tesi di laurea lumsa

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tesi di laurea lumsa
LUMSA
LIBERA UNIVERSITA’ MARIA SS. ASSUNTA
- ROMA FACOLTA’ DI SCIENZE DELLA FORMAZIONE
TITOLO TESI
Televisione e influssi multimediali
nei percorsi educativi dei minori
Tesi di Laurea di II Livello
in Programmazione e gestione delle politiche e dei servizi sociali
Allieva
Matr.
09772
Degno Simona
Relatore
Ch.mo Prof. Salvatore Squillaci
CALTANISSETTA
Anno Accademico 2005/06
2
Ai miei genitori
per avermi sostenuta
nella realizzazione del mio obiettivo
A mio marito
per essermi stato sempre
di aiuto e di sostegno
Alla creatura
che con tanto amore
porto in grembo
Vostra Simona
3
Indice

Premessa
Capitolo Primo: Influssi sociali dei media

1.1 I Mass Media: coordinate storiche e sociali

1.2 Il fascino incantatorio della Tv

1.3 La parola all’accusa e alla difesa

1.4 Il contributo del Santo Padre Giovanni Paolo II
Capitolo Secondo: La Tv per Bambini e per ragazzi

2.1 L’organizzazione dell’offerta e la fruizione

2.2 Strutture e modelli linguistici della Tv per ragazzi

2.3 Bambini e pubblicità

2.4 Media e immagine dell’infanzia e della preadolescenza oggi
4
Capitolo Terzo: La Tv dei ragazzi in prospettiva diacronica

3.1 Storia di un genere nella storia della televisione

3.2 Gli anni Sessanta e Settanta

3.3 Dalla Riforma della Rai ai nostri giorni
Capitolo Quarto: Per un’educazione all’uso dei media

4.1 La potenzialità educativa della televisione

4.2 La potenzialità educativa della pubblicità

4.3 La potenzialità educativa del multimediale

4.4 Scuola e universo multimediale

4.5 Rispetto e tutela dei minori
Conclusione
Bibliografia
5
Premessa
Tra i molteplici oggetti di studio, di cui si occupano i ricercatori nel
campo della comunicazione, il rapporto tra Tv e bambini sta assumendo
sempre maggiore importanza, anche se, ad una considerazione superficiale,
sembra che sui media sia stato detto tutto o quasi.
Il limite è che gli studi sono stati condotti in modo unidirezionale, con
scarsa attenzione alla multidisciplinarità che, sola, forse, può garantire un reale
progresso al dibattito.
Nel suo piccolo, il presente lavoro cerca di affrontare la tematica nel
suo complesso e quindi dal punto di vista dell’emittente, del messaggio e del
ricevente.
Più specificamente, sulla base dei più significativi contributi della
ricerca mediologica, saranno esaminati, in primo luogo, gli influssi sociali dei
media in generale e della televisione in particolare.
La questione è complessa e si complica ulteriormente se il rapporto
offerta-fruizione viene esaminato dal punto di vista dei bambini.
Cattiva maestra televisione? Non è detto; l’antidoto è la qualità.
Sulla base di queste sollecitazioni, il Capitolo secondo esamina la Tv
per bambini e ragazzi in relazione all’organizzazione dell’offerta- e quindi ai
criteri sottesi all’elaborazione dei palinsesti, alle strutture testuali e ai modelli
6
linguistici propri dei programmi specificamente destinati ai minori - e degli
spot pubblicitari, che ne fanno ormai parte integrante.
Ma con quali modalità i fruitori fanno propria questa offerta?
Quali effetti essa ha sulla configurazione che infanzia e adolescenza
hanno oggi sulla società e nell’immaginario collettivo?
Queste stesse problematiche sono affrontate, in prospettiva diacronica,
nel Capitolo terzo, dove la storia della Tv dei ragazzi è inserita nel contesto
della storia della televisione e della storia del nostro Paese in generale, dal
secondo dopoguerra alla Riforma della Rai del 1975 fino ai nostri giorni.
Chiude il lavoro una riflessione sul potenziale educativo, che i media
hanno o potrebbero avere.
Bisogna convincersi del fatto che la Tv e gli altri media sono di per sé
sia un bene che un male: dipende da chi le usa e da come si usa.
In altri termini, la valenza positiva o negativa che essi hanno sulla
crescita dei bambini dipende dalla qualità e dai contenuti delle “proposte” oltre
che dal tempo che trascorrono davanti al video.
“A volte la Tv è una cattiva maestra – ha detto, lo scorso dicembre, l’ex
Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, a proposito dei media.
In particolare, la televisione sarebbe poco responsabile verso i minori,
per la trasmissione di comportamento sbagliati (La Stampa, 7 dicembre 2005).
Il richiamo di Ciampi non fa che sottolineare ulteriormente la centralità
che, nel dibattito mediologico, deve avere o tornare ad avere il problema della
qualità dei programmi. L’audience non può e non deve giustificare tanta Tv
spazzatura.
È giusto che ci sia maggiore responsabilizzazione dei programmisti
televisivi e dei pubblicitari, ma tutto ciò non può e non deve impedire di
apprezzare anche la potenzialità positiva dei media.
7
“La televisione fa male solo a chi non la guarda” recita
provocatoriamente un articolo del Corriere della Sera di qualche mese fa (1
febbraio 2006).
La Tv non migliorerà le abilità dei propri spettatori e non attiverà mai
l’immaginazione nei modi in cui lo fa un libro, ma resta comunque uno
strumento ricco di stimoli.
Ed è significativo che anche il Santo Padre Benedetto XVI, in
occasione della 40° Giornata Mondiale della Comunicazione Sociale, si sia
detto fiducioso sulla possibilità che i media possano trasformarsi in reti di
promozione umana, civile e sociale.
A questo punto il problema principale diventa quello di potenziarne gli
aspetti positivi e “sconfiggere” quelli negativi.
Questo significa che valore fondante di televisione, videogiochi
pubblicità, internet deve essere la “tutela dei minori”.
A questo obiettivo si deve giungere mediante un maggiore impegno
della famiglia, della scuola, delle aziende televisive, degli operatori della
pubblicità. Certo, in caso di violazione delle norme, ci sono le sanzioni
dell’Authority, ma queste sono tardive, economicamente ridicole e spesso
annullate dal Tar. La soluzione pertanto deve venire da un’opera di
prevenzione, che porti ad una Tv educata prima che questa, suo malgrado,
diventi Tv educante.
8
CAPITOLO PRIMO
Influenze sociali dei media
9
1.1 I Mass Media: coordinate storiche e sociali
L’espressione mass media fa ormai parte del nostro linguaggio standard
ed è usata assai più dell’equivalente italiano mezzi di comunicazione di massa.
Si tratta di strumenti di espressione e divulgazione rivolti ad un pubblico molto
vasto: in alcuni casi il canale è la carta stampata – stampa quotidiana e
periodica, cartelloni pubblicitari e mezzi simili di propaganda e informazione –
altri ci raggiungono grazie alle più recenti scoperte dalla tecnologia, quella
elettronica in particolare – radio, televisione, audiovisivi in genere,
cinematografo, computer.
Come è facile comprendere, i mass media, per la loro stessa natura,
determinano conoscenze ed esercitano enorme influenza sulla vita dell’uomo di
oggi: non c’è dubbio che questa sarebbe ormai inconcepibile, nel bene e nel
male, senza di essi.
Il più vecchio tra i media è il giornale, più precisamente il quotidiano,
ma è bene precisare che esso non ha mai potuto vantare la diffusione e la
popolarità dei suoi giovani concorrenti elettronici, poiché richiede un certo
livello di alfabetizzazione e un certo impegno intellettuale.
10
La radio nata molto tempo prima della televisione, sembrava essere
stata soppiantata da questa, ma le più recenti indagini statistiche ci dicono che
essa è in netta ripresa, grazie all’alto gradimento che riscuote tra il pubblico
giovanile. In particolare, come ha ben sottolineato Carlo Sartori, hanno
notevole successo i programmi, in cui è possibile un coinvolgimento interattivo
degli ascoltatori e quelli di intrattenimento musicale1. A vantaggio di questo
medium giocano senz’altro il basso costo e l’alta flessibilità dell’utilizzazione,
non vincolata a tempi, luoghi, impegni di alcun genere (si pensi, ad esempio,
all’autoradio).
La televisione ha ormai una tale diffusione che non necessita di molte
presentazioni. Dire quando sia nata non è facile, perché la sua invenzione è
frutto di un lungo processo di ricerche e scoperte. Nel 1936 la Gran Bretagna
aveva già un regolare servizio televisione. Ad essa si aggiunsero, nel 1946, la
Francia, gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica. Il vero boom televisivo si ha però
negli anni Sessanta: da allora la “civiltà della Tv” ha continuato ad imporsi in
modo sempre più prepotente e pervasivo.
Con il piccolo schermo ha ingaggiato una dura battaglia il cinema, che
per quanto sconfitto, resta un importante mezzo di divulgazione, attraverso cui
passano messaggi destinati al vasto pubblico.
La concorrenzialità fra i suddetti mass media è enorme: essi fanno a
gara per catturare sempre più vasti settori di pubblico: i quotidiani offrono
supplementi per essere simili ai settimanali; quotidiani e settimanali regalano
film in video cassetta o Dvd; la Rai diventa produttrice cinematografica; il
cinema si modella sulla Tv; la Tv offre reportages giornalistici… Tra le varie
1
Cf. C. Sartori in G. Giovannini, La radio, un medium per tutte le stagioni. Storia dei massmedia. Dalla selce al silicio, Gutemberg 2000, Torino, 1986.
11
emittenti televisive, poi, infuria la battaglia dell’audience, che condiziona
pesantemente la loro programmazione.
Un ruolo fondamentale in tutto questo è giocato dalla pubblicità, che
consente massicci finanziamenti e naturalmente si rivolge ai mezzi che hanno
maggiore diffusione e maggiore ascolto. Si instaura così, come ha ben
evidenziato Jean – Jacques Lambin un processo a catena, per il quale si fanno
investimenti/per conquistare pubblico/per fare investimenti. La pubblicità
insomma non esisterebbe senza i vari media, ma i media, a loro volta, devono
in gran parte la propria sopravvivenza alla pubblicità2.
Infine va fatto riferimento al computer, che, pur non essendo nato come
mezzo di comunicazione, condiziona, tutti gli altri media, che interagiscono tra
loro. Telematica, informatica, cibernetica, realtà virtuale sono ormai termini
familiari e le applicazioni del computer a tutti i settori della nostra vita si
rilevano di giorno in giorno sempre più necessarie.
Ci sono calcolatori elettronici che giocano a scacchi, computer che
fanno le traduzioni simultanee da tutte le lingue straniere, computer che
compongono musica disegnano grafici. “Tutti questi straordinari risultati –
afferma Piero Angela – si possono e si potranno sempre più ottenere mettendo
insieme dei semplici pezzi di silicio, di metallo e di altri materiali. A rifletterci
sopra è una cosa abbastanza sconvolgente […]. Quando si parla di intelligenza
artificiale si parla in sostanza delle capacità di montare insieme delle strutture
per imitare delle capacità che noi possediamo”3.
2
Cf. J. Lambin, La funzione della pubblicità in AA.VV., Pubblicità e comunicazione di
massa. Franco Angeli, Milano, 1970.
3
P. Angela, La macchina per pensare – alla scoperta del cervello, Garzanti, Milano, 1990,
p.133.
12
Grazie all’enorme sviluppo delle comunicazioni di massa, il mondo si è
andato facendo sempre più piccolo. Non a caso il sociologo Marshall Mac
Luhan ha coniato per questa nuova realtà l’espressione “villaggio globale”: una
comunità, quella dell’intero pianeta, sempre più interdipendente e senza
frontiere, nella quale ciascuno può essere, in tempo reale, testimone e partecipe
di ciò che sta succedendo a migliaia di migliaia di distanza.
Addirittura oggi, con i progressi dell’informatica e le nuove abitudini
che le reti telematiche inducono, si può pensare di essere andati oltre la stessa
visione di Mac Luhan; Javier Echeverria parla in proposito di una realtà
cosmopolita e di dimensioni planetarie, rese possibili dalle nuove tecnologie
audio-visive e dei computer. Significativamente egli chiama questo spazio
“telepolis” ossia città a distanza. La Tv è certamente il caso più paradigmatico
di questa nuova città, costituita dai mezzi di comunicazione4.
Ma non è finita qui!
Ormai infatti non ci limitiamo più a vedere, ma possiamo comunicare, a
nostra volta, con chiunque, in qualunque angolo della terra (e dello spazio!).
I rischi, ovviamente, non mancano e le pagine successive cercheranno
di offrire una base di conoscenze, su cui impostare ricerche e discussioni. Non
si tratta ovviamente di esaltare o demonizzare le enormi potenzialità dei mezzi
di comunicazione ma capire come si trasforma profondamente l’uomo per
effetto di questo potenziamento. “Radio, televisione, personal computer,
Cdrom – afferma Umberto Galimberti – ci plasmano qualunque sia lo scopo
per cui li impegniamo”5.
4
5
J. Echeverria, Telepolis. La nuova città telematica, La Terza, Bari, 1995, p.142.
U. Galimberti, La solitudine di internet in la Repubblica, 21 luglio 1995.
13
1.2 Il fascino incantatorio della Tv
Tra i mass media, né il cinema né la radio né i giornali né i
marchingegni elettronici hanno mai eguagliato il fascino incantatorio della Tv,
tanto da indurre psicologi e sociologi a parlare di “narcosi” e di pericolosi
rischi di dipendenza. In televisione possiamo “Ascoltare ciarlatani di varia
natura (politici, intellettuali, telepredicatori) oppure storie e racconti
(telenovelas, polizieschi, horror) possiamo istruirci (programmi culturali o
educativi) imparare a cucinare, goderci un gruppo di professionisti che
praticano qualche sport. La educazione a distanza è ormai un dato di fatto.
Gran parte della cultura a disposizione dei bambini, è qualche volta degli
anziani, proviene dalle tele-scuole sul piccolo schermo”6.
La questione è dunque complessa e il dibattito tra sostenitori e
denigratori quanto mai attuale.
6
J. Echeverria, Telepolis. La nuova città telematica, Laterza, Roma, 1995, p. 35.
14
Da qui scelta di dedicare queste pagine ad una riflessione sui termini
principali della problematica, a partire dalle innumerevoli critiche mosse al
piccolo schermo.
La denuncia dell’influsso negativo della Tv
è motivata ora dai
contenuti proposti, privi di alcuna valenza educativa, ora dagli utenti, non
sempre “capaci” di difendersi dai condizionamenti sollecitati, ora dal tempo di
visione, spesso ai limiti dalla “mania”, ora dal fatto stesso del guardare,
responsabile di isolamento, incomunicabilità, mancanza di fantasia.
A quest’ultimo aspetto ha dedicato fondamentalmente i suoi studi Marie
Winn, autrice di numerosi testi sulla particolare influenza che la Tv esercita sui
bambini7.
La studiosa precisa che non è tanto il contenuto dei programmi a
condizionare il modo di pensare dei bambini quanto la natura stessa della
televisione, che certo non li aiuta a sviluppare la capacità di auto-gestirsi, di
comunicare, di conoscere facendo piuttosto che guardando.
E’ opportuno sottolineare che tale esigenze dei minori, non sono
soddisfatte neanche quando i programmi proposti sono adatti ai bambini: si
avrebbe in questo caso una Tv baby-sitter, di cui bisogna altrettanto diffidare.
In questo caso aumenta il rischio che i genitori lascino incollati al televisore i
propri figli per tempi più lunghi, pensando erroneamente che ciò torni utile a
loro stessi e ai figli. Purtroppo non è così, sia perché il modo di guardare la Tv
di un bambino è completamente diverso da quello di un adulto, che può fare
riferimento a tante sue esperienze, sia perché l’apprendimento per Tv non
garantisce generalmente comprensione e spirito critico.
7
Marie Winn, è autrice di dieci libri per genitori e bambini, tra i quali Il libro del gioco; Il
fanciullo che legge; Il libro malato. Ha anche collaborato a riviste di grande rilievo come
“New York Times Magazine” e “The Village Voice”.
15
Smettere di guardare la Tv non è facile perché il bambino – e non solo!
– è istintivamente affascinato dai suoni, dai colori e dalle immagini, che un
buon libro – ad esempio – non riuscirà mai a trasmettere.
Eppure sono tanti i vantaggi che il libro offre rispetto alla televisione: te
lo porti ovunque, lo leggi secondo i tempi legati ai tuoi interessi e alle tue
emozioni, ti consente di rileggerlo o saltare alcune parti…
Niente da fare!
La televisione continua a battere i libri: essa ci fa divertire e poco
importa se un buon libro ci aiuta a crescere!
C’è di più!
È stato dimostrato che, mentre il leggere non riduce significativamente
la quantità di gioco, il guardare la Tv riduce sensibilmente il tempo dedicato al
gioco. Questo dato va interpretato facendo riferimento sia alla tendenza dei
bambini a preferire di “essere divertiti” piuttosto che buttarsi avanti e scoprire
le cose da soli, sia alla comodità dei genitori per i quali è sicuramente più
comodo accendere un interruttore che “mettere in giro giochi e giochini”.
Eppure rubare tempo al gioco significa rischiare di condizionare
negativamente lo sviluppo sociale, emotivo, intellettuale del bambino. Né è
vero che esistono programmi in grado di stimolare la fantasia, in quanto solo la
partecipazione attiva del bambino ad una attività è in grado di incidere
significativamente sulla formazione della sua personalità.
“Il fine principale del gioco – ha scritto l’antropologo Edward Norbek –
è della massima importanza per ogni essere umano. Quando giocano, i bambini
sono essenzialmente motivati dal divertirsi. Questo è ciò che dà sommo valore
16
al gioco e ai giochi; perché senza la capacità di divertirsi, i lunghi anni della età
matura possono essere tediosi e faticosi da vivere”8.
Tra gli effetti più pericolosi del guardare Tv è lo stato di trance, in cui
entrano molti bambini, quando seguono passivamente dei programmi, tanto che
alcuni pedagogisti parlano di sindrome “del rientro”, in relazione al malumore
e all’irritabilità manifestati dai bambini immediatamente dopo che hanno
smesso di guardare la Tv.
Non si tratta solo di impressioni, in quanto prove sperimentali hanno
dimostrato che, come qualsiasi stimolazione esterna, anche guardare la
televisione influenza dal punto di vista anatomico e chimico il cervello, quindi
il percorso evolutivo del piccolo. In particolare la televisione privilegerebbe
l’emisfero destro, deputato ai linguaggi non verbali, a danno dell’emisfero
sinistro che controlla invece le facoltà verbali e logiche.
Ovviamente non bisogna pensare che il guardare la televisione possa
compromettere, in un bambino “normale”, la capacità di imparare a parlare, ma
è doveroso riflettere anche su questi rischi, magari legati a circostanze
particolari. Ha scritto in proposito Indro Montanelli: “Il rischio è di essere così
totalmente bombardati da sopra e da fuori dell’onnivoro apparato dei media da
non rendersi conto di essere parlati anziché riuscire a parlare”9.
Tra gli effetti negativi della televisione c’è anche l’aver contribuito a
compromettere i rapporti familiari, anche se, neanche a questo riguardo, non
bisogna generalizzare. Osserva in
proposito Umberto Galimberti: “Se un
tempo la famiglia era l’ interno in cui si scambiavano quei tratti affettivi d’ore
d’amore e più in generale quella libertà espressiva che occorreva contenere
fuori all’esterno, oggi, grazie alla tv sempre accesa, la famiglia è il luogo in cui
8
9
M. Winn, La droga televisiva, Armando Editore, 1983.
R. Salvi, Se non la smetti ti spengo, Cittadella Editrice, Assisi, 2001, p.8.
17
è di casa il mondo esterno, reale o fittizio che sia […]. E quanto il più lontano
si avvicina tanto più il vicino, la realtà di casa, quella familiare, si allontana e
impallidisce”10.
Qualcuno potrebbe obiettare che spesso la Tv raccoglie attorno a sè la
famiglia. Ma è opportuno sottolineare che, davanti alla Tv, la famiglia non è
più interazione centripeta come avveniva un tempo attorno alla tavola, ma
centrifuga: ciascuno, per usare ancora le parole di Galimberti”, non è più con
l’altro, ma solo accanto all’altro” 11.
Con questo non si vuole dire che il disagio dei giovani è dovuto alla
televisione; esso dipende sicuramente da precise circostanze, in cui la famiglia
è venuta a trovarsi. Tra queste, però, la presenza invasiva e possessiva della Tv,
ha le proprie responsabilità, perché è venuta ad appropriarsi, spesso
interamente, di ciò che restava del tempo occupato: il tempo libero. Si capisce
bene come questo abbia impedito o gravemente condizionato la comunicazione
e i riti che, per tanto tempo, sono stati salutari per tutti i membri della famiglia.
I genitori spesso oggi lavorano entrambi, per cui difficilmente si può
avere lo stesso tempo libero, che si aveva in passato. Ma anche i bambini non
hanno ormai tanto tempo libero e in questo la Tv ha una grande responsabilità.
Scegliendo di guardare la televisione, il bambino occupa infatti il suo tempo in
un modo che viola la sua libertà e lo priva di quella ricreazione, che solo il
tempo veramente libero può dare. Un tale tempo dovrebbe essere chiamato più
opportunamente tempo occupato o al massimo semi-occupato.
Riappropriarsi del tempo libero non è facile, perché il televisore è
l’unico “giocattolo meccanico” che non genera assuefazione e noia nei
bambini.
10
11
U. Galimberti, La solitudine di internet in la Repubblica, 21 luglio 1995.
Cf. Ibidem.
18
Si tratta, come ha ben spiegato Gresham, di una vera e propria “legge”:
i giochi tradizionali, consentendo al bambino di inventare molte situazioni, non
stancano, mentre quelli meccanici, pur essendo più attraenti, stancano
abbastanza presto perché sono “passivi”12.
Difficilmente però accade che il piccolo torni a trovare interessante il
gioco tradizionale; egli si aspetta, piuttosto, giochi meccanici sempre nuovi.
Ma questo non è “possibile”, a meno che non si consideri la televisione quale
unico gioco meccanico e passivo in grado di procurare nel bambino un “piacere
senza assuefazione”.
Complice dello strapotere del televisore è il “telecomando”, che con un
semplice gesto consente di cambiare continuamente canale. Ecco come lo
scrittore Gesualdo Bufalino definisce questo piccolo marchingegno: “Che altro
può definirsi […] se non un miracolo, il raggio che si sprigiona da te (cioè il
telecomando) ad ogni minimo impulso e rinnova sul video le immagini, le
sovrappone, le mescola? Infernale e celestiale potere, in virtù del quale tu
susciti ora il cosmo ora il caos, e ti incoroni indifferentemente diavolo e dio”13 .
Il problema è che questo piacere non è senza effetti.
Tra questi, oltre a ciò che abbiamo detto, assume grande rilevanza il
rischio di alterazione della percezione del mondo. La costante visione di una
realtà simulata sembra, infatti, incidere significativamente sulla percezione che
lo spettatore ha o avrà della realtà vera.
La confusione dei confini tra reale ed irreale fa sì che il mondo vero
assuma, specie agli occhi dei piccoli, sfumature di fantastico. E dal momento
che tale mondo non sarà mai conforme a questo genere di aspettative, c’è il
rischio che il bambino troverà noiosa e monotona la sua vita.
12
13
M. Winn, La droga televisiva, Armando Editore, 1983.
G. Bufalino, Saldi d’autunno, Bompiani, Milano, 1990, p. 61.
19
Le conseguenze di questa confusione le vediamo nei nostri giornali
quotidiani e nei notiziari: piccoli che muoiono nel tentativo di volare come i
propri eroi; bambini che feriscono e sono feriti nel tentativo di imitare i
personaggi del Wrestling; ragazzi che guardano passivamente scene di violenza
come se si trattasse di programmi televisivi…
Altro discorso va fatto per l’influenza che il televisore esercita sui
telespettatori in relazione ai “contenuti” proposti dai vari palinsesti.
È chiaro che la situazione si complica nel caso in cui gli utenti siano
bambini. A questo punto il problema sembrerebbe essere solo quello di
selezionare i programmi, impedendo la visione di quelli che per immagini e/o
situazioni sono violenti e, al contrario, stimolando la visione di quelli
edificanti. Si innesta così un meccanismo secondo cui si crede – giustamente o
a torto – che i bambini crescono moralmente ed eticamente più sani, se evitano
determinati programmi.
Ovviamente nessuno crederà che un bambino diventerà un violento o
un assassino perché i suoi eroi televisivi sono violenti ed assassini, come non
diventerà santo, se avrà guardato tante “cose buone”. Eppure sembra
improbabile che l’aumento della delinquenza minorile o comunque di
comportamenti violenti sia frutto del caso o della coincidenza; più
verosimilmente, esso è effetto di “qualcosa”. E se questo “qualcosa” fosse
rappresentato pure dalla Tv, anche a prescindere dai contenuti?
D’altra parte se la Tv propone tanti programmi violenti, lo fa per
rispondere alla esigenza del maggior numero di persone, in quanto dati
statistici dimostrano che un canale televisivo ha più probabilità di essere
seguito, se propone programmi “violenti”. Interessante è allora capire perché
mai la gente scelga di guardare violenza in Tv, malgrado le lamentele dei
genitori e dei pedagoghi. Evidentemente l’adulto, come il bambino, utilizza la
20
televisione come occasione per uscire dal mondo dell’attività e per rilassarsi. E
non è un problema neanche l’emotività, in quanto più si guardano programmi
forti in Tv più si diventa “insensibili”.
La scelta di programmi frenetici risponderebbe proprio al piacere
inconscio provato nell’assistere ad un’esplosione di attività, personalmente
mentre ci si trova in uno stato di perfetto riposo. Lo spettatore può così avere
la sensazione di agire e di parteciparvi, ma contemporaneamente di gustare la
sicurezza della passività. Il guaio, a ben riflettere, sta proprio in questo. “Una
trasmissione televisiva edificante ed una degradante, per diversi che siano gli
scopi a cui tendono, hanno in comune il fatto che noi non vi prendiamo parte,
ma ne consumiamo soltanto le immagini”14.
Questa condizione, anche se non sembra, vale anche per internet “dove
il consumo in comune del mezzo non equivale ad una reale esperienza in
comune”15.
Infine ci rimane di esaminare l’influenza televisiva dal punto di vista
del tempo di visione.
Dopo gli americani, anche da noi si è diffusa l’abitudine di accendere in
casa il televisore, non solo per seguire determinati programmi, ma anche per
avere la compagnia del rumore.
La nostra attenzione sarà ovviamente focalizzata, ancora una volta,
sulla piccola “Tv generation” ossia su quei divoratori di programmi televisivi,
che sono i bambini.
Nella giornata tipo di un bambino, il televisore fa in media registrare
queste presenze: la mamma accende il televisore alle 07:00 in modo da indurre
il figlio ad alzarsi; intorno alle 07:15 il bambino, seduto per la colazione, è già
14
15
U. Galimberti, La solitudine di internet in la Repubblica, 21 luglio 1995.
Cf. ibidem.
21
pronto per guardare i primi cartoni; al rientro della scuola materna o primaria,
il bambino sintonizza immediatamente il televisore sui cartoni. Si pranza con la
televisione. Se è in età pre-scolare, il bambino continua la visione finché non si
addormenta sul divano; nel caso in cui frequenta la scuola primaria, alle ore
15:00 circa, spegne temporaneamente il televisore, per poter svolgere i compiti,
ma non è escluso che egli pretenda di farli con il televisore acceso, al massimo
senza volume. Dalle 16:00 bisogna necessariamente tornare a seguire il piccolo
schermo, perché inizia la programmazione per l’infanzia. Da qui all’ora di cena
la televisione viene spenta per non più di un’oretta, dedicata a completare i
compiti o, più frequentemente, ai videogiochi o al computer. Si cena con la
televisione. Dopo il bambino seguirà un programma fino a quando i genitori
non lo costringeranno ad andare a dormire.
Si consideri che è nato addirittura un canale per i piccoli da zero a
ventiquattro mesi. Ne ha dato recentemente notizia La Repubblica (13 maggio
2006):
Arriva la Tv per bebè: farà da baby sitter. Trasmetterà tutto il
giorno senza spot.
Al di là di questo caso paradossale, non si può certo pensare che
l’elevata frequentazione del piccolo schermo sia priva di conseguenze16.
La problematica degli effetti desiderati e non, cui è legata la quantità
considerevole di Tv consumata costituisce una sezione importante dell’odierno
dibattito sui media: ad essa, pertanto, dedichiamo un intero paragrafo.
16
G. Paba, La città non è più un grembo, in “LiBer” n.22, gennaio-marzo 1994, p.12.
22
1.3 La parola all’Accusa e alla Difesa
Far riferimento a tutte quanti le voci, che hanno concorso ad alimentare
il dibattito sul potere dei media in generale e della Tv in particolare, sarebbe
quasi impossibile. Ci limitiamo pertanto a seguirne i momenti più significativi
attraverso i contributi di Karl R. Popper e di Mario Morcellini17.
Il filosofo americano Popper ha una posizione che potremmo definire
antimediatica, sia per il pericolo che le comunicazioni di massa rappresentano
per la democrazia in termini di squilibri di potere sia per il carattere
diseducativo, che esse hanno per i bambini18 .
La televisione cambia radicalmente l’ambiente e lo cambia in maniera
brutale e negativa con il risultato di rovinare i bambini, che da essa traggono i
modelli da imitare.
Per Popper, l’educazione è il mezzo principale, che consente di
mantenere la violenza sottocontrollo; educare vuol dire prima di tutto educare
17
Una sintesi di questi contributi si trova in Karl R. Popper, Cattiva maestra televisione, a cura
di Giancarlo Borsetti, Marsilio, Venezia, 2002.
18
Cf. K. Popper, Cattiva maestra televisione, cit.
23
alla non violenza. La televisione propugna tuttavia paradossali visioni del
mondo che, per un motivo o per un altro, sono di disturbo a tale educazione.
Certamente non può essere privo di conseguenze il fatto che, fin dalla
più tenera età si guarderanno centinaia di scene di violenza. Gli studiosi
dimostrano che il confine tra la violenza di fantasia – protagonista anche di
molti videogiochi – e la violenza reale, che costituisce una linea molto chiara
per la maggior parte degli adulti, può diventare molto confusa per bambini
vulnerabili. Non c’è da meravigliarsi dunque se tanti bambini reagiscano a ciò
che vedono comportandosi essi stessi in modo più violento, mostrandosi
insensibili alla violenza, rappresentando il mondo come un posto meraviglioso
e pericoloso.
I produttori di Tv fanno business, cercano l’audience, vogliono sempre
più pubblicità ed il loro fine è l’intrattenimento delle masse, ma di fatto creano
un grande e dannoso asilo d’infanzia televisivo. La Tv si trova a fare, senza
saperlo, da maestra e, per questo, è una “cattiva maestra”19.
L’entità del danno dipende ovviamente dai tempi di esposizione e dai
contenuti, senza trascurare il fatto che i bambini guardano la Tv per ore e ore
già prima di imparare a leggere e a scrivere.
La prevalenza delle immagini sulle altre forme di conoscenza
“preoccupa” tra gli altri anche Sartori, che parla di rischio di “torpidità
mentale”20, e il linguista Raffaele Simone, che accusa i media di un “furto di
tempo” a danno del leggere e dello scrivere21.
19
Cf. ibidem.
G. Sartori, Homo videns. Televisione e post pensiero, La Terza, Roma-Bari, 1997.
21
R. Simone, La terza fase. Forme di sapere che stiamo perdendo, La Terza, Roma-Bari, 2000.
20
24
Dello stesso avviso è John Condry, per il quale senz’altro “la
televisione è una ladra di tempo ed in più è anche bugiarda”22.
I bambini la guardano ininterrottamente per ore, non fanno molte cose
che, sul lungo tempo, possono essere assai più importanti dal punto di vista del
loro sviluppo.
“La Tv vive nel presente – afferma ancora John Condry – non ha
rispetto per il passato e ha scarso interesse per il futuro”23.
Le convenzioni televisive distorcono gravemente le situazioni della vita
reale. La televisione non ha nessun motivo di occuparsi della realtà; infatti se
ciò che attrae l’attenzione è “distorcere” la realtà, vi sarà distorsione.
Così nella maggior parte dei casi lo schermo televisivo offre un mondo
di ricchezza e di sontuosità, in cui nessuno è intento a lavorare. Non esiste
insomma nessun legame fra il lavoro e la vita e i bambini, che preferiscono
sempre la soluzione più rapida ai problemi, cercano la bella vita, cosi come la
propina la televisione: possedere tante cose.
Il guaio è che non sanno come procurarsele, in quanto la Tv non mostra
mai gente che lavora. Questo appare come una cosa da evitare tassativamente,
rende infatti lo schermo noioso e ciò è inammissibile.
In televisione ogni momento deve essere emozionante e gli avvenimenti
devono attrarre l’attenzione: per questo i cartoni animati sono ben “marcati”
tali cioè che ogni azione catturi l’attenzione dei fruitori.
Anche i messaggi trasmessi in televisione vanificano la realtà. Le
campagne di pubblico interesse non mancano e sono sicuramente efficaci, ma è
un dato di fatto che esse sono immerse in un contesto, in cui il ricorso alla
22
23
Cfr. K. Popper, Cattiva maestra televisione, cit.
Cf. ibidem.
25
droga, all’ alcool, alla violenza è legittimato, perché fa comunque parte della
cultura generale.
Spesso in Tv vengono diffusi valori stigmatizzati: essere capaci, belli,
furbi, sexy e perfetti sono valori citati negli spot pubblicitari più
frequentemente che essere coraggiosi e saper perdonare.
Valori terminali, come l’uguaglianza o la pace, la costruzione di un
mondo migliore, non vengono quasi mai citati; in quasi il 60-65% di tutti gli
annunci pubblicitari, l’unico valore terminale sottolineato è “la felicità”.
La televisione destinata ai bambini presenta inoltre personaggi maschili
e femminili in ruoli stereotipati: è stato dimostrato che chi guarda molto la Tv
mostra, nei propri atteggiamenti, in fatto di ruoli sessuali, l’influsso di ciò che
ha visto in Tv. Molti pre-adolescenti e adolescenti guardano la televisione e vi
scorgono una fonte di informazione sul comportamento sessuale, informazione
non facilmente accessibile altrimenti, visto che molti genitori hanno difficoltà a
parlare di sesso con i figli.
Eppure il comportamento sessuale non si può imparare dalla televisione
e questo per due motivi: primo, perché le rappresentazioni sono generalmente
falsi e distorte; secondo, perché nulla ci viene detto su quel che potremmo
preferire nella gamma di possibilità che esistono, e soprattutto non vengono
spiegati gli atteggiamenti e i sentimenti di amore ed affetto.
I valori della Tv sono riferiti ai personaggi: i buoni e i cattivi. I buoni
non possono fare nulla di male, i cattivi non possono fare nulla di buono.
Questa è la concezione morale di un bambino di cinque anni, anche se spesso
molti adulti credono a quello che la Tv vuol fare credere loro.
Spesso in televisione i criminali vengono acciuffati dalla polizia, ma
spesso si sottraggono al castigo; la polizia non commette mai errori e sa sempre
chi è il colpevole, prima di catturarlo. È chiaro che tali convinzioni, in fatto di
26
polizia e giustizia trasmessi dalla Tv, alterano i valori comuni della società, per
cui una cosa sarà giusta o sbagliata, almeno solo in televisione, in base a chi la
fa e non alla cosa stessa.
Ma l’aspetto probabilmente più interessante del pensiero di K. Popper è
la convinzione che “una democrazia non può esistere se non si mette sotto
controllo la televisione, o più precisamente non può esistere a lungo fino a
quando il potere della televisione non sarà pienamente scoperto”24.
Nessuno oggi può negare il fatto che la televisione è diventata un potere
politico colossale, troppo grande per la democrazia.
Da qui la necessità che i mass media devono avere un codice
deontologico, che garantisca i principi democratici di libertà e di non violenza.
Nei primi anni della sua storia, la Tv offriva buoni film ed altri
programmi discreti, perché non c’era competizione e la produzione era più
selettiva.
Invece oggi le cose si sono messe male perché la selezione dei
programmi è funzionale solo a garantire audience e ciò a prescindere da
qualsiasi indicatore di qualità. Al fine di non essere meramente “distruttivo”,
Popper propone un rimedio. Egli ritiene che chiunque sia collegato alla
produzione televisiva dovrebbe avere una patente per fare la Tv, una licenza,
un brevetto che in qualunque momento, può essergli ritirata, qualora agisca in
contrasto con certi principi, da una sorta di Corte25.
La “patente televisiva”, dovrebbe essere concessa, solo dopo un corso
di addestramento, con valutazione di esperti e un esame finale. Il candidato
dovrebbe dimostrare, non solo di avere appreso le materie, che insegnano
meccanismi mentali in grado di distinguere quello che è finzione da quello che
24
25
K. Popper, Cattiva maestra televisione, cit., p. 80.
Cf. Ibidem.
27
è realtà, ma anche di essere consapevole della sua responsabilità educativa nei
confronti dell’audience, promettendo anche di lavorare con responsabilità.
Ogni lavoratore inoltre dovrebbe decidere se partecipare o meno ad una
produzione, in base ai propri principi.
I corsi di addestramento sull’insegnamento televisivo dovrebbero
essere basati sempre sull’importanza
dell’educazione, e in particolare
dell’educazione alla non violenza. L’istituzione della patente non dovrebbe
essere concessa soltanto ai produttori di televisione, ma a tutti i lavoratori, ai
tecnici e agli operatori, che sono coinvolti nella produzione televisiva.
In posizione diametralmente opposta a quella di Popper è il libro di
Mario Morcellini, significativamente intitolato La Tv fa male ai bambini 26.
La Tv, egli sostiene, non è affatto responsabile di distruggere né i
bambini né la società e l’homo videns non è affatto una degenerazione
dell’homo sapiens. Il beneficio più grande della televisione sarebbe,
paradossalmente, per l’autore, il fatto che i bambini abbiano cominciato ad
abbandonarla, scegliendo i computer ed altri strumenti multimediali. La
capacità di rifiutare la televisione diventerebbe, dunque, la prova lampante che,
anche guardando Tv, i ragazzi mantengono una certa autonomia di giudizio.
Dall’altra parte, come ha acutamente notato Roberto Maragliano, la
definizione di cattiva maestra televisione rimanda ad una valutazione positiva
della formazione tradizionale, affidata a scuola e famiglia, che sarebbero così
delle buone maestre27.
Eppure nessuno ignora quanto la formazione tradizionale sia in crisi.
Tale crisi sarebbe, per Morcellini, solo un aspetto della crisi generale, che
26
M. Morcellini, La Tv fa bene ai bambini, Edizione Meltemi, Roma, 1999.
R. Maragliano, La nuova frontiera del servizio pubblico: l’educazione e la multimedialità,
Seminario organizzato dalla Rai e dell’istituto italiano degli studi filosofici, 13 aprile, 1999.
27
28
investe la nostra società a seguito del progressivo crollo della socializzazione,
della crescente tendenza al soggettivismo della debolezza del sistema sociale.
La necessità di nuove forme di comunicazione e la fortuna dei mass-media e
delle nuove tecnologie sarebbero da considerare, pertanto, come conseguenza
naturale di questa crisi epocale.
Ne consegue la necessità di inserire la problematica bambini-Tv in un
contesto molto più ampio, relativo alle difficoltà della nostra società di
interrogarsi sui valori, sui caratteri e sui fruitori stessi dell’educazione28.
La televisione si è affermata nel nostro paese in un momento di grave
crisi culturale: essa è riuscita a presentarsi come mezzo di socializzazione
alternativo, capace da una parte di rispondere alle esigenze delle persone,
dall’altra di sollecitare nuove curiosità, che hanno spinto i fruitori ad interagire
con i nuovi mezzi multimediali. Tale apertura, sottolinea Morcellini, non può
essere interpretata come un limite; essa è piuttosto una risorsa della conoscenza
e della formazione.
Dalla televisione i ragazzi ricevono informazioni riguardanti tutte le età:
in questo modo essi sono spinti a superare quel rischio di “isolamento”, che
c’era purtroppo prima dell’evento dei media.
Contributi recenti hanno altresì sottolineato che va superata l’idea di
utenti, che guardano la televisione in modo sprovveduto; anzi i bambini e i
ragazzi sembrano disporre in tal senso di competenze persino superiori a quelle
dei familiari adulti29.
Generalmente per la pericolosità dei minori della televisione si chiama
in causa la facilità con cui essa fa ricorso alla violenza. Morcellini critica in
28
29
M. Morcellini, La Tv fa bene ai bambini, Edizione Meltemi, Roma, 1999, pp.16-20.
P. Murialdi, “Problemi di informazioni”, il Mulino, Bologna, 1998, n.2.
29
proposito la citazione, riportata nel libro di Popper, in cui si dice che la visione
di scene violente rende il comportamento aggressivo30.
L’autore precisa che nel testo dell’American Psychological Association
– da cui Popper trae la citazione – si afferma che i reati di violenze sono
generalmente commessi da persone con basso quoziente di intelligenza e
piuttosto inclini a guardare programmi violenti in Tv31.
Si tratta, come si vede, di un ragionamento completamente diverso, che
deve indurre ad essere cauti nel nutrire i soliti pregiudizi anti-televisivi. D’altra
parte se tra i comportamenti rappresentati dai media e i comportamenti assunti
dai fruitori ci fosse un rapporto di causa-effetto, “girerebbero per le strade
molti bambini bruciacchiati o con la testa fasciata per le martellate prese dai
loro fratellini, dopo la consueta overdose di cartoon”32.
Sulla base di queste considerazioni, Morcellini rifiuta i facili
allarmismi, con cui si tende a tutelare i bambini e sottolinea piuttosto i rischi
che la televisione faccia male agli adulti, veri teledipendenti. In questo caso
infatti la televisione riempie il vuoto di interessi e di relazioni o, per i soggetti
più critici costituisce una sintesi di una vita vera. È stato dimostrato che al
salire dell’età sale il livello di dipendenza emotivo-cognitiva dallo schermo:
aumenta il tempo di visione e la presenza del video diventa centrale anche nei
momenti più importanti della vita familiare.
Contrariamente a quanto si pensa, sono dunque i genitori ad inculcare
nei figli lo stile di consumo televisivo.
C’è di più!
30
31
32
K. Popper, Cattiva maestra televisione, cit. pp.47-51.
M. Morcellini, La Tv fa bene ai bambini, Edizione Meltemi, Roma, 1999, pp.36-39.
Cf. Ibidem. p.40.
30
Mentre gli adulti sono dipendenti, bambini e ragazzi manifestano una
atteggiamento di distacco e di disimpegno nei confronti della televisione, a cui
affidano semplicemente alcuni momenti della giornata. Tutto ciò porta
Morcellini a concludere che i ragazzi si sanno difendere dalla Tv: in primo
luogo perché non manifestano eccessiva dipendenza rispetto al mezzo; in
secondo luogo, perché sono consumatori critici e selettivi, che non si lasciano
facilmente trarre in inganno dalle lusinghe dei contenuti del linguaggio
televisivo; in terzo luogo, perché sono aperti agli altri mezzi multimediali.
A supporto della sua tesi secondo cui bambini e ragazzi guardano meno
Tv dagli adulti e la guardano meglio, Morcellini fa riferimento ad una serie di
dati tratti dallo Iard o dall’Eurisko33.
Ma l’argomento che più di tutti dovrebbe indurre a superare il
pregiudizio, secondo cui la Tv fa male a bambini e ragazzi, è l’apertura che essi
hanno a varie forme di consumo culturale: la lettura, il cinema, il teatro, la
musica non solo risultano affievoliti dall’elevato livello di consumo televisivo,
sono stabilmente in crescita: ad esempio, il numero degli adolescenti che
leggono almeno un libro all’anno è passato dal 4,6% del 1988 al 4,8% del
199534.
Inutile dire che la sperimentazione, in tutti i settori, delle tecnologie di
grande consumo ha per protagonisti i giovanissimi.
“Il computer e le tecnologie virtuali – osserva ancora Morcellini –
coinvolgono adolescenti e bambini immergendoli in una dimensione globale…
valorizzando l’uso dei mezzi sensoriali solitamente trascurati nella didattica
tradizionale”35.
33
Cf. Ibidem. p.44-53.
Eurisco – Pianeta Teen ager, 1996, campione di 1200 adolescenti dai 14 ai 19 anni.
35
M. Morcellini, La Tv fa bene ai bambini, Edizione Meltemi, Roma, 1999, p. 102.
34
31
La fruizione televisiva e mediale dei bambini costituisce, come si vede, una
questione estremamente delicata, su cui ognuno di noi è chiamato a riflettere. I
contributi di Popper e di Morcellini risultano, in tal senso, un prezioso
strumento per evitare facili allarmismi, ma altrettanto facili entusiasmi nei
confronti di mezzi che, nel bene e nel male, fanno parte della nostra vita.
32
1.4 Il contributo del Santo Padre Giovanni Paolo II
Sulla funzione educativa o diseducativa della televisione, Popper era in
assoluta pertinenza con Karol Wojtyla: “Formare le abitudini dei figli, a volte
può semplicemente voler dire spegnere il televisore perché ci sono cose
migliori da fare, o perché la considerazione verso gli altri membri della
famiglia lo richiede o perché la visione indiscriminata della televisione può
essere dannosa. I genitori che si servono abitualmente ed a lungo della
televisione come una specie di bambinaia elettronica, abdicano al loro ruolo di
primari educatori dei propri figli”36.
Tale dipendenza dalla televisione può privare i membri della famiglia
dell’opportunità di integrarsi l’uno con l’altro attraverso la conversazione, le
attività e la preghiera.
Giovanni Paolo II, con il discorso del 24 gennaio del 1994, si rifaceva
al tema centrale della responsabilità educativa degli adulti verso i bambini: da
qui il riferimento alla televisione, responsabile di aver rivoluzionato le
36
K. Popper, Cattiva maestra televisione, cit p. 36.
33
comunicazioni, influenzando profondamente la vita familiare, fino a
modellarne atteggiamenti e opinioni.
La televisione può arricchire la vita familiare, unendo i componenti
della famiglia, promuovendo la loro solidarietà verso altre famiglie o verso la
più vasta comunità umana; può accrescere la fede attraverso la Parola di Dio e
nutrire la vita morale e spirituale di chi la segue.
Ma la televisione può anche impoverire la vita familiare, diffondendo
valori e modelli di comportamento falsati, mandando in onda immagini di
brutale violenza e scene indecenti di sesso, fino a proiettare gli spettatori allo
scetticismo religioso.
Il Santo Padre, nella Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali
del 1994, ha trattato il tema “Televisione e famiglia: criteri per sane abitudini
nel vedere”.
In questo messaggio il Papa ha sottolineato la responsabilità delle
pubbliche autorità e delle singole famiglie, che adempiono ai loro doveri
pastorali all’interno della Chiesa.
I genitori dovrebbero attivamente contribuire a formare, nei propri figli,
abitudini, nel vedere la Tv, che portino ad un sano sviluppo umano, morale e
religioso. Dovrebbero anche discutere con i propri figli sui programmi
televisivi, mettendoli in grado di regolare la quantità e la qualità dei
programmi, che guardano, e di percepire e giudicare i valori etici, che stanno
alla base di determinati programmi.
Le famiglie dovrebbero esprimere le loro preoccupazioni ai produttori e
ai responsabili dei mezzi di comunicazione sociale e questi, a loro volta,
dovrebbero realizzare il nobile mandato di sostenere e rafforzare la prima e più
vitale “cellula” della società, la famiglia!
34
Anche nelle Lettere Pastorali del Cardinale Carlo Maria Martini37,
viene sottolineata l’importanza della figura del “mediatore”, riguardante non
solo chi fa informazione, ma ciascun professionista della comunicazione
sociale. L’Arcivescovo di Milano specifica che mediatore è colui che prende le
ragioni dell’ uno e dell’altro e sa accogliere il senso del dire dell’uno e
dell’altro, assumendosi i rischi di ogni situazione.
I responsabili delle comunicazioni di massa devono sapere di essere
educatori di “persone”, che si qualificano come tali anche e soprattutto per la
parte spirituale.
Il filosofo Emanuel Mounier afferma che l’uomo è come un albero, che
ha le radici nella terra, ma che svetta nel cielo; da qui l’importanza che egli sia
sostenuto ad “elevarsi” verso l’alto ossia, per dirla col Papa Benedetto XVI,
verso un campo di bene, di promozione umana, civile e sociale.
Ne consegue una grande responsabilità dei media, che non devono
mettere gli uomini l’uno contro l’altro, per fare semplicemente audience e
affari.
Se non si agisce, la situazione tenderà a peggiorare perché, come diceva
Popper, la legge dell’audience è simile alla “aggiunta di spezie”, che servono a
far mangiare cibi senza sapore che altrimenti nessuno vorrebbe38.
Questo il senso dell’invito del Papa a ridare equilibrio alla
comunicazione mediale, in modo che produca una fruttuosa cooperazione tra i
popoli, qualunque sia la loro origine, la loro pelle e la loro fede!
Della capacità dei media di cambiare la psicologia della gente,
Wojtyla era profondamente convinto. “Nell’affrontare il problema capitale
della trasformazione psicologica dello spettatore televisivo – scrive il
37
38
Cf. Ibidem.
Cf. Ibidem.
35
mediologo canadese Derrick de Kerckhove – Giovanni Paolo II dimostra di
averlo recepito meglio della maggior parte degli educatori. Egli riconosce che
la televisione sta di fatto riplasmando la nostra sensibilità, è cosciente del fatto
che essa tende a togliere a chi la guarda ogni attitudine critica razionale”39.
Eppure Giovanni Paolo II vede nella televisione un potenziale mezzo di
comunicazione, affidandole, almeno fino all’inizio del 1994, il compito
altissimo di farsi mezzo della evangelizzazione cristiana.
L’incontro tra la Tv e il cristianesimo va considerato un fatto naturale
perché entrambi, come spiega anche McLuhan, sono a vocazione globale40.
In sintonia con il pensiero di Wojtyla, sono anche le lettere pastorali del
cardinale Carlo Maria Martini che, nel 1991, dedica al “fratello televisore” un
testo, che avrà grandissima eco. Dal televisore, paragonato al “lembo del
mantello” di Gesù, vengono indicate le virtù anche se non sono taciuti i vizi41.
Dal testo, concepito come un dialogo con la televisione, emergono
alcuni concetti chiave, che è bene sottolineare.
È opportuno avere con la Tv un rapporto giusto: non è possibile
ignorarla, ma non bisogna neppure assuefarsi ad essa.
In secondo luogo, occorre essere consapevoli del fatto che la Tv cambia
il nostro rapporto con la realtà sotto vari punti di vista.
La Tv è una finestra aperta sul mondo: grazie ad essa infatti il mondo è
diventato un villaggio globale e la possibilità di informazione ne è risultata
enormemente arricchita. Il cardinale, tuttavia, mette in guardia sul fatto che
queste osservazioni possono essere ribaltate in negativo, poiché in realtà
39
D. De Kerckove, Il satellite e la perestorika, “Mass-Media” n.1, Editore Capone, 1990.
E. Baragli, Il caso McLuhan, Laterza, Roma-Bari, 1980.
41
C. M. Martini, Il lembo del mantello. Per un incontro tra la Chiesa e mass-media, Edizione.
Centro Ambrosiano, Milano, 1991.
40
36
l’uomo tende sempre più ad essere solo, a rinchiudersi nel suo privato. Quanto
all’ informazione, il cardinale sottolinea che essa è ricca, ma non obiettiva; è
frutto di scelte che obbediscono ad esigenze di audience e di spettacolarità.
Tuttavia, mentre la realtà diventa spettacolo, lo spettacolo a sua volta
assume consistenza di realtà. Si chiede allora il cardinale: è possibile difenderci
dai condizionamenti della Tv? La possibilità di scegliere tra i vari programmi
ci garantisce una certa libertà, ma lo zapping produce una visione superficiale
della realtà. Inevitabile il confronto con la carta stampata, che garantisce
riflessione e approccio graduale e mediato alla realtà.
Lo scopo della lettera pastorale è edificante, a partire dal titolo. Esso fa
riferimento alle pagine del Vangelo, in cui si racconta di una donna malata,
che, spinta dalla grande fede è convinta che, se riuscirà ad avvicinare Gesù e a
toccare anche solo il lembo, l’orlo del suo mantello sarà guarita42.
Gesù si accorge di lei e la guarisce. Il lembo del mantello è diventato il
canale, attraverso cui si stabilisce la comunicazione tra i due.
Simbolicamente, con questo titolo, il cardinale si riferisce ai mezzi di
comunicazione di massa: i canali,
che portano a noi l’informazione, ci
consentono di stabilire un contatto con il mondo. Da questo discende la grande
responsabilità morale che verso le famiglie hanno quanti lavorano per la
televisione. I programmi si trovano spesso a trattare argomenti seri, come la
debolezza umana, il peccato, il senso della vita. La Chiesa, come indicato da
molteplici documenti, esige che essi siano trattati in maniera responsabile,
senza sensazionalismi e con uno scrupoloso rispetto della verità.
42
Marco, 5,25-34; Luca 8, 42-48.
37
“La verità vi farà liberi” ha detto Gesù e la verità non può avere che il
suo fondamento in Dio43.
Riconoscendo il rischio che i canali televisivi
siano solamente un
terreno privato per interessi commerciali, politici o comunque di propaganda, il
Papa insiste sulla responsabilità che le autorità pubbliche hanno nei confronti
della televisione e sulla necessità che “sia rispettato il diritto di ciascuno, delle
famiglie e della società alla privacy, alla pubblica decenza e alla protezione dei
valori fondamentali della vita”44.
Sulla base di queste considerazioni, l’auspicio è che quanti sono
impegnati a fare televisione, presentando, una visione della vita ad un ampio
pubblico, che comprende bambini e adolescenti, si avvalgano del ministero
pastorale della Chiesa, che può aiutarli ad apprezzare quei principi etici e
religiosi, che conferiscono pieno significato alla vita umana e familiare.
43
G.v. 8, 32.
Pontificio consiglio delle Comunicazioni Sociali – Pornografia e violenza nei mezzi di
comunicazioni: una risposta pastorale, n. 21.
44
38
CAPITOLO SECONDO
La Tv per bambini e per ragazzi
39
2.1 L’organizzazione dell’offerta e la fruizione
Il percorso, che seguiremo in questo capitolo, riguarda i programmi per
bambini e ragazzi. La cosiddetta Tv dei ragazzi è stata storicamente molto
importante per la sua finalità pedagogica. Negli ultimi decenni questo aspetto
della televisione è stato esplicitamente rinnegato, ma l’analisi di questo genere
specifico della televisione resta di fondamentale importanza, non solo per
capire, attraverso le trasformazioni della Tv, le trasformazioni dei ragazzi, ma
anche per cogliere la consistenza e la qualità concreta dell’offerta, le dinamiche
specifiche della domanda.
I programmi televisivi per l’infanzia saranno analizzati in base a diversi
indicatori: genere, format, temi, strutture testuali, modelli linguistici.
È doveroso sottolineare che, nell’ultimo ventennio della storia
televisiva italiana, l’ossessiva ricerca del profitto ha portato ad un
impoverimento di quantità e qualità anche dalle proposte rivolte specificamente
ai bambini, per cui esse vengono strutturate allo stesso modo della
programmazione degli adulti, secondo la logica dominante del profitto.
40
Il vero nodo del rapporto Tv-bambini diventa allora la qualità dei
programmi ed è opinione diffusa in proposito che la qualità dell’offerta
televisiva delle reti nazionali è pessima. I programmi per bambini risultano
ripetitivi o inadeguati al complessivo cambiamento delle abitudini delle
famiglie o addirittura vengono proposti in orari non corrispondenti agli orari di
fruizione.
Sono infatti tanti genitori che lamentano il divario che c’è tra gli orari in
cui vengono offerti programmi per l’infanzia e gli orari in cui realmente i figli
guardano Tv45.
Di conseguenza i bambini non hanno modo di vedere neanche quella
ristretta programmazione interessante rivolta loro e si trovano a guardare
giornalmente la Tv dei grandi.
I programmi di prime time più seguiti dai bambini risultano: il varietàquiz, l’informazione, i telefilm. Ecco in dettaglio le percentuali:46
45
46
Pier Cesare Rivoltella, Media Educational,Carocci,Roma, p.55.
www.mediamentre.rai.it
41
Grafico 1
20%
54%
26%
Varietà quiz
Informazioni
Telefilm
Il dato, secondo cui i bambini guardano programmi di tutti i tipi in tutte
le fasce orarie, come in un circolo vizioso, spinge le emittenti a investire
sempre meno nella Tv per l’infanzia.
La questione è dunque complessa e richiede una riflessione, per così
dire, incrociata sulle dinamiche di offerta e di fruizione.
Per capire ciò che i bambini amano guardare in televisione, basta
riflettere sui generi offerti dalle emittenti nelle fasce in cui l’ascolto è più alto.
Da una ricerca relativa alla programmazione televisiva, nel mese di
novembre 2003, risulta che nella fascia compresa tra le ore 13:00 e le ore 14:00
Raidue offre in percentuale le seguenti trasmissioni:
42
Grafico 2
1% 12%
3%
Informazione
Attualità
50% Varietà
Fiction
Sport
34%
La programmazione di Raitre relativamente agli stessi orari risulta
essere, invece, la seguente:
Grafico 3
40%
43%
17%
Attualita
Varietà
Fiction
43
Riportiamo infine le trasmissioni che Italiauno, sempre dalle 13:00 alle
14:00, destina esplicitamente ai bambini:
Grafico4
6%
6%
6%
53%
29%
Sport
Cartoni
Varietà
Fiction
Musicale
Dalle 20:00 alle 21:00 sia Rai che Mediaset offrono cartoni animati:
ecco in percentuale lo spazio ad essi riservato rispettivamente dai palinsesti di
Raidue e Italiauno:
Grafico 5
5%
37%
50%
8%
Varietà
Informazioni
Sport
Cartoni
44
Grafico 6
19%
2%
15%
3%
61%
Fiction
Varietà
Sport
Quiz
Cartoni
Verificheremo a questo punto quale spazio le tre emittenti riservano
nell’arco di una giornata alle trasmissioni per l’infanzia:
Grafico 7
28%
Raidue
Raitre
Italiauno
53%
19%
45
Raitre dedica dunque ai bambini solo il 19% della sua programmazione,
ma è doveroso sottolineare che, a dispetto della quantità, l’offerta di questa
emittente – la Melevisione, Screensaver – è variegata, nuova, autentica.
Sulla base di queste considerazioni, possiamo concludere che la
televisione, basata sulla logica del profitto, considera gli utenti in modo
indifferenziato in quasi tutte le ore del giorno e in più utilizza gli indici di
ascolto per organizzare i palinsesti.
Ma questo modo di gestire l’offerta può valere anche per la Tv destinata
all’infanzia? E ancora: fino a che punto si può affermare che i bambini più
guardano più apprezzano?
In realtà sarebbe ora di cominciare a pensare che è l’offerta e non certo
la domanda a determinare la scelta dei bambini: questi, in altri termini,
guardano ciò che viene loro proposto e probabilmente lo guardano perché non
c’è altra scelta.
Fiction e varietà risultano generi prediletti perché dai dati Auditel
risulta che sono i più seguiti, ma questo non può equivalere a dire che sono
quelli che maggiormente rispondono ai gusti dei bambini.
Cerchiamo allora di capire meglio qual è, nell’ambito del rapporto
offerta/fruizione, l’indice di gradimento dei fanciulli.
In primo luogo va sottolineato che i più piccoli prediligono i cartoni
animati: non a caso, nella programmazione del mattino, quando solo i più
piccoli sono a casa, c’è, in tutte le emittenti, un’alta percentuale di cartoni
animati.
46
Per il resto va detto che tra i programmi, piacciono maggiormente quelli
formativi, quelli cioè da cui è possibile trarre conoscenze sia teoriche che
pratiche, come ad esempio Art Attack.
Ma generalmente – e ritorniamo alla questione precedente – tale
fruizione non è consentita, in quanto offerta in orari non compatibili ai ritmi di
vita e agli impegni dei bambini di oggi.
Tra i programmi di maggiore gradimento offerti nelle fasce orarie, in
cui i bambini sono maggiormente in ascolto, c’è Zelig, una trasmissione ideata
per una visione più collettiva che settoriale.
Altro dato interessante da sottolineare è che neanche l’uso dei “bollini”,
volto a sollecitare la visione di un programma insieme ad un adulto, rispecchia
l’effettiva realtà del consumo televisivo; esso serve piuttosto alle emittenti, per
salvare la faccia.
47
2.2 Strutture e modelli linguistici della Tv per ragazzi
La Tv per bambini si caratterizza, più di qualsiasi altro genere
televisivo, come “discorso costruito”. Alla base della costruzione delle strutture
testuali e linguistiche di un programma per l’infanzia sta la convinzione degli
adulti che ai bambini si può parlare solo di determinate cose e in un
determinato modo.
Prima di passare ad analizzare le caratteristiche specifiche della lingua
dei testi utilizzati nei programmi televisivi specifici per l’infanzia, è opportuno
riflettere sia sulle peculiarità che la lingua teletrasmessa ha in generale sia sulle
caratteristiche che la lingua per l’infanzia ha in generale, non riferita cioè alla
televisione.
Riguardo al primo punto, spetta a Sabatini il merito di aver definito
concretamente le variabili – canale, caratteri linguistici, funzioni comunicative
– che caratterizzano la comunicazione faccia a faccia, la comunicazione scritta
a distanza e la comunicazione orale a distanza. Esempi di lingue trasmesse
48
sono le comunicazioni telefoniche, cinematografiche, radiofoniche e ciò che
costituisce il centro del nostro interesse, quella televisiva47.
Le caratteristiche linguistiche della lingua trasmessa si pongono a metà
tra quelle dello scritto – messaggio registrato, mittente non presente, ricezione
regolata dall’emittente – e quelle del parlato, anche se questo, data la natura di
canale e mezzo, non è mai spontanea.
La ricezione di un messaggio televisivo non è semplice per la rapidità
dei tempi di trasmissione, per la diffusione generalizzata ad utenti che, di fatto,
hanno caratteristiche peculiari diverse, per l’impossibilità di negoziarne il
contenuto, quando questo risulta complicato, per il disorientamento generale
che il succedersi di informazioni e immagini procura nei telespettatori.
La situazione si complica nel caso in cui i consumatori siano bambini.
In questo caso vanno tenuti presenti altri problemi, a partire da una riflessione
sul ruolo e sulla funzione linguistica della Tv.
C’è chi, come Tullio De Mauro, enfatizza il ruolo della Tv come
strumento di acculturazione linguistica per tutti; c’è chi, come Simone o
Beccaria, considera la Tv specchio della realtà linguistica attuale; c’è infine,
chi, come Masini, parla della Tv come “uno specchio a due raggi”, in quanto
essa da una parte riproduce gli usi medi e comuni, dall’altra influenza
l’evoluzione dell’italiano contemporaneo48.
“I mass media – egli afferma – ci propongono un vero miscuglio di
tipologie testuali e di modalità linguistiche, che rischiano di essere usufruite dal
47
F. Sabatini, “Prove per l’italiano trasmesso (e auspici di un parlato serio semplice), in AA.
VV., Gli Italiani trasmessi. La radio, Accademia della Crusca, Firenze, 1997.
48
Rosaria Sardo, Marco Centorrino, Giovanni Caviezel, Dall’Albero Azzurro a Zelig: Modelli
e Linguaggio della Tv vista dai bambini, Rubbettino editore, 2004.
49
destinatario in modo indifferenziato, senza la capacità non solo di distinguere,
ma poi di riusare i messaggi”49
E’ chiaro che il problema del riuso, si pone in maggiore misura per i
bambini, in quanto in loro la competenza comunicativa è ancora in fase di
costruzione. Altrettanto complesso è il problema sottolineato dallo stesso
Masini della passività e della rapidità delle modalità di ricezione dei mezzi
televisivi. L’eccesso di immagini, che caratterizza i cartoni animati e i
programmi per l’infanzia in generale, procurerebbe nei telespettatori un
torpore, che si traduce in una ricezione passiva del messaggio.
Passiamo adesso ad esaminare l’altro aspetto, che c’eravamo proposti:
l’analisi della lingua dell’infanzia. Lo facciamo seguendo le riflessioni della
scrittrice per bambini, Bianca Pitzorno50.
È significativo che, relativamente alla lingua e allo stile delle sue
opere, lei abbia sottolineato l’intento “di riprodurre nel modo più somigliante
possibile la maniera di parlare e di pensare del bambino protagonista”51.
Questo non deve tuttavia significare – aggiunge la scrittrice –
un’eccessiva semplificazione del lessico, in quanto i termini, che non si
comprendono,
diventano
generalmente
per
i
bambini
uno
stimolo
all’immaginazione e alla creatività.
D’altra parte l’introduzione di termini nuovi e non consueti innesca nei
bambini un produttivo incremento della competenza linguistica. Per lo stesso
motivo occorre che si utilizzi la lingua nella sua completezza, facendo grande
uso di congiuntivi e condizionali.
49
Cf. Ibidem.
B. Pitzorno, Scrivere di e per bambini, in M. T. Serafini, Come si scrive un romanzo,
Bompiani, Milano, 1996, p. 114.
51
Cf. Ibidem pag. 128.
50
50
“Ci sono sfumature di pensiero aggiunge – la Pitzorno – atteggiamenti
interiori, aspettative nei confronti della realtà che solo il congiuntivo della
realtà può esprimere”52.
Ovviamente sempre nel rispetto dei tempi e dei modi di ricezione,
l’emittente avrà cura di non utilizzare frasi molto lunghe e di scandirle con
molta punteggiatura.
A questo punto sulla base delle considerazioni che abbiamo fatto in
relazione prima alla lingua trasmessa dalla Tv, e poi alla lingua utilizzata nella
letteratura per l’infanzia, analizziamo i tratti testuali e linguistici che emergono
dai singoli programmi.
Le strutture linguistiche testuali della televisione a seconda che si
rivolgono a bambini in età prescolare o a bambini in età scolare; hanno
caratteristiche diverse sia in relazione ai contenuti sia in relazione agli usi del
lessico e della morfosintassi.
Un semplice confronto fra L’Albero Azzurro e Disney Club o Art Attack
dimostra che si riserva maggiore attenzione ai programmi per la prima infanzia.
Come sappiamo la televisione privilegia lo stile visivo e tende a
sviluppare l’emisfero sinistro più che quello destro.
I programmi per l’infanzia tendono ad evitare questo rischio
sollecitando la potenzialità di tutti gli stili cognitivi e rispettando le
caratteristiche degli stadi evolutivi dei piccoli.
Mancando nei bambini, la capacità di contestualizzare i messaggi, la Tv
per l’infanzia tende ad evitare accuratamente anche la confusione dei modelli
culturali, che disorientano i bambini. A livello lessicale e morfosintattico, le
trasmissioni per la prima infanzia presentano le seguenti caratteristiche:
52
Cf. Ibidem, p. 132.
51
 Grande attenzione alla lingua parlata
 Rispetto delle norme morfologiche e sintattiche
 Rispetto dei tempi verbali: non si registrano casi di uso del
presente al posto del futuro o di uso dell’Indicativo al posto del
Congiuntivo
 Uso di un lessico variegato
 Uso di diminutivi, accrescitivi, dispregiativi e superlativi
 Prevalenza di paratassi, ma uso moderato anche di proposizioni
subordinate
 Ricorso a rime e filastrocche.
Rispetto a questi tratti linguistici, i programmi per ragazzi dimostrano
minore attenzione alla cura del lessico – che risulta molto meno variegato – e
dei tempi verbali, nel senso che sono numerosi i casi, in cui troviamo
l’Indicativo al posto del Congiuntivo, il tempo presente al posto del futuro. Essi
mostrano altresì una spiccata tendenza a riprodurre il parlato giovanile, per cui
abbandonano termini gergali e tecnicismi. La scenografia è meno curata e
anche la “manualità” passa, per così dire, in secondo piano.
Ma è la ripetizione a costituire la caratteristica più evidente delle
strutture televisive.
La televisione non propone mai niente di nuovo, eppure osserva Paolo
Landi “è proprio questa ripetizione – come se l’uniformità fosse la
caratteristica principale di chi la guarda – la ragione del suo successo. La
televisione parla in continuazione, con un linguaggio uniforme, sempre uguale,
sempre indirizzandosi a te che la guardi”53.
53
Paolo Landi, Volevo dirti che è lei che guarda te, Bompiani, Milano, 2006 p. 45.
52
L’offerta si limiterebbe insomma alle parole, a tante parole; il rischio è
che i fruitori considerano vero tutto ciò che dice, solo perché lo vedono.
L’offerta è altresì strutturata in modo da evitare lo zapping: così ogni
informazione è data in tempi rapidissimi. “Due minuti – afferma Paolo Landi –
senza una guerra o un terremoto nessuna notizia dura in Tv più di due minuti.
Anche alla CNN”54.
Ma non tutti gli spettatori si accontentano di pochi minuti per la
trattazione di un argomento; in questo caso la fruizione è legata ad un profondo
senso di frustrazione.
54
Cf. Ibidem.
53
2.3 Bambini e pubblicità
La pubblicità, nelle sue varie forme, penetra quotidianamente nella
nostra vita, influenzando i nostri comportamenti e il nostro immaginario.
Scopo della pubblicità è dare informazioni su un prodotto e, soprattutto,
persuadere il consumatore ad acquistarlo. Per raggiungere questo obiettivo,
essa usa quindi una comunicazione incentrata sul destinatario e improntata non
al criterio della verisomiglianza, ma a quello dell’efficacia. In altri termini, una
pubblicità funziona non se il prodotto è buono, ma se è efficace lo slogan55.
Il messaggio pubblicitario può essere affidato a diversi canali di
comunicazione: giornali, cartelloni, radio, televisione, cinema, internet.
Ognuno di questi canali ha una sua tipologia di espressione e una fascia di
clientela, a cui rivolgersi. Se ad esempio, ci si vuole rivolgere ai ragazzi, sarà
opportuno scegliere la radio o la televisione, nell’ambito della programmazione
specifica loro destinata.
55
Cf. Packard V., I persuasori occulti, trad. di C. Fruttero, Einaudi.
54
Per l’importanza economica che rivestono, testi e spot pubblicitari sono
curati da veri e propri “professionisti della persuasione”, capaci di sfruttare
qualsiasi elemento, pur di conseguire lo scopo.
La pubblicità non vende prodotti, ma immagini, tecniche sofisticate per
ottenere risultati ad effetto e, nel caso degli spot, anche motivetti musicali
ripetitivi, tali da imprimere nella mente dello spettatore-consumatore come un
marchio sonoro, indelebilmente associato al prodotto.
Molte pubblicità basano la loro efficacia su una “falsa promessa”:
acquistando il prodotto, si acquisteranno anche determinate qualità di bellezza,
giovinezza, coraggio e signorilità.
Bastano queste poche considerazioni per rendersi conto di quanto
pericoloso possa essere il messaggio veicolato dagli spot, specie per chi non ha
ancora maturato competenze critiche adeguate. È ovviamente il caso dei
bambini, a cui – non a caso – la pubblicità guarda con sempre maggiore
interesse, sottoponendoli a veri e propri lavaggi del cervello.
L’attacco forse più deciso contro una televisione fatta in gran parte di
pubblicità è quello sferrato da Paolo Landi, nel volumetto Volevo dirti che è lei
che guarda te56.
Si tratta, come chiarisce l’autore stesso nel sottotitolo, del tentativo di
spiegare ai bambini che non sono loro a guardare la Tv, ma che, al contrario, è
essa a guardarli, a spiarli.
Rivolgendosi proprio ad un bambino, egli afferma: “la televisione sa
tutto di te. Ti guarda in ogni momento della giornata anche quando è spenta. Ti
ha già fotografato, inserito una fascia di età, collocato nell’area reddito dei tuoi
genitori, classificato secondo le loro possibilità di acquisto, raggruppato in
56
Cf. Ibidem.
55
categorie, diviso in serie, ripartito in aree, codificato nei comportamenti,
catalogato”57.
I programmi non sarebbero altro che pretesti per sostenere i sempre più
frequenti stacchi pubblicitari, le televendite, le promozioni, le sponsorizzazioni.
Vittime di questo sistema sono soprattutto i bambini, che non avrebbero
affatto bisogno della televisione. Per loro è senz’altro più salutare spegnerla per
andare a correre, giocare, saltare. Col movimento si entra in contatto con
l’ambiente circostante e si impegnano tutti i sensi: si ammira il paesaggio, si
ascolta il vento, si sente il profumo dei fiori. La Tv invece costringe a stare
immobili e anche gli occhi compiono movimenti impercettibili.
Esistono molti studi scientifici che mostrano quanto stretto sia il legame
tra movimento oculare e pensiero: gli occhi sono “svegli” quando è “sveglia” la
coscienza.
Lo sguardo fisso e freddo sullo schermo televisivo è segno, pertanto, di
una ricezione passiva. In questo stato di trance arrivano al cervello infinite
sollecitazioni, che vengono assorbite acriticamente.
Bastano queste poche considerazioni a dare idea del pericolo
rappresentato dagli spot pubblicitari, tanto più nocivi quanto più sono occulti.
Nell’area della televisione interattiva la situazione è destinata a
peggiorare in quanto probabilmente basterà cliccare su una giacca o un paio di
scarpe dei protagonisti di un programma televisivo per avere la possibilità di
“ordinare” subito via modem l’oggetto selezionato. Né la cosa finisce qui!
A dispetto della privacy, mediante questi “clic” sarà possibile avere una
ricognizione precisa dei programmi e degli spot pubblicitari seguiti da ogni
famiglia, i gusti e le possibilità di acquisto.
57
Cf. Ibidem, p. 13.
56
Avere informazioni dirette, dettagliate e in tempo reale sui consumatori
di Tv sarà per i pubblicitari un fatto straordinariamente importante perché
consente il marketing uno ad uno.
Per gli utenti, invece, ci sarà una sola possibilità: diventare consumatori
passivi e obbedienti.
Certo i bambini non hanno soldi, ma la raccomandazione fatta da
educatori, psicologi e famiglie di non lasciare mai soli i piccoli davanti allo
schermo, finisce per fare il gioco dei pubblicitari.
“Un bambino lasciarlo da solo davanti al teleschermo – osserva ancora
P. Landi – conta meno, per esempio di un bambino e di una mamma (due
consumatori) ed è numericamente inferiore rispetto ad una mamma, un papà e
magari una nonna (tre consumatori) che guardano un programma insieme a
lui”58.
Sarebbe insomma ora di capire che alla Tv non interessa affatto
l’educazione dei bambini. È il consumatore che lui rappresenta ad essere
importante.
Si capisce così come non è la Tv a servire ai bambini, ma sono i
bambini che servono alla Tv per vendere loro tutto quello che gli sponsor
vogliono vendere.
L’esigenza di tutelare i consumatori dell’enorme potere d’influenza
della pubblicità ha indotto le Associazioni di categoria, prima (dal 1968), e lo
Stato, poi, (dal 1992) a vietare ogni forma di pubblicità ingannevole o occulta o
poco rispettosa della dignità delle persone, in tutte le loro forme ed espressioni.
58
Cf. Ibidem, p. 33.
57
Ma fino a che punto queste misure riusciranno a proteggere le giovani
generazioni abituate a vedere, fin dalla tenera età, la televisione come
compagna di gioco “fidata” e “amica affidabile” in tutto ciò che dice?
58
2.4 Media e immagine dell’infanzia e della preadolescenza oggi
Dedichiamo questo paragrafo ad una riflessione sull’immagine
dell’infanzia e della preadolescenza oggi, per capire meglio se e fino a che
punto essa è legata ai media.
I bambini nati dopo la metà degli anni novanta sono apparsi, fin dalle
loro esistenze, negli schermi dell’ecografia e quindi rappresentano una
generazione di schermo.
Pare del tutto naturale che questi già a due tre anni siano in grado di
manovrare il telecomando, del televisore, del video registratore, del lettore dvd
e del decoder.
I modi di vivere di questa nuova generation li possiamo dividere in
piccoli cittadini di due territori: un territorio “concreto/reale”, fatto di
percezioni (il lettino, il fasciatolo, i giochi, la cameretta, l’auto dei genitori, la
scuola, il giardino, il parco giochi) e un secondo territorio per “immagini a
scansione”, fatto di segnali audiovisivi, video via etere, rete di fili e cavi,
schermate di informazioni.
59
Se prima il bambino “imparava a controllare la città a partire dalla
strada, oggi – afferma Nicastro – impara a controllare la metropoli a partire
dalla casa”59.
Si tratterebbe, per lo studioso di una generazione immersa nel consumo,
“sospesa” e “inattesa” di un evento di senso, un problema sociale complesso
sul piano psico-pedagogico, religioso e politico, “una zattera alla deriva”60.
Gli
esperti
di
cyberspazio
e
di
new
media
presentano
significativamente i bambini di oggi come la prima generazione di
“hyperpeople” ossia di iperpersone.
Essi possono essere definiti come soggetti in grado di svolgere molte
azioni e compiti contemporaneamente; sono individui immersi totalmente nel
mondo della comunicazione.
Prototipi dei bambini del futuro sarebbero, insomma, bambini
informatizzati. Il rischio è, come avvertiva tanto tempo fa don Lorenzo Milani,
che “un bambino che si occupa di cose più grandi di lui è sempre un
imbecille”61.
L’immagine di bambini bravi a “trafficare” con telecomandi e schermi
di Tv o pc, deve essere pertanto oggetto di una seria riflessione. Altrettanto
preoccupante è il fatto che la Tv, sempre più spesso, presenta bambini
impegnati in giochi di memoria nozionistica molto competitivi. E tanto più
questi vengono presentati come “geni” tanto più quelli, seduti a guardare la
televisione, sembrano rimbambiti, acritici, passivi.
59
Luciano Nicastro, “I media e i giovani: nascita della tecnogioventù”, Edizione Mimì
Arezzo, Ragusa, 2003.
60
Cf. Ibidem.
61
don L. Milani, Esperienze Pastorali, Firenze, Edizione Fiorentina, 1997, cit. p. 38.
60
È chiaro che, stando seduti immobili davanti allo schermo, i bambini di
oggi “smaltiscono” sempre meno, tanto più che la Tv propone cibi di tutti i tipi
ad ogni ora del giorno. “Cibi che – osserva ancora Paolo Landi – associati allo
stare seduti e immobili e ai piccoli stress adrenalinici provocati da quel che si
guarda, fanno diventare presto obesi”62.
Qualche riferimento alla stampa chiarirà ulteriormente le cose:
Allarme Usa: bimbi obesi per colpa degli spot
L’Università dell’Illinios, analizzando la pubblicità indirizzata ai più piccoli,
ha concluso: “E’ un lavaggio del cervello a favore di cibi dannosi” (L’Unità,
26 agosto 2005).
E ancora:
“Meno spot sulle merendine”.
Entro fine del 2005 i primi impegni concreti. Un “tavolo” con industria
e pubblicitari.
(Corriere della Sera, 16 marzo 2005)
Anche la tendenza, tipica dei bambini di oggi, di crescere in fretta
sarebbe legata alla Tv63. Pare che la luce bluastra e le onde elettromagnetiche
emesse dal teleschermo riducano la produzione di melatonina, l’ormone che
regola i ritmi del sonno e determina i tempi dello sviluppo sessuale. Accade
così che, già a dieci anni, i divoratori di televisione entrino in fase di pubertà
precoce.
La questione non è comunque solo di ordine fisiologico. Una volta, ai
bambini si tenevano nascosti determinati aspetti della realtà, in quanto gli
62
63
P. Landi, volevo dirti che è lei che guarda tè, Bompiani, Milano, 2006, cit. p. 69.
Cf. Ibidem.
61
adulti non li ritenevano preparati per affrontarli. Oggi è praticamente
impossibile “tenere lontani” i bambini da qualsiasi “mistero”: la televisione
non fa, infatti, alcuna differenza tra piccoli e grandi
E i piccoli somigliano sempre più agli adulti: informati, abbigliati con
vestiti firmati, sfrontati, aggressivi, accessoriati.
“Non c’è nessun segreto per l’infanzia – nota ancora Landi - ma senza
segreti l’infanzia non esiste più”64.
Il fall-out tecnologico e mediatico, rende i giovanissimi una categoria
“debole” nello spirito: manca loro un’identità, collettiva e sociale, un progetto
del nuovo cammino sociale e una nuova speranza civile.
Le nuove generazioni parlano poco con gli adulti, non si interrogano sul
futuro e spesso non hanno obiettivi. Il loro linguaggio “tecnologico e
generazionale” sarebbe proprio il segno manifesto del disagio e della ricerca di
senso, che li caratterizza.
Oggi è difficile essere genitori, maestri educatori perché bisogna
comprendere i giovani oltre i loro silenzi, le loro crisi, le mezze frasi,
interpretarne le paure, i bisogni impliciti e cercare di non essere rigidi o ferire i
loro sentimenti.
Nel passato era molto più semplice arrivare a varcare la soglia
dell’essere adulto. Oggi le tappe per diventare adulti sono “flessibili”, con scale
valoriali ed assistenziali mobili, senza uno scopo/obiettivo ben determinato
come accadeva in passato. La “distanza sociale” è diventata una questione
spirituale e generazionale, fra un mondo chiuso a riccio e uno aperto a molte
sollecitazioni, ma con difficoltà di parlare con gli adulti, di accettare la scuola e
la società di progettare o costruire qualcosa di nuovo.
64
Cf. Ibidem.
62
La gioventù odierna non si ribella, se non attraverso l’immagine, “i
piercing” o il linguaggio del corpo “androgino”, dove le differenze sessuali
svaniscono e le passioni sono una fiammata. Questa gioventù più che
“bruciata”, sembra essere “in attesa”65.
Viviamo in una “società ambigua”, abituata all’agiatezza, dove la
modernità ha un valore laico e si predicano valori in cui non si crede. Questa
nuova società sembra aver rinunciato ad insegnare il vivere bene, manca di una
vera “socializzazione politica”, di una vera impronta “cristiana”; essa appare
proiettata al consumismo o, per dirla con Nicastro, al protagonismo dell’agire
di consumo.
I dati italiani sono, in proposito, molto significativi: crescono i consumi
di telefonini, fotocamere digitali, personal computer e Play Station.
Insieme alla loro diffusione, cresce una generazione di bambini e
giovani amanti della comunicazione veloce, della musica, dello sport, poco
inclini allo scontro, non rispettosi dell’autorità, affetti da ansia da cellulare.
Individui siffatti – osserva Luciano Nicastro – non potranno mai essere
colti, in quanto “i media conferiscono a tutti i contenuti un peculiare carattere
di precarietà ed esteriorità. Il loro intreccio assomiglia sempre di più ad un
gioco, che corrode alle fondamenta la profondità e l’articolazione
dell’esperienza cognitiva”66.
Non si vuole dire che saper usare il multimediale significa precludersi
la possibilità di accedere a conoscenze approfondite, ma solo che, se non sono
ancorate a valori forti, queste competenze risultano sterili.
65
Cf. Ibidem.
Luciano Nicastro, “I media e i giovani: nascita della tecnogioventù”, Edizione Mimì
Arezzo, Ragusa, 2003, p. 13.
66
63
È stato detto che “quanto si è più abili con i videogiochi tanto più si
diventa microchirurghi affidabili e precisi…”67.
Ma, ci chiediamo, quante probabilità ha un bambino, abituato a
spendere il suo tempo davanti ad uno schermo – della Tv o del pc – di
diventare un chirurgo?
Lo studio è anche sacrificio e i giovani e giovanissimi vengono tenuti
lontani da ogni genere di sacrifici, coccolati e viziati, fino al punto da ritenere
necessario il superfluo.
In questo, i genitori hanno ovviamente grosse responsabilità, se non
altro per l’essere diventati prevalentemente compagni generosi dell’attività di
consumo dei figli.
In tale contesto il problema della ricerca e del consolidamento della
propria identità si pone in termini nuovi, più esigenti che mai, tanto più che
dell’infanzia e della preadolescenza, oggi, si sottolineano più i punti di ombra
che i punti di luce.
67
Cf. Ibidem, p. 17.
64
Capitolo Terzo
La Tv dei ragazzi in prospettiva diacronica
65
3.1 Storia di un genere nella storia della televisione
Oggetto del presente capitolo è una riflessione in prospettiva
diacronica, sulla Tv dei ragazzi.
La storia di questo genere coincide sostanzialmente con la storia della
televisione e, in quanto tale, essa affonda le proprie radici nell’Italia del
secondo dopoguerra. Questo spiega il motivo per cui la Tv dei ragazzi si è
assunta inizialmente il compito di ricostruire il paese nei suoi molteplici
aspetti.
“La Tv dei ragazzi della Rai – afferma Fausto Guido Bonifacio – nasce
come uno spazio privilegiato per far scuola attraverso gli strumenti della
comunicazione audiovisiva. Spazio non liberamente autogestito bensì vincolato
e sorretto da un indirizzo programmatico dello Stato”68.
68
Fausto Guido Bonifacio, Dalla didattica alla fiction mutamenti nel modello della tv per
l’infanzia della Rai, Editore Bonanno, Catania, 2004.
66
Non è certo un caso che inizialmente la Tv abbia portato avanti delle
esperienze formative, prima in sostituzione e poi ad integrazione della scuola:
si cercava così di supplire alle carenze del sistema scolastico nazionale.
Per comprendere meglio la storia della televisione, Marisa D’Amato ci
invita a procedere ad un’analisi per tappe evolutive69.
La prima fase, compresa tra il 1954 (anno di inizio delle trasmissione
Rai) e il 1968, sarebbe caratterizzata dalla sperimentazione di programmi
formativi validi e innovativi.
La fase successiva, che comprende l’intero decennio degli anni
Settanta, parallelamente ai mutamenti storico-sociali di quegli anni, offre
tipologie di programmi innovativi anche nell’ambito della Tv dei ragazzi.
Se ci soffermiamo per ora a considerare la prima fase della storia della
programmazione per l’infanzia, notiamo che la televisione divenne ben presto
uno strumento fondamentale nel perseguire gli obiettivi di slancio economico e
sociale dello Stato all’indomani della guerra.
La Tv dei ragazzi risponde a questa esigenza sociale con una strategia
operativa basata sul principio “dell’istruire divertendo”.
La programmazione complessiva della Rai di questi anni prevedeva
diversi spazi formativi, alcuni indirizzati ad un pubblico giovane ed adulto,
come ad esempio i corsi di lingua o le varie rubriche informative, altri ai
bambini, come fiabe e burattini, altri ancora, come la fiction, ai ragazzi.
Nella Tv dei ragazzi dei primi dieci anni domina la connotazione
morale, nel senso che tutti i messaggi proponevano la laboriosità, il saper fare.
C’erano poi trasmissioni di tipo informativo e documentario, finalizzate ad
69
D’Amato M, Lo schermo incantato, Editori Riuniti, 1993.
67
ampliare le conoscenze storiche, geografiche e naturalistiche dei bambini. Tra
esse la più famosa è Giramondo.
Nei programmi d’intrattenimento, la connotazione morale era molto
meno forte anche se, in ogni caso, i messaggi dovevano essere coerenti al
sentimento di identità nazionale e rispettosi della morale tradizionale.
Le intenzioni, le scelte e gli orientamenti ideologici vanno sempre
messi in rapporto con i modi e le strategie specifiche di consumo dei contenuti
televisivi da parte degli utenti.
In altri termini, occorre considerare non solo le intenzionalità aziendali,
ma anche gli effetti che i messaggi culturali trasmessi hanno sul pubblico
infantile.
Certamente, fino agli otto anni circa, è difficile che i bambini possano
esprimere una propria valutazione sul contenuto dei programmi trasmessi, ma,
come ben spiega una ricercatrice americana, “dagli otto anni circa e dalla
media preadolescenza in poi, essi hanno acquisito la conoscenza che serve per
aiutarli nella loro attività valutativa”70.
All’esigenza di adattare sempre i programmi ai gusti del pubblico
rispondono indagini specifiche condotte dal Servizio Opinioni della Rai. Ed è
proprio basandosi sui dati dell’audience che la Rai ha operato, dal 1968, un
significativo cambiamento dell’offerta, non più orientata alla formazione
morale ed etica, ma meglio rispondente ai nuovi bisogni dei ragazzi e, in
generale, ad una società in crisi come quella sessantottina.
Un contributo fondamentale a tali problematiche ha dato Marisa
D’Amato, la quale ha sottolineato l’elevato interesse rivolto ai piccoli dalla
70
Dorr A.,Televisione e Bambini: un mezzo speciale per un pubblico speciale, Nuova Eri,
Bologna, 1990.
68
Prima Rete Rai – titolare originaria della Tv dei ragazzi – soprattutto fino al
1975.
Le trasmissioni per ragazzi erano articolate, come quelle per gli adulti,
in tre aree: di informazione, di evasione e di intrattenimento.
In ogni caso, l’offerta teneva conto dell’età e delle caratteristiche
culturali dei bambini e, per questo, il genere informativo acquisì ben presto
sfumature educative.
Il modello di riferimento per l’organizzazione dei palinsesti fu
soprattutto la BBC, che fornì sia i documentari di tipo scientifico e divulgativo
sia telefilm di avventura.
Tale operazione fu resa possibile dalla condivisibilità dei valori etici e
morali tra America e Italia, per cui i telespettatori del nostro Paese si
ritrovavano facilmente nei contenuti veicolati dai programmi “importati”.
Uno studio, condotto da Amato Lamberti, ha sottolineato che la
televisione pubblica è riuscita a trasmettere un determinato sistema ideologico
solo perché era unica titolare di radio e televisione sull’intero territorio
nazionale. Questa situazione assicurava all’azienda un sicuro vantaggio, in
quanto aveva la possibilità di scegliere i programmi esteri, che riteneva
qualitativamente migliori71.
In seguito al crollo del monopolio televisivo la qualità delle
trasmissioni ne risultò penalizzata, sia per la concorrenza di altre reti televisive
sia per i profondi mutamenti sociali e politici del nostro Paese negli anni
Settanta.
71
A. Lamberti, Funzione eticizzante e livelli di conflittualità interna all’apparato televisivo,
VPT Rai, 1979.
69
Sulla base di queste considerazioni, la Rai sperimentò nuove forme di
programmazione, in grado di unificare il target dei telespettatori-bambini a
quello degli adulti.
Parallelamente, i programmisti organizzarono i palinsesti, inserendo
nella fascia pomeridiana e di prima serata, trasmissioni diversificate per
bambini, adolescenti, famiglie.
La diversificazione dell’offerta è frutto di una ricerca su Giovani e Tv
(1968 – 1971) e di una Tavola Rotonda (1970 – 1971) sugli effetti individuali e
sociali del mezzo e del messaggio televisivo.
Così ai criteri quantitativi di indagine, adottati fino ad allora, secondo
cui il pubblico dei ragazzi veniva studiato semplicemente sulla base delle
frequenze d’ascolto, si sostituirono dei criteri qualitativi, miranti ad un’analisi
meno statistica e più psicopedagogica.
Questo nuovo orientamento ha sottolineato l’importanza degli elementi
di variabilità del pubblico non in base a generiche frequenze di ascolto, ma in
base a sesso, età, sviluppo psico-sociale.
In rapporto all’età, ad esempio, le ricerche mostrano generalmente che
più essa cresce, più aumenta il gradimento della fiction realistica (film e
telefilm).
Tale preferenza televisiva, che viene a subentrare al gusto per la fiction
fantastica e per i cartoni animati, va messa in relazione con la crescente
esigenza dei ragazzi di avere punti di riferimento realistici nei modelli sociali,
culturali e comportamentali.
La sperimentazione di programmi televisivi, diversificati per fasce di
età, scaturisce proprio dall’analisi qualitativa della fruizione.
La distribuzione delle trasmissioni era di tipo verticale, nel senso che
“ogni giorno della settimana era caratterizzato da un programma ad hoc
70
indirizzato, per contenuto e tipologia, ad una determinata fascia preferenziale
di pubblico”72.
Più specificamente si rivolgono ai più grandi programmi di tipo
divulgativo-didattico; ai più piccoli programmi di fiabe e burattini; ai bambini
film e telefilm, documentari e cartoni animati.
72
Cf. Ibidem, p.52.
71
3.2 Gli anni Sessanta e Settanta
Nota dominante delle trasmissioni degli anni Sessanta è l’orientamento
didattico e formativo.
Titolare della Tv dei ragazzi era, in questi anni, il Primo Canale Rai,
mentre il Secondo Programma non riservava alcuna attenzione al pubblico
infantile. Solo dopo la Riforma, tutte le reti hanno trasmesso programmi per
ragazzi.
Inizialmente essi erano distribuiti in due fasce orarie: dalle 16:30 alle
17:30 e dalle 17:30 alle 18:30. La prima fascia era riservata ai più piccoli, la
seconda ai bambini di età scolare e preadolescenziale.
Tipici della prima fascia erano le fiction articolata in programmi di
prosa, pupazzi e burattini, e l’intrattenimento costituito dai sottogeneri dei
contenitori di giochi, attività creative e manuali e, talora, anche di telequiz.
Tipici della seconda fascia oraria erano: il genere informativo culturale,
articolato in rubriche di attualità e documentari di tipo naturalistico e storicogeografico; la fiction, proposta nei sottogeneri delle prose e degli originali
televisivi, film e telefilm seriali di produzione statunitense.
72
Al di là dei singoli programmi, dalle ricerche emerge che:
 Per il successo delle trasmissioni era determinante il ruolo del
presentatore, ora padre ora animatore
 Il sesso dei conduttori variava in relazione alle caratteristiche del
programmi o ai destinatari preferenziali. Generalmente erano di sesso
femminile in programmi basati su giochi di creatività e su contenuti
fiabeschi; di sesso maschile in rubriche sportive, di viaggio o tecnicoscientifiche.
 Veri protagonisti delle trasmissioni di svago e di intrattenimento erano i
bambini
 Grande attenzione veniva prestata alle strategie comunicative.
A questo proposito va sottolineato l’importante contributo di Paola De
Benedetti, cui spetta il merito di aver realizzato, insieme ai programmisti della
Rai, la rubrica infrasettimanale Giocagiò. Tale trasmissione, destinata ai più
piccini, riusciva a stimolare nel bambino nuovi interessi per il mondo
circostante.
Il successo della trasmissione, che ispirò anche successive produzioni di
intrattenimento educativo, fu dovuto anche alla capacità di coinvolgere
attivamente
gli
stessi
bambini
nella
costruzione
del
significato
e
nell’elaborazione dei contenuti proposti.
Dal punto di vista metodologico, i bambini erano guidati ad apprendere
dall’imitazione del presentatore, che mostrava ciò che bisognava sapere o fare.
Al di là di Giocagiò, erano comunque le opere di narrativa sceneggiata
e teatrale per l’infanzia e per l’adolescenza a costituire la fisionomia della Tv
dei ragazzi.
Fonte di ispirazione di questo filone fu il teatro, ma anche la
programmazione destinata nello stesso periodo agli adulti.
73
“Gli anni ‘50 e ‘60 – osserva ancora Bonifacio – furono dominati dalla
prosa e da svariate opere di letteratura per l’infanzia, appositamente
sceneggiate per il pubblico giovane; lo dimostrano la prevalenza numerica
delle trasmissioni di narrativa, originali televisivi e teatro per ragazzi, sul totale
complessivo dei programmi (ben 225 titoli presenti nei palinsesti precedenti
alla Riforma) e la prevalente presenza di registi e attori teatrali
professionisti”73.
Rispetto ai generi varietà, informazione e intrattenimento educativo, la
prosa e il teatro per ragazzi aveva appuntamenti più flessibili, non vincolati ad
orari e giorni precisi.
I personaggi di questi cicli teatrali sceneggiati divennero presto i
“beniamini” dei bambini: il Signor Bonaventura, il Clown Scaramacai,
l’investigatrice Lilly, il comico Giufà, il trasgressivo Gian burrasca. A questi
vanno aggiunti il celeberrimo pupazzo Topo Gigio, le maschere Arlecchino e
Pulcinella.
Il fascino esercitato sul pubblico a casa da questi programmi dipende
dal ritmo narrativo realistico e spontaneo, con cui gli attori sapevano
trasmettere i messaggi. Scenografie e colonne sonore non avevano ancora
alcuna rilevanza. Gradualmente la narrazione verbale si arricchì di suoni e di
immagini, sempre limitate tuttavia a riprese interne, negli studi della Rai o a
Teatro.
La strutturazione rudimentale degli ambienti decorativi e scenografici,
più che come limite fu inizialmente avvertita come stimolo alla creatività e alla
fantasia. In tal senso si può affermare che gli sceneggiati televisivi si ponevano
nei confronti dei fruitori a metà tra il libro e i racconti radiofonici.
73
Fausto Guido Bonifacio, Dalla didattica alla fiction mutamenti nel modello della tv per
l’infanzia della Rai, Editore Bonanno, Catania, 2004, pp.67–68.
74
I soggetti della fiction inerivano fondamentalmente a tre filoni narrativi:
i classici della letteratura per l’infanzia; le biografie di personaggi storici
illustri e gli adattamenti televisivi di opere di grandi scrittori del ‘900 (Pavese,
Moravia…).
Negli anni Sessanta comparvero anche gli originali televisivi scritti,
sceneggiati e realizzati all’interno dell’azienda: Gian burrasca, Giovanna – la
nonna del Corsaro Nero, la Filibusta.
La Tv dei ragazzi mantiene sostanzialmente inalterata la sua struttura
anche nella prima metà degli anni Settanta; la modifica più significativa
riguarda i programmi del genere intrattenimento e didattico, che acquisì la
fisionomia di “programma contenitore”, di cui si ha un solo esempio
precedente: Centostorie, del 1963.
Anche il palinsesto mantenne un’impostazione verticale, ma i cicli
divennero gradualmente sempre più lunghi.
Nella fascia di programmazione destinata ai più piccini – che iniziava
ormai alle 17:00 e non alle 16:30 – dominavano i cartoons, importati
dall’America e dall’Europa dell’est.
Questo rapporto di collaborazione della Rai con l’estero fu interrotto
dalla fine del monopolio televisivo, con la concorrenza di altre reti
commerciali, dai generali cambiamenti di tipo economico, dalla scomparsa dei
cartoni dell’est, dal mercato per l’accentramento operato dalla Russia a
discapito dei paesi satelliti.
A questo punto la Rai spronò molti registi del cinema d’animazione
italiano a realizzare alcuni cicli di cartoons a tema. L’intento rimaneva come
sempre quello di intrattenere divertendo ed educando. A questa esigenza
risposero Merry Melodies e i cartoni di Hanna & Barbera.
75
Nella fascia destinata ai più piccoli, insomma, la fiction di animazione
si impose sul teatro, mentre la Tv dei ragazzi continuò a proporre accanto alle
solite rubriche di attualità e di divulgazione scientifica, opere narrative
sceneggiate.
L’offerta, marcatamente articolata tra prodotti di importazione
straniera e originali televisivi realizzati in azienda, fu caratterizzata da un
generale rinnovamento dei contenuti e delle forme, in conformità ai
cambiamenti intervenuti nella società e nelle famiglie italiane degli anni
Settanta.
Il dato “televisivo” più importante in proposito è rappresentato dalla
graduale sostituzione del carattere evasivo a quello educativo.
La vita quotidiana appariva sempre più opprimente e la televisione si
assunse il compito di far distrarre ed evadere i fruitori.
A questo scopo rispondeva, ad esempio, il personaggio protagonista
della trasmissione Uoki – Toki: usando i bottoni della giacca del suo pupazzo –
Moki Toki appunto – egli evadeva dalla noia dei suoi pomeriggi.
I programmisti della Rai, in considerazione dei dati sull’audience,
continuavano comunque ad importare dall’estero film e telefilm di carattere
ironico ed avventuroso. Come già nel decennio precedente, si trattò di un
grande successo: basti menzionare Zorro, Tarzan e Furia, il Cavallo del west.
Il dominio televisivo della fiction statunitense ed europea si impose
incontrastato sugli originali televisivi prodotti dalla nostra azienda.
Fino al ’74–’75 fu la Gran Bretagna a diffondere in Italia il più alto
numero di film e telefilm. Rispetto alle produzioni americane, incentrate sui
valori sociali e morali della solidarietà e dell’amicizia, quelle britanniche, che
avevano come protagonisti non un personaggio principale, ma un’intera banda,
76
erano rappresentate da storie di mistero o di amicizia tra un bambino e un
animale.
Ma fu la fiction scandinava, comparsa nei palinsesti della Tv dei ragazzi
a partire dal ’71–’72, ad apportare le più significative innovazioni nell’ambito
dei temi narrativi.
Un contributo fondamentale a tale collaborazione è stato dato da
Donatella Zilliotto e Paolo Poli. “La logica sottostante a queste manovre
d’acquisto – sottolinea Bonifacio – fu preventivamente quella di svincolare i
contenuti dei programmi di narrativa televisiva dai ristrettivi riferimenti ai
classici romanzi per l’infanzia o ad autori ormai noti al grande pubblico,
introducendo modelli letterari e tipologie di contenuto senz’altro più
diversificate”74.
Le storie di questi telefilm, proposti
in episodi a serie, erano
ambientate in villaggi della Svezia e della Finlandia e avevano come
protagonisti bambini intraprendenti e vivaci. Tra le serie più fortunate sono
Pippi Calzelunghe (dal 1970 al 1976) ed Heidi (dal 1973 al 1978), che
riuscivano ad incarnare modelli di
comportamento alternativi a quelli
tradizionali della bambina casalinga o del bambino avventuroso.
Al crescere del numero di telefilm stranieri ad episodi, gli sceneggiati
della Rai diminuirono fino a scomparire del tutto tra il 1978 e il 1980.
74
Cf. Ibidem, p. 89.
77
3.3 Dalla Riforma della Rai ai nostri giorni
Fino al 1975 la Rai ha esercitato il sevizio televisivo in monopolio.
La scelta di questo sistema scaturisce dalla considerazione della natura
etica e politica del servizio televisivo pubblico e quindi dall’esigenza dello
Stato di tutelare i diritti e le libertà dei cittadini.
Pertanto in tutti i paesi europei, lo Stato affidò il servizio televisivo ad
una Società di diritto pubblico, attribuendone il controllo al Governo, chiamato
a risponderne di fronte ai Parlamenti.
Nel 1975 fu varata una Riforma del servizio televisivo che, come ha
ben spiegato Ettore Bernabei – presidente della Rai dal 1960 al 1974 –
“lasciava alla Rai l’esclusiva delle informazioni sotto il controllo del
Parlamento, per permettere ai privati di trasmettere programmi di
intrattenimento finanziati dalla pubblicità…”75.
La legge di Riforma n. 103 del 14 marzo 1975 stabilì un nuovo
ordinamento, in base al quale la programmazione televisiva non fu più gestita
75
E. Bernabei,Conferenza su Cultura e Mass Media, 2001.
78
dal Governo, ma da tutto il Parlamento. Attraverso la Commissione
Parlamentare di Vigilanza – C.P.V. – esso esercitava funzioni di controllo e di
vigilanza attraverso la valutazione della rispondenza effettiva dei programmi
alle direttive indicate.
Il principio guida di tutta la Riforma fu quello di “garantire agli utenti
una più ampia gamma di opzioni nell’offerta dei programmi televisivi,
riservando, in tal modo, sia alle emittenti della concorrenza privata e
commerciale, sia alle reti interne alla Rai una certa autonomia di espressione,
produzione e trasmissione”76.
Di fatto, però, la legge di Riforma si rivelò portatrice di interessi
pubblici interni al Parlamento per cui, come ha scritto Paola De Benedetti,
“c’era Raiuno che faceva riferimento al partito di maggioranza, mentre la Rete
Due faceva riferimento ai partiti laici”77.
Questa situazione di doppia concorrenza, esterna con le Tv
commerciali, ed interna tra reti orientate da diversi partiti politici, rese l’offerta
sempre più competitiva: la Rai si omologò alle proposte, ai generi e ai
contenuti offerti dalle Tv commerciali e queste, a loro volta, utilizzarono le
sperimentazioni della Rai anche mediante la proposta di una grande quantità di
prodotti esteri.
Le funzioni formative ed educative del servizio Rai crollarono, sia per
l’assenza di direttive ufficiali – relative solo ai settori informativi – sia per
l’incompetenza di chi si trovò a progettare i programmi culturali, sia per
l’eccessiva offerta di fiction: i prodotti di fiction venivano importati dall’estero
76
Fausto Guido Bonifacio, Dalla didattica alla fiction mutamenti nel modello della tv per
l’infanzia della Rai, Editore Bonanno, Catania, 2004, pp.92-93.
77
P. De Benedetti, Intervista, 2002.
79
anche per l’aumento dei costi industriali di produzione interna, mentre quelli
realizzati all’esterno erano molto competitivi.
All’estero venivano pure acquistati alcuni programmi su tematiche
culturali innovative, come il femminismo o le mode giovanili e non è un caso
che queste proposte siano giunte al pubblico italiano dalla Seconda Rete, mossa
come sappiamo, da un’ideologia politica di tipo laico e progressista.
Rispetto alla televisione pubblica, le reti commerciali private
preferirono basarsi su una programmazione a flusso continuo e priva di
qualsiasi presupposto formativo specifico.
Di conseguenza esigenze di budget, calcoli statistici sull’audience ed
offerta del mercato internazionale finirono così per diventare i criteri ispiratori
anche delle scelte dei programmisti della Rai, che, a differenza del passato, non
progettavano i programmi, ma si dovevano accontentare di quello che il
mercato offriva.
Il cambiamento contenutistico dei programmi da educativi ad evasivi va
interpretato secondo questa specifica chiave di lettura: i prodotti più
competitivi erano infatti quelli statunitensi, evasivi e a basso costo.
Non bisogna, tuttavia, sottovalutare l’influenza che sulla Tv ebbero i
movimenti di rivolta giovanile, che imposero la necessità di fornire risposte
innovative e alternative rispetto al tradizionale sistema di valori, ormai
decisamente in crisi.
Nel caso specifico della televisione per ragazzi, si assiste in questi anni
a proposte di programmi per tutta la famiglia. Probabilmente, dietro questa
scelta, va vista l’incapacità dei programmisti di rispondere con programmi
specifici alla componente giovanile.
80
Quest’interpretazione suggerita dalla D’Amato78, è fondamentalmente
criticata dalla De Benedetti, secondo la quale le scelte della dirigenza Rai
vanno piuttosto riferite ad un seminario internazionale sulla Tv dei ragazzi,
organizzato dai paesi aderenti all’Union Europèenne de Radiodiffusion e
tenuto a Firenze nel 1975. In quell’occasione Umberto Eco, sulla base
dell’enorme successo riscosso da Le avventure di Pinocchio di Luigi
Comencini – anche lui presente – sostenne che i programmi per ragazzi non
esistevano più e che per ciò la televisione doveva evitare di differenziare i
programmi per pubblici preferenziali. Il Pinocchio di Comencini, trasmesso di
sera per un pubblico familiare, divenne così modello di altre proposte
televisive, in sceneggiati serali a puntate: è il caso, ad esempio, di Sandokan.
Le ricerche sull’audience nel periodo della Riforma confermarono che
l’ascolto dei ragazzi si concentrava soprattutto negli orari serali e preserali.
Ovviamente, insieme alla fascia oraria, la Tv dei ragazzi mutò
l’orientamento originario, nel senso che essa assomigliò sempre più a quella
degli adulti e, viceversa, quella degli adulti divenne sempre più bambinesca.
Questo “rimescolamento” era già stato sperimentato in America, con la
cosiddetta Tv dei Kiddy Talls.
Tramonta così in Italia quella televisione “formativamente edificante e
attenta, in modo talvolta intransigente, a individuare nei suoi programmi il
massimo indice di coerenza agli indirizzi pedagogici e culturali formulati”79.
Da quel momento vennero trasmessi programmi sulla vita quotidiana
delle famiglie – ad esempio Happy Days – o telefilm seriali – ad esempio
Sturski & Hutch, Tarzan, Zorro, Furia, il Cavallo del West e Lassie .
78
D’Amato M, Lo schermo incantato, Editori Riuniti, 1993 p. 62.
Fausto Guido Bonifacio, Dalla didattica alla fiction mutamenti nel modello della tv per
l’infanzia della Rai, Editore Bonanno, Catania, 2004, p. 105.
79
81
Ben presto, nella battaglia della fiction tra le due reti nazionali, si
inserirono la narrativa d’animazione nipponica, come Ufo Robot e Goldrake, e
i cartoni animati, come l’Ape Maya e Heidi.
Questi prodotti giungevano in Italia per il tramite dell’agenzia di
produzione e distribuzione tedesca, Beta Film.
La collaborazione commerciale della Rai con questa agenzia fu molta
redditizia sia per il risparmio che essa consentì sui costi di acquisto sia per i
vantaggi economici offerti dalla tecnica, – la cosiddetta merchandising –
introdotta dalle case produttrici giapponesi, di abbinare ai cartoni un’ampia
gamma di gadgets.
La Tv dei Kiddy Talls ha indubbiamente accelerato il processo di
cambiamento delle funzioni d’uso e dei meccanismi di fruizione degli odierni
programmi per ragazzi, in relazione a diversi aspetti: l’apertura – favorita dal
merchandising – alle esigenze del mercato e della pubblicità; l’organizzazione
orizzontale del palinsesto con un’offerta indifferenziata dei programmi in
relazione sia agli orari di trasmissione sia ai contenuti proposti.
La scomparsa dei marcatori di differenze e l’affermazione di un regime
concorrenziale sarebbero, per Bonifacio, i principali fattori della fine della Tv
per ragazzi.
“Il problema – ha scritto Farnè – si pone in termini abbastanza chiari,
almeno in linea teorica: da una parte la Fininvest ha definito in questi anni il
suo modello di televisione per l’infanzia in direzione nettamente commerciale,
con un rapporto molto stretto fra i personaggi e i contenuti della fiction e la
pubblicità del merchandising ad essi strettamente collegata […] Dall’altra parte
la Rai è obbligata a differenziarsi, ma non intende farlo, optando in assoluto
sulla cosiddetta televisione pedagogica (ma potremmo anche dire, d’impegno
82
culturale) […] perché ritiene che non sarebbe più competitiva sul piano
dell’audience”80.
L’espansione della concorrenza ha ovviamente inciso sulla qualità
della programmazione, che negli anni Ottanta e Novanta si è sostanzialmente
limitata ad offrire “programmi-contenitore” basati su un mix di giochi, cartoni,
quiz, sigle e, ovviamente, tanti spot pubblicitari. È il caso, ad esempio, di Bim
Bum Bam, Solletico, Ciao Ciao. L’allestimento di questi spazi-contenitore ha
obbedito talora a strategie di tematizzazione, volte a dare continuità alle varie
trasmissioni; si pensi, ad esempio, a Disney Club.
Quanto alla fiction di animazione seriale vanno distinti:
 Un filone fantascientifico e robotico, come Dragonball o i
Pokemon
 Un filone drammatico/sentimentale come Kiss me Licia o
Piccoli problemi di cuore
 Un filone di eroi e di eroine, come Sailor Moon.
Accanto alla fiction di animazione, le Tv commerciali propongono
anche fiction realistiche: sulla vita familiare, come Arnold; sui giovani, come
Friends; sul repertorio comico, come Willie, il principe di Bel Air o Settimo
Cielo.
Anche la programmazione degli anni Novanta risulta condizionata, sul
piano contenutistico e formale della fiction dei Kiddy Talls: si pensi a Streghe
o Charlie’s Angeles, che corrispondono alla fiction di animazione nipponica
degli anni Settanta.
Al genere soap sentimentale vanno ricondotti Beverly Hylls 902100 e
Primi Baci.
80
Farnè R. – Ghepardi V. (a cura di), All’ombra di un Albero Azzurro, Clueb Bologna, 1994, p.
46.
83
Per fronteggiare le proposte delle emittenti private, negli anni Ottanta la
Rai decise di porre fine alla concorrenza interna, per cui Raiuno mantenne la
programmazione pomeridiana per ragazzi, Raidue propose di mattina
programmi specifici per bambini e Raitre non fece programmazioni per
l’infanzia.
L’unificazione della programmazione delle due reti nazionali si deve ad
un programma di grande qualità, L’Albero Azzurro, trasmesso di mattina da
Raidue e di pomeriggio da Raiuno. Questa trasmissione ripropone
l’orientamento d’intrattenimento e di gioco educativo proprio dalla televisione
anteriore alla Riforma.
Il successo dell’Albero Azzurro portò alla realizzazione di altri fortunati
programmi, come La Melevisione, Le storie del Fantabosco, Tg Ragazzi e
Screensaver, che avevano i loro punti di forza nella centralità del gioco e nel
fascino della narrazione.
Un’ultima riflessione va fatta a proposito della programmazione
specifica per adolescenti: le proposte televisive in proposito – le cosiddette
reality fiction – risultano veramente marginali e forse incapaci di rispondere
alle reali esigenze di questo settore di pubblico.
In particolare il contenuto di queste fiction seriali sembra risentire del
consumismo e di tutti i disvalori etici propri di una società, come la nostra,
attenta più all’apparenza che alla sostanza. Così i protagonisti della fiction
sentimentale vivono immersi nel presente e nella quotidianità, senza alcuna
attenzione per la progettualità futura.
La rappresentazione della famiglia scompare per lasciar posto ai
problemi relazionali con il gruppo dei pari.
Nella graduatoria dei valori, spiccano l’edonismo, l’individualismo, la
ricchezza, la bellezza.
84
Possono considerarsi una degenerazione della reality fiction Grande
Fratello, L’isola dei Famosi e tutti quei programmi, fondati sulla telepresenza
e caratterizzati da una pericolosa confusione tra realtà e artificio. Ma questa
non è televisione, perché la televisione deve essere fatta da professionisti che
conoscono bene il mondo dell’offerta e quello della fruizione.
85
Capitolo Quarto
Per una educazione all’uso dei media
86
4.1 La potenzialità educativa della televisione
Aiutare il bambino a usare il medium televisivo nel modo migliore
possibile e a sfruttare la Tv come sostegno per la didattica curricolare è
sicuramente
un
obiettivo
prioritario
dell’educazione
nella
società
contemporanea.
Sono tanti i vantaggi, che la televisione, a dispetto dei suoi numerosi
denigratori, offre ai piccoli telespettatori: essa è fonte di piacere, di evasione,
ma anche di stimolo a nuove conoscenze.
Particolarmente affascinante risulta per i bambini l’immagine, capace di
evocare qualsiasi realtà e più efficace di mille parole, specie per chi, essendo in
età prescolare, con le parole ha qualche problema.
Immagini, costumi, musiche, scene: tutto diventa per i bambini una
magia, una fonte di piacere, che spesso condividono con le famiglie.
Qualunque sia il programma scelto, la Tv contribuisce a stimolare
l’intelligenza dei piccoli e ad arricchire il loro vocabolario.
Contrariamente a quanto si pensa, la televisione potrebbe diventare
l’input con cui avvicinare i bambini alla lettura: vedere un’opera è più facile
87
che leggerla, ma il vederla è spesso una spinta per andarla a leggere.
Consentendo ai bambini di scoprire il mondo, la Tv potrebbe essere considerata
una finestra, che consente loro di scoprire ciò che li circonda, dall’ambiente più
vicino a quello più lontano.
Si tratta di considerazioni semplici, ma significativo, perché aiutano a
capire che la televisione non è un problema; il problema è, caso mai, quello di
farne un buon uso e per questo è necessario stabilire alcune regole:
 non porre il televisore nel posto in cui la famiglia passa la
maggior parte del tempo, nella sala da pranzo o nella cameretta
dei bambini. Il posto migliore per la televisione è un angolo
decentrato della casa, dove bisogna spostarsi per guardarla:
 Decidere con i bambini quali programmi guarderanno
 Abituarsi a guardare insieme i programmi e a commentarli
 Rivalutare la funzione del videoregistratore e del lettore di dvd,
che consentono di guardare in qualsiasi orario ciò che piace e
senza l’invadenza degli spot pubblicitari
 Fissare dei limiti di visione, nell’interesse primario dei bambini,
che possono far così altre cose
 Riconciliare il piacere della televisione con il gusto della lettura
 Fare della televisione un sostegno pedagogico e didattico a casa
così come anche a scuola
Un caso a parte è rappresentato dall’uso terapeutico che di alcuni
programmi che hanno fatto alcuni pedagogisti e danzamovimentoterapeuti
dell’Istituto di Ortofonologia di Roma81.
81
Di Quirico A., Bambino batte televisione 10 a 1, in Mente e cervello n.15 maggio/giugno
2005.
88
Facendo leva sul successo riscosso dalla trasmissione televisiva
Wrestling, questi terapeuti hanno aiutato ragazzi e adolescenti a superare i
propri disagi emotivi.
Sfruttando il processo di identificazione di ogni bambino con un eroe
del Wrestling, i terapeuti hanno assecondato l’azione della lotta fino a
trasformarla da schema in gioco e linguaggio del corpo.
Si è voluto riportare quest’esempio per far capire che ogni tipo di
proposta televisiva può divenire, per abili educatori, sempre e comunque
occasione, di studi per migliorare e migliorarsi.
Di fronte a queste sollecitazioni, è veramente difficile negare a questo
medium un potenziale educativo ed è significativo che anche Popper,
rappresentante emblematico della “cattiva maestra televisione”, non esclude
che essa possa essere, potenzialmente, una forza per il bene.
Il suo ruolo ad esempio potrebbe essere insostituibile nel contribuire
alla realizzazione della democrazia, la cui idea fondamentale è quella di far
crescere l’educazione generale, offrendo a tutti opportunità sempre migliori.
L’idea della patente ideale per fare Tv è dettata proprio dalla funzione
educativa che, volenti o nolenti, si trovano a svolgere gli operatori del settore
televisivo.
È significativo che tra i nuclei fondamentali del percorso didattico loro
destinato, lo studioso ponga:
 la promozione di valori civili orientati alla non violenza
 la conoscenza dei processi di ricezione del prodotto televisivo
da parte dei bambini
 la proposta di cambiamenti adeguati.
Un importante contributo in tal senso dovrebbe venire dalla società,
attraverso la pianificazione di percorsi formativi specifici.
89
Tra le sperimentazioni più valide, va ricordata la costruzione, da parte
di Katia Branduardi e Walter Moro, di un intero curriculum basato
sull’educazione ai media82.
Obiettivi di questo percorso guidato risultano essere: “Fornire strumenti
per abituare il bambino ad avere un rapporto interattivo con la Tv, basato sulla
capacità di saper scegliere e distinguere i programmi emotivi da quelli
informativi, di saper leggere cognitivamente i testi, che abitualmente egli
fruisce attraverso un approccio basato sulla capacità di saper descrivere,
riflettere, ricavare ed interpretare in modo critico ciò che vede sullo
schermo”83.
Non si tratta certo di compiti facili, anche perché la scuola ha scarso
controllo su un’esperienza che è squisitamente extrascolastica.
Accade così che i consigli dei docenti non sono considerati cogenti dai
bambini, tanto più che per loro la conoscenza di ciò che la Tv propone è
indispensabile per conversare con gli altri, dimostrarsi aggiornati e insomma
socializzare.
Altro intervento importante, in ambito di educazione alla Tv, è la
cosiddetta “dieta televisiva”, proposta da E. Menduni84.
L’esperimento, che ha coinvolto anche l’Università di Siena, ha
mostrato una consistente diminuzione del consumo televisivo e un progressivo
miglioramento degli stili di fruizione.
82
Rosaria Sardo, Marco Centorrino, Giovanni Caviezel, Dall’Albero Azzurro a Zeling: Modelli
e Linguaggio della Tv vista dai bambini, Rubbettino editore, 2004.
83
Ibidem, p. 19.
84
E. Menduni, “Esperienze di media education promosse nell’ambito del corso di Laurea in
Scienze della Comunicazione dell’Università di Siena”, Annali della Facoltà di Lettere
dell’Università di Siena, pp. 323 - 342.
90
Anche l’Università potrebbe dare un valido contributo a tale
problematica, attraverso la formazione dei futuri autori e produttori di testi
televisivi nonché dei possibili responsabili dell’analisi e del controllo dei
contenuti.
Un’esperienza significativa in tal senso risulta la predisposizione del
laboratorio “La tv per bambini e ragazzi: modalità di ricezione e linguaggi”
tenutosi presso l’Università di Catania nella primavera del 2004.
L’intervento, mirato alla costruzione e produzione di format per
l’infanzia, sia pure nei limiti di una simulazione, è riuscito a formare,
attraverso strumenti concettuali e competenze tecniche di sociologia e di
linguistica,
degli
operatori
della
comunicazione
professionalmente
e
culturalmente adeguati.
Altra voce significativa, all’interno del dibattito sulla potenzialità
educativa della Tv, è rappresentata da Farnè, il quale sostiene la necessità che i
futuri programmatori di format costruiscano prodotti veramente dedicati
all’infanzia e non semplicemente modellati secondo quanto piace all’infanzia85.
In altri termini, sarebbe ora di rinunciare a fare programmi, che usano
l’aspetto ludico, la simpatia, il divertimento, la semplificazione dicotomica
delle emozioni: amore/odio; buoni/cattivi.
Oggi si investe poco nella produzione di programmi specificamente
dedicati all’infanzia; si preferisce acquistare cartoni animati anche di scarsa
qualità contenutistica e si finisce per orientare i bambini a scegliere programmi
per adulti, opportunamente resi childlike.
85
R. Farnè, Buona Maestra Tv. La RAI e l’educazione da Non è mai troppo tardi a Quark,
Carocci, Roma, 2003.
91
Anche un altro padre della televisione, Renzo Salvi, parla di “poca
inventiva nella scarsa proposta televisiva per i bambini e i ragazzi”86.
I bambini dovrebbero invece ritrovare il gusto di scoprire qualcosa di
nuovo attraverso la Tv, visto che essa possiede “le risorse tecnologiche e
creative per elaborare un proprio linguaggio didattico, declinato su format
televisivi diversi”87.
Nessuno ovviamente pensa e pretende che la tv debba trasformarsi in
“agenzia educativa che sostituisce nei loro ruoli famiglia e scuola”88, ma è
lecito aspettarsi che dalla riflessione critica sul problema formativo di chi si
occupa di tv discenda la produzione di programmi autenticamente destinati a
questa fascia di età.
86
R. Salvi, Se non la smetti ti spengo, Cittadella Editrice, Assisi, 2001, p. 24.
R. Farnè, Buona Maestra Tv. La RAI e l’educazione da Non è mai troppo tardi a Quark,
Carocci, Roma, 2003, p. 75.
88
C. Coggi, Valutare la tv dei bambini.Vie alla qualità e all’uso educativo, Franco Angeli,
Milano, 2003, p. 140.
87
92
4.2 La potenzialità educativa della pubblicità
Tra i motivi più discussi del fenomeno di esposizione nociva dei
bambini alla Tv c’è senza dubbio la pubblicità, in riferimento al suo carattere di
persuasore potente tanto più negativo tanto più i fruitori sono fragili, privi cioè
di una personalità forte, capace di “difendersi” da stimoli negativi di varia
natura e tipologia.
Scopo del presente paragrafo è, invece, dimostrare come questa
considerazione sia generica e superficiale, perché anche la pubblicità ha un
potenziale educativo positivo.
In particolare essa, per i linguaggi che usa, appare un genere televisivo
molto adatto ai bambini. È luogo comune sottolineare il rischio che i messaggi
pubblicitari agiscano come persuasori occulti nella mente dei piccoli, come un
lavaggio del cervello, che supera le loro deboli difese cognitive ed emozionali.
Tuttavia ricerche recenti con intento scientifico, a partire da Mario
Morcellini, invitano a non considerare più i bambini come creature indifese,
come fruitori passivi. Essi, al contrario, come è stato dimostrato nel capitolo
93
primo89, dispongono, già in età prescolare, di apprezzabili competenze
operative sui vecchi e sui nuovi media, almeno confrontabili con quelle dei
familiari. Essi sarebbero capaci di individuare i messaggi pubblicitari e
decidere se e fino a che punto prestarvi fede.
Che ci sia una volontà selettiva nella scelta di vedere lo spot
pubblicitario lo dimostra il fatto che per alcune pubblicità l’audience è elevato,
per altre basso.
Si considerino i dati sulla visione di spot da parte dei bambini90:
Tabella n.1
Break
% di minori di età compresa tra i 4
e i 7 anni davanti al programma
prima del break
16.06 - 16.09 Canale 5
86
16,32 - 16,35 Canale 5
115
16,38 - 16,40 Raiuno*
90
16,39 - 16,42 Canale 5*
104
* Concorrenza
89
Cf. 1.2.
Roberto Miletto, Alessandra Bellotti, I bambini e la pubblicità, come rendere educativo il
messaggio pubblicitario, Armando Editore 2003, p. 31.
90
94
A questo punto appare più proficuo riflettere sul perché la pubblicità piace ai
bambini. I motivi sono molteplici tanto da indurci a presentarli in elenco:
 I messaggi pubblicitari hanno delle caratteristiche, che sono
proprie di una cultura, per così dire, “primitiva”, improntata
all’oralità
 Le parole sono molto legate al contesto e rafforzate dai
linguaggi non verbali, come la mimica, la gestualità, la musica
 Le strutture sintattiche utilizzate sono semplici
 Negli spot pubblicitari c’è uso frequente di slogan e frase fatte,
che facilitano la comprensione e la memorizzazione.
Come si vede, il linguaggio pubblicitario è perfettamente rispondente al
tipo di comunicazione utilizzata dai bambini non alfabetizzati, per i quali la
lingua scritta può essere significativa nella misura in cui è legata ad un contesto
orale e ai linguaggi non verbali.
Sulla base di queste considerazioni, sono in tanti a vedere nella
pubblicità un’occasione formativa positiva anche nella scuola dell’infanzia.
Particolarmente significativa risulta, in proposito, la proposta di
Roberto Milletto e Alessandra Bellotti (rispettivamente neuropsichiatria
infantile e psicologa clinica e di comunità) di un itinerario che, proprio
attraverso la visione di spot pubblicitari, porti gli alunni della scuola
dell’infanzia dal disegno al segno91.
Obiettivi formativi di tale percorso sarebbero: far capire che le scritture
sono oggetti pieni di significato; sviluppare la motivazione a scoprirli con
operazioni che, prima di essere linguistiche, sono cognitive; abituare a
considerare le scritture come oggetti da riprodurre fedelmente.
91
Cfr. Ibidem.
95
Ovviamente non tutti gli spot si prestano ad essere utilizzati in senso
formativo; spetta agli educatori selezionare quelli che presentano un racconto
gradevole nei linguaggi, per immagini e parole e si svolgono in un contesto
adeguato ai bambini, (per esempio una maestra coi suoi piccoli allievi).
Dal punto di vista metodologico, si dovrà rispettare sempre lo stesso
iter: proporre e riproporre ripetutamente lo stesso spot; procedere all’analisi, in
gruppo, della comprensione del filmato.
La pubblicità costituisce, inoltre, una valida occasione per un lavoro
metalinguistico, rispondendo così alle sollecitazioni che in tal senso
provengono dalla didattica del metalinguaggio92, la quale insiste sulla necessità
di far superare ai bambini l’idea che la parola sia non distinta e non separata
dal proprio referente.
La pubblicità, infatti, offre anche, a questo riguardo, abbondante
materiale di supporto per far capire ai bambini che lo stesso oggetto può essere
indicato con tanti nomi diversi.
C’è di più!
Gli spot pubblicitari sono significativi anche per gli spunti educativi che
offrono: le relazioni familiari, il rispetto della natura e così via.
Un compito più complesso ma, molto utile sarebbe quello di indurre i
bambini a costruire dei testi pubblicitari. Ovviamente non si utilizzerà il canale
audiovisivo, ma la carta.
L’insegnante guiderà i piccoli allievi a costruire un annuncio
pubblicitario elementare, mediante il quale essi dovranno convincere i
consumatori ad acquistare un prodotto specifico; si tratta di un operazione
92
Grazzani Gavazzi I. e Tramarini M., La costruzione del nome nei bambini, consapevolezza
del linguaggio e discussione a scuola, in “Psicologia dell’educazione e formazione”, 2000, pp.
235 - 240.
96
complessa perché presuppone la capacità di conoscere ciò che il consumatore
pensa, in modo da “dire” le cose più adatte a convincerlo.
Questo sforzo di “mettersi nei panni del consumatore” può diventare
una preziosa opportunità di crescita per i bambini, perché richiede un impegno
metacognitivo.
Dalle differenze tra la pubblicità dello schermo e la pubblicità della
carta, i bambini saranno inoltre portati a capire o intuire l’importanza che il
canale ha nella comunicazione. In Tv lo spot ha suoni, azioni, successione
temporale; nel cartellone esso è fisso, basato solo su immagini e testo.
Sulla base di queste considerazioni, è possibile concludere che la
pubblicità, più che un limite della Tv odierna rappresenta una risorsa, una
opportunità formativa ed educativa degna di divenire, in virtù della
congruenza, tra strutture degli spot e strutture cognitive e linguistiche dei
bambini in età prescolare, oggetto di efficaci percorsi didattici nella scuola
dell’infanzia.
Chiudiamo il paragrafo con una riflessione sulla Pubblicità Progresso,
un’associazione di tipo volontaristico, nata nel 1971, allo scopo di promuovere
campagne pubblicitarie con fini educativi e civili.
Oggetto e soggetto delle campagne, condotte da Pubblicità Progresso,
sono importanti temi sociali, come il volontariato, la solidarietà verso i
portatori di handicap e gli anziani, la lotta contro il razzismo, la promozione
del patrimonio naturale e culturale del nostro paese.
97
4.3 La potenzialità educativa del multimediale
Oggi non è più possibile ignorare il posto che il multimediale occupa
nella nostra società e nella vita dei bambini. Il computer trova ormai posto in
quasi tutte le case; il cdrom è un oggetto familiare; tutti conoscono quali
possibilità straordinarie offra un collegamento ad internet.
È facile capire dunque quali opportunità il multimediale possa offrire ai
bambini, rappresentando un metodo di apprendimento nuovo, vivace, ludico.
Ovviamente nessuno pensa che giocare col computer significa di per sé
acquisire nuove conoscenze. Al contrario, anche in questo caso, è essenziale la
guida di educatori, che insegnino loro ad apprendere con il multimediale.
Già prima di entrare nella scuola dell’infanzia, i bambini hanno alle
spalle significative esperienze di frequentazioni di Tv, videogiochi, cinema,
computer.
La capacità manuale, con cui manovrano telecomandi, mouse, e
joystick, è veramente sorprendente.
98
Altrettanto significativo è l’entusiasmo con cui i bambini si accostano a
qualsiasi “macchina” per giocare o imparare. Non si dimentichi comunque che,
per quanto offra elevate prestazioni, il computer resta pur sempre uno
strumento “complementare” e non alternativo a tutti gli altri strumenti di
apprendimento, che i piccoli hanno a disposizione: libri, cinema, televisione.
È altresì necessario che l’approccio al multimediale sia guidato dagli
adulti.
Le statistiche evidenziano che i bambini adorano soprattutto i giochi sia
che si tratti del Game boy sia che si tratti della consolle, la famosa Playstation.
Nella scelta dei giochi è opportuno che ci sia lo sguardo vigile degli
adulti, i quali possono, a loro volta, essere guidati dalle raccomandazioni
riportate sulle confezioni e sulle istruzioni delle confezioni.
È bene evitare giochi odiosi e crudeli e tener conto della fascia di età
cui i giochi sono destinati.
Occorre poi definire il tempo massimo consentito per l’utilizzazione del
gioco e ciò al fine di ridurre i rischi comunque legati ad un uso generalizzato
dei videogiochi. È doveroso sottolineare in proposito che la stampa ha riportato
casi di epilessia provocati, in soggetti fotosensibili, dall’eccesso di luci e figure
contrastanti, che animano i videogiochi. Eccone qualche esempio:
Molti giocano fino all’autodistruzione. Malati da videogames:
boom di cliniche
La Repubblica, 13 giugno 2006
99
Giochi di ruolo: la clinica per disintossicarsi dai giochi virtuali.
I sintomi di assuefazione. Il giocatore non studia, non lavora e trascura ogni
attività e persino i bisogni primari, mangiare e dormire.
Corriere della Sera, 13 giugno 2006
Lo schiavo del videogiochi
Nicolò Amanti racconta la sua ossessione virtuale: ho rischiato di non fare lo
scrittore
La Repubblica, 23 novembre 2005
Mamma, mi fa male il videogame
Alla vigilia dell’uscita di una nuova consolle s’infiamma il dibattito tra
sostenitori e nemici dei giochi elettronici.
La Stampa, 7 agosto 2005
Un altro rischio è che si perda quel contatto fisico, che è fondamentale
per lo sviluppo della personalità di un bambino, che ha assolutamente bisogno
di essere in contatto fisico con la materia e con le altre persone.
Se si usano queste precauzioni, il multimediale può diventare uno
strumento al servizio di una pedagogia molto attiva e attraente, quanto il
principio base di ogni software ludo-educativo è quello di far apprendere i
bambini divertendosi.
100
C’è di più!
È stato ampiamente dimostrato che più si riesce a coinvolgere gli
educandi nel processo di apprendimento, più essi imparano mediante la
dimensione ludica; il multimediale riesce, a far eseguire ai bambini anche i
compiti più ripetitivi e noiosi, a farli lavorare di più e meglio.
Si pensi ancora a quanto prezioso può essere il ricorso al computer a
scuola: nell’apprendimento delle Lingue straniere, per gli esercizi di
comprensione e di espressione orale; in Scienze, per gli esperimenti virtuali; in
qualsiasi tipo di ricerca mediante internet.
Non è dunque l’informazione che è diversa, ma il modo di accedervi e
di presentarla.
In questo senso uno degli aspetti più affascinanti del multimediale è per
i bambini – e non solo! – la capacità di sperimentare diverse situazioni e
informazioni in maniera virtuale.
In tutto questo l’insegnante, contrariamente a quanto si potrebbe
pensare, ha un ruolo fondamentale.
È veramente ridicolo temere che la diffusione del computer e dei
software sostituirà in un prossimo futuro la scuola!
E non è certo un caso che questa abbia “aperto le porte” all’informatica,
in considerazione della sua efficacia didattica, ma anche e al fine di dare a tutti
gli alunni le stesse possibilità formative.
Saper usare il pc è dunque un fatto positivo, a patto però che non si
dimentichi che davanti alla macchina il bambino è solo e questo può
rappresentare un limite per la comunicazione vera, da persona a persona.
D’altra parte limitare gli insegnamenti ai soli pc sarebbe un grosso
errore: apprendere non basta per far entrare nella testa dei ragazzi il maggior
numero di nozioni possibili.
101
Occorrono infatti altri fattori: la motivazione, la voglia di imparare, le
conoscenze già acquisite. A ciò si aggiunge il fatto che, riducendo i tempi di
apprendimento, la macchina non consente quella riflessione che è
indispensabile per imparare, capire, interiorizzare i concetti.
“I bambini della televisione – ha scritto una psicologa – e domani quelli
delle reti multimediali avranno menti mutilate se la loro cultura si limiterà a
quella dello schermo e in particolare se mancherà loro la scrittura”93.
Il multimediale è uno strumento formidabile con cui il bambino può
giocare, scoprire, apprendere, scrivere; esso se ben usato, abitua alla
concentrazione, potenzia la responsabilità di riflessi e favorisce una buona
coordinazione psicomotoria.
Un’offerta così ampia è garantita da una vasta gamma di cdrom, che
coniugano generalmente l’utile al dilettevole, ossia l’aspetto ludico e quello
educativo.
Di grande aiuto può essere l’uso di cdrom specifici per favorire
l’apprendimento in soggetti con difficoltà o demotivati.
Ma si ricordi sempre che nessun cdrom è all’altezza del cervello umano
e che il libro resta il miglior strumento esistente per sviluppare
l’immaginazione. Nessuna macchina o nessun programma riuscirà a sostituire
le immagini mentali che ognuno crea nella propria mente e che, sono le
migliori, perché uniche.
Unica è anche la piacevolezza che offre il contatto fisico che si ha con il
libro, un contatto impossibile con un supporto tecnologico.
A differenza del cdrom, che ha il difetto di invecchiare presto per
l’evoluzione dell’informatica, un libro può leggersi anche a distanza di secoli.
93
Monique Brach Lehur in R. Kodsi, Prof pc, maestra tv,Editrice Pisani, Isola del Liri, 2006,
cit. p. 40.
102
Ci resta da far riferimento all’utilità che internet può avere per i
bambini.
Nessuno dubita della straordinaria potenzialità di questa “biblioteca
virtuale” a scala planetaria; del carattere formidabile che questo mezzo ha per
la comunicazione istantanea, ma è necessario tener conto anche dei rischi ad
esso legati, tanto maggiori quanto più è bassa l’età dei fruitori.
Chiunque può creare un sito in internet con tutti i pericoli che una tale
libertà presuppone sul piano della morale e dell’ideologia.
Altra preoccupazione riguarda il problema delle fonti per cui gli adulti
devono far capire ai ragazzi – cosa non sempre facile – che non tutto ciò che
trovano in internet è necessariamente credibile.
Occorre poi assolutamente impedire ai ragazzi di navigare alla cieca:
per questo è necessario che ogni ricerca abbia uno scopo preciso e sia svolta in
un tempo determinato.
“La macchina – afferma in proposito il filosofo Claude Capelier –
propone in blocco documentazioni, elementi, soluzioni tipo […]. Ma dall’altro
lato non fornisce nessuna chiave per organizzarli e schematizzarli con un
criterio”94.
Per ridurre i rischi legati a internet sono state pensate diverse soluzioni:
programmare il pc per impedire che i minori accedano ad internet in assenza di
adulti; istallare un software speciale per esempio Cyber Patrom, che blocca
l’accesso a siti ambigui.
Ma si tratta purtroppo di una protezione relativa, in quanto richiede un
aggiornamento continuo della lista dei siti, che, oltre ad essere molto lunga
cambia continuamente.
94
Cf. Ibidem, p. 35.
103
I rischi come si vede non mancano, ma non mancano neanche i
vantaggi per cui, anche riguardo al multimediale, occorre porsi in maniera
“intelligente”: niente facili allarmismi e niente facili entusiasmi!
104
4.4 Scuola e universo multimediale
Parallelamente alle evoluzione della nostra società anche il nostro
sistema scolastico si è evoluto nell’organizzazione, nei metodi e nei contenuti.
La didattica tradizionale ha inteso celebrare l’azione dell’insegnamento
e del libro, riconosciuti depositare di un sapere storicizzato e condiviso da tutti.
Oggi la concezione dell’insegnamento pensato in forma di libro è stata
decisamente superata così come sono stati superati i modelli pedagogici
tradizionali. Oggi la scuola non và più pensata come luogo in cui si impara a
leggere, scrivere e fare i conti perché questo nella scuola del Duemila non può
più bastare per cui lo stesso sistema formativo va concepito come sistema
formativo integrato cioè aperto all’extrascuola.
D’altra parte sappiamo che lo stesso concetto di educazione varia in
rapporto all’evoluzione della società. Occorre pertanto riflettere innanzitutto
sull’identità
dell’individuo,
sulle
caratteristiche
della
società
italiana
contemporanea e sui processi di globalizzazione, che investono non solo la
politica e l’economia, ma anche la cultura e la comunicazione.
105
Ne consegue la necessità che la scuola risponde alla sfida posta
dall’innovazione
tecnologica
e
dalla
moltiplicazione
delle
fonti
d’informazione. I continui mutamenti pongono all’individuo problemi di
adeguamento sempre nuovi.
La scuola non è oggi il veicolo principale del sapere: i ragazzi vengono
a scuola dopo aver visto molta televisione e operato col computer e quindi
hanno una percezione del mondo più ricca e mediata di una volta. Questo la
scuola non può e non deve ignorarlo: ecco perché dispone di vari strumenti e
mezzi, dai libri ai video registratori, dai computer ai cdrom e sono ormai poche
le scuole che non dispongono di aule multimediali.
Tutto ciò è molto importante perché ha creato un crescente bisogno di
alfabetizzazione informatica, al quale i curricoli scolastici devono fornire una
risposta adeguata nella consapevolezza che i bambini devono essere preparati a
vivere da protagonisti in una società, nella quale l’uso dei computer è destinata
a diffondersi a macchia d’olio in settori sempre più in numerosi: dall’economia
alla produzione, dai mass media al tempo libero, dall’amministrazione pubblica
e privata alla vita quotidiana e alle abitudine domestiche.
L’uomo tecnologicamente impreparato potrebbe trovarsi, nel prossimo
futuro, in una situazione di emarginazione assai più imbarazzante di quanto
non accade oggi per l’analfabeta. Tale emarginazione verrebbe ovviamente a
riguardare anche la possibilità di lavoro e di sviluppo professionale in quanto
nella società postindustriale verranno sempre più richieste competenza ed
abilità ad elevata specializzazione tecnologica.
L’utilizzazione a scuola degli strumenti ad alta tecnologia elettronica
potrebbe inoltre contribuire in modo determinante ad ottimizzare i risultati dei
processi di apprendimento per gli alunni, ma anche per gli insegnanti ove si
106
pensi alla possibilità di aggiornarsi fruendo delle strutture e degli strumenti più
qualificati.
La possibilità di interagire con le intelligenze artificiali dei computer
potrebbe favorire il potenziamento delle capacità di simbolizzazione di
astrazione e di ragionamento.
Ecco perché l’introduzione nei curricoli scolastici degli elementi
basilari dell’informatica direttamente correlati allo apprendimento delle abilità
necessarie per l’uso dei computer contribuisce a rinvigorire la funzione sociale
ed educativa della scuola.
Questa la genesi dell’introduzione della multimedialità a scuola,
destinata a divenire motore trainante di un processo di revisione dei modi di
fare scuola.
Si pongono cosi nuove finalità e più congruenti obiettivi didattici.
Tutto ciò, ovviamente, è fattibile nella misura in cui gli insegnanti
abbiano, per così dire, la chiave di accesso alla cultura di oggi e di domani, e
che siano pronti a trasferire le grandi potenzialità della multimedialità nella
pratica didattica.
Ciò implica il rinnovamento dell’impianto didattico attraverso i
processi di autonomia, di flessibilità operativa, di formazione docente e
presuppone un alunno “multimediale”, che attraverso percorsi flessibili e aperti
e mediante i vari linguaggi multimediali (word, internet, software, ipertestuali)
attua la costruzione di nuovi concetti, acquisisce nuove conoscenze e ricerca
nuove informazioni.
Si
tratta
di
un
apprendimento
interdisciplinare, collaborativo,
prevenire attraverso un ipertesto.
significativo,
esplorativo,
contestualizzato e a questo l’alunno può
107
Si tratta di un testo particolare: i suoi contenuti sono rappresentati da
informazioni dette nodi e legami di varia natura detti links, gli uni (nodi) e gli
altri (i legami) si risolvono in suoni, immagini, testi e grafici.
Accanto ai contenuti va considerato l’interfaccia che attraverso le
grafiche ha il compito di coinvolgere attivamente l’alunno; infine occorre far
riferimento agli strumenti relativi alle modalità di navigazione, che
affascinando l’operatore, nel nostro caso l’alunno ha il pregio di coinvolgerlo e
motivarlo all’apprendimento.
Insomma, l’introduzione della multimedialità a scuola è positiva non di
per sé, ma nella misura in cui si risolve in azione vantaggiosa per i processi di
apprendimento, che devono essere facilitati e semplificati in modo da essere
significativi per quanti ne facciano un uso intelligente e non un abuso più o
meno meccanico e artificioso.
108
4.5 Rispetto e tutela dei minori
L’attenzione ai diritti dell’infanzia e quindi la necessità di seguire linee
guida per una corretta pratica del “fare Tv” per bambini sono oggetto di
molteplici documenti internazionali.
Tale problematica risulta articolata attorno a tre nuclei principali:
 L’integrazione attiva tra bambini e media.
 La protezione dei bambini rispetto alle possibili influenze negative dei
media.
 Il rapporto tra i media e l’immagine dell’infanzia nella società.
In Italia l’attenzione degli organismi statali e non statali si è concentrata
principalmente sul secondo punto. Su questa linea la Presidenza del Consiglio,
attraverso diversi Codici di comportamento, ha emanato i seguenti
provvedimenti: il rafforzamento delle fasce televisive protette dalle 16:00 alle
19:00, con controllo della pubblicità e dei contenuti stessi; la programmazione
per “famiglie” di almeno un’emittente per gruppo nelle fasce serali prime time,
109
l’invito a migliorare la qualità delle trasmissioni per bambini, nel tentativo di
aiutarli a conoscere la vita e ad affrontare i problemi95.
Il sistema di protezione, basato sulle fasce orarie di speciale
programmazione, è una sorta di contratto tra emittenti e telespettatori circa la
non trasmissibilità di certi contenuti in certi momenti della giornata.
Questo sistema assolve ad una importante funzione “sociale” di
protezione, perché consente di tutelare anche quei minori, che sono lasciati
liberi di guardare in Tv ciò che vogliono.
Condizione indispensabile perché questo sistema funzioni è però che ci
sia una reale corrispondenza tra i momenti di fascia protetta e quelli in cui si
concentra la maggiore fruizione televisiva dei bambini. Ma questo presupposto
generalmente manca.
Una rielaborazione dei dati Auditel del marzo del 2003, dimostra che
l’ascolto si concentra soprattutto nelle fasce serali ed è prevalentemente
familiare: un buon 5% dei bambini, tuttavia, risulta guardare la Tv oltre la
fascia protetta e senza un adulto vicino96.
Certo c’è sempre il processo di raiting, ossia il sistema dei bollini,
ormai percepiti da adulti e bambini come parte integrante della struttura
testuale del programma, ma è bene precisare che il bollino è funzionale più agli
adulti che ai piccoli, per i quali esso risulta ora di stimolo alla curiosità, ora
addirittura di sfida nei confronti dei genitori, per cui quando essi non sono in
casa, il bollino rosso finisce per diventare motivo di scelta del programma!
Questi documenti si limitano, insomma, a posizioni di facciata, relative
agli orari di programmazione o al sistema dei bollini, senza far riferimento ad
aspetti ben più “pericolosi”.
95
96
Cfr. Eurispes – Telefono Azzurro, 2003.
Cf. Ibidem.
110
I bambini dovrebbero essere tutelati, in primo luogo, dai seri problemi
che il medium provoca nello sviluppo di un corretto rapporto con le coordinate
spazio-temporali. Le caratteristiche strutturali del medium, quali la serialità
della programmazione e la necessità di setting ripetitivi, impongono infatti di
intervenire sul “tempo” e sullo “spazio”, falsandoli.
Al contrario del dinamismo della società contemporanea, il tempo della
Tv è ciclico e statico, non ci sono rapporti di causa-effetto, ma collegamenti a
catena di un episodio con la puntata precedente e col ciclo.
Anche relativamente allo spazio la televisione, per assicurare un rituale
rassicurante, è indotta a ripetere sempre i medesimi scenari.
Nonostante queste interessanti sollecitazioni del dibattito e l’azione di
validi organismi come l’ECTC (European Children’s Television Center), non
ci sono ancora in Italia incentivi per una buona produzione televisiva e non
risultano fissati canoni, se non generici, che qualificano un programma idoneo
ad un pubblico infantile né tanto meno i criteri di una concreta educazione
all’uso e al consumo della Tv.
Sui tempi di visione, basterà dire che il carattere invasivo della
televisione è ormai tale che qualcuno ha addirittura pensato di proteggersi
inventando una sorte di telecomando, che oscura tutti i video. La notizia è
apparsa sul Corriere della Sera di qualche mese fa, a firma di Aldo Grasso:
Spegni tutte le Tv che incontri. Tv–B- Gone, il giocominaccia
Il nuovo congegno, inventato da Mitch Altman, è grande come un
portachiavi e racchiude in un clip un patrimonio di 200 codici capace di
111
spegnere mille modelli diversi di televisori, da quelli del bar a quelli delle sale
d’aspetto degli aeroporti. Al momento è in commercio negli Usa, al prezzo di
14,99 dollari.
Al di là di questi paradossi, quel che in questa sede è importante
sottolineare è che la Tv non sembra affatto tutelare i minori neppure nelle ore
di fascia protetta, dalle ore 16:00 alle 19:00. Il monitoraggio del Comitato di
controllo per la tutela dei minori in Tv ha portato ad un risultato allarmante.
“Dal Wrestling al Gossip la Tv non tutela i minori”: così il
Corriere della Sera del 14 gennaio 2006. Bocciate le reti pubbliche e private,
molte le violazioni e una sola certezza: ancora non si è radicata una cultura
televisiva che rispetti e tuteli i più giovani97 .
A noi non resta che prendere atto del fatto che un’inosservanza tanto frequente
del Codice Tv e minori si risolva in mero rimprovero e constatare che,
nell’ambito della protezione dei minori, è ancora la famiglia ad esercitare il
ruolo più significativo.
Abbiamo già detto che a partire dal momento del pranzo, il bambino è
coinvolto in una visione televisiva, che potremmo definire collettiva.
Si considerino in proposito i dati relativi alla visione “familiare” della
Tv98.
97
98
Ibidem
Dati Auditel della stagione 2003.
112
Tabella n. 2
Classi di
età
Mattina
In
Ora di
Primo
appena
mattinata pranzo pomeriggio
alzati
Tardo
pomeriggio
Ora
Dopo
Di
di
cena notte
cena
3 - 5 soli
13,8
9
1,5
20,4
17,1
1,2
0,8
0,1
3 - 5 con
familiari
11,6
6,2
15,4
34,7
43,8
40,1
20,1
0,2
6 - 10 soli
13,4
1,6
2
23,9
23,4
1,8
2,2
0,1
6 - 10
con
familiari
10,2
1,5
24,3
32,6
41,7
55,7
39,2
0,2
11 - 14
soli
8,7
1,6
3,2
26,4
24,7
1,6
5,1
0,5
11 - 14
con
familiari
6,5
0,8
32,3
25,4
32,6
65,5
61,7
0,4
Dai dati riportati risulta che i bambini guardano soprattutto la
televisione con i familiari. Questa abitudine viene generalmente accoppiata a
funzioni di controllo nei confronti dei bambini.
Le ricerche sul rapporto Tv-bambini mostrano, invece, che alla base di
questa abitudine non c’è tanto l’influenza della famiglia in merito a funzioni di
controllo, quanto piuttosto una coincidenza tra impegni dei genitori e impegni
dei figli99.
99
R. Silvestrone , Televisione e vita quotidiana, Il Mulino, Bologna, 2000.
113
Una particolare attenzione va riservata alla visione dei programmi
violenti in quanto “le immagini forti - come hanno ben sottolineato due
importanti psicologi francesi – hanno un impatto particolarmente rilevante
sull’animo del bambino, che sta ancora identificando e mettendo a punto i
modelli di comportamento da adottare”100.
Da recenti ricerche con intento scientifico risulta che l’esposizione ad
immagini violente aumenta comunque il tasso di criminalità. L’iniziazione alla
violenza, la disinibizione e la desensibilizzazione al dolore degli altri sono per
gli psicologi i meccanismi attraverso cui la visione di spettacoli brutali facilita
e in qualche modo legittima il ricorso alla violenza.
Proponendo scene violente, la Tv mette il bambino in contatto col
sangue e la violenza, quindi gli presenta la possibilità di agire violentemente
attraverso l’identificazione con l’aggressore. Altrettanto pericolosa è sul piano
psicologico, l’identificazione con la vittima: in questo caso si rischia di vivere
con la paura di rimanere vittima di aggressioni e di diventare molto diffidenti
nei confronti del prossimo.
Relativamente alle proposte televisive di contenuto violento, occorre
spendere qualche parola sul Wrestling. Pare infatti che questa trasmissione più
piace, più suscita polemiche. Si tratta, come è noto, di una lotta sul ring tra due
o più uomini che se li danno di santa ragione. Per dare un’idea precisa di
Accusa e Difesa ne riportiamo alcuni stralci di quotidiani:
100
Bègue L. – Gilles I., La televisione rende violenti, in “Mente e cervello”, n.15 maggiogiugno, 2005.
114
 Corriere della Sera, 30 maggio 2005:
I bambini e gli eroi del Wrestling. “Vietamoli”. “No, è un
gioco”.
Da una parte c’è chi ritiene inutile proibire giochi che simulano la lotta;
sarebbero i bambini stessi ad aver inventato il Wrestling, azzuffandosi; in
secondo, la difesa della libertà passerebbe anche attraverso la difesa del
Wrestling.
Sul versante opposto c’è chi ritiene nocivo che Sky e Italiauno mandino
in onda una trasmissione del genere nelle fasce protette. I bambini sono così
istigati a fare a pugni e, dal momento che non conoscono le tecniche, si fanno
male.
 La Stampa, 22 giugno 2005.
In un’intervista rilasciata a Giorgio Barberi, Morcellini precisa: “I
bambini sanno che è tutto falso”. “Qualche rischio corre solo chi è
affetto da disturbi della personalità o ha difficoltà a socializzare
con gli altri”
 La Stampa, 16 novembre 2005.
I campioni incontrano i bambini: “Non imitateci, sono botte
finte”.
115
Anche per i giochi della playstation la situazione non è migliore:
“25 to Life” Vince chi uccide più poliziotti.
L’America si spacca su un videogiochi: i fautori insistono sul fatto che
nessuno ha mai scientificamente dimostrato un legame tra contenuto violento e
aumento dell’aggressività nella vita reale. Per i più, invece, un videogioco del
genere non dovrebbe essere messo in commercio in quanto offensivo della
morale pubblica.
La Stampa, 22 giugno 2005
Videogame sulla strage al liceo
Il sopravvissuto: gioco anch’io.
Massacro di Columbine. I ragazzi imitano gli assassini
Corriere della Sera, 21 maggio 2006
Sulla base di queste considerazioni la famiglia ha il dovere non tanto di
impedire la visione di determinati programmi, quanto piuttosto di stimolare nei
figli quelle competenze critiche che, sole, possano effettivamente limitare le
conseguenze della violenza.
“Parlare con i propri figli di un film, al quale si è assistito in loro
compagnia, chiedere loro se ritengono una cosa buona agire in quel modo, o
aiutarli a prendere coscienza del significato morale delle immagini trasmesse
116
fornisce armi per premunirsi contro gli effetti inconsci della violenza
televisiva” 101.
Anche riguardo al multimediale è necessario che la famiglia eserciti una
efficace azione di controllo e di tutela dei figli. Parliamo, ad esempio, dei
videogiochi: un bambino “non protetto” rischia di diventare dipendente fino al
punto da restarne vittima. Ecco, in proposito, la stampa:
Molti giocano fino all’autodistruzione. Malati da videogames:
boom di cliniche
La Repubblica, 13 giugno 2006
Giochi di ruolo: la clinica per disintossicarsi dai giochi
virtuali.
I sintomi di assuefazione. Il giocatore non studia, non lavora e trascura
ogni attività e persino i bisogni primari, mangiare e dormire
Corriere della Sera, 13 giugno 2006
Lo schiavo del videogiochi.
Nicolò Amanti racconta la sua ossessione virtuale: ho rischiato di non
fare lo scrittore
La Repubblica, 23 novembre 2005
101
Cfr. Ibidem
117
Mamma, mi fa male il videogame.
Alla vigilia dell’uscita di una nuova consolle, s’infiamma il dibattito tra
sostenitori e nemici dei giochi elettronici.
La Stampa, 7 agosto 2005
Grande sarebbe pure la responsabilità, dei media in generale e della
televisione in particolare, in merito all’aumento del fenomeno del bullismo tra i
ragazzi.
Così ad esempio nella Repubblica del 14 maggio 2005:
“Piccoli bulli crescono con la Tv e i videogiochi”.
Alla base di tutto ci sarebbe infatti il gusto della sopraffazione, che
continua ad essere la nota dominante di tanta Tv e Play Station.
Anche internet deve essere oggetto di grande attenzione. Sappiamo
bene che, quando si inizia a navigare non si sa mai dove si possa andare a
finire: da qui la necessità di impedire la così detta “navigazione alla cieca”. I
siti ambigui sono numerosi e alcuni possono essere scioccanti per il contenuto
violento, pornografico, razzista ecc.. Da qui la necessità che le ricerche in
internet siano guidate sempre da un adulto, che avrà cura anche di fissare un
tempo e uno scopo precisi, altrimenti si rischia di divagare inutilmente.
Non ci sono dubbi: il binomio internet-bambini è allarmante e
criminologi, esperti di informatica e psicoterapeuti non fanno che sottolinearlo.
118
Ecco in proposito La Sicilia, 1 febbraio 2006:
Il vero pericolo corre sul web. Oltre 25 milioni di pagine
dannose”. Il 13% dei bambini è stato contattato da pedofili. Sollecitata
un’Authority o un Ministero per l’Infanzia.
Al fine di tutelare i figli anche quando, per qualche motivo, si
trovassero da soli ad accedere ad internet, è opportuno istallare nel Pc di
casa dei software, che impediscono l’accesso a siti ambigui. Purtroppo non
ci sono poliziotti nel web e i minori non sono adeguatamente armati per
difendersi dalle “aggressioni” della rete!
I bambini vanno tutelati anche dalla pubblicità. A lanciare l’allarme
è una recentissima ricerca della Facoltà di Psicologia dell’Università La
Sapienza di Roma, a cura di Maria D’Alessio e Fiorenzo Laghi, dal titolo
Maneggiare con cura102.
Un esercito di piccoli dittatori involontari impone i suoi desideri ad
adulti che – stando ai risultati dell’indagine – comprano ai figli tutto ciò che
possono103. A commento di questo studio, scrive La Repubblica (23 aprile
2006):
Bimbi e Spot: piccoli teledipendenti crescono.
Per tutelare i bambini nei confronti di questi rischi, la Legge Gasparri,
ribadiva in origine tre principi fondamentali: un tetto all’affollamento degli
102
103
D’alessio M., Laghi F., Maneggiare con Cura, Edizione Magi.
Cf. Ibidem.
119
spot, il divieto di girare pubblicità con attori minori di quattordici anni e quello
di pubblicizzare alcolici dalle ore 16:00 alle ore 19:00.
Ma di tutto questo è rimasto poco e questo poco viene continuamente
violato dalle emittenti. Tra le soluzioni si pensa a fissare dei limiti alla
programmazione della pubblicità nella fascia oraria vista dai bambini – è già
accaduto alla BBC – o a porre un semaforo rosso sulle confezioni di prodotti
che vanno usati con parsimonia, perché contengono molti grassi – come accade
in Gran Bretagna.
120
Conclusione
Basta riflettere sui nuovi miti a cui si riferiscono attualmente bambini e
adolescenti per rendersi conto di quanti e quali personaggi affollano la loro
mente, senza che essi ne siano sempre consapevoli.
La velocità con cui questi “miti” si succedono è sorprendente al punto
che difficilmente gli adulti possono stare al passo con questo frenetico fluire.
Tuttavia, occupandoci di bambini, è nostro dovere cercare di capire più
da vicino cosa sta succedendo.
Anzitutto continuiamo a constatare che il mezzo principale, che crea
questi prodotti, è la televisione da cui, con moto inarrestabile inarrestabile, si
effondono “personaggi”, giochi per il Game Boy, dischetti per la Play Station,
prodotti di marchio vario e, soprattutto, modelli di comportamento e stili di
vita.
Il rischio sta proprio in questo, tanto più che le statistiche ci parlano di
migliaia di bambini giornalmente incollati allo schermo, in ogni fascia oraria e
spesso anche da soli.
121
Sui danni di una “fruizione” incontrollata si è già detto abbastanza e, in
ogni caso, dato il ruolo che i media hanno sulla nostra società, le critiche
sarebbero presso che inutili.
Come educatori abbiamo piuttosto il dovere di non fare il gioco della
televisione o comunque di quella televisione che, tradendo le innumerevoli
potenzialità positive che essa certamente possiede, si è ridotta a bassa scuola di
volgarità, di insipienza e violenza.
Le emittenti televisive, sia pubbliche che private, hanno il dovere di non
dimenticare le loro responsabilità morali e sociali e l’Autorità competente
quello di individuare quelle infrazioni, che deprimono e ulteriormente
danneggiano una Tv già abbastanza scadente.
Abbiamo già visto come la politica aziendale delle Tv di Stato si sia
trovata, intorno alla metà degli anni Settanta, nella necessità di rinunciare ai
suoi originari intenti formativi per rispondere a mutate esigenze sociali, ma
anche per fronteggiare la concorrenza sempre più spietata del sistema
televisivo.
Accade così che anche i
programmi per ragazzi, originariamente
rispondenti ad un progetto educativo, teso sostanzialmente ad unificare
l’identità linguistica nazionale e ad ampliare gli orizzonti di conoscenza del
mondo, abbiano gradualmente assunto un carattere prevalentemente evasivo.
Produrre all’interno dell’azienda, sulla base delle reali esigenze del
pubblico e in funzione dell’orientamento formativo dei fruitori divenne
pressoché impossibile sia per l’aumento vertiginoso dei costi di produzione
industriale sia per il taglio di fondi operato a danno della Rai.
Di fronte a questo stato di cose, ai programmisti non restò altra scelta
che selezionare i programmi non più in base a criteri qualitativi, ma secondo
precisi calcoli commerciali.
122
Dall’originaria autonomia produttiva, fondata sulla qualità dei
programmi si passò così alla dipendenza dagli orientamenti di mercato, tesi
unicamente a massimizzare l’ascolto e a trasformare il telespettatore da
soggetto interlocutore a perfetto consumatore.
Questa logica ha portato a “riempire” i palinsesti, di un po’ tutte le
emittenti, di proposte televisive statunitensi e nipponiche, le più competitive
sul mercato, perché a basso costo e di discreta fattura.
Il genere della Tv per ragazzi può dirsi, da questo momento, scomparso;
non vengono ideati programmi specifici per loro, in considerazione sia della
sconvenienza economica della produzione interna, sia della concentrazione
dell’ascolto di bambini e ragazzi nelle fasce orarie serali e preserali.
Questo stato di cose ha portato ad omologare indistintamente il
pubblico dei ragazzi a quello degli adulti e i family programs ben risposero
all’esigenza di “accontentare” tutte le famiglie.
Da più parti giungono indicazioni su una televisione di qualità
qualunque sia il target di riferimento, ma è bene tener presente che, se si deve
parlare di Tv ideale per bambini, il primo dovere è quello di “ascoltare”
anzitutto i diretti interessati.
Dalle ricerche condotte in tal senso risulta che i bambini vorrebbero:
 Una trasmissione specifica per loro in prima serata
 Una diminuzione della pubblicità
 Programmi serali di quiz adatti ai ragazzi
 Una riduzione dei contenuti violenti e della volgarità in genere
 Un TG serale per i ragazzi
 Trasmissioni serali fatte di giochi, comicità e “cose da creare”
123
Il fenomeno è dunque complesso, ma resta comunque una questione di
fondo: nessuna logica - economica, politica, sociale - può e deve prevaricare
sulla qualità di un servizio che, consapevolmente o inconsapevolmente, educa.
124
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