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articolo completo in pdf - Giornale Italiano di Diabetologia e
G It Diabetol Metab 2015;35:8-15
Rassegna
Iperglicemia da steroidi:
meccanismi e trattamento
RIASSUNTO
I glucocorticoidi di sintesi sono una classe di farmaci dotata di potente azione antinfiammatoria e immunosoppressiva, estesamente
utilizzata in ambito sia ospedaliero sia ambulatoriale. Uno dei principali effetti collaterali degli steroidi è la loro azione sul metabolismo
glucidico, con effetto complessivamente iperglicemizzante e “diabetogeno”, dovuto principalmente a una riduzione della sensibilità
insulinica a vari livelli (epatico, muscolare, sul tessuto adiposo).
Inoltre agiscono a livello del pancreas endocrino, determinando
riduzione della secrezione insulinica e aumento di quella di glucagone, e sull’asse delle incretine, interferendo con l’effetto insulinotropico del GLP-1. Per controllare l’iperglicemia da steroidi,
praticamente tutti i farmaci usati nel trattamento del diabete mellito di tipo 2 possono essere utilizzati: secretagoghi, come sulfoniluree e glinidi, insulino-sensibilizzanti come metformina e
glitazoni, insulina e, recentemente, analoghi del GLP-1 e inibitori
dei DPP4. Nei casi di maggior impegno clinico, la prima scelta rimane quella della terapia insulinica, con schemi di somministrazione variabili, e algoritmi che tengono conto delle caratteristiche
farmacocinetiche e farmacodinamiche dei glucocorticoidi.
SUMMARY
Steroid-induced hyperglycemia: mechanisms and treatment
Synthetic glucocorticoids are highly effective anti-inflammatory
and immunosuppressive drugs, widely prescribed to treat a variety of acute and chronic illnesses. One of their main side effects,
however, is their action on glucose metabolism, resulting in a hyperglycemic and “diabetogenic” effect, mainly due to reduced insulin sensitivity at various levels (liver, muscle, adipose tissue).
They also act on the endocrine pancreas, reducing insulin secretion and increasing glucagon, and on the gut-islet axis, interfering with the insulinotropic effect of GLP-1. Almost all the drugs
employed for type 2 diabetes mellitus can be used to treat
steroid-induced hyperglycemia: secretagogues, such as sulfonylureas and glinides, molecules that boost insulin sensitivity such as
metformin and glitazones, insulin and, recently, GLP-1 agonists
and oral DPP-4 inhibitors. Insulin remains the first-choice for therapy in most critical situations, with various protocols, and simple
M. Bonomo
SSD Diabetologia, AO “Ospedale Niguarda Ca’ Granda”,
Milano
Corrispondenza: dott. Matteo Bonomo,
SSD Diabetologia, AO Ospedale Niguarda Ca’ Granda,
Milano, piazza Ospedale Maggiore 3, 20162 Milano
e-mail: [email protected]
G It Diabetol Metab 2015;35:8-15
Pervenuto in Redazione il 02-02-2015
Accettato per la pubblicazione il 04-02-2015
Parole chiave: glucocorticoidi, diabete steroideo,
ridotta sensibilità insulinica
Key words: glucocorticoids, steroid diabetes,
reduced insulin sensitivity
Iperglicemia da steroidi: meccanismi e trattamento
algorithms that take into account the pharmacokinetics and pharmacodynamics of glucocorticoids.
Premessa
L’inserimento di un argomento come quello della terapia steroidea in un numero monografico dedicato a Diabete e comorbilità solo a prima vista potrebbe apparire fuori tema. Se
in questo caso non si tratta, infatti, di esaminare i rapporti e
le interrelazioni fra la malattia diabetica e una patologia specifica, la diffusione “trasversale” di questa forma di trattamento
in un ampio arco di malattie che possono riguardare il paziente con diabete, in varie età e in varie fasi della sua storia
clinica, rende di estremo interesse la conoscenza dei suoi effetti sul metabolismo glicidico, e dei possibili mezzi per contrastarli.
L’ampio uso dei glucocorticoidi di sintesi è legato alla loro potente azione antinfiammatoria e immunosoppressiva, riguardante sia il sistema immunitario innato sia quello adattativo. In
pratica, queste sostanze inibiscono la capacità migratoria dei
leucociti, impedendo la loro fuoriuscita dal torrente circolatorio e, conseguentemente, il raggiungimento dei siti di infezione
e di danno tessutale, bloccando in tal modo la risposta infiammatoria. Oltre a questo, essi contrastano la funzione fagocitaria dei macrofagi, e riducono la produzione di citochine
infiammatorie, necessarie per la risposta infiammatoria. Riducono, infine, l’attività del sistema immunitario acquisito, inducendo una deplezione dei T-linfociti, a fronte di un’alterazione
di minima entità della funzione dei B-linfociti(1).
Prodotti sinteticamente nell’immediato dopoguerra, questi farmaci furono introdotti definitivamente nella pratica clinica nel
1950(2); da allora la loro utilizzazione si è enormemente diffusa, sia come farmaci ospedalieri sia nella pratica ambulatoriale: nei soli USA si calcolano oggi oltre 10 milioni di
prescrizioni annuali di steroidi per via orale. Le indicazioni spaziano in un’ampia gamma di patologie infiammatorie e immunitarie, con maggiore frequenza in ambito nefrologico,
gastroenterologico, pneumologico, infettivologico e, soprattutto, reumatologico e onco-ematologico.
L’effetto “diabetogeno” degli steroidi
Epidemiologia
Se non esistono dubbi su un effetto negativo dell’uso di steroidi sulla tolleranza glucidica e, conseguentemente, su un effetto “diabetogeno” legato alla terapia steroidea, quantificare
con precisione questo rischio è molto difficile, a causa di una
serie di variabili che inevitabilmente possono condizionare il
rischio di sviluppare un diabete “secondario” all’assunzione
di steroidi. Bisognerà quindi considerare il tipo di molecola utilizzata, la sua posologia, la durata e lo schema del trattamento, ma anche le caratteristiche del paziente posto in
terapia: età, corporatura, familiarità, stile di vita, oltre a patologie e altre terapie concomitanti. È importante, anche, l’indi-
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cazione che porta alla prescrizione dello steroide: alcune delle
malattie trattate comportano di per se stesse un’interferenza
sull’omeostasi glicemica e, del resto, già lo stato di “malattia
acuta” nel malato critico si associa spesso al rischio di iperglicemia.
Questo spiega l’ampia variabilità dei dati riportati in letteratura, con una prevalenza di diabete molto differente nelle diverse situazioni: si passa infatti da un Odd Ratio di 1,36 per
somministrazione orale a bassa posologia(3), a 2,31 in popolazioni più anziane(4), fino a 5,82 in presenza di alti dosaggi(5).
È inoltre da considerare che queste stime si basano prevalentemente sulla determinazione della sola glicemia a digiuno,
mentre, come vedremo più avanti, l’effetto iperglicemizzante
di questi farmaci si esplica in misura ancora maggiore sulle
escursioni glicemiche postprandiali: è quindi molto probabile
che i numeri sopra citati siano in realtà sottodimensionati. È significativo che un recente studio australiano(6), condotto su
pazienti non diabetici ospedalizzati sottoposti a trattamento
steroideo ad alte dosi, controllati con glicemia capillare a digiuno e 2 ore dopo i pasti principali, abbia evidenziato valori
medi superiori a 8 mmol/mol (148 mg/l) nel 48% dei casi, superiori a 10 mmol/l (180 mg/dl) nel 14%. Almeno un valore
> 8 mmol/l era inoltre riscontrato nell’86%, e uno > 10 mmol/l
nel 71% dei pazienti.
Se questa è l’entità numerica del problema, alla luce delle
evidenze ormai acquisite dell’effetto negativo di un’iperglicemia di nuovo riscontro sull’outcome della degenza nei pazienti ospedalizzati e, più in generale, sull’evoluzione clinica
della patologia di base(7-9), è chiaro che occorra impostare
una terapia efficace in grado di minimizzare (e, se possibile,
di prevenire) questo effetto dello steroide. Per ottimizzare
questo intervento è prima necessario rivedere i meccanismi
fisiopatologici che stanno alla base di questo effetto iperglicemizzante; nei prossimi paragrafi verranno pertanto schematicamente ripresi i dati oggi acquisiti, anche sulla base di
alcune rassegne di recente pubblicazione(10-12). Le principali
modificazioni che determinano questo effetto “diabetogeno”
sono schematizzate in figura 1.
Azione sulla sensibilità insulinica
Una riduzione complessiva della sensibilità all’insulina indotta
dai farmaci steroidei è nota da tempo. Con la tecnica del
“clamp” euglicemico, Rizza et al. dimostrarono che un raddoppio dei livelli ematici di cortisolo, ottenuto con infusione
ev di idrocortisone, era in grado di ridurre la sensibilità insulinica (il glucose infusion rate, GIR) di circa il 50% in soggetti
non diabetici(13). Analogamente, una riduzione della sensibilità insulinica di entità simile è stata ottenuta in volontari sani
con la somministrazione ad alte dosi di prednisone per os per
7 gg(14), e in soggetti di ambo i sessi non obesi con desametasone(15,16). Quest’effetto, già presente con posologie non
elevate dei farmaci, è poi risultato essere tendenzialmente
dose-dipendente(17).
Studi successivi hanno poi meglio definito il ruolo delle modificazioni che si verificano nei diversi organi dove principalmente si esplica l’azione insulinica: soprattutto fegato e
muscoli periferici.
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M. Bonomo
Sensibilità insulinica
Gluconeogenesi
Produzione di glucosio
Sensibilità insulinica
Massa muscolare
Uptake di glucosio
Reclutamento
capillare
GLUCOCORTICOIDI
Sensibilità insulinica
Lipolisi
NEFA
Uptake glucosio
Ridistribuzione tessuto adiposo
Profilo diabetogeno citochine
Secrezione insulina
Secrezione
glucagone
A livello epatico
È stato osservato che dosi farmacologiche di glucocorticoidi
sono in grado di aumentare la produzione epatica di glucosio,
con un effetto prevalente di aumento della gluconeogenesi,
determinato, da un lato, da un’azione favorente l’espressione
e l’attività di enzimi chiave in questo processo metabolico,
quali la glucosio-6-fosfatasi e, soprattutto, la fosfoenolpiruvato-carbossilasi (PEPK), dall’altro, da un’aumentata disponibilità di substrati, conseguente a “breakdown” delle proteine
periferiche e dei depositi di grasso. C’è, infine, il potenziamento dell’effetto di altri ormoni controregolatori come il
glucagone e l’adrenalina. Quest’insieme di azioni sulla produzione epatica di glucosio è conseguente all’induzione di
una resistenza dell’effetto inibitore dell’insulina sui processi
prima descritti, che, in corso di terapia acuta o cronica con
glucocorticoidi, può in alcuni casi risultare ridotto anche del
50%(13,18,19).
A livello muscolare
L’“uptake” del glucosio da parte delle cellule muscolari rappresenta il principale meccanismo di regolazione insulinomediata della glicemia postprandiale. L’insulina interviene in
questo meccanismo sia direttamente a livello cellulare, con
una serie di processi fosforilativi post-recettoriali a cascata(20),
sia indirettamente, favorendo il reclutamento capillare a livello
del tessuto muscolare, con un’azione vasodilatatrice favorita
dal rilascio di ossido nitrico da parte delle cellule endoteliali(21,22), in questo modo espandendo la superficie disponibile
per lo scambio di nutrienti.
Numerosi studi hanno evidenziato come il trattamento steroi-
Effetto
insulino-tropico
GLP1
Figura 1 Meccanismi dell’azione iperglicemizzante
dei glucocorticoidi.
deo interferisca con tutti questi processi, come conseguenza
dell’induzione di un’insulino-resistenza i cui meccanismi rimangono ancora non del tutto chiariti. Un ruolo è certamente
svolto dall’inibizione della cascata fosforilativa successiva al legame insulina-recettore(23), ma anche l’azione litica svolta sul
metabolismo lipidico e proteico, determinando un aumento
dei livelli circolanti di acidi grassi liberi (non-esterified fatty
acids, NEFA) e di aminoacidi, può essere responsabile di una
riduzione dell’azione insulinica sull’“uptake” del glucosio(24-26).
Oltre a ciò, studi condotti con la microscopia capillare hanno
documentato un effetto dose-correlato dello steroide inibente
il reclutamento capillare prima citato(27). Nell’insieme, quindi, la
somministrazione di glucocorticoidi nel breve-medio termine
determina un complesso meccanismo di inibizione dell’azione
insulinica sul muscolo scheletrico, che è alla base dell’effetto
iperglicemizzante comunemente riscontrato in fase postprandiale.
Nel caso di trattamenti a lungo termine, può inoltre intervenire una riduzione della massa muscolare per atrofia indotta
dagli steroidi, in tal modo compromettendo ulteriormente la
captazione del glucosio circolante(28).
A livello adiposo
Un’interferenza sul segnale insulinico da parte degli steroidi,
analoga a quella esercitata nel fegato e nel muscolo, è stata
dimostrata anche nel tessuto adiposo: questo comporta una
riduzione dell’azione dell’insulina di inibizione della lipolisi, con
conseguente aumento dei livelli di NEFA(19), e di stimolo
dell’“uptake” del glucosio da parte degli adipociti(29) che, seppure in misura modesta, contribuisce all’effetto iperglicemizzante complessivo di questi farmaci. Sempre nel tessuto
Iperglicemia da steroidi: meccanismi e trattamento
adiposo, va anche tenuta presente la redistribuzione favorita
dagli steroidi, con aumento del grasso viscerale(30), e l’importante effetto che essi svolgono sulla produzione di citochine,
determinando un profilo prevalentemente “diabetogeno”(31,32):
riduzione dell’adiponectina e aumento di resistina e leptina.
Azione sulla beta-cellula
Oltre agli effetti negativi sulla sensibilità insulinica, anche
un’azione diretta a livello pancreatico, con compromissione
della produzione beta-cellulare di insulina, concorre a determinare l’alterazione glicometabolica propria della terapia steroidea. Quest’azione è stata dimostrata a livello sperimentale,
con studi in vitro che evidenziano una riduzione sia della secrezione sia della sintesi di insulina, anche con apoptosi delle
beta-cellule(33,34), ed è confermata da numerose evidenze in
vivo nell’uomo. La somministrazione di glucocorticoidi è infatti in grado di determinare acutamente una riduzione della
fase precoce di risposta insulinica allo stimolo con glucosio,
e della produzione di insulina indotta da arginina(35), mentre si
è dimostrato che un trattamento prolungato in soggetti suscettibili riduce la capacità della beta-cellula di rispondere
adeguatamente allo stato di insulino-resistenza tessutale indotta dagli stessi steroidi, risultando in una diminuzione
dell’“indice di disposizione” e, di conseguenza, in un tendenziale aumento dei livelli glicemici(36,37).
Altri meccanismi: azione sulle cellule alfa
e sull’asse delle incretine
Un effetto dose-dipendente sulla secrezione di glucagone a
digiuno e postprandiale è stato dimostrato dopo trattamento
prolungato con steroidi(19,38): l’aumento dei livelli ematici dell’ormone, in conseguenza della sua nota azione su gluconeogenesi e glicogenolisi epatica può pertanto contribuire
all’iperglicemia causata da questi farmaci.
Più recentemente è stata posta l’attenzione anche su un altro
possibile punto di attacco di queste sostanze, diretto sul GLP-1
e, più in generale, sugli ormoni incretinici di produzione intestinale. Dopo prime segnalazioni di una riduzione dei livelli di
GLP-1 nell’animale(39), nell’uomo il trattamento infusionale steroideo è stato dimostrato interferire non direttamente con le
concentrazioni ematiche del GLP-1, ma con il suo effetto
insulino-tropico, diminuendone l’effetto sulla secrezione insulinica indotta dal glucosio(40-42). Se confermate, queste osservazioni aprirebbero nuovi orizzonti anche sulla gestione
terapeutica dell’iperglicemia da steroidi, aggiungendosi ai trattamenti attualmente più diffusi.
Come controllare l’iperglicemia
da steroidi
L’approccio terapeutico all’iperglicemia indotta dal trattamento steroideo non ha al momento regole certe: praticamente tutti i farmaci comunemente usati nella terapia del
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diabete rientrano fra le opzioni possibili. Anche se in assenza
di evidenze forti a favore di una o dell’altra scelta terapeutica, indicazioni senz’altro utili possono venire, oltre che dai
meccanismi fisiopatologici ricordati nei paragrafi precedenti,
anche dalla considerazione delle caratteristiche farmacocinetiche e farmacodinamiche dei singoli preparati steroidei
comunemente usati nella pratica clinica ospedaliera e ambulatoriale.
Farmacocinetica e farmacodinamica
degli steroidi
I preparati cortisonici più utilizzati per via orale, prednisone e
predinosolone, raggiungono un picco ematico circa un’ora
dopo l’assunzione, con un’emivita plasmatica di circa 2 h
30′(43), e i dati non differiscono molto per il desametasone ev(44).
Guardando invece alla farmacodinamica, gli effetti sulla tolleranza glucidica sono più prolungati, per azione genomica,
con un’attività che raggiunge il suo massimo dopo 4-8 ore
per prednisone e prednisolone, e perdura poi per circa 1216 ore(43); più scarsi i dati sul desametasone, che sembrerebbe
però avere effetti di maggiore durata: la sua somministrazione
in volontari sani è infatti in grado di determinare un’aumentata
produzione di insulina ancora rilevabile a distanza di 20 ore(45).
Per quanto ci sia tuttora una carenza di studi pubblicati sull’andamento circadiano delle glicemie nei pazienti in terapia
steroidea, come atteso sulla base dei dati sopra riportati, sia
con i controlli tradizionali di glicemia capillare(46,47) sia con il
monitoraggio continuo CGM(48), si è rilevato come la somministrazione di glucocorticoidi per os al mattino determini
iperglicemie più elevate dopo pranzo, mentre minore è l’incremento di quelle dopo cena e al risveglio; anche modificando l’orario di assunzione, comunque il picco glicemico si
verifica dopo circa 5 ore.
È pertanto condivisibile l’indicazione, riportata nell’ultima edizione degli “Standard di Cura”(49), sulla necessità di educare i
pazienti al controllo della glicemia capillare dopo pranzo e
prima di cena, dato che le rilevazioni effettuate in mattinata
potrebbero sottostimare l’iperglicemia da steroidi. Da qui derivano anche indicazioni terapeutiche generali sulla terapia
ipoglicemizzante in corso di trattamento steroideo, con
l’orientamento verso farmaci attivi soprattutto nel periodo tra
mezzogiorno e mezzanotte(48).
Scelta del trattamento farmacologico
Farmaci non insulinici
Come detto, i farmaci utilizzati per contrastare l’iperglicemia
da steroidi sono, in pratica, tutti quelli disponibili per il trattamento del diabete mellito di tipo 2, quindi sia farmaci orali
“classici” (insulino-sensibilizzanti o secretagoghi) sia insulina
(con vari schemi di somministrazione)(50) sia, più recentemente, i farmaci attivi sull’asse delle incretine.
Per quanto riguarda gli antidiabetici orali, i primi a essere impiegati sono state le sulfoniluree a lunga durata di azione, utilizzate nei pazienti sottoposti a trapianto renale, con discreta
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M. Bonomo
percentuale di risposta positiva e, successivamente, anche in
altre situazioni cliniche trattate con steroidi(51). È una categoria di farmaci che ha il vantaggio del basso costo, oggi però
meno utilizzata per una serie di limiti, fra i quali la scarsa maneggevolezza, legata anche alla loro farmacocinetica, che li
rende poco adatti a controllare l’andamento circadiano dell’iperglicemia, ed espone al rischio di ipoglicemia in occasione
di trattamenti steroidei di breve durata, o in corso di “tapering” del dosaggio. Teoricamente altri secretagoghi di più recente introduzione, come gliclazide e glinidi potrebbero
rispondere meglio a queste esigenze grazie alla loro azione
più rapida e limitata nel tempo, ma mancano studi a sostegno
di una loro indicazione definitiva.
Un razionale per l’uso della metformina esiste certamente,
dovendo confrontarsi con un’alterazione del metabolismo glicidico prevalentemente conseguente a insulino-resistenza
farmaco-indotta(52). Con i limiti legati alle ben note controindicazioni generali della molecola (stati di ipossia tessutale, insufficienza renale ed epatica), peraltro spesso presenti proprio
in situazioni che richiedono la terapia steroidea, in caso di trattamento cortisonico prolungato con dosaggio stabile, la metformina ha quindi un suo spazio; anche in questo caso,
tuttavia, mancano evidenze in letteratura.
Altra opzione è quella dei tiazolidinedioni, in passato usati in
schemi di associazione con sulfoniluree e insulina in pazienti
trapiantati trattati cronicamente con steroidi(53-55). Oggi rimane
disponibile il solo pioglitazone, ma la latenza dell’effetto, e la
sua “coda” che, come per le sulfoniluree, espone al rischio di
ipoglicemia fra un ciclo e l’altro di steroidi, e al momento del
calo dei dosaggi, rendono questa scelta decisamente secondaria, anche alla luce della frequenza di alcuni effetti collaterali (in particolare del rischio di fratture, che potrebbe
sommarsi all’osteoporosi provocata da un uso prolungato dei
cortisonici)(56).
Analoghi del GLP-1 e inibitori DPP4
Sempre guardando ai meccanismi fisiopatologici finora identificati, un’altra classe di farmaci logicamente indicata per il
controllo degli effetti “diabetogeni” degli steroidi è quella, di
abbastanza recente introduzione, agente sull’asse incretinico:
sia agonisti del GLP-1 iniettivi sia inibitori dei DPP-4 per os.
I primi, in particolare, grazie all’azione di rallentamento dello
svuotamento gastrico(57) di potenziamento della secrezione insulinica ai pasti(58) e di riduzione della secrezione di glucagone(59), interferiscono potenzialmente con alcune delle cause
principali dell’iperglicemia indotta dai cortisonici, con un effetto principalmente mirato sulla fase postprandiale. Anche
se le evidenze finora disponibili a conferma di questa azione
protettiva sono finora limitate a prove in acuto su piccole casistiche, con infusione ev di GLP-1(60), in prospettiva l’indicazione degli agonisti, e degli inibitori dei DPP4 sembra
prevalentemente per un uso cronico della terapia steroidea,
con il vantaggio, rispetto ad altre scelte terapeutiche, di un rischio minimo di ipoglicemia. Su questo approccio, però, in
letteratura mancano al momento studi randomizzati, e si dispone solamente di report aneddotici: su 4 pazienti diabetici
in terapia steroidea precedentemente trattati con insulina, la
somministrazione di exenatide due volte al giorno si è dimostrata in grado di controllare in modo soddisfacente l’iperglicemia, con minore variabilità e riduzione del peso corporeo(61).
Altri studi sono evidentemente necessari, su casistiche maggiori, con osservazione più prolungata, e con alterazione glicemica più marcata, prima di proporre un uso più esteso di
questi farmaci nell’iperglicemia da steroidi.
Nei casi di maggior impegno clinico, la prima scelta rimane
quella della terapia insulinica.
Insulina
Le caratteristiche dell’iperglicemia da steroidi, conseguenti
alla farmacocinetica e farmacodinamica di queste sostanze,
con valori elevati soprattutto nelle ore diurne e in fase postprandiale, ha determinato tradizionalmente la scelta degli
schemi insulinici adottati per contrastarla, orientando verso la
somministrazione di boli di insulina rapida ai pasti (insulina
regolare in passato e, più recentemente, analoghi rapidi). I risultati di questo approccio sono solitamente buoni, ma lo
schema terapeutico che ne deriva, richiedendo iniezioni multiple nella giornata, risulta inevitabilmente impegnativo e complesso, in pazienti che nella maggior parte dei casi non sono
classificabili come “insulino-dipendenti” in senso stretto. Negli
ultimi anni è stata invece proposta una gestione alternativa,
partendo dal presupposto che, se è vero che gli steroidi determinano anche un’alterazione della secrezione insulinica a
livello beta-cellulare, la componente principale del loro effetto
“diabetogeno” rimane legata a una diminuzione della sensibilità insulinica a livello tessutale. Questo effetto ha un andamento temporale che, come abbiamo visto, si sviluppa
nell’arco di 6-8 ore dopo la somministrazione dello steroide,
che avviene solitamente al mattino. L’iperglicemia postprandiale rientra in effetti all’interno di questa fascia oraria complessiva, ed è quindi probabilmente dovuta, più che a una
carenza di secrezione insulinica in risposta al pasto, al sovrapporsi del rialzo glicemico al pasto su una resistenza insulinica “di base”. In questo quadro possono inserirsi le
insuline ad azione protratta: sia la isofano, i cui tempi di
azione sono quasi coincidenti con quelli di prednisone e
prednisolone, sia gli analoghi “long-acting”, che meglio si prestano a contrastare l’iperglicemia più prolungata di desametasone.
Un semplice algoritmo insulinico basato su queste considerazioni(11) è stato messo a punto dal gruppo di JN Clore a Ritchmond (USA), prevedendo una monosomministrazione
giornaliera di insulina isofano o dosata tenendo conto del
peso corporeo e della posologia dello steroide in uso. Il dosaggio insulinico viene inizialmente stabilito a 0,4 U/kg, come
dose di partenza nei pazienti “naif”, o in aggiunta in quelli già
in terapia insulinica. Lo schema, in origine concepito per insulina NPH, nella tabella 1 è stato esteso anche agli analoghi
“long-acting” glargine e determir.
Naturalmente uno schema terapeutico di questo tipo
non esclude, a fronte del persistere di iperglicemie postprandiali, l’aggiunta di boli preprandiali di insulina rapida, riproponendo quindi un modello “basal-bolus” adattato nella
posologia.
Iperglicemia da steroidi: meccanismi e trattamento
Tabella 1 Algoritmo di somministrazione di insulina
NPH o “long-acting” (glargine e detemir) per pazienti
in trattamento steroideo con dosi “a scalare”. Il dosaggio di insulina tiene conto sia del peso corporeo
del paziente sia del dosaggio dello steroide e delle
sue modificazioni (modificata da Clore e Thurby-Hay,
2009)(11).
Dosaggio di prednisone
Dosaggio insulinico
(mg/die)
(U/kg/die)
≥ 40
0,4
30
0,3
20
0,2
10
0,1
13
utilizzate nella cura del diabete. Come si è visto, anche se la
metformina mantiene uno spazio importante, soprattutto nel
paziente non acuto in terapia steroidea cronica, e se l’impiego
in questo campo dei farmaci attivi sull’asse delle incretine pare
essere molto promettente, al momento il ruolo principale
spetta alla terapia insulinica, più maneggevole, e adatta, con
schemi diversificati, sia in fase acuta sia per terapie prolungate.
Conflitto di interessi
Nessuno.
Bibliografia
Prospettive e conclusioni
Alla luce delle evidenze accumulatesi in questi anni sullo
stretto rapporto esistente fra iperglicemia (anche non nota
precedentemente) ed evoluzione clinica in molte forme morbose, sia nel paziente ambulatoriale sia durante il ricovero
ospedaliero (in questo caso con un’importante ricaduta sull’outcome della degenza), il controllo degli effetti della terapia
steroidea sul metabolismo glicemico ha progressivamente assunto un’importanza di primo rilievo.
Prospettive nuove potrebbero aprirsi nel prossimo futuro con
la disponibilità di farmaci, attualmente allo studio, in grado di
conservare l’azione antinfiammatoria degli steroidi, in assenza
dei loro effetti collaterali, compresi quelli sul metabolismo glucidico. Fra i più interessanti di questi “modulatori” sono gli
agonisti dissociati del recettore dei glucocorticoidi (selective
glucocorticoid receptor agonists, SEGRAs); il razionale del
loro uso risiede nella considerazione dell’azione genomica
degli steroidi, successiva al loro legame con il recettore intracellulare: l’azione antinfiammatoria e immunomodulatrice
sembra infatti principalmente conseguenza della “transrepressione” dei geni bersaglio da parte del complesso ormonerecettore, mentre, al contrario, i principali effetti collaterali sarebbero effetto di un processo di “trans-attivazione”(62). Una
serie di composti potenzialmente più efficaci nella “trans-repressione” che nella “trans-attivazione” sono stati proposti
negli ultimi anni, con risultati però ancora incerti(63-66).
Al momento, pertanto, la modulazione farmacologica dell’azione steroidea, con i SEGRAs o con altri tipi di approccio,
per quanto affascinante, non rappresenta ancora un’alternativa reale alla terapia con glucocorticoidi, che rimane quindi
un cardine insostituibile nel trattamento di patologie di grande
diffusione nella popolazione generale. La possibilità di gestirne
in modo soddisfacente gli effetti collaterali, limitando le conseguenze sull’equilibrio glicemico, è pertanto di grande importanza nella pratica clinica, e in effetti le conoscenze
acquisite sui meccanismi patogenetici dell’effetto iperglicemizzante, sulla farmacocinetica e farmacodinamica di questa
classe terapeutica dovrebbero consentire oggi un intervento
mirato, basato sulle principali classi di farmaci comunemente
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