tesi di laurea lumsa
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tesi di laurea lumsa
LUMSA LIBERA UNIVERSITA’ MARIA SS. ASSUNTA - ROMA FACOLTA’ DI SCIENZE DELLA FORMAZIONE TITOLO TESI Televisione e influssi multimediali nei percorsi educativi dei minori Tesi di Laurea di II Livello in Programmazione e gestione delle politiche e dei servizi sociali Allieva Matr. 09772 Degno Simona Relatore Ch.mo Prof. Salvatore Squillaci CALTANISSETTA Anno Accademico 2005/06 2 Ai miei genitori per avermi sostenuta nella realizzazione del mio obiettivo A mio marito per essermi stato sempre di aiuto e di sostegno Alla creatura che con tanto amore porto in grembo Vostra Simona 3 Indice Premessa Capitolo Primo: Influssi sociali dei media 1.1 I Mass Media: coordinate storiche e sociali 1.2 Il fascino incantatorio della Tv 1.3 La parola all’accusa e alla difesa 1.4 Il contributo del Santo Padre Giovanni Paolo II Capitolo Secondo: La Tv per Bambini e per ragazzi 2.1 L’organizzazione dell’offerta e la fruizione 2.2 Strutture e modelli linguistici della Tv per ragazzi 2.3 Bambini e pubblicità 2.4 Media e immagine dell’infanzia e della preadolescenza oggi 4 Capitolo Terzo: La Tv dei ragazzi in prospettiva diacronica 3.1 Storia di un genere nella storia della televisione 3.2 Gli anni Sessanta e Settanta 3.3 Dalla Riforma della Rai ai nostri giorni Capitolo Quarto: Per un’educazione all’uso dei media 4.1 La potenzialità educativa della televisione 4.2 La potenzialità educativa della pubblicità 4.3 La potenzialità educativa del multimediale 4.4 Scuola e universo multimediale 4.5 Rispetto e tutela dei minori Conclusione Bibliografia 5 Premessa Tra i molteplici oggetti di studio, di cui si occupano i ricercatori nel campo della comunicazione, il rapporto tra Tv e bambini sta assumendo sempre maggiore importanza, anche se, ad una considerazione superficiale, sembra che sui media sia stato detto tutto o quasi. Il limite è che gli studi sono stati condotti in modo unidirezionale, con scarsa attenzione alla multidisciplinarità che, sola, forse, può garantire un reale progresso al dibattito. Nel suo piccolo, il presente lavoro cerca di affrontare la tematica nel suo complesso e quindi dal punto di vista dell’emittente, del messaggio e del ricevente. Più specificamente, sulla base dei più significativi contributi della ricerca mediologica, saranno esaminati, in primo luogo, gli influssi sociali dei media in generale e della televisione in particolare. La questione è complessa e si complica ulteriormente se il rapporto offerta-fruizione viene esaminato dal punto di vista dei bambini. Cattiva maestra televisione? Non è detto; l’antidoto è la qualità. Sulla base di queste sollecitazioni, il Capitolo secondo esamina la Tv per bambini e ragazzi in relazione all’organizzazione dell’offerta- e quindi ai criteri sottesi all’elaborazione dei palinsesti, alle strutture testuali e ai modelli 6 linguistici propri dei programmi specificamente destinati ai minori - e degli spot pubblicitari, che ne fanno ormai parte integrante. Ma con quali modalità i fruitori fanno propria questa offerta? Quali effetti essa ha sulla configurazione che infanzia e adolescenza hanno oggi sulla società e nell’immaginario collettivo? Queste stesse problematiche sono affrontate, in prospettiva diacronica, nel Capitolo terzo, dove la storia della Tv dei ragazzi è inserita nel contesto della storia della televisione e della storia del nostro Paese in generale, dal secondo dopoguerra alla Riforma della Rai del 1975 fino ai nostri giorni. Chiude il lavoro una riflessione sul potenziale educativo, che i media hanno o potrebbero avere. Bisogna convincersi del fatto che la Tv e gli altri media sono di per sé sia un bene che un male: dipende da chi le usa e da come si usa. In altri termini, la valenza positiva o negativa che essi hanno sulla crescita dei bambini dipende dalla qualità e dai contenuti delle “proposte” oltre che dal tempo che trascorrono davanti al video. “A volte la Tv è una cattiva maestra – ha detto, lo scorso dicembre, l’ex Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, a proposito dei media. In particolare, la televisione sarebbe poco responsabile verso i minori, per la trasmissione di comportamento sbagliati (La Stampa, 7 dicembre 2005). Il richiamo di Ciampi non fa che sottolineare ulteriormente la centralità che, nel dibattito mediologico, deve avere o tornare ad avere il problema della qualità dei programmi. L’audience non può e non deve giustificare tanta Tv spazzatura. È giusto che ci sia maggiore responsabilizzazione dei programmisti televisivi e dei pubblicitari, ma tutto ciò non può e non deve impedire di apprezzare anche la potenzialità positiva dei media. 7 “La televisione fa male solo a chi non la guarda” recita provocatoriamente un articolo del Corriere della Sera di qualche mese fa (1 febbraio 2006). La Tv non migliorerà le abilità dei propri spettatori e non attiverà mai l’immaginazione nei modi in cui lo fa un libro, ma resta comunque uno strumento ricco di stimoli. Ed è significativo che anche il Santo Padre Benedetto XVI, in occasione della 40° Giornata Mondiale della Comunicazione Sociale, si sia detto fiducioso sulla possibilità che i media possano trasformarsi in reti di promozione umana, civile e sociale. A questo punto il problema principale diventa quello di potenziarne gli aspetti positivi e “sconfiggere” quelli negativi. Questo significa che valore fondante di televisione, videogiochi pubblicità, internet deve essere la “tutela dei minori”. A questo obiettivo si deve giungere mediante un maggiore impegno della famiglia, della scuola, delle aziende televisive, degli operatori della pubblicità. Certo, in caso di violazione delle norme, ci sono le sanzioni dell’Authority, ma queste sono tardive, economicamente ridicole e spesso annullate dal Tar. La soluzione pertanto deve venire da un’opera di prevenzione, che porti ad una Tv educata prima che questa, suo malgrado, diventi Tv educante. 8 CAPITOLO PRIMO Influenze sociali dei media 9 1.1 I Mass Media: coordinate storiche e sociali L’espressione mass media fa ormai parte del nostro linguaggio standard ed è usata assai più dell’equivalente italiano mezzi di comunicazione di massa. Si tratta di strumenti di espressione e divulgazione rivolti ad un pubblico molto vasto: in alcuni casi il canale è la carta stampata – stampa quotidiana e periodica, cartelloni pubblicitari e mezzi simili di propaganda e informazione – altri ci raggiungono grazie alle più recenti scoperte dalla tecnologia, quella elettronica in particolare – radio, televisione, audiovisivi in genere, cinematografo, computer. Come è facile comprendere, i mass media, per la loro stessa natura, determinano conoscenze ed esercitano enorme influenza sulla vita dell’uomo di oggi: non c’è dubbio che questa sarebbe ormai inconcepibile, nel bene e nel male, senza di essi. Il più vecchio tra i media è il giornale, più precisamente il quotidiano, ma è bene precisare che esso non ha mai potuto vantare la diffusione e la popolarità dei suoi giovani concorrenti elettronici, poiché richiede un certo livello di alfabetizzazione e un certo impegno intellettuale. 10 La radio nata molto tempo prima della televisione, sembrava essere stata soppiantata da questa, ma le più recenti indagini statistiche ci dicono che essa è in netta ripresa, grazie all’alto gradimento che riscuote tra il pubblico giovanile. In particolare, come ha ben sottolineato Carlo Sartori, hanno notevole successo i programmi, in cui è possibile un coinvolgimento interattivo degli ascoltatori e quelli di intrattenimento musicale1. A vantaggio di questo medium giocano senz’altro il basso costo e l’alta flessibilità dell’utilizzazione, non vincolata a tempi, luoghi, impegni di alcun genere (si pensi, ad esempio, all’autoradio). La televisione ha ormai una tale diffusione che non necessita di molte presentazioni. Dire quando sia nata non è facile, perché la sua invenzione è frutto di un lungo processo di ricerche e scoperte. Nel 1936 la Gran Bretagna aveva già un regolare servizio televisione. Ad essa si aggiunsero, nel 1946, la Francia, gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica. Il vero boom televisivo si ha però negli anni Sessanta: da allora la “civiltà della Tv” ha continuato ad imporsi in modo sempre più prepotente e pervasivo. Con il piccolo schermo ha ingaggiato una dura battaglia il cinema, che per quanto sconfitto, resta un importante mezzo di divulgazione, attraverso cui passano messaggi destinati al vasto pubblico. La concorrenzialità fra i suddetti mass media è enorme: essi fanno a gara per catturare sempre più vasti settori di pubblico: i quotidiani offrono supplementi per essere simili ai settimanali; quotidiani e settimanali regalano film in video cassetta o Dvd; la Rai diventa produttrice cinematografica; il cinema si modella sulla Tv; la Tv offre reportages giornalistici… Tra le varie 1 Cf. C. Sartori in G. Giovannini, La radio, un medium per tutte le stagioni. Storia dei massmedia. Dalla selce al silicio, Gutemberg 2000, Torino, 1986. 11 emittenti televisive, poi, infuria la battaglia dell’audience, che condiziona pesantemente la loro programmazione. Un ruolo fondamentale in tutto questo è giocato dalla pubblicità, che consente massicci finanziamenti e naturalmente si rivolge ai mezzi che hanno maggiore diffusione e maggiore ascolto. Si instaura così, come ha ben evidenziato Jean – Jacques Lambin un processo a catena, per il quale si fanno investimenti/per conquistare pubblico/per fare investimenti. La pubblicità insomma non esisterebbe senza i vari media, ma i media, a loro volta, devono in gran parte la propria sopravvivenza alla pubblicità2. Infine va fatto riferimento al computer, che, pur non essendo nato come mezzo di comunicazione, condiziona, tutti gli altri media, che interagiscono tra loro. Telematica, informatica, cibernetica, realtà virtuale sono ormai termini familiari e le applicazioni del computer a tutti i settori della nostra vita si rilevano di giorno in giorno sempre più necessarie. Ci sono calcolatori elettronici che giocano a scacchi, computer che fanno le traduzioni simultanee da tutte le lingue straniere, computer che compongono musica disegnano grafici. “Tutti questi straordinari risultati – afferma Piero Angela – si possono e si potranno sempre più ottenere mettendo insieme dei semplici pezzi di silicio, di metallo e di altri materiali. A rifletterci sopra è una cosa abbastanza sconvolgente […]. Quando si parla di intelligenza artificiale si parla in sostanza delle capacità di montare insieme delle strutture per imitare delle capacità che noi possediamo”3. 2 Cf. J. Lambin, La funzione della pubblicità in AA.VV., Pubblicità e comunicazione di massa. Franco Angeli, Milano, 1970. 3 P. Angela, La macchina per pensare – alla scoperta del cervello, Garzanti, Milano, 1990, p.133. 12 Grazie all’enorme sviluppo delle comunicazioni di massa, il mondo si è andato facendo sempre più piccolo. Non a caso il sociologo Marshall Mac Luhan ha coniato per questa nuova realtà l’espressione “villaggio globale”: una comunità, quella dell’intero pianeta, sempre più interdipendente e senza frontiere, nella quale ciascuno può essere, in tempo reale, testimone e partecipe di ciò che sta succedendo a migliaia di migliaia di distanza. Addirittura oggi, con i progressi dell’informatica e le nuove abitudini che le reti telematiche inducono, si può pensare di essere andati oltre la stessa visione di Mac Luhan; Javier Echeverria parla in proposito di una realtà cosmopolita e di dimensioni planetarie, rese possibili dalle nuove tecnologie audio-visive e dei computer. Significativamente egli chiama questo spazio “telepolis” ossia città a distanza. La Tv è certamente il caso più paradigmatico di questa nuova città, costituita dai mezzi di comunicazione4. Ma non è finita qui! Ormai infatti non ci limitiamo più a vedere, ma possiamo comunicare, a nostra volta, con chiunque, in qualunque angolo della terra (e dello spazio!). I rischi, ovviamente, non mancano e le pagine successive cercheranno di offrire una base di conoscenze, su cui impostare ricerche e discussioni. Non si tratta ovviamente di esaltare o demonizzare le enormi potenzialità dei mezzi di comunicazione ma capire come si trasforma profondamente l’uomo per effetto di questo potenziamento. “Radio, televisione, personal computer, Cdrom – afferma Umberto Galimberti – ci plasmano qualunque sia lo scopo per cui li impegniamo”5. 4 5 J. Echeverria, Telepolis. La nuova città telematica, La Terza, Bari, 1995, p.142. U. Galimberti, La solitudine di internet in la Repubblica, 21 luglio 1995. 13 1.2 Il fascino incantatorio della Tv Tra i mass media, né il cinema né la radio né i giornali né i marchingegni elettronici hanno mai eguagliato il fascino incantatorio della Tv, tanto da indurre psicologi e sociologi a parlare di “narcosi” e di pericolosi rischi di dipendenza. In televisione possiamo “Ascoltare ciarlatani di varia natura (politici, intellettuali, telepredicatori) oppure storie e racconti (telenovelas, polizieschi, horror) possiamo istruirci (programmi culturali o educativi) imparare a cucinare, goderci un gruppo di professionisti che praticano qualche sport. La educazione a distanza è ormai un dato di fatto. Gran parte della cultura a disposizione dei bambini, è qualche volta degli anziani, proviene dalle tele-scuole sul piccolo schermo”6. La questione è dunque complessa e il dibattito tra sostenitori e denigratori quanto mai attuale. 6 J. Echeverria, Telepolis. La nuova città telematica, Laterza, Roma, 1995, p. 35. 14 Da qui scelta di dedicare queste pagine ad una riflessione sui termini principali della problematica, a partire dalle innumerevoli critiche mosse al piccolo schermo. La denuncia dell’influsso negativo della Tv è motivata ora dai contenuti proposti, privi di alcuna valenza educativa, ora dagli utenti, non sempre “capaci” di difendersi dai condizionamenti sollecitati, ora dal tempo di visione, spesso ai limiti dalla “mania”, ora dal fatto stesso del guardare, responsabile di isolamento, incomunicabilità, mancanza di fantasia. A quest’ultimo aspetto ha dedicato fondamentalmente i suoi studi Marie Winn, autrice di numerosi testi sulla particolare influenza che la Tv esercita sui bambini7. La studiosa precisa che non è tanto il contenuto dei programmi a condizionare il modo di pensare dei bambini quanto la natura stessa della televisione, che certo non li aiuta a sviluppare la capacità di auto-gestirsi, di comunicare, di conoscere facendo piuttosto che guardando. E’ opportuno sottolineare che tale esigenze dei minori, non sono soddisfatte neanche quando i programmi proposti sono adatti ai bambini: si avrebbe in questo caso una Tv baby-sitter, di cui bisogna altrettanto diffidare. In questo caso aumenta il rischio che i genitori lascino incollati al televisore i propri figli per tempi più lunghi, pensando erroneamente che ciò torni utile a loro stessi e ai figli. Purtroppo non è così, sia perché il modo di guardare la Tv di un bambino è completamente diverso da quello di un adulto, che può fare riferimento a tante sue esperienze, sia perché l’apprendimento per Tv non garantisce generalmente comprensione e spirito critico. 7 Marie Winn, è autrice di dieci libri per genitori e bambini, tra i quali Il libro del gioco; Il fanciullo che legge; Il libro malato. Ha anche collaborato a riviste di grande rilievo come “New York Times Magazine” e “The Village Voice”. 15 Smettere di guardare la Tv non è facile perché il bambino – e non solo! – è istintivamente affascinato dai suoni, dai colori e dalle immagini, che un buon libro – ad esempio – non riuscirà mai a trasmettere. Eppure sono tanti i vantaggi che il libro offre rispetto alla televisione: te lo porti ovunque, lo leggi secondo i tempi legati ai tuoi interessi e alle tue emozioni, ti consente di rileggerlo o saltare alcune parti… Niente da fare! La televisione continua a battere i libri: essa ci fa divertire e poco importa se un buon libro ci aiuta a crescere! C’è di più! È stato dimostrato che, mentre il leggere non riduce significativamente la quantità di gioco, il guardare la Tv riduce sensibilmente il tempo dedicato al gioco. Questo dato va interpretato facendo riferimento sia alla tendenza dei bambini a preferire di “essere divertiti” piuttosto che buttarsi avanti e scoprire le cose da soli, sia alla comodità dei genitori per i quali è sicuramente più comodo accendere un interruttore che “mettere in giro giochi e giochini”. Eppure rubare tempo al gioco significa rischiare di condizionare negativamente lo sviluppo sociale, emotivo, intellettuale del bambino. Né è vero che esistono programmi in grado di stimolare la fantasia, in quanto solo la partecipazione attiva del bambino ad una attività è in grado di incidere significativamente sulla formazione della sua personalità. “Il fine principale del gioco – ha scritto l’antropologo Edward Norbek – è della massima importanza per ogni essere umano. Quando giocano, i bambini sono essenzialmente motivati dal divertirsi. Questo è ciò che dà sommo valore 16 al gioco e ai giochi; perché senza la capacità di divertirsi, i lunghi anni della età matura possono essere tediosi e faticosi da vivere”8. Tra gli effetti più pericolosi del guardare Tv è lo stato di trance, in cui entrano molti bambini, quando seguono passivamente dei programmi, tanto che alcuni pedagogisti parlano di sindrome “del rientro”, in relazione al malumore e all’irritabilità manifestati dai bambini immediatamente dopo che hanno smesso di guardare la Tv. Non si tratta solo di impressioni, in quanto prove sperimentali hanno dimostrato che, come qualsiasi stimolazione esterna, anche guardare la televisione influenza dal punto di vista anatomico e chimico il cervello, quindi il percorso evolutivo del piccolo. In particolare la televisione privilegerebbe l’emisfero destro, deputato ai linguaggi non verbali, a danno dell’emisfero sinistro che controlla invece le facoltà verbali e logiche. Ovviamente non bisogna pensare che il guardare la televisione possa compromettere, in un bambino “normale”, la capacità di imparare a parlare, ma è doveroso riflettere anche su questi rischi, magari legati a circostanze particolari. Ha scritto in proposito Indro Montanelli: “Il rischio è di essere così totalmente bombardati da sopra e da fuori dell’onnivoro apparato dei media da non rendersi conto di essere parlati anziché riuscire a parlare”9. Tra gli effetti negativi della televisione c’è anche l’aver contribuito a compromettere i rapporti familiari, anche se, neanche a questo riguardo, non bisogna generalizzare. Osserva in proposito Umberto Galimberti: “Se un tempo la famiglia era l’ interno in cui si scambiavano quei tratti affettivi d’ore d’amore e più in generale quella libertà espressiva che occorreva contenere fuori all’esterno, oggi, grazie alla tv sempre accesa, la famiglia è il luogo in cui 8 9 M. Winn, La droga televisiva, Armando Editore, 1983. R. Salvi, Se non la smetti ti spengo, Cittadella Editrice, Assisi, 2001, p.8. 17 è di casa il mondo esterno, reale o fittizio che sia […]. E quanto il più lontano si avvicina tanto più il vicino, la realtà di casa, quella familiare, si allontana e impallidisce”10. Qualcuno potrebbe obiettare che spesso la Tv raccoglie attorno a sè la famiglia. Ma è opportuno sottolineare che, davanti alla Tv, la famiglia non è più interazione centripeta come avveniva un tempo attorno alla tavola, ma centrifuga: ciascuno, per usare ancora le parole di Galimberti”, non è più con l’altro, ma solo accanto all’altro” 11. Con questo non si vuole dire che il disagio dei giovani è dovuto alla televisione; esso dipende sicuramente da precise circostanze, in cui la famiglia è venuta a trovarsi. Tra queste, però, la presenza invasiva e possessiva della Tv, ha le proprie responsabilità, perché è venuta ad appropriarsi, spesso interamente, di ciò che restava del tempo occupato: il tempo libero. Si capisce bene come questo abbia impedito o gravemente condizionato la comunicazione e i riti che, per tanto tempo, sono stati salutari per tutti i membri della famiglia. I genitori spesso oggi lavorano entrambi, per cui difficilmente si può avere lo stesso tempo libero, che si aveva in passato. Ma anche i bambini non hanno ormai tanto tempo libero e in questo la Tv ha una grande responsabilità. Scegliendo di guardare la televisione, il bambino occupa infatti il suo tempo in un modo che viola la sua libertà e lo priva di quella ricreazione, che solo il tempo veramente libero può dare. Un tale tempo dovrebbe essere chiamato più opportunamente tempo occupato o al massimo semi-occupato. Riappropriarsi del tempo libero non è facile, perché il televisore è l’unico “giocattolo meccanico” che non genera assuefazione e noia nei bambini. 10 11 U. Galimberti, La solitudine di internet in la Repubblica, 21 luglio 1995. Cf. Ibidem. 18 Si tratta, come ha ben spiegato Gresham, di una vera e propria “legge”: i giochi tradizionali, consentendo al bambino di inventare molte situazioni, non stancano, mentre quelli meccanici, pur essendo più attraenti, stancano abbastanza presto perché sono “passivi”12. Difficilmente però accade che il piccolo torni a trovare interessante il gioco tradizionale; egli si aspetta, piuttosto, giochi meccanici sempre nuovi. Ma questo non è “possibile”, a meno che non si consideri la televisione quale unico gioco meccanico e passivo in grado di procurare nel bambino un “piacere senza assuefazione”. Complice dello strapotere del televisore è il “telecomando”, che con un semplice gesto consente di cambiare continuamente canale. Ecco come lo scrittore Gesualdo Bufalino definisce questo piccolo marchingegno: “Che altro può definirsi […] se non un miracolo, il raggio che si sprigiona da te (cioè il telecomando) ad ogni minimo impulso e rinnova sul video le immagini, le sovrappone, le mescola? Infernale e celestiale potere, in virtù del quale tu susciti ora il cosmo ora il caos, e ti incoroni indifferentemente diavolo e dio”13 . Il problema è che questo piacere non è senza effetti. Tra questi, oltre a ciò che abbiamo detto, assume grande rilevanza il rischio di alterazione della percezione del mondo. La costante visione di una realtà simulata sembra, infatti, incidere significativamente sulla percezione che lo spettatore ha o avrà della realtà vera. La confusione dei confini tra reale ed irreale fa sì che il mondo vero assuma, specie agli occhi dei piccoli, sfumature di fantastico. E dal momento che tale mondo non sarà mai conforme a questo genere di aspettative, c’è il rischio che il bambino troverà noiosa e monotona la sua vita. 12 13 M. Winn, La droga televisiva, Armando Editore, 1983. G. Bufalino, Saldi d’autunno, Bompiani, Milano, 1990, p. 61. 19 Le conseguenze di questa confusione le vediamo nei nostri giornali quotidiani e nei notiziari: piccoli che muoiono nel tentativo di volare come i propri eroi; bambini che feriscono e sono feriti nel tentativo di imitare i personaggi del Wrestling; ragazzi che guardano passivamente scene di violenza come se si trattasse di programmi televisivi… Altro discorso va fatto per l’influenza che il televisore esercita sui telespettatori in relazione ai “contenuti” proposti dai vari palinsesti. È chiaro che la situazione si complica nel caso in cui gli utenti siano bambini. A questo punto il problema sembrerebbe essere solo quello di selezionare i programmi, impedendo la visione di quelli che per immagini e/o situazioni sono violenti e, al contrario, stimolando la visione di quelli edificanti. Si innesta così un meccanismo secondo cui si crede – giustamente o a torto – che i bambini crescono moralmente ed eticamente più sani, se evitano determinati programmi. Ovviamente nessuno crederà che un bambino diventerà un violento o un assassino perché i suoi eroi televisivi sono violenti ed assassini, come non diventerà santo, se avrà guardato tante “cose buone”. Eppure sembra improbabile che l’aumento della delinquenza minorile o comunque di comportamenti violenti sia frutto del caso o della coincidenza; più verosimilmente, esso è effetto di “qualcosa”. E se questo “qualcosa” fosse rappresentato pure dalla Tv, anche a prescindere dai contenuti? D’altra parte se la Tv propone tanti programmi violenti, lo fa per rispondere alla esigenza del maggior numero di persone, in quanto dati statistici dimostrano che un canale televisivo ha più probabilità di essere seguito, se propone programmi “violenti”. Interessante è allora capire perché mai la gente scelga di guardare violenza in Tv, malgrado le lamentele dei genitori e dei pedagoghi. Evidentemente l’adulto, come il bambino, utilizza la 20 televisione come occasione per uscire dal mondo dell’attività e per rilassarsi. E non è un problema neanche l’emotività, in quanto più si guardano programmi forti in Tv più si diventa “insensibili”. La scelta di programmi frenetici risponderebbe proprio al piacere inconscio provato nell’assistere ad un’esplosione di attività, personalmente mentre ci si trova in uno stato di perfetto riposo. Lo spettatore può così avere la sensazione di agire e di parteciparvi, ma contemporaneamente di gustare la sicurezza della passività. Il guaio, a ben riflettere, sta proprio in questo. “Una trasmissione televisiva edificante ed una degradante, per diversi che siano gli scopi a cui tendono, hanno in comune il fatto che noi non vi prendiamo parte, ma ne consumiamo soltanto le immagini”14. Questa condizione, anche se non sembra, vale anche per internet “dove il consumo in comune del mezzo non equivale ad una reale esperienza in comune”15. Infine ci rimane di esaminare l’influenza televisiva dal punto di vista del tempo di visione. Dopo gli americani, anche da noi si è diffusa l’abitudine di accendere in casa il televisore, non solo per seguire determinati programmi, ma anche per avere la compagnia del rumore. La nostra attenzione sarà ovviamente focalizzata, ancora una volta, sulla piccola “Tv generation” ossia su quei divoratori di programmi televisivi, che sono i bambini. Nella giornata tipo di un bambino, il televisore fa in media registrare queste presenze: la mamma accende il televisore alle 07:00 in modo da indurre il figlio ad alzarsi; intorno alle 07:15 il bambino, seduto per la colazione, è già 14 15 U. Galimberti, La solitudine di internet in la Repubblica, 21 luglio 1995. Cf. ibidem. 21 pronto per guardare i primi cartoni; al rientro della scuola materna o primaria, il bambino sintonizza immediatamente il televisore sui cartoni. Si pranza con la televisione. Se è in età pre-scolare, il bambino continua la visione finché non si addormenta sul divano; nel caso in cui frequenta la scuola primaria, alle ore 15:00 circa, spegne temporaneamente il televisore, per poter svolgere i compiti, ma non è escluso che egli pretenda di farli con il televisore acceso, al massimo senza volume. Dalle 16:00 bisogna necessariamente tornare a seguire il piccolo schermo, perché inizia la programmazione per l’infanzia. Da qui all’ora di cena la televisione viene spenta per non più di un’oretta, dedicata a completare i compiti o, più frequentemente, ai videogiochi o al computer. Si cena con la televisione. Dopo il bambino seguirà un programma fino a quando i genitori non lo costringeranno ad andare a dormire. Si consideri che è nato addirittura un canale per i piccoli da zero a ventiquattro mesi. Ne ha dato recentemente notizia La Repubblica (13 maggio 2006): Arriva la Tv per bebè: farà da baby sitter. Trasmetterà tutto il giorno senza spot. Al di là di questo caso paradossale, non si può certo pensare che l’elevata frequentazione del piccolo schermo sia priva di conseguenze16. La problematica degli effetti desiderati e non, cui è legata la quantità considerevole di Tv consumata costituisce una sezione importante dell’odierno dibattito sui media: ad essa, pertanto, dedichiamo un intero paragrafo. 16 G. Paba, La città non è più un grembo, in “LiBer” n.22, gennaio-marzo 1994, p.12. 22 1.3 La parola all’Accusa e alla Difesa Far riferimento a tutte quanti le voci, che hanno concorso ad alimentare il dibattito sul potere dei media in generale e della Tv in particolare, sarebbe quasi impossibile. Ci limitiamo pertanto a seguirne i momenti più significativi attraverso i contributi di Karl R. Popper e di Mario Morcellini17. Il filosofo americano Popper ha una posizione che potremmo definire antimediatica, sia per il pericolo che le comunicazioni di massa rappresentano per la democrazia in termini di squilibri di potere sia per il carattere diseducativo, che esse hanno per i bambini18 . La televisione cambia radicalmente l’ambiente e lo cambia in maniera brutale e negativa con il risultato di rovinare i bambini, che da essa traggono i modelli da imitare. Per Popper, l’educazione è il mezzo principale, che consente di mantenere la violenza sottocontrollo; educare vuol dire prima di tutto educare 17 Una sintesi di questi contributi si trova in Karl R. Popper, Cattiva maestra televisione, a cura di Giancarlo Borsetti, Marsilio, Venezia, 2002. 18 Cf. K. Popper, Cattiva maestra televisione, cit. 23 alla non violenza. La televisione propugna tuttavia paradossali visioni del mondo che, per un motivo o per un altro, sono di disturbo a tale educazione. Certamente non può essere privo di conseguenze il fatto che, fin dalla più tenera età si guarderanno centinaia di scene di violenza. Gli studiosi dimostrano che il confine tra la violenza di fantasia – protagonista anche di molti videogiochi – e la violenza reale, che costituisce una linea molto chiara per la maggior parte degli adulti, può diventare molto confusa per bambini vulnerabili. Non c’è da meravigliarsi dunque se tanti bambini reagiscano a ciò che vedono comportandosi essi stessi in modo più violento, mostrandosi insensibili alla violenza, rappresentando il mondo come un posto meraviglioso e pericoloso. I produttori di Tv fanno business, cercano l’audience, vogliono sempre più pubblicità ed il loro fine è l’intrattenimento delle masse, ma di fatto creano un grande e dannoso asilo d’infanzia televisivo. La Tv si trova a fare, senza saperlo, da maestra e, per questo, è una “cattiva maestra”19. L’entità del danno dipende ovviamente dai tempi di esposizione e dai contenuti, senza trascurare il fatto che i bambini guardano la Tv per ore e ore già prima di imparare a leggere e a scrivere. La prevalenza delle immagini sulle altre forme di conoscenza “preoccupa” tra gli altri anche Sartori, che parla di rischio di “torpidità mentale”20, e il linguista Raffaele Simone, che accusa i media di un “furto di tempo” a danno del leggere e dello scrivere21. 19 Cf. ibidem. G. Sartori, Homo videns. Televisione e post pensiero, La Terza, Roma-Bari, 1997. 21 R. Simone, La terza fase. Forme di sapere che stiamo perdendo, La Terza, Roma-Bari, 2000. 20 24 Dello stesso avviso è John Condry, per il quale senz’altro “la televisione è una ladra di tempo ed in più è anche bugiarda”22. I bambini la guardano ininterrottamente per ore, non fanno molte cose che, sul lungo tempo, possono essere assai più importanti dal punto di vista del loro sviluppo. “La Tv vive nel presente – afferma ancora John Condry – non ha rispetto per il passato e ha scarso interesse per il futuro”23. Le convenzioni televisive distorcono gravemente le situazioni della vita reale. La televisione non ha nessun motivo di occuparsi della realtà; infatti se ciò che attrae l’attenzione è “distorcere” la realtà, vi sarà distorsione. Così nella maggior parte dei casi lo schermo televisivo offre un mondo di ricchezza e di sontuosità, in cui nessuno è intento a lavorare. Non esiste insomma nessun legame fra il lavoro e la vita e i bambini, che preferiscono sempre la soluzione più rapida ai problemi, cercano la bella vita, cosi come la propina la televisione: possedere tante cose. Il guaio è che non sanno come procurarsele, in quanto la Tv non mostra mai gente che lavora. Questo appare come una cosa da evitare tassativamente, rende infatti lo schermo noioso e ciò è inammissibile. In televisione ogni momento deve essere emozionante e gli avvenimenti devono attrarre l’attenzione: per questo i cartoni animati sono ben “marcati” tali cioè che ogni azione catturi l’attenzione dei fruitori. Anche i messaggi trasmessi in televisione vanificano la realtà. Le campagne di pubblico interesse non mancano e sono sicuramente efficaci, ma è un dato di fatto che esse sono immerse in un contesto, in cui il ricorso alla 22 23 Cfr. K. Popper, Cattiva maestra televisione, cit. Cf. ibidem. 25 droga, all’ alcool, alla violenza è legittimato, perché fa comunque parte della cultura generale. Spesso in Tv vengono diffusi valori stigmatizzati: essere capaci, belli, furbi, sexy e perfetti sono valori citati negli spot pubblicitari più frequentemente che essere coraggiosi e saper perdonare. Valori terminali, come l’uguaglianza o la pace, la costruzione di un mondo migliore, non vengono quasi mai citati; in quasi il 60-65% di tutti gli annunci pubblicitari, l’unico valore terminale sottolineato è “la felicità”. La televisione destinata ai bambini presenta inoltre personaggi maschili e femminili in ruoli stereotipati: è stato dimostrato che chi guarda molto la Tv mostra, nei propri atteggiamenti, in fatto di ruoli sessuali, l’influsso di ciò che ha visto in Tv. Molti pre-adolescenti e adolescenti guardano la televisione e vi scorgono una fonte di informazione sul comportamento sessuale, informazione non facilmente accessibile altrimenti, visto che molti genitori hanno difficoltà a parlare di sesso con i figli. Eppure il comportamento sessuale non si può imparare dalla televisione e questo per due motivi: primo, perché le rappresentazioni sono generalmente falsi e distorte; secondo, perché nulla ci viene detto su quel che potremmo preferire nella gamma di possibilità che esistono, e soprattutto non vengono spiegati gli atteggiamenti e i sentimenti di amore ed affetto. I valori della Tv sono riferiti ai personaggi: i buoni e i cattivi. I buoni non possono fare nulla di male, i cattivi non possono fare nulla di buono. Questa è la concezione morale di un bambino di cinque anni, anche se spesso molti adulti credono a quello che la Tv vuol fare credere loro. Spesso in televisione i criminali vengono acciuffati dalla polizia, ma spesso si sottraggono al castigo; la polizia non commette mai errori e sa sempre chi è il colpevole, prima di catturarlo. È chiaro che tali convinzioni, in fatto di 26 polizia e giustizia trasmessi dalla Tv, alterano i valori comuni della società, per cui una cosa sarà giusta o sbagliata, almeno solo in televisione, in base a chi la fa e non alla cosa stessa. Ma l’aspetto probabilmente più interessante del pensiero di K. Popper è la convinzione che “una democrazia non può esistere se non si mette sotto controllo la televisione, o più precisamente non può esistere a lungo fino a quando il potere della televisione non sarà pienamente scoperto”24. Nessuno oggi può negare il fatto che la televisione è diventata un potere politico colossale, troppo grande per la democrazia. Da qui la necessità che i mass media devono avere un codice deontologico, che garantisca i principi democratici di libertà e di non violenza. Nei primi anni della sua storia, la Tv offriva buoni film ed altri programmi discreti, perché non c’era competizione e la produzione era più selettiva. Invece oggi le cose si sono messe male perché la selezione dei programmi è funzionale solo a garantire audience e ciò a prescindere da qualsiasi indicatore di qualità. Al fine di non essere meramente “distruttivo”, Popper propone un rimedio. Egli ritiene che chiunque sia collegato alla produzione televisiva dovrebbe avere una patente per fare la Tv, una licenza, un brevetto che in qualunque momento, può essergli ritirata, qualora agisca in contrasto con certi principi, da una sorta di Corte25. La “patente televisiva”, dovrebbe essere concessa, solo dopo un corso di addestramento, con valutazione di esperti e un esame finale. Il candidato dovrebbe dimostrare, non solo di avere appreso le materie, che insegnano meccanismi mentali in grado di distinguere quello che è finzione da quello che 24 25 K. Popper, Cattiva maestra televisione, cit., p. 80. Cf. Ibidem. 27 è realtà, ma anche di essere consapevole della sua responsabilità educativa nei confronti dell’audience, promettendo anche di lavorare con responsabilità. Ogni lavoratore inoltre dovrebbe decidere se partecipare o meno ad una produzione, in base ai propri principi. I corsi di addestramento sull’insegnamento televisivo dovrebbero essere basati sempre sull’importanza dell’educazione, e in particolare dell’educazione alla non violenza. L’istituzione della patente non dovrebbe essere concessa soltanto ai produttori di televisione, ma a tutti i lavoratori, ai tecnici e agli operatori, che sono coinvolti nella produzione televisiva. In posizione diametralmente opposta a quella di Popper è il libro di Mario Morcellini, significativamente intitolato La Tv fa male ai bambini 26. La Tv, egli sostiene, non è affatto responsabile di distruggere né i bambini né la società e l’homo videns non è affatto una degenerazione dell’homo sapiens. Il beneficio più grande della televisione sarebbe, paradossalmente, per l’autore, il fatto che i bambini abbiano cominciato ad abbandonarla, scegliendo i computer ed altri strumenti multimediali. La capacità di rifiutare la televisione diventerebbe, dunque, la prova lampante che, anche guardando Tv, i ragazzi mantengono una certa autonomia di giudizio. Dall’altra parte, come ha acutamente notato Roberto Maragliano, la definizione di cattiva maestra televisione rimanda ad una valutazione positiva della formazione tradizionale, affidata a scuola e famiglia, che sarebbero così delle buone maestre27. Eppure nessuno ignora quanto la formazione tradizionale sia in crisi. Tale crisi sarebbe, per Morcellini, solo un aspetto della crisi generale, che 26 M. Morcellini, La Tv fa bene ai bambini, Edizione Meltemi, Roma, 1999. R. Maragliano, La nuova frontiera del servizio pubblico: l’educazione e la multimedialità, Seminario organizzato dalla Rai e dell’istituto italiano degli studi filosofici, 13 aprile, 1999. 27 28 investe la nostra società a seguito del progressivo crollo della socializzazione, della crescente tendenza al soggettivismo della debolezza del sistema sociale. La necessità di nuove forme di comunicazione e la fortuna dei mass-media e delle nuove tecnologie sarebbero da considerare, pertanto, come conseguenza naturale di questa crisi epocale. Ne consegue la necessità di inserire la problematica bambini-Tv in un contesto molto più ampio, relativo alle difficoltà della nostra società di interrogarsi sui valori, sui caratteri e sui fruitori stessi dell’educazione28. La televisione si è affermata nel nostro paese in un momento di grave crisi culturale: essa è riuscita a presentarsi come mezzo di socializzazione alternativo, capace da una parte di rispondere alle esigenze delle persone, dall’altra di sollecitare nuove curiosità, che hanno spinto i fruitori ad interagire con i nuovi mezzi multimediali. Tale apertura, sottolinea Morcellini, non può essere interpretata come un limite; essa è piuttosto una risorsa della conoscenza e della formazione. Dalla televisione i ragazzi ricevono informazioni riguardanti tutte le età: in questo modo essi sono spinti a superare quel rischio di “isolamento”, che c’era purtroppo prima dell’evento dei media. Contributi recenti hanno altresì sottolineato che va superata l’idea di utenti, che guardano la televisione in modo sprovveduto; anzi i bambini e i ragazzi sembrano disporre in tal senso di competenze persino superiori a quelle dei familiari adulti29. Generalmente per la pericolosità dei minori della televisione si chiama in causa la facilità con cui essa fa ricorso alla violenza. Morcellini critica in 28 29 M. Morcellini, La Tv fa bene ai bambini, Edizione Meltemi, Roma, 1999, pp.16-20. P. Murialdi, “Problemi di informazioni”, il Mulino, Bologna, 1998, n.2. 29 proposito la citazione, riportata nel libro di Popper, in cui si dice che la visione di scene violente rende il comportamento aggressivo30. L’autore precisa che nel testo dell’American Psychological Association – da cui Popper trae la citazione – si afferma che i reati di violenze sono generalmente commessi da persone con basso quoziente di intelligenza e piuttosto inclini a guardare programmi violenti in Tv31. Si tratta, come si vede, di un ragionamento completamente diverso, che deve indurre ad essere cauti nel nutrire i soliti pregiudizi anti-televisivi. D’altra parte se tra i comportamenti rappresentati dai media e i comportamenti assunti dai fruitori ci fosse un rapporto di causa-effetto, “girerebbero per le strade molti bambini bruciacchiati o con la testa fasciata per le martellate prese dai loro fratellini, dopo la consueta overdose di cartoon”32. Sulla base di queste considerazioni, Morcellini rifiuta i facili allarmismi, con cui si tende a tutelare i bambini e sottolinea piuttosto i rischi che la televisione faccia male agli adulti, veri teledipendenti. In questo caso infatti la televisione riempie il vuoto di interessi e di relazioni o, per i soggetti più critici costituisce una sintesi di una vita vera. È stato dimostrato che al salire dell’età sale il livello di dipendenza emotivo-cognitiva dallo schermo: aumenta il tempo di visione e la presenza del video diventa centrale anche nei momenti più importanti della vita familiare. Contrariamente a quanto si pensa, sono dunque i genitori ad inculcare nei figli lo stile di consumo televisivo. C’è di più! 30 31 32 K. Popper, Cattiva maestra televisione, cit. pp.47-51. M. Morcellini, La Tv fa bene ai bambini, Edizione Meltemi, Roma, 1999, pp.36-39. Cf. Ibidem. p.40. 30 Mentre gli adulti sono dipendenti, bambini e ragazzi manifestano una atteggiamento di distacco e di disimpegno nei confronti della televisione, a cui affidano semplicemente alcuni momenti della giornata. Tutto ciò porta Morcellini a concludere che i ragazzi si sanno difendere dalla Tv: in primo luogo perché non manifestano eccessiva dipendenza rispetto al mezzo; in secondo luogo, perché sono consumatori critici e selettivi, che non si lasciano facilmente trarre in inganno dalle lusinghe dei contenuti del linguaggio televisivo; in terzo luogo, perché sono aperti agli altri mezzi multimediali. A supporto della sua tesi secondo cui bambini e ragazzi guardano meno Tv dagli adulti e la guardano meglio, Morcellini fa riferimento ad una serie di dati tratti dallo Iard o dall’Eurisko33. Ma l’argomento che più di tutti dovrebbe indurre a superare il pregiudizio, secondo cui la Tv fa male a bambini e ragazzi, è l’apertura che essi hanno a varie forme di consumo culturale: la lettura, il cinema, il teatro, la musica non solo risultano affievoliti dall’elevato livello di consumo televisivo, sono stabilmente in crescita: ad esempio, il numero degli adolescenti che leggono almeno un libro all’anno è passato dal 4,6% del 1988 al 4,8% del 199534. Inutile dire che la sperimentazione, in tutti i settori, delle tecnologie di grande consumo ha per protagonisti i giovanissimi. “Il computer e le tecnologie virtuali – osserva ancora Morcellini – coinvolgono adolescenti e bambini immergendoli in una dimensione globale… valorizzando l’uso dei mezzi sensoriali solitamente trascurati nella didattica tradizionale”35. 33 Cf. Ibidem. p.44-53. Eurisco – Pianeta Teen ager, 1996, campione di 1200 adolescenti dai 14 ai 19 anni. 35 M. Morcellini, La Tv fa bene ai bambini, Edizione Meltemi, Roma, 1999, p. 102. 34 31 La fruizione televisiva e mediale dei bambini costituisce, come si vede, una questione estremamente delicata, su cui ognuno di noi è chiamato a riflettere. I contributi di Popper e di Morcellini risultano, in tal senso, un prezioso strumento per evitare facili allarmismi, ma altrettanto facili entusiasmi nei confronti di mezzi che, nel bene e nel male, fanno parte della nostra vita. 32 1.4 Il contributo del Santo Padre Giovanni Paolo II Sulla funzione educativa o diseducativa della televisione, Popper era in assoluta pertinenza con Karol Wojtyla: “Formare le abitudini dei figli, a volte può semplicemente voler dire spegnere il televisore perché ci sono cose migliori da fare, o perché la considerazione verso gli altri membri della famiglia lo richiede o perché la visione indiscriminata della televisione può essere dannosa. I genitori che si servono abitualmente ed a lungo della televisione come una specie di bambinaia elettronica, abdicano al loro ruolo di primari educatori dei propri figli”36. Tale dipendenza dalla televisione può privare i membri della famiglia dell’opportunità di integrarsi l’uno con l’altro attraverso la conversazione, le attività e la preghiera. Giovanni Paolo II, con il discorso del 24 gennaio del 1994, si rifaceva al tema centrale della responsabilità educativa degli adulti verso i bambini: da qui il riferimento alla televisione, responsabile di aver rivoluzionato le 36 K. Popper, Cattiva maestra televisione, cit p. 36. 33 comunicazioni, influenzando profondamente la vita familiare, fino a modellarne atteggiamenti e opinioni. La televisione può arricchire la vita familiare, unendo i componenti della famiglia, promuovendo la loro solidarietà verso altre famiglie o verso la più vasta comunità umana; può accrescere la fede attraverso la Parola di Dio e nutrire la vita morale e spirituale di chi la segue. Ma la televisione può anche impoverire la vita familiare, diffondendo valori e modelli di comportamento falsati, mandando in onda immagini di brutale violenza e scene indecenti di sesso, fino a proiettare gli spettatori allo scetticismo religioso. Il Santo Padre, nella Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali del 1994, ha trattato il tema “Televisione e famiglia: criteri per sane abitudini nel vedere”. In questo messaggio il Papa ha sottolineato la responsabilità delle pubbliche autorità e delle singole famiglie, che adempiono ai loro doveri pastorali all’interno della Chiesa. I genitori dovrebbero attivamente contribuire a formare, nei propri figli, abitudini, nel vedere la Tv, che portino ad un sano sviluppo umano, morale e religioso. Dovrebbero anche discutere con i propri figli sui programmi televisivi, mettendoli in grado di regolare la quantità e la qualità dei programmi, che guardano, e di percepire e giudicare i valori etici, che stanno alla base di determinati programmi. Le famiglie dovrebbero esprimere le loro preoccupazioni ai produttori e ai responsabili dei mezzi di comunicazione sociale e questi, a loro volta, dovrebbero realizzare il nobile mandato di sostenere e rafforzare la prima e più vitale “cellula” della società, la famiglia! 34 Anche nelle Lettere Pastorali del Cardinale Carlo Maria Martini37, viene sottolineata l’importanza della figura del “mediatore”, riguardante non solo chi fa informazione, ma ciascun professionista della comunicazione sociale. L’Arcivescovo di Milano specifica che mediatore è colui che prende le ragioni dell’ uno e dell’altro e sa accogliere il senso del dire dell’uno e dell’altro, assumendosi i rischi di ogni situazione. I responsabili delle comunicazioni di massa devono sapere di essere educatori di “persone”, che si qualificano come tali anche e soprattutto per la parte spirituale. Il filosofo Emanuel Mounier afferma che l’uomo è come un albero, che ha le radici nella terra, ma che svetta nel cielo; da qui l’importanza che egli sia sostenuto ad “elevarsi” verso l’alto ossia, per dirla col Papa Benedetto XVI, verso un campo di bene, di promozione umana, civile e sociale. Ne consegue una grande responsabilità dei media, che non devono mettere gli uomini l’uno contro l’altro, per fare semplicemente audience e affari. Se non si agisce, la situazione tenderà a peggiorare perché, come diceva Popper, la legge dell’audience è simile alla “aggiunta di spezie”, che servono a far mangiare cibi senza sapore che altrimenti nessuno vorrebbe38. Questo il senso dell’invito del Papa a ridare equilibrio alla comunicazione mediale, in modo che produca una fruttuosa cooperazione tra i popoli, qualunque sia la loro origine, la loro pelle e la loro fede! Della capacità dei media di cambiare la psicologia della gente, Wojtyla era profondamente convinto. “Nell’affrontare il problema capitale della trasformazione psicologica dello spettatore televisivo – scrive il 37 38 Cf. Ibidem. Cf. Ibidem. 35 mediologo canadese Derrick de Kerckhove – Giovanni Paolo II dimostra di averlo recepito meglio della maggior parte degli educatori. Egli riconosce che la televisione sta di fatto riplasmando la nostra sensibilità, è cosciente del fatto che essa tende a togliere a chi la guarda ogni attitudine critica razionale”39. Eppure Giovanni Paolo II vede nella televisione un potenziale mezzo di comunicazione, affidandole, almeno fino all’inizio del 1994, il compito altissimo di farsi mezzo della evangelizzazione cristiana. L’incontro tra la Tv e il cristianesimo va considerato un fatto naturale perché entrambi, come spiega anche McLuhan, sono a vocazione globale40. In sintonia con il pensiero di Wojtyla, sono anche le lettere pastorali del cardinale Carlo Maria Martini che, nel 1991, dedica al “fratello televisore” un testo, che avrà grandissima eco. Dal televisore, paragonato al “lembo del mantello” di Gesù, vengono indicate le virtù anche se non sono taciuti i vizi41. Dal testo, concepito come un dialogo con la televisione, emergono alcuni concetti chiave, che è bene sottolineare. È opportuno avere con la Tv un rapporto giusto: non è possibile ignorarla, ma non bisogna neppure assuefarsi ad essa. In secondo luogo, occorre essere consapevoli del fatto che la Tv cambia il nostro rapporto con la realtà sotto vari punti di vista. La Tv è una finestra aperta sul mondo: grazie ad essa infatti il mondo è diventato un villaggio globale e la possibilità di informazione ne è risultata enormemente arricchita. Il cardinale, tuttavia, mette in guardia sul fatto che queste osservazioni possono essere ribaltate in negativo, poiché in realtà 39 D. De Kerckove, Il satellite e la perestorika, “Mass-Media” n.1, Editore Capone, 1990. E. Baragli, Il caso McLuhan, Laterza, Roma-Bari, 1980. 41 C. M. Martini, Il lembo del mantello. Per un incontro tra la Chiesa e mass-media, Edizione. Centro Ambrosiano, Milano, 1991. 40 36 l’uomo tende sempre più ad essere solo, a rinchiudersi nel suo privato. Quanto all’ informazione, il cardinale sottolinea che essa è ricca, ma non obiettiva; è frutto di scelte che obbediscono ad esigenze di audience e di spettacolarità. Tuttavia, mentre la realtà diventa spettacolo, lo spettacolo a sua volta assume consistenza di realtà. Si chiede allora il cardinale: è possibile difenderci dai condizionamenti della Tv? La possibilità di scegliere tra i vari programmi ci garantisce una certa libertà, ma lo zapping produce una visione superficiale della realtà. Inevitabile il confronto con la carta stampata, che garantisce riflessione e approccio graduale e mediato alla realtà. Lo scopo della lettera pastorale è edificante, a partire dal titolo. Esso fa riferimento alle pagine del Vangelo, in cui si racconta di una donna malata, che, spinta dalla grande fede è convinta che, se riuscirà ad avvicinare Gesù e a toccare anche solo il lembo, l’orlo del suo mantello sarà guarita42. Gesù si accorge di lei e la guarisce. Il lembo del mantello è diventato il canale, attraverso cui si stabilisce la comunicazione tra i due. Simbolicamente, con questo titolo, il cardinale si riferisce ai mezzi di comunicazione di massa: i canali, che portano a noi l’informazione, ci consentono di stabilire un contatto con il mondo. Da questo discende la grande responsabilità morale che verso le famiglie hanno quanti lavorano per la televisione. I programmi si trovano spesso a trattare argomenti seri, come la debolezza umana, il peccato, il senso della vita. La Chiesa, come indicato da molteplici documenti, esige che essi siano trattati in maniera responsabile, senza sensazionalismi e con uno scrupoloso rispetto della verità. 42 Marco, 5,25-34; Luca 8, 42-48. 37 “La verità vi farà liberi” ha detto Gesù e la verità non può avere che il suo fondamento in Dio43. Riconoscendo il rischio che i canali televisivi siano solamente un terreno privato per interessi commerciali, politici o comunque di propaganda, il Papa insiste sulla responsabilità che le autorità pubbliche hanno nei confronti della televisione e sulla necessità che “sia rispettato il diritto di ciascuno, delle famiglie e della società alla privacy, alla pubblica decenza e alla protezione dei valori fondamentali della vita”44. Sulla base di queste considerazioni, l’auspicio è che quanti sono impegnati a fare televisione, presentando, una visione della vita ad un ampio pubblico, che comprende bambini e adolescenti, si avvalgano del ministero pastorale della Chiesa, che può aiutarli ad apprezzare quei principi etici e religiosi, che conferiscono pieno significato alla vita umana e familiare. 43 G.v. 8, 32. Pontificio consiglio delle Comunicazioni Sociali – Pornografia e violenza nei mezzi di comunicazioni: una risposta pastorale, n. 21. 44 38 CAPITOLO SECONDO La Tv per bambini e per ragazzi 39 2.1 L’organizzazione dell’offerta e la fruizione Il percorso, che seguiremo in questo capitolo, riguarda i programmi per bambini e ragazzi. La cosiddetta Tv dei ragazzi è stata storicamente molto importante per la sua finalità pedagogica. Negli ultimi decenni questo aspetto della televisione è stato esplicitamente rinnegato, ma l’analisi di questo genere specifico della televisione resta di fondamentale importanza, non solo per capire, attraverso le trasformazioni della Tv, le trasformazioni dei ragazzi, ma anche per cogliere la consistenza e la qualità concreta dell’offerta, le dinamiche specifiche della domanda. I programmi televisivi per l’infanzia saranno analizzati in base a diversi indicatori: genere, format, temi, strutture testuali, modelli linguistici. È doveroso sottolineare che, nell’ultimo ventennio della storia televisiva italiana, l’ossessiva ricerca del profitto ha portato ad un impoverimento di quantità e qualità anche dalle proposte rivolte specificamente ai bambini, per cui esse vengono strutturate allo stesso modo della programmazione degli adulti, secondo la logica dominante del profitto. 40 Il vero nodo del rapporto Tv-bambini diventa allora la qualità dei programmi ed è opinione diffusa in proposito che la qualità dell’offerta televisiva delle reti nazionali è pessima. I programmi per bambini risultano ripetitivi o inadeguati al complessivo cambiamento delle abitudini delle famiglie o addirittura vengono proposti in orari non corrispondenti agli orari di fruizione. Sono infatti tanti genitori che lamentano il divario che c’è tra gli orari in cui vengono offerti programmi per l’infanzia e gli orari in cui realmente i figli guardano Tv45. Di conseguenza i bambini non hanno modo di vedere neanche quella ristretta programmazione interessante rivolta loro e si trovano a guardare giornalmente la Tv dei grandi. I programmi di prime time più seguiti dai bambini risultano: il varietàquiz, l’informazione, i telefilm. Ecco in dettaglio le percentuali:46 45 46 Pier Cesare Rivoltella, Media Educational,Carocci,Roma, p.55. www.mediamentre.rai.it 41 Grafico 1 20% 54% 26% Varietà quiz Informazioni Telefilm Il dato, secondo cui i bambini guardano programmi di tutti i tipi in tutte le fasce orarie, come in un circolo vizioso, spinge le emittenti a investire sempre meno nella Tv per l’infanzia. La questione è dunque complessa e richiede una riflessione, per così dire, incrociata sulle dinamiche di offerta e di fruizione. Per capire ciò che i bambini amano guardare in televisione, basta riflettere sui generi offerti dalle emittenti nelle fasce in cui l’ascolto è più alto. Da una ricerca relativa alla programmazione televisiva, nel mese di novembre 2003, risulta che nella fascia compresa tra le ore 13:00 e le ore 14:00 Raidue offre in percentuale le seguenti trasmissioni: 42 Grafico 2 1% 12% 3% Informazione Attualità 50% Varietà Fiction Sport 34% La programmazione di Raitre relativamente agli stessi orari risulta essere, invece, la seguente: Grafico 3 40% 43% 17% Attualita Varietà Fiction 43 Riportiamo infine le trasmissioni che Italiauno, sempre dalle 13:00 alle 14:00, destina esplicitamente ai bambini: Grafico4 6% 6% 6% 53% 29% Sport Cartoni Varietà Fiction Musicale Dalle 20:00 alle 21:00 sia Rai che Mediaset offrono cartoni animati: ecco in percentuale lo spazio ad essi riservato rispettivamente dai palinsesti di Raidue e Italiauno: Grafico 5 5% 37% 50% 8% Varietà Informazioni Sport Cartoni 44 Grafico 6 19% 2% 15% 3% 61% Fiction Varietà Sport Quiz Cartoni Verificheremo a questo punto quale spazio le tre emittenti riservano nell’arco di una giornata alle trasmissioni per l’infanzia: Grafico 7 28% Raidue Raitre Italiauno 53% 19% 45 Raitre dedica dunque ai bambini solo il 19% della sua programmazione, ma è doveroso sottolineare che, a dispetto della quantità, l’offerta di questa emittente – la Melevisione, Screensaver – è variegata, nuova, autentica. Sulla base di queste considerazioni, possiamo concludere che la televisione, basata sulla logica del profitto, considera gli utenti in modo indifferenziato in quasi tutte le ore del giorno e in più utilizza gli indici di ascolto per organizzare i palinsesti. Ma questo modo di gestire l’offerta può valere anche per la Tv destinata all’infanzia? E ancora: fino a che punto si può affermare che i bambini più guardano più apprezzano? In realtà sarebbe ora di cominciare a pensare che è l’offerta e non certo la domanda a determinare la scelta dei bambini: questi, in altri termini, guardano ciò che viene loro proposto e probabilmente lo guardano perché non c’è altra scelta. Fiction e varietà risultano generi prediletti perché dai dati Auditel risulta che sono i più seguiti, ma questo non può equivalere a dire che sono quelli che maggiormente rispondono ai gusti dei bambini. Cerchiamo allora di capire meglio qual è, nell’ambito del rapporto offerta/fruizione, l’indice di gradimento dei fanciulli. In primo luogo va sottolineato che i più piccoli prediligono i cartoni animati: non a caso, nella programmazione del mattino, quando solo i più piccoli sono a casa, c’è, in tutte le emittenti, un’alta percentuale di cartoni animati. 46 Per il resto va detto che tra i programmi, piacciono maggiormente quelli formativi, quelli cioè da cui è possibile trarre conoscenze sia teoriche che pratiche, come ad esempio Art Attack. Ma generalmente – e ritorniamo alla questione precedente – tale fruizione non è consentita, in quanto offerta in orari non compatibili ai ritmi di vita e agli impegni dei bambini di oggi. Tra i programmi di maggiore gradimento offerti nelle fasce orarie, in cui i bambini sono maggiormente in ascolto, c’è Zelig, una trasmissione ideata per una visione più collettiva che settoriale. Altro dato interessante da sottolineare è che neanche l’uso dei “bollini”, volto a sollecitare la visione di un programma insieme ad un adulto, rispecchia l’effettiva realtà del consumo televisivo; esso serve piuttosto alle emittenti, per salvare la faccia. 47 2.2 Strutture e modelli linguistici della Tv per ragazzi La Tv per bambini si caratterizza, più di qualsiasi altro genere televisivo, come “discorso costruito”. Alla base della costruzione delle strutture testuali e linguistiche di un programma per l’infanzia sta la convinzione degli adulti che ai bambini si può parlare solo di determinate cose e in un determinato modo. Prima di passare ad analizzare le caratteristiche specifiche della lingua dei testi utilizzati nei programmi televisivi specifici per l’infanzia, è opportuno riflettere sia sulle peculiarità che la lingua teletrasmessa ha in generale sia sulle caratteristiche che la lingua per l’infanzia ha in generale, non riferita cioè alla televisione. Riguardo al primo punto, spetta a Sabatini il merito di aver definito concretamente le variabili – canale, caratteri linguistici, funzioni comunicative – che caratterizzano la comunicazione faccia a faccia, la comunicazione scritta a distanza e la comunicazione orale a distanza. Esempi di lingue trasmesse 48 sono le comunicazioni telefoniche, cinematografiche, radiofoniche e ciò che costituisce il centro del nostro interesse, quella televisiva47. Le caratteristiche linguistiche della lingua trasmessa si pongono a metà tra quelle dello scritto – messaggio registrato, mittente non presente, ricezione regolata dall’emittente – e quelle del parlato, anche se questo, data la natura di canale e mezzo, non è mai spontanea. La ricezione di un messaggio televisivo non è semplice per la rapidità dei tempi di trasmissione, per la diffusione generalizzata ad utenti che, di fatto, hanno caratteristiche peculiari diverse, per l’impossibilità di negoziarne il contenuto, quando questo risulta complicato, per il disorientamento generale che il succedersi di informazioni e immagini procura nei telespettatori. La situazione si complica nel caso in cui i consumatori siano bambini. In questo caso vanno tenuti presenti altri problemi, a partire da una riflessione sul ruolo e sulla funzione linguistica della Tv. C’è chi, come Tullio De Mauro, enfatizza il ruolo della Tv come strumento di acculturazione linguistica per tutti; c’è chi, come Simone o Beccaria, considera la Tv specchio della realtà linguistica attuale; c’è infine, chi, come Masini, parla della Tv come “uno specchio a due raggi”, in quanto essa da una parte riproduce gli usi medi e comuni, dall’altra influenza l’evoluzione dell’italiano contemporaneo48. “I mass media – egli afferma – ci propongono un vero miscuglio di tipologie testuali e di modalità linguistiche, che rischiano di essere usufruite dal 47 F. Sabatini, “Prove per l’italiano trasmesso (e auspici di un parlato serio semplice), in AA. VV., Gli Italiani trasmessi. La radio, Accademia della Crusca, Firenze, 1997. 48 Rosaria Sardo, Marco Centorrino, Giovanni Caviezel, Dall’Albero Azzurro a Zelig: Modelli e Linguaggio della Tv vista dai bambini, Rubbettino editore, 2004. 49 destinatario in modo indifferenziato, senza la capacità non solo di distinguere, ma poi di riusare i messaggi”49 E’ chiaro che il problema del riuso, si pone in maggiore misura per i bambini, in quanto in loro la competenza comunicativa è ancora in fase di costruzione. Altrettanto complesso è il problema sottolineato dallo stesso Masini della passività e della rapidità delle modalità di ricezione dei mezzi televisivi. L’eccesso di immagini, che caratterizza i cartoni animati e i programmi per l’infanzia in generale, procurerebbe nei telespettatori un torpore, che si traduce in una ricezione passiva del messaggio. Passiamo adesso ad esaminare l’altro aspetto, che c’eravamo proposti: l’analisi della lingua dell’infanzia. Lo facciamo seguendo le riflessioni della scrittrice per bambini, Bianca Pitzorno50. È significativo che, relativamente alla lingua e allo stile delle sue opere, lei abbia sottolineato l’intento “di riprodurre nel modo più somigliante possibile la maniera di parlare e di pensare del bambino protagonista”51. Questo non deve tuttavia significare – aggiunge la scrittrice – un’eccessiva semplificazione del lessico, in quanto i termini, che non si comprendono, diventano generalmente per i bambini uno stimolo all’immaginazione e alla creatività. D’altra parte l’introduzione di termini nuovi e non consueti innesca nei bambini un produttivo incremento della competenza linguistica. Per lo stesso motivo occorre che si utilizzi la lingua nella sua completezza, facendo grande uso di congiuntivi e condizionali. 49 Cf. Ibidem. B. Pitzorno, Scrivere di e per bambini, in M. T. Serafini, Come si scrive un romanzo, Bompiani, Milano, 1996, p. 114. 51 Cf. Ibidem pag. 128. 50 50 “Ci sono sfumature di pensiero aggiunge – la Pitzorno – atteggiamenti interiori, aspettative nei confronti della realtà che solo il congiuntivo della realtà può esprimere”52. Ovviamente sempre nel rispetto dei tempi e dei modi di ricezione, l’emittente avrà cura di non utilizzare frasi molto lunghe e di scandirle con molta punteggiatura. A questo punto sulla base delle considerazioni che abbiamo fatto in relazione prima alla lingua trasmessa dalla Tv, e poi alla lingua utilizzata nella letteratura per l’infanzia, analizziamo i tratti testuali e linguistici che emergono dai singoli programmi. Le strutture linguistiche testuali della televisione a seconda che si rivolgono a bambini in età prescolare o a bambini in età scolare; hanno caratteristiche diverse sia in relazione ai contenuti sia in relazione agli usi del lessico e della morfosintassi. Un semplice confronto fra L’Albero Azzurro e Disney Club o Art Attack dimostra che si riserva maggiore attenzione ai programmi per la prima infanzia. Come sappiamo la televisione privilegia lo stile visivo e tende a sviluppare l’emisfero sinistro più che quello destro. I programmi per l’infanzia tendono ad evitare questo rischio sollecitando la potenzialità di tutti gli stili cognitivi e rispettando le caratteristiche degli stadi evolutivi dei piccoli. Mancando nei bambini, la capacità di contestualizzare i messaggi, la Tv per l’infanzia tende ad evitare accuratamente anche la confusione dei modelli culturali, che disorientano i bambini. A livello lessicale e morfosintattico, le trasmissioni per la prima infanzia presentano le seguenti caratteristiche: 52 Cf. Ibidem, p. 132. 51 Grande attenzione alla lingua parlata Rispetto delle norme morfologiche e sintattiche Rispetto dei tempi verbali: non si registrano casi di uso del presente al posto del futuro o di uso dell’Indicativo al posto del Congiuntivo Uso di un lessico variegato Uso di diminutivi, accrescitivi, dispregiativi e superlativi Prevalenza di paratassi, ma uso moderato anche di proposizioni subordinate Ricorso a rime e filastrocche. Rispetto a questi tratti linguistici, i programmi per ragazzi dimostrano minore attenzione alla cura del lessico – che risulta molto meno variegato – e dei tempi verbali, nel senso che sono numerosi i casi, in cui troviamo l’Indicativo al posto del Congiuntivo, il tempo presente al posto del futuro. Essi mostrano altresì una spiccata tendenza a riprodurre il parlato giovanile, per cui abbandonano termini gergali e tecnicismi. La scenografia è meno curata e anche la “manualità” passa, per così dire, in secondo piano. Ma è la ripetizione a costituire la caratteristica più evidente delle strutture televisive. La televisione non propone mai niente di nuovo, eppure osserva Paolo Landi “è proprio questa ripetizione – come se l’uniformità fosse la caratteristica principale di chi la guarda – la ragione del suo successo. La televisione parla in continuazione, con un linguaggio uniforme, sempre uguale, sempre indirizzandosi a te che la guardi”53. 53 Paolo Landi, Volevo dirti che è lei che guarda te, Bompiani, Milano, 2006 p. 45. 52 L’offerta si limiterebbe insomma alle parole, a tante parole; il rischio è che i fruitori considerano vero tutto ciò che dice, solo perché lo vedono. L’offerta è altresì strutturata in modo da evitare lo zapping: così ogni informazione è data in tempi rapidissimi. “Due minuti – afferma Paolo Landi – senza una guerra o un terremoto nessuna notizia dura in Tv più di due minuti. Anche alla CNN”54. Ma non tutti gli spettatori si accontentano di pochi minuti per la trattazione di un argomento; in questo caso la fruizione è legata ad un profondo senso di frustrazione. 54 Cf. Ibidem. 53 2.3 Bambini e pubblicità La pubblicità, nelle sue varie forme, penetra quotidianamente nella nostra vita, influenzando i nostri comportamenti e il nostro immaginario. Scopo della pubblicità è dare informazioni su un prodotto e, soprattutto, persuadere il consumatore ad acquistarlo. Per raggiungere questo obiettivo, essa usa quindi una comunicazione incentrata sul destinatario e improntata non al criterio della verisomiglianza, ma a quello dell’efficacia. In altri termini, una pubblicità funziona non se il prodotto è buono, ma se è efficace lo slogan55. Il messaggio pubblicitario può essere affidato a diversi canali di comunicazione: giornali, cartelloni, radio, televisione, cinema, internet. Ognuno di questi canali ha una sua tipologia di espressione e una fascia di clientela, a cui rivolgersi. Se ad esempio, ci si vuole rivolgere ai ragazzi, sarà opportuno scegliere la radio o la televisione, nell’ambito della programmazione specifica loro destinata. 55 Cf. Packard V., I persuasori occulti, trad. di C. Fruttero, Einaudi. 54 Per l’importanza economica che rivestono, testi e spot pubblicitari sono curati da veri e propri “professionisti della persuasione”, capaci di sfruttare qualsiasi elemento, pur di conseguire lo scopo. La pubblicità non vende prodotti, ma immagini, tecniche sofisticate per ottenere risultati ad effetto e, nel caso degli spot, anche motivetti musicali ripetitivi, tali da imprimere nella mente dello spettatore-consumatore come un marchio sonoro, indelebilmente associato al prodotto. Molte pubblicità basano la loro efficacia su una “falsa promessa”: acquistando il prodotto, si acquisteranno anche determinate qualità di bellezza, giovinezza, coraggio e signorilità. Bastano queste poche considerazioni per rendersi conto di quanto pericoloso possa essere il messaggio veicolato dagli spot, specie per chi non ha ancora maturato competenze critiche adeguate. È ovviamente il caso dei bambini, a cui – non a caso – la pubblicità guarda con sempre maggiore interesse, sottoponendoli a veri e propri lavaggi del cervello. L’attacco forse più deciso contro una televisione fatta in gran parte di pubblicità è quello sferrato da Paolo Landi, nel volumetto Volevo dirti che è lei che guarda te56. Si tratta, come chiarisce l’autore stesso nel sottotitolo, del tentativo di spiegare ai bambini che non sono loro a guardare la Tv, ma che, al contrario, è essa a guardarli, a spiarli. Rivolgendosi proprio ad un bambino, egli afferma: “la televisione sa tutto di te. Ti guarda in ogni momento della giornata anche quando è spenta. Ti ha già fotografato, inserito una fascia di età, collocato nell’area reddito dei tuoi genitori, classificato secondo le loro possibilità di acquisto, raggruppato in 56 Cf. Ibidem. 55 categorie, diviso in serie, ripartito in aree, codificato nei comportamenti, catalogato”57. I programmi non sarebbero altro che pretesti per sostenere i sempre più frequenti stacchi pubblicitari, le televendite, le promozioni, le sponsorizzazioni. Vittime di questo sistema sono soprattutto i bambini, che non avrebbero affatto bisogno della televisione. Per loro è senz’altro più salutare spegnerla per andare a correre, giocare, saltare. Col movimento si entra in contatto con l’ambiente circostante e si impegnano tutti i sensi: si ammira il paesaggio, si ascolta il vento, si sente il profumo dei fiori. La Tv invece costringe a stare immobili e anche gli occhi compiono movimenti impercettibili. Esistono molti studi scientifici che mostrano quanto stretto sia il legame tra movimento oculare e pensiero: gli occhi sono “svegli” quando è “sveglia” la coscienza. Lo sguardo fisso e freddo sullo schermo televisivo è segno, pertanto, di una ricezione passiva. In questo stato di trance arrivano al cervello infinite sollecitazioni, che vengono assorbite acriticamente. Bastano queste poche considerazioni a dare idea del pericolo rappresentato dagli spot pubblicitari, tanto più nocivi quanto più sono occulti. Nell’area della televisione interattiva la situazione è destinata a peggiorare in quanto probabilmente basterà cliccare su una giacca o un paio di scarpe dei protagonisti di un programma televisivo per avere la possibilità di “ordinare” subito via modem l’oggetto selezionato. Né la cosa finisce qui! A dispetto della privacy, mediante questi “clic” sarà possibile avere una ricognizione precisa dei programmi e degli spot pubblicitari seguiti da ogni famiglia, i gusti e le possibilità di acquisto. 57 Cf. Ibidem, p. 13. 56 Avere informazioni dirette, dettagliate e in tempo reale sui consumatori di Tv sarà per i pubblicitari un fatto straordinariamente importante perché consente il marketing uno ad uno. Per gli utenti, invece, ci sarà una sola possibilità: diventare consumatori passivi e obbedienti. Certo i bambini non hanno soldi, ma la raccomandazione fatta da educatori, psicologi e famiglie di non lasciare mai soli i piccoli davanti allo schermo, finisce per fare il gioco dei pubblicitari. “Un bambino lasciarlo da solo davanti al teleschermo – osserva ancora P. Landi – conta meno, per esempio di un bambino e di una mamma (due consumatori) ed è numericamente inferiore rispetto ad una mamma, un papà e magari una nonna (tre consumatori) che guardano un programma insieme a lui”58. Sarebbe insomma ora di capire che alla Tv non interessa affatto l’educazione dei bambini. È il consumatore che lui rappresenta ad essere importante. Si capisce così come non è la Tv a servire ai bambini, ma sono i bambini che servono alla Tv per vendere loro tutto quello che gli sponsor vogliono vendere. L’esigenza di tutelare i consumatori dell’enorme potere d’influenza della pubblicità ha indotto le Associazioni di categoria, prima (dal 1968), e lo Stato, poi, (dal 1992) a vietare ogni forma di pubblicità ingannevole o occulta o poco rispettosa della dignità delle persone, in tutte le loro forme ed espressioni. 58 Cf. Ibidem, p. 33. 57 Ma fino a che punto queste misure riusciranno a proteggere le giovani generazioni abituate a vedere, fin dalla tenera età, la televisione come compagna di gioco “fidata” e “amica affidabile” in tutto ciò che dice? 58 2.4 Media e immagine dell’infanzia e della preadolescenza oggi Dedichiamo questo paragrafo ad una riflessione sull’immagine dell’infanzia e della preadolescenza oggi, per capire meglio se e fino a che punto essa è legata ai media. I bambini nati dopo la metà degli anni novanta sono apparsi, fin dalle loro esistenze, negli schermi dell’ecografia e quindi rappresentano una generazione di schermo. Pare del tutto naturale che questi già a due tre anni siano in grado di manovrare il telecomando, del televisore, del video registratore, del lettore dvd e del decoder. I modi di vivere di questa nuova generation li possiamo dividere in piccoli cittadini di due territori: un territorio “concreto/reale”, fatto di percezioni (il lettino, il fasciatolo, i giochi, la cameretta, l’auto dei genitori, la scuola, il giardino, il parco giochi) e un secondo territorio per “immagini a scansione”, fatto di segnali audiovisivi, video via etere, rete di fili e cavi, schermate di informazioni. 59 Se prima il bambino “imparava a controllare la città a partire dalla strada, oggi – afferma Nicastro – impara a controllare la metropoli a partire dalla casa”59. Si tratterebbe, per lo studioso di una generazione immersa nel consumo, “sospesa” e “inattesa” di un evento di senso, un problema sociale complesso sul piano psico-pedagogico, religioso e politico, “una zattera alla deriva”60. Gli esperti di cyberspazio e di new media presentano significativamente i bambini di oggi come la prima generazione di “hyperpeople” ossia di iperpersone. Essi possono essere definiti come soggetti in grado di svolgere molte azioni e compiti contemporaneamente; sono individui immersi totalmente nel mondo della comunicazione. Prototipi dei bambini del futuro sarebbero, insomma, bambini informatizzati. Il rischio è, come avvertiva tanto tempo fa don Lorenzo Milani, che “un bambino che si occupa di cose più grandi di lui è sempre un imbecille”61. L’immagine di bambini bravi a “trafficare” con telecomandi e schermi di Tv o pc, deve essere pertanto oggetto di una seria riflessione. Altrettanto preoccupante è il fatto che la Tv, sempre più spesso, presenta bambini impegnati in giochi di memoria nozionistica molto competitivi. E tanto più questi vengono presentati come “geni” tanto più quelli, seduti a guardare la televisione, sembrano rimbambiti, acritici, passivi. 59 Luciano Nicastro, “I media e i giovani: nascita della tecnogioventù”, Edizione Mimì Arezzo, Ragusa, 2003. 60 Cf. Ibidem. 61 don L. Milani, Esperienze Pastorali, Firenze, Edizione Fiorentina, 1997, cit. p. 38. 60 È chiaro che, stando seduti immobili davanti allo schermo, i bambini di oggi “smaltiscono” sempre meno, tanto più che la Tv propone cibi di tutti i tipi ad ogni ora del giorno. “Cibi che – osserva ancora Paolo Landi – associati allo stare seduti e immobili e ai piccoli stress adrenalinici provocati da quel che si guarda, fanno diventare presto obesi”62. Qualche riferimento alla stampa chiarirà ulteriormente le cose: Allarme Usa: bimbi obesi per colpa degli spot L’Università dell’Illinios, analizzando la pubblicità indirizzata ai più piccoli, ha concluso: “E’ un lavaggio del cervello a favore di cibi dannosi” (L’Unità, 26 agosto 2005). E ancora: “Meno spot sulle merendine”. Entro fine del 2005 i primi impegni concreti. Un “tavolo” con industria e pubblicitari. (Corriere della Sera, 16 marzo 2005) Anche la tendenza, tipica dei bambini di oggi, di crescere in fretta sarebbe legata alla Tv63. Pare che la luce bluastra e le onde elettromagnetiche emesse dal teleschermo riducano la produzione di melatonina, l’ormone che regola i ritmi del sonno e determina i tempi dello sviluppo sessuale. Accade così che, già a dieci anni, i divoratori di televisione entrino in fase di pubertà precoce. La questione non è comunque solo di ordine fisiologico. Una volta, ai bambini si tenevano nascosti determinati aspetti della realtà, in quanto gli 62 63 P. Landi, volevo dirti che è lei che guarda tè, Bompiani, Milano, 2006, cit. p. 69. Cf. Ibidem. 61 adulti non li ritenevano preparati per affrontarli. Oggi è praticamente impossibile “tenere lontani” i bambini da qualsiasi “mistero”: la televisione non fa, infatti, alcuna differenza tra piccoli e grandi E i piccoli somigliano sempre più agli adulti: informati, abbigliati con vestiti firmati, sfrontati, aggressivi, accessoriati. “Non c’è nessun segreto per l’infanzia – nota ancora Landi - ma senza segreti l’infanzia non esiste più”64. Il fall-out tecnologico e mediatico, rende i giovanissimi una categoria “debole” nello spirito: manca loro un’identità, collettiva e sociale, un progetto del nuovo cammino sociale e una nuova speranza civile. Le nuove generazioni parlano poco con gli adulti, non si interrogano sul futuro e spesso non hanno obiettivi. Il loro linguaggio “tecnologico e generazionale” sarebbe proprio il segno manifesto del disagio e della ricerca di senso, che li caratterizza. Oggi è difficile essere genitori, maestri educatori perché bisogna comprendere i giovani oltre i loro silenzi, le loro crisi, le mezze frasi, interpretarne le paure, i bisogni impliciti e cercare di non essere rigidi o ferire i loro sentimenti. Nel passato era molto più semplice arrivare a varcare la soglia dell’essere adulto. Oggi le tappe per diventare adulti sono “flessibili”, con scale valoriali ed assistenziali mobili, senza uno scopo/obiettivo ben determinato come accadeva in passato. La “distanza sociale” è diventata una questione spirituale e generazionale, fra un mondo chiuso a riccio e uno aperto a molte sollecitazioni, ma con difficoltà di parlare con gli adulti, di accettare la scuola e la società di progettare o costruire qualcosa di nuovo. 64 Cf. Ibidem. 62 La gioventù odierna non si ribella, se non attraverso l’immagine, “i piercing” o il linguaggio del corpo “androgino”, dove le differenze sessuali svaniscono e le passioni sono una fiammata. Questa gioventù più che “bruciata”, sembra essere “in attesa”65. Viviamo in una “società ambigua”, abituata all’agiatezza, dove la modernità ha un valore laico e si predicano valori in cui non si crede. Questa nuova società sembra aver rinunciato ad insegnare il vivere bene, manca di una vera “socializzazione politica”, di una vera impronta “cristiana”; essa appare proiettata al consumismo o, per dirla con Nicastro, al protagonismo dell’agire di consumo. I dati italiani sono, in proposito, molto significativi: crescono i consumi di telefonini, fotocamere digitali, personal computer e Play Station. Insieme alla loro diffusione, cresce una generazione di bambini e giovani amanti della comunicazione veloce, della musica, dello sport, poco inclini allo scontro, non rispettosi dell’autorità, affetti da ansia da cellulare. Individui siffatti – osserva Luciano Nicastro – non potranno mai essere colti, in quanto “i media conferiscono a tutti i contenuti un peculiare carattere di precarietà ed esteriorità. Il loro intreccio assomiglia sempre di più ad un gioco, che corrode alle fondamenta la profondità e l’articolazione dell’esperienza cognitiva”66. Non si vuole dire che saper usare il multimediale significa precludersi la possibilità di accedere a conoscenze approfondite, ma solo che, se non sono ancorate a valori forti, queste competenze risultano sterili. 65 Cf. Ibidem. Luciano Nicastro, “I media e i giovani: nascita della tecnogioventù”, Edizione Mimì Arezzo, Ragusa, 2003, p. 13. 66 63 È stato detto che “quanto si è più abili con i videogiochi tanto più si diventa microchirurghi affidabili e precisi…”67. Ma, ci chiediamo, quante probabilità ha un bambino, abituato a spendere il suo tempo davanti ad uno schermo – della Tv o del pc – di diventare un chirurgo? Lo studio è anche sacrificio e i giovani e giovanissimi vengono tenuti lontani da ogni genere di sacrifici, coccolati e viziati, fino al punto da ritenere necessario il superfluo. In questo, i genitori hanno ovviamente grosse responsabilità, se non altro per l’essere diventati prevalentemente compagni generosi dell’attività di consumo dei figli. In tale contesto il problema della ricerca e del consolidamento della propria identità si pone in termini nuovi, più esigenti che mai, tanto più che dell’infanzia e della preadolescenza, oggi, si sottolineano più i punti di ombra che i punti di luce. 67 Cf. Ibidem, p. 17. 64 Capitolo Terzo La Tv dei ragazzi in prospettiva diacronica 65 3.1 Storia di un genere nella storia della televisione Oggetto del presente capitolo è una riflessione in prospettiva diacronica, sulla Tv dei ragazzi. La storia di questo genere coincide sostanzialmente con la storia della televisione e, in quanto tale, essa affonda le proprie radici nell’Italia del secondo dopoguerra. Questo spiega il motivo per cui la Tv dei ragazzi si è assunta inizialmente il compito di ricostruire il paese nei suoi molteplici aspetti. “La Tv dei ragazzi della Rai – afferma Fausto Guido Bonifacio – nasce come uno spazio privilegiato per far scuola attraverso gli strumenti della comunicazione audiovisiva. Spazio non liberamente autogestito bensì vincolato e sorretto da un indirizzo programmatico dello Stato”68. 68 Fausto Guido Bonifacio, Dalla didattica alla fiction mutamenti nel modello della tv per l’infanzia della Rai, Editore Bonanno, Catania, 2004. 66 Non è certo un caso che inizialmente la Tv abbia portato avanti delle esperienze formative, prima in sostituzione e poi ad integrazione della scuola: si cercava così di supplire alle carenze del sistema scolastico nazionale. Per comprendere meglio la storia della televisione, Marisa D’Amato ci invita a procedere ad un’analisi per tappe evolutive69. La prima fase, compresa tra il 1954 (anno di inizio delle trasmissione Rai) e il 1968, sarebbe caratterizzata dalla sperimentazione di programmi formativi validi e innovativi. La fase successiva, che comprende l’intero decennio degli anni Settanta, parallelamente ai mutamenti storico-sociali di quegli anni, offre tipologie di programmi innovativi anche nell’ambito della Tv dei ragazzi. Se ci soffermiamo per ora a considerare la prima fase della storia della programmazione per l’infanzia, notiamo che la televisione divenne ben presto uno strumento fondamentale nel perseguire gli obiettivi di slancio economico e sociale dello Stato all’indomani della guerra. La Tv dei ragazzi risponde a questa esigenza sociale con una strategia operativa basata sul principio “dell’istruire divertendo”. La programmazione complessiva della Rai di questi anni prevedeva diversi spazi formativi, alcuni indirizzati ad un pubblico giovane ed adulto, come ad esempio i corsi di lingua o le varie rubriche informative, altri ai bambini, come fiabe e burattini, altri ancora, come la fiction, ai ragazzi. Nella Tv dei ragazzi dei primi dieci anni domina la connotazione morale, nel senso che tutti i messaggi proponevano la laboriosità, il saper fare. C’erano poi trasmissioni di tipo informativo e documentario, finalizzate ad 69 D’Amato M, Lo schermo incantato, Editori Riuniti, 1993. 67 ampliare le conoscenze storiche, geografiche e naturalistiche dei bambini. Tra esse la più famosa è Giramondo. Nei programmi d’intrattenimento, la connotazione morale era molto meno forte anche se, in ogni caso, i messaggi dovevano essere coerenti al sentimento di identità nazionale e rispettosi della morale tradizionale. Le intenzioni, le scelte e gli orientamenti ideologici vanno sempre messi in rapporto con i modi e le strategie specifiche di consumo dei contenuti televisivi da parte degli utenti. In altri termini, occorre considerare non solo le intenzionalità aziendali, ma anche gli effetti che i messaggi culturali trasmessi hanno sul pubblico infantile. Certamente, fino agli otto anni circa, è difficile che i bambini possano esprimere una propria valutazione sul contenuto dei programmi trasmessi, ma, come ben spiega una ricercatrice americana, “dagli otto anni circa e dalla media preadolescenza in poi, essi hanno acquisito la conoscenza che serve per aiutarli nella loro attività valutativa”70. All’esigenza di adattare sempre i programmi ai gusti del pubblico rispondono indagini specifiche condotte dal Servizio Opinioni della Rai. Ed è proprio basandosi sui dati dell’audience che la Rai ha operato, dal 1968, un significativo cambiamento dell’offerta, non più orientata alla formazione morale ed etica, ma meglio rispondente ai nuovi bisogni dei ragazzi e, in generale, ad una società in crisi come quella sessantottina. Un contributo fondamentale a tali problematiche ha dato Marisa D’Amato, la quale ha sottolineato l’elevato interesse rivolto ai piccoli dalla 70 Dorr A.,Televisione e Bambini: un mezzo speciale per un pubblico speciale, Nuova Eri, Bologna, 1990. 68 Prima Rete Rai – titolare originaria della Tv dei ragazzi – soprattutto fino al 1975. Le trasmissioni per ragazzi erano articolate, come quelle per gli adulti, in tre aree: di informazione, di evasione e di intrattenimento. In ogni caso, l’offerta teneva conto dell’età e delle caratteristiche culturali dei bambini e, per questo, il genere informativo acquisì ben presto sfumature educative. Il modello di riferimento per l’organizzazione dei palinsesti fu soprattutto la BBC, che fornì sia i documentari di tipo scientifico e divulgativo sia telefilm di avventura. Tale operazione fu resa possibile dalla condivisibilità dei valori etici e morali tra America e Italia, per cui i telespettatori del nostro Paese si ritrovavano facilmente nei contenuti veicolati dai programmi “importati”. Uno studio, condotto da Amato Lamberti, ha sottolineato che la televisione pubblica è riuscita a trasmettere un determinato sistema ideologico solo perché era unica titolare di radio e televisione sull’intero territorio nazionale. Questa situazione assicurava all’azienda un sicuro vantaggio, in quanto aveva la possibilità di scegliere i programmi esteri, che riteneva qualitativamente migliori71. In seguito al crollo del monopolio televisivo la qualità delle trasmissioni ne risultò penalizzata, sia per la concorrenza di altre reti televisive sia per i profondi mutamenti sociali e politici del nostro Paese negli anni Settanta. 71 A. Lamberti, Funzione eticizzante e livelli di conflittualità interna all’apparato televisivo, VPT Rai, 1979. 69 Sulla base di queste considerazioni, la Rai sperimentò nuove forme di programmazione, in grado di unificare il target dei telespettatori-bambini a quello degli adulti. Parallelamente, i programmisti organizzarono i palinsesti, inserendo nella fascia pomeridiana e di prima serata, trasmissioni diversificate per bambini, adolescenti, famiglie. La diversificazione dell’offerta è frutto di una ricerca su Giovani e Tv (1968 – 1971) e di una Tavola Rotonda (1970 – 1971) sugli effetti individuali e sociali del mezzo e del messaggio televisivo. Così ai criteri quantitativi di indagine, adottati fino ad allora, secondo cui il pubblico dei ragazzi veniva studiato semplicemente sulla base delle frequenze d’ascolto, si sostituirono dei criteri qualitativi, miranti ad un’analisi meno statistica e più psicopedagogica. Questo nuovo orientamento ha sottolineato l’importanza degli elementi di variabilità del pubblico non in base a generiche frequenze di ascolto, ma in base a sesso, età, sviluppo psico-sociale. In rapporto all’età, ad esempio, le ricerche mostrano generalmente che più essa cresce, più aumenta il gradimento della fiction realistica (film e telefilm). Tale preferenza televisiva, che viene a subentrare al gusto per la fiction fantastica e per i cartoni animati, va messa in relazione con la crescente esigenza dei ragazzi di avere punti di riferimento realistici nei modelli sociali, culturali e comportamentali. La sperimentazione di programmi televisivi, diversificati per fasce di età, scaturisce proprio dall’analisi qualitativa della fruizione. La distribuzione delle trasmissioni era di tipo verticale, nel senso che “ogni giorno della settimana era caratterizzato da un programma ad hoc 70 indirizzato, per contenuto e tipologia, ad una determinata fascia preferenziale di pubblico”72. Più specificamente si rivolgono ai più grandi programmi di tipo divulgativo-didattico; ai più piccoli programmi di fiabe e burattini; ai bambini film e telefilm, documentari e cartoni animati. 72 Cf. Ibidem, p.52. 71 3.2 Gli anni Sessanta e Settanta Nota dominante delle trasmissioni degli anni Sessanta è l’orientamento didattico e formativo. Titolare della Tv dei ragazzi era, in questi anni, il Primo Canale Rai, mentre il Secondo Programma non riservava alcuna attenzione al pubblico infantile. Solo dopo la Riforma, tutte le reti hanno trasmesso programmi per ragazzi. Inizialmente essi erano distribuiti in due fasce orarie: dalle 16:30 alle 17:30 e dalle 17:30 alle 18:30. La prima fascia era riservata ai più piccoli, la seconda ai bambini di età scolare e preadolescenziale. Tipici della prima fascia erano le fiction articolata in programmi di prosa, pupazzi e burattini, e l’intrattenimento costituito dai sottogeneri dei contenitori di giochi, attività creative e manuali e, talora, anche di telequiz. Tipici della seconda fascia oraria erano: il genere informativo culturale, articolato in rubriche di attualità e documentari di tipo naturalistico e storicogeografico; la fiction, proposta nei sottogeneri delle prose e degli originali televisivi, film e telefilm seriali di produzione statunitense. 72 Al di là dei singoli programmi, dalle ricerche emerge che: Per il successo delle trasmissioni era determinante il ruolo del presentatore, ora padre ora animatore Il sesso dei conduttori variava in relazione alle caratteristiche del programmi o ai destinatari preferenziali. Generalmente erano di sesso femminile in programmi basati su giochi di creatività e su contenuti fiabeschi; di sesso maschile in rubriche sportive, di viaggio o tecnicoscientifiche. Veri protagonisti delle trasmissioni di svago e di intrattenimento erano i bambini Grande attenzione veniva prestata alle strategie comunicative. A questo proposito va sottolineato l’importante contributo di Paola De Benedetti, cui spetta il merito di aver realizzato, insieme ai programmisti della Rai, la rubrica infrasettimanale Giocagiò. Tale trasmissione, destinata ai più piccini, riusciva a stimolare nel bambino nuovi interessi per il mondo circostante. Il successo della trasmissione, che ispirò anche successive produzioni di intrattenimento educativo, fu dovuto anche alla capacità di coinvolgere attivamente gli stessi bambini nella costruzione del significato e nell’elaborazione dei contenuti proposti. Dal punto di vista metodologico, i bambini erano guidati ad apprendere dall’imitazione del presentatore, che mostrava ciò che bisognava sapere o fare. Al di là di Giocagiò, erano comunque le opere di narrativa sceneggiata e teatrale per l’infanzia e per l’adolescenza a costituire la fisionomia della Tv dei ragazzi. Fonte di ispirazione di questo filone fu il teatro, ma anche la programmazione destinata nello stesso periodo agli adulti. 73 “Gli anni ‘50 e ‘60 – osserva ancora Bonifacio – furono dominati dalla prosa e da svariate opere di letteratura per l’infanzia, appositamente sceneggiate per il pubblico giovane; lo dimostrano la prevalenza numerica delle trasmissioni di narrativa, originali televisivi e teatro per ragazzi, sul totale complessivo dei programmi (ben 225 titoli presenti nei palinsesti precedenti alla Riforma) e la prevalente presenza di registi e attori teatrali professionisti”73. Rispetto ai generi varietà, informazione e intrattenimento educativo, la prosa e il teatro per ragazzi aveva appuntamenti più flessibili, non vincolati ad orari e giorni precisi. I personaggi di questi cicli teatrali sceneggiati divennero presto i “beniamini” dei bambini: il Signor Bonaventura, il Clown Scaramacai, l’investigatrice Lilly, il comico Giufà, il trasgressivo Gian burrasca. A questi vanno aggiunti il celeberrimo pupazzo Topo Gigio, le maschere Arlecchino e Pulcinella. Il fascino esercitato sul pubblico a casa da questi programmi dipende dal ritmo narrativo realistico e spontaneo, con cui gli attori sapevano trasmettere i messaggi. Scenografie e colonne sonore non avevano ancora alcuna rilevanza. Gradualmente la narrazione verbale si arricchì di suoni e di immagini, sempre limitate tuttavia a riprese interne, negli studi della Rai o a Teatro. La strutturazione rudimentale degli ambienti decorativi e scenografici, più che come limite fu inizialmente avvertita come stimolo alla creatività e alla fantasia. In tal senso si può affermare che gli sceneggiati televisivi si ponevano nei confronti dei fruitori a metà tra il libro e i racconti radiofonici. 73 Fausto Guido Bonifacio, Dalla didattica alla fiction mutamenti nel modello della tv per l’infanzia della Rai, Editore Bonanno, Catania, 2004, pp.67–68. 74 I soggetti della fiction inerivano fondamentalmente a tre filoni narrativi: i classici della letteratura per l’infanzia; le biografie di personaggi storici illustri e gli adattamenti televisivi di opere di grandi scrittori del ‘900 (Pavese, Moravia…). Negli anni Sessanta comparvero anche gli originali televisivi scritti, sceneggiati e realizzati all’interno dell’azienda: Gian burrasca, Giovanna – la nonna del Corsaro Nero, la Filibusta. La Tv dei ragazzi mantiene sostanzialmente inalterata la sua struttura anche nella prima metà degli anni Settanta; la modifica più significativa riguarda i programmi del genere intrattenimento e didattico, che acquisì la fisionomia di “programma contenitore”, di cui si ha un solo esempio precedente: Centostorie, del 1963. Anche il palinsesto mantenne un’impostazione verticale, ma i cicli divennero gradualmente sempre più lunghi. Nella fascia di programmazione destinata ai più piccini – che iniziava ormai alle 17:00 e non alle 16:30 – dominavano i cartoons, importati dall’America e dall’Europa dell’est. Questo rapporto di collaborazione della Rai con l’estero fu interrotto dalla fine del monopolio televisivo, con la concorrenza di altre reti commerciali, dai generali cambiamenti di tipo economico, dalla scomparsa dei cartoni dell’est, dal mercato per l’accentramento operato dalla Russia a discapito dei paesi satelliti. A questo punto la Rai spronò molti registi del cinema d’animazione italiano a realizzare alcuni cicli di cartoons a tema. L’intento rimaneva come sempre quello di intrattenere divertendo ed educando. A questa esigenza risposero Merry Melodies e i cartoni di Hanna & Barbera. 75 Nella fascia destinata ai più piccoli, insomma, la fiction di animazione si impose sul teatro, mentre la Tv dei ragazzi continuò a proporre accanto alle solite rubriche di attualità e di divulgazione scientifica, opere narrative sceneggiate. L’offerta, marcatamente articolata tra prodotti di importazione straniera e originali televisivi realizzati in azienda, fu caratterizzata da un generale rinnovamento dei contenuti e delle forme, in conformità ai cambiamenti intervenuti nella società e nelle famiglie italiane degli anni Settanta. Il dato “televisivo” più importante in proposito è rappresentato dalla graduale sostituzione del carattere evasivo a quello educativo. La vita quotidiana appariva sempre più opprimente e la televisione si assunse il compito di far distrarre ed evadere i fruitori. A questo scopo rispondeva, ad esempio, il personaggio protagonista della trasmissione Uoki – Toki: usando i bottoni della giacca del suo pupazzo – Moki Toki appunto – egli evadeva dalla noia dei suoi pomeriggi. I programmisti della Rai, in considerazione dei dati sull’audience, continuavano comunque ad importare dall’estero film e telefilm di carattere ironico ed avventuroso. Come già nel decennio precedente, si trattò di un grande successo: basti menzionare Zorro, Tarzan e Furia, il Cavallo del west. Il dominio televisivo della fiction statunitense ed europea si impose incontrastato sugli originali televisivi prodotti dalla nostra azienda. Fino al ’74–’75 fu la Gran Bretagna a diffondere in Italia il più alto numero di film e telefilm. Rispetto alle produzioni americane, incentrate sui valori sociali e morali della solidarietà e dell’amicizia, quelle britanniche, che avevano come protagonisti non un personaggio principale, ma un’intera banda, 76 erano rappresentate da storie di mistero o di amicizia tra un bambino e un animale. Ma fu la fiction scandinava, comparsa nei palinsesti della Tv dei ragazzi a partire dal ’71–’72, ad apportare le più significative innovazioni nell’ambito dei temi narrativi. Un contributo fondamentale a tale collaborazione è stato dato da Donatella Zilliotto e Paolo Poli. “La logica sottostante a queste manovre d’acquisto – sottolinea Bonifacio – fu preventivamente quella di svincolare i contenuti dei programmi di narrativa televisiva dai ristrettivi riferimenti ai classici romanzi per l’infanzia o ad autori ormai noti al grande pubblico, introducendo modelli letterari e tipologie di contenuto senz’altro più diversificate”74. Le storie di questi telefilm, proposti in episodi a serie, erano ambientate in villaggi della Svezia e della Finlandia e avevano come protagonisti bambini intraprendenti e vivaci. Tra le serie più fortunate sono Pippi Calzelunghe (dal 1970 al 1976) ed Heidi (dal 1973 al 1978), che riuscivano ad incarnare modelli di comportamento alternativi a quelli tradizionali della bambina casalinga o del bambino avventuroso. Al crescere del numero di telefilm stranieri ad episodi, gli sceneggiati della Rai diminuirono fino a scomparire del tutto tra il 1978 e il 1980. 74 Cf. Ibidem, p. 89. 77 3.3 Dalla Riforma della Rai ai nostri giorni Fino al 1975 la Rai ha esercitato il sevizio televisivo in monopolio. La scelta di questo sistema scaturisce dalla considerazione della natura etica e politica del servizio televisivo pubblico e quindi dall’esigenza dello Stato di tutelare i diritti e le libertà dei cittadini. Pertanto in tutti i paesi europei, lo Stato affidò il servizio televisivo ad una Società di diritto pubblico, attribuendone il controllo al Governo, chiamato a risponderne di fronte ai Parlamenti. Nel 1975 fu varata una Riforma del servizio televisivo che, come ha ben spiegato Ettore Bernabei – presidente della Rai dal 1960 al 1974 – “lasciava alla Rai l’esclusiva delle informazioni sotto il controllo del Parlamento, per permettere ai privati di trasmettere programmi di intrattenimento finanziati dalla pubblicità…”75. La legge di Riforma n. 103 del 14 marzo 1975 stabilì un nuovo ordinamento, in base al quale la programmazione televisiva non fu più gestita 75 E. Bernabei,Conferenza su Cultura e Mass Media, 2001. 78 dal Governo, ma da tutto il Parlamento. Attraverso la Commissione Parlamentare di Vigilanza – C.P.V. – esso esercitava funzioni di controllo e di vigilanza attraverso la valutazione della rispondenza effettiva dei programmi alle direttive indicate. Il principio guida di tutta la Riforma fu quello di “garantire agli utenti una più ampia gamma di opzioni nell’offerta dei programmi televisivi, riservando, in tal modo, sia alle emittenti della concorrenza privata e commerciale, sia alle reti interne alla Rai una certa autonomia di espressione, produzione e trasmissione”76. Di fatto, però, la legge di Riforma si rivelò portatrice di interessi pubblici interni al Parlamento per cui, come ha scritto Paola De Benedetti, “c’era Raiuno che faceva riferimento al partito di maggioranza, mentre la Rete Due faceva riferimento ai partiti laici”77. Questa situazione di doppia concorrenza, esterna con le Tv commerciali, ed interna tra reti orientate da diversi partiti politici, rese l’offerta sempre più competitiva: la Rai si omologò alle proposte, ai generi e ai contenuti offerti dalle Tv commerciali e queste, a loro volta, utilizzarono le sperimentazioni della Rai anche mediante la proposta di una grande quantità di prodotti esteri. Le funzioni formative ed educative del servizio Rai crollarono, sia per l’assenza di direttive ufficiali – relative solo ai settori informativi – sia per l’incompetenza di chi si trovò a progettare i programmi culturali, sia per l’eccessiva offerta di fiction: i prodotti di fiction venivano importati dall’estero 76 Fausto Guido Bonifacio, Dalla didattica alla fiction mutamenti nel modello della tv per l’infanzia della Rai, Editore Bonanno, Catania, 2004, pp.92-93. 77 P. De Benedetti, Intervista, 2002. 79 anche per l’aumento dei costi industriali di produzione interna, mentre quelli realizzati all’esterno erano molto competitivi. All’estero venivano pure acquistati alcuni programmi su tematiche culturali innovative, come il femminismo o le mode giovanili e non è un caso che queste proposte siano giunte al pubblico italiano dalla Seconda Rete, mossa come sappiamo, da un’ideologia politica di tipo laico e progressista. Rispetto alla televisione pubblica, le reti commerciali private preferirono basarsi su una programmazione a flusso continuo e priva di qualsiasi presupposto formativo specifico. Di conseguenza esigenze di budget, calcoli statistici sull’audience ed offerta del mercato internazionale finirono così per diventare i criteri ispiratori anche delle scelte dei programmisti della Rai, che, a differenza del passato, non progettavano i programmi, ma si dovevano accontentare di quello che il mercato offriva. Il cambiamento contenutistico dei programmi da educativi ad evasivi va interpretato secondo questa specifica chiave di lettura: i prodotti più competitivi erano infatti quelli statunitensi, evasivi e a basso costo. Non bisogna, tuttavia, sottovalutare l’influenza che sulla Tv ebbero i movimenti di rivolta giovanile, che imposero la necessità di fornire risposte innovative e alternative rispetto al tradizionale sistema di valori, ormai decisamente in crisi. Nel caso specifico della televisione per ragazzi, si assiste in questi anni a proposte di programmi per tutta la famiglia. Probabilmente, dietro questa scelta, va vista l’incapacità dei programmisti di rispondere con programmi specifici alla componente giovanile. 80 Quest’interpretazione suggerita dalla D’Amato78, è fondamentalmente criticata dalla De Benedetti, secondo la quale le scelte della dirigenza Rai vanno piuttosto riferite ad un seminario internazionale sulla Tv dei ragazzi, organizzato dai paesi aderenti all’Union Europèenne de Radiodiffusion e tenuto a Firenze nel 1975. In quell’occasione Umberto Eco, sulla base dell’enorme successo riscosso da Le avventure di Pinocchio di Luigi Comencini – anche lui presente – sostenne che i programmi per ragazzi non esistevano più e che per ciò la televisione doveva evitare di differenziare i programmi per pubblici preferenziali. Il Pinocchio di Comencini, trasmesso di sera per un pubblico familiare, divenne così modello di altre proposte televisive, in sceneggiati serali a puntate: è il caso, ad esempio, di Sandokan. Le ricerche sull’audience nel periodo della Riforma confermarono che l’ascolto dei ragazzi si concentrava soprattutto negli orari serali e preserali. Ovviamente, insieme alla fascia oraria, la Tv dei ragazzi mutò l’orientamento originario, nel senso che essa assomigliò sempre più a quella degli adulti e, viceversa, quella degli adulti divenne sempre più bambinesca. Questo “rimescolamento” era già stato sperimentato in America, con la cosiddetta Tv dei Kiddy Talls. Tramonta così in Italia quella televisione “formativamente edificante e attenta, in modo talvolta intransigente, a individuare nei suoi programmi il massimo indice di coerenza agli indirizzi pedagogici e culturali formulati”79. Da quel momento vennero trasmessi programmi sulla vita quotidiana delle famiglie – ad esempio Happy Days – o telefilm seriali – ad esempio Sturski & Hutch, Tarzan, Zorro, Furia, il Cavallo del West e Lassie . 78 D’Amato M, Lo schermo incantato, Editori Riuniti, 1993 p. 62. Fausto Guido Bonifacio, Dalla didattica alla fiction mutamenti nel modello della tv per l’infanzia della Rai, Editore Bonanno, Catania, 2004, p. 105. 79 81 Ben presto, nella battaglia della fiction tra le due reti nazionali, si inserirono la narrativa d’animazione nipponica, come Ufo Robot e Goldrake, e i cartoni animati, come l’Ape Maya e Heidi. Questi prodotti giungevano in Italia per il tramite dell’agenzia di produzione e distribuzione tedesca, Beta Film. La collaborazione commerciale della Rai con questa agenzia fu molta redditizia sia per il risparmio che essa consentì sui costi di acquisto sia per i vantaggi economici offerti dalla tecnica, – la cosiddetta merchandising – introdotta dalle case produttrici giapponesi, di abbinare ai cartoni un’ampia gamma di gadgets. La Tv dei Kiddy Talls ha indubbiamente accelerato il processo di cambiamento delle funzioni d’uso e dei meccanismi di fruizione degli odierni programmi per ragazzi, in relazione a diversi aspetti: l’apertura – favorita dal merchandising – alle esigenze del mercato e della pubblicità; l’organizzazione orizzontale del palinsesto con un’offerta indifferenziata dei programmi in relazione sia agli orari di trasmissione sia ai contenuti proposti. La scomparsa dei marcatori di differenze e l’affermazione di un regime concorrenziale sarebbero, per Bonifacio, i principali fattori della fine della Tv per ragazzi. “Il problema – ha scritto Farnè – si pone in termini abbastanza chiari, almeno in linea teorica: da una parte la Fininvest ha definito in questi anni il suo modello di televisione per l’infanzia in direzione nettamente commerciale, con un rapporto molto stretto fra i personaggi e i contenuti della fiction e la pubblicità del merchandising ad essi strettamente collegata […] Dall’altra parte la Rai è obbligata a differenziarsi, ma non intende farlo, optando in assoluto sulla cosiddetta televisione pedagogica (ma potremmo anche dire, d’impegno 82 culturale) […] perché ritiene che non sarebbe più competitiva sul piano dell’audience”80. L’espansione della concorrenza ha ovviamente inciso sulla qualità della programmazione, che negli anni Ottanta e Novanta si è sostanzialmente limitata ad offrire “programmi-contenitore” basati su un mix di giochi, cartoni, quiz, sigle e, ovviamente, tanti spot pubblicitari. È il caso, ad esempio, di Bim Bum Bam, Solletico, Ciao Ciao. L’allestimento di questi spazi-contenitore ha obbedito talora a strategie di tematizzazione, volte a dare continuità alle varie trasmissioni; si pensi, ad esempio, a Disney Club. Quanto alla fiction di animazione seriale vanno distinti: Un filone fantascientifico e robotico, come Dragonball o i Pokemon Un filone drammatico/sentimentale come Kiss me Licia o Piccoli problemi di cuore Un filone di eroi e di eroine, come Sailor Moon. Accanto alla fiction di animazione, le Tv commerciali propongono anche fiction realistiche: sulla vita familiare, come Arnold; sui giovani, come Friends; sul repertorio comico, come Willie, il principe di Bel Air o Settimo Cielo. Anche la programmazione degli anni Novanta risulta condizionata, sul piano contenutistico e formale della fiction dei Kiddy Talls: si pensi a Streghe o Charlie’s Angeles, che corrispondono alla fiction di animazione nipponica degli anni Settanta. Al genere soap sentimentale vanno ricondotti Beverly Hylls 902100 e Primi Baci. 80 Farnè R. – Ghepardi V. (a cura di), All’ombra di un Albero Azzurro, Clueb Bologna, 1994, p. 46. 83 Per fronteggiare le proposte delle emittenti private, negli anni Ottanta la Rai decise di porre fine alla concorrenza interna, per cui Raiuno mantenne la programmazione pomeridiana per ragazzi, Raidue propose di mattina programmi specifici per bambini e Raitre non fece programmazioni per l’infanzia. L’unificazione della programmazione delle due reti nazionali si deve ad un programma di grande qualità, L’Albero Azzurro, trasmesso di mattina da Raidue e di pomeriggio da Raiuno. Questa trasmissione ripropone l’orientamento d’intrattenimento e di gioco educativo proprio dalla televisione anteriore alla Riforma. Il successo dell’Albero Azzurro portò alla realizzazione di altri fortunati programmi, come La Melevisione, Le storie del Fantabosco, Tg Ragazzi e Screensaver, che avevano i loro punti di forza nella centralità del gioco e nel fascino della narrazione. Un’ultima riflessione va fatta a proposito della programmazione specifica per adolescenti: le proposte televisive in proposito – le cosiddette reality fiction – risultano veramente marginali e forse incapaci di rispondere alle reali esigenze di questo settore di pubblico. In particolare il contenuto di queste fiction seriali sembra risentire del consumismo e di tutti i disvalori etici propri di una società, come la nostra, attenta più all’apparenza che alla sostanza. Così i protagonisti della fiction sentimentale vivono immersi nel presente e nella quotidianità, senza alcuna attenzione per la progettualità futura. La rappresentazione della famiglia scompare per lasciar posto ai problemi relazionali con il gruppo dei pari. Nella graduatoria dei valori, spiccano l’edonismo, l’individualismo, la ricchezza, la bellezza. 84 Possono considerarsi una degenerazione della reality fiction Grande Fratello, L’isola dei Famosi e tutti quei programmi, fondati sulla telepresenza e caratterizzati da una pericolosa confusione tra realtà e artificio. Ma questa non è televisione, perché la televisione deve essere fatta da professionisti che conoscono bene il mondo dell’offerta e quello della fruizione. 85 Capitolo Quarto Per una educazione all’uso dei media 86 4.1 La potenzialità educativa della televisione Aiutare il bambino a usare il medium televisivo nel modo migliore possibile e a sfruttare la Tv come sostegno per la didattica curricolare è sicuramente un obiettivo prioritario dell’educazione nella società contemporanea. Sono tanti i vantaggi, che la televisione, a dispetto dei suoi numerosi denigratori, offre ai piccoli telespettatori: essa è fonte di piacere, di evasione, ma anche di stimolo a nuove conoscenze. Particolarmente affascinante risulta per i bambini l’immagine, capace di evocare qualsiasi realtà e più efficace di mille parole, specie per chi, essendo in età prescolare, con le parole ha qualche problema. Immagini, costumi, musiche, scene: tutto diventa per i bambini una magia, una fonte di piacere, che spesso condividono con le famiglie. Qualunque sia il programma scelto, la Tv contribuisce a stimolare l’intelligenza dei piccoli e ad arricchire il loro vocabolario. Contrariamente a quanto si pensa, la televisione potrebbe diventare l’input con cui avvicinare i bambini alla lettura: vedere un’opera è più facile 87 che leggerla, ma il vederla è spesso una spinta per andarla a leggere. Consentendo ai bambini di scoprire il mondo, la Tv potrebbe essere considerata una finestra, che consente loro di scoprire ciò che li circonda, dall’ambiente più vicino a quello più lontano. Si tratta di considerazioni semplici, ma significativo, perché aiutano a capire che la televisione non è un problema; il problema è, caso mai, quello di farne un buon uso e per questo è necessario stabilire alcune regole: non porre il televisore nel posto in cui la famiglia passa la maggior parte del tempo, nella sala da pranzo o nella cameretta dei bambini. Il posto migliore per la televisione è un angolo decentrato della casa, dove bisogna spostarsi per guardarla: Decidere con i bambini quali programmi guarderanno Abituarsi a guardare insieme i programmi e a commentarli Rivalutare la funzione del videoregistratore e del lettore di dvd, che consentono di guardare in qualsiasi orario ciò che piace e senza l’invadenza degli spot pubblicitari Fissare dei limiti di visione, nell’interesse primario dei bambini, che possono far così altre cose Riconciliare il piacere della televisione con il gusto della lettura Fare della televisione un sostegno pedagogico e didattico a casa così come anche a scuola Un caso a parte è rappresentato dall’uso terapeutico che di alcuni programmi che hanno fatto alcuni pedagogisti e danzamovimentoterapeuti dell’Istituto di Ortofonologia di Roma81. 81 Di Quirico A., Bambino batte televisione 10 a 1, in Mente e cervello n.15 maggio/giugno 2005. 88 Facendo leva sul successo riscosso dalla trasmissione televisiva Wrestling, questi terapeuti hanno aiutato ragazzi e adolescenti a superare i propri disagi emotivi. Sfruttando il processo di identificazione di ogni bambino con un eroe del Wrestling, i terapeuti hanno assecondato l’azione della lotta fino a trasformarla da schema in gioco e linguaggio del corpo. Si è voluto riportare quest’esempio per far capire che ogni tipo di proposta televisiva può divenire, per abili educatori, sempre e comunque occasione, di studi per migliorare e migliorarsi. Di fronte a queste sollecitazioni, è veramente difficile negare a questo medium un potenziale educativo ed è significativo che anche Popper, rappresentante emblematico della “cattiva maestra televisione”, non esclude che essa possa essere, potenzialmente, una forza per il bene. Il suo ruolo ad esempio potrebbe essere insostituibile nel contribuire alla realizzazione della democrazia, la cui idea fondamentale è quella di far crescere l’educazione generale, offrendo a tutti opportunità sempre migliori. L’idea della patente ideale per fare Tv è dettata proprio dalla funzione educativa che, volenti o nolenti, si trovano a svolgere gli operatori del settore televisivo. È significativo che tra i nuclei fondamentali del percorso didattico loro destinato, lo studioso ponga: la promozione di valori civili orientati alla non violenza la conoscenza dei processi di ricezione del prodotto televisivo da parte dei bambini la proposta di cambiamenti adeguati. Un importante contributo in tal senso dovrebbe venire dalla società, attraverso la pianificazione di percorsi formativi specifici. 89 Tra le sperimentazioni più valide, va ricordata la costruzione, da parte di Katia Branduardi e Walter Moro, di un intero curriculum basato sull’educazione ai media82. Obiettivi di questo percorso guidato risultano essere: “Fornire strumenti per abituare il bambino ad avere un rapporto interattivo con la Tv, basato sulla capacità di saper scegliere e distinguere i programmi emotivi da quelli informativi, di saper leggere cognitivamente i testi, che abitualmente egli fruisce attraverso un approccio basato sulla capacità di saper descrivere, riflettere, ricavare ed interpretare in modo critico ciò che vede sullo schermo”83. Non si tratta certo di compiti facili, anche perché la scuola ha scarso controllo su un’esperienza che è squisitamente extrascolastica. Accade così che i consigli dei docenti non sono considerati cogenti dai bambini, tanto più che per loro la conoscenza di ciò che la Tv propone è indispensabile per conversare con gli altri, dimostrarsi aggiornati e insomma socializzare. Altro intervento importante, in ambito di educazione alla Tv, è la cosiddetta “dieta televisiva”, proposta da E. Menduni84. L’esperimento, che ha coinvolto anche l’Università di Siena, ha mostrato una consistente diminuzione del consumo televisivo e un progressivo miglioramento degli stili di fruizione. 82 Rosaria Sardo, Marco Centorrino, Giovanni Caviezel, Dall’Albero Azzurro a Zeling: Modelli e Linguaggio della Tv vista dai bambini, Rubbettino editore, 2004. 83 Ibidem, p. 19. 84 E. Menduni, “Esperienze di media education promosse nell’ambito del corso di Laurea in Scienze della Comunicazione dell’Università di Siena”, Annali della Facoltà di Lettere dell’Università di Siena, pp. 323 - 342. 90 Anche l’Università potrebbe dare un valido contributo a tale problematica, attraverso la formazione dei futuri autori e produttori di testi televisivi nonché dei possibili responsabili dell’analisi e del controllo dei contenuti. Un’esperienza significativa in tal senso risulta la predisposizione del laboratorio “La tv per bambini e ragazzi: modalità di ricezione e linguaggi” tenutosi presso l’Università di Catania nella primavera del 2004. L’intervento, mirato alla costruzione e produzione di format per l’infanzia, sia pure nei limiti di una simulazione, è riuscito a formare, attraverso strumenti concettuali e competenze tecniche di sociologia e di linguistica, degli operatori della comunicazione professionalmente e culturalmente adeguati. Altra voce significativa, all’interno del dibattito sulla potenzialità educativa della Tv, è rappresentata da Farnè, il quale sostiene la necessità che i futuri programmatori di format costruiscano prodotti veramente dedicati all’infanzia e non semplicemente modellati secondo quanto piace all’infanzia85. In altri termini, sarebbe ora di rinunciare a fare programmi, che usano l’aspetto ludico, la simpatia, il divertimento, la semplificazione dicotomica delle emozioni: amore/odio; buoni/cattivi. Oggi si investe poco nella produzione di programmi specificamente dedicati all’infanzia; si preferisce acquistare cartoni animati anche di scarsa qualità contenutistica e si finisce per orientare i bambini a scegliere programmi per adulti, opportunamente resi childlike. 85 R. Farnè, Buona Maestra Tv. La RAI e l’educazione da Non è mai troppo tardi a Quark, Carocci, Roma, 2003. 91 Anche un altro padre della televisione, Renzo Salvi, parla di “poca inventiva nella scarsa proposta televisiva per i bambini e i ragazzi”86. I bambini dovrebbero invece ritrovare il gusto di scoprire qualcosa di nuovo attraverso la Tv, visto che essa possiede “le risorse tecnologiche e creative per elaborare un proprio linguaggio didattico, declinato su format televisivi diversi”87. Nessuno ovviamente pensa e pretende che la tv debba trasformarsi in “agenzia educativa che sostituisce nei loro ruoli famiglia e scuola”88, ma è lecito aspettarsi che dalla riflessione critica sul problema formativo di chi si occupa di tv discenda la produzione di programmi autenticamente destinati a questa fascia di età. 86 R. Salvi, Se non la smetti ti spengo, Cittadella Editrice, Assisi, 2001, p. 24. R. Farnè, Buona Maestra Tv. La RAI e l’educazione da Non è mai troppo tardi a Quark, Carocci, Roma, 2003, p. 75. 88 C. Coggi, Valutare la tv dei bambini.Vie alla qualità e all’uso educativo, Franco Angeli, Milano, 2003, p. 140. 87 92 4.2 La potenzialità educativa della pubblicità Tra i motivi più discussi del fenomeno di esposizione nociva dei bambini alla Tv c’è senza dubbio la pubblicità, in riferimento al suo carattere di persuasore potente tanto più negativo tanto più i fruitori sono fragili, privi cioè di una personalità forte, capace di “difendersi” da stimoli negativi di varia natura e tipologia. Scopo del presente paragrafo è, invece, dimostrare come questa considerazione sia generica e superficiale, perché anche la pubblicità ha un potenziale educativo positivo. In particolare essa, per i linguaggi che usa, appare un genere televisivo molto adatto ai bambini. È luogo comune sottolineare il rischio che i messaggi pubblicitari agiscano come persuasori occulti nella mente dei piccoli, come un lavaggio del cervello, che supera le loro deboli difese cognitive ed emozionali. Tuttavia ricerche recenti con intento scientifico, a partire da Mario Morcellini, invitano a non considerare più i bambini come creature indifese, come fruitori passivi. Essi, al contrario, come è stato dimostrato nel capitolo 93 primo89, dispongono, già in età prescolare, di apprezzabili competenze operative sui vecchi e sui nuovi media, almeno confrontabili con quelle dei familiari. Essi sarebbero capaci di individuare i messaggi pubblicitari e decidere se e fino a che punto prestarvi fede. Che ci sia una volontà selettiva nella scelta di vedere lo spot pubblicitario lo dimostra il fatto che per alcune pubblicità l’audience è elevato, per altre basso. Si considerino i dati sulla visione di spot da parte dei bambini90: Tabella n.1 Break % di minori di età compresa tra i 4 e i 7 anni davanti al programma prima del break 16.06 - 16.09 Canale 5 86 16,32 - 16,35 Canale 5 115 16,38 - 16,40 Raiuno* 90 16,39 - 16,42 Canale 5* 104 * Concorrenza 89 Cf. 1.2. Roberto Miletto, Alessandra Bellotti, I bambini e la pubblicità, come rendere educativo il messaggio pubblicitario, Armando Editore 2003, p. 31. 90 94 A questo punto appare più proficuo riflettere sul perché la pubblicità piace ai bambini. I motivi sono molteplici tanto da indurci a presentarli in elenco: I messaggi pubblicitari hanno delle caratteristiche, che sono proprie di una cultura, per così dire, “primitiva”, improntata all’oralità Le parole sono molto legate al contesto e rafforzate dai linguaggi non verbali, come la mimica, la gestualità, la musica Le strutture sintattiche utilizzate sono semplici Negli spot pubblicitari c’è uso frequente di slogan e frase fatte, che facilitano la comprensione e la memorizzazione. Come si vede, il linguaggio pubblicitario è perfettamente rispondente al tipo di comunicazione utilizzata dai bambini non alfabetizzati, per i quali la lingua scritta può essere significativa nella misura in cui è legata ad un contesto orale e ai linguaggi non verbali. Sulla base di queste considerazioni, sono in tanti a vedere nella pubblicità un’occasione formativa positiva anche nella scuola dell’infanzia. Particolarmente significativa risulta, in proposito, la proposta di Roberto Milletto e Alessandra Bellotti (rispettivamente neuropsichiatria infantile e psicologa clinica e di comunità) di un itinerario che, proprio attraverso la visione di spot pubblicitari, porti gli alunni della scuola dell’infanzia dal disegno al segno91. Obiettivi formativi di tale percorso sarebbero: far capire che le scritture sono oggetti pieni di significato; sviluppare la motivazione a scoprirli con operazioni che, prima di essere linguistiche, sono cognitive; abituare a considerare le scritture come oggetti da riprodurre fedelmente. 91 Cfr. Ibidem. 95 Ovviamente non tutti gli spot si prestano ad essere utilizzati in senso formativo; spetta agli educatori selezionare quelli che presentano un racconto gradevole nei linguaggi, per immagini e parole e si svolgono in un contesto adeguato ai bambini, (per esempio una maestra coi suoi piccoli allievi). Dal punto di vista metodologico, si dovrà rispettare sempre lo stesso iter: proporre e riproporre ripetutamente lo stesso spot; procedere all’analisi, in gruppo, della comprensione del filmato. La pubblicità costituisce, inoltre, una valida occasione per un lavoro metalinguistico, rispondendo così alle sollecitazioni che in tal senso provengono dalla didattica del metalinguaggio92, la quale insiste sulla necessità di far superare ai bambini l’idea che la parola sia non distinta e non separata dal proprio referente. La pubblicità, infatti, offre anche, a questo riguardo, abbondante materiale di supporto per far capire ai bambini che lo stesso oggetto può essere indicato con tanti nomi diversi. C’è di più! Gli spot pubblicitari sono significativi anche per gli spunti educativi che offrono: le relazioni familiari, il rispetto della natura e così via. Un compito più complesso ma, molto utile sarebbe quello di indurre i bambini a costruire dei testi pubblicitari. Ovviamente non si utilizzerà il canale audiovisivo, ma la carta. L’insegnante guiderà i piccoli allievi a costruire un annuncio pubblicitario elementare, mediante il quale essi dovranno convincere i consumatori ad acquistare un prodotto specifico; si tratta di un operazione 92 Grazzani Gavazzi I. e Tramarini M., La costruzione del nome nei bambini, consapevolezza del linguaggio e discussione a scuola, in “Psicologia dell’educazione e formazione”, 2000, pp. 235 - 240. 96 complessa perché presuppone la capacità di conoscere ciò che il consumatore pensa, in modo da “dire” le cose più adatte a convincerlo. Questo sforzo di “mettersi nei panni del consumatore” può diventare una preziosa opportunità di crescita per i bambini, perché richiede un impegno metacognitivo. Dalle differenze tra la pubblicità dello schermo e la pubblicità della carta, i bambini saranno inoltre portati a capire o intuire l’importanza che il canale ha nella comunicazione. In Tv lo spot ha suoni, azioni, successione temporale; nel cartellone esso è fisso, basato solo su immagini e testo. Sulla base di queste considerazioni, è possibile concludere che la pubblicità, più che un limite della Tv odierna rappresenta una risorsa, una opportunità formativa ed educativa degna di divenire, in virtù della congruenza, tra strutture degli spot e strutture cognitive e linguistiche dei bambini in età prescolare, oggetto di efficaci percorsi didattici nella scuola dell’infanzia. Chiudiamo il paragrafo con una riflessione sulla Pubblicità Progresso, un’associazione di tipo volontaristico, nata nel 1971, allo scopo di promuovere campagne pubblicitarie con fini educativi e civili. Oggetto e soggetto delle campagne, condotte da Pubblicità Progresso, sono importanti temi sociali, come il volontariato, la solidarietà verso i portatori di handicap e gli anziani, la lotta contro il razzismo, la promozione del patrimonio naturale e culturale del nostro paese. 97 4.3 La potenzialità educativa del multimediale Oggi non è più possibile ignorare il posto che il multimediale occupa nella nostra società e nella vita dei bambini. Il computer trova ormai posto in quasi tutte le case; il cdrom è un oggetto familiare; tutti conoscono quali possibilità straordinarie offra un collegamento ad internet. È facile capire dunque quali opportunità il multimediale possa offrire ai bambini, rappresentando un metodo di apprendimento nuovo, vivace, ludico. Ovviamente nessuno pensa che giocare col computer significa di per sé acquisire nuove conoscenze. Al contrario, anche in questo caso, è essenziale la guida di educatori, che insegnino loro ad apprendere con il multimediale. Già prima di entrare nella scuola dell’infanzia, i bambini hanno alle spalle significative esperienze di frequentazioni di Tv, videogiochi, cinema, computer. La capacità manuale, con cui manovrano telecomandi, mouse, e joystick, è veramente sorprendente. 98 Altrettanto significativo è l’entusiasmo con cui i bambini si accostano a qualsiasi “macchina” per giocare o imparare. Non si dimentichi comunque che, per quanto offra elevate prestazioni, il computer resta pur sempre uno strumento “complementare” e non alternativo a tutti gli altri strumenti di apprendimento, che i piccoli hanno a disposizione: libri, cinema, televisione. È altresì necessario che l’approccio al multimediale sia guidato dagli adulti. Le statistiche evidenziano che i bambini adorano soprattutto i giochi sia che si tratti del Game boy sia che si tratti della consolle, la famosa Playstation. Nella scelta dei giochi è opportuno che ci sia lo sguardo vigile degli adulti, i quali possono, a loro volta, essere guidati dalle raccomandazioni riportate sulle confezioni e sulle istruzioni delle confezioni. È bene evitare giochi odiosi e crudeli e tener conto della fascia di età cui i giochi sono destinati. Occorre poi definire il tempo massimo consentito per l’utilizzazione del gioco e ciò al fine di ridurre i rischi comunque legati ad un uso generalizzato dei videogiochi. È doveroso sottolineare in proposito che la stampa ha riportato casi di epilessia provocati, in soggetti fotosensibili, dall’eccesso di luci e figure contrastanti, che animano i videogiochi. Eccone qualche esempio: Molti giocano fino all’autodistruzione. Malati da videogames: boom di cliniche La Repubblica, 13 giugno 2006 99 Giochi di ruolo: la clinica per disintossicarsi dai giochi virtuali. I sintomi di assuefazione. Il giocatore non studia, non lavora e trascura ogni attività e persino i bisogni primari, mangiare e dormire. Corriere della Sera, 13 giugno 2006 Lo schiavo del videogiochi Nicolò Amanti racconta la sua ossessione virtuale: ho rischiato di non fare lo scrittore La Repubblica, 23 novembre 2005 Mamma, mi fa male il videogame Alla vigilia dell’uscita di una nuova consolle s’infiamma il dibattito tra sostenitori e nemici dei giochi elettronici. La Stampa, 7 agosto 2005 Un altro rischio è che si perda quel contatto fisico, che è fondamentale per lo sviluppo della personalità di un bambino, che ha assolutamente bisogno di essere in contatto fisico con la materia e con le altre persone. Se si usano queste precauzioni, il multimediale può diventare uno strumento al servizio di una pedagogia molto attiva e attraente, quanto il principio base di ogni software ludo-educativo è quello di far apprendere i bambini divertendosi. 100 C’è di più! È stato ampiamente dimostrato che più si riesce a coinvolgere gli educandi nel processo di apprendimento, più essi imparano mediante la dimensione ludica; il multimediale riesce, a far eseguire ai bambini anche i compiti più ripetitivi e noiosi, a farli lavorare di più e meglio. Si pensi ancora a quanto prezioso può essere il ricorso al computer a scuola: nell’apprendimento delle Lingue straniere, per gli esercizi di comprensione e di espressione orale; in Scienze, per gli esperimenti virtuali; in qualsiasi tipo di ricerca mediante internet. Non è dunque l’informazione che è diversa, ma il modo di accedervi e di presentarla. In questo senso uno degli aspetti più affascinanti del multimediale è per i bambini – e non solo! – la capacità di sperimentare diverse situazioni e informazioni in maniera virtuale. In tutto questo l’insegnante, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, ha un ruolo fondamentale. È veramente ridicolo temere che la diffusione del computer e dei software sostituirà in un prossimo futuro la scuola! E non è certo un caso che questa abbia “aperto le porte” all’informatica, in considerazione della sua efficacia didattica, ma anche e al fine di dare a tutti gli alunni le stesse possibilità formative. Saper usare il pc è dunque un fatto positivo, a patto però che non si dimentichi che davanti alla macchina il bambino è solo e questo può rappresentare un limite per la comunicazione vera, da persona a persona. D’altra parte limitare gli insegnamenti ai soli pc sarebbe un grosso errore: apprendere non basta per far entrare nella testa dei ragazzi il maggior numero di nozioni possibili. 101 Occorrono infatti altri fattori: la motivazione, la voglia di imparare, le conoscenze già acquisite. A ciò si aggiunge il fatto che, riducendo i tempi di apprendimento, la macchina non consente quella riflessione che è indispensabile per imparare, capire, interiorizzare i concetti. “I bambini della televisione – ha scritto una psicologa – e domani quelli delle reti multimediali avranno menti mutilate se la loro cultura si limiterà a quella dello schermo e in particolare se mancherà loro la scrittura”93. Il multimediale è uno strumento formidabile con cui il bambino può giocare, scoprire, apprendere, scrivere; esso se ben usato, abitua alla concentrazione, potenzia la responsabilità di riflessi e favorisce una buona coordinazione psicomotoria. Un’offerta così ampia è garantita da una vasta gamma di cdrom, che coniugano generalmente l’utile al dilettevole, ossia l’aspetto ludico e quello educativo. Di grande aiuto può essere l’uso di cdrom specifici per favorire l’apprendimento in soggetti con difficoltà o demotivati. Ma si ricordi sempre che nessun cdrom è all’altezza del cervello umano e che il libro resta il miglior strumento esistente per sviluppare l’immaginazione. Nessuna macchina o nessun programma riuscirà a sostituire le immagini mentali che ognuno crea nella propria mente e che, sono le migliori, perché uniche. Unica è anche la piacevolezza che offre il contatto fisico che si ha con il libro, un contatto impossibile con un supporto tecnologico. A differenza del cdrom, che ha il difetto di invecchiare presto per l’evoluzione dell’informatica, un libro può leggersi anche a distanza di secoli. 93 Monique Brach Lehur in R. Kodsi, Prof pc, maestra tv,Editrice Pisani, Isola del Liri, 2006, cit. p. 40. 102 Ci resta da far riferimento all’utilità che internet può avere per i bambini. Nessuno dubita della straordinaria potenzialità di questa “biblioteca virtuale” a scala planetaria; del carattere formidabile che questo mezzo ha per la comunicazione istantanea, ma è necessario tener conto anche dei rischi ad esso legati, tanto maggiori quanto più è bassa l’età dei fruitori. Chiunque può creare un sito in internet con tutti i pericoli che una tale libertà presuppone sul piano della morale e dell’ideologia. Altra preoccupazione riguarda il problema delle fonti per cui gli adulti devono far capire ai ragazzi – cosa non sempre facile – che non tutto ciò che trovano in internet è necessariamente credibile. Occorre poi assolutamente impedire ai ragazzi di navigare alla cieca: per questo è necessario che ogni ricerca abbia uno scopo preciso e sia svolta in un tempo determinato. “La macchina – afferma in proposito il filosofo Claude Capelier – propone in blocco documentazioni, elementi, soluzioni tipo […]. Ma dall’altro lato non fornisce nessuna chiave per organizzarli e schematizzarli con un criterio”94. Per ridurre i rischi legati a internet sono state pensate diverse soluzioni: programmare il pc per impedire che i minori accedano ad internet in assenza di adulti; istallare un software speciale per esempio Cyber Patrom, che blocca l’accesso a siti ambigui. Ma si tratta purtroppo di una protezione relativa, in quanto richiede un aggiornamento continuo della lista dei siti, che, oltre ad essere molto lunga cambia continuamente. 94 Cf. Ibidem, p. 35. 103 I rischi come si vede non mancano, ma non mancano neanche i vantaggi per cui, anche riguardo al multimediale, occorre porsi in maniera “intelligente”: niente facili allarmismi e niente facili entusiasmi! 104 4.4 Scuola e universo multimediale Parallelamente alle evoluzione della nostra società anche il nostro sistema scolastico si è evoluto nell’organizzazione, nei metodi e nei contenuti. La didattica tradizionale ha inteso celebrare l’azione dell’insegnamento e del libro, riconosciuti depositare di un sapere storicizzato e condiviso da tutti. Oggi la concezione dell’insegnamento pensato in forma di libro è stata decisamente superata così come sono stati superati i modelli pedagogici tradizionali. Oggi la scuola non và più pensata come luogo in cui si impara a leggere, scrivere e fare i conti perché questo nella scuola del Duemila non può più bastare per cui lo stesso sistema formativo va concepito come sistema formativo integrato cioè aperto all’extrascuola. D’altra parte sappiamo che lo stesso concetto di educazione varia in rapporto all’evoluzione della società. Occorre pertanto riflettere innanzitutto sull’identità dell’individuo, sulle caratteristiche della società italiana contemporanea e sui processi di globalizzazione, che investono non solo la politica e l’economia, ma anche la cultura e la comunicazione. 105 Ne consegue la necessità che la scuola risponde alla sfida posta dall’innovazione tecnologica e dalla moltiplicazione delle fonti d’informazione. I continui mutamenti pongono all’individuo problemi di adeguamento sempre nuovi. La scuola non è oggi il veicolo principale del sapere: i ragazzi vengono a scuola dopo aver visto molta televisione e operato col computer e quindi hanno una percezione del mondo più ricca e mediata di una volta. Questo la scuola non può e non deve ignorarlo: ecco perché dispone di vari strumenti e mezzi, dai libri ai video registratori, dai computer ai cdrom e sono ormai poche le scuole che non dispongono di aule multimediali. Tutto ciò è molto importante perché ha creato un crescente bisogno di alfabetizzazione informatica, al quale i curricoli scolastici devono fornire una risposta adeguata nella consapevolezza che i bambini devono essere preparati a vivere da protagonisti in una società, nella quale l’uso dei computer è destinata a diffondersi a macchia d’olio in settori sempre più in numerosi: dall’economia alla produzione, dai mass media al tempo libero, dall’amministrazione pubblica e privata alla vita quotidiana e alle abitudine domestiche. L’uomo tecnologicamente impreparato potrebbe trovarsi, nel prossimo futuro, in una situazione di emarginazione assai più imbarazzante di quanto non accade oggi per l’analfabeta. Tale emarginazione verrebbe ovviamente a riguardare anche la possibilità di lavoro e di sviluppo professionale in quanto nella società postindustriale verranno sempre più richieste competenza ed abilità ad elevata specializzazione tecnologica. L’utilizzazione a scuola degli strumenti ad alta tecnologia elettronica potrebbe inoltre contribuire in modo determinante ad ottimizzare i risultati dei processi di apprendimento per gli alunni, ma anche per gli insegnanti ove si 106 pensi alla possibilità di aggiornarsi fruendo delle strutture e degli strumenti più qualificati. La possibilità di interagire con le intelligenze artificiali dei computer potrebbe favorire il potenziamento delle capacità di simbolizzazione di astrazione e di ragionamento. Ecco perché l’introduzione nei curricoli scolastici degli elementi basilari dell’informatica direttamente correlati allo apprendimento delle abilità necessarie per l’uso dei computer contribuisce a rinvigorire la funzione sociale ed educativa della scuola. Questa la genesi dell’introduzione della multimedialità a scuola, destinata a divenire motore trainante di un processo di revisione dei modi di fare scuola. Si pongono cosi nuove finalità e più congruenti obiettivi didattici. Tutto ciò, ovviamente, è fattibile nella misura in cui gli insegnanti abbiano, per così dire, la chiave di accesso alla cultura di oggi e di domani, e che siano pronti a trasferire le grandi potenzialità della multimedialità nella pratica didattica. Ciò implica il rinnovamento dell’impianto didattico attraverso i processi di autonomia, di flessibilità operativa, di formazione docente e presuppone un alunno “multimediale”, che attraverso percorsi flessibili e aperti e mediante i vari linguaggi multimediali (word, internet, software, ipertestuali) attua la costruzione di nuovi concetti, acquisisce nuove conoscenze e ricerca nuove informazioni. Si tratta di un apprendimento interdisciplinare, collaborativo, prevenire attraverso un ipertesto. significativo, esplorativo, contestualizzato e a questo l’alunno può 107 Si tratta di un testo particolare: i suoi contenuti sono rappresentati da informazioni dette nodi e legami di varia natura detti links, gli uni (nodi) e gli altri (i legami) si risolvono in suoni, immagini, testi e grafici. Accanto ai contenuti va considerato l’interfaccia che attraverso le grafiche ha il compito di coinvolgere attivamente l’alunno; infine occorre far riferimento agli strumenti relativi alle modalità di navigazione, che affascinando l’operatore, nel nostro caso l’alunno ha il pregio di coinvolgerlo e motivarlo all’apprendimento. Insomma, l’introduzione della multimedialità a scuola è positiva non di per sé, ma nella misura in cui si risolve in azione vantaggiosa per i processi di apprendimento, che devono essere facilitati e semplificati in modo da essere significativi per quanti ne facciano un uso intelligente e non un abuso più o meno meccanico e artificioso. 108 4.5 Rispetto e tutela dei minori L’attenzione ai diritti dell’infanzia e quindi la necessità di seguire linee guida per una corretta pratica del “fare Tv” per bambini sono oggetto di molteplici documenti internazionali. Tale problematica risulta articolata attorno a tre nuclei principali: L’integrazione attiva tra bambini e media. La protezione dei bambini rispetto alle possibili influenze negative dei media. Il rapporto tra i media e l’immagine dell’infanzia nella società. In Italia l’attenzione degli organismi statali e non statali si è concentrata principalmente sul secondo punto. Su questa linea la Presidenza del Consiglio, attraverso diversi Codici di comportamento, ha emanato i seguenti provvedimenti: il rafforzamento delle fasce televisive protette dalle 16:00 alle 19:00, con controllo della pubblicità e dei contenuti stessi; la programmazione per “famiglie” di almeno un’emittente per gruppo nelle fasce serali prime time, 109 l’invito a migliorare la qualità delle trasmissioni per bambini, nel tentativo di aiutarli a conoscere la vita e ad affrontare i problemi95. Il sistema di protezione, basato sulle fasce orarie di speciale programmazione, è una sorta di contratto tra emittenti e telespettatori circa la non trasmissibilità di certi contenuti in certi momenti della giornata. Questo sistema assolve ad una importante funzione “sociale” di protezione, perché consente di tutelare anche quei minori, che sono lasciati liberi di guardare in Tv ciò che vogliono. Condizione indispensabile perché questo sistema funzioni è però che ci sia una reale corrispondenza tra i momenti di fascia protetta e quelli in cui si concentra la maggiore fruizione televisiva dei bambini. Ma questo presupposto generalmente manca. Una rielaborazione dei dati Auditel del marzo del 2003, dimostra che l’ascolto si concentra soprattutto nelle fasce serali ed è prevalentemente familiare: un buon 5% dei bambini, tuttavia, risulta guardare la Tv oltre la fascia protetta e senza un adulto vicino96. Certo c’è sempre il processo di raiting, ossia il sistema dei bollini, ormai percepiti da adulti e bambini come parte integrante della struttura testuale del programma, ma è bene precisare che il bollino è funzionale più agli adulti che ai piccoli, per i quali esso risulta ora di stimolo alla curiosità, ora addirittura di sfida nei confronti dei genitori, per cui quando essi non sono in casa, il bollino rosso finisce per diventare motivo di scelta del programma! Questi documenti si limitano, insomma, a posizioni di facciata, relative agli orari di programmazione o al sistema dei bollini, senza far riferimento ad aspetti ben più “pericolosi”. 95 96 Cfr. Eurispes – Telefono Azzurro, 2003. Cf. Ibidem. 110 I bambini dovrebbero essere tutelati, in primo luogo, dai seri problemi che il medium provoca nello sviluppo di un corretto rapporto con le coordinate spazio-temporali. Le caratteristiche strutturali del medium, quali la serialità della programmazione e la necessità di setting ripetitivi, impongono infatti di intervenire sul “tempo” e sullo “spazio”, falsandoli. Al contrario del dinamismo della società contemporanea, il tempo della Tv è ciclico e statico, non ci sono rapporti di causa-effetto, ma collegamenti a catena di un episodio con la puntata precedente e col ciclo. Anche relativamente allo spazio la televisione, per assicurare un rituale rassicurante, è indotta a ripetere sempre i medesimi scenari. Nonostante queste interessanti sollecitazioni del dibattito e l’azione di validi organismi come l’ECTC (European Children’s Television Center), non ci sono ancora in Italia incentivi per una buona produzione televisiva e non risultano fissati canoni, se non generici, che qualificano un programma idoneo ad un pubblico infantile né tanto meno i criteri di una concreta educazione all’uso e al consumo della Tv. Sui tempi di visione, basterà dire che il carattere invasivo della televisione è ormai tale che qualcuno ha addirittura pensato di proteggersi inventando una sorte di telecomando, che oscura tutti i video. La notizia è apparsa sul Corriere della Sera di qualche mese fa, a firma di Aldo Grasso: Spegni tutte le Tv che incontri. Tv–B- Gone, il giocominaccia Il nuovo congegno, inventato da Mitch Altman, è grande come un portachiavi e racchiude in un clip un patrimonio di 200 codici capace di 111 spegnere mille modelli diversi di televisori, da quelli del bar a quelli delle sale d’aspetto degli aeroporti. Al momento è in commercio negli Usa, al prezzo di 14,99 dollari. Al di là di questi paradossi, quel che in questa sede è importante sottolineare è che la Tv non sembra affatto tutelare i minori neppure nelle ore di fascia protetta, dalle ore 16:00 alle 19:00. Il monitoraggio del Comitato di controllo per la tutela dei minori in Tv ha portato ad un risultato allarmante. “Dal Wrestling al Gossip la Tv non tutela i minori”: così il Corriere della Sera del 14 gennaio 2006. Bocciate le reti pubbliche e private, molte le violazioni e una sola certezza: ancora non si è radicata una cultura televisiva che rispetti e tuteli i più giovani97 . A noi non resta che prendere atto del fatto che un’inosservanza tanto frequente del Codice Tv e minori si risolva in mero rimprovero e constatare che, nell’ambito della protezione dei minori, è ancora la famiglia ad esercitare il ruolo più significativo. Abbiamo già detto che a partire dal momento del pranzo, il bambino è coinvolto in una visione televisiva, che potremmo definire collettiva. Si considerino in proposito i dati relativi alla visione “familiare” della Tv98. 97 98 Ibidem Dati Auditel della stagione 2003. 112 Tabella n. 2 Classi di età Mattina In Ora di Primo appena mattinata pranzo pomeriggio alzati Tardo pomeriggio Ora Dopo Di di cena notte cena 3 - 5 soli 13,8 9 1,5 20,4 17,1 1,2 0,8 0,1 3 - 5 con familiari 11,6 6,2 15,4 34,7 43,8 40,1 20,1 0,2 6 - 10 soli 13,4 1,6 2 23,9 23,4 1,8 2,2 0,1 6 - 10 con familiari 10,2 1,5 24,3 32,6 41,7 55,7 39,2 0,2 11 - 14 soli 8,7 1,6 3,2 26,4 24,7 1,6 5,1 0,5 11 - 14 con familiari 6,5 0,8 32,3 25,4 32,6 65,5 61,7 0,4 Dai dati riportati risulta che i bambini guardano soprattutto la televisione con i familiari. Questa abitudine viene generalmente accoppiata a funzioni di controllo nei confronti dei bambini. Le ricerche sul rapporto Tv-bambini mostrano, invece, che alla base di questa abitudine non c’è tanto l’influenza della famiglia in merito a funzioni di controllo, quanto piuttosto una coincidenza tra impegni dei genitori e impegni dei figli99. 99 R. Silvestrone , Televisione e vita quotidiana, Il Mulino, Bologna, 2000. 113 Una particolare attenzione va riservata alla visione dei programmi violenti in quanto “le immagini forti - come hanno ben sottolineato due importanti psicologi francesi – hanno un impatto particolarmente rilevante sull’animo del bambino, che sta ancora identificando e mettendo a punto i modelli di comportamento da adottare”100. Da recenti ricerche con intento scientifico risulta che l’esposizione ad immagini violente aumenta comunque il tasso di criminalità. L’iniziazione alla violenza, la disinibizione e la desensibilizzazione al dolore degli altri sono per gli psicologi i meccanismi attraverso cui la visione di spettacoli brutali facilita e in qualche modo legittima il ricorso alla violenza. Proponendo scene violente, la Tv mette il bambino in contatto col sangue e la violenza, quindi gli presenta la possibilità di agire violentemente attraverso l’identificazione con l’aggressore. Altrettanto pericolosa è sul piano psicologico, l’identificazione con la vittima: in questo caso si rischia di vivere con la paura di rimanere vittima di aggressioni e di diventare molto diffidenti nei confronti del prossimo. Relativamente alle proposte televisive di contenuto violento, occorre spendere qualche parola sul Wrestling. Pare infatti che questa trasmissione più piace, più suscita polemiche. Si tratta, come è noto, di una lotta sul ring tra due o più uomini che se li danno di santa ragione. Per dare un’idea precisa di Accusa e Difesa ne riportiamo alcuni stralci di quotidiani: 100 Bègue L. – Gilles I., La televisione rende violenti, in “Mente e cervello”, n.15 maggiogiugno, 2005. 114 Corriere della Sera, 30 maggio 2005: I bambini e gli eroi del Wrestling. “Vietamoli”. “No, è un gioco”. Da una parte c’è chi ritiene inutile proibire giochi che simulano la lotta; sarebbero i bambini stessi ad aver inventato il Wrestling, azzuffandosi; in secondo, la difesa della libertà passerebbe anche attraverso la difesa del Wrestling. Sul versante opposto c’è chi ritiene nocivo che Sky e Italiauno mandino in onda una trasmissione del genere nelle fasce protette. I bambini sono così istigati a fare a pugni e, dal momento che non conoscono le tecniche, si fanno male. La Stampa, 22 giugno 2005. In un’intervista rilasciata a Giorgio Barberi, Morcellini precisa: “I bambini sanno che è tutto falso”. “Qualche rischio corre solo chi è affetto da disturbi della personalità o ha difficoltà a socializzare con gli altri” La Stampa, 16 novembre 2005. I campioni incontrano i bambini: “Non imitateci, sono botte finte”. 115 Anche per i giochi della playstation la situazione non è migliore: “25 to Life” Vince chi uccide più poliziotti. L’America si spacca su un videogiochi: i fautori insistono sul fatto che nessuno ha mai scientificamente dimostrato un legame tra contenuto violento e aumento dell’aggressività nella vita reale. Per i più, invece, un videogioco del genere non dovrebbe essere messo in commercio in quanto offensivo della morale pubblica. La Stampa, 22 giugno 2005 Videogame sulla strage al liceo Il sopravvissuto: gioco anch’io. Massacro di Columbine. I ragazzi imitano gli assassini Corriere della Sera, 21 maggio 2006 Sulla base di queste considerazioni la famiglia ha il dovere non tanto di impedire la visione di determinati programmi, quanto piuttosto di stimolare nei figli quelle competenze critiche che, sole, possano effettivamente limitare le conseguenze della violenza. “Parlare con i propri figli di un film, al quale si è assistito in loro compagnia, chiedere loro se ritengono una cosa buona agire in quel modo, o aiutarli a prendere coscienza del significato morale delle immagini trasmesse 116 fornisce armi per premunirsi contro gli effetti inconsci della violenza televisiva” 101. Anche riguardo al multimediale è necessario che la famiglia eserciti una efficace azione di controllo e di tutela dei figli. Parliamo, ad esempio, dei videogiochi: un bambino “non protetto” rischia di diventare dipendente fino al punto da restarne vittima. Ecco, in proposito, la stampa: Molti giocano fino all’autodistruzione. Malati da videogames: boom di cliniche La Repubblica, 13 giugno 2006 Giochi di ruolo: la clinica per disintossicarsi dai giochi virtuali. I sintomi di assuefazione. Il giocatore non studia, non lavora e trascura ogni attività e persino i bisogni primari, mangiare e dormire Corriere della Sera, 13 giugno 2006 Lo schiavo del videogiochi. Nicolò Amanti racconta la sua ossessione virtuale: ho rischiato di non fare lo scrittore La Repubblica, 23 novembre 2005 101 Cfr. Ibidem 117 Mamma, mi fa male il videogame. Alla vigilia dell’uscita di una nuova consolle, s’infiamma il dibattito tra sostenitori e nemici dei giochi elettronici. La Stampa, 7 agosto 2005 Grande sarebbe pure la responsabilità, dei media in generale e della televisione in particolare, in merito all’aumento del fenomeno del bullismo tra i ragazzi. Così ad esempio nella Repubblica del 14 maggio 2005: “Piccoli bulli crescono con la Tv e i videogiochi”. Alla base di tutto ci sarebbe infatti il gusto della sopraffazione, che continua ad essere la nota dominante di tanta Tv e Play Station. Anche internet deve essere oggetto di grande attenzione. Sappiamo bene che, quando si inizia a navigare non si sa mai dove si possa andare a finire: da qui la necessità di impedire la così detta “navigazione alla cieca”. I siti ambigui sono numerosi e alcuni possono essere scioccanti per il contenuto violento, pornografico, razzista ecc.. Da qui la necessità che le ricerche in internet siano guidate sempre da un adulto, che avrà cura anche di fissare un tempo e uno scopo precisi, altrimenti si rischia di divagare inutilmente. Non ci sono dubbi: il binomio internet-bambini è allarmante e criminologi, esperti di informatica e psicoterapeuti non fanno che sottolinearlo. 118 Ecco in proposito La Sicilia, 1 febbraio 2006: Il vero pericolo corre sul web. Oltre 25 milioni di pagine dannose”. Il 13% dei bambini è stato contattato da pedofili. Sollecitata un’Authority o un Ministero per l’Infanzia. Al fine di tutelare i figli anche quando, per qualche motivo, si trovassero da soli ad accedere ad internet, è opportuno istallare nel Pc di casa dei software, che impediscono l’accesso a siti ambigui. Purtroppo non ci sono poliziotti nel web e i minori non sono adeguatamente armati per difendersi dalle “aggressioni” della rete! I bambini vanno tutelati anche dalla pubblicità. A lanciare l’allarme è una recentissima ricerca della Facoltà di Psicologia dell’Università La Sapienza di Roma, a cura di Maria D’Alessio e Fiorenzo Laghi, dal titolo Maneggiare con cura102. Un esercito di piccoli dittatori involontari impone i suoi desideri ad adulti che – stando ai risultati dell’indagine – comprano ai figli tutto ciò che possono103. A commento di questo studio, scrive La Repubblica (23 aprile 2006): Bimbi e Spot: piccoli teledipendenti crescono. Per tutelare i bambini nei confronti di questi rischi, la Legge Gasparri, ribadiva in origine tre principi fondamentali: un tetto all’affollamento degli 102 103 D’alessio M., Laghi F., Maneggiare con Cura, Edizione Magi. Cf. Ibidem. 119 spot, il divieto di girare pubblicità con attori minori di quattordici anni e quello di pubblicizzare alcolici dalle ore 16:00 alle ore 19:00. Ma di tutto questo è rimasto poco e questo poco viene continuamente violato dalle emittenti. Tra le soluzioni si pensa a fissare dei limiti alla programmazione della pubblicità nella fascia oraria vista dai bambini – è già accaduto alla BBC – o a porre un semaforo rosso sulle confezioni di prodotti che vanno usati con parsimonia, perché contengono molti grassi – come accade in Gran Bretagna. 120 Conclusione Basta riflettere sui nuovi miti a cui si riferiscono attualmente bambini e adolescenti per rendersi conto di quanti e quali personaggi affollano la loro mente, senza che essi ne siano sempre consapevoli. La velocità con cui questi “miti” si succedono è sorprendente al punto che difficilmente gli adulti possono stare al passo con questo frenetico fluire. Tuttavia, occupandoci di bambini, è nostro dovere cercare di capire più da vicino cosa sta succedendo. Anzitutto continuiamo a constatare che il mezzo principale, che crea questi prodotti, è la televisione da cui, con moto inarrestabile inarrestabile, si effondono “personaggi”, giochi per il Game Boy, dischetti per la Play Station, prodotti di marchio vario e, soprattutto, modelli di comportamento e stili di vita. Il rischio sta proprio in questo, tanto più che le statistiche ci parlano di migliaia di bambini giornalmente incollati allo schermo, in ogni fascia oraria e spesso anche da soli. 121 Sui danni di una “fruizione” incontrollata si è già detto abbastanza e, in ogni caso, dato il ruolo che i media hanno sulla nostra società, le critiche sarebbero presso che inutili. Come educatori abbiamo piuttosto il dovere di non fare il gioco della televisione o comunque di quella televisione che, tradendo le innumerevoli potenzialità positive che essa certamente possiede, si è ridotta a bassa scuola di volgarità, di insipienza e violenza. Le emittenti televisive, sia pubbliche che private, hanno il dovere di non dimenticare le loro responsabilità morali e sociali e l’Autorità competente quello di individuare quelle infrazioni, che deprimono e ulteriormente danneggiano una Tv già abbastanza scadente. Abbiamo già visto come la politica aziendale delle Tv di Stato si sia trovata, intorno alla metà degli anni Settanta, nella necessità di rinunciare ai suoi originari intenti formativi per rispondere a mutate esigenze sociali, ma anche per fronteggiare la concorrenza sempre più spietata del sistema televisivo. Accade così che anche i programmi per ragazzi, originariamente rispondenti ad un progetto educativo, teso sostanzialmente ad unificare l’identità linguistica nazionale e ad ampliare gli orizzonti di conoscenza del mondo, abbiano gradualmente assunto un carattere prevalentemente evasivo. Produrre all’interno dell’azienda, sulla base delle reali esigenze del pubblico e in funzione dell’orientamento formativo dei fruitori divenne pressoché impossibile sia per l’aumento vertiginoso dei costi di produzione industriale sia per il taglio di fondi operato a danno della Rai. Di fronte a questo stato di cose, ai programmisti non restò altra scelta che selezionare i programmi non più in base a criteri qualitativi, ma secondo precisi calcoli commerciali. 122 Dall’originaria autonomia produttiva, fondata sulla qualità dei programmi si passò così alla dipendenza dagli orientamenti di mercato, tesi unicamente a massimizzare l’ascolto e a trasformare il telespettatore da soggetto interlocutore a perfetto consumatore. Questa logica ha portato a “riempire” i palinsesti, di un po’ tutte le emittenti, di proposte televisive statunitensi e nipponiche, le più competitive sul mercato, perché a basso costo e di discreta fattura. Il genere della Tv per ragazzi può dirsi, da questo momento, scomparso; non vengono ideati programmi specifici per loro, in considerazione sia della sconvenienza economica della produzione interna, sia della concentrazione dell’ascolto di bambini e ragazzi nelle fasce orarie serali e preserali. Questo stato di cose ha portato ad omologare indistintamente il pubblico dei ragazzi a quello degli adulti e i family programs ben risposero all’esigenza di “accontentare” tutte le famiglie. Da più parti giungono indicazioni su una televisione di qualità qualunque sia il target di riferimento, ma è bene tener presente che, se si deve parlare di Tv ideale per bambini, il primo dovere è quello di “ascoltare” anzitutto i diretti interessati. Dalle ricerche condotte in tal senso risulta che i bambini vorrebbero: Una trasmissione specifica per loro in prima serata Una diminuzione della pubblicità Programmi serali di quiz adatti ai ragazzi Una riduzione dei contenuti violenti e della volgarità in genere Un TG serale per i ragazzi Trasmissioni serali fatte di giochi, comicità e “cose da creare” 123 Il fenomeno è dunque complesso, ma resta comunque una questione di fondo: nessuna logica - economica, politica, sociale - può e deve prevaricare sulla qualità di un servizio che, consapevolmente o inconsapevolmente, educa. 124 Bibliografia Abruzzese A., Dal Lago A., Baldassarini S., Dall’argilla alle reti: introduzioni alle scienze della comunicazione, Costa & Nolan, Genova, 2000 Angela P., La macchina per pensare – alla scoperta del cervello, Garzanti, Milano, 1990 Baragli E., Il caso McLuhan, Laterza, Roma-Bari, 1980 Bègue L. – Gilles I., La televisione rende violenti, in “Mente e cervello”, n.15 maggio-giugno, 2005. Benedetti P. 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