LORENZO DE` MEDICI COMENTO DE` MIEI SONETTI A cura di
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LORENZO DE` MEDICI COMENTO DE` MIEI SONETTI A cura di
LORENZO DE' MEDICI COMENTO DE' MIEI SONETTI A cura di Tiziano Zanato Firenze: Olschki, 1991. 155 pp. Della "lunga fedeltà" di Zanato all'opera poetica del Magnifico e al Comento testimoniano l'imponente edizione del Canzoniere, uscito quasi in contemporanea e con la stessa data in questa medesima collana e, per il Comento, una serie di studi preparatorii, confluiti a formare l'ossatura del I capitolo dell'edizione. Né andrà dimenticato l'ampio saggio consacrato all'analisi linguistica e all'edizione degli autografi di Lorenzo de' Medici, apparso negli Studi di filologia italiana (1986), che consente qui a Zanato orientamenti sicuri in un problema, quello della resa grafica del testo (pp. 114-17), uso a gettare ai piedi degli editori soltanto forcate di spine. È questa, che si presenta, un'edizione, finalmente davvero critica, del Comento che giunge attesa e benvenuta: la volonterosa, ma poco strumentata impresa dell'edizione leopoldina del 1825 e, peggio, quella laterziana del Simioni del 1916 avevano restituito, e con più colpa la seconda che la prima, un testo malfido e scorretto, fondato su un numero ristretto di testimoni, su collazioni sommarie e su operazioni di "restitutio" traballanti quando non avventurose. L'edizione, che mette a profitto tutta la tradizione manoscritta e l'Aldina del 1554, enuclea e risolve problemi recensorii di complessità notevole, sollevati dalla "varia lectio" dei codici, sottoposta ad auscultazioni attentissime. Riconosciuta la natura di "descripti" di L (Laur. 4 1 , 25) e Ρ (Firenze, Nazionale, Pal. 816) da LA (Laur., Acq. e doni 264), con un interposto perduto di non trascurabile abilità congetturale e sensibilità stilistica fra LA e Ρ (ma i raggruppamenti dei manoscritti registrati nella Tav. 1 — p. 7 — potrebbero davvero essere 105 del tutto originati dal caso, causa la fortissima prossimità grafica dei vocaboli in concorso). Già le prime battute dell'Introduzione, le prime dimostrazioni, dico, e le prime tavole degli errori che le sostengono, rassicurano sull'acribia e sulla sorvegliata cautela dell'editore che, pur restio ad assumere un comportamento rinunziatario e semplificante, è ben conscio della cogente necessità di evitare forzature ed escursioni avventate e di distinguere fra certo, incerto ed ipotetico. Accoglibile, quindi, perché solidamente documentata, è la bipartizione della tradizione nei due subarchetipi y and y ,capostipiti di gruppi di dissimile consistenza, che raccolgono, l'uno, pressoché tutti i testimoni manoscritti e l'Aldina, e, l'altro, il solo SV (Siviglia, Capitular y Colombina 7 1 33), almeno sino a IX, 12, e gli interventi correttori sul testo di V (V2). All'interno del 2 raggruppamento α non tutti i testimoni hanno ovviamente uguale attendibilità: l'editore coglie e pone in rilievo l'eccellenza di R (Riccardiano 2726), che si inserisce fra i subarchetipi e i piani bassi dello stemma, così come affronta, delinea ed utilizza la polimorfa fisionomia di V (Vat. lat. 3218), dove la redazione V1 (una copia del Comentum utilizzata desultoriamente dal trascrittore di V) si dimostra essere l'interposto da cui discende l'intero ramo che fa capo a c (V, LA, VA, C, A e, a partire da IX, 13, SV) e quella siglata V2, il solo garante della permanenza del ramo y , perduta, in questa sede, la testimonianza di SV. Il manoscritto di Siviglia (SV) è infatti copia inquieta che muta antigrafo e, di conseguenza, collocazione nello stemma, spostandosi dalla diretta dipendenza dal subarchetipo y al raggruppamento che fa capo a c (che dipende a sua volta da V1 e che da questo manoscritto deve quindi considerarsi "descriptus"). L'archetipo lascia segni indubbi della sua presenza nei manoscritti della tradizione (pp. 61-87) e il testo dell'originale si fissa attraverso interventi correttori sulle mende d'archetipo ben ragionati e condividibili (intendo niente più che un dialogo con l'editore avanzare la possibilità che il "non vi restava" di IV, 17 alluda al cuore e possa pertanto non esigere la correzione "non mi restava" — cfr. subito sopra a IV, 13; a XV, 15 mi pare inoltre non vi sia necessità cogente di introdurre l'articolo prima di "forma"). Ancora si interroga l'editore sulla accoglibilità del rapporto fra versi e prosa, come testimoniato dalla tradizione e giustifica, in questo ambito, la ricomposizione dell'unità sonetto V + prosa, premettendo il Nuovo argumento, che nel subarchepito y era stato spiazzato a precedere il sonetto V. Conservativa I II II II 106 negli esiti, ma ineccepibile nelle argomentazioni è la decisione di non intervenire con spostamenti sulla struttura del commento tràdita: la mancanza di una redazione definitiva, le difficoltà insormontabili che sorgono al tentativo di ipotizzare una diversa struttura di parte del Comento inducono a rifiutare spostamenti, in ultima istanza arbitrari, di unità del suo testo. L'edizione è ovviamente provvista dei consueti strumenti di controllo: l'apparato dei loci critici, che diviene dialogico nei casi di necessità, discutendo, a beneficio del lettore dubbioso, le ragioni di scelte testuali — a volte già trattate, più ο meno estesamente, nei luoghi deputati dell'Introduzione — originate da oscillazioni nei subarchetipi ο in altri raggruppamenti di codici; l'apparato delle fonti, col limite, che sarebbe piaciuto vedere superato, delle citazioni esplicite, "in extenso" ο riassuntive. Particolare attenzione ottiene infine la precisazione delle date di composizione del Comento. Se pare certo che il Magnifico ne intraprese la compilazione dopo il suo ritorno da Napoli, nel marzo 1480, più difficile riesce seguirne le successive fasi di elaborazione. Il Comento doveva tuttavia avere raggiunto una prima concrezione nell'ottobre 1486, "fotografata," come aveva evidenziato Mario Martelli, dai Nutricia di Poliziano. L'attività di giunte, correzioni, spostamenti e sistemazioni di Lorenzo non si interruppe però dopo quella data ma continuò, secondo Zanato — che riprende ed amplia una soluzione avanzata da Martelli, da questi poi rifiutata a favore di quella che pone le ragioni del "non finito" del prosimetro nei risorgenti scrupoli religiosi di matrice savonaroliana nell'animo di Lorenzo — sino alla morte del Magnifico: se così andarono le cose, l'archetipo del Comento, come, dal canto suo, quello del Canzoniere, fu fatto assai probabilmente esemplare subito dopo la morte di Lorenzo, fra l'aprile 1492 e il 1493. GIANCARLO ALESSIO Università di Venezia 107