Goffman - Esercitazione
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Goffman - Esercitazione
Erving Goffman Ribalta e retroscena L’approccio drammaturgico di Goffman (1922-1982) comporta che le interazioni quotidiane vengano interpretate come una recita sul palcoscenico. Se però la ribalta costringe l’“attore” a seguire un preciso copione e a mostrarsi sempre appropriato e decoroso, nella situazione di retroscena, ci si può comportare con più scioltezza e tener celati quegli aspetti che non gioverebbero alla rappresentazione di sé. Se prendiamo in considerazione una particolare rappresentazione è talvolta utile servirsi del termine «ribalta» per indicare il luogo dove si svolge la rappresentazione. […] La rappresentazione di un individuo sulla ribalta può esser considerata come un tentativo per mostrare che la sua attività entro quel territorio segue certe norme. Queste sembrano riconducibili a due vaste categorie. La prima si riferisce al modo in cui l’attore tratta il pubblico mentre è impegnato con questo in una conversazione o in uno scambio di gesti, sostitutivo della parola; talvolta possiamo riferirci alle norme di questa categoria col termine di «cortesia». La seconda categoria si riferisce invece al modo in cui l’attore si comporta quando può essere visto o udito dal pubblico, ma non è necessariamente impegnato a parlargli. Mi servirò del termine «decoro» per riferirmi a questa seconda categoria di norme. [] Nei confronti di una data rappresentazione il retroscena può esser definito come il luogo dove l’impressione voluta dalla rappresentazione stessa è scientemente e sistematicamente negata. [] Qui l’attore può rilassarsi, abbandonare la sua facciata, smetter di recitare la sua parte e uscire dal suo ruolo. [] In genere il retroscena di una rappresentazione si trova a un estremo del luogo dove è presentato lo spettacolo, ed è separato da questo da un divisorio e da un passaggio sorvegliato. In tal modo, essendo la ribalta e il retroscena adiacenti, un attore che si trovi sulla ribalta può ricevere assistenza dal retroscena durante lo svolgimento della rappresentazione e può momentaneamente interromperla per brevi periodi di distensione. In genere, naturalmente, il retroscena costituisce per l’attore un luogo sicuro nel senso che nessuno del pubblico può entrarvi. Poiché nel retroscena i segreti vitali dello spettacolo sono visibili e poiché quando si trovano in questa zona gli attori abbandonano i loro ruoli, è naturale che il passaggio dalla ribalta al retroscena resti inaccessibile al pubblico o che il retroscena venga tenuto interamente nascosto. […] Se un operaio di fabbrica deve dare l’impressione di lavorar sodo tutto il giorno, deve poter avere un posto sicuro dove nascondersi così da poter produrre il lavoro di una giornata lavorando solo per una parte di essa. Se si deve dare ai congiunti l’impressione che il morto è davvero immerso in un sonno profondo e sereno, l’impresario deve poter tener i parenti lontano dalla stanza di lavoro dove i cadaveri sono imbalsamati e dipinti per la cerimonia finale. Se il personale di un manicomio desidera dare a quelli che vengono a visitare i propri parenti ricoverati una buona impressione dell’istituzione, bisogna impedire ai visitatori di entrare nei reparti, specialmente in quelli dei malati cronici, limitando le zone aperte al pubblico a speciali parlatori dove sarà possibile avere un mobilio decoroso e far si che durante la visita tutti i pazienti presenti appaiano ben vestiti, puliti, ben trattati e si comportino in modo relativamente corretto. Analogamente, in molti laboratori di artigiani, il cliente è pregato di lasciare l’oggetto che ha bisogno di riparazioni, in modo che l’artigiano possa lavorarci sopra in privato. Quando il cliente torna a ritirare la sua auto – o il suo orologio, i suoi pantaloni o la sua radio – questa gli viene restituita in ordine e funzionante, il che, incidentalmente, nasconde la qualità e la quantità del lavoro che è stato necessario, il numero degli errori commessi prima di riuscire nella riparazione, e altri dettagli che il cliente dovrebbe poter conoscere per giudicare se il compenso richiesto è giusto. (Erving Goffman, La vita quotidiana come rappresentazione (1959), trad. di M. Ciacci, Il Mulino, Bologna, 1969).