イタリア語イタリア文学 - Researchmap

Transcript

イタリア語イタリア文学 - Researchmap
ISSN 1340-5683
イタリア語イタリア文学
LINGUA E LETTERATURA ITALIANA
(Facoltà di Lettere, Università di Tokyo)
IV
2008
東京大学大学院人文社会系研究科
南欧語南欧文学研究室紀要
目次 Indice
2001 年度 論文
Una tradizione: viso - riso - Paradiso (K. Ura) ------------------------------- 1
2007 年度 論文
3 fonti di Giacomo da Lentini: Andreas Capellanus, Jaufre Rudel e leggenda
tristaniana (K. Ura) ---------------------------------------- 29
浦 一章 ジャコモ・ダ・レンティーニにおけるマクロテスト ---- 47
浦 一章 文学史のために──2つの覚書── --------------------- 161
古田 耕史 レオパルディのロマン主義的自然観
──スタール夫人との関係を中心に── ------------245
資料紹介・翻訳
チャールズ・S・シングルトン 『ヰタ・ノワ』試論 第2章
(浦一章 訳)----------------------------293
投稿規定 ------------------------------------------------------------------341
Una tradizione: viso - riso - Paradiso
1
Una tradizione: viso - riso - Paradiso 1)
Kazuaki URA
Innanzi tutto, giustificazione del mio intervento a questo Convegno
Internazionale, perché non sono in alcun senso studioso di letteratura
del Rinascimento: sono due-trecentista e un po’ filologo romanzo (a
dire più esattamente, provenzalista). Mi è molto caro, per esempio,
studiare i rapporti fra la lirica italiana ed i trovatori. Ma il mio campo
di specializzazione finisce con la morte di Boccaccio, cioè nel 1375.
Dunque quel che posso dire in questa sede a proposito della letteratura
del Rinascimento è opinione di un semplice dilettante. Quindi, qualche
giustificazione della mia presenza è necessaria ed inevitabile. E confesso
subito che il motivo principale per cui ho accettato la partecipazione
a questo simposio era la presenza del Prof. Marco Santagata, che è
l’autore dello splendido commento mondadoriano sul Canzoniere. Leggo
Petrarca ogni anno in classe proprio coll’edizione santagatiana e quest’anno
(2001-02) ho cominciato con la canzone “Poi che per mio destino” che occupa
il 73o posto del maggior Petrarca volgare. Sono venuto oggi qui a proporre
al professor Santagata di aggiungere qualche informazione supplementare
al suo commento. Con la speranza che le mie proposte vengano approvate
ed accettate, questa breve relazione è rivolta e dedicata pricipalmente al
chiarissimo studioso dell’ateneo pisano. E col candore ed innocenza che
spero mi difenda, ammetto che la letteratura del Rinascimento è solo un
pretesto per condurmi alle suddette proposte. Devo riferirmi, d’altra parte,
alla letteratura del Rinascimento in una maniera o nell’altra.
*
Dunque cominciamo coll’unità tematico-formale “viso” - “riso” “paradiso” (ma il trinomio rappresenta soltanto il nucleo di una tradizione
lirica e, come verrà chiarito in seguito nello svolgersi di questa relazione,
bisognerebbe aggiungere altre poche parole frequentemente associate
2
イタリア語イタリア文学4号
che terminano in “-iso”). Ognuno si ricorda forse bene, come Simonetta
Vespucci nata in Cattaneo è descritta nelle Stanze di Poliziano. Leggiamo
ora la stanza 50 del primo libro.
Volta la ninfa al suon delle parole,
lampeggiò d’un sì dolce e vago riso,
che i monti avre’ fatto ir, restare il sole,
ché ben parve s’aprissi un paradiso.
Poi formò voce fra perle e viole,
tal ch’un marmo per mezo avre’ diviso,
soave, saggia e di dolceza piena,
da innamorar non ch’altri una Sirena.
(Poliziano, Stanze, I, 50) 2)
In questo brano, purtroppo, il “viso” non è in rima con il “paradiso”. Ma
un poco di lettura della poesia dei secoli precedenti (del Duecento, del
Trecento) avrebbe facilmente suggerito a Poliziano la possibilità di collegare
in rima “viso” e “paradiso”, e se un rimario fosse stato in uso, avrebbe
messo probabilmente a disposizione queste due parole. Infatti Poliziano in
un rispetto scrive così:
Chi vuol veder lo sforzo di Natura
venga a veder questo lezadro viso
d’Ipolita, che ’l cor cogli occhi fura:
contempli el suo parlar, contempli el riso.
Quand’Ipolita ride onesta e pura
e’ par ch’e’ si spalanchi el paradiso.
gli angeli al canto suo sanza dimoro
scendon tutti dal cielo a coro a coro.
(Poliziano, Rispetto, VII) 3)
A creare una certa atmosfera popolare contribuiscono in modo
“sistematico” (nel senso che gli strutturalisti dicono) i vari elementi
in questo brano: articolo determinativo “el” (anziché “il”), allotropia
“lezadro” (anziché “leggiadro”), ripetizione piuttosto piatta della
stessa parola e dello stesso construtto (“venga a veder..., contempli...,
contempli...”), uso del pleonastico “egli” (“e’ par ch’e’ ...”), termine
Una tradizione: viso - riso - Paradiso
3
più immaginifico e alquanto esagerato “spalanchi” (anziché “apra”. cfr.
Pulci, Morgante, XV, 102, 1-3, “Avea certi atti dolci e certi risi... Da
fare spalancar sei paradisi”), ecc. A parte questo tono popolare, però, la
rappresentazione di Ipolita è sostanzialmente uguale a quella della bella
donna che ha furato il cuore a Giuliano de’ Medici.
Se si incontra spesso negli scrittori del Rinascimento il raccostamento
fra il “viso” ed il “riso” della donna amata da una parte e il “paradiso”
dall’altra, si dovrebbe concludere che si tratti di un luogo comune
assai diffuso. Può darsi che l’indagine sia diventata oramai di gran
lunga più facile con la LIZ, cioè Letteratura italiana Zanichelli (CDROM dei testi della letteratura italiana 3.0, a cura di P. Stoppelli e E.
Picchi, Bologna, Zanichelli, 1997) che contiene numerosi testi, oppure
con l’Archivio della tradizione lirica (ATL), che raccoglie 200 testi
di sola poesia da Petrarca a Marino, pubblicato da Lexis (www.lexis.
it). Potrebbero agevolare l’indagine anche altri testi “on line” accessibili
a www.cibit.it, www.bibliotecaitaliana.it, ecc. Infatti nello scrivere
l’Introduzione alla lingua poetica, Luca Serianni ha recentemente fatto
proficuo uso della summenzionata LIZ 4). Attualmente il sistema operativo
del computer del relatore non gli lascia usufruire di tale sussidio informatico
e perciò qui nella presente relazione si danno soltanto gli esempi che la
diretta esperienza personale di lettura ha messo in luce. Cominciamo con
l’Orlando Furioso di Ariosto. Qui gli esempi sono molto frequenti, ma
basterà leggerne soltanto uno.
Come il Tartaro vede quel bel viso
che non ha paragone in tutta Spagna,
e c’ha nel pianto (or ch’esser de’ nel riso?)
tesa d’Amor l’inestricabil ragna;
non sa se vive o in terra o in paradiso.
(Ariosto, Orlando Furioso, XIV, 52, 1-5) 5)
In questo brano bisognerebbe notare il sintagma trisillabico “bel
viso” che si ripete spesso e che rispecchia quello delle lingue d’oc e
d’oïl medievali: “clar vis” e “cler vis”. Senza seguire le tracce nelle altre
opere del vate di Ferrara, l’esemplificazione continuerà con le Stanze di
Bembo:
4
イタリア語イタリア文学4号
Rose bianche e vermiglie ambe le gote
sembran, colte pur ora in paradiso;
care perle e rubini, ond’escon note
da far ogni uom da se stesso diviso;
la vista un sol, che scalda entro e percote,
e vaga primavera il dolce riso;
ma l’accoglienza, il senno e la virtute
potrebbe dare al mondo ogni salute.
(Bembo, Stanze, 27) 6)
Come accade per la succitata stanza di Poliziano, anche qui manca il “viso”,
ma il concetto del “viso” è implicitamente espresso col “dolce riso”, dato
che il riso è un aspetto momentaneo del viso.
Nell’esempio di Leonardo Giustinian si osserva il suddetto sintagma “bel
viso”.
e se baciar potessi il tuo bel viso,
l’anima e ’l corpo mando in paradiso.
(Giustinian, Strambotti I:
Il papa ha concesso quindici anni, 7-8) 7)
Ora diamo una veloce occhiata al seguente brano di Marino, perché il
sintagma ivi compreso “angelico sguardo”, insieme all’ultima parola della
stanza bembiana “salute” (che significa ovviamente “salvezza celeste”), ci
costringe a rivolgere l’attenzione a Dante ed alla “donna angelicata” della
tradizione stilnovistica.
Chi crederà che Morte empia si celi
in angelico sguardo? e che ’n un riso
dolce il pianto e ’l dolor si copra e veli?
Potrò ben dir, s’un mansueto viso
esser ministro dee d’opre crudeli,
ch’abbia ancor le sue Furie il Paradiso.
(Marino, Amori 12: Donna bella e crudele, 9-14) 8)
In una canzone giovanile “stravagante” cioè non ospitata nella Vita
Nuova: “Lo doloroso amor che mi conduce” 9), il poeta mette in chiaro
antagonismo Beatrice e il paradiso. In questa canzone, Beatrice è, in
Una tradizione: viso - riso - Paradiso
5
clamorosa contraddizione con l’etimologia del suo nome, anti-beatrice che
costringe il poeta a gridare: «Per quella moro c’ha nome Beatrice» (v.14).
Ella è insomma “une belle dame sans merci”, rispetto al cui “dolce viso”
il paradiso non ha alcun valore: «ricordando la gio’ del dolce viso, / a che
niente par lo paradiso» (vv.27-28). In altri termini, per il poeta, Beatrice
stessa è il paradiso seppur indi egli sia spietatamente escluso. Di questo
antagonismo fra la donna amata e il cristianesimo, già quasi 70 anni fa, C.S.
Lewis ha trattato coll’elegante formula di “religion of Love” (oppure “love
religion of the god Amor”) nel famoso libro The Allegory of Love 10). Il poeta
della canzone infatti potrà annoverare, fra i suoi antenati, quell’Aucassin
che dichiara: “En paradis qu’ai je a faire? je n’i quier entrer, mais que j’aie
Nicolete ma tresdouce amie que j’aim tant” (Aucassin et Nicolette, VI)
11)
, cioè “In paradiso che ho da fare? non ci voglio entrare, purché abbia
Nicoletta, mia amica dolcissima che amo tanto”.
Nelle 31 composizioni in versi, incluse e commentate nella Vita Nuova,
Dante non fece mai ricorso al luogo comune di “viso” - “paradiso”, forse
perché preferiva non mettere Beatrice e Paradiso in tale antagonismo che
avrebbe disturbato l’atmosfera mistica, pregna di religiosità, dell’insieme.
Per garantire l’entrata in Paradiso della donna morta, sarebbe stato
più prudente non farla rivale della religione ufficiale. Ma nella prosa del
libello giovanile, in quella prosa, come è noto, molto astratta e scevra
di quasi ogni concreto storico, si osserva qualche debole riflesso dell’unità tematico-formale che stiamo rintracciando, appunto dove l’autore
scrive, raccontando il primo saluto da Beatrice donato, “... e passando per
una via, volse li occhi verso quella parte ov’io era molto pauroso, e per la
sua ineffabile cortesia, la quale è oggi meritata nel grande secolo, mi salutoe
molto virtuosamente tanto che me parve allora vedere tutti i termini de la
beatitudine” (III, 1) 12). È facile e naturale immaginare che nel momento
del saluto Beatrice abbia concesso anche un dolce sorriso (e perché no?). Il
protagonista della Vita Nuova probabilmente vide nel viso tutto atteggiato
a sorriso di Beatrice la primizia del Paradiso. Comunque, sembra che
sia troppo evidente la somiglianza fra questo brano della Vita Nuova e il
Paradiso XV, 32 sgg.:
Poscia rivolsi alla mia donna il viso,
6
イタリア語イタリア文学4号
e quinci e quindi stupefatto fui;
ché dentro alli occhi suoi ardea un riso
tal, ch’io pensai co’ miei toccar lo fondo
della mia grazia e del mio paradiso.
Nella canzone fatta oggetto di commento nel terzo libro del Convivio,
il poeta che una volta trovava il paradiso nel viso di Beatrice, lo ritrova
ora nel “dolce riso” della Filosofia antropomorfizzata. Nella serie rimica
compare anche il “viso” però riferito non alla Filosofia ma a tutti gli uomini
(compreso pure il poeta che non riesce a sostenere il riso troppo radiante
della Filosofia).
Cose appariscon ne lo suo aspetto
che mostran de’ piacer di Paradiso 13),
dico ne li occhi e nel suo dolce riso,
che le vi reca Amor com’a suo loco.
Elle soverchian lo nostro intelletto
come raggio di sole un frale viso:
e perch’io non le posso mirar f iso,
mi convien contentar di dirne poco.
(Dante, Conv. canz.2:
Amor che ne la mente mi ragiona, 55-62) 14)
Nel terzo cantico della Commedia, Beatrice è oramai soltanto specchio
che riflette il Paradiso: ella stessa non può più surrogare il Paradiso e perciò
teoricamente non c’è più alcuna possibilità dell’antagonismo. Ma con una
civetteria ammiccante rivolta ai lettori esperti della lirica italiana, Dante
continua a paragonare il viso di Beatrice con il Paradiso. Basti soltanto un
esempio.
...il piacere etterno, che diretto
raggiava in Beatrice, dal bel viso
mi contentava col secondo aspetto.
Vincendo me col lume d’un sorriso,
ella mi disse: -- Volgiti ed ascolta;
ché non pur ne’ miei occhi è paradiso. -
(Dante, Par., XVIII, 16 sgg.) 15)
Una tradizione: viso - riso - Paradiso
7
Si domanderà forse da dove Dante abbia derivato questo luogo comune.
Si dice che egli abbia letto la poesia della scuola siciliana in manoscritti
non molto diversi da quelli tramandatici oggi quali Vaticano Latino 3793,
Laurenziano Rediano 9, Banco Rari 217 (ex Palatino 418). Nel Vaticano
Latino 3793, si legge un sonetto del Notaio Giacomo da Lentini che
comincia “Io m’ag[g]io posto in core a Dio servire”, in cui appena si profila
nelle quartine il suddetto antagonismo fra la donna amata e il Paradiso, nelle
terzine da abile avvocato Giacomo subito tenta di sfumarlo attenuando il
contrasto per ambagi. Anche qui figurano i due sintagmi “claro viso” e “bel
viso”.
Io m’ag[g]io posto in core a Dio servire,
com’io potesse gire in paradiso,
al santo loco ch’ag[g]io audito dire,
u’ si mantien sollazzo, gioco e riso.
sanza mia donna non vi voria gire,
quella c’ha blonda testa e claro viso,
ché sanza lei non poteria gaudere,
estando da la mia donna diviso.
Ma no lo dico a tale intendimento,
perch’io pec[c]ato ci volesse fare;
se non veder lo suo bel portamento
e lo bel viso e ’l morbido sguardare:
ché lo mi teria in gran consolamento,
veg[g]endo la mia donna in ghiora stare.
(Giacomo da Lentini) 16)
Se questo sonetto non fosse bastato a incidere nella tenace memoria di
Dante l’unità tematico-formale in questione, in soccorso sarebbero venuti
altri due sonetti contenuti nel Laurenziano Rediano 9, i cui incipit sono
rispettivamente [L]o viso -- mi fa andare alegramente 17) e [E]o viso -- e son
diviso -- da lo viso. Soprattutto in questo ultimo, a danno della chiarezza
del significato, nell’ambiguità quasi guittoniana ante litteram, un aspetto
speciale del significante è messo in rilievo in modo sì martellante e sì
esasperato che, una volta letto il sonetto, è impossibile dimenticare il legame
fra viso e Paradiso. Si notino in particolare la seconda quartina e la prima
terzina:
8
イタリア語イタリア文学4号
[E]o viso -- e son diviso -- da lo viso
e per aviso -- credo ben visare;
però diviso -- ‘viso’ -- da lo ‘viso’,
ch’altr’è lo viso -- che lo divisare;
e per aviso -- viso -- in tale viso
de l[o] qual me non posso divisare:
Viso -- a vedere quell’è peraviso,
che no è altro se non Deo divisare;
’Ntra viso -- e peraviso -- no è diviso,
che non è altro che visare -- in viso:
però mi sforzo tuttora visare.
[E] credo per aviso -- che da ‘viso’
già mai me non pos’essere diviso
che l’uomo vi ’nde possa divisare.
(Giacomo da Lentini) 18)
*
Aprendo qui una parentesi, vorrei aggiungere una mia osservazione a
proposito dei rapporti fra il Notaio e il Dante della Vita Nuova: nella poesia
di Giacomo, il Dante giovane ha probabilmente notato anche il ricorrente
uso di un altro luogo comune, cioè il ritratto della donna amata dipinto
nel cuore del poeta 19). Come accadde per “viso-Paradiso”, nella prosa del
libello givanile Dante accenna appena al “ritratto nel cuore”, quando scrive:
“E avvegna che la sua [= di Beatrice] imagine, la quale continuamente
meco stava, fosse baldanza d’Amore a segnoreggiare me, tuttavia era di sí
nobilissima virtú, che nulla volta sofferse che Amore mi reggesse sanza lo
fedele consiglio de la ragione” (VN II, 9). Il comune trattamento, l’uso così
parco e così poco vistoso, dei due temi, a mio modo di vedere, indica una
scelta intenzionale di stile da parte del Dante all’altezza della Vita Nuova.
Ma per una maggior precisione non si potrebbe non riferirsi al fatto che
Dante abbia assunto lo stesso atteggiamento anche nei confronti dei sodali
più intimi dello Stilnovo: Guinizzelli e Cavalcanti. Le sensazioni che suscita
nel poeta il saluto della donna amata, Guinizzelli le disegna con l’immagine
di una statua d’ottone:
remagno como statüa d’ottono,
ove vita né spirto non ricorre,
Una tradizione: viso - riso - Paradiso
9
se non che la figura d’omo rende.
(Guinizzelli, Lo vostro bel saluto e ’l gentil sguardo, 12-14) 20)
Nel descrivere il dolore causato dalla sua donna spietata ed orgogliosa
Cavalcanti fa ricorso alla stessa immagine ma intensificandola con
particolari più dettagliati:
I’ vo come colui ch’è fuor di vita,
che pare, a chi lo sguarda, ch’omo sia
fatto di rame o di pietra o di legno,
che si conduca sol per maestria.
e porti ne lo core una ferita
che sia, com’egli è morto, aperto segno.
(Cavalcanti, Tu m’hai sì piena di dolor la mente, 9-14) 21)
Pure Dante, spiegando gli effetti della meravigliosa influenza invisibile che
emana da Beatrice nel momento del suo saluto, adopera la stessa immagine
ma ne elimina ogni elemento concreto e pittoresco:
E quando questa gentilissima salute salutava, non che Amore fosse
tal mezzo che potesse obumbrare a me la intollerabile beatitudine,
ma elli quasi per soverchio di dolcezza divenia tale, che lo mio
corpo, lo quale era tutto allora sotto lo suo reggimento, molte volte
si movea come cosa grave inanimata.
(Dante, VN, XI, 3)
Quando giugne per gli occchi al cor profondo
l’imagine donna, ogni altra indi si parte,
et le virtù che l’anima comparte
lascian le membra quasi immobil pondo.
(Petrarca, Canzoniere 94, 1-4) 22)
Quando Petrarca canta così nell’esprimere ciò che succede nel profondo
dell’amante quando la figura dell’amata si vede, sembra che il poeta tenga
presenti non soltanto Guinizzelli e Cavalcanti ma anche Dante e, vista
l’astrattezza del sintagma “immobile pondo”, si dovrebbe concludere che
la mediazione dell’autore della Vita Nuova era indispensabile ai versi del
cantore di Laura. Si chiude qui la lunga parentesi.
10
イタリア語イタリア文学4号
*
Non è trascurabile l’influenza della lirica trobadorica sulla poesia
siciliana, come si può documentare nei numerosi provenzalismi (o pseudoprovenzalismi). Allora possiamo forse risalire dal Notaio ai trovatori e
rinvenire qualche esempio precedente? Anche a questo proposito l’indagine
è diventata oramai notevolmente più facile con l’uscita della Concordance
de l’occitan médiéval (a cura di Peter T. Ricketts, Turnhout [Belgium],
Brepols Publishers, 2001). Nel corpus della Concordance si trovano in
totale 39 esempi (distribuiti in 38 opere) del “paradis” occorrente nelle serie
rimiche 23) :
1) Aimeric de Belenoi, S’a midons plazia, in Aimeric de Belenoi:
Le poesie, a cura di Andrea Poli, Firenze, Positivamail, 1997, LV
(pp.153-55 = PC 009 020): pays (031) - aclis (032) - pellegris (034)
- paradis (035) - servis (037) - [cor] lis (038) - auzis (040) - quis
(041) - partis (043) - devis (044) - Hyris (046) - Biblis (047)
2) Bernart d’Auriac, Be volria de la mellor, in Amos Parducci,
Bernart d’Auriac, in «Studi Medievali» 6 (1933), pp.82-98 (I,
pp.91-92 = PC 057 001): paradis (006) - assis (007) - [solatz ni] ris
(014) - servis (015) - aclis (022) - conquis (023) - [hom] vis (030) fis (031) - aucis (038) - muris (039)
3) Bernart de Ventadour, Belh Monruel, aisselh que.s part de
vos, in Das Leben und die Lieder des Trobadors Peire Rogier,
bearbeitet von Carl Appel, Berlin, G.Reimer, 1882, pp.92-94 (=
PC 070 011): Helis (006) - lis (009) - lis (012) - amayris (015) aucis (018) - servis (021) - pays (024) - enfolletis (027) - [quatorze]
ris (030) - [per mei lo] vis (033) - paradis (036) - conquis (039) reverzis (042) - fenis (045)
4) id., Gen estera que chantes, in Bernard de Ventadour,
troubadour de XIIe siècle, éd. Moshé Lazar, Paris, Klincksieck,
1966, XXXVII (pp.202-04 = PC 070 020): abelis (002) - grazis (003)
- pais (011) - esdevis (012) - aizis (020) - fis (021) - paradis (029) partis (030) - [eu anc] vis (038) - aclis (039)
5) id., Can la freid’aura venta, in Bernard de Ventadour,
troubadour de XIIe siècle, éd. Moshé Lazar, Paris, Klincksieck,
1966, XXVI (pp.160-62 = PC 070 037): pais (002) - paradis (004)
Una tradizione: viso - riso - Paradiso
11
- aclis (006) - assis (008) - partis (009) - [clar] vis (012) - conquis
(014) - fis (016) - dis (018) - afortis (019)
6) Bertran de Born (fils), Un sirventes voil obrar d’alegratge, in A.
Stimming, Bertran von Born, 2e édition, Halle, 1913, V (pp.148-49
= PC 081 001a): dis (005) - [m’es] vis (013) - paradis (014) - assis
(021) - dis (022) - mis (029) - vezis (030) - aclis (037) - chauzis (038)
- Lis (041) - assis (042)
7) Cercamon, Lo plaing comenz iradamen, in Il Trovatore
Cercamon, a cura di Valeria Tortoreto, Modena, S.T.E.M. Mucchi,
1981, VII (pp.182-84 = PC 112 002a): Peitavis (006) - paradis (012)
- fis (018) - escharnis (024) - devis (030) - conquis (036) - serrazis
(042) - aunis (048) - pelegris (054)
8) Chardon de Croisilles, N’Ugo, chauzetz, avantz qe respondatz,
in H. Suchier, “Der Minnesänger Chardon”, «Zeitschrift für
romanische Philologie» 31 (1907), pp.129-58 (VII, pp.149-50 = PC
114 001): [avinen] ris (002) - dis (003) - lis (018) - esclarzis (019) assis (034) - paradis (035) - fenis (042)
9) Daude de Prades, Tan sen al cor un amoros desir, in Poésies
de Daude de Pradas, éd. A.H. Schutz, Toulouse, Privat, 1933, VIII
(pp.35-37 = PC 124 017): assis (002) - paradis (003) - enardis (010)
- suffris (011) - conquis (018) - afortis (019) - acuillis (026) - [oill
amoros plen de] ris (027) - plevis (034) - ofris (035)
10) Gaucelm Faidit, Ara nos sia guitz, in Les Poèmes de
Gaucelm Faidit, éd. J. Mouzat, Paris, Nizet, 1965, LV (pp.460-63
= PC 167 009): Lemozis (009) - pais (010) - vezis (012) - fis (013)
- languis (015) - aizis (025) - afis (026) - grazis (028) - aclis (029) chamis (031) - assis (041) - aucis (042) - paradis (044) - ressis (045)
- abellis (047) - Paris (057) - Daunis (058) - esterlis (060) - Safadis
(061) - fis (063) - Sarrazis (073) - conquis (074) - pelegris (076) Saladis (077) - benezis (079) - fis (081) - Peitavis (082) - conquis
(084) - Elis (085) - aclis (087) - fis (089) - Peitavis (090) - peleris
(093) - Baudouis (095)
11) id., Tan aut me creis Amors en ferm talan, in Les Poèmes de
Gaucelm Faidit, éd. J. Mouzat, Paris, Nizet, 1965, VI (pp.86-87 =
PC 167 057): [clar] vis (002) - robis (003) - lis (009) - sorpris (010)
- mercis (016) - conquis (017) - servis (023) - assis (024) - aclis (030)
- [m’es] vis (031) - Mercis (037) - paradis (038)
12
イタリア語イタリア文学4号
12) Guilhem Ademar, Pos vei que reverdeja.l glais, in Poésies
du troubadour Guilhem Adémar, éd. Kurt Almqvist, Uppsala,
Almqvist & Wiksells, 1951, III (pp.108-10 = PC 202 010): esclarzis
(002) - enbelezis (004) - obezis (010) - matis (012) - dis (018) consentis (020) - sarrazis (026) - pairis (028) - pris (034) - servis
(036) - amis (042) - paradis (044)
13) Guilhem de Berguedan, Mais volgra chantar a plazer, in Les
Poesies del trobador Guilhem de Berguedà, ed. Martín de Riquer,
Barcelona, Quaderns Crema, 1996, XXVII (pp.344-48 = PC 210
014): [m’es] vis (005) - gueris (006) - fis (013) - paradis (014) chauzis (021) - noyris (022) - abellis (029) - mis (030) - durmis (037)
- devis (038) - [no.us] vis (041) - paradis (042)
14) Guilhem de Capestany, Lo dous cossire, in Les Chansons
de Guilhem de Cabestanh, éd. A. Långfors, Paris, CFMA, 1924, V
(pp.13-18 = PC 213 005): [dous] ris (032) - lis (034) - fis (036) paradis (038) - abelis (047) - acclis (049) - [ie.us] vis (051) - servis
(053)
15) Guilhem Figueira, D’un sirventes far en est son que
m’agenssa, in E. Levy, Guilhem Figueira, ein provenzalischer
Troubadour, Berlin, Liebrecht, 1880, II (pp.35-43 = PC 217 002):
paradis (039) - Lois (040) - aucis (041 rimalmezzo) - Paris (042)
- Sarrazis (043 rimalmezzo) - Latis (044 rimalmezzo) - abis (045
rimalmezzo)
16) id., Totz hom qui ben comensa e ben fenis, in E. Levy,
Guilhem Figueira, ein provenzalischer Troubadour, Berlin,
Liebrecht, 1880, II (pp.49-52 = PC 217 007): fenis (001) - fis (004)
- floris (007) - noiris (012) - grazis (017) - gueris (020) - camis
(025) - paradis (028) - peris (033) - somonis (036) - aclis (041) pellegris (044)
17) Guilhem Montanhagol, Non an tan dig li primier trobador,
in Les poésies de Guilhem de Montanhagol, troubadour provençal
du XIIIe siècle, éditées par Peter T. Ricketts, Toronto, Pontifical
Institute of Medieval Studies, 1964, VIII (pp.49-52 = PC 225 007):
fis (008) - assis (009) - dis (018) - noyris (019) - partis (028) paradis (029) - issis (038) - moris (039) - fraydis (048) - vilsis (049)
- aunis (058) - aclis (059) - devezis (062) - fis (063)
18) Guilhem Uc, Quant lo braus fregz yverns despuella, in
Provenzalische Inedita aus Pariser Handschriften, herausgegeben
Una tradizione: viso - riso - Paradiso
13
von Carl Appel, Wiesbaden, Dr Martin Sändig oHG, 1892,
pp.155-57 (= PC 237 001): iardis (002) - clis (004) - [de mon] vis
(018) - lis (020) - paradis (034) - [dous] ris (036)
19) Guiraut de Calanson, Bel semblan, in W Ernst, Die
Lieder des provenzalischen Trobadors Guiraut von Calanson, in
«Romanische Forschungen» 44 (1930), pp.255-406 (X, pp.328-31 =
PC 243 005): [vostre clar] vis (013) - [bel dous] ris (015) - paradis
(017) - aizis (019)
20) Joan Esteve, Le senhers qu’es guitz, in Le Poesie del
trovatore Johan Esteve, a cura di Sergio Vatteroni, Pisa, Pacini,
1986, IX (pp.104-07 = PC 266 008): paradis (085) - dis (088) aculhis (091) - peccairis (094)
21) Lanfranc Cigala, En chantar d’aquest segle fals, in Il
canzoniere di Lanfranco Cigala, a cura di Francesco Branciforti,
Firenze, Olschki, 1954, XXX (pp.239-42 = PC 282 002): paradis
(105) - conquis (106)
22) Moine de Montaudon, L’autrier fuy en Paradis, in Les
Poésies du Moine de Montaudon, éd. Michael J. Routledge,
Montpellier, C.E.O. de l’Université Paul-Valéry, 1977, I (pp.24-26
= PC 305 012): paradis (001) - obezis (004) - venguis (006) - aclis
(009) - servis (012) - Paris (014) - grazis (017) - vezis (020) - [lo
chan e.l] ris (022) - falhis (025) - mentis (028) - ahis (030) - fezis
(033) - amis (036) - esterlis (038) - [l’agra ben] vis (041) - sarrazis
(044) - culhis (046)
23) id., Manens e frairis foron companho, in Les Poésies du
Moine de Montaudon, éd. Michael J. Routledge, Montpellier, C.E.O.
de l’Université Paul-Valéry, 1977, XVII (pp.144-46 = PC 305 013):
frairis (033) - formis (034) - camis (035) - plevis (037) - paradis
(038) - departis (039)
24) Peire d’Auvergne, Cui bon vers agrada auzir, in Peire
d’Alvernha: poesie, a cura di Aniello Fratta, Roma, Vecchiarelli,
1996, X (pp.71-75 = PC 323 013): assis (004) - auzis (006) - [lur
nesci feble fat] ris (011) - enantis (013) - iardis (018) - techis (020)
- marbotis (025) - fis (027) - conquis (032) - cozis (034) - aucis
(039) - gueris (041) - marquis (046) - [la mortz li serre lo] vis (048)
- mercis (051) - paradis (053)
25) Peire Cardenal, “D’un sirventes far soi aders”, in Poésies com-
14
イタリア語イタリア文学4号
plètes du troubadour Peire Cardenal (1180-1278), éd. René Lavaud,
Toulouse, Privat, 1957, XXI (pp.314-16 = PC 335 020): vezis (002)
- meschis (004) - querentis (009) - camis (011) - [lo mieus] ris (016)
- calcatris (018) - gris (023) - garis (025) - paradis (030) - asantis
(032)
26) id., Qui se vol tal fais cargar qu’el fasi lo vensa, in Poésies
complètes du troubadour Peire Cardenal (1180-1278), éd. René
Lavaud, Toulouse, Privat, 1957, LII (pp.110-12 = PC 335 044): fis
(007) - fis (008) - assis (015) - sis (016) - dis (023) - paradis (024)
- Daunis (031) - aunis (032) - [lur solatz e lur] ris (039) - canis (040)
- Dalfis (043) - fis (044)
27) Peire Milon, Si com lo mege fa crer, in Carl Appel, Poésies
provençales inédites tirées des manuscrits de l’Italie, in «Revue
des langues romanes» 39 (1896), pp.177-216 (pp.198-99 = PC 349
009): relenqis (005) - fis (008) - promis (009) - [tornei mon plor en]
ris (012) - enrequis (021) - paradis (024) - mis (025) - contradis
(028) - afortis (037) - conqis (040) - gechis (041) - aclis (044)
28) Peire Raimon de Toulouse, Pessamen ai e cossir, in Le
Poesie di Peire Raimon de Tolosa, a cura di Alfredo Cavaliere,
Firenze, Olschki, 1935, IX (pp.75-77 = PC 355 010): abelhis (025)
- paradis (026) - aclis (034) - afortis (035)
29) Peire Vidal, Mos cors s’alegr’ e s’esjau, in Peire Vidal:
poesie, a cura di D’Arco Silvio Avalle, Milano-Napoli, Ricciardi,
1960, XVII (pp.147-48 = PC 364 027): paradis (004) - fis (007) amis (011) - languis (014) - mis (018) - cozis (021) - pais (025) - [siei
dous] ris (028) - aclis (032) - vezis (035)
30) Peirol, Coras que.m fezes doler, in Peirol, Troubadour of
Auvergne, ed. S.C. Aston, Cambridge, Cambridge University Press,
1953, XXIV (pp.131-32 = PC 366 009): conquis (005) - enriquis
(008) - grazis (009) - dis (012) - noiris (021) - fis (024) - abelhis
(025) - trais (028) - aclis (037) - pais (040) - [la crotz dels] ris (041)
- paradis (044)
31) Raimbaut d’Orange, Ara.m so del tot conquis, in The Life
and Works of the Troubadour Raimbaut d’Orange, ed. Walter T.
Pattison, Minneapolis, University of Minnesota Press, 1952, XXIX
(pp.167-68 = PC 389 011): conquis (001) - [gauge] ris (003) - grazis
(012) - assis (014) - servis (016) - fis (022) - trais (024) - devis (033)
- enquis (035) - sofris (037) - [si.m volia ses] ris (043) - paradis (045)
Una tradizione: viso - riso - Paradiso
15
- acclis (054) - [m’es] vis (056) - asseris (058)
32) Raimon Jordan, Lo clar temps vei brunezir, in Il Trovatore
Raimon Jordan, a cura di Stefano Asperti, Modena, Mucchi, 1990,
IV (pp.256-62 = PC 404 004): [m’es] vis (008) - espandis (009) aculhis (017) - amis (018) - assis (042) - devis (043) - paradis (051)
- aculhis (052)
33) Rigaut de Barbezieux, Ben volria saber d’Amor, in Rigaut
de Berbezilh: liriche, a cura di Alberto Varvaro, Bari, Adriatica,
1960, V (pp.160-62 = PC 421 005): aclis (006) - paradis (007) devis (014) - fis (015) - camis (022) - gandis (023) - devis (030) conquis (031) - assis (038) - aucis (039) - saubis (041) - languis (042)
34) Cerveri, Del mon volgra que son noms dreitz seguis, in
Obras completas del trovador Cerveri de Girona, ed. Martín de
Riquer, Barcelona, Horta, 1947, CVI (pp.300-01 = PC 434 006):
adossis (004) - fis (007) - espandis (010) - trays (013) - [forssa tolh
forssa, e vis] vis (019) - paradis (022) - pays (025) - escarnis (028)
35) id., Pus Amors vol qu’eu faça sa comanda, in Obras
completas del trovador Cerveri de Girona, ed. Martín de Riquer,
Barcelona, Horta, 1947, XXII (pp.58-60 = PC 434a 049): [Bel] vis
(040 rimalmezzo) - [clar] vis (040 rimalmezzo) - lis (040) - robis
(041 rimalmezzo) - amatis (041) - camis (045) - pris (047) - [c’om]
vis (049) - sis (051) - fis (053) - paradis (055) - moris (056) - fenis
(059) - jausis (060)
36) anonimo, Flors de paradis, in Francisco J. Oroz Arizcuren,
La Lírica religiosa en la literatura provenzal antigua, Pamplona,
Diputación Foral de Navarra, 1972, pp.430-52 (= PC 461 123):
paradis (001) - aclis (003) - mesquis (005)
37) anonimo, Salve regina donna, in E. Levy, Poésies religieuses
provençales et françaises du manuscrit extravagant 268 de
Wolfbüttel, in «Revue des langues romanes» 31 (1887), pp.173-288,
420-35 (pp.254-56 = PC 461a 009): paradis (047) - abis (049) conquis (050)
38) anonimo, Vergen sainta Margarida, in E. Levy, Poésies
religieuses provençales et françaises du manuscrit extravagant
268 de Wolfbüttel, in «Revue des langues romanes» 31 (1887),
pp.173-288, 420-35 (pp.247-49 = PC 461a 012): paradis (013) defenderis (014)
イタリア語イタリア文学4号
16
[NB: le indicazioni numeriche iniziate con PC significano le
collocazioni in Alfred Pillet und Henry Carstens, Bibliographie der
Troubadours, Halle, Max Niemeyer, 1933, mentre l’indicazione
numerica tra parentesi dopo ogni rimante significa la riga]
Dall’elenco si ha l’impressione che nella lingua d’oc medievale la
declinazione normale (combinata con la “n” effimera) e la coniugazione
regolare fornissero una più ricca scelta di termini uscenti in “-is”.
Ciononostante si osserva già un processo in moto di cristallizzazione intorno
ad alcune parole ricorrenti fra cui anche “ris” e “vis” (ma è da segnalare
il fatto che gli esempi nell’elenco non sono sempre sostantivi e, quando
significano il “viso”, non sono sempre della donna amata). D’altra parte, in
italiano, sembra che la scelta si esaurisca già se si aggiungono, ai margini
dei tre sostantivi “viso-riso-paradiso”, alcuni participi passati non molto
numerosi che potrebbero essere qualche volta di tono alquanto aulico: assiso,
conquiso, deciso, diviso (che è legato, nel Notaio, al tema della lontananza
dalla donna amata), eliso (che potrebbe essere anche sostantivo sinonimo
di paradiso), fiso (che si associa spesso col tema dell’assiduità del pensiero
amoroso), occiso (piuttosto che ucciso), preciso, priso, miso (francesismi
questi ultimi due per “preso” e “messo”), ecc. Comunque, dal punto di vista
che si assume qui, il caso di Guiraut de Calanson sarebbe particolarmente
interessante non soltanto per il parallerismo-anatagonismo fra la donna ed
il cristianesimo, per gli aggettivi che qualificano rispettivamente il “viso”
ed il “riso”, ma anche e soprattutto per l’attiguità con cui si presentano i tre
rimanti (seppure tale vicinanza non raggiunga l’impressionante intensità
di Giacomo “[E]o viso -- e son diviso”: quell’intensità che renderebbe al
Notaio onore e gloria di fondatore della tradizione di cui si tratta in questa
sede).
Donx, valen
cors prezan,
no m’an
tan volven
vostre clar vis
e la fresca color
e.l bel dous ris,
Una tradizione: viso - riso - Paradiso
17
per que m’ausi Amor.
Que paradis
no volgr’aver meillor
sol que m’aizis
ab vos sotz cobertor.
(Guiraut de Calanson, Bel semblan, 9-20) 24)
A questa fonte ipotetica del Notaio si potrebbe aggiungere caso mai il brano
di Guilhem de Cabestanh:
En sovinensa
tenc la car’e.l dous ris,
vostra valensa
e.l belh cors blanc e lis;
s’ieu per crezensa
estes vas Dieu tan f is,
vius ses falhensa
intrer’em Paradis;
qu’ayssi.m suy, ses totz cutz,
de cor a vos rendutz
q’autra joy no m’adutz;
q’una non porta benda
qu’ieu.n prezes per esmenda
jazer ni fos sos drutz,
per las vostras salutz.
(Guilhem de Cabestanh, Lo dous cossire, 31-45)
Nella serie è assente il “viso”, ma caso mai sarebbe stato Dante, piuttosto
che Giacomo da Lentini, a subire l’influenza del trovatore per l’episodio del
“cuore mangiato” e per l’apprezzamento delle “salutz” 25) della donna amata.
*
La conclusione che si ricava dalla documentazione che ho protratto fin
qua, certo sommaria e non completa, è quasi apoditticamente evidente
e addirittura rischia di rasentare il banale: per comprendere meglio la
letteratura del Rinascimento bisognerebbe studiare anche la poesia del DueTrecento. Ma oramai è tempo di ritornare a Petrarca e fare le mie proposte
menzionate all’apertura della mia relazione. Nella canzone Poi che per mio
destino, Petraraca scrive degli occhi di Laura:
18
イタリア語イタリア文学4号
Pace tranquilla senza alcuno affanno,
simile a quella ch’è nel ciel eterna,
move da lor inamorato riso.
Così vedess’io f iso
come Amor dolcemente gli governa,
sol un giorno da presso...
(Canzoniere, 73, 67-72)
Il poeta fa qui maliziosamente un ammicco ai “connaisseurs” della
lirica italiana, perché ha nascosto il Paradiso trasformandolo in
pace eterna tranquilla. Ma sarà più esatto dire che il poeta è stato
costretto a nasconderlo a causa della forma della stanza. Per i lettori
esperti, comunque, la presenza implicita del Paradiso è ovvia: dunque
un’intesa tacita fra l’emittente e il ricevente del messaggio poetico. In altri
termini, dove l'unità tematico-formale in questione (viso-riso-paradiso)
svolge la funzione del codice poetico, i poeti possono lavorare, per
così dire, "di assenza" e i lettori sono in grado di colmare la lacuna
perché nel loro orizzonte d'attesa è sempre presente quel che sembra
assente 26) : la leggera modifica del paradigma tradizionale non interrompe
la continuità dell’orizzonte comune. Che Petrarca abbia fatto consapevole
uso del luogo comune, è dimostrabile da alcuni passi del Canzoniere 27). Mi
limiterò a dire soltanto che penso qui al commento del Professor Santagata
sia possibile aggiungere molte informazioni. Certo si tratta di una fonte
“interdiscorsiva” piuttosto che “intertestuale”, se adottiamo la distinzione da
Cesare Segre formulata 28). Ma la mia proposta non è ancora finita e vorrei
suggerire alcune fonti, piccole ma “intertestuali”, che l’insegnamento di
quest’anno accademico mi ha indicato. Sempre a proposito del Canzoniere
73, quando il poeta scrive ai vv.79-84:
solamente quel nodo
ch’Amor cerconda a la mia lingua quando
l’umana vista il troppo lume avanza,
fosse disciolto, i’ prenderei baldanza
di dir parole in quel punto sì nove
che farian lagrimar chi le ’ntendesse...
perché non lo raccostiamo col brano seguente di Dante?
Una tradizione: viso - riso - Paradiso
19
Io dico che pensando il suo valore,
Amor sí dolce mi si fa sentire,
che s’io allora non perdessi ardire,
farei parlando innamorar la gente.
(Donne ch’avete intelletto d’amore, 5-8)
Mentre il “nodo” richiama quello di cui ha parlato Bonagiunta da Lucca
nel famoso passo del Purgatorio, il “prendere baldanza” petrarchesco è il
rovescio del “non perdere ardire” dantesco. Il rapporto è identico anche fra il
“fare lagrimar chi le ’ntendesse” petrarchesco e il “fare innamorar la gente”
dantesco, d’altra parte il valore semantico del “dir parole” petrarchesco
è uguale a quello del “parlando” dantesco: tutti e due signifacano infatti
“scrivere versi”. Se questo raccostamento è convincente, quando Petrarca
scrive sempre nello stesso Canzoniere 73, 16-18:
Nel cominciar credia
trovar parlando al mio ardente desire
qualche breve riposo et qualche triegua.
una eventuale fonte si potrebbe trovare sempre nella stessa canzone
dantesca:
Donne ch’avete intelletto d’amore,
i’ vo’ con voi de la mia donna dire,
non perch’io creda sua laude finire,
ma raginar per isfogar la mente.
(Donne ch’avete intelletto d’amore, 1-4)
Sembra che “qualche breve riposo e qualche tregua” che Petrarca spera per
sé sia una perifrasi dello “sfogar la mente” di Dante 29).
Ora, passando al Canzoniere 76, ne leggeremo le terzine:
Et come vero pregioniero afflicto
de le catene mie gran parte porto,
e ’l cor negli occhi et ne la fronte ò scritto.
Quando sarai del mio colore accorto,
dirai: S’i’ guardo et giudico ben dritto,
20
イタリア語イタリア文学4号
questi avea poco andare ad esser morto.
(Amor con sue promesse lusingando, 9-14)
Per l’immagine delle “catene”, è bene rimandare al Persio, Satire, V, 157-60,
ma se si tengono in debito conto i temi delle quartine: la “prigione”, la
lusinga furba ed ingannevole d’Amore, la servitù che rende paradossalmente
poco gradevole la “libertà”, ecc., forse non si potrebbe ipotizzare una
contaminazione col seguente passo di Aimeric de Peguilhan?:
Autra vetz fui en preison d’Amor,
don escapei; mas aora.m repren
ab un cortes engienh tan sotilmen
que.m fa plazer mo mal e ma dolor;
q’un latz me fetz metr’al colh ab que.m lia,
don per mon grat mai no.m desliaria;
e nulhs autr’om que fos liatz non es,
qui.l deslies, que ben no li plagues.
(Atressi.m pren quom fai al joguador, 9-16) 30)
Per lo stato d’animo scritto “negli occhi e nella fronte” di cui Petrarca
parla nell’ultima riga della prima terzina, vorrei proporre un raffronto con
un’immagine ben più impressionante in Guinizzelli:
e chi ne vol aver ferma certanza,
riguardimi, se sa legger d’amore
ch’i’ porto morte scritta ne la faccia
(Ch’eo avesse cor, mi potea laudare, 12-14) 31)
Si potrebbe affermare che nell’elaborare la materia Petrarca ha seguito il
processo di attenuazione, parafrasando la “faccia” in “occhi” e “fronte”, la
“morte” in “core” e “colore”. Oppure si potrebbe dire addirittura che qui
Petrarca sta nascondendo la propria fonte, quasi cacciando Guinizzelli dal
livello “intertestuale” a quello “interdiscorsivo”. E noi lettori lo permettiamo
con un ammicco connivente. D’altra parte, a mio parere, la presenza di
Cavalcanti è rimasta a livello testuale in modo ben più chiaro, resistendo al
tentativo di trasformazione. Il passo di Cavalcanti a cui mi riferisco si legge
in siffatta maniera:
Una tradizione: viso - riso - Paradiso
21
Sta come quella che non ha valore,
ch’è per temenza da lo cor partita;
e chi vedesse com’ell’ è fuggita
diria per certo: «Questi non ha vita».
(L’anima mia vilment’è sbigotita, 5-8) 32)
Innanzi tutto, notiamo i verba dicendi collocate all’inizio dell’endecasillabo, “dirai” in Petrarca e “diria” in Cavalcanti. La parte precedente
i verba dicendi esprime ugualmente condizione, esplicitamente in Petrarca
(“quando”) e implicitamente in Cavalcanti (“chi vedesse”). L’unico verbo
videndi in Cavalcanti, “vedesse”, è geminato in Petrarca: “accorto” e
“guardo”. Poi l’atto di giudicare, sottinteso in Cavalcanti, è esplicitato in
Petrarca (“giudico”), mentre la frase trisillabica “per certo” collocata alla
cesura (quindi con una certa enfasi) in Cavalcanti è trasformata in “ben
dritto”, pure trisillabo ma collocato alla fine del verso con l’enfasi della
rima in Petrarca. E la sentenza, oltre all’identità del contenuto nefasto, è
introdotta da “questi” comunemente in Petrarca e in Cavalcanti.
*
Siccome questa relazione è cominciata con una giusticazione della mia
presenza, si concluderà con un’altra: forse per giusticare il mio intervento
bastava dire che il simposio significa etimologicamente “bere insieme”.
Oggi ho partecipato collo spirito di vino. Fra poco beviamo non “viso”
ma vino e forse mangiamo anche “riso” perché siamo in Giappone: allora
ci sarà un “paradiso” in terra. Se ho abusato troppo della vostra pazienza,
perdonatemi questa volta per lo spirito divino, cioè per Dio.
Convegno Internazionale sul Rinascimento
(16 - 18 novembre 2001, Tokyo University of Foreign Studies)
Note
1) Questo articolo era orginariamente relazione orale da me tenuta in occasione
del Convegno Internazionale sul Rinascimento (Italia in Giappone 2001), 16
- 18 novembre 2001, Tokyo University of Foreign Studies [Terza sezione (18
novembre 2001): La lingua, i generi e le forme della letteratura]. Lo stesso testo
verrà pubblicato in «Studi sul Rinascimento» 9, Associazione giapponese per
22
イタリア語イタリア文学4号
gli Studi sul Rinascimento. Ma, siccome sembra ancora lontano il momento
che «Studi sul Rinascimento» si risvegli dal lungo letargo in cui è caduto, è
anticipato qui in questo numero della nostra rivista. Lascio, come ricordo, alcune
frasi strettamente legate all’occasione, seppur ciò impedisca un’organizzazione
più efficace dell’argomento. Per abbreviare le note bibliografiche, si usano le
sigle seguenti:
Conv.= Convivio, a cura di C. Vasoli e D. De Robertis, 1988.
DC = Divina Commedia, a cura di N. Sapegno, 1957 (Inf.= Inferno; Purg.=
Purgatorio; Par.= Paradiso).
Rim.= Rime, a cura di G. Contini, 1984.
VN = Vita Nuova, a cura di D. De Robertis, 1984.
I succitati testi sono tutti inclusi (e quindi consultabili) nella collana “La
letteratura italiana, Storia e Testi” (Milano-Napoli, Ricciardi).
2) Angelo Poliziano, Stanze cominciate per la giostra di Giuliano Medici, a cura
di V. Pernicone, Torino, Loescher-Chiantore, 1954, p.24.
3) Angelo Poliziano, Rime, a cura di D. Delcorno Branca, Venezia, Marsilio, 1990,
p.55. Il riso di Ippolita è correlato con il Paradiso anche nel Rispetto XIV (ibid.,
p.58):
Se non arai a sdegno il nostro amore,
Ippolita gentil, fior delle belle,
farotti co’ mie versi un tale onore
che tutto il mondo n’udirà novelle.
Ma sie contenta conservarmi il core,
co’ tuo begli occhi, anzi duo vive stelle:
contentami del canto e del bel riso,
e abbisi chi vuole il paradiso.
Per il poeta il Paradiso non ha alcuna importanza se la donna amata gli concede
il suo “bel riso”: in altri termini, il suo “riso” è surrogato del Paradiso vero e
proprio ed il poeta ne può fare a meno.
Per l’ulteriore impiego dell’unità tematico-formale in Poliziano, vedi gli
esempi elencati qui sotto.
Rispetto, LXXVI (ibid., p.83): Costei ha privo el cielo d’ogni bellezza / e tolti
e ben di tutto el paradiso; / privato ha il sole di lume e di chiarezza / e posto l’ha
nel suo splendido viso; / al mondo ha tolto ogni suo gentilezza, / ogni atto
e bel costume e dolce riso: / Amor l’ha dato sguardo e la favella / per farla
Una tradizione: viso - riso - Paradiso
23
sopra tutte la più bella.
Rispetto, LXXXIII (ibid., p.86): Dove apariva un tratto el tuo bel viso, / dov’el
udiva tuo dolce parole, / parea che vi fussi el paradiso, / dove tu eri, pare’ fussi
il sole. / Lasso! mirando nel tuo aspetto fiso, / la faccia tua non è com’esser
suole: / dov’è fuggita tua bellezza cara? / Trist’a colui ch’alle suo spese
impara!
Canzone a ballo, CV, 8-10 (ibid., p.96): poi che m’hai fatto degno / d’un sì
beato riso / che in paradiso n’ha portato il core.
Canzone a ballo, CVI, 1-2 (ibid., p.97): Chi non sa come è fatto el paradiso, /
guardi Ipolita mia negli occhi fiso.
Canzone a ballo, CIX, 15-20 (ibid., p.100): Quand’io penso a quegli occhi,
a quel bel viso, / del qual m’ha fatto degno el mio signore, / l’anima vola in
sino in paradiso, / e fuor del petto vuol fuggire el core: / ond’io ringrazio mille
volte Amore, / che sì ben ristorato m’ha in un punto.
4) L. Serianni, Introduzione alla lingua poetica italiana, Roma, Carocci, 2001.
5) Ludovico Ariosto, Orlando Furioso, a cura di C. Segre, 2 voll., Milano,
Mondadori, 1982, p.302. Per altri esempi nell’Orlando Furioso, vedi i brani
seguenti.
Ibid., VII, 13, 7-8: quivi (=alla sua bocca) si forma quel suave riso, / ch’apre a
sua posta (=a suo piacere) in terra il paradiso (cfr. ibid., VII, 15, 7: gli angelici
sembianti nati in cielo).
Ibid., XII, 91, 1-6: In mezzo la spelonca, appresso a un fuoco / era una donna
di giocondo viso; / quindici anni passar dovea di poco, / quanto fu al conte, al
primo sguardo, aviso: / et era bella sì, che facea il loco / salvatico parere un
paradiso.
Ibid., XXXII, 80, 7-8: così, l’elmo levandosi dal viso, / mostrò la donna
[=Bradamante] [come se] aprisse il paradiso.
Ibid., XXXIV, 54, 5-8: I crini ha bianchi, e bianca la mascella / di folta barba
ch’al petto discorre; / et è sì venerabil nel viso, / ch’un degli eletti par del
paradiso.
Ibid., XXXV, 2, 1 sgg.: Per riaver l’ingegno mio m’è aviso / che
non bisogna che per l’aria io poggi / nel cerchio de la luna o in
paradiso; / che ’l mio non credo che tanto alto alloggi. / Ne’ bei
vostri occhi e nel sereno viso, / nel sen d’avorio e alabastrini poggi
/ se ne va errando; et io con queste labbia / lo corrò, se vi par
ch’io lo riabbia.
Ibid., XXXV, 70, 1 sgg.: Parlando tuttavolta la donzella / teneva la visiera alta
dal viso. / Mirando Ferraù la faccia bella, / si sente rimaner mezzo conquiso,
/ e taciturno dentro a sé favella: / -- Questo un angel mi par del paradiso; /
e ancor che con la lancia non mi tocchi, / abbattuto son già da’ suoi begli
occhi.--
24
イタリア語イタリア文学4号
Cfr. ibid. XLII, 13, 1 sgg.: Orlando l’elmo gli levò il viso, / e ritrovò che ’l
capo sino al naso / fra l’uno e l’altro ciglio era diviso: / ma pur gli è tanto spirto
anco rimaso, / che de’ suoi falli al Re del paradiso / può domandar perdono anzi
l’occaso; / e confortare il conte, che le gote / sparge di pianto, a pazïenza
puote.
Ibid., XLIII, 135, 2 sgg.: ...e ben gli è avviso / che non vedesse mai, prima né
dopo, / un così sozzo e dispiacevol viso; / poi di fatezze, qual si pinge Esopo, /
d’attristar, se vi fosse, il paradiso.
6) C. Dionisotti, Prose e rime di Pietro Bembo, Torino, UTET, 1978, p.662.
7) Cfr. The Oxford Book of Italian Verse, chosen by St. John Lucas. Second Ed.
revised by C. Dionisotti, Oxford, Clarendon Press, 1972, p.131.
8) Giovan Battista Marino, Amori, a cura di A. Martini, Milano, Rizzoli, 1982, p.68.
9) Rim. 21 (LXVIII).
10) C. S. Lewis, The Allegory of Love: a Study in Medieval Tradition, LondonOxford-New York, Oxford University Press, 1981 (first published by Oxford
University Press, London, 1936), p.12 and pp.18 ff.
11) Aucassin et Nicolette, in Nouvelles courtoises occitanes et françaises, éditées,
traduites et présentées par S. Méjean-Thiolier et M.-F. Notz-Grob, Paris, Librairie
Générale Française (Le Livre de Poche, «Lettres gothiques»), 1997, pp.632-701 (a
p.640).
12) “[T]utti i termini de la beatitudine” che Dante ha trovato nel saluto di Beatrice
si potrebbero parafrasare con le seguenti parole di Poliziano: “benigna, dolce e
graziosa tanto, / e lieta sì che nel celeste viso / tutt’era el paradiso / tutto ’l ben
che per noi mortal si spera” (I’ son costretto, po’ che vuol Amore, 33-36, in Angelo
Poliziano, Rime cit., CXXVI, p.125).
13) Il sintagma “de’ piacer di Paradiso” nel brano citato vorrebbe dire la “salute”,
la salvezza eterna, la beatitudine celeste oppure addirittura la figura di Dio. Vedi
Conv., canzone 1, Voi che ’ntendendo il terzo ciel movete, 24-26: “e dice: «Chi
veder vuol la salute, / faccia che li occhi d’esta donna miri, / sed e’ non teme
angoscia di sospiri»”; Par., XXVII, 103-105: “Ma ella, che vedea il mio disire, /
incominciò, ridendo tanto lieta, / che Dio parea nel suo volto gioire”. Vedi anche
Dante (?), Questa donna che andar mi fa pensoso, 9-10 [Rim. 68 (D.XIV)]: “E
s’avvien ciò, ched i’ quest’occhi miri, / io veggio in quella parte la salute”.
14) Se nella canzone seconda del Convivio Dante avesse scritto: “... ché le si reca
Amor com’a suo loco. / Ella soverchia lo nostro intelletto / come raggio di sole
un frale viso: / e perch’io non la posso mirar fiso, / mi convien contentar di dirne
poco”, si dovrebbe dire che Dante ha fatto ricorso ad un luogo comune assai
diffuso: Amore che dimora nel viso della donna amata. Un esempio si trova nel
Una tradizione: viso - riso - Paradiso
25
repertorio del musicista Benedetto Pallavicino (morto a Mantova nel 1601):
«Arte mi siano i crini
di puro oro lucenti
e i leggiadretti tuoi bei lumi ardenti
per legare ogni core
e accender l’alme d’amoroso ardore.
Le perle e i bei rubini
onde si frange il tuo soave riso
siano mio Paradiso».
Cosí diceva alla mia Ninfa Amore
mentre ella spargea intorno il suo splendore.
In questo brano la dimora di Amore (cioè il viso della donna bionda) è identificato
con il Paradiso.
15) Vedi anche Par., XXIII, 47-48, 55-63: «... possente / se’ fatto a sostener lo riso
mio» / ... / Se mo sonasser tutte quelle lingue / che Polimnía con le suore fero / del
latte lor dolcissimo più pingue, / per aiutarmi, al millesmo del vero / non si verria,
cantando il santo riso / e quanto il santo aspetto facea mero; / e così, figurando il
paradiso, / convien saltar lo sacrato poema, / come chi trova suo cammin riciso.
16) Giacomo da Lentini, Io m’ag[g]io posto in core a Dio servire, in G. Contini (a
cura di), Poeti del Duecento, 2 voll., Milano-Napoli, Ricciardi, 1960, vol.1, p.80.
17) Giacomo da Lentini, Poesie, a cura di R. Antonelli, Roma, Bulzoni, 1979, p.321
(con qualche modifica per mettere in evidenza le rime al mezzo). Si notino i
summenzionati sintagmi: “chiaro viso” e “dolce riso”:
[L]o viso -- mi fa andare alegramente,
lo bello viso -- mi fa rinegare;
lo viso -- me conforta ispesament[e],
l’adorno viso -- che mi fa penare.
Lo chiaro viso -- de la più avenente,
l’adorno viso, -- riso -- me fa fare.
Di quello viso -- parlane la gente,
che nullo viso -- [a viso] -- li pò stare.
Chi vide mai così begli ochi in viso,
né sì amorosi fare li sembianti,
né boca con cotanto dolce riso?
Quand’eo li parlo moroli davanti,
e paremi ch’i’ vada in paradiso,
e tegnomi sovrano d’ogn’amanti.
26
イタリア語イタリア文学4号
Cfr. B. Panvini (a cura di), Poeti italiani della corte di Federico II, Catania,
Cooperativa Universitaria Editrice Catanese di Magistero (CUECM), 1989, p.63
18) Giacomo da Lentini, Poesie cit., p.329 (con qualche leggere modifica). Cfr. B.
Panvini (a cura di), Poeti italiani della corte di Federico II cit., p.64.
19) Cfr. Giacomo da Lentini, Meravigliosa-mente, 4-27; Madonna mia, a voi
mando, 41-44; Or come pote sì gran donna intrare, 1-8 (Id., Poesie cit., pp.30-31,
p.167 e p.291 e B. Panvini [a cura di], Poeti italiani della corte di Federico
II cit., pp.10-11, p.40 e p.57). In questi esempi del Notaio, il cuore del poeta è
supporto (tela, tavola, ecc.) o materia plastica (come cera, per esempio), su cui
la figura della donna amata viene dipinta o improntata, mentre per Aimeric de
Belenoi il cuore è specchio che la riflette sempre: “Per aital geng me fez mos sens
partir / del sieu pais que non vis son cors gen, / cais c’oblid’on so qe no ve soven;
/ mas anc mos sens no.s poc tan afortir / qe.m get del cor celei qui m’a conques,
/ don cuig morir, si no.m socor Merces: / car mos cor es miraillz de sa faiso, / per
que.l fugir no.m val re si mal no” (Aissi co.l pres que s’en cuia fugir, 9-16. Cfr.
Aimeric de Belenoi, Le poesie, a cura di A. Poli, Firenze, Positivamail, 1997,
p.176).
20) Guido Guinizzelli, Lo vostro bel saluto e ’l gentil sguardo”, 12-14, in G. Contini
(a cura di), Poeti del Duecento cit., vol.2, p.468.
21) Guido Cavalcanti, Tu m’hai sì piena di dolor la mente, 9-14, in G. Contini (a
cura di), Poeti del Duecento cit., vol.2, p.499.
22) Francesco Petrarca, Canzoniere, a cura di M. Santagata, Milano, Mondadori,
1997, p.454.
23) Nel corpus c’è solo un esempio di “paravis”, ma non è in rima.
24) Scrivendo Bel semblan, 19-20, sembra che Guiraut de Calanson abbia imitato
Jaufre Rudel, Quan lo rius de la fontana, 11-14: si non vau al sieu reclam / ab
atraich d’amor doussana / dinz vergier o sotz cortina / ab dezirada companha. Cfr.
G. Chiarini (a cura di), Il canzoniere di Jaufre Rudel, L’Aquila, Japadre, 1985,
p.76].
25) Cfr. Aimeric de Peguilhan, De tot en tot es er de mi partitz, 35-36: Ja.s tenia sol
per vostras salutz / Totz hom ses plus per rics e per guaritz. Cfr. W.P. Shepard and
F.M. Chambers (ed.), The Poems of Aimerc de Peguilhan, Evanston (Illinois),
Northwestern University Press, 1950, pp.129-30.
26) A questo proposito caso particolarmente interessante sarebbe la tenzone in cui
il ruolo di emittente e quello di ricevente si alternano a vicenda: ad esempio, alla
proposta di Galletto Pisano: riso-riso-viso-viso (G. Contini [a cura di], Poeti del
Duecento cit., vol. 1, p.286), ripetendo la stessa rima Lunardo del Guallacca
Una tradizione: viso - riso - Paradiso
27
risponde: Daviso-Paraviso-deriso-Pariso (ibid., pp.289-90).
27) Si vedano gli esempi seguenti:
Francesco Petrarca, Canzoniere cit., 109, 9-14: L’aura soave che dal chiaro
viso / move col suon de le parole accorte / per far dolce sereno ovunque spira,
/ quasi un spirto gentil di paradiso / sempre in quell’aere par che mi conforte /
sì che ’l cor lasso altrove non respira.
Ibid., 126, 55-62: -- Costei per fermo nacque in paradiso! -- / Così carco d’oblio
/ il divin portamento / e ’l volto e le parole e ’l dolce riso / m’aveano, et sì
diviso / da l’imagine vera, / ch’i’ dicea sospirando: / -- Qui come venn’io, o
quando?--.
Ibid., 292, 1-8: Gli occhi di ch’io parlai sì caldamente, / et le braccia et le mani
e i piedi e ’l viso, / che m’avean sì da me stesso diviso, / et fatto singular da
l’altra gente; / le crespe chiome d’òr puro lucente / e ’l lampeggiar de l’angelico
riso / che solean fare in terra un paradiso, / poca polvere son, che nulla sente.
Si trovano anche brani in cui Laura e il Paradiso non sono messi in concorrenza,
seppur la stessa serie rimica sia adoperata.
Cfr. ibid., 77, 5-8: Ma certo il mio Simone fu in paradiso / onde questa gentile
donna si parte: / ivi la vide, et la ritrasse in carte / per far fede qua giù del suo
bel viso.
Ibid., 268, 34-39: Oïmè, terra è fatto il suo bel viso, / che solea far del cielo /
et del ben di lassù fede fra noi. / L’invisibil sua forma è in paradiso, / disciolta
di quel velo / che qui fece ombra al fior degli anni suoi.
28) Cfr. C. Segre, Intertesualità e interdiscorsività nel romanzo e nella poesia,
in Id., Teatro e romanzo: due tipi di comunicazione letteraria, Torino, Einaudi,
1984, pp.103-18.
29) A proposito di Dante, vorrei suggerire ancora un raffronto: nel Canzoniere 86,
il Poeta, rivolgendosi alla propria anima, dice: “Misera, ... Vattene, trista, ...”. Una
simile immagine si trova in Dante Rim. 20 (LXVII), 43 sgg.: L’imagine di questa
donna siede / su ne la mente ancora, / ... grida / sopra colei che piange il suo
partire: / “Vanne, misera, fuor, vattene omai”.
30) W.P. Shepard and F.M. Chambers (ed.), The Poems of Aimerc de Peguilhan cit.,
p.89. Con il brano citato di Aimeric de Peguilhan, è interessante raccostare anche
il Canzoniere 89.
31) G. Contini (a cura di), Poeti del Duecento cit., vol.2, p.471.
32) Ibid., vol.2, p.498.
執筆者紹介
浦 一章 准教授
古田 耕史 博士課程学生
編集委員
浦 一章・長神 悟
イタリア語イタリア文学 第4号(2008)
2008 年 4 月 30 日 印刷
2008 年 5 月 1 日 発行
編集発行 東京大学大学院人文社会系研究科・文学部
南欧語南欧文学研究室 浦 一章
〒 113-0033 東京都文京区本郷 7-3-1 TEL 03 (5841) 3851 FAX 03 (5802) 8870