tommaseo, op. cit., 151. Contra Chizzini, op. cit., 402, secondo il quale, “in
tal caso, le esigenze di tutela di tali soggetti (minori) debbono prevalere su
quelle di snellezza e rapidità che certo la competenza del g.t. favorirebbe
26
Masoni, Il procedimento di sostegno, cit., 476.
27
Andrioli, Commentario al codice di procedura civile, Napoli, 1964, III° ed.,
III, 353; Napoli, op. cit., 158, per il processo di interdizione; Chizzini,
op.cit., 399.
9
In alternativa, altri studiosi28 suggeriscono l’applicazione, mediante estensione analogica
all’amministrazione di sostegno, dello specifico criterio dettato per interdizione ed
inabilitazione; quello del foro di ultima residenza di interdicendo ed inabilitando in Italia o, in
mancanza, laddove lo stesso “non abbia mai avuto residenza in Italia”, quello del tribunale di
Roma, ai sensi dell’ art. 31, 2° comma, d.p.r. 5 gennaio 1967, n. 200, a tenore del quale:
“competente a pronunciarsi sull'interdizione e sull'inabilitazione di cittadini residenti
all'estero è il tribunale di ultima residenza in Italia dell'interdicendo o dell'inabilitando. Ove
questi non abbia mai avuto residenza in Italia, è competente il Tribunale di Roma”.
Per tal via resterebbero superati gli inconvenienti connessi all’applicazione del criterio
del foro dell’attore, che secondo taluno sarebbe caratterizzato da eccessiva indeterminatezza,
perché ogniqualvolta l’istanza sia proposta con ricorso del Pubblico Ministero, (ciò)
consentirebbe di radicare il procedimento presso un qualsiasi tribunale dello Stato.
2.2. ADS e poteri consolari
Strettamente connesso al precedente è un ulteriore profilo problematico concernente la
possibilità per il console italiano (in luogo dell’A.G.O.) di nominare un ADS a beneficio di
cittadino italiano residente all’estero in forza del disposto affidato all’art. 34 d.p.r. n. 200 del
1967, sull’ordinamento consolare, a tenore del quale: “il capo di ufficio consolare di I
categoria esercita nei confronti dei cittadini minorenni, interdetti, emancipati e inabilitati
residenti nella circoscrizione le funzioni ed i poteri, in materia di tutela, di curatela, di
assistenza pubblica e privata nonché di affiliazione, che le leggi dello Stato attribuiscono al
giudice tutelare”.
La questione interpretativa è stata rimessa all’attenzione della Corte Costituzionale da
parte del Console d’Italia a Spalato nella sua qualità di g.t. nell’ambito di procedimento
volto alla nomina di un amministratore di sostegno in sostituzione del precedente nominato
in Italia. La questione traeva origine dal tenore dell’art. 34 d.p.r. cit. che conferiva29 al
console unicamente funzioni in materia di tutela, curatela ed assistenza pubblica e privata,
senza fare alcuna menzione del potere di procedere all’apertura di un procedimento di ADS.
28
Tommaseo, op. cit., 152; Campese, op. cit., 369-370.
29
Il d.p.r. n. 200 del 1967 è stato integralmente abrogato dal d.lg. 3 febbraio
2011, n. 79 che ne ha sostituito integralmente il testo.
10
La questione di legittimità costituzionale sollevata è stata rigettata perché ritenuta
infondata.
Interpretativamente, la Corte ha però ritenuto che, tra le funzioni ed i poteri del console
“in virtù di interpretazione evolutiva” possa “agevolmente comprendersi tra le funzioni
attribuite quelle relative ad un istituto più idoneo e flessibile, quale l’amministrazione di
sostegno”30.
Secondo la valutazione della Corte, al Console competerebbe al console, con riguardo
agli italiani residenti all’estero, il potere di aprire la procedura di protezione a beneficio del
disabile.
Appare peraltro plausibile una diversa ricostruzione ermeneutica.
Considerando la natura e le attribuzioni consolari in materia di giurisdizione volontaria
potrebbero ritenersi esclusi dalla competenza dei consoli il compimento di atti che “incidano”
sulla capacità d’agire della persona31.
In materia di volontaria giurisdizione il console mutua l’ambito dei propri poteri dal G.T.
ed è normalmente titolare del coordinamento, della vigilanza e della direzione di ogni tutela e
curatela, oltre a svolgere funzioni direttive, deliberative, consultive e di controllo.
Egli è inoltre competente per: a) lo svolgimento di attività investigative nell’ambito della
sua circoscrizione; b) una serie di operazioni inerenti le successioni dei connazionali; c) tutte
quelle attribuzioni necessarie a far fronte a situazioni di emergenza in cui possano trovarsi i
cittadini italiani all’estero (es. l’autorizzazione a compiere atti anche di disposizione, la nomina
di curatori speciali)32.
30
Corte Cost. 18 febbraio 2010, n. 55, in Giust. civ., 2010, 1048; in Fam.
pers.,
2010,
1523,
con
nota
di
Masoni
e
Bulgarelli,
L’amministrazione
di
sostegno “estera.
31
Medesime conclusioni si leggono in BISCOTTINI, Voce “Console”, in Enc. Dir.,
IX, Milano, 1961, 368, per quanto le stesse sono riferite al precedente testo
normativo dettato in materia di poteri consolari, antecedente al d.p.r. n. 2000
del 1967.
32
In base all’articolo 35 del decreto in esame il capo dell'ufficio consolare di
I categoria, anche al di fuori delle ipotesi previste, può anche emanare nei
confronti degli stessi cittadini residenti nella propria circoscrizione, quando
particolari
circostanze
ciò
consiglino,
i
provvedimenti
di
volontaria
giurisdizione, in materia di diritto di famiglia e di successione, che per le
leggi dello Stato sono di competenza del giudice tutelare, del tribunale e del
presidente di tribunale, ivi compreso quello per i minorenni.
11
Pare quindi maggiormente aderente al testo normativo e ad una corretta ripartizione di poteri
tra A.G.O. e P.A. che il console possa operare in veste di G.T. solo in una fase successiva (e
gestoria) rispetto ad una iniziale pronunzia dell’Autorità giudiziaria italiana33, con ciò limitando
la competenza consolare agli eventuali interventi giurisdizionali successivi.
Fatta salva la collaborazione dell’ufficio consolare sia per la fase iniziale34, che per quella
istruttoria35 del relativo procedimento, i poteri demandati al console forse più opportunamente
devono quindi essere considerati limitati ai soli provvedimenti successivi all’apertura della
curatela o della tutela per la quale rimane invece pur sempre funzionalmente competente il
giudice nazionale.
Il fatto che l’articolo 34 regolando i poteri consolari si riferisca già allo status d’interdetto,
emancipato e inabilitato non lascia adito a soverchi dubbi nemmeno con riferimento
all’amministrazione di sostegno, senza dire che l’art. 31, come abbiamo in precedenza osservato,
riservava la pronuncia di status al tribunale di ultima residenza dell’interdicendo.
Si vuole dire che, avendo già il legislatore del 1967 nell’introdurre il decreto n. 200 escluso
dall’ambito dei poteri consolari ogni previsione di intervento sulla capacità d’agire delle persone
(lasciando al console le sole autorizzazioni successive di competenza, in patria, del G.T.) non
apparirebbe coerente con la ratio della norma che, dopo l’introduzione nel nostro ordinamento
del nuovo istituto dell’amministrazione di sostegno, al console sia devoluta ogni decisione in
merito all’apertura o meno di un’amministrazione di sostegno36.
Resterebbe così esclusa ogni attribuzione consolare per l’istituzione della misura protettiva a
favore del beneficiario italiano ma residente all’estero. Tale competenza sembra rimanere
normativamente devoluta in via esclusiva alla giurisdizione dell’Autorità giudiziaria nazionale.
Il nuovo ordinamento dettato dal d.lg. n. 71 del 2011 sulle funzioni degli uffici consolari
sostanzialmente riproduce il testo dell’abrogato art. 31 d.p.r. 200, confermando la competenza
dell’a.g.o. con riguardo alla promozione dei procedimenti di interdizione ed inabilitazione,
aggiungendo peraltro espressamente quelli afferenti l’apertura delle amministrazioni di sostegno
(art. 29, 1° comma). La competenza è sempre riservata al tribunale di ultima residenza in Italia, per
33
Minore età esclusa, s’intende.
34
V. il secondo comma dell’art. 31 della norma in esame, con riguardo all’esame
dell’interdicendo tramite rogatoria consolare.
35
36
V. terzo e quarto comma dell’art. 31 della norma in esame.
Per analoghe considerazioni e conclusioni, De Marzo, Osservazione a Corte
Cost. n. 51, in Foro it., 2011, I, 726, il quale richiama pure il testo delle
Convenzione de l’Aia del 13 gennaio 2000 sulla protezione internazionale degli
adulti (allo stato non ancora ratificata dall’Italia).
12
quanto in ipotesi di cittadini che non abbiano mai risieduto nel paese, innovativamente, è stata
introdotta “la competenza del tribunale nel cui circondario si trova il comune di iscrizione AIRE”.
2.3. Pronunzia di incompetenza
Laddove il ricorso ex art. 404 c.c. sia indirizzato a giudice territorialmente incompetente si
ritiene che debba pervenirsi ad declinatoria di rigetto in rito, non ritenendosi applicabile il
meccanismo di translatio iudicii al “giudice dichiarato competente” (art. 50 c.p.c.)37.
Per quanto la disposizione codicistica sia dotata di valenza generale, il dato letterale si rivela
ostativo ad una sua applicazione in materia di amministrazione di sostegno laddove il trasferimento
al giudice competente suppone la pronunzia (in passato) di una “sentenza” ed oggi di una
“ordinanza”. Entrambi sono provvedimenti che il g.t. formalmente non adotta in questo ambito nel
quale l’unico provvedimento decisorio ha veste formale di “decreto”.
A ciò aggiungasi un’ulteriore considerazione sistematica. Laddove si ammettesse il fenomeno
della translatio iudicii avanti al giudice dichiarato competente, per quest’ultimo non sarebbe
possibile il rispetto del termine di sessanta giorni entro cui provvedere sul ricorso (art. 405, 1°
comma, c.c.)38.
Da quanto precede (e dalla ritenuta inapplicabilità dell’at. 50 c.p.c.) si ritiene discenda pure
l’inapplicabilità dell’istituto previsto dall’art. 45 c.p.c. (regolamento di competenza d’ufficio)39 e
perciò unicamente la reclamabilità o revocabilità (da parte del g.t.) del decreto reiettivo in punto
competenza.
La prevalente giurisprudenza ammette che contro la declinatoria di competenza, seppur
pronunziata nell’ambito di un procedimento camerale, sia proponibile il regolamento di
competenza di cui all’art. 43 c.p.c. (in quanto lo stesso non è mezzo di impugnazione)40 .
.
3. Esame ed ascolto del disabile
E’ stato esattamente sottolineato che “l’atto istruttorio più importante è l’audizione del
futuro beneficiario” e, ancora, incisivamente da parte del padre morale della l n. 6 de 2004: “ecco le
parole chiave dell’amministrazione di sostegno. Sapere - il giudice, il p.m., gli operatori socialiascoltare quanto occorre all’interessato, mirare a conoscere in primo luogo i suoi bisogni. E sulla
37
Chizzini, op. cit., 428; Tommaseo, op. cit., 153.
38
Masoni, Il procedimento di sostegno cit., 479.
39
Chizzini, op. loc. cit.; Contra Tommaseo, op. loc. cit.
40
Cass., 22 settembre 2005, n. 18639. Già, ad es., Cass. 19 febbraio 1987, n.
1789, in Giur. it., I, I, 1724.
13
base di quella presa d’atto, confezionare poi un assetto irripetibile di sostituzioni, di affiancamenti,
di momenti curatoriali”41.
Al riguardo dispone il 2° comma dell’art. 407 c.c. che: “il giudice tutelare deve sentire
personalmente la persona cui il procedimento si riferisce, recandosi ove occorra, nel luogo in cui
questa si trova e deve tener conto, compatibilmente con gli interessi e le esigenze di protezione
della persona, dei bisogni e delle richieste di questa”.
Almeno formalmente il disposto normativo sembra ricalcare la previsione dettata in materia
di interdizione ed inabilitazione, a tenore della quale: “all’udienza, il giudice istruttore, con
l’intervento del pubblico ministero, procede all’esame dell’interdicendo o dell’inabilitando…” (art.
714 c.p.c., non richiamato tra le disposizioni applicabili all’amministrazione di sostegno, “in quanto
compatibili”, ai sensi dell’art. 720 bis c.p.c.).
In realtà, la temperie culturale ed il significato delle due disposizioni processuali appaiono,
nella sostanza profondamente diverse, incarnando filosofie di fondo completamente antitetiche; per
quanto, in termini generali, entrambe impongano l’ascolto dell’interessato prima dell’adozione di
un provvedimento che lo concerne.
E’ stato merito di uno studioso evidenziare la diversità delle due previsioni: “l’esame
previsto dagli artt. 419 c.c. e 714 c.p.c. trasforma il ruolo dell’interdicendo da soggetto del
processo in mero oggetto di un’ispezione giudiziale con l’eventuale assistenza di un consulente
tecnico, diversamente avviene nell’amministrazione di sostegno”42.
Perchè “qui, infatti, non vi è propriamente un esame ma un’audizione che si svolge in un
procedimento nel cui ambito il giudice deve tenere costantemente conto, come vuole l’art. 407, 2°
co., dei bisogni e delle stesse richieste del disabile, quando ciò sia compatibile, s’intende, con gli
interessi e le aspirazioni di questi e con le esigenze di protezione della sua persona”.
E’ stato pure notato che “l’esame presuppone, in effetti, uno scrutare dall’alto, e non
implica necessariamente l’entrare in relazione (più di tanto) con l’interessato; indagine
senz’anima, si potrebbe anche dire”43.
Più in particolare il lessico aiuta a meglio acclarare in cosa consista l’attività
dell’”esaminare” (che etimologicamente deriva dal verbo exigere = pesare, un oggetto, una cosa),
41
Cendon, Un altro diritto per i soggetti deboli, l’amministrazione di sostegno
e la vita di tutti i giorni, in L’amministrazione di sostegno (a cura di
Ferrando), Milano, 49.
42
Tommaseo, La disciplina processuale dell’amministrazione di sostegno cit.,
202.
43
Cendon, Rossi, op. cit., 569.
14
consistente in una “attenta osservazione di una persona per conoscerne le qualità o lo stato” e
perciò per esaminarla sul piano esteriore, più che interiore.
Viceversa il “sentire” cui si riferisce l’art. 407 c.c. include “l’ascoltare con l’udito ma anche
l’avvertire con processi intuitivi interiori, fino a comprendere la capacità di partecipazione sul
piano dei sentimenti” 44.
Potremmo dire che durante questa attività il giudice tace ed ascolta il disabile, cercando così
di individuarne bisogni ed esigenze.
Molte volte però non basta prestare ascolto alle parole (laddove queste siano tangibilmente
percepibili dalla voce del disabile), non è tanto questione “di orecchie da tenere aperte, di flussi
orali cui porgere attenzione”45, perché esiste anche la “mimica del corpo”, cui prestare vigile
concentrazione.
Si pensi, ad es., a talune patologie neurologiche degenerative, come la c.d. “Lis”, lockeed in
syndrome, malattia nella quali il paziente può comunicare col mondo esterno, avendo il corpo
completamente immobilizzato, unicamente col movimento delle palpebre, come faceva il
giornalista francese Jean Dominique Baubay, il quale prima di morire riuscì a dettare la sua
testimonianza di dolore nel libro “Lo scafandro e la farfalla”.
Si pensi ancora a talune forme di tetraplegia, che rendono l’individuo completamente
“murato” nel proprio corpo, con ridottissime possibilità di comunicazione col mondo esterno, come
nel caso di Vincent Humbert, ragazzo francese ventiduenne che in seguito alle lesioni riportate in un
incidente stradale era rimasto cieco, muto e tetraplegico, riuscendo a comunicare con un
piccolissimo movimento, la pressione del pollice46.
3.1. Funzione dell’ascolto
Nel processo di interdizione l’esame dell’interdicendo serve a saggiarne la capacità di
intendere e volere ed al riscontro della gravità dell’infermità di mentale.
Viceversa, più ampia, maggiormente complessa, oltre che meno angusta appare la funzione
cui adempie l’audizione del beneficiario nella procedura di amministrazione di sostegno, diretta
alla stesura di uno specifico e personalizzato progetto di sostegno.
44
Cendon, Rossi, op. loc. cit.
45
Cendon, Rossi, op. cit., 570.
46
Sulla sua condizione di vita e la prematura morte si rimanda alle belle pagine
di Veronesi, Il diritto di morire, Milano, 2005, 84-85.
15
Non si tratta tanto o solamente di saggiare il tasso di autonomia e la capacità di intendere e
volere della persona in correlazione con la sua disabilità, ma piuttosto di “ascoltare” l’interessato
per raccoglierne “i bisogni e le richieste”.
Appare evidente che le indicazioni fornite dal beneficiario in sede di ascolto acquistano
rilevanza cruciale per la redazione del decreto ed il giudice in tal senso ne deve “tener conto”; ad
es., agli effetti della scelta della persona più idonea a ricoprire l’incarico di amministratore di
sostegno ex art. 408 c.c.; per la determinazione degli atti che l’amministratore può compiere in
sostituzione o in assistenza al disabile e che il beneficiario non è in grado di compiere in modo
autonomo ex art. 405 c.c.; come pure agli effetti dell’istituzione di un’amministrazione di natura
prettamente patrimoniale, ovvero, anche (o esclusivamente) di tipo personale, volta alla protezione
di esigenze esistenziali, ovvero, alla cura della salute della persona.
Ben si comprende allora la assoluta centralità e la rilevanza dell’audizione del beneficiario
nell’ambito della procedura di sostegno, decisamente maggiore rispetto alla centralità che l’esame
di interdicendo ed inabilitando rivestivano nel processo di interdizione o di inabilitazione.
3.2 Omissione dell’audizione
In concreto, nella prassi possono evidenziarsi talune oggettive difficoltà nell’espletamento
dell’audizione.
Consideriamo anzitutto l’interdizione e l’inabilitazione.
Con riguardo a questi istituti l’art. 716 c.p.c. dispone che se l’interdicendo non compare in
udienza ciò obbliga il giudice ad effettuarne l’esame domiciliare.
A fronte del testo affidato agli artt. 714 e 715 c.p.c., in passato ci si domandava quali effetti
processuali scaturissero dall’omesso esame dell’interdicendo.
La giurisprudenza riteneva che, in ipotesi di impedimento dell’infermo di mente con
conseguente omissione dell’esame, la circostanza non fosse ostativa alla prosecuzione del
processo47.
Analogamente, la Corte Costituzionale ebbe ad affermare che
“l’irreperibilità
dell’interdicendo, ritualmente accertata, che vanifica ogni tentativo del giudice di raggiungerlo, non
47
App. Roma, 16 dicembre 1953, in Foro it, 1954, I, 1679; Trib. Milano, 24
giugno 1954, in Fam. pers, 1956, I, 404; Trib., Messina, 28 febbraio 1956, in
Giur. it, 1957, I, 2, 1039.
16
ha l’effetto di paralizzare il corso del procedimento di interdizione”48. Alla irreperibilità
dell’interdicendo la Corte aveva equiparato il reiterato rifiuto a sottoporsi ad esame.
Testualmente la formula imperativa del 2° comma dell’art. 407 c.c. (“il giudice tutelare deve
sentire personalmente...”) sembrerebbe rendere imprescindibile l’audizione dell’interessato, per
quanto, il principio vada inteso in termini flessibili a tenore del comma successivo (che pare
formare sistema col primo) il quale dispone che, “in caso di mancata comparizione (il giudice:
n.d.a.) provvede comunque sul ricorso”.
I nuovi testi normativi introdotti nel 2004 hanno indotto gli interpreti a ritenere non
imprescindibile l’audizione dell’amministrando (la quale, va nuovamente ribadito, rappresenta
peraltro la regola dell’ordinario giudicare, mentre la mancata audizione è un’eccezione da
circoscrivere entro ben precisi limiti), affermandosi che di essa possa farne a meno seppur “entro
limiti molto ristretti”49, ovvero, in “ipotesi limitatissime” ed “in particolarissime situazioni”50;
situazioni individuate, in particolare, quando il soggetto sia irreperibile, ovvero, si rifiuti di
presenziare all’audizione51, ovvero, ancora, “non sia in grado di comunicare” col g.t.52 “nelle sole
ipotesi in cui manchi nell’interessato la benché minima stilla (non tanto di capacità, quanto
piuttosto) di vitalità espressiva”53.
L’esigenza istruttoria ravvisabile nell’accertamento della condizione di disabilità (ed in che
termini e gradi) e della sua non autonomia nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana
può essere soddisfatta ricorrendo a diverse (seppur meno significative e vivide) fonti
d’informazione (documentali: quali, cartelle cliniche, relazioni dei servizi sociali, perizie mediche,
etc.: ovvero, orali, tramite audizione dei parenti del disabile, ovvero, di altre persone), per quanto in
tal caso non sarebbe possibile tener conto “dei bisogni e delle richieste della persona”.
L’affermazione di principio ha trovato riscontro giurisprudenziale in taluni sporadici
precedenti editi54.
Nella specie, nel corso di un procedimento trasmigrato avanti al g.t. ai sensi dell’art. 418
48
Corte Cost. 31 marzo 1988, n. 382, in Giust. civ., 1988, I, 1386, che ha
dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale
sollevata.
49
Cendon, Rossi, op. cit., 571.
50
Chizzini, op. cit., 443.
51
Tommaseo,
Dell’amministrazione
di
sostegno
cit.,
210;
Baccarani,
L’amministrazione di sostegno, Milano, 2006, 291-292.
52
Monserrat Pappalettere, Amministrazione di sostegno: la giurisprudenza al
servizio dei soggetti svantaggiati, in Giur. it., 2005, 719.
53
Cendon, Rossi, op. cit., 571.
54
Trib. Modena 21 marzo 2005, in Corr.merito, 2005, 753.
17
c.c., assente il beneficiario all’udienza fissata per l’audizione, si è ritenuta ammissibile l’omissione
dell’incombente motivando sul fatto che l’interessato era già stato esaminato dal giudice nel corso
del procedimento di inabilitazione, come pure da parte del CTU il quale aveva depositato relazione
scritta.
Era inoltre stata valorizzata la particolare condizione di salute del beneficiario della misura;
soggetto facilmente impressionabile tutte le volte in cui vede gente estranea al suo nucleo familiare;
situazione questa che giustificò il suo mancato esame, da parte del C.T.U., durante il supplemento
peritale”55.
Su analoga lunghezza d’onda si è posto anche un altro decreto emiliano.
Il Tribunale di Piacenza ha ritenuto superflua l’audizione del beneficiario in considerazione
delle sue condizioni di salute (invalido con totale e permanente inabilità lavorativa 100%, con
necessità di assistenza continua, non in grado di compiere gli atti quotidiani della vita, affetto da
decadimento cognitivo severo, allettato ed impossibilitato a muoversi, traumatizzato dalla presenza
di estranei), ritenendola evitabile, in termini generali, “laddove sia documentalmente ed
autorevolmente certificato che il soggetto non è in grado di instaurare un minimo di dialogo e/o di
comunicazione con il mondo esterno”56.
3.3. Una prassi curiale
Per completezza segnaliamo una prassi che viene osservata in taluni uffici tutelari che
ritengono di prescindere dall’audizione del beneficiario alla presenza congiunta di precise
condizioni soggettive ed oggettive, ovvero:
1) quando il disabile risulti intrasportabile;
2) in ambito familiare non si segnalino situazioni conflittuali o di contrasto significative;
3) e quando per motivi organizzativi l’esame domiciliare, per via della distanza spaziale
intercorrente dall’ufficio giudiziario, non risulti agevolmente esperibile.
In tali situazioni, per conoscere la reale situazione della persona che il giudice non ha potuto
vedere in faccia, in udienza viene consegnato al ricorrente un questionario che dovrà essere
restituito in cancelleria compilato e sottoscritto da parte del medico di base.
55
56
Trib. Modena 21 marzo 2005, cit.
Trib. Piacenza 16 settembre 2008, www.personaedanno. In precedenza, Trib.
Pinerolo 28 giugno 2006, ivi. La soluzione tranchant di escludere l’audizione
perché
risulta
impossibile
l’instaurazione
di
un
minimo
di
dialogo
con
l’inabile, ci pare troppo rigida posto che non esiste solo un comunicazione
fonetica, ma anche un “linguaggio del corpo”.
18
Nel questionario si chiede specificamente di rispondere alle seguenti domande:
ovvero, se il disabile:
1) sia in grado di parlare;
2) in caso negativo, sia in grado di comunicare altrimenti con un interlocutore;
3) sia in grado di comprendere domande di base sulle sue condizioni di vita;
4) sia in grado di comprendere domande sui suoi interessi economici;
5) dall’esame diretto del beneficiario il g.t. possa o meno trarre informazioni utili per la
procedura.
Per vero, siffatta prassi curiale non parrebbe del tutto consentanea alla filosofia di fondo che
pervade il nuovo microsistema di protezione e che individua il momento cruciale dell’intero
procedimento nell’ascolto, com si è visto, non solo in senso fonetico ma anche in senso mimetico e
fisico, dell’inabile da parte del g.t.
Il comma 2° dell’art. 407, già testualmente, pare imporre l’audizione “personale” da parte
del giudice il quale non sembra così in grado nelle descritte situazioni di delegare ad un terzo, in tal
caso il medico, il fondamentale incombente57.
Già vedere in faccia la persona, per quanto la stessa possa essere “murata” viva, costituisce
fonte di assai utili informazioni per la redazione del decreto protettivo.
Rientra sempre nel tema dell’omissione dell’ascolto del beneficiario la situazione di reiterata
mancata presentazione all’udienza a ciò deputata di chi in tal modo evidenzia per facta
concludentia un contegno oppositivo rispetto alla richiesta di protezione.
In tali casi la risposta giudiziaria potrebbe essere diversificata:
- si potrebbe valorizzare il disposto del comma 3° dell’art. 407, così prescindendo
completamento dall’audizione a fronte di reiterato rifiuto a comparire, provvedendo sulla richiesta
di a.d.s. sulla base dei dati informativi cartacei presenti nel fascicolo;
- oppure, adottando una soluzione meno burocratica, formale e rigida, si potrebbe ipotizzare
di concordare un accesso domiciliare, che risulta meno invasivo rispetto alla convocazione innanzi
al tribunale, grazi all’intervento di mediazione dei servizi sociali e che potrebbe aprire le porte ad
una maggiore collaborazione e ad un dialogo tra infermo ed istituzione.
3.4. Modalità di espletamento dell’audizione
57
Si segnala per completezza che le circolare sulle tabelle degli uffici per il
biennio
2012-2014
ha
soppresso
la
limitazione
(presente
versione) in capo ai g.o.t. di espletare funzioni di g.t.
nella
precedente
19
Con riferimento all’esame di interdicendo ed inabilitando, la prassi giudiziaria si è andata
orientando nel senso della formulazione di domande standard da rivolgere all’infermo di mente;
domande che si riteneva mirassero a saggiarne la capacità di orientamento nello spazio e nel tempo,
oltre alla idoneità nella gestione dei propri affari ed interessi di natura patrimoniale, compendiantesi
in particolare nella capacità di percezione e discernimento del valore del denaro.
More solito si domandavano le esatte generalità (nome, cognome, data, luogo di nascita e
luogo di residenza), mostrando una banconota per poi richiedere quali beni acquistare con quella
somma.
Si chiedeva alla persona l’indicazione della data e del luogo ove si trova onde valutarne
l’orientamento non solo nel tempo, ma anche nello spazio58.
Si ricorda, ad es., un precedente, secondo il quale: “non va dichiarato interdetto il soggetto
che, in sede di esame da parte del giudice dimostri di sapersi orientarsi nel tempo, di conoscere il
valore della moneta e il relativo potere di acquisto, di saper fare calcoli semplici e di utilizzare la
pensione percepita (non avendo altro cespite)59.
Tale modus procedendi non appare automaticamente trasponibile nel mezzo istruttorio
costituito dall’audizione del beneficiario di amministrazione di sostegno.
Non pare dubbio che l’omessa audizione del beneficiario causi la nullità del procedimento di
apertura, dato che impedisce il raggiungimento dello scopo assegnato dalla legge all’audizione
dell’inabile, ai sensi dell’art. 156, 2° comma, c.p.c.60
Il nuovo sistema di protezione dei disabili non mira unicamente (come è proprio della logica
dell’interdizione ed inabilitazione) ad accertare la disabilità ed il livello della stessa, ovvero,
l’infermità fisica o di mente, ma, piuttosto, alla verifica dell’attitudine della persona evocata alla
cura dei propri interessi, personali e patrimoniali, accertandone autonomia e livello di essa, per
acclarare la necessità di un intervento sostitutivo o di affiancamento nel compimento degli atti della
quotidianità (individuando poi quali essi siano).
Viene fondatamente escluso il sistema di capitolazione dei fatti61, invalso nei processi
contenziosi.
L’ascolto del disabile, si compendia, laddove ciò sia possibile possibile, in un dialogo
partecipe, in un colloquio, più che in un interrogatorio condotto dall’alto in basso tra giudice e
disabile, con finalità maieutica, per fare emergere bisogni ed esigenze di tutela della persona.
58
Per una critica a questo tipo di indagine istruttoria, Napoli, op. cit., 193.
59
Trib. Napoli, 12 aprile 1983, in Giur. it, 1983, I, 2, 449.
60
Tommaseo, op. cit., 210.
61
Chizzini, op. cit., 442.
20
Si tratta di chiedere senza esagerare, senza porre troppe domande, evitando inutili
nozionismi ed un’eccessiva invadenza e comunque senza intimidire l’interessato.
All’audizione la persona può farsi assistere da un difensore, ovvero, da persona di sua
fiducia62 ed il giudice, a sua volta, laddove ritenuto utile dal C.T.U. o da un responsabile dei servizi
sociali.
3.5. La presenza del P.M.
L’art. 407, 2° comma, c.c. non prevede la presenza necessaria in udienza del P.M. durante
l’audizione del beneficiario dato che non è stata ripetuta la formula contenuta nell’art. 714 c.p.c.:
“all’udienza, il g.i., con l’intervento del p.m., procede all’esame dell’interdicendo o
dell’inabilitando…”.
In tema di interdizione si affermava la connessa nullità dell’atto compiuto in assenza del
p.m. d’udienza, senza che ciò peraltro determinasse nullità dell’intero procedimento e con
possibilità di sua rinnovazione in grado di appello (art. 354, ultimo comma, c.p.c.)63.
Nel sistema della nuova protezione, la presenza del P.M. all’udienza preposta all’audizione
del beneficiario si ritiene sia meramente facoltativa64, traendo fondamento dall’obbligo di intervento
in causa (art. 407, 4° comma, c.c.). Per quanto il legislatore del 2004 abbia omesso di disciplinare
forma e modalità dell’intervento.
Le modalità d’intervento devono probabilmente ritenersi quelle indicate dalle disposizioni
generali della procedura, essendo sufficiente la comunicazione degli atti al P.M. ad opera della
cancelleria affinché possa esperire intervento (art. 71 c.p.c.).
Resta peraltro irrilevante se, una volta ricevuta la comunicazione, il P.M. poi non esplichi
l’intervento in causa65.
3.6. Prova delegata
62
Chizzini, op. cit., 443
63
Cass. 17 luglio 2003, n. 11.175, in Fam. dir, 2005, 51, con nota adesiva di
Onniboni. Contra Cass. 14 febbraio 2008, n. 3708, in Foro it., 2008, I, 1466,
con nota di Casaburi; in Giur. it., 2008, 2792.
64
65
Chizzini, op. cit., 444; Tommaseo, op.cit., 217; Cendon, Rossi, op. cit., 937.
In
tal
senso,
www.personaedanno.it.
Trib.
S.
Maria
Capua
Vetere
30
agosto
2004,
in
21
Per l’audizione del beneficiario di amministrazione di sostegno si ripropone l’annosa
questione, già esaminata dalla giurisprudenza di merito formatasi in materia di interdizione66,
concernente la delegabilità dell’incombente ai sensi dell’art. 203 c.p.c., laddove subentrino
considerazioni di carattere organizzativo, come, ad es., nel caso in cui il beneficiario dimori
temporaneamente in una diversa circoscrizione di tribunale, pur conservando residenza anagrafica
in quella di competenza del giudice adito.
Per l’audizione dell’inabile soggetto a procedimento di a.d.s. non paiono frapporsi ostacoli
normativi all’assunzione per delega del “mezzo di prova” ad opera del giudice tutelare del luogo
ove questi conservi effettiva dimora (ad es., in casa protetta).
La delega per l’assunzione di “un mezzo di prova”, nel cui novero rientra indubbiamente
l’audizione del beneficiario, appare istituto processuale dotato di valenza generalizzata e pertanto
plausibilmente non inapplicabile in presenza dei presupposti normativi dati67. Anche perché
l’alternativa sarebbe quella, organizzativamente difficilmente praticabile ed ipotizzabile, del fisico
“trasferimento” del g.t. per provvedere all’incombente istruttorio in altra circoscrizione rispetto
all’ufficio di appartenenza (ad impossibilia nemo tenetur).
Storicamente poi per i cittadini italiani residenti all’estero è prevista “rogatoria
consolare”68.
La dottrina raccomanda che delle risposte del beneficiario venga fatta precisa menzione nel
verbale d’udienza della prova delegata69 ed inoltre che il g.t. ricorra alla delega dell’audizione “in
casi di assoluta necessità, da mantenere, comunque, del tutto contingentati, onde evitare uno
svuotamento della funzione cui l’audizione è preordinata”70.
66
Secondo
Napoli,
op.
cit.,
193,
la
giurisprudenza
sul
punto
appariva
altalenante. Favorevoli alla delega: Trib. Messina 28 febbraio 1956, in Giur.
it., 1957, I, 2, 1039; Trib. Cagliari 28 febbraio 1994, ivi, 1994, I, 2, 858;
Trib. S. Maria Capua Vetere, 30 aprile 1996, in Gius, 1996, 3106, s.m.; Trib.
Nola, 11 ottobre 2006, in Giur. merito, 2008, 372.
67
in
tal
senso,
recisamente,
Tommaseo,
op.
cit.,
210,
nota
82;
Masoni,
L’amministrazione di sostegno cit., 507. Contra Campese, op. cit., 388, senza
motivazione.
68
Si v. già l’art. 31, 3° comma, d.p.r. 200 del 1967, oggi abrogato e sostituito
dal d.lg. n. 71 del 2011 ed oggi, in particolare, il disposto dell’art. 29, 3°
comma, dotato di analogo tenore.
69
Propende per una soluzione caso per caso, Chizzini, op. cit.,
70
Cendon, Rossi, op. cit., 936.
444.
22
E’ questa l’effetto scaturente dalla non assoluta infungibilità dell’audizione del beneficiario,
per quanto la stessa rappresenti il cuore dell’intero procedimento71.
Appare fin troppo ovvia constatazione ritenere che l’audizione del beneficiario, se
normalmente si svolge nell’ufficio del giudice, sarebbe esperibile anche in luoghi diversi ove la
persona in quel momento si trovi e sia impossibilitata a trasferirsi in tribunale, come testualmente
precisa l’art. 407, 2° comma, c.c.; ad es., il luogo di cura e ricovero, la sua residenza o domicilio,
come pure sopra un’autoambulanza, ovvero, un altro mezzo di trasporto72.
3.5. Le necessarie informazioni
Una volta espletata l’audizione del beneficiario, il g.t. deve sentire i “soggetti di cui all’art.
406”, i legittimati attivi all’apertura della procedura protettiva, quali ascendenti o discendenti
dell’interessato, il coniuge, il convivente stabile, i parenti entro il quarto grado e gli affini entro il
secondo (ed eventualmente anche i servizi sociali o sanitari impegnati nella cura o assistenza).
Queste persone, data la loro (normalmente) maggiore vicinanza di vita col beneficiario,
possono meglio di altri riferire, non solo della condizione in cui si trova il disabile, ma anche delle
sue esigenze e necessità quotidiane e di vita.
La dottrina precisa che queste persone sono “informatori necessari”, fonti di informazione
del giudice, non parti del processo se non quando siano intervenuti depositando comparsa di
risposta73.
Data la finalità informativa dei soggetti indicati dall’art. 406, la loro mancata comparizione
in udienza e la conseguente mancata audizione non dovrebbe determinare nullità del decreto ex art.
405, laddove in forza degli altri elementi istruttori possa pervenirsi aliunde alla pronunzia.
La descritta audizione potrebbe non essere esaustiva dell’istruttoria.
Nella seconda parte del comma 3°, la disposizione ha cura di precisare che il giudice
“dispone altresì, anche d’ufficio, gli accertamenti di natura medica e tutti gli altri mezzi istruttori
utili ai fini della decisione”.
71
Laddove l’audizione del beneficiario sia stata effettuata prime cure non è
necessaria reiterazione in sede di reclamo, “semprechè vi abbia provveduto in
modo soddisfacente il primo giudice” (Cass. 18 luglio 2008, n. 19.971, in Fam
pers., 2010, 552).
72
Per l’esame dell’interdicendo, si veda Napoli, op. cit., 185 e nota 13; per il
beneficiario di a.d.s., Chizzini, op. loc. cit.
73
Tommaseo, op. cit., 207.
23
La previsione normativa si pone in termini consentanei ed omogenei rispetto a quanto già
osservato in precedenza con riferimento all’impulso officioso che regge il procedimento, una volta
depositato il ricorso introduttivo.
Correlata alla difficoltà decisoria riscontrabile nella fattispecie concreta, l’individuazione del
mezzo probatorio più idoneo a condurre a conclusione il procedimento, è rimesso dal legislatore
alla valutazione discrezionale del giudicante, il quale può prescegliere l’adozione “del mezzo
istruttorio (più) utile ai fini della decisione”.
A fronte della formulazione testuale della norma, la dottrina ha avuto agio nell’affermare
che il giudice potrebbe valersi, quale fonte utile di informazione e di giudizio, di tutti i mezzi
istruttori previsti dal codice di rito.
Il magistrato potrebbe disporre l’ispezione di persone e cose ai sensi dell’art. 118 c.p.c.,
ammettere una prova testimoniale richiesta dalle parti, come pure il deposito di documenti, restando
solo esclusi i mezzi di prova che presuppongono un diritto disponibile, quali interrogatorio formale
e giuramento decisorio74, secondo quanto la dottrina aveva ritenuto per i processi di interdizione ed
inabilitazione75.
Col richiamarsi agli “accertamenti di natura medica”, l’art. 407 ha inteso riferirsi alla
consulenza tecnica d’ufficio76, utile alla verifica delle condizioni psico-fisiche del disabile.
Nel procedimento di interdizione il ricorso ad una C.M.U. in passato appariva piuttosto
frequente, in quanto l’oggetto del giudizio consisteva unicamente nella verifica dell’infermità di
mente e dell’accertamento del suo grado di intensità.
Viceversa, nel procedimento di amministrazione, la C.M.U. dovrebbe costituire mezzo di
indagine del tutto eccezionale, utilizzabile, solo nei casi maggiormente controversi e complessi.
Questo perché all’evidenza una diversa ottica sorregge gli istituti protettivi, vecchi e nuovo.
Oggi, non si tratta tanto di verificarne (come nei processi di interdizione ed inabilitazione) la
capacità di intendere e di volere (e la tipologia d’infermità mentale), quanto di capire quali sia il
grado di autonomia del beneficiario, quali siano in particolare gli atti che egli sia in grado di
compiere da solo ed autonomamente e quali invece necessitino intervento di sostegno, mediante
sostituzione, ovvero, assistenza da parte dell’amministratore di sostegno.
Un ponderato ed equilibrato ricorso all’accertamento peritale porta con sé effetti
indubbiamente positivi; 1) riduce i costi del procedimento; 2) ne velocizza la conclusione (che
74
Chizzini, op. cit., 445; Tommaseo, op. cit., 208 e nota 79.
75
Napoli, op. cit., 197.
76
Chizzini, op. cit., 445; Tommaseo, op. cit., 208 e nota 79.
24
dovrebbe avvenire nei sessanta giorni dal deposito del ricorso: art. 405, 1° comma, c.c.); 3) non
espone il disabile ad un accertamento di tipo invasivo.
Il riferimento normativo agli “accertamenti di natura medica” non appare limitato alla sola
consulenza medica d’ufficio, dato che, ai sensi dell’art. 344, 2° comma, c.c., in termini generali, “il
giudice tutelare può chiedere l’assistenza degli organi della pubblica amministrazione di tutti gli
enti i cui scopi corrispondono alle sue funzioni” .
Tra questi organi della P.A., il riferimento corre immediatamente alle relazioni dei servizi
sociali, articolazioni comunali, che, su richiesta del giudice tutelare, anche per finalità istruttorie,
possono essere invitati a redigere relazioni scritte su condizioni familiari e di vita di persone
conosciute nell’espletamento degli istituzionali compiti di assistenza delle persone in condizioni di
disagio.
Non è escluso da parte del g.t. l’eventuale interpello ai Carabinieri per l’effettuazione di
verifiche o riscontri sulla persona di cui si tratta o dei suoi familiari, in forza del principio di
collaborazione tra organi dello Stato77, anche in correlazione con la scelta della persona più idonea a
ricoprire la funzione di amministratore di sostegno ex art. 408.
4. Principio inquisitorio
Tra i principi fondamentale che reggono il processo civile vi è il principio dispositivo
(attenuato) in tema di prova dei fatti, rispecchiato dal disposto affidato all’art. 115 c.p.c. (intitolato
alla “Disponibilità delle prove”), a tenore del quale, “salvi i casi previsti dalla legge, il giudice deve
porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero”.
Ciò significa che per ritenere dimostrati i fatti allegati (e salvo talune limitate eccezionali
iniziative probatorie officiose), il giudice è vincolato dalle allegazioni delle parti e dalle prove che
le stesse gli hanno fornito (iudex secundum alligata et probata iudicare debet).
Dal punto di vista probatorio, il procedimento di sostegno è invece fondato sul principio
inquisitorio in correlazione alla particolare materia che ne costituisce oggetto, che è sottratta alla
disponibilità delle parti stante gli interessi pubblici implicati nel provvedimento di amministrazione.
In questo procedimento il legislatore non ha richiamato né l’art. 738, 3° comma, c.p.c., dettato
per i procedimenti camerali (“il giudice può assumere informazioni”), dalla cui previsione si
arguisce la natura tendenzialmente inquisitoria dei procedimenti, nè l’art 714 c.p.c., dettato per il
processo di interdizione e che l’art. 720 bis c.p.c. non ha dichiarato applicabile al procedimento in
77
Masoni, Il procedimento di sostegno cit., 509.
25
discorso (“… il giudice può disporre, anche d’ufficio, l’assunzione di ulteriori informazioni,
esercitando tutti i poteri istruttori previsti dall’art. 419 c.c.”).
Tuttavia in materia il legislatore della novella del 2004 ha dettato una specifica disciplina
normativa, a tenore della quale “il giudice provvede, assunte le necessarie informazioni” (art. 407,
3° comma, c.c.).
Ciò significa attribuzione al g.t. di “larghi poteri inquisitori…”78, la cui esatta perimetrazione
è rimessa al discrezionale apprezzamento del magistrato nel caso concreto e tenendo conto della
finalità della procedura che è quella di fornire protezione alle persone prive di autonomia.
La natura tendenzialmente inquisitoria del procedimento (in correlazione con i connessi
profili pubblicistici della materia che vi si riconnettono) non è condizionato dalle richieste
probatorie di parte, ben potendo il giudice, una volta depositato il ricorso, procedere ex officio
all’accertamento della situazione di non autonomia del beneficiario in funzione protettiva
dell’essere umano in condizioni di disagio e privo di autonomia. Ciò emerge per tabulas dalla
previsione secondo cui il giudice “dispone altresì, anche d'ufficio, gli accertamenti di natura
medica e tutti gli altri mezzi istruttori utili ai fini della decisione” (art. 407, 3° comma, c.c.).
La tipologia del mezzo di prova maggiormente idoneo allo scopo cui persegue il
procedimento non è perciò condizionato dalla richiesta e dall’impulso di parte79, come nei processi
aventi ad oggetto diritti disponibili, ma è rimessa all’autonoma iniziativa del magistrato.
In materia appare quindi inapplicabile il principio dell’onere della prova, ai sensi dell’art.
2697 c.c.80, applicabile nei processi aventi ad oggetto diritti disponibili.
Le deduzioni probatorie di parte “si risolvono in un’attività di collaborazione e di
cooperazione con quella del giudice”81 in funzione del doveroso accertamento dei presupposti di
applicabilità della misura protettiva.
78
Chizzini, op. cit., 441; Tommaseo, op. cit., 206.
79
Masoni, Il procedimento di sostegno cit., 536-537.
80
Chizzini, op. cit., 446.
81
Tommaseo, op. cit., 209.