alle nazioni unite

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alle nazioni unite
La questione mediorientale
La figura di Yasser Arafat
I suoi principali discorsi
ALLE NAZIONI UNITE
Discorso pronunciato a Ginevra, 13 dicembre 1988
Signor Presidente, Onorevoli Membri, non avrei mai pensato che il mio secondo
incontro con questa Onorevole Assemblea, dopo quello del 1974, avrebbe avuto luogo
nell’ospitale città di Ginevra. Credevo infatti che le nuove posizioni politiche e i nuovi
atteggiamenti, adottati dal nostro popolo palestinese durante l’incontro di Algeri del
Consiglio Nazionale Palestinese (Cnp), posizioni politiche e atteggiamenti che sono stati
tutti resi pubblici e accolti con favore a livello internazionale, avrebbero reso necessario
il mio viaggio a New York, per presentarvi, al quartier generale delle Nazioni Unite, le
nostre risoluzioni e i nostri progetti sulla questione della pace nella nostra terra, così
come sono stati formulati dal nostro Cnp, la massima autorità legislativa tra le strutture
politiche palestinesi. Provo insieme orgoglio e gioia nell’incontrarvi qui a Ginevra, dopo
l’arbitraria decisione degli Stati Uniti di impedirmi di venire da voi a New York.
Orgoglio, perché mi trovo in mezzo a voi, che costituite il massimo foro per i problemi
della giustizia e della pace nel mondo. Gioia, perché sono a Ginevra, dove la giustizia e la
neutralità sono una guida e un elemento costitutivo, in un mondo in cui l’arroganza del
potere fa perdere il senso della neutralità e della giustizia.
La risoluzione approvata dalla vostra rispettabile assemblea, con 154 stati membri che
hanno votato in favore del trasferimento della sessione a Ginevra, non è stata soltanto
una vittoria sulla decisione americana, ma una vittoria senza precedenti del consenso
internazionale per la giustizia e per la pace. Questa è la prova che la giusta causa del
nostro popolo è ormai impressa nel tessuto della coscienza umana.
Il nostro popolo palestinese non dimenticherà mai la posizione assunta da questa
rispettabile Assemblea e da singoli stati amici a sostegno del diritto e della giustizia e a
difesa dei valori e dei principi per cui le Nazioni Unite sono state fondate. Questa
posizione sarà fonte di fiducia e sicurezza per tutti i popoli soggetti all’ingiustizia,
all’oppressione, all’occupazione e che lottano, come il popolo palestinese, per la libertà,
la dignità e la vita.
Estendo la mia profonda gratitudine a tutte le nazioni, le forze, le organizzazioni
nternazionali e le personalità, che hanno appoggiato il nostro popolo e sostenuto i suoi
diritti nazionali - in particolare i nostri amici, l’Unione Sovietica, la Repubblica Popolare
Cinese, i paesi socialisti, gli stati non allineati, gli stati islamici, gli stati africani, gli stati
asiatici, gli stati latino-americani e gli altri stati amici. Ringrazio anche i paesi dell’Europa
occidentale e il Giappone per il loro recente atteggiamento verso il nostro popolo e li
invito a compiere ulteriori passi per dare sbocchi concreti alle loro risoluzioni, e aprire la
via alla pace e a un giusto assetto nella nostra regione, il Medio Oriente.
Ribadisco la nostra solidarietà e il nostro appoggio ai movimenti di liberazione in lotta in
Namibia e Sud Africa e agli stati della linea del fronte, contro l’aggressione del regime
razzista sudafricano.
Colgo l’occasione per esprimere la mia gratitudine a quegli stati amici che hanno preso
l’iniziativa di appoggiarci, di accettare le risoluzioni del nostro Cnp, e di riconoscere lo
stato palestinese.
E non mancherò di ringraziare calorosamente Sua Eccellenza il segretario generale delle
Nazioni Unite, Mr. Javier Pérez de Cuellar, e i suoi assistenti, per gli instancabili sforzi
da loro compiuti perché vengano soddisfatte le aspirazioni dell’umanità alla distensione
internazionale e alla soluzione dei problemi, in particolare quelli connessi alla questione
palestinese. Voglio estendere i miei ringraziamenti, per il suo apprezzamento, al
Presidente e ai membri del «Comitato delle Nazioni Unite per l’esercizio degli inalienabili
diritti del popolo palestinese» per il loro impegno per la causa del nostro popolo.
Esprimo anche i miei più sentiti ringraziamenti al «Comitato dei Nove per la questione
palestinese», dei paesi non allineati, per tutti i suoi contributi alla causa del nostro
popolo. E a lei, signor Presidente, le mie sentite congratulazioni per la sua elezione alla
presidenza di questa assemblea.
Ho piena fiducia nella sua saggezza e nella sua abilità. Esprimo le mie congratulazioni
anche al suo predecessore per l’abile gestione della precedente sessione.
Infine, porgo i miei più sentiti saluti e ringraziamenti al governo e al popolo svizzero per
aver reso possibile questo incontro.
Signor presidente, onorevoli membri, quattordici anni fa, il 13 novembre 1974, sono
stato da voi cordialmente invitato a esporre il problema del nostro popolo palestinese
davanti a questa onorevole Assemblea. E ora sono qui, di nuovo da voi, dopo tutti questi
anni carichi di eventi, e vedo nuovi popoli che hanno ottenuto il loro posto tra voi,
coronando così le loro vittorie nella battaglia per la libertà e l’indipendenza. Ai
rappresentanti di questi popoli rivolgo le più calorose congratulazioni del popolo
palestinese. Sia chiaro che torno da voi con una voce più forte, una determinazione più
ferma, una maggiore fiducia nel ribadire la convinzione che la nostra lotta darà i suoi
frutti e che lo stato della Palestina, che abbiamo proclamato nel Consiglio nazionale
palestinese, avrà il suo posto fra voi, e potrà darvi la mano e lavorare con voi per
consolidare la carta di questa organizzazione e la dichiarazione dei diritti dell’uomo,
porre fine alle tragedie che affliggono l’umanità e costruire le basi del diritto, della
giustizia, della pace, e della libertà per tutti.
Quattordici anni fa, quando, nella sala dell’Assemblea generale, ci diceste: «Sì alla
Palestina e al popolo della Palestina, sì all’Organizzazione per la liberazione della
Palestina, sì ai diritti nazionali inalienabili del popolo della Palestina», alcuni pensarono
che le vostre risoluzioni non avrebbero avuto molto peso, e non capirono che esse erano
invece una delle sorgenti
che hanno innaffiato il ramo d’olivo che io vi portai. Da allora, noi lo abbiamo annaffiato
con il sangue, con le lacrime, con il sudore, ed esso si è trasformato in un albero con le
radici saldamente affondate nel terreno, e il fusto che si protende verso il cielo,
promettendo di produrre i frutti della vittoria sulla coercizione, l’ingiustizia e
l’occupazione. Voi ci avete dato la speranza che trionfino la libertà e la giustizia, e noi vi
abbiamo dato una generazione del nostro popolo che ha dedicato la sua vita alla
realizzazione di quella speranza.
È la generazione della intifada, che oggi brandisce le pietre della terra che è la sua patria
per difendere l’onore di questa patria e mostrarsi degna di appartenere a un popolo che
anela alla libertà e all’indipendenza.
Vi porto qui i saluti di questo popolo eroico, dei nostri uomini, e delle nostre donne, delle
masse della nostra benedetta intifada, che entra ora nel suo secondo anno con una
grande passione e una accurata organizzazione, capace di affrontare le intemperie in
modo civile e democratico e di resistere all’occupazione, alla tirannia e ai crimini barbari
commessi ogni giorno dagli occupanti israeliani.
Vi porto i saluti dei nostri giovani, uomini e donne, che si trovano nelle prigioni e nei
campi di detenzione collettiva delle forze d’occupazione. I saluti dei bambini delle pietre
che, sfidando le forze d’occupazione, gli aerei da guerra, i carri armati e le armi, e ci
riportano alla memoria Davide, il palestinese, disarmato, che affronta Golia l’israeliano
armato fino ai denti.
A conclusione del mio discorso, nel nostro primo incontro, vi avevo detto, come
presidente dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, e lo ribadisco oggi, che
noi non vogliamo che venga versata nemmeno una goccia di sangue ebreo o arabo, che
non vogliamo che la lotta duri un minuto di più. Mi ero rivolto quindi a voi, chiedendovi
di risparmiarci tutte queste prove e queste sofferenze e di accelerare i tempi per la
costruzione di una pace giusta, che garantisca i diritti, le speranze e le aspirazioni del
nostro popolo e la parità di diritti per tutti i popoli.
Vi ho detto che vi chiedevo di appoggiare la lotta che il nostro popolo sta sostenendo
per poter esercitare il suo diritto all’autodeterminazione e di aiutare il nostro popolo a
tornare dall’esilio in cui è stato cacciato con la forza delle armi e la prepotenza. Ho
sollecitato il vostro aiuto per porre fine a questa ingiustizia, a cui generazioni successive
del nostro popolo sono state soggette per molti decenni, in modo che possano vivere
libere e sovrane sulla loro terra e nella loro patria, con tutti i loro diritti nazionali e umani.
Un’ultima cosa avevo detto da questa tribuna: che la guerra scoppia in Palestina e la
pace comincia in Palestina.
Allora il nostro sogno era quello di fondare uno stato democratico, in cui musulmani,
cristiani ed ebrei potessero vivere con uguali diritti e doveri come un’unica comunità,
come gli altri popoli del mondo di oggi.
Siamo rimasti sconvolti quando abbiamo visto le autorità israeliane interpretare questo
sogno palestinese – che nasce dall’eredità spirituale che ha illuminato la Palestina, e dai
valori umanitari e di civiltà che auspicano la coesistenza in una società libera e
democratica – come una strategia per distruggere e annientare la loro esistenza.
Signor Presidente, dobbiamo trarre le necessarie conclusioni dallo scarto esistente tra
questa realtà e il sogno. Nell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina ci siamo
mossi alla ricerca di formule realistiche e realizzabili, per dare soluzione al problema
sulla base di una giustizia possibile più che assoluta, garantendo il diritto del nostro
popolo alla libertà, alla sovranità e all’indipendenza, assicurando a tutti pace, sicurezza e
stabilità e risparmiando alla Palestina e al Medio Oriente le guerre e i combattimenti che
durano da quarant’anni.
Forse non siamo stati noi, signor Presidente, a prendere l’iniziativa di attenerci alla carta
e alle risoluzioni delle Nazioni Unite, alla dichiarazione
dei diritti dell’uomo e al diritto internazionale, per la soluzione del conflitto araboisraeliano?
Non abbiamo forse accolto con favore il comunicato di Vance e Gromyko del 1977,
considerandolo una mossa che poteva costituire la base per una soluzione negoziata di
questo conflitto?
Non abbiamo accettato di partecipare alla Conferenza di Ginevra sulla base della
dichiarazione egiziano-americana del 1977, per favorire le prospettive di pace e la
risoluzione del conflitto nella regione?
Non abbiamo forse accettato il piano di pace arabo a Fez, nel 1982, e poi la richiesta di
una Conferenza internazionale per la pace sotto l’egida delle Nazioni Unite e in linea con
le sue risoluzioni?
Non abbiamo sottoscritto il piano Breznev per la pace in Medio Oriente?
Non abbiamo accolto favorevolmente e appoggiato la dichiarazione di Venezia della
Comunità Europea sui principi di una pace giusta nella regione?
Non abbiamo accolto favorevolmente e appoggiato l’iniziativa congiunta dei presidenti
Gorbaciov e Mitterand per la costituzione di un comitato per la preparazione della
conferenza internazionale?
Non abbiamo accolto favorevolmente le decine di dichiarazioni e iniziative politiche di
stati e gruppi regionali africani, islamici, europei e altri per la ricerca di una soluzione
pacifica basata sui principi del diritto internazionale?
E che atteggiamento ha assunto Israele in tutta questa vicenda, nonostante il fatto che
nessuna delle iniziative, dei piani, delle dichiarazioni citati risulti non equilibrata
politicamente, o trascuri i diritti e gli interessi di qualcuna delle parti in causa nel
conflitto arabo-israeliano?
La risposta di Israele è stata l’escalation delle sue strategie di colonizzazione e
annessione, il soffiare sul fuoco del conflitto, provocando ancora distruzioni,
devastazioni, spargimenti di sangue, e l’ampliamento del conflitto al Libano amico, che è
stato invaso dalle truppe di occupazione nel 1982: un’invasione costellata di stragi e
massacri ai danni dei popoli libanese e palestinese, tra cui il massacro di Sabra e Chatila.
Fino a questo momento, Israele continua a occupare parti del Libano del sud e ogni
giorno il Libano subisce raid e attacchi aerei, per mare o per terra, contro le sue città e
villaggi e contro i nostri campi nel sud.
È doloroso e riprovevole che soltanto il governo americano continui ad
appoggiare questi piani israeliani aggressivi ed espansionistici, nonché la prolungata
occupazione da parte di Israele di territori arabi e palestinesi, i suoi
crimini e la sua politica di ferro contro i nostri bambini e le nostre donne.
È doloroso e riprovevole anche il fatto che il governo americano continui
a rifiutarsi di riconoscere il diritto di sei milioni di palestinesi all’autodeterminazione,
un diritto che è sacro per il popolo americano e tutti i popoli
su questo pianeta.
Vorrei ricordare loro la posizione del presidente Wilson, autore dei due
principi fondamentali del diritto internazionale: l’inammissibilità dell’acquisizione
di un territorio tramite la forza e il diritto dei popoli all’autodeterminazione.
Quando il popolo palestinese venne consultato dalla commissione
King-Crane nel 1919 esso scelse gli Stati Uniti come potenza mandataria. Le
circostanze impedirono che ciò avvenisse e il mandato fu assegnato alla
Gran Bretagna. Ora io chiedo al popolo americano: è giusto che il popolo
palestinese venga privato di quanto ha stabilito il presidente Wilson?
Le successive amministrazioni americane sanno che l’unico certificato
di nascita per la fondazione dello stato d’Israele è la risoluzione 181, approvata
dall’assemblea generale delle Nazioni Unite il 29 novembre 1947, con
l’appoggio, in quel momento, degli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica. Essa
prevede che in Palestina vengano costituiti due stati, uno arabo-palestinese
e uno ebraico.
Come spiega allora il governo americano la sua posizione, che accetta e
riconosce la metà della risoluzione che riguarda Israele e rifiuta quella relativa
allo stato palestinese? Come spiega il governo americano la sua inadem36
pienza nei confronti di una risoluzione che pure ha appoggiato in più di una
occasione nell’ambito della vostra rispettabile Assemblea, ossia la risoluzione
Unga 194, che stabilisce il diritto dei palestinesi a tornare nelle case e nelle
proprietà da cui sono stati espulsi, e prevede indennizzi per quelli che non
desiderano esercitare tale diritto?
Il governo degli Stati Uniti sa che, né gli Stati Uniti né nessun altro, ha
il diritto di stabilire partizioni all’interno del diritto internazionale, spezzettandone
le disposizioni?
Signor Presidente, la lotta ininterrotta del nostro popolo per i suoi
diritti dura ormai da molti decenni durante i quali esso ha dato centinaia di
migliaia di martiri e feriti e sopportato ogni tipo di sofferenza. Eppure, mai
si rassegnò, mai perse la fiducia, anzi, il suo attaccamento alla terra natale, il
suo senso di identità nazionale sono diventati più forti.
Le autorità israeliane, nella loro ebbrezza, si sono illuse che, dopo il
nostro esodo da Beirut, l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina
sarebbe stata inghiottita dal mare. Certo non si aspettavano che il nostro
cammino verso l’esilio diventasse una processione per il ritorno in patria, al
vero campo di battaglia, nella Palestina occupata. Il risultato è stata l’eroica
intifada popolare nella nostra terra occupata, l’intifada che è destinata a
durare finché non avremo raggiunto i nostri obiettivi di libertà e indipendenza
nazionale.
Sono orgoglioso, signor Presidente, di essere uno dei figli di questo
popolo, i cui uomini, donne e bambini stanno scrivendo col sangue un’eccezionale
storia epica di resistenza nazionale e compiono, giorno per giorno, atti
simili a miracoli e leggende per sostenere la loro intifada, facendola crescere
finché possa imporre la sua volontà e dimostrare che il diritto può prevalere
sulla forza. Salutiamo con orgoglio la nostra gente della intifada, protagonista
di una esperienza democratica rivoluzionaria unica.
La loro è una fede che non può essere battuta dalla macchina militare
israeliana, che non può essere terrorizzata da nessun tipo di pallottole, che
non può essere scossa dal veder seppellire viva la gente, spezzare le ossa,
provocare aborti, appropriarsi delle risorse idriche; una fede che non può
essere scoraggiata dagli arresti, dalla prigionia, dall’esilio, dalla deportazione,
dalle punizioni collettive, dalla demolizione delle case, dalla chiusura
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delle università, delle scuole, delle associazioni sindacali, delle istituzioni,
dei giornali o dallo stato di assedio dei campi, dei villaggi e delle città. Queste
brutali punizioni collettive sono servite soltanto a rafforzare la nostra
fede, facendola arrivare in ogni casa, dandole radici in ogni centimetro della
nostra patria.
Un popolo con questa eredità e questa storia è invincibile. Tutte le forze
della tirannia e del terrore non possono far vacillare la sua fede profonda nel
diritto alla propria terra e nei valori della giustizia, della pace, dell’amore, della
coesistenza e della tolleranza. Le armi del rivoluzionario ci hanno protetto
dalla distruzione della nostra identità nazionale nell’arena dello scontro a fuoco.
Abbiamo piena fiducia nella nostra capacità di proteggere il nostro ramo
d’olivo nell’arena del confronto politico.
Questo abbraccio di tutto il mondo alla nostra giusta causa, che preme
per la realizzazione di una pace fondata sulla giustizia, dimostra chiaramente
che il mondo ha ormai individuato, senza possibilità di equivoci, il predatore
e la preda, il boia e la vittima, l’aggressore e l’aggredito, il combattente
che lotta per la pace e il terrorista.
Le pratiche quotidiane dell’esercito d’occupazione, le bande di fanatici
coloni armati contro la nostra gente, le nostre donne, i nostri bambini, hanno
rivelato il volto orrendo dell’occupazione israeliana e messo in luce la sua vera
natura aggressiva.
Questa crescente consapevolezza da parte di tutto il mondo ha toccato
anche gruppi di ebrei all’interno di Israele e fuori. I loro occhi si sono aperti
alla realtà del problema e all’essenza del conflitto, soprattutto da quando
hanno visto le pratiche disumane con cui Israele, giorno per giorno, demolisce
lo spirito tollerante dello stesso ebraismo.
È diventato ormai difficile, se non impossibile, per un ebreo denunciare
la discriminazione razziale, credere nella libertà e difendere i diritti dell’uomo
e allo stesso tempo tacere sui crimini e sulle violazioni compiute da
Israele contro i diritti umani dei palestinesi, contro l’insieme del popolo
palestinese e la terra palestinese, assistendo, giorno dopo giorno, alle orribili
pratiche quotidiane degli occupanti e delle squadre di coloni.
Noi facciamo distinzione, signor Presidente, tra il cittadino ebreo, la
cui coscienza i circoli ebrei dominanti hanno sempre cercato di reprimere e
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falsificare, e le pratiche delle autorità israeliane.
Sappiamo che sia all’interno che fuori di Israele ci sono ebrei onesti e
coraggiosi che non approvano la politica del governo israeliano, fatta di
repressione, massacri, espansionismo, colonizzazione ed espulsione, e che
riconoscono al nostro popolo pari diritti alla vita, alla libertà e all’indipendenza.
Da parte del popolo palestinese, li ringrazio della loro coraggiosa e
onorevole presa di posizione.
Il nostro popolo non vuole un diritto che non è suo, del quale non sia
stato investito dal diritto internazionale e dal principio di legittimità. Non
cerca la sua libertà a spese della libertà di altri, né vuole un futuro che neghi
il futuro di un altro popolo. Il nostro popolo non vuole discriminare nessun
altro, ma non accetta di venire discriminato. Il nostro popolo vuole essere
uguale a tutti gli altri, con gli stessi diritti e gli stessi doveri. Mi rivolgo a tutti
i popoli del mondo, e soprattutto a quelli che hanno sofferto l’occupazione
nazista e hanno ritenuto che fosse loro dovere chiudere il capitolo della
coercizione e dell’oppressione di un popolo su un altro popolo per stendere
generosamente la mano a tutte le vittime del terrorismo, del fascismo e del
nazismo, affinché vedano chiaramente, oggi, le responsabilità che la storia
assegna loro nei confronti del nostro popolo calpestato, che vuole solo che i
suoi figli abbiano un posto nella loro terra – un posto dove possano vivere
in libertà, come tutti gli altri bambini del mondo.
Signor Presidente, è per noi motivo di ottimismo il fatto che la nostra lotta
sia culminata nella intifada, ancora in corso, proprio in un momento in cui
l’atmosfera internazionale è caratterizzata da un serio sforzo per la distensione
e la concordia internazionale e per il progresso dei popoli, che raccoglie ampi
consensi. Siamo confortati dai successi ottenuti dalle Nazioni Unite e dal suo
segretario generale grazie agli sforzi per dare un contributo concreto alla risoluzione
di molti problemi e allo scioglimento dei nodi, dei conflitti, e per spegnere
i focolai di tensione in tutto il mondo, in questo nuovo clima di distensione
internazionale.
Certamente è impossibile consolidare questo nuovo, positivo clima
internazionale, senza affrontare i problemi e i focolai di guerra nel mondo.
Solo così possiamo far emergere una coscienza umana più accurata e affidabile,
formulare un metro di giudizio nel valutare le azioni degli uomini e
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delle nazioni e prepararci per il prossimo secolo, alle sfide e alle nuove
responsabilità che esso ci porrà di fronte, con la volontà di evitare guerre e
distruzioni e di promuovere una maggiore libertà e benessere, e pace e progresso
per l’umanità intera.
Nessuno, signor Presidente, potrebbe mettere in dubbio il fatto che
fra i problemi del nostro mondo contemporaneo, quello di più lunga data
sulla vostra agenda, il più intricato e complesso, è quello palestinese. Tra
tutte le questioni di carattere regionale, è quella che rappresenta la minaccia
più seria alla pace e alla sicurezza internazionale. Ecco perché merita priorità
tra tutti i problemi che richiederebbero l’attenzione delle due superpotenze
e di tutti i paesi del mondo. Ecco perché c’è bisogno di uno sforzo per
delineare il corso di una soluzione equa, una soluzione che sarebbe la maggiore
garanzia di pace in Medio Oriente.
Noi dell’Olp, sentendoci responsabili del destino del popolo palestinese,
volendo restare fedeli alla sua lotta, rispettando il sacrificio dei suoi
martiri, volendo adeguarci al clima di distensione e concordia, coscienti
dell’importanza di contribuire agli sforzi politici atti a trovare una soluzione
politica che ponga fine alla tragedia delle guerre e dei conflitti e ampli gli
orizzonti di una convivenza pacifica regolata dal diritto internazionale,
abbiamo convocato il nostro Cnp in sessione straordinaria ad Algeri nei
giorni 12-15 novembre scorsi, allo scopo di definire meglio e chiarire la
nostra posizione in quanto parte fondamentale del conflitto arabo-israeliano,
senza la cui partecipazione e approvazione non vi può essere nessuna
soluzione.
Sono lieto di annunciare che il nostro Consiglio Nazionale Palestinese,
attraverso l’esercizio, in piena libertà, della democrazia, ha di nuovo
dimostrato la capacità di assumersi le sue responsabilità nazionali, approvando
risoluzioni serie, costruttive e responsabili, che ci preparano la strada,
aiutandoci a rafforzare ed evidenziare il nostro desiderio e il nostro
contributo alla ricerca di una composizione pacifica, che garantisca i diritti
nazionali e politici del nostro popolo e al tempo stesso pace e sicurezza per
tutti gli altri.
Signor Presidente, la prima, e decisiva, risoluzione del nostro Consiglio
Nazionale Palestinese è stata la proclamazione dello Stato della Palesti40
na, con la città santa di Gerusalemme come capitale. Lo Stato della Palestina
è stato dichiarato in virtù del diritto naturale, storico e giuridico del
popolo arabo palestinese alla sua terra, la Palestina, e in virtù dei sacrifici di
diverse generazioni in difesa della libertà e dell’indipendenza della loro terra;
in base alle risoluzioni delle conferenze al vertice dei paesi arabi; in base
la principio, che deriva dal diritto internazionale, della legittimità, così
come esso è contenuto nelle risoluzioni delle Nazioni Unite dal 1947 in poi;
nel rispetto del diritto del popolo arabo palestinese all’autodeterminazione,
all’indipendenza politica e alla sovranità sul territorio, e in base alle vostre
successive risoluzioni.
È importante per me, mentre ripeto questa storica proclamazione
davanti alla comunità internazionale, ora che essa è diventata anche un documento
delle Nazioni Unite, ribadire che questa decisione è irreversibile e che
noi non cederemo finché essa non si concretizzi rimuovendo l’occupazione,
permettendo al nostro popolo palestinese, dovunque si trovi, di esercitare la
sua sovranità nel suo stato, lo stato della Palestina. Qui esso svilupperà la sua
identità culturale e nazionale e godrà della piena parità di diritti. Le sue credenze
politiche e religiose e la sua dignità umana saranno salvaguardate da
un sistema democratico parlamentare di governo, fondato sulla libertà d’opinione;
sulla libertà di costituire partiti; sulla protezione dei diritti della minoranza
da parte della maggioranza e sul rispetto delle decisioni della maggioranza
da parte della minoranza; sulla giustizia sociale e l’uguaglianza, senza
discriminazione etnica, religiosa, razziale o sessuale; su una costituzione che
garantisca il primato della legge e l’indipendenza della magistratura; e, infine,
sulla base della totale fedeltà alla secolare eredità civile e spirituale palestinese
della tolleranza religiosa e della coesistenza.
Lo Stato della Palestina è uno stato arabo; il suo popolo è parte integrante
della nazione araba e partecipe della sua eredità e civiltà, del suo
desiderio di conseguire il progresso sociale, l’unità e la liberazione.
Lo Stato della Palestina riconosce e fa proprie la carta della Lega degli
stati arabi, la carta delle Nazioni Unite, la dichiarazione universale dei diritti
dell’uomo e i principi del non-allineamento.
È uno stato che ama la pace, fondato sui principi della coesistenza
pacifica, e si impegnerà, insieme a tutti gli stati e a tutti i popoli, per ottene41
re una pace permanente, costruita sulla giustizia e il rispetto dei diritti.
È uno stato che crede che la composizione delle controversie internazionali
e regionali debba avvenire attraverso mezzi pacifici e in base alla carta
e alle risoluzioni delle Nazioni Unite. Esso respinge le minacce di uso della
forza e della violenza o del terrorismo, o il loro impiego effettivo, contro
la sua integrità territoriale e indipendenza politica, o contro l’integrità territoriale
di ogni altro stato, senza pregiudizi nei confronti del suo diritto naturale
di difendere il suo territorio e la sua indipendenza.
È uno stato che crede che il futuro possa portare sicurezza a chi pratica o
è tornato a praticare la giustizia. Questo, signor Presidente, è lo stato palestinese
che abbiamo proclamato e che tenteremo di realizzare in modo che possa
prendere posto tra gli stati del mondo e dare il suo contributo creativo alla
creazione di un mondo libero dove prevalgano la giustizia e la pace.
Il nostro stato, se Dio lo vorrà, avrà il suo governo provvisorio alla prima
occasione possibile. Il Consiglio Nazionale Palestinese ha dato mandato
al comitato esecutivo dell’Olp perché assuma le funzioni di governo provvisorio
a interim.
Per concretizzare queste decisioni, il nostro Consiglio Nazionale Palestinese
ha adottato una serie di risoluzioni. Cercherò di individuare le più
salienti, che ribadiscono la nostra ferma determinazione a seguire la via di
una composizione pacifica ed equa, e a compiere il massimo sforzo per assicurarne
il successo.
Il nostro Consiglio Nazionale Palestinese ha ribadito la necessità di convocare
una conferenza internazionale sul tema del Medio Oriente e sul suo
nodo centrale, la questione palestinese, sotto l’egida delle Nazioni Unite e con
la partecipazione dei membri permanenti del Consiglio di sicurezza e di tutte
le parti coinvolte nel conflitto nella regione, inclusa, sullo stesso piano, l’Organizzazione
per la Liberazione della Palestina, l’unico legittimo rappresentante
del popolo palestinese. La conferenza internazionale verrà organizzata
sulla base delle risoluzioni 242 e 338 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni
Unite e della salvaguardia dei legittimi diritti nazionali e politici del popolo
palestinese, il primo dei quali è il diritto all’autodeterminazione.
Il nostro Consiglio Nazionale Palestinese ha ribadito la necessità che
Israele si ritiri da tutti i territori palestinesi e arabi che ha occupato nel 1967,
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compresa Gerusalemme araba, e la necessità della costituzione dello stato
palestinese, dell’annullamento di tutte le misure di esproprio e annessione,
e dello smantellamento di tutte le colonie (insediamenti) fondate da Israele
nei territori arabi e palestinesi dopo il 1967, come richiesto dalle risoluzioni
dei vertici arabi di Fez e Algeri.
Il nostro Consiglio Nazionale Palestinese ha anche ribadito la necessità
di cercare di porre i territori palestinesi occupati, compresa la Gerusalemme
araba, sotto il controllo delle Nazioni Unite per un periodo limitato,
per proteggere il nostro popolo, creare un’atmosfera favorevole alla conferenza
internazionale per il raggiungimento di una composizione politica
globale, della pace e della sicurezza in Medio Oriente per tutti i popoli e
tutti gli stati, sulla base del mutuo consenso e del mutuo riconoscimento, e
per consentire allo Stato della Palestina di esercitare in questi territori la sua
effettiva autorità, così come ribadito anche dalle risoluzioni dei vertici arabi,
e particolarmente di quelli di Fez e Algeri.
Il nostro Consiglio Nazionale Palestinese ha ribadito la necessità che il
problema dei profughi palestinesi venga risolto in base alle relative risoluzioni
delle Nazioni Unite, e che siano garantiti, nei luoghi sacri della Palestina,
la libertà di culto e il diritto di officiare riti religiosi ai credenti di tutte le
fedi. E ha ribadito che il rapporto tra i due popoli fratelli palestinese e giordano
è un rapporto privilegiato e che, in futuro, il rapporto tra lo Stato della
Palestina e il regno hashemita di Giordania sarà articolato secondo una
struttura confederale, sulla base della libera e volontaria scelta dei due
popoli fratelli, a consolidamento dei legami storici che li uniscono e dei vitali
interessi che essi hanno in comune.
Il Consiglio nazionale Palestinese ha ribadito la necessità che il Consiglio di
sicurezza delinei e garantisca le misure di sicurezza e la pace tra stati che sono
coinvolti nel conflitto.
È importante per me, signor Presidente, sottolineare che queste risoluzioni,
nel loro contenuto e nel loro tono, riflettano il nostro fermo desiderio
di pace e di libertà e la nostra totale consapevolezza del clima di distensione
internazionali e del forte desiderio, da parte della Comunità Internazionale,
di raggiungere soluzioni equilibrate, che rispondono ai diritti e ai fondamentali
interessi delle parti in causa. Queste risoluzioni attestano la serietà
del popolo palestinese sul problema della pace, attestano il fatto che esso
vuole la pace e crede che possa essere assicurata e garantita dal Consiglio di
sicurezza sotto l’egida delle Nazioni Unite.
Queste risoluzioni costituiscono una risposta ferma e chiara a tutte le
argomentazioni, i pregiudizi, e i pretesti usati da alcuni stati per avanzare dubbi
sulla posizione e la politica dell’Olp.
Nel momento in cui il nostro popolo votava per la pace attraverso l’intifada
e i suoi rappresentanti nel Cnp, confermando la sua reazione positiva
al clima prevalente di distensione nei rapporti internazionali e alla crescente
tendenza alla composizione pacifica dei conflitti nel mondo, il governo di
Israele alimentava le tendenze aggressive ed espansionistiche e il fanatismo
religioso, manifestando così la sua scelta di guerra e di cancellazione dei
diritti del nostro popolo.
La parte palestinese, dal canto suo, ha formulato invece posizioni politiche
chiare e responsabili, in linea con la volontà espressa dalla comunità
internazionale, al fine di promuovere la convocazione di una Conferenza
internazionale sulla pace e impegnarsi per il successo dei suoi lavori. Il gratificante
e coraggioso sostegno internazionale manifestatosi nel riconoscimento
dello Stato della Palestina é una ulteriore prova della giustezza del nostro
percorso, della credibilità delle nostre risoluzioni e del fatto che aderiscono
alla volontà internazionale di pace.
Nell’esprimere il nostro sentito apprezzamento per le voci americane
libere che hanno spiegato e sostenuto la nostra posizione e le nostre risoluzioni,
rileviamo che l’amministrazione Usa continua a non usare lo stesso
criterio nei confronti delle parti in causa, chiedendo a noi di accettare posizioni
che possono essere definite soltanto dopo un negoziato e un confronto
nell’ambito di una Conferenza internazionale.
In questa sede vorrei sottolineare che la risposta ai molti problemi
posti, indipendentemente da chi li ponga, non può che fondarsi sulla accettazione
dell’uguaglianza delle due parti in causa nel conflitto e sul riconoscimento
della loro parità di diritti su una base di reciprocità. E, se le linee
politiche che vengono effettivamente seguite riflettono in qualche modo le
intenzioni dei loro sostenitori, sono i palestinesi la parte che ha più motivo
di preoccuparsi e chiedere rassicurazioni sul proprio destino, trovandosi di
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fronte uno stato di Israele che mostra i denti, con le armi più moderne,
comprese quelle nucleari. Signor Presidente, il nostro Cnp ha ribadito di
accettare le risoluzioni delle Nazioni Unite che sostengono i diritti dei
popoli a resistere all’occupazione straniera, al colonialismo e alla discriminazione
razziale, e il loro diritto alla lotta per l’indipendenza. Ha anche
ribadito il rifiuto del terrorismo in tutte le sue forme, compreso quello di
Stato, sottolineando il suo impegno a rispettare le risoluzioni già prodotte
su questo tema, le risoluzioni del vertice arabo di Algeri del 1988, e le risoluzioni
delle Nazioni Unite 42/159 del 1987 e 61/40 del 1985, e quanto stabilito
in materia nella dichiarazione del Cairo del 7 novembre 1985.
Questa posizione, signor Presidente, è chiara e libera da ogni ambiguità.
Tuttavia io, in qualità di presidente dell’Organizzazione per la liberazione
della Palestina, dichiaro qui, ancora una volta, di condannare il terrorismo
in tutte le sue forme, e, al tempo stesso, saluto tutti coloro che ora vedo
seduti di fronte a me in questa aula e che quando lottavano per liberare il
loro paese dal giogo del colonialismo sono stati accusati di terrorismo dai
loro oppressori e sono oggi leader leali dei loro popoli, saldi campioni dei
valori della giustizia e della libertà.
Saluto anche con rispetto i martiri che sono caduti nelle mani dei terroristi
e del terrorismo, in particolare il deputato, mio compagno per la vita,
Khalil al-Wazir, martire che ormai è un simbolo, e tutti i martiri caduti nei
massacri che il nostro popolo ha sofferto in diverse città, villaggi e campi
della Giordania, della striscia di Gaza e del Libano del sud.
Signor Presidente, onorevoli membri, la situazione nella nostra terra
palestinese non può più attendere. Il nostro popolo e i nostri bambini, che
stanno guidando la nostra marcia, tenendo alta la fiaccola della libertà, vanno
incontro ogni giorno al martirio per porre fine all’occupazione e porre le premesse
per la pace nella loro terra libera e indipendente e nell’intera regione.
È per questo motivo che il Cnp, prendendo atto della situazione dei
palestinesi e degli israeliani e della necessità che tra loro si instauri uno spirito
di tolleranza, ha elaborato le sue risoluzioni su basi realistiche.
Le Nazioni Unite hanno una responsabilità storica straordinaria nei
confronti del nostro popolo e dei suoi diritti. Più di quarant’anni fa, le
Nazioni Unite, nella loro risoluzioni 181, hanno optato per la costituzioni
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dei due stati in Palestina, uno arabo-palestinese e l’altro ebraico. Nonostante
il torto storico fatto al nostro popolo, oggi siamo convinti che questa risoluzione
continui ad avere i requisiti di legittimità internazionale che garantiscono
il diritto del popolo arabo-palestinese alla sovranità e all’indipendenza
nazionale.
L’accelerazione del processo di pace nelle regione richiede uno sforzo
speciale delle parti interessate e della comunità internazionale, e soprattutto
degli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica, che hanno entrambe una grande
responsabilità in merito alla causa della pace nella nostra regione.
Le Nazioni Unite, i membri permanenti del Consiglio di sicurezza e
tutti gli organismi mondiali, hanno un ruolo vitale da svolgere in questo
contesto. Nella mia qualità di presidente del comitato esecutivo dell’Organizzazione
per la Liberazione della Palestina, che assume ora le funzioni di
governo provvisorio dello Stato della Palestina, presento a voi la seguente
iniziativa di pace palestinese:
Primo: che venga compiuto uno sforzo serio per convocare, sotto la
supervisione del Segretario generale delle Nazioni Unite, un comitato preparatorio
della conferenza internazionale per la pace in Medio Oriente – in
linea con l’iniziativa del presidente Gorbaciov e del presidente Mitterand,
che il presidente francese ha presentato alla vostra Assemblea lo scorso settembre,
e che ha incontrato il favore di molti stati – per preparare il terreno
alla convocazione della conferenza internazionale che ha l’appoggio di tutti,
tranne che del governo israeliano.
Secondo: poiché crediamo nel diritto internazionale, nel ruolo vitale
delle Nazioni Unite, chiediamo che vengano compiuti dei passi per porre la
nostra terra palestinese occupata sotto il controllo temporaneo delle Nazioni
Unite, e che vengano impiegate truppe internazionali per proteggere il
nostro popolo e, al tempo stesso, per controllare il ritiro delle truppe israeliane
dal nostro paese.
Terzo: l’Olp cercherà una soluzione complessiva tra le parti interessate
al conflitto arabo-israeliano, compresi lo Stato della Palestina, Israele e gli
altri vicini, nel quadro della conferenza internazionale per la pace in Medio
Oriente, sulla base delle risoluzioni 242 e 338, in modo da garantire l’ugua46
glianza e l’equilibrio degli interessi, e soprattutto i diritti del nostro popolo
alla libertà, all’indipendenza nazionale, e il rispetto del diritto all’esistenza
nella pace e sicurezza di tutti.
Se questi principi verranno sostenuti nella conferenza internazionale
avremo già percorso un lungo tratto sulla via di una giusta composizione del
problema e questo ci permetterà di raggiungere un accordo su tutte le misure
di sicurezza e d pace.
Signor Presidente, spero sia chiaro che il nostro popolo palestinese,
determinato a ottenere i suoi legittimi diritti nazionali all’autodeterminazione,
al rimpatrio e alla fine dell’occupazione del territorio dello stato della
Palestina, è ugualmente determinato a lottare per questi obiettivi con mezzi
pacifici, nel quadro della conferenza internazionale da tenersi sotto l’egida
della Nazioni Unite e in linea con la sua carta e le sue risoluzioni. Vi assicuro
che, come tutti gli altri popoli della terra, noi siamo un popolo che desidera
la pace e forse anche con maggior entusiasmo, se consideriamo i nostri lunghi
anni di sofferenza e le dure condizioni di vita che affliggono noi e i nostri
bambini, privi della normalità di una vita libera dalla guerra, libera dalla tragedia,
libera dal tormento dell’esilio, libera dall’essere erranti, privi di una
casa e dall’angoscia quotidiana.
Facciamo quindi in modo che le voci che sono dalla parte del ramo
d’olivo, della coesistenza pacifica e della distensione internazionale, vengano
ascoltate. Diamoci la mano per difendere l’occasione storica, forse irripetibile,
di porre fine a una tragedia che è durata troppo a lungo ed è costata
migliaia di vittime e la distruzione di centinaia di villaggi e città. Noi stiamo
cercando di prendere il ramo d’olivo che spunta nei nostri cuori dall’albero
della nostra terra, l’albero della libertà. Signor Presidentei, io vengo a voi in
nome del mio popolo, e vi porgo la mano per fare una pace fondata sulla giustizia.
Chiedo alle autorità israeliane di venire qui, sotto l’egida delle Nazioni
Unite, per costruire, insieme, questa pace. A loro dico, come dico a voi, che
il nostro popolo, che vuole la dignità, la libertà e per sé la pace e per il suo
stato la sicurezza, vuole le stesse cose di tutti gli stati e le parti coinvolte nel
conflitto arabo-israeliano.
E in questa sede mi rivolgo in modo particolare agli israeliani, di tutte le
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categorie, di tutti gli strati sociali e di tutte le forze politiche, e soprattutto a
quelle forze che parteggiano per la democrazia e la pace. A loro dico: venite,
costruiamo la pace. Liberatevi dalla paura, ignorata le intimidazioni. Lasciatevi
alle spalle lo spettro delle guerre che infuriano da quarant’anni, senza sosta,
nel crogiolo di questo conflitto. Respingete tutte le minacce di nuove guerre,
il cui combustibile non potrebbe che essere il corpo del nostri bambini, e dei
vostri. Venite, costruiamo la pace. La pace di chi ha dignità e fierezza, una
pace lontana dall’arroganza del potere e degli strumenti di morte, lontana
dalle occupazioni, dall’oppressione, dalle umiliazioni, dall’assassinio e dalla
tortura. «O Popolo del Libro! veniamo a patti», in modo da poter costruire la
pace nella terra della pace, la terra della Palestina. «Gloria a Dio, nel più alto
dei cieli, e pace sulla terra agli uomini di buona volontà». «O Signore, tu sei la
pace e la pace sia con voi, e la pace ritorni fra voi. Viviamo in pace, o Signore,
e entri il cielo nella vostra casa, la casa della pace».
Infine, dico al nostro popolo: l’alba è vicina. La vittoria verrà. Vedo la
patria nelle vostre pietre sacre. Vedo la bandiera della nostra Palestina indipendente,
che sventola sulle colline della nostra amata terra.
Grazie. La pace sia con voi, e così la misericordia di Dio.
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