ADOLFO ROSSI 1857-1921 Emigrante, giornalista, scrittore e

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ADOLFO ROSSI 1857-1921 Emigrante, giornalista, scrittore e
ADOLFO ROSSI
1857-1921
Emigrante, giornalista,
scrittore e diplomatico
Adolfo Rossi nasce ( i genitori sono impiegati in pretura come riporta l'atto di battesimo)
il 30 settembre 1857 da Giuseppe Rossi e Filomena Malin nella casa Rossi di Valdentro (i
non più giovani ricordano il cinema Rossi a Valdentro tenuto dalla famiglia fino agli anni
'50) a poche decine di metri dalla nostra chiesa parrocchiale dove viene battezzato e vive i
primi anni della sua infanzia prima di trasferirsi a Lendinara. Allora il territorio di
Valdentro faceva parte del comune di Fratta Polesine mentre dopo l'unità d'Italia verrà
assegnato al comune di Lendinara.
La nascita è documentata dal certificato di battesimo da me rintracciato nell'archivio
parrocchiale del paese. A dire il vero nello stesso archivio è uno stato di famiglia in cui
Adolfo è registrato come nato a Villanova ma è probabile si tratti di un errore dovuto al
fatto che per qualche tempo la famiglia Rossi, dopo la nascita di Adolfo, risiedette a
Villanova mentre non è pensabile un errore nell'atto di battesimo.
Terminati gli studi superiori Adolfo, come risulta da una lettera di mio nonno Cesare Malin,
nato nel 1853, tenta il concorso di segretario comunale. Cesare Malin ottiene la
nomina (concluderà la sua carriera come segretario del comune di Lendinara) mentre
Adolfo Rossi non lo supera e si fa assumere all'ufficio postale di Lendinara come semplice
impiegato.
E' un cultore di studi classici e continua a studiare da sé, racconta nella sua autobiografia,
“quello che gli avrebbero insegnato all'università”. Scrive racconti e, racconta lui stesso,
mentre i parenti credono che stia studiando le leggi comunali e provinciali per prepararsi
all'esame di segretario comunale, scrive un romanzo che viene pubblicato sul
“Bacchiglione” di Padova. Alberto Mario, amico del giovane Adolfo, lo esorta a scrivere
dandogli consigli sullo stile ed ottiene di far pubblicare qualche suo lavoro su una rivista
letteraria milanese, la Vita Nuova diretta da Arcangelo Ghisleri. Ma Adolfo non resiste alla
routine di impiegato e nel 1879, a 21 anni, parte come semplice emigrante per gli Stati
Uniti d'America.
Derubato durante il viaggio dei suoi risparmi nel sonno (400 lire, circa 2 milioni di lire del
1994 secondo le tabelle ISTAT) arrivato a New York lavora come operaio in una fabbrica
di occhiali, poi fa il pasticcere e il portiere di un grande albergo per poi finalmente
incominciare a scrivere per il giornale “Il Progresso Italo Americano”.
Sempre ansioso di nuove esperienze parte quindi per il Far West come impiegato, gli
dicono, di una società ferroviaria. In realtà si troverà in uno sperduto paesino di montagna
a lavorare per costruire il terrapieno per la nuova ferrovia. Dopo varie peripezie, ben
descritte nel suo libro autobiografico ripubblicato pochi anni fa dall'Associazione Polesani
nel Mondo, dal titolo “Un italiano in America”, torna a New York dove riprende l'attività
di giornalista per lo stesso giornale.
Ma per dare un'idea del fresco stile di Adolfo Rossi riporto un brano del libro in cui
descrive il suo rapporto con una giovane di nome Joan, figlia del padrone di un albergo
pensione in cui lui si trova a lavorare in uno sperduto paesino del west.
“Io intanto m'innamoravo degli occhi di Joan: finita la giornata mi dedicavo tutto a lei, la
conducevo sulla veranda e le raccontavo tante cose: Joan mi contraccambiò presto di pari
affetto: si lasciava baciare e amava sentirmi parlare in italiano. Non capiva una parola ma
gustava l'armonia della lingua del sì, e sorrideva amorosamente.
Io le cantava delle canzoni assai belle; la preferita da Joan era quella che Heine imparò da
una montanara della selva nera.
Al suono delle mie canzoni Joan si addormentava tra le mie braccia; la portavo
delicatamente nella stanza della madre, le deponevo in fronte un ultimo bacio e me ne
andavo a letto io pure.
Amandomi ogni giorno di più, Joan diventava gelosa di me. Ella non voleva che guardassi
la sua sorella maggiore e la sera piangeva se io doveva uscire, e non andava a letto se
prima non avea posata la sua testolina sulla mia spalla.
Joan aveva tre anni soli, ma era tanto bella e i suoi occhi guardavano così dolcemente che
non avrei cambiato il suo amore con quello d'una regina.”
Terminate le avventure nel west Adolfo trascorre tre anni a New York raccontati nel libro
“Nel paese dei dollari: tre anni a New York”.
Ha occasione di conoscere Alfredo Meucci, l'inventore del telefono che aveva ospitato per
qualche anno Giuseppe Garibaldi, e scrive sul giornale la vicenda dell'appropriazione da
parte di Gray, Edison e Bell dell'invenzione di Meucci, raccontatagli dallo stesso,
sostenendone la causa. I più importanti giornali americani, il Sun e New York World,
riprendono la sua testimonianza e alla fine Meucci accetta un indennizzo concordato di
100.000 dollari una somma ingente per l'epoca valutabile come diverse centinaia di
milioni di lire attuali che permisero a Meucci di concludere in tranquillità la sua esistenza.
Adolfo Rossi torna quindi in Italia. Ha imparato bene inglese, francese e spagnolo ed è
abituato a viaggiare. Il suo stile semplice ed efficace che espone in primo luogo i fatti lo fa
disputare fra i giornali italiani e passa presso molti giornali dal “Messaggero” di Roma, ala
“Tribuna” alla “Sera”, giornale pomeridiano di Milano al “Secolo XIX” di Genova dove è
condirettore per approdare infine al “Corriere della Sera”, principale giornale italiano
come redattore capo.
Sul Corriere, allora anticolonialista, scrive come inviato di guerra dall'Eritrea criticando
l'avventura coloniale sia per la scelta del territorio da conquistare, che a suo dire era stato
rifiutato dalle grandi nazioni per la povertà delle risorse, sia per il modo con cui veniva
condotta militarmente la campagna con forze sproporzionate e non ben equipaggiate allo
scopo anche dato il carattere bellicoso della popolazione locale. I fatti gli diedero ragione
vista le pesanti sconfitte delle truppe italiane a Dogali e Adua ecc. ma il Rossi fu espulso
dalla colonia proprio per le sue critiche.
Poco dopo però, tornato in Italia, fu chiamato dallo stesso presidente del consiglio,
Francesco Crispi, che, all'indomani della sconfitta, volle sentire dalla sua viva voce il
racconto delle condizioni in cui era maturata la sconfitta italiana.
Ma non fu questo l'unico episodio che manifesta la sua indipendenza di giudizio.
Inviato in Grecia per seguire la guerra greco-turca per la questione di Creta, a
Costantinopoli riferisce sui primi eccidi di Armeni e anche da qui fu espulso. Come è noto
il genocidio armeno è solo recentemente venuto a conoscenza del grande pubblico e
ancora oggi in Turchia è argomento tabù.
I suoi reportage fanno scuola: fu anche il primo giornalista italiano a servirsi del telegrafo
per trasmettere i suoi articoli così come dovevano essere pubblicati e non semplici
rtiassunti.
A questo punto non posso fare a meno di esprimere una mia personale considerazione:
Adolfo Rossi, Mantin, è il soprannome della famiglia come risulta dai registri parrocchiali,
è un vero figlio della sua comunità villanovese che, a differenza dei paese vicini, è più
commerciale e industriale, per il trasporto delle merci sul naviglio Adigetto e per
l'artigianato calzaturiero, che agricola e non vede la presenza di importanti famiglie
aristocratiche di proprietari terrieri, come Fratta e Lendinara. Adolfo Rossi è il frutto della
borghesia emergente: i suoi parenti sono impiegati statali, commercianti e mugnai (i
Malin, soprannominati Lazzarini, che avevano iniziato la loro fortuna come “barcari” fin
dal settecento). Il naviglio Adigetto era da secoli un'importante canale navigabile
impiegato per portare le merci che dall'oriente arrivavano a Venezia all'interno della
pianura padana. Ciò spiega la maggior apertura dell'ambiente in cui si forma Adolfo Rossi.
Un altro episodio che attesta l'integrità, oltre all'iniziativa, dell'uomo avvenne in occasione
del terremoto di Reggio Calabria. La città di Milano aveva raccolto 130.000 lire in aiuto
dei terremotati e Rossi fu una delle due persone scelte dal comune di Milano per
distribuire la somma ai bisognosi e potè scrivere con orgoglio che (testuale) “nessun
reclamo giunse al Municipio di Milano, nel senso che noi avessimo beneficiato più un
villaggio di un altro o che avessimo trascurato qualche famiglia o qualche ferito degno di
aiuto”.
Una delle sue inchieste più forti fu quella che realizzò in Sicilia nel 1893 alla vigilia dei
disordini dei cosiddetti “Fasci Siciliani” . Viaggiò in lungo e in largo per la Sicilia
descrisse le sofferenze dei ragazzi, detti carusi che lavoravano in condizioni di schiavitù
nelle miniere di zolfo dopo essere stati comprati dai genitori dando a questi un anticipo
sulla paga futura di 100 – 150 lire. Il ragazzo non sarebbe stato restituito fino a che non
avesse guadagnato il suo costo, ovvero dopo diversi anni.
Ma Adolfo Rossi non è mai stanco di nuove sfide.
A quarantacinque anni, nel 1902, entra alle dipendenze del neonato Commissariato
Generale per l'Emigrazione con la nomina di ispettore viaggiante. In questa veste trascorre
lunghi periodi dapprima in Brasile quindi in Sud Africa nel 1903 e nel 1904 negli Stati
Uniti con lo scopo di riportare le condizioni di vita e di lavoro dei nostri connazionali
emigrati.
Dazi suoi rapporti comprendiamo come nasce la rigida separazione nel Sud Africa tra
bianchi e nerti: con la scoperta delle miniere di carbone e diamanti c'è bisogno di
manodopera. Arrivano anche gli italiani, ma questi se lavorano nelle miniere diventano
rapidamente capisquadra e esperti nel lavoro. Se lavorano nelle fattorie portano le
conoscenza per fare l'olio, coltivare la vite e fare il vino ecc.: non è possibile pagarli come
i lavoranti neri che fanno malvolentieri il loro lavoro non essendo abituati alla disciplina
necessaria. Non è quindi possibile pagarli alla stessa maniera ma se i salari vengono
differenziati scoppiano disordini. La soluzione trovata consiste nell'adibire i negri al
lavoro nelle miniere e gli italiani nelle fattorie e nel commercio e artigianato.
Nel suo rapporto dagli Stati Uniti Rossi ci spiega perché spesso gli italiani venivano
indicati con l'appellativo di “sporchi italiani”. I cittadini americani sono ormai molto
evoluti: vi è una buona scuola pubblica di cui usufruiscono anche gli italiani quando
ancora il tasso di analfabetizzazione in Italia era altissimo. Gli operai si tengono la stessa
camicia per mesi e il bagno è tra loro pressoché sconosciuto: al mattino si lavano solo la
faccia e quindi puzzano mentre gli americani hanno ormai da tempo l'acqua corrente e
fanno la doccia quotidianamente. Di qui l'appellativo di “sporchi italiani” tutto sommato
rispondente al vero.
Ma la sua progressione di carriera non è finita: nel 1908 entra, per chiamata sulla base dei
titoli e del curriculum e non per normale concorso, nei ruoli diplomatici del Ministero
degli Esteri.
Tre suoi colleghi, ostili alla sua nomina in quanto non proveniva dalla normale carriera
diplomatica che sarebbe stata a lui preclusa in quanto non laureato, presentano ricorso,
contro la sua nomina, al Consiglio di Stato. Fu Francesco Saverio Nitti, più volte ministro
e anche capo del governo, a difendere la sua nomina con un lungo memoriale dove Adolfo
Rossi è definito uomo “di meriti superiori e indiscussi” e autore di “studi ormai classici
sulla nostra emigrazione”.
Rossi prese quindi servizio come console a Denver in Colorado (in quegli Stati Uniti che
lui ben aveva conosciuto da giovane emigrante) divenendo nel 1909 Console di I classe.
Dal 1912 al 1914 è Console Italiano a Rosario di Santa Fè in Argentina da dove passa
successivamente ad Asuncion in Paraguay.
Nel 1919, dopo un breve e più volte richiesto soggiorno in Italia, viene inviato come
Ministro Plenipotenziario a Buenos Aires ed è qui che improvvisamente muore a 64 anni
non ancora compiuti. Trasportate con nave militare in Italia le sue spoglie mortali vengono
sepolte con funerale di stato nel cimitero di Lendinara accanto alle tombe di Alberto
Mario, suo maestro, e Jessie White Mario moglie di Alberto.
Olindo Malagodi, politico e giornalista padre di Giovanni Malagodi, scrisse per lui questa
bella epigrafe:
AD ADOLFO ROSSI
PARTITO PIONIERE FANCIULLO TRA EMIGRANTI
PER POI DIVENTARE GUIDA E CUSTODE
REDUCE ORA NELLA PACE DELLA MORTE
DOPO PERCORSE LE STRADE DEL MONDO E DELLA VITA
IL PAESE NATIO
ORGOGLIOSO CHE UN SUO FIGLIO
FUORI DELLA PATRIA NELLE PIU' LONTANE CONTRADE
ABBIA MOSTRATO
QUANTO VALGANO UNITI
MENTE E CUORE ITALIANO
Renzo Carlo Avanzo