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3. folder 23 05 09-4:Layout 1 19-05-2009 17:53 Pagina 1 Bibliografia Amanda Swain and Robin Lovell-Badge Mammalian sex determination: a molecular drama Genes Dev. 1999 13: 755-767. Andrew P. Feinberg, Epigenetics at the Epicenter of Modern Medicine JAMA. 2008;299(11):1345-1350. Anneke van Silfhout Annemieke M. Boot , Trijnie Dijkhuizen Annemieke Hoek , Rien Nijman. Birgit Sikkema-Raddatz , Conny M.A. van Ravenswaaij-ArtsA unique 970 kb microdeletion in 9q33.3, including the NR5A1 gene in a 46,XY female European Journal of Medical Genetics xxx (2009) 1–4. Chang HS, Anway MD, Rekow SS & Skinner MK 2006 Transgenerational epigenetic imprinting of the male germline by endocrine disruptor exposure during gonadal sex determination. Endocrinology 147 5524–5541. Egger GG, Liang GG, Aparicio AA & Jones PAPA 2004 Epigenetics in human disease and prospects for epigenetic therapy. Nature 429 457. 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PNRC: a proline-rich nuclear receptor coregulatory protein that modulates transcriptional activation of multiple nuclear receptors including orphan receptors SF1 (steroidogenic factor 1) and ERRalpha1 (estrogen related receptor alpha-1). Mol. Endocrinol. 14, 986–998. Notes 1 3. folder 23 05 09-4:Layout 1 19-05-2009 17:53 Pagina 2 GENOMA UMANO E MALATTIE RARE: METODOLOGIE DIAGNOSTICHE APPLICABILI IN ROUTINE La conoscenza dei processi di determinazione e differenziazione sessuale è fondamentale nella scelta del corretto iter diagnostico di laboratorio nell’ambito di un processo integrato multidisciplinare (Fig. 1). Lo sviluppo sessuale coinvolge tre processi sequenziali: volge l’espressione differenziale di diversi geni in momenti e tessuti diversi e molti di tali geni sono veri e propri fattori di trascrizione che si legano al DNA e all’RNA regolando l’espressione genica (Fig. 2). 1. La determinazione del sesso cromosomico al momento della fertilizzazione (sesso cromosomico) riconducibile alla presenza/assenza nel corredo cromosomico di specifici geni. 2. Lo sviluppo della gonade indifferenziata in testicolo o in ovaio (sesso gonadico). 3. La conseguente differenziazione dei genitali interni in accordo con il sesso gonadico (sesso fenotipico). Figura 2. Genoma umano e malattie rare: metodologie diagnostiche applicabili in routine. Figura 1. Genoma umano e malattie rare: metodologie diagnostiche applicabili in routine. Nei mammiferi il sesso genetico dell’embrione è stabilito al momento della fertilizzazione con la trasmissione da parte paterna del cromosoma X o del cromosoma Y, indagine di prima scelta rimane dunque l’analisi di citogenetica classica mediante la definizione del cariotipo con lo studio della struttura cromosomica. Oggi affiancate alle metodiche di citogenetica classica, analisi del cariotipo, e molecolare, FISH, sono le metodiche di CGH-microarray e più in generale l’epigenomica in considerazione del fatto che il meccanismo di determinazione sessuale e differenziazione è un complesso processo che coin- La regolazione genica è influenzata da modificazioni delle proteine istoniche e dalla metilazione del DNA. La struttura cromatinica è parte integrante dell’epigenoma, la tecnologia microarray in combinazione con procedure di immunoprecipitazione della cromatina (ChIP) sono state impiegate per studiare la cromatina. I primi studi di epigenetica si limitavano a descrivere l’eterocromatina come regioni di genoma a bassa densità di geni contenenti elementi ripetuti e a replicazione tardiva. In seguito è stato dimostrato che l’eterocromatina e l’eucromatina sono associati a distinti pattern di metilazione e modificazione delle proteine istoniche che correlano con un particolare stato di attività genica conducendo all’ipotesi di un codice epigenetico responsabile dello stato della cromatina e conseguentemente dell’espressione genica. Le metodologie diagnostiche oggi disponibili nell’ambito dell’analisi delle regioni di DNA metilato si avvalgono della PCR (dopo la conversione mediante l’uso di bisulfite delle citosine non metilate in uracile ) o dell’analisi mediante enzimi di restrizione sensibili alle regioni metilate del DNA. La tecnologia del Microarray e della CGH offrono notevoli potenzialità per l’estrapolazione dei dati concernenti le caratteristiche di base di metilazione del DNA e i cambiamenti legati ai differenti pattern di espressione genica in tessuti diversi e in condizioni fisiopatologiche diverse. L’ibridazione comparativa del genoma basata su array (array CGH) è una tecnica innovativa, ad alta risoluzione, di citogenetica molecolare, che consente di rilevare nel genoma umano variazioni del numero di copie di DNA. Queste variazioni, che possono causare fenotipi clinici specifici e complessi, sono causate da aberrazioni cromosomiche numeriche e strutturali, macroscopiche e microscopiche (criptiche), queste ultime non evidenziabili con tecniche di citogenetica classica. Oggi l’epigenetica è definibile come i cambiamenti ereditabili nell’espressione genica non determinati dalla variazione della sequenza nucleotidica del DNA. Sono stati costituiti da diversi centri e università gruppi di studio dell’epigenetica: the Human Epigenome Project (HEP), dei quali il più grande è il Centro di Epigenetica della John Hopkins (http://www.hopkinsmedicine.org/epigenetics/). Nel 2004 è stato costituito l’Epigenoma Network of excellence (www.epigenome-noe.net) un portale aperto agli scienziati e al pubblico con lo scopo di implementare la ricerca fornendo e ricevendo informazioni sulle modificazioni cromatiniche, sulla dinamica dei nucleosomi, sugli RNA non codificanti sul silenziamento genico, imprinting, sull’epigenomica. Ruolo essenziale per la raccolta e l’elaborazioni dei dati sull’epigenomica è la possibilità di avvalersi della tecnologia della bioinformatica assumendo quest’ultima un ruolo chiave nei laboratori di genetica. 3. folder 23 05 09-4:Layout 1 19-05-2009 17:53 Pagina 3 Notes L uc io G n es s i [email protected] Cattedra di Medicina Interna, Dipartimento di Fisiopatologia Medica, Università di Roma “La Sapienza” 2 3. folder 23 05 09-4:Layout 1 19-05-2009 17:53 Pagina 4 SEGNALE ANDROGENICO ED ORGANIZZAZIONE STRUTTURALE DEL TESTICOLO L’acquisizione di un fenotipo sessuale dimorfico è un evento critico nello sviluppo dei mammiferi. Anche se la maturazione della funzione sessuale e della funzione riproduttiva si verificano dopo la nascita, essenzialmente tutti gli stadi critici dello sviluppo avvengono durante l’embriogenesi. Dal punto di vista temporale, questi stadi, una volta avvenuta la formazione dell’abbozzo della gonade bipotenziale, possono essere divisi in due fasi diverse: la determinazione sessuale, l’evento inziale che determina se le gonadi si svilupperanno come testicoli o come ovaie e la differenziazione sessuale, gli eventi successivi che alla fine produrranno il fenotipo sessuale maschile o femminile (1). Un punto fondamentale dello sviluppo sessuale nei mammiferi è che il sesso genetico – determinato dalla presenza o dalla assenza del cromosoma Y – guida le gonadi embrionali verso il differenziamento in testicoli o ovaie. Successivamente, gli ormoni prodotti dai testicoli spingono il programma di sviluppo conducendolo alla differenziazione sessuale maschile. La differenziazione gonadica richiede una serie complessa di eventi che si devono verificare in spazi e tempi appropriati nel corso dello sviluppo (Fig. 1). Figura 1. I principali geni coinvolti nello sviluppo gonadico prima e dopo l’attivazione di Sry. La scoperta del gene di determinazione del sesso, Sry, ha impresso una forte spinta nello studio della organogenesi testicolare. Sry codifica per un fattore di trascrizione che attiva geni bersaglio che iniziano la via maschile dello sviluppo. Questo gene singolo, localizzato sul cromosoma Y, è capace di iniziare il differenziamento del testicolo a partire da una gonade primordiale posta in un delicato equi- librio tra sviluppo maschile e femminile. Come conseguenza dell’attivazione di Sry le cellule delle gonadi sono indotte a differenziare e ad organizzarsi in una morfologia specifica per il testicolo. Anche se Sry è il controllore chiave della determinazione sessuale maschile, a valle ed a monte di questo gene, sia geni collegati al cromosoma X che geni autosomici costituiscono la cascata di eventi molecolari che interagiscono del processo di differenziamento del testicolo. Prima di Sry i geni coinvolti nello sviluppo della gonade bipotenziale sono SF1, WT1, Lhx9, Emx2, M33. Dopo Sry, i geni coinvolti nello sviluppo del testicolo che si attivano a valle di Sry sono Dax1, Sox9, Fgf9, PDGF, Dhh, Arx. Questi ultimi geni sono quelli che dirigono lo sviluppo delle componenti morfologiche e cellulari del testicolo. Anche gli androgeni, oltre a svolgere il ruolo critico della determinazione dell’espressione del fenotipo maschile, sono coinvolti nella organogenesi testicolare. Le azioni degli androgeni sono mediate dal recettore degli androgeni (RA), un membro della superfamiglia dei recettori nucleari. Il RA agisce come un fattore di trascrizione ligando dipendente, regolando l’espressione di un gran numero di geni responsivi agli androgeni. Gli androgeni e il RA giocano un ruolo determinante nella spermatogenesi e nella fertilità maschile. La recente generazione e caratterizzazione di topi maschi portatori di mutazione null totale o cellulo specifica del RA (RA -/y) ha dimostrato la necessità del segnale del RA per lo sviluppo del fenotipo maschile interno ed esterno (2). Come prevedibile, il topo maschio RA -/y totale esibisce un fenotipo esterno tipicamente femminile (compresi una vagina a fondo cieco ed un fallo simil-clitorideo), i testicoli sono intra-addominali e lo sviluppo germinale è severamente alterato, conseguenze queste molto simili alla sindrome da insensibilità completa agli androgeni (CAIS) dell’uomo ed alla femminizzazione testicolare (Tfm) del topo. Tuttavia, il processo della spermatogenesi è fortemente dipendente dalla comunicazione autocrina e paracrina tra i vari tipi cellulari testicolari e la distruzione del RA in tutto l’animale da esperimento non permette di rispondere alla domanda su come il RA influenza la funzione di ogni singolo tipo cellulare testicolare. A questo proposito, la generazione di KO per il RA cellulo-specifici per le cellule germinali (G-RA -/y), le cellule mioidi peritubulari (PM-RA -/y), le cellule di Leydig (L-RA -/y) e le cellule di Sertoli (S-Ra -/y) hanno permesso di studiare le conseguenze della perdita del RA su spermatogenesi e su tipi cellulari testicolari (Tabella 1). L’impatto della mancanza di RA sulle cellule del Sertoli influenza principalmente le funzioni sertoliane di supporto e nutrimento delle cellule germinali, conducendo ad un arresto della spermatogenesi allo stadio di spermatocita primario prima del completamento della prima divisione meiotica. La carenza di RA sulle cellule di Leydig influenza negativamente la funzione steroidogenetica portando ad un arresto della spermatogenesi allo stadio di spermatide rotondo. La delezione del RA nelle cellule mioidi peritubulari porta ad una riduzione di produzione degli spermatozoi senza una riduzione della fertilità. Per finire, la delezione del RA sulle cellule germinali non modifica la spermatogenesi e la fertilità. Tabella 1. Confronto del fenotipo riproduttivo in delezione totale del RA (T-AR-/y) e delezione del RA limitata cellule della linea germinale (G-AR-/y), cellule del Sertoli (S-AR-/y), cellule di Leydig (L-AR-/y) e cellule mioidi peritubulari (PM-AR-/y) Bibliografia 1. Wilhelm D, Palmer S, Koopman P. Sex determination and gonadal development in mammals. Physiol Rev. 2007 Jan;87(1):1-28. 2. Wang RS, Yeh S, Tzeng CR, Chang C. Androgen receptor roles in spermatogenesis and fertility: lessons from testicular cell-specific androgen receptor knockout mice. 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J Cell Biol 185(2):235-249, 2009 C lau d io S et t e [email protected] Ma r ia Pa o l a Pa r o n et t o Val er ia M es s in a En r ic a B ia n c h i C o s t a n zo M o r et t i Raf f a el e G er em ia Dipartimento di Sanità Pubblica e Biologia Cellulare e Dipartimento di Medicina Interna, Università di Roma Tor Vergata, Via Montpellier 1, 00133 Roma, Italia 3 Notes 3. folder 23 05 09-4:Layout 1 19-05-2009 17:53 Pagina 6 REGOLAZIONE DELLA ESPRESSIONE GENICA A LIVELLO POST-TRASCRIZIONALE NELLA SPERMATOGENESI: RUOLO NEL MASCHIO INFERTILE degli spermatociti secondari completa la meiosi e produce gli spermatidi. ABSTRACT La spermatogenesi è un processo di differenziamento cellulare che consente ad una cellula germinale diploide, la quale si divide per mitosi come le cellule somatiche, di diventare aploide attraverso la meiosi e di acquisire, attraverso la spermiogenesi, le caratteristiche morfologiche che consentono allo spermatozoo di raggiungere e di fecondare il gamete femminile. Molti degli stadi coinvolti in questo differenziamento cellulare richiedono profonde modificazioni del genoma, che lo rendono inadatto a svolgere il suo ruolo di “stampo” per la sintesi di RNA messaggeri (mRNA). Per questo motivo, la trascrizione genica non è un processo continuo durante il differenziamento delle cellule germinali e molti mRNA devono essere sintetizzati ed immagazzinati in momenti specifici al fine di essere resi disponibili per la traduzione in proteine durante gli stadi trascrizionalmente inattivi della spermatogenesi. Le cellule germinali esprimono molte proteine di legame agli RNA che regolano questi eventi di processamento posttrascrizionale della espressione genica. La produzione di topi knockout per i geni di varie proteine di legame agli RNA ha messo in luce il ruolo essenziale svolto da esse per la produzione di un gamete maschile fertile nel corso della spermatogenesi. Recentemente, il nostro laboratorio ha identificato una nuova proteina di legame agli RNA essenziale per la fertilità maschile: Sam68. Questa proteina associa con gli mRNA nel nucleo delle cellule meiotiche ed assiste la traduzione di questi messaggeri durante il differenziamento del gamete nella spermiogenesi. La delezione del gene per Sam68 causa una completa sterilità maschile, con produzione di pochi spermatozoi completamente o parzialmente immobili, ed incapaci di fecondare gli ovociti sia in vivo che in vitro. Questi risultati illustrano il ruolo cruciale svolto da Sam68 nella spermatogenesi e suggeriscono che mutazioni in questo gene possano essere la causa di alcune infertilità maschili nell’uomo. 3. La spermiogenesi o maturazione e sviluppo degli spermatidi in spermatozoi. Questa fase è caratterizzata da variazioni nucleari e citoplasmatiche che generano spermatozoi con elementi chiave per la loro funzione. I principali eventi durante questa fase includono la condensazione di materiale nucleare negli spermatidi, la formazione dell’acrosoma, il riposizionamento degli spermatidi per consentire la formazione e l’allungamento della coda degli spermatozoi, la formazione ed il posizionamento dei mitocondri, la rimozione del citoplasma in eccedenza. L’acquisizione di di ciascuno di questi caratteri fenotipici durante questi passaggi gioca un ruolo importante nella funzione degli spermatozoi. 4. La spermiazione, processo finale di rilascio degli spermatozoi maturi che si sganciano dalle cdellule di Sertoli e si liberano nel lume del tubulo. La trascrizione genica non è un processo continuo durante il differenziamento delle cellule germinali e molti mRNA devono essere sintetizzati ed immagazzinati in momenti specifici al fine di essere resi disponibili per la traduzione in proteine durante gli stadi trascrizionalmente inattivi della spermatogenesi. Le cellule germinali esprimono molte proteine di legame per gli RNAm (RNPs) importanti negli eventi di processamento post-trascrizionale della espressione genica in quanto in grado di regolare il metabolismo, lo splicing, il trasporto, il controllo della sintesi, la degradazione e la traduzione dell’RNA. Le RNPs proteggono gli RNAm che sono sintetizzati durante le fasi attive trascrizionali della spermatogenesi sinchè non si attiva la traduzione. Una classe di RNPs che gioca un ruolo essenziale nello sviluppo è rappresentata dalla famiglia di proteine STAR (Signal Transduction and Activation of RNA) cui appartiene Sam68 una proteina di legame agli RNA da noi identificata che gioca un ruolo importante per la fertilità maschile. Sam68 infatti si associa con gli mRNA nel nucleo delle cellule meiotiche ed assiste la traduzione di questi messaggeri durante il differenziamento del gamete nella spermio genesi (Fig. 2). La delezione del gene per Sam68 causa una completa sterilità maschile, con produzione di pochi spermatozoi completamente o parzialmente immobili, ed incapaci di fecondare gli ovociti sia in vivo che in vitro. Questi risultati illustrano il ruolo cruciale svolto da Sam68 nella spermatogenesi e suggeriscono che mutazioni in questo gene possano essere la causa di alcune infertilità maschili nell’uomo. BACKGROUND La spermatogenesi è un processo di continua differenziazione delle cellule germinali per produrre spermatozoi principalmente controllato dall’equilibrio funzionale di regolazione e contro regolazione ipotalamo-ipofisi-testicolo (Fig. 1). Essa inizia nel periodo della pubertà e si associa dunque al periodo di transizione dalla fase di relativa ipogonadotropinemia alla fase prepuberale dello sviluppo che porta alla condizione di eugonadotropinemia nell’adulto. La spermatognesi è compartimentalizzata all’interno della barriera emato-testicolare ed è principalmente regolata dall’ormone follicolo stimolante (FSH), in aggiunta alla fine regolazione paracrina esercitata da molti fattori locali nell’ambito di una stretta regolazione cellula-cellula che in particolare si esercita tra Sertoli e germinali in tutti gli stadi della maturazione spermatogenetica. La spermatogenesi include quattro processi base: 1. la proliferazione degli spermatogoni (cellule staminali) che dà origine agli spermatociti (cellule diploidi). Gli spermatozoi sono presenti nel tubulo seminifero vicino alla membrana basale originando nel periodo puberale dalla proliferazione dei gonociti che derivano dalle cellule germinali primordiali. Si verificano una o due divisioni di spermatogoni per mantenere la loro popolazione come pool di cellule staminali. Le cellule che vengono fuori da que- Figura 1. Asse ipotalamo-ipofisi-testicolo (da Harrison’s Endocrinology 2007). sta divisione mitotica hanno differenti destini, alcuni spermatogoni rimanendo in un pool di immagazzinamento in fase “resting”, mentre altri proliferano diverse volte e vanno incontro a diversi stadi (1-5) di divisione e differenziazione. Dopo l’ultima divisione le cellule che si sono differenziate vengono definite spermatociti primari. Gli spermatogoni in fase resting (o cellule staminali) rimangono dormienti per un certo tempo e quindi vengono introdotti in un nuovo ciclo di proliferazione. Questi cicli di divisioni spermatogoniali si verificano prima della precedente generazione di cellule, sicchè nei tubuli seminiferi multipli stadi del processo si verificano contemporaneamente. Questa sovrapposizione fa si che una popolazione residua di spermatogoni mantenga sempre il testicolo nella<capacità di generare spermatozoi. 2. La meiosi degli spermatociti che genera spermatidi (cellule aploidi con 23 cromosomi). Gli spermatociti primari vanno incontro a due divisioni. La prima divisione meiotica produce due classi di spermatociti secondari. La divisione Figura 2. Modello schematico del ruolo di Sam68 nelle cellule germinali maschili (da Paronetto MP et al. J Cell Biol 185(2):235-249, 2009). 3. folder 23 05 09-4:Layout 1 19-05-2009 17:53 Pagina 7 Bibliografia S i l v a n o B er t el l o n i [email protected] Eleo n o r a D a t i G i a m p ier o I . B a r o n c el l i G i o v a n n i F ed er ic o Medicina dell’Adolescenza, UO Pediatria II F ul v ia B a l d in o t t i A n t o n el l a F o g l i Ma r ia C. Co n id i A n g el a M ic h el u c c i Pao l o S im i UO Citogenetica e Biologia Molecolare D o n a t el l a Pa r r in i Laboratorio di Endocrinologia Ginecologica UO. Ginecologia e Ostetricia I Dipartimento Materno-Infantile Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana, Pisa 4 Ahmed SF, Cheng A, Dovey L, Hawkins JR, Martin H, Rowland J, Shimura N, Tait AD, Hughes IA. 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Fondamentale è un adeguato approccio clinico-laboratoristico e la diagnosi molecolare che identifichi con correttezza il tipo di patologia per garantire una appropriata gestione clinica. BACKGROUND Le basi fisiopatologiche Il complesso processo di differenziazione sessuale maschile può essere schematicamente distinto in tre fasi sequenziali: 1. costituzione del sesso cromosomico (46,XY), che si verifica al momento della fecondazione; 2. determinazione in testicolo della gonade primitiva; 3. differenziazione in senso maschile del fenotipo (genitali interni ed esterni). La terza fase dipende dalla secrezione ormonale del testicolo fetale [ormone antimulleriano (AMH), testosterone, INSL3] unitamente alla risposta degli organi bersaglio a tali ormoni (Fig. 1). L'AMH inibisce lo sviluppo dei dotti di Muller, che nella femmina danno origine a tube di Falloppio, utero e parte superiore della vagina. Il testosterone induce direttamente lo sviluppo dei dotti di Wolff in vasi deferenti, epididimi, e vescicole seminali. Perifericamente, il testosterone, convertito in diidrotestosterone (DHT) da una 5α-reduttasi, virilizza il seno urogenitale. L’INSL3 contribuisce alla regolazione della discesa del testicolo nello scroto (Fig. 1). ANALISI DEI CONCETTI SVILUPPATI I quadri clinici La sindrome da insensibilità agli androgeni (SIA), trasmessa con ereditarietà X-linked recessiva, è usualmente dovuta ad alterazioni molecolari del gene per il recettore degli androgeni; in rari casi la SIA può essere dovuta ad alterazioni nelle proteine co-regolatorie del gene AR. In conseguenza di tali alterazioni, gli androgeni non possono esplicare in tutto (SIA completa) o in parte (SIA parziale) la loro azione a livello dei tessuti bersaglio sia durante la fase intrauterina della differenziazione sessuale che nella vita extrauterina. E’ possibile differenziare varie forme cliniche in base all’androgeno-resistenza (Fig. 3). Figura 3. Rappresentazione schematica della classificazione clinica della SIA in base al grado di resistenza agli androgeni. (Sinnecker GH et al., Am J Med Genet 1996; 63: 223-30, mod.). I quadri clinici SIA parziale parziale sono estremamente variabili (Fig. 3). In alcuni soggetti, si ha un aspetto prevalentemente femminile ma con un certo grado di ambiguità dei genitali. In altri bambini, la SIA parziale si manifesta con un fenotipo ad espressione prevalentemente maschile ma con anomalie anatomiche nello sviluppo dei genitali (Fig. 3). Alla nascita, questi neonati presentano genitali esterni scarsamente virilizzati con testicoli criptorchidi, scroto bifido e micropene; è frequente il riscontro di ipospadia perineo-scrotale e talvolta si può osservare un seno urogenitale con abbozzo vaginale a fondo cieco. Alla pubertà, si ha un grado variabile di mascolinizzazione. La sindrome del maschio infertile è una condizione caratterizzata da un normale fenotipo maschile con isolata infertilità per azoospermia o grave oligospermia come unica manifestazione della resistenza recettoriale agli androgeni; può essere presente ginecomastia. E’ stata anche descritta una sindrome del maschio fertile scarsamente virilizzato, questi soggetti sono caratterizzati da scarsa virilizzazione alla pubertà (ginecomastia, pene di dimensioni ridotte, scarsa crescita dei peli androgenodipendenti). La diagnosi di laboratorio Dal punto di vista endocrino, dopo la pubertà, il quadro endocrinologico è caratterizzato da un incremento dei livelli di LH, per mancato feed-back inibitorio conseguente all’insensibilità ipotalamica agli androgeni, e da aumentati valori di testosterone. Si hanno inoltre maggiori livelli circolanti di estrogeni, dovuti ad una maggiore secrezione testicolare conseguente agli aumentati livelli di LH e a un’aumentata aromatizzazione a livello periferico del testosterone. Nel periodo prepuberale, vi è la necessità di un adeguato studio endocrino, basale e con test da stimolo, e l’eventuale effettuazione di test di sensibilità agli androgeni (Tab. 2). Tabella 2. Test di sensibilità “in vivo” agli androgeni La SIA completa (in passato descritta anche come sindrome di Morris o femminilizzazione testicolare completa) (1:20.000 - 1:99.000 nati maschi/anno) rappresenta il quadro estremo di mancata androgenizzazione. Alla nascita, queste bambine presentano un fenotipo femminile normale. Può essere presente un'ernia inguinale, contenente gonadi maschili, la cui presenza è il principale segno clinico per sospettare una SIA completa prima dello sviluppo puberale unitamente ad un’anamnesi positiva per questa condizione (Tab. 1). Figura 1. Rappresentazione schematica dei processi di determinazione e differenziazione sessuale. La risposta periferica agli ormoni prodotti dal testicolo fetale dipende dalla presenza di recettori periferici normalmente funzionanti. Il recettore per gli androgeni Il recettore per gli androgeni (AR) è una proteina intracellulare di 919 amminoacidi ubiquitariamenta espressa nei tessuti bersaglio e in grado di interagire sia con il testosterone che con il DHT. Tale recettore è codificato dal gene AR, localizzato sul cromosoma X (Xq11-12), di circa 90 kb suddiviso in 8 esoni (Fig. 2). In figura 2 sono rappresentati i 4 principali domini funzionali e i rispettivi esoni. Figura 2. Rappresentazione schematica della struttura del gene per il recettore degli androgeni. I domini funzionali sono in colori diversi; i numeri 1-919 indicano la posizione degli amminoacidi, quelli 1-8 indicano gli esoni (Hughes & Deeb, 2006). Tabella 1. Motivi di consultazione medica nelle pazienti con SIA completa. Alvarez-Nava et al. (Genet Couns, 1997) n % Amenorrea primaria 9/21 43 Ernia inguinale 8/21 38 Storia familiare positiva 4/21 19 Prenatale* — ― Clin. Ped. Pisa (1997 - 2009) n % 20/45 44.1 12/45 26.7 8/45 17.8 5/45 11.1 *Mismatch tra cariotipo (46,XY) con amniocentesi e fenotipo femminile (alla nascita o all’ecografia fetale) Alla pubertà, queste bambine sviluppano habitus e caratteri sessuali secondari femminili normali, ma scarso accrescimento dei peli pubici ed ascellari (androgeno-dipendenti). La vagina può essere breve, ma usualmente adeguata per i rapporti sessuali; il clitoride è di dimensioni normali o lievemente ridotte. Il menarca non compare ed è questo il principale motivo di consultazione medica in età adolescenziale/adulta (Tab. 1). Si ritiene che la SIA completa rappresenti la terza causa di amenorrea primaria dopo le disgenesie gonadiche e la sindrome di Rokitanski. Lo spurt di crescita puberale è simile a quello femminile per intensità e cronologia; la statura finale risulta in posizione intermedia tra quella dei maschi e quella delle femmine. L’età ossea è nella norma. Lo sviluppo psicosessuale è femminile normale sia per quanto riguarda l’orientamento sessuale che l’istinto materno. Negli ultimi anni, in conseguenza della maggiore diffusione delle indagini prenatali (amniocentesi, ecografia fetale) sta emergendo la possibilità di una diagnosi molto precoce per una discordanza tra cariotipo e fenotipo fetale (Tab. 1). Test clinici (incremento lunghezza pene) Test biochimici (riduzione livelli SHBG) Testosterone i.m. Stanozololo [100 mg/m2 ogni 15-30 gg x 3 - 4 dosi] [0.2 mg/kg/die per 3 gg consecutivi] hCG hCG [1.500 UI/die x 3 gg] [1.500 UI/die per 3 gg consecutivi] DHT in crema [2.5 cm x 3 - 6 mesi] Test “in vitro”: espressione dei geni androgeno-dipendenti su microarray La conferma diagnostica di SIA si basa sulla valutazione dell’attività recettoriale in vitro e sullo studio molecolare del gene per il recettore degli androgeni. Gli studi recettoriali – oggi meno frequentemente utilizzati - hanno messo in evidenza alterazioni di legame diverse, raggruppabili in: 1. forme “recettore-negative”, cioè con mancato legame tra recettore e steroide; 2. forme con alterazioni qualitative del recettore, nelle quali si ha un legame tra recettore e steroide quantitativamente normale ma qualitativamente anormale; 3. forme con ridotto numero di recettori; 4. forme “recettore-positive”, cioè forme in cui il dosaggio del recettore non evidenzia alterazioni quantitative e/o qualitative. Per quanto riguarda le alterazioni genetiche, alcune persone con SIA presentano delezioni estese del gene o di parti di esso, risultandone una mancata sintesi del recettore o di ampie porzioni. Nella maggior parte dei soggetti sono presenti mutazioni puntiformi (missense, nonsense, stop codon). Tutti gli 8 esoni del gene possono essere interessati dalle mutazioni (Tab. 3). La diagnosi differenziale Le principali caratteristiche differenziali tra la SIA completa e altre forme di disordini della differenziazione sessuale con fenotipo simile sono riassunte in tabella 4. Tabella 4. SIA completa: principali diagnosi differenziali (Bertelloni, Dati, Hiort – 2009) CONCLUSIONI Nella gestione dei disordini della differenziazione sessuale è fondamentale un approccio multidisciplinare poichè una non adeguata valutazione clinica, endocrina e genetica può portare ad una non corretta diagnosi, con ripercussioni sull’assegnazione del sesso, le indicazioni alla gonadectomia (se necessaria) e lo stato di salute in età adulta. In figura 4, sono riassunti i dati relativi alla valutazione genetica di un gruppo di donne in cui era stata posta diagnosi di SIA completa solo sulla base di un fenotipo femminile, gonadi maschili e cariotipo 46, XY. Figura 4. Diagnosi genetica in un gruppo di donne (n = 29) in cui in precedenza era stata posta diagnosi di SIA completa. Tabella 3. SIA completa: tipo e distribuzione delle mutazioni nel gene per il recettore degli androgeni (AR): dati “AR gene database” (McGill University)/esperienza di Pisa. Tipo mutazione gene AR delezione completa del gene delezione parziale* microdelezione° sostitutione puntiforme Inserzione Duplicazione *1 o più esoni; °1-7 basi N-terminal DNA binding Hinge 6/— 8/— 13/5 5/— 2/— 4/2 3/— 17/3 — — — — 1/— — — Ligand binding Splice site Introniche 3/— —/1 100/15 — — — — 7/— 1/— — — — 1/4 — — 3/1 3. folder 23 05 09-4:Layout 1 19-05-2009 17:53 Pagina 9 Notes Ma r c o Ca p p a [email protected] Docente di Endocrinologia Pediatrica e Genetica Direttore UOC di Endocrinologia e Diabetologia Ospedale Pediatrico Bambino Gesù C a r l a B izza r r i [email protected] Unità Operativa di Endocrinologia e Diabetologia Ospedale Bambino Gesù 5 3. folder 23 05 09-4:Layout 1 19-05-2009 17:53 Pagina 10 PRESENTAZIONE DI UN CASO CLINICO EMBLEMATICO: DISCUSSIONE INTERATTIVA CON GLI SPECIALIZZANDI ABSTRACT Presentiamo il caso di due sorelle con disordine della differenziazione sessuale (DSD) e cariotipo 46,XY, in cui in un primo momento era stata sospettata una sindrome da insensibilità parziale agli androgeni (PAIS). La gravità delle alterazioni anatomiche evidenti alla nascita era notevolmente diversa nei due casi, tanto che la sorella maggiore, con fenotipo clinico molto sfumato, era sfuggita all’osservazione, fino alla nascita della seconda bambina. I test biochimici e funzionali avevano dato risposte non univoche in entrambi i soggetti. La diagnosi è stata chiarita solo successivamente dall’indagine molecolare, che ha mostrato la presenza in entrambe le bambine di eterozigosi composta per mutazioni del gene SRD5A2, che codifica per l’enzima 5α reduttasi di tipo 2 (mutazione c.332_333delTC e mutazione p.A207D). BACKGROUND: note di fisiologia • • • • • • • Nell’embrione umano di sesso genetico maschile (46,XY), i testicoli iniziano a produrre androgeni alla nona settimana di gestazione. Il testosterone (T) raggiunge un picco tra le 11 e le 18 settimane e normalmente stimola la differenziazione dei dotti di Wolff in epididimi, dotti deferenti e vescicole seminali. Lo sviluppo della prostata a partire del seno urogenitale primitivo e la differenziazione dei genitali esterni indifferenziati in pene e scroto, dipende invece da un androgeno più potente, il deidrotestosterone (DHT), che viene prodotto ad opera dell’enzima 5α reduttasi di tipo 2, espresso proprio sulle cellule dei tessuti che costituiranno i genitali esterni (figura 1). Lo sviluppo dei dotti di Wolff, così come la virilizzazione dei genitali esterni, si verifica tra la nona e la quindicesima settimana di gestazione (figure 2 e 3). In parallelo le cellule di Sertoli dei testicoli fetali producono l’ormone anti Mulleriano (AMH), che induce la regressione dei dotti di Muller (strutture che nell’embrione 46,XX si differenziano invece nei genitali interni femminili). Sia il T che il DHT esplicano la loro azione attraverso il recettore specifico per gli androgeni (AR), presente sia sulle cellule dei genitali interni, che su quelle dei genitali esterni. Si tratta di un fattore di trascrizione, dislocato nel citoplasma in assenza del ligando specifico. In seguito al legame con l’androgeno, il recettore subisce un cambiamento conformazionale e viene traslocato nel nucleo, dove legandosi al DNA, induce la trascrizione di geni specifici (figura 4). Per una diversa distribuzione e densità dei recettori ai livello dei tessuti dipendenti, la capacità di legame degli androgeni all’AR è maggiore a livello dei genitali interni, rispetto all’area urogenitale esterna. Per tali motivi, per la corretta differenziazione dei genitali esterni in senso maschile è necessario un androgeno con più elevata affinità recettoriale, appunto il DHT. L’iter diagnostico (figura 5) Gli esami indispensabili da eseguire immediatamente per orientare la diagnosi già in epoca neonatale in un neonato con DSD sono: cariotipo, testosterone, 17 OH progesterone, ecografia pelvica. Va però considerato che alla nascita il fenotipo clinico ed i risultati degli esami ormonali di base in un neonato con 46,XY DSD, non permettono di effettuare una diagnosi differenziale certa tra: • insensibilità parziale agli androgeni (PAIS) • deficit di 5α reduttasi • deficit di 17β idrossisteroido deidrogenasi Nel piccolo lattante (dal secondo al quarto mese di vita circa) l’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi è normalmente attivato, per cui i livelli di androgeni possono essere misurati su campione basale ed il rapporto T/DHT può già fornire una indicazione diagnostica. Al di fuori di questa fascia di età, e per tutta l’epoca prepubere, l’asse ritorna in quiescenza. I risultati del test all’HCG ed in particolare il rapporto T/DHT dopo HCG vengono proposti come esami di prima istanza per la diagnosi di deficit di 5 α reduttasi nel bambino prepubere, ma nell’interpretazione di questo test vanno fatte alcune considerazioni: • L’elevato rapporto tra androstenedione e testosterone permette di porre il sospetto di deficit di 17β idrossisteroido deidrogenasi, ma il rapporto T/DHT non sempre riesce a discriminare tra PAIS e deficit di 5α reduttasi. • Un elevato rapporto T/DHT dopo stimolo con HCG è stato descritto anche in soggetti con PAIS, probabilmente perché questi soggetti possono presentare una attività enzimatica ridotta, a causa di un iposviluppo dei tessuti genitali esterni DHT dipendenti. • Nei soggetti prepuberi con deficit di 5α reduttasi il rapporto T/DHT dopo HCG è molto variabile (da normale ad elevato). La somministrazione di testosterone esogeno viene utilizzata nel lattante con 46,XY DSD per indagare la sensibilità dei tessuti genitali agli androgeni. Vengono di solito impiegati 100 mg/mq di testosterone ritardo intramuscolo al mese, per tre mesi consecutivi. La dose di solito corrisponde nel piccolo lattante a 25 mg intramuscolo/dose, alcuni autori propongono però dosi più elevate (50-100 mg/dose). Nel lattante con normale sensibilità agli androgeni la lunghezza del pene aumenta, con la terapia, di almeno 1 cm. Anche la risposta clinica alla somministrazione di testosterone esogeno può non fornire indicazioni chiare, in quanto una risposta clinica parziale al testosterone esogeno è presente sia nella PAIS che nel deficit di 5α reduttasi. Figura 1. La sintesi degli ormoni steroidei Figura 2. Testosterone (T) e deidrotestosterone (DHT) nell’embriogenesi genitale maschile Figura 3. Cronologia dell’embriogenesi genitale maschile Figura 4. Il recettore per gli androgeni (AR) Bibliografia 1. Sultan C, Paris F, Terouanne B, et al: Disorders linked to insufficient androgen action in male children. Human CONCLUSIONI La diagnosi differenziale dei DSD in epoca neonatale rimane spesso difficoltosa, d’altro canto i familiari desiderano una corretta e rapida definizione del sesso anagrafico. Nei casi realmente dubbi l’opzione più ragionevole rimane quella di effettuare l’assegnazione del sesso anagrafico solo dopo un corretto orientamento diagnostico, che comprenda anche l’avvio delle indagini molecolari specifiche. Il rapporto T/DHT dopo stimolo con HCG può orientare la diagnosi differenziale tra PAIS e deficit di 5α reduttasi, ma l’indagine molecolare specifica rimane il solo esame realmente diagnostico. Sospettiamo che molti soggetti diagnosticati in passato come PAIS, siano in realtà affetti da deficit di 5α reduttasi e che questo difetto sia significativamente più frequente di quanto supposto finora. Reproduction Update 2001; 7: 314-322. 2. Hughes IA: Disorders of sex development: a new definition and classification. Best Practice & Research Clinical Endocrinology & Metabolism 2008; 22: 119-134. 3. Hughes IA, Houk C, Ahmed SF, Lee PA, LWPES1/ESPE2 Consensus Group: Consensus statement on management of intersex disorders. Arch Dis Child 2006; 91: 554-562. 4. Baldinotti F, Majore S, Fogli A, et al: Molecular characterization of 6 unrelated Italian patients with 5α reductase type 2 deficiency. J Androl 2008; 29:20-28. Figura 5. Algoritmo diagnostico nel neonato con DSD 3. folder 23 05 09-4:Layout 1 19-05-2009 17:53 Pagina 11 CLASSIFICAZIONE DEL FENOTIPO GENITALE DI SOGGETTI AFFETTI DA SINDROME DA RESISTENZA AGLI ANDROGENI Sindrome Parziale (PAIS) Grado 1: fenotipo completamente maschile con azoospermia e segni ormonali di insensibilità agli androgeni od anche uomo fertile con ginecomastia. Grado 2: fenotipo maschile con segni di leggera sottovirilizzazione caratterizzati da ipospadia o scroto bifido o micropene e ginecomastia. Grado 3: fenotipo con virilizzazione e segni di sottovirilizzazione. Il paziente presenta micropene, ipospadia, scroto bifido. Può essere presente criptorchidismo. Grado 4: fenotipo ambiguo. I neonati presentano labbra scrotalizzate e fallo di una grandezza intermedia tra pene e clitoride. Grado 5: fenotipo ambiguo-femminile. Clitoridomegalia e/o fusione labiale posteriore. Grado 6: fenotipo femminile. Minimi segni di azione androgenica. Genitali completamente femminili. Alla pubertà normale sviluppo della peluria pubica e/o della peluria ascellare. C o s t a n zo M o r et t i [email protected] L au r a G u c c io n e C h ia r a M a g g io l i Pao l a D i G ia c in t o D a n iel a M en t u c c ia Re n a t o Pa s t o r e G a et a n o F r a j es e Sindrome Completa (CAIS) Grado 7: fenotipo completamente femminile con assenza di peluria pubica e/o ascellare o rada peluria pubica di tipo vellico. Bibliografia Black BE and Paschal BM. Intranuclear organization and function of the androgen receptor. Trends in Endocrinology and Metabolism 15 (9):411-417, 2004 UOC Endocrinologia, Diabetologia e Malattie Metaboliche, Sezione di Endocrinologia della Riproduzione ed Andrologia, Università degli Studi di Roma Tor Vergata, Ospedale “San Giovanni Calibita” Fatebenefratelli Isola Tiberina, 00186 Roma Ferlin A, Vinanzi C, Garolla A, Selice R, Zuccarello D, Cazzadore C, and Foresta C. Male infertility and androgen receptor gene mutations: clinical features and identification of seven novel mutations. Clinical Endocrinology 65:66-610, 2006 Huges IA and Deeb A. Androgen resistance. Best Practice & Research Clinical Endocrinology & Metabolism 20 (4): 577-598, 2006 Jorgensen PB, Kjartansdòttir KR and Fedder J. Care of women with XY karyotype: a clinical practice guideline. Fertility and Sterility in press 2009 Kerkhofs S, Denayer S, Haelens A, and Claessens F. Androgen receptor knockout and knock-in mouse models. Journal of Molecular Endocrinology 42:11-17, 2009 Mantelli F, Moretti C, Micera A, and Bonini S. Conjunctival mucin deficiency in complete androgen insensitivity syndrome (CAIS). Graefe’s Arch Clin Exp Ophtalmol 245:899-902, 2007 Moretti C, Odorisio C, Geremia R, and Grimaldi P. An un common large deletion in the androgen-receptor gene in a XY female with a complete androgen insensitivity syndrome. Journal of Endocrinological Investigation 29:457-461, 2006 Oakes MB, Eyvazzadeh AD, Quint E,and Smith YR. Complete Androgen Insensitivity Syndrome – A Review Journal Pediatric Adolescent Gynecol 21:305-310, 2008 Poletti A, Negri-Cesi P, and Martini L. Reflections on the diseases linked to mutations of the androgen receptor. Endocrine 28 (3):243262, 2005 Quigley CA, De Bellis A, Marschke KB, el-Awady MK, Wilson EM, French FS. Endocrine Review 16 (3):271-321, 1995 Sammarco I, Grimaldi P, Rossi P, Cappa M, Moretti C, Frajese G, and Geremia R. Novel point mutation in the splice donor site of Exon-Intron Junction 6 of the androgen receptor gene in a patient with partial androgen insensitivity syndrome. Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism 85 (9):3256-3261, 2000 6 3. folder 23 05 09-4:Layout 1 19-05-2009 17:53 Pagina 12 Tabella 1. Cause di amenorrea primaria ASSE IPOTALAMO-IPOFISI-GONADI NELL’ADULTO AFFETTO DA AIS. LA SCELTA DELLA TERAPIA SOSTITUTIVA ABSTRACT La resistenza agli androgeni causa la sindrome da insensibilità agli androgeni (AIS) nelle sue varianti cliniche, costituendo il paradigma delle forme cliniche associate a resistenza ormonale. La AIS è un raro disordine recessivo legato al cromosoma X con una prevalenza di 1:20400 maschi affetti alla nascita. Nella maggior parte dei casi essa è causata da mutazioni del gene che codifica per il recettore androgenico (AR) e sono state a tutt’oggi descritte circa 400 differenti mutazioni (base singola, delezioni o insersioni di nucleotidi, mutazioni introni che e delezioni parziali o incomplete del gene) – vedi: http:/androgendb.mcgill.ca/AR23C.pdf - che portano ad insensibilità agli androgeni attraverso differenti meccanismi: sintesi incompleta della proteina AR, incapacità di legare l’androgeno da parte di AR o anomalie nel legame del complesso androgeno-AR alle specifiche sequenze di riconoscimento presenti sul DNA. Queste anomalie molecolari comportano poi un ampio spettro clinico di fenotipi che variano dal totale aspetto femminile (CAIS o AIS completa) ad un totale aspetto maschile (uomo infertile) passando attraverso vari stadi di genitali ambigui. L’equilibrio che si instaura dell’asse ipotalamoipofisi-gonadi dipende dalla organizzazione funzionale gonadica che si verifica nel corso dello sviluppo embrionario e consente di attuare una diagnosi differenziale con la anorchia congenita e la disgenesia gonadica pura (assenza di ormone antimulleriano). La maggior parte delle pazienti affette da AIS vengono diagnosticate in età peripuberale a causa dell’assenza di menarca. Le ragazze affette presentano una statura normale o elevata (a causa del gene per l’altezza presente sul cromosoma Y) e possono essere più predisposte a osteoporosi e patologie cardiovascolari a causa dei deficit di ormoni sessuali. Le analisi ormonali dimostrano normali gonadotropine, livelli di androgeni elevati (nel range riferito al maschio), livelli plasmatici di SHBG paragonabili a quelli della femmina normale. Sono disponibili vari tests in grado di misurare il grado di resistenza agli androgeni e la quantità di tessuto testicolare funzionante, come ad esempio la risposta della SHBG allo steroide anabolizzante stanozololo, la valutazione dei livelli plasmatici di Inibin B ed ormone antimulleriano (AMH). Il test all’HCG breve per la misura dei livelli di steroidi androgeni costituisce una importante elemento per la diagnosi differenziale con la anorchia congenita. Il trattamento delle paziente affette da AIS deve essere, sia in età pediatrica che nell’adulto, attuato attraverso un counseling con una equipe di medici che sono particolarmente dedicati al problema, che comprende oltre al genetista ed all’endocrinologo pediatra anche l’apporto nel corso della vita di endocrinologo, ginecologo e psicologo. Spesso è necessario trattare le pazienti affette da AIS con dosi di terapia sostitutiva ormonale maggiori rispetto a quelle usate per la donna in menopausa. Certamente maggiori studi sono necessari per approfondire le conoscenze atte a migliorare i criteri di terapia delle pazienti affette da AIS, considerando anche che attualmente non è disponibile alcuna linea guida per gli specialisti che debbono curare questa rara patologia. minio centrale altamente conservato in grado di legare il DNA (DBD) codificato dagli esoni 2 e 3, una regione cerniera che collega il DBD con la parte della proteina in grado di riconoscere e legare lo steroide androgeno, definito dominio che lega il ligando (LBD), codificato dagli esoni 4-8. Il DBD contiene 9 residui di cisteina otto dei quali orientano due atomi di zinco a formare le “dita di zinco” caratteristiche di tutti i recettori nucleari e di molti altri fattori di trascrizione. Il primo dito di zinco contiene una P-box che riconosce la sequenza specifica responsiva agli androgeni (ARE) per il legame diretto sul DNA. Il secondo dito chiamato D-box è coinvolto nelle interazioni proteina-proteina e nella stabilizzazione delle unità per la dimerizzazione recettoriale. Le azioni dunque mediate da questi domini includono la dimerizzazione, il binding alle proteine di co-regolazione, la interazione con le heat shock proteins e la regolazione trascrizionale. I due sottodomini più coinvolti nella attivazione della trascrizione sono l’attivatore funzionale 1 (AF-1) presente nel NTD e l’attivatore funzionale 2 (AF-2) presente nel LBD. AF-1 è ligando-indipendente mentre AF-2 è ligando dipendente e dunque interagisce con coattivatori del recettore steroideo p160 quali SRC1, SRC2/TIF2 ed SRC3. Una caratteristica di AR è costituita dalla interazione tra la porzione N-ter e la porzione C-ter (N/C) che lo stabilizza e coordina la dissociazione del ligando dal suo recettore. Inoltre caratteristico è anche il dominio N-ter nel quale è presente una organizzazione omopolimerica degli aminoacidi. Una sequenza di ripetizioni CAG nell’esone 1 codifica per una striscia di glutamine che ha un range compreso tra le 11 e le 31 ripetizioni (una media di 21). Inoltre una sequenza GGN (che include [GGT]3, [GGG], [GGT]2 e [GGC]n codifica nello stesso tratto per una ripetizione di glicine che ha un range tra le 10 e le 25 ripetizioni (una media di 23). Gli studi in vitro dimostrano che la lunghezza delle triplette CAG è inversamente proporzionale alla attività di AR come fattore di trascrizione. L’attività di AR è regolata da precisi passaggi di compartimentalizzazione subcellulare che inizia con la traslocazione dal citoplasma al nucleo. Difetti nella organizzazione intranucleare e nella funzione dei corego latori sono state dimostrate nel carcinoma della prostata, nella sindrome da insensibilità agli androgeni e nella atrofia muscolare spino-bulbare. Nel citoplasma esistono forme di recettore nucleare in complesso con proteine chaperoni (Hsp90 ed Hsp70). La presenza dello steroide androgeno induce variazioni conformazionali che evidenziano la presenza di un segnale di localizzazione nucleare (NLS) che si sovrappone al DBD e alla regtione cerniera. Una volta esposto NLS può essere riconosciuto da “recettori di importazione” importin α ed importin β che mediano la traslocazione di AR attraverso i complessi poro-nucleari. Il passaggio di AR verso il nucleo e dal nucleo è definito shuttling nucleo citoplasmatico ed il legame stesso con il DNA si esercita velocemente attraverso interazioni dinamiche proteina-DNA (Fig. 2). Figura 2. shuttling nucleo citoplasmatico di AR (da Black BE e Paschal BM TEM 2004) Figura 1. Sviluppo embrionario del sitema riproduttivo in caso di femmina normale, maschio normale, disgenesia gonadica pura ed AIS BACKROUND La differenziazione sessuale maschile e la susseguente acquisizione dei caratteri sessuali secondari alla pubertà e l’attivazione della spermatogenesi sono tutti fattori mediati dagli androgeni che si legano ad un singolo recettore presente ubiquitariamente a livello dei tessuti target. Il recettore per gli androgeni (AR) appartiene alla superfamiglia dei recettori nucleari che mediano le azioni di tutti gli ormoni steroidei, degli ormoni tiroidei e di un crescente numero di ligandi. Il gene a copia singola che codifica per AR è localizzato su Xq11-12 e si estende per circa 90 kb. La regione del DNA che codifica per la proteina nella sua intelaiatura aperta comprende 2750 basi riunite in 8 esoni che predicono una proteina di 919 residui aminoacidici. Questa proteina presenta 4 maggiori regioni funzionali consistenti in un dominio di trans attivazione N-terminale (NTD) codificato dall’esone 1, un do- Questa modello di attivazione genica hit and run (letteralmente da “pirata della strada”) sembra consistente con la rapida mobilità intranucleare di AR e la natura transitoria del veloce legame alla cromatina del recettore nucleare ma sembra in conflitto con una ordinata e sequenziale aggiunta dei componenti necessari all’assemblaggio dei componenti di pre-iniziazione. E’ dunque presente un complesso meccanismo di ordine e controllo, un orologio transcrizionale che coinvolge l’associazione ciclica di AR e dei suoi coregolatori dirigendo la mobilità intranucleare della proteina e la sua sub compartimentalizzazione nucleare. Lo shuttling nucleo-citoplasmatico ed il traffico intranucleare sono guidati da forze che fanno variare la distribuzione di AR e dei suoi livelli subcellulari e subnucleari, prime fra tutte il riposizionamento della elica 12 nel LBD e le modificate interazioni N/C. Essi sono importanti nella fisiologia e nella patologia. Questo modello di lavoro disegna il movimento di AR attraverso i compartimenti subnucleari indirizzato al legame degli ARE sulla cromatina. Il recettore androgenico entra nel nucleo, come detto, dopo aver formato un complesso con lo steroide androgeno. Sebbene molto mobile, la sua distribuzione all’equilibrio è influenzata dalla associazione con un componente agonista con conseguente non uniforme distribuzione nel nucleo. Il complesso androgeno-AR si incontra con coattivatori p160 in siti subnucleari, momento che è probabilmente riferito alla fase di reclutamento e/o rilascio. L’assemblaggio dei molti componenti che sono necessari per la trascrizione avviene attraverso una o due possibilità: AR e coattivatori p160 potrebbero formare sub complessi nel compartimento agonista ed in seguito legarsi alla cromatina (preassemblaggio). In alternativa un rapido campionamento di potenziali siti di legame sulla cromatina potrebbe facilitare le possibilità di collisione tra complesso AR e coattivatori (assemblaggio stoca- Patologie ipotalamo-ipofisarie • Amenorrea ipotalamica funzionale • Deficit congenito di GnRH • Ritardo costituzionale della pubertà • Iperprolattinemia • Patologie infiltrative e tumori dell’ipotalamo Patologie ovariche • Disgenesia gonadica (Turner 45,X0 / 46,XX / 46, XY) • Sindrome dell’ovaio policistico • Ooforite autoimmune • Chemioterapia o radioterapia • Sindrome X-fragile stico). In qualunque modo avvenga, la informazione conformazionale sulla cromatina (sequenza del DNA, modificazioni post-traduttive delle proteine associate alla cromatina e la composizione stessa delle proteine) promuove un legame stabile e interazioni cooperative che sono indispensabili per l’assemblaggio del complesso di preiniziazione. Alcune mutazioni nella sindrome da resistenza agli androgeni (AIS) che si verificano nel dominio di legame con il DNA (DBD) comportano una alterazione dell’orologio trascrizionale con transitorio sequestro androgeno-dipendente di AR nei siti subnucleari che contengono i coattivatori p160. VALUTAZIONE DELL’ASSE IPOTALAMO-IPOFISI-GONADI Le pazienti affette da AIS presentano tessuti e cellule che dovrebbero essere androgeno-sensibili che sono incapaci di rispondere agli androgeni a causa di un difetto qualitativo o quantitativo in AR, con conseguente difetto della virilizzazione che può essere sia completo (CAIS) che parziale (PAIS) dipendente dunque dalla quantità di residua funzione recettoriale. Nella CAIS il fenotipo è femminile e la paziente adulta si presenta al consulto medico per una amenorrea primaria. La amenorrea primaria è definita dalla assenza di cicli mestruali all’età di 16 anni. In realtà all’età di 13 anni, in presenza di un apparato ghiandolare mammario sviluppato, in assenza di flussi è giusto cominciare ad eseguire uno screening sull’avanzamento della fase puberale. L’amenorrea primaria è normo gonadotropinica e la sindrome di Mayer-RokitanskyKüster-Hauser o agenesia mülleriana, che si riferisce all’assenza congenita della vagina con grado variabile di sviluppo uterino, rappresenta la principale entità nosologica con cui porre diagnosi differenziale, insieme alle condizioni di imene imperforato ed alla agenesia vulvo-vaginale, condizione quest’ultima in cui i livelli di testosterone risultano normali. Nella CAIS invece i livelli sierici di androgeni rientrano nel range di normalità dell’uomo. Questo porta ad una importante considerazione: anche se la maggior parte degli effetti biologici di testosterone e del suo derivato 5α ridotto, diidrotestosterone (DHT), vedi la virilizzazione, si verificano grazie alla loro interazione con AR, diversi sistemi enzimatici sono in grado di metabolizzare questi steroidi in differenti tessuti variandone completamente le azioni. Ad esempio le aromatasi trasformano T e delta4Androstenedione rispettivamente in estradiolo (E2) ed estrone (E1), altri enzimi come la 3α- e 3β-idrossi steroido deidrogenasi possono modificare la struttura del DHT tanto da rendere in grado i metaboliti che ne risultano (3 α-diolo e 3 β-diolo) di interagire con altri recettori (ad esempio 3 α-diolo con GABAA e 3 β-diolo con ER-β). E’ dunque chiaro da questa considerazione che a livello tessutale e cellulare la cosiddetta “risposta biologica agli androgeni” dipenderà dal tipo di molecola presente e dalle caratteristiche degli eventi metabolici che si verificano in quei particolari distretti correlati ai tipi di recettori presenti (siti di legame superficiali, AR, ER α, ERβ, GABAA etc.) ed anche alla azione integrata e simultanea dei segnali generati dal testosterone come da ciascun metabolita che a livello cellulare si può formare. Le pazienti adulte affette da CAIS presentano livelli sierici di LH basali e dopo somministrazione di GnRH che sono al di sopra del range di normalità mentre la risposta al GnRH dell’FSH è maggiore come accade negli adolescenti che ancora non hanno completato la loro maturità sessuale. La esagerata risposta dell’FSH al GnRH è strana considerando che i livelli sierici di Inibina B sono normali. La incrementata secrezione di LH nelle pazienti affette da CAIS è correlata alla incapacità degli androgeni di esercitare il loro feedback negativo sulla cellula gonadotropa ipofisaria, non essendo sufficiente la inibizione tonica attuata attraverso la aromatizzazione degli androgeni ad estrogeni. La aromatizzazione locale degli androgeni nelle strutture cerebrali che si riflette sul controllo dell’LH può anche essere importante a questo riguardo. I livelli di testosterone, come detto sono nelle donne affette da CAIS simili o lievemente maggiori rispetto a quelli di uomini adulti normali. I livelli di DHT sono nello stesso range di normalità maschile, mentre il Delta4Androstenedione tende ad essere al di sopra dei normali livelli dell’adulto. I valori di estrogeni plasmatici sono normalmente intermedi tra quelli di uomini e donne adulti normali. La quota estrogenica è rappresentata dalla somma delle quantità direttamente prodotte dal testicolo con quelle derivanti dalla aromatizzazione periferica dei precursori. Gli stati intersessuali sono generati sia dalla disgenesia gonadica, nella quale sono colpite sia la popolazione di cellule di Sertoli che quella delle cellule di Leydig, che dalla insufficiente secrezione o azione di testosterone ed ormone antimulleriano. La AIS è una disfunzione in cui esiste una dissociazione tubulo-interstiziale follicolare con funzione leydigiana e dunque steroidogenesi normale mentre le cellule di Sertoli, che sono cellule target per gli androgeni, non rispondono al testosterone a causa delle mutazioni del recettore androgenico. In questi pazienti nel primo anno di vita il dosaggio dell’ormone antimulleriano (AMH) di produzione sertoliana aiuta nella diagnosi di stato intersessuale, in quanto i suoi livelli serici sono bassi quando la condizione è causata da patologia della determinazione testicolare (vedi mutazioni di SRY), mentre è normale o elevata in pazienti con insufficiente secrezione testicolare. Nella PAIS AMH è elevato durante il primo anno di vita e alla pubertà Lesioni anatomiche congenite di utero e vagina • Imene imperforato • Setto vaginale transverso • Agenesia vaginale Sindromi da resistenza o deficit enzimatici • Sindrome da insensibilità agli androgeni completa (CAIS) • Deficit di 5 alfa reduttasi • Deficit di 17 alfa idrossilasi (CYP17) • Sindrome dei vanishing testes in caso di stati intersessuali causati dai vari gradi di insufficienza funzionale di AR. Nella tarda infanzia e nella adolescenza la valutazione della solo attraverso test all’HCG. Comunque la determinazione dei livelli serici di AMH può essere molto utile in quanto se essi sono normali la diagnosi di disgenesia testicolare può essere esclusa senza la necessità di eseguire il test all’HCG. L’effetto dello stanazolo (17βidrossi-17α-metil5α-androstano-[3,2-c]pirazolo) sui livelli serici di SHBG è stato proposto come test di sensibilità agli androgeni. Somministrato oralmente per tre giorni (0.2 mg/kg al giorno) e valutando i livelli plasmatici di SHBG nel pre-test ed in 5°, 6°, 7° e 8° giorno dall’inizio del test si evidenzia nei pazienti affetti da AIS una diminuzione di questa proteina di trasporto direttamente proporzionale al grado di sensibilità agli androgeni. La somministrazione breve di esteri del testosterone (ad es. 25 mg di estere di testosterone intramuscolare ogni tre settimane per tre mesi) può essere utilizzata nei neonati maschi con piccolo fallo per valutare la risposta. Oltre alla valutazione della SHBG, un dato clinico osservazionale è dato dall’aumento delle dimensioni del fallo in risposta a questo regime, che può predire una normale crescita peniena alla pubertà. In alcuni uomini in cui la sindrome da insensibilità agli androgeni si manifesta come sindrome dell’uomo infertile presentano una anamnesi familiare positiva per infertilità maschile. La diagnosi di sospetto può essere generata dal rilievo di segni clinici di sub virilizzazione associati a livelli elevati o normali di testosterone ed LH. Questo disordine che rappresenta la forma più leggera di AIS dovrebbe essere considerata in ogni uomo infertile che presenti severa oligozoospermia o azoospermia idiopatica. Considerando che AR è presente in ogni morfotipo cellulare della Figura 3. AR è espresso in tutti i morfotipi cellulari della gonade maschile. La contro regolazione che avviene a livello ipotalamo-ipofisario è in gran parte mediata dalla aromatizzazione del testosterone ad estradiolo gonade maschile (vedi fig 3) sono presenti anomalie del tessuto testicolare che da un punto di vista citoistopatologico variano dall’arresto maturativo della spermatogenesi alla aplasia delle cellule germinali. Alcuni uomini affetti presentano elevati livelli plasmatici di FSH e la condizione clinica presuppone una diagnosi differenziale con la azoospermia dovuta a microdelezioni del cromosoma Y che coinvolgono i geni AZF. TERAPIA Non esiste terapia volta a prevenire o a revertire l’anormale differenziazione del fenotipo riproduttivo che si verifica durante l’embriogenesi. La gestione clinica è rivolta in età neonatale alla appropriata scelta della identità sessuale in neonati con genitali ambigui, mentre in età peripuberale, attendendo lo sviluppo puberale in senso maschile o femminile, alla gonadectomia per prevenire la formazione di tumore a livello dei testicoli criptorchidi, al trattamento della ginecomastia nell’uomo, alla ottimizzazione della terapia sostitutiva, al supporto psicologico. Nell’adulto, in caso di soggetti fenotipicamente femmine che hanno avuto la gonadectomia, è indicato il trattamento con estrogeni. Nelle ragazze in età pre-puberale si deve cominciare con basse dosi di estrogeni (EE 0.01 mg) per promuovere la femminilizzazione e queste dosi devono essere gradualmente incrementate sino a raggiungere le dosi piene dell’adulto. L’età e la dose di inizio dipendono dal percentile di crescita, dalla velocità di crescita, dall’età ossea, dal target di altezza e dall’altezza predetta nell’adulto. Le donne adulte devono assumere una piena sostituzione estrogenica. La somministrazione di alte dosi di androgeni (500 mg) in caso di Sindrome di Reifenstein è utile in quanto comporta una crescita del fallo che non si ottiene con dosi standard. La somministrazione di 500 mg di testosterone undecanoato settimanale in adulti affetti da sindrome di Reifenstein comporta un miglioramento della forza muscolare ed in generale dei caratteri di mascolinizzazione. 3. folder 23 05 09-4:Layout 1 19-05-2009 17:53 Pagina 13 Bibliografia Pi e r l u ig i B en ed et t i Pa n ic i [email protected] Diana Maffucci Ila r y R u s c it o F i l ip p o B el l a t i Dipartimento di Ginecologia ed Ostetricia Policlinico Umberto I, Università degli Studi di Roma “Sapienza” S i m o n a Cec c a r el l i C i n zia M a r c h es e Dipartimento di Medicina Sperimentale Policlinico Umberto I, Università degli Studi di Roma “Sapienza” Ashworth MF, Morton KE, Dewhurst J et al. Vaginoplasty using amnion. 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Nonostante le numerose tecniche adottate fino ad oggi, alla luce della letteratura disponibile in proposito, è possibile affermare che non è ancora stato individuato il trattamento ideale per la creazione di una neovagina. L’intervento di Abbè-McIndoe è una tecnica che ha riscontrato molti consensi, ma non è stato definito quale sia il materiale ideale da utilizzare per rivestire le pareti della neovagina. Ottimi risultati sono stati da noi ottenuti con l’utilizzo, per la prima volta, di tessuto vaginale autologo cresciuto in vitro, per il rivestimento di un canale vaginale creato secondo una tecnica di Abbè-McIndoe modificata. I dati disponibili a 24 mesi di follow-up, sulla nostra casistica di pazienti, decretano il successo anatomico e funzionale di tale trattamento innovativo, semplice e mini-invasivo. BACKROUND La Sindrome da insensibilità agli androgeni, completa o parziale (CAIS/PAIS), dovuta ad una mutazione con perdita di funzione del recettore per gli androgeni (Minto et al., 2003) e la Sindrome di Mayer-Rokitansky-Kuster-Hauser (MRKHS), la cui eziologia è ancora sconosciuta, ma sicuramente di tipo polifattoriale, mostrano alcuni elementi distintivi specifici che richiedono un approccio terapeutico mirato, ma prevedono la medesima strategia chirurgica per ciò che concerne la correzione dell’agenesia vaginale, alterazione fenotipica che caratterizza entrambe le sindromi. Le donne affette dalla Sindrome di Morris (CAIS) sono contraddistinte da un cariotipo 46, XY e presentano ipoplasia vaginale, agenesia uterina, assenza di annessi cutanei ascellari e pubici e testicoli generalmente posizionati nell’addome o lungo il decorso dei canali inguinali, con possibilità di discesa nelle grandi labbra (Minto et al., 2003). Considerato il rischio di degenerazione tumorale o di erniazione a livello inguinale, con relative complicanze di torsione o di strozzamento, sarebbe opportuno che tali pazienti venissero sottoposte ad intervento di gonadectomia, che attualmente si svolge prettamente per via laparoscopica. In realtà la pratica della gonadectomia è una questione ancora dibattuta e a tutt’oggi non è stato chiarito se prenderla in considerazione sempre o solo in casi selezionati, né è stata stabilita quale sia l’età più idonea per attuarla (Melo KF, 2003; Papadimitriou, 2006). La MRKHS è caratterizzata da agenesia dell’utero e dei due terzi superiori della vagina e si presenta in donne con cariotipo 46, XX, le quali mostrano caratteri sessuali secondari ben sviluppati, grazie ad ovaie perfettamente funzionanti (Evans TN, 1967). Il trattamento di elezione dell’agenesia vaginale consiste nella creazione di un canale vaginale, per garantire la possibilità, alle pazienti affette da tale alterazione fenotipica, di avere rapporti sessuali completi e soddisfacenti, in modo da realizzare pienamente la loro identità di donne (Evans TN, 1967; Matton G, 1980; Lesavoy MA, 1985). L’obiettivo della vaginoplastica è di ottenere una neovagina che possa ritenersi soddisfacente in apparenza, funzionalità e sensibilità (Davydov SN, 1980), che presenti, dunque, adeguata lunghezza, idoneo diametro, appropriato asse, normale secrezione e lubrificazione, e che sia rivestita da tessuto elastico e da uno strato di cute e mucosa (V. Purushothaman, 2005). Tuttavia è possibile affermare, alla luce della letteratura disponibile in proposito, che fino a questo momento non è ancora stata stabilita la soluzione ideale per ottenere tale risultato (Goldwyn RM, 1977; Willemsen WN, 1982). ANALISI DEI CONCETTI SVILUPPATI Ogni tecnica utilizzata per la vaginoplastica è associata a vantaggi e svantaggi, che vanno valutati tenendo in considerazione la com- pliance della paziente, il decorso post-operatorio, le complicanze, il follow-up ed i risultati a lungo termine sulla funzione sessuale. La letteratura contempla diverse metodiche: l'approccio all'agenesia vaginale può essere di tipo chirurgico o non chirurgico, quest’ultimo basato sulla dilatazione progressiva dei tessuti (Tab. 1). Tutte le tecniche chirurgiche prevedono, come primo step, la creazione di un canale vaginale attraverso l’incisione del perineo e la dissezione dell'aponeurosi di Denovellier tra la vescica anteriormente ed il retto posteriormente. Dopo tale step comune a tutte le procedure, le tecniche si differenziano a seconda che procedano o meno al rivestimento della cavità e, in quest'ultimo caso, a seconda di quale tessuto utilizzino per il rivestimento e di come esso sia impiantato, con o senza peduncolo. Il trattamento conservativo è rappresentato dalla dilatazione progressiva di Frank, poi modificata da Ingram, che consiste nell’utilizzo costante di dilatatori vaginali per ottenere l’allungamento della fossetta vaginale (Frank, 1938; Ingram, 1980). Una tecnica chirurgica basata sul concetto della dilatazione progressiva è individuata nell’intervento di Vecchietti, eseguito oggi anche in laparoscopia, che consiste nell’introduzione di un’oliva sintetica a livello della fossetta vaginale, collegata ad un dispositivo addominale regolato per determinarne una trazione progressiva e costante (Vecchietti 1965; Fedele et al., 2000). Larga diffusione ha avuto la tecnica di Abbè-McIndoe (McIndoe and Bannister, 1938), che utilizza un innesto cutaneo prelevato dalla coscia o dalle natiche atto a rivestire un canale vaginale creato tra la vescica e il retto. Ottimi riscontri hanno ottenuto le tecniche di Abbè McIndoe modificate, che differiscono per il tipo di tessuto adottato per il rivestimento della neovagina e utilizzano principalmente l’amnios umano (Ashworth et al. 1986; Nisolle and Donez, 1992), il peritoneo (Davy- Figura 1. Biopsia di vestibolo vaginale (1 cm2) dov, 1969; Rothman, 1972) o la mucosa della bocca (Lin et al., 2003). Inoltre, grande utilizzo si è fatto, soprattutto nel passato, della vaginoplastica con segmenti intestinali, secondo la quale il canale vaginale neoformato viene rivestito con un segmento del colon sigmoideo distale (Franz, 1996). Nel 2006 è stato da noi realizzato, per il trattamento della sindrome di Rokitansky, un nuovo intervento di Abbè-McIndoe modificato. Per la prima volta è stato utilizzato tessuto vaginale autologo coltivato in vitro per rivestire le pareti della neovagina creata chirurgicamente nello spazio compreso tra il retto e la vescica (Benedetti Panici et al., 2007). Tale tecnica inizia con il prelievo, a livello del vestibolo vaginale, di una biopsia a tutto spessore della mucosa, di circa 1 cm2, che viene immediatamente trasportata in laboratorio per l’estrazione delle cellule da utilizzare per la coltura tissutale (Fig. 1). In laboratorio si provvede alla dissociazione enzimatica del tessuto, in modo da ottenere una sospensione di cheratinociti, che viene inoculata in piastre per la coltura cellulare, ricoperte di collagene di tipo IV (10 μg /ml). Tali cellule vengono poi coltivate, fino a raggiungere una densità cellulare di 2,5 x 105 cellule per piastra e vengono conservate in un mezzo appropriato (MCDB 153; EpiLife, Cascade Biologics, Inc., Portland, OR, USA), che viene sostituito due volte alla settimana. Dopo una settimana di coltura le cellule raggiungono una confluenza del 70-80% e vengono mantenute in col- tura per altri 8 giorni in modo da ottenere tessuto mucoso totalmente differenziato. Quando il tessuto vaginale autologo raggiunge le dimensioni adeguate può essere raccolto dalle piastre di coltura attraverso l'incubazione con DISPASE II (2,5 mg/ml). Viene quindi lavato in PBS e montato su una garza imbevuta di acido ialuronico (2 mg/10 cm2), in modo da mantenere l'orientamento del tessuto mucoso ed essere poi trasferito in sala operatoria. Figura 2. Fasi dell’intervento di Abbé-McIndoe modificato con utilizzo di tessuto vaginale autologo cresciuto in vitro L’intervento chirurgico inizia con un'incisione centrale a livello dell'introito vaginale e procede con la creazione di un canale della lunghezza di 10 cm tra la vescica ed il retto, fino a raggiungere lo scavo del Douglas. Il tunnel così ottenuto viene rivestito dalla garza sulla quale, in laboratorio, è stato montato il tessuto vaginale, con lo strato cellulare rivolto verso le pareti del canale. Si conclude con il posizionamento, all’interno della neovagina, di un intrusore, della lunghezza di 12 cm e del diametro di 2 cm, che può essere fissato al perineo con dei punti di sutura bilateralmente (Fig. 2). Il tempo complessivo necessario per l’intervento è di circa 15 minuti, con una perdita stimata di sangue inferiore a 100 ml. La garza, il catetere e l’intrusore vaginale vengono mantenuti in loco per i primi 5 giorni successivi all’intervento, dopo i quali si può riscontrare una percentuale di attecchimento di più del 90%. Trascorsi 5-6 giorni dall’intervento, si procede con la prima medicazione, che si preferisce effettuare in sala operatoria, sottoponendo la paziente ad una sedazione profonda. Vengono rimossi sia l’intrusore vaginale che le garze, ed è possibile valutare la lunghezza, il diametro della neovagina e, soprattutto, la percentuale di attecchimento del tessuto autologo. Si provvede ad un’accurata disinfezione del canale vaginale con ripetuti lavaggi con Betadine diluita ed acqua ossigenata, quindi si introduce nuovamente l’intrusore vaginale, preventivamente sterilizzato. In ultima analisi si effettua una medicazione esterna compressiva. Per un’altra settimana l’intrusore viene tenuto dalla paziente 24 ore su 24, poi si raccomanda di indossarlo durante la notte per le successive 6 settimane. CONCLUSIONI Tutte le tecniche fino ad ora utilizzate per il trattamento dell’agenesia vaginale sono gravate da difficoltà di procedura e complicanze non trascurabili. Il successo della dilatazione progressiva di Frank è variabile ed imprevedibile, essendo influenzato dalla costanza e dalla forte motivazione della paziente nell’uso dei dilatatori e dalla lunghezza iniziale della fossetta vaginale (Ashworth et al., 1986). La procedura di Vecchietti tradizionale e quella modificata laparoscopica, richiedono frequenti accorgimenti supplementari per aggiustare la tensione esercitata dal dispositivo addominale, e occorre un lungo periodo di autodilatazione durante il postoperatorio. L’intervento di AbbèMcIndoe tradizionale, che utilizza innesti cutanei, lascia grandi cicatrici, che possono andare incontro a degenerazione cheloide ed inoltre il tessuto utilizzato si può facilmente retrarre (McIndoe and Bannister, 1938). Le tecniche di Abbè-McIndoe modificate possono sottoporre la paziente al rischio di malattie trasmissibili, come nel caso dell’utilizzo dell’amnios (Templeman et al., 2000), possono richiedere tempi operatori lunghi e sfregiare la paziente, come nel caso dell’utilizzo della mucosa buccale (Lin et al., 2003) o hanno lo svantaggio di dover aprire la cavità peritoneale, come nel caso dell’uso del peritoneo (Rothman, 1972). La vaginoplastica con segmenti intestinali espone la paziente agli alti rischi della chirurgia addominale, comporta la creazione di una colostomia, e dà un canale vaginale che produce costantemente secrezioni mucose, spesso maleodoranti, con un aumentato rischio di suppurazione, senza trascurare il rischio di degenerazione neoplastica. Altre tecniche si stanno diffondendo: la vaginoplastica di William (Williams, 1964) modificata poi da Creatsas, che consiste nella trasposizione delle piccole labbra nella cavità vaginale, con una tecnica facile e poco invasiva, ma con l’inconveniente che la neovagina è nello spazio perineale, anatomicamente diverso rispetto a quello della vagina normale; la procedura di Wharton, che richiede semplicemente di porre un intrusore nella vagina, promuovendone la naturale epitelizzazione, ma producendo così sanguinamenti del tessuto di granulazione ed aumentando il rischio di suppurazione della vagina, o infine la variante modificata di Wharton, che utilizza la barriera di adesione Interceed (Jackson and Rosenblatt, 1994), la quale non comporta questo inconveniente, ma richiede tempi molto lunghi per il raggiungimento di una completa epitelizzazione del canale vaginale (3-6 mesi). Queste ultime tecniche promuovono una epitelizzazione proveniente dal vestibolo vaginale e richiedono tempi molto lunghi. I vantaggi della tecnica di Abbè-McIndoe modificata con utilizzo di tessuto vaginale autologo sono innumerevoli: ha il pregio di ridurre al minimo il rischio di infezioni e di annullare il rischio di rigetto ed inoltre, l’adozione del vestibolo vaginale come sede del prelievo bioptico, permette di ottenere tessuto di tipo vaginale, rende l’intervento poco invasivo, evita cicatrici permanenti e consente una diminuzione del periodo post-operatorio in cui deve essere utilizzato l’intrusore vaginale. L’epitelizzazione del canale può essere osservata lungo l’intera parete della neovagina e ciò suggerisce che essa proviene dal tessuto trapiantato e non dal vestibolo vaginale, come nel caso di altre tecniche chirurgiche. Dal 2006 ad oggi sono state sottoposte a tale procedura diverse pazienti e, pur essendo necessari ulteriori dati sul follow-up a lungo termine, i risultati sono ottimi: dopo due mesi dall’intervento l’esame colposcopico e la biopsia vaginale confermano la normale epitelizzazione del canale vaginale; si riscontra una neovagina che non ha subito alcun restringimento, non emana cattivi odori, non determina sensazioni di secchezza e permette rapporti sessuali soddisfacenti già dopo 4-5 settimane, come risulta dal test di Hudson sulla soddisfazione sessuale che è stato somministrato ad entrambi i partner e che conferma il successo anatomico e funzionale dell’intervento. Tabella 1. Strategie terapeutiche della agenesia/ipoplasia vaginale 3. folder 23 05 09-4:Layout 1 19-05-2009 17:53 Pagina 15 Notes N ao m i Cr o u c h [email protected] MD MRCOG Specialist Registrar University College London Hospitals 8 3. folder 23 05 09-4:Layout 1 19-05-2009 17:53 Pagina 16 MODERN APPROACHES TO VAGINAL HYPOPLASIA AND AGENESIS ABSTRACT Background Vaginal agenesis or hypoplasia is a common finding in many Disorders of Sexual Development (DSD), including Complete Androgen Insensitivity Syndrome (CAIS). Most women will choose to create a lengthened vagina suitable for penetrative intercourse. For those women who have undergone previous surgery on the perineum, passive or active dilation may not be appropriate. Current options include the laparoscopic Davydov procedure, which involves lining a vaginal cavity with peritoneum and anastomosing to a neointroitus 3. Sexual function data is encouraging, but further long-term studies are required. Concepts developed in the lecture Many approaches have been utilised in the development of a vagina suitable for penetrative intercourse. Passive dilation, as described by Frank, remains the first line option. Different dilators and contemporary options are available, and may be more appropriate for younger women. Dilation avoids the need for invasive surgery, and allows a woman to be in control of her therapy 1. However, it takes several months and requires maturity and motivation. Success is linked to compliance, and psychological support is essential. Older surgical techniques include using bowel or skin to create a new vagina. Both of these carry long-term risks of contracture, and carcinoma development. Skin vaginoplasty (McIndoe’s procedure) may be associated with dryness. Conversely, bowel vaginoplasties are often associated with excessive mucous production which may prove intractable to treatment. Both of these options may be indicated in certain cases, but these involve major surgery, carry higher risks, and should not be considered first-line. If dilation therapy fails, the laparoscopic Vecchietti procedure may be considered. This involves the placing of an acrylic “olive” at the vaginal introitus, which is threaded through the peritoneal cavity, with threads coming out onto the abdomen. The vagina is elevated up at approximately 1 cm per day, over one week. Again, psychological support is essential. Dilation is needed post-operatively to maintain the vaginal length. Therefore, barriers to dilation and reasons for previous lack of success need to be explored prior to the procedure. Surgery may be seen as a “quick-fix” but issues with sexual intimacy may still remain 2. Figure Femax Dilators, used for passive dilation of the vagina. CONCLUSIONS Dilation therapy is suitable for the majority of women with AIS, and has success rates of 80%. This should be considered as first line treatment. Psychological support is essential, and a multidisciplinary approach should be employed. For those where passive dilation is not successful, the laparoscopic Vecchietti procedure may be considered. Modern surgical approaches include the laparoscopic Davydov procedure. Bowel and skin vaginoplasties are rarely indicated for women with CAIS and PAIS, but may be considered if other options were not suitable. References 1. Normalization of the vagina by dilator treatment alone in Complete Androgen Insensitivity Syndrome and MayerRokitansky-Kuster-Hauser Syndrome. Ismail-Pratt IS, Bikoo M, Liao LM, Conway GS, Creighton SM. Human Reproduction 2007. 22; 7 :2020-2024 2. Dilation as a treatment for vaginal agenesis and hypoplasia; a pilot exploration of benefits and barriers as perceived by patients. Liao LM, Doyle J, Crouch NS, Creighton SM. J Obstet Gynaecol 2006; 26: 144-148 3. D’Argent D, Marchiole P, Giannesi A, Benchaib M, Chevret-Measson M, Mathevet P. Gynecol Obstet Fertil. 2004 Dec; 32 (12): 1023-1030. 3. folder 23 05 09-4:Layout 1 19-05-2009 17:53 Pagina 17 Notes A ld o I s id o r i [email protected] Professore Emerito di Endocrinologia e Andrologia Università Sapienza - Roma 9 3. folder 23 05 09-4:Layout 1 19-05-2009 17:53 Pagina 18 L’ETICA NEGLI STATI INTERSESSUALI ABSTRACT Di fronte al problema delle ambiguità genitali, alle possibilità della chirurgia plastica ricostruttrice e alle terapie ormonali, la domanda di fondo è: “quale sesso è più giusto assegnare e quindi quale percorso terapeutico seguire? E nel caso che l’anomalia non sia nota al soggetto e non crei problemi esistenziali: è giusto intervenire?” BACKGROUND I criteri che possono aiutare a formulare una scelta di indirizzo sono: criterio somatico, cioè adeguarsi al dato somatico prevalente. La finalità perseguita è essenzialmente funzionale. Successivamente si è fatto riferimento al criterio della prevalenza considerando fondamentale la definizione sessuale per lo sviluppo integrale della persona. Un terzo criterio definito della praticabilità medico-chirurgica, subordina la scelta alle possibilità di riuscita. In questo caso si tende a consigliare una ricostruzione in sesso femminile perché dà più garanzie di successo, da attuare però precocemente. In questo caso la scelta è riduttiva perché si valuta solo una funzione, quella sessuale,mentre non si considera la vera identità sessuale della persona. Il criterio diagnostico valutando la diagnosi etiologica può fornire l’indicazione più utile, perché tiene conto dei vari fattori che influenzano la sessualizzazione cerebrale, premessa della sessualità adulta. Questo criterio consiglierebbe di attendere l’instaurarsi della identità sessuale prima di effettuare interventi correttivi. In questa maniera si avrebbe più rispetto del giovane che man mano sta sviluppando e ricercando la propria personalità. Proprio per questo, qualsiasi decisione venga presa, necessita di un approfondito esame e il parere di più esperti per evitare di provocare danni alla futura persona. In questa situazione particolari l’informazione più chiara e completa possibile, circa la patologia, le possibilità di intervento e le successive terapie deve essere posta ai genitori, quando la diagnosi è nota alla nascita, al soggetto affetto dalla patologia quando debba convivere con essa. E’ chiaro che l’informazione dovuta a quest’ultimo richiede modalità particolari a seconda dell’età e per tutto il tempo della sua maturazione. ANALISI DEI CONCETTI SVILUPPATI L’informazione è il presupposto di un reale consenso alla terapia scelta, primo passo di un percorso che vedrà coinvolti i familiari per la riuscita della terapia. Tale percorso potrà comprendere interventi chirurgici, medici e psicologici ed eccezionalmente quello dell’Autorità Giudiziaria, qualora si debba richiedere l’autorizzazione per la riassegnazione del sesso anagrafico. In alcuni particolarissimi casi può risultare opportuno non rivelare la patologia, occasionalmente diagnosticata, in un soggetto non consapevole, perché la rivelazione potrebbe essere causa di grave turbamento. In tutte queste situazioni la riflessione bioetica può aiutare i genitori, i medici e lo stesso giovane a ricercare quel procedimento che sia garanzia di un recupero globale della propria identità. Quindi nel rapporto da stabilire in queste situazioni il medico non deve assumere una figura paternalistica o maternalistica ma presentarsi come un’altra persona disposta ad aiutarli a prendere decisioni importanti. Per questo occorre che il medico sappia rapportarsi con una cultura aperta alla relazionalità e all’alterità. In questo rapporto è chiaro che esiste una asimmetria dove però la persona più in difficoltà è il medico che deve cercare d’interpretare quello che il piccolo esprime non con le parole ma con la sua corporeità e con i suoi silenzi. Il principio di autonomia è insito nella natura umana e pertanto in un rapporto così particolare non deve essere compresso ma anzi facilitato. E’ il primo atto del prendersi cura. Questo tipo di rapporto ovviamente si modifica nelle varie fasi dell’età e specie nell’adolescenza, quando il giovane entra in una situazione di conflittualità generazionale, deve agire finalizzando il suo intervento ad un’educazione alla salute e alla vita. Compito del medico è quello di aiutare il giovane a riflettere sulle sue possibilità con responsabilità e senso critico. Nel caso di soggetti transessuali i vari interventi correttivi proposti per modificare un sesso sviluppato normalmente, alla luce della riflessione bioetica che s’ispira al personalismo ontologicamente fondato, non rispettano il principio della terapeuticità perché non eliminano il disturbo psicologico, diventato irreversibile, producono una mutilazione dei genitali maschili con privazione della funzione copulativa, non sono finalizzati al bene di tutta la persona ma viene solamente modificata una funzione. CONCLUSIONI L’etica personalista più attenta al valore della persona, come essere ontologicamente fondato e non legata alla sola funzione che essere può esprimere, può garantire una riflessione più attenta e rispettosa della dignità dell’uomo. 3. folder 23 05 09-4:Layout 1 19-05-2009 17:53 Pagina 19 Notes A n t o n io F. R a d ic io n i [email protected] Presidio Regionale per le Malattie Rare Endocrino-andrologiche. Dipartimento di Fisiopatologia Medica. Sapienza Università di Roma 10 3. folder 23 05 09-4:Layout 1 19-05-2009 17:53 Pagina 20 MEDICI SPECIALISTI ED ASSOCIAZIONI PAZIENTI ABSTRACT Secondo dati recenti della letteratura la prevalenza della Sindrome da insensibilità agli androgeni (Androgens Insensitivity Sindrome - AIS) nei neonati genotipicamente maschi risulta approssimativamente compresa fra 1:20.000 - 99.000 1-2. In considerazione della bassa frequenza, la sindrome è stata inclusa nella lista delle Malattie Rare del Ministero della Sanità con la vecchia denominazione “Pseudoermafroditismi” con il D.M. 279/2001. Parallelamente, il “Regolamento di istituzione della rete nazionale delle Malattie Rare e di esenzione dalla partecipazione al costo delle prestazioni sanitarie” (G.U. n. 160 del 12-7-2001- Supplemento Ordinario n.180/L ) ha stabilito le linee principali per una corretta e moderna gestione dei pazienti affetti da queste patologie con bassa prevalenza. Una disamina di similari iniziative legislative, in altri Paesi della Comunità Europea, ci permette di concludere che quella italiana è una delle leggi, allo stato attuale, più avanzate ed interessanti. Anche grazie alle opportunità previste da questa normativa, molti pazienti affetti dalla maggior parte della Malattie Rare hanno sentito l’esigenza, in tempi diversi, di organizzarsi in Associazioni Onlus (Organizzazione non lucrativa di utilità sociale). Molte di queste sono poi federate nell’Associazione denominata UNIAMO FIMR Onlus - Federazione Italiana Malattie Rare, che nasce nel 1999 per iniziativa di un gruppo di rappresentanti di diverse patologie, con lo scopo di costituire un organismo di riferimento nazionale e di coordinamento delle diverse Associazioni già operanti. Ad oggi, UNIAMO riunisce 58 associazioni in rappresentanza di oltre 600 patologie. BACKGROUND Le Associazioni dei pazienti nascono dall’esigenza, da parte di questi e delle loro famiglie, di avere una struttura di riferimento rappresentativa nel campo politico e socio-sanitario. Come ampiamente sottolineato nello statuto, molte svolgono un ruolo fondamentale nella diffusione delle informazioni concernenti la singola patologia, nella promozione dei diritti civili e nelle iniziative di tipo assistenziale. Costituiscono, inoltre, un punto di riferimento per tutti quelli che sono affetti da una determinata malattia favorendo, mediante il confronto e lo scambio di reciproche esperienze, un più facile accesso alle strutture di diagnosi e cura ed una migliore integrazione nel tessuto sociale. Tutto ciò è particolarmente rilevante nel caso delle Malattie Rare per le quali, la bassa prevalenza ed il conseguente ridotto numero di pazienti, potrebbe condizionare negativamente la qualità dell’assistenza sanitaria. Infatti, i soggetti affetti da queste patologie, in alcuni casi anche molto rare, necessitano di personale sanitario e soprattutto di medici particolarmente esperti nel trattamento di tali affezioni morbose e di strutture di eccellenza in grado di erogare un’assistenza sanitaria multidisciplinare. ANALISI DEI CONCETTI SVILUPPATI In tempi recenti, l’ausilio della rete informatica si è rivelato uno strumento estremamente potente ed efficiente nel permettere ai pazienti ed ai loro familiari di stabilire un contatto, eventualmente anche anonimo, alla ricerca di una condivisione delle informazioni e delle iniziative a favore di tutti gli interessati. Alcune di queste Associazioni hanno sentito anche l’esigenza di un più continuo e fattivo rapporto con un gruppo ristretto di medici specialisti, riuniti a costituire un Comitato scientifico, operante in costante sintonia con il Comitato direttivo sia nella parte assistenziale che organizzativa. Dall’altra parte, le Società Scientifiche svolgono un importante ruolo nel favorire l’aggiornamento professionale di tutti gli operatori del settore, forniscono le più aggiornate conoscenze di fisiopatologia, clinica e terapia, promuovono e coordinano progetti di ricerca in un costante interscambio culturale. La Società Italiana di Endocrinologia (SIE) e la Società Italiana di Andrologia e Medicina della Sessualità (SIAMS), come altre, sono particolarmente sensibili alle problematiche delle Malattie Rare anche perchè molte di queste affezioni hanno un andamento cronico, con interessamento di diversi organi e tessuti e coinvolgono frequentemente il sistema endocrino del soggetto. Oltre a quanto già riferito, anche le Università possono svolgere un ruolo determinante in questo campo ed in particolare, le Facoltà di Medicina debbono costituire un importante punto di riferimento per le Associazioni dei pazienti. A questo proposito, nel 2007 e nel 2008 abbiamo organizzato, con UNITASK ed UNIAMO, seminari di studio sulla Sindrome di Klinefelter e su altre patologie rare durante i quali, oltre alla parte scientifica, i nostri studenti di medicina e gli specializzandi in endocrinologia hanno potuto ascoltare dalla voce dei pazienti le aspettative e le problematiche connesse alla gestione quotidiana della loro condizione. Altrettanto interessante è l’iniziativa dei colleghi dell’Università degli Studi di Tor Vergata con questa Giornata di Studio sulla Sindrome da Insensibilità agli Androgeni, perchè costituisce un ulteriore ed importante momento di scambio culturale e di conoscenza reciproca. E’ anche grazie a queste occasioni di confronto e di aggiornamento, infatti, che possiamo migliore la formazione del personale medico-sanitario e nello stesso tempo produrre materiale informativo che può garantire una maggiore visibilità ed interesse intorno alla patologia a bassa prevalenza ed ai farmaci orfani a questa strettamente correlati, promuovendo la ricerca scientifica anche utilizzando, almeno in parte, risorse finanziarie delle stesse Associazioni costituite dai fondi garantiti dalla libera donazione da parte dei cittadini. CONCLUSIONI Riteniamo che questa partnership tra le Associazioni dei pazienti e le Società scientifiche sia auspicabile per la corretta e completa gestione sanitaria di questi pazienti, per un comune interesse di incidere sulle decisioni e le iniziative delle istituzioni politiche ed amministrative e per realizzare insieme ricerche cliniche e di base finalizzate ad una migliore comprensione della fisiopatologia ed alla individuazione di farmaci efficaci per giungere infine alla formulazione di raccomandazioni cliniche e linee guida condivisibili. Riferimenti utili - SIE SOCIETÀ ITALIANA DI ENDOCRINOLOGIA (SIE) Segreteria Amministrativa: FASI srl Via R. Venuti, 73 - 00162 Roma - Cent. +39 0697605610 - Fax +39 0697605650 E-mail: [email protected] - SEGRETERIA SIAMS FASI Srl - Via R. Venuti 73 - 00162 Roma - tel. 0697605610 - fax 0697605650 E-mail: [email protected] Bibliografia 1. Meghan B. Oakes et al: Complete androgen insensitivity syndrome--a review. J Pediatr Adolesc Gynecol. 2008 Dec;21(6):305-10. 2. Angeliki Galani, Sophia Kitsiou-Tzeli et al: Androgen insensitivity syndrome: clinical features and molecular defects Hormones 2008, 7(3):217-229. 3. folder 23 05 09-4:Layout 1 19-05-2009 17:53 Pagina 21 Notes S i m o n et t a D r a g h i [email protected] Ospedale “San Giovanni Calibita” Fatebenefratelli – Isola Tiberina - Roma Dipartimento per la salute della donna e del bambino. Direttore: prof. Elio Cirese 11 3. folder 23 05 09-4:Layout 1 19-05-2009 17:53 Pagina 22 SUPPORTO GINECOLOGICO PER LA DONNA AFFETTA DA PATOLOGIE RARE ABSTRACT Il ginecologo, come gli altri medici specialisti coinvolti nell’assistenza alle persone affette da malattie rare, ha un ruolo che può essere sia di intervento clinico diretto (medico e/o chirurgico) che di supporto e accompagnamento della donna verso l’età adulta. In questo percorso si evidenzia un ruolo importante della “medicina di genere”, ancora non riconosciuto. BACKGROUND E ANALISI DEI CONCETTI SVILUPPATI Le malattie rare sono patologie caratterizzate da una bassa prevalenza nella popolazione. In Europea si definisce rara una malattia che colpisce meno di 5 cittadini /10.000 abitanti. Inoltre le malattie rare sono caratterizzate da gravità clinica, esiti invalidanti, onerosità del trattamento. Le persone con malattie rare: a) hanno difficoltà ad ottenere una diagnosi tempestiva a causa delle scarse conoscenze disponibili e condivise nella comunità medica; b) soffrono della scarsità di terapie causali perchè i meccanismi patogenetici di queste malattie sono poco conosciuti; c) la ricerca è resa difficoltosa da una molteplicità di fattori: difficoltà ad aggregare i pazienti per la ricerca di base (campioni biologici) e la ricerca clinica; d) scarso interesse del mercato farmaceutico; e) trattandosi di malattie croniche ed invalidanti spesso è presente un elevato peso individuale, familiare e sociale con la necessità di integrazione socio sanitaria dell’assistenza. Legislazione italiana sulle malattie rare Uno dei principi fondamentali alla base della definizione del gruppo “malattie rare” è che la persona con malattia rara e la sua famiglia devono essere supportate dalle istituzioni. Questo principio è presente nel Piano Sanitario Nazionale 1998-2000 nel quale si legge “la peculiarità delle malattie rare risiede nel fatto che esse richiedono un'assistenza specialistica e continuativa di dimensioni tali da non poter essere sopportata senza un importante intervento pubblico”. La Rete nazionale include il Registro nazionale malattie rare (istituito all’Istituto Superiore di Sanità) per la raccolta epidemiologica dei dati provenienti dalle regioni. Dal 2001 ad oggi tutte le Regioni hanno identificato i centri e presidi ospedalieri dedicati ed è stato attivato il Registro nazionale, anche se il numero di dati raccolti non è ancora omogeneo in tutte le regioni. Inoltre, il CNMR, organo dell’ISS per le malattie rare, assicura un’attività di informazione mediante: a) il Telefono Verde Malattie Rare (800.89.69.49) che ha come obiettivo principale accogliere e informare cittadini, persone con malattia rara e loro familiari, operatori sanitari, ecc. b) il sito web del Centro www.iss.it/cnmr CONCLUSIONI Il ruolo e il sostegno del ginecologo nelle “malattie rare” può essere interpretato sotto diversi punti di vista: a) in un contesto interdisciplinare in tutte quelle patologie endocrino-metaboliche e malformative su base genetica e/o multifattoriale, che interessino in maniera prevalente l’apparato genitale e la sfera sessuale b) nell’accompagnamento all’età adulta in tutte le pazienti affette da qualsiasi malattia rara, individuando perciò un ruolo di medicina di genere c) nell’informazione alle famiglie di pazienti con malattie rare, favorendo i contatti con le diverse figure professionali e assistenziali disponibili sul territorio d) verso le madri di bambini affetti e) nella prevenzione pre-concezionale (primaria) nelle donne sane (acido folico) e pre e post-natale (secondaria) nella diagnosi precoce e quindi nel trattamento delle patologie rare. 1. Agazio E, Salerno P, Palmieri S, Gabrielli O, Taruscio D. Il registro nazionale delle malattie rare e il registro delle malattie rare della regione Marche: modello collaborativo. In: 7. Congresso nazionale della Società italiana di genetica umana (SIGU). Abstracts; 13-15 ottobre 2004; Pisa. 2004. p. 234. 2. Agazio E, Salerno P, Taruscio D, ed. Servizi socio-sanitari: dalle Legge 833/1978 alla devolution. Rapporti ISTISAN. 2004;04(18). 3. Botto LD, et al. International retrospective cohort study of neural tube defects in relation to folic acid recommendations: are the recommendations working? BMJ 2005; 330: 571-73 4. Christine-Maitre S. : Insufficience ovarienne prematurèe, Enc Orphanet , decembre 2006 5. G.U. Repubblica Italiana, 12.07.2001: decreto ministero della sanità 18.05.2001 6. Salerno P, Agazio E, Ido MS, Tarsitani G, Taruscio D. Registro nazionale malattie rare: problemi connessi alla raccolta e all'elaborazione dei dati epidemiologici. Rapporti ISTISAN. 2003;03(43):15-24. 7. Roze C., Touraine P., Leger J., de Roux N.: Hypogonadisme Hypogonadotrope congenital. fevrière 2009. In tutte queste attività è stata avviata e consolidata una forte collaborazione con le Associazioni di pazienti e loro familiari, ricercatori, clinici, amministratori: una rete “reale” fatta di strutture sanitarie e competenze professionali, ma anche di persone animate dalla volontà di migliorare la vita e l’assistenza a milioni di pazienti con queste patologie e loro familiari. La medicina narrativa Nell’ambito delle malattie rare, spesso non curabili, che impegnano fortemente le famiglie, dove è difficile anche la ricerca dei farmaci specifici e la medicina basata sull’evidenza ha scarso significato, la medicina “narrativa” assume un ruolo rilevante: “il racconto della propria esperienza è spesso un elemento prezioso, raccontare di sé, della propria esperienza è un diritto e un momento che restituisce dignità alla persona”. Il ginecologo, proprio per la sua specificità, perché accompagna la donna, le coppie, le famiglie, nei momenti più importanti della vita (la nascita, la pubertà, la maternità, la menopausa e la senilità) raccoglie spesso, e più di altri specialisti, il racconto delle esperienze e delle difficoltà. La medicina narrativa quindi è una risorsa per tutta la sanità pubblica, in quanto contribuisce a promuovere una cultura della partecipazione e del diritto e a colmare la distanza tra il vissuto soggettivo e il punto di vista clinico, tanto più quando siamo di fronte a paziente con una patologia rara. Bibliografia 8. Taruscio D, Agazio E, Bruzzese N, Censi F, Falbo V, Floridi M, Floridia G, Gnessi F, Mancino N, Marongiu C, Niglio T, Pilozzi A, Salerno P, Ido MS, Salvatore M, Tosto F, Vincenti G. Attività del Centro Nazionale Malattie Rare (CNMR) - Istituto Superiore di Sanità http://www.cnmr.iss.it. In: 6. Congresso nazionale della Società italiana di genetica umana (SIGU). Riassunti; 24-27 settembre 2003; Verona. 2003. p. 54. 9. Salvatore M, Bruzzese N, Censi F, Falbo V, Floridia G, Tosto F, Taruscio D. Progetto Nazionale per la standardizzazione e l'assicurazione di qualità dei test genetici: tecniche utilizzate dai laboratori partecipanti. In: 7. Congresso nazionale della Società italiana di genetica umana (SIGU). Abstracts; 13-15 ottobre 2004; Pisa. 2004. p. 437. 10. Taruscio D, Bruzzese N, Falbo V, Floridia G, Salvatore M, Tosto F. Progetto nazionale per la standardizzazione ed assicurazione di qualità dei test genetici: i primi due anni di esperienza. In: 6. Congresso nazionale della Società italiana di genetica umana (SIGU). Riassunti; 24-27 settembre 2003; Verona. 2003. p. 305. Ringraziamo la dottoressa Domenica Taruscio e il dottor Paolo Salerno del Centro per le Malattie Rare dell’ISS, per il fondamentale contributo datoci nella elaborazione della nostra presentazione. 11. Taruscio D, Salerno P, Agazio E. Le reti nazionali ed europee per le malattie rare. In: 1. Convegno nazionale dell'Associazione italiana contro le miopatie rare (AIM). Le malattie rare e le responsabilità sociali. Atti; 26 giugno 2003; Pistoia. 2003. p. 36-39. 12. Taruscio D, ed. Folic acid: from research to public health practice. Rapporti ISTISAN. 2004;04(26). 3. folder 23 05 09-4:Layout 1 19-05-2009 17:53 Pagina 23 Bibliografia Balercia G, Boscaro M, Lombardo F, Carosa E, Lenzi A, Jannini EA. Sexual symptoms in endocrine diseases: psychosomatic perspectives. Psychother Psychosom. 2007;76(3):134-40 Basson R, Berman J, Burnett A, Derogatis L, Ferguson D, Fourcroy J, et al. Report of the International Consensus development conference on female sexual dysfunction: definitions and classifications. J Urol 2000;163:888-93. Davis SR. The effect of tibolone on mood and libido. Menopause 2002;9:162-70. 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Corso di Laurea in Sessuologia Università dell’Aquila 67100 L’Aquila Shifren JL, Braunstein GD, Simon JA, Casson PR, Buster JE, Redmond GP, Burki RE, Ginsburg ES, Rosen RC, Leiblum SR, Caramelli KE, Mazer NA. Transdermal testosterone treatment in women with impaired sexual function after oophorectomy. N Engl J Med. 2000 Sep 7;343(10):682-8. Simon J, Braunstein G, Nachtigall L, Utian W, Katz M, Miller S Testosterone patch increases sexual activity and desire in surgically menopausal women with hypoactive sexual desire disorder. J Clin Endocrinol Metab 2005;90:5226-33. A n d r ea L en zi Simonelli C, Fabrizi A, Lenzi A, Jannini EA. I disturbi del desiderio maschile e femminile. In C. Simonelli (ed.) L’approccio integrato. Milano, Francoangeli, 2006. Cattedra di Endocrinologia Università degli Studi di Roma “La Sapienza” 00161 Roma Wylie K, Daines B, Jannini EA, Hallam-Jones R, Boul L, Wilson L, Athanasiadis L, Brewster M, Kristensen E. Loss of sexual desire in the postmenopausal woman. 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INTRODUZIONE L’endocrinologo è chiamato tradizionalmente a fronteggiare nel sesso femminile l’eccesso di androgeni, congenito o acquisito. Assai più controverso, ma anche più nuovo, è il tema opposto, quello del deficit androgenico femminile e della conseguente terapia, argomento a cui sono dedicate queste pagine. Il problema centrale del trattamento con androgeni delle disfunzioni sessuali femminili, con particolare riferimento, ma non solo, al disturbo da desiderio sessuale ipoattivo, non è già sull’efficacia del testosterone stesso (sono numerosi, ben condotti e convincenti gli studi che lo confermano), quanto la sostanziale difficoltà, a tutt’oggi, nel documentare la carenza androgenica nella donna. È infatti il laboratorio (che con la clinica è il principale strumento nelle mani dell’endocrinologo) a non permettere una coerente e ripetibile diagnostica dello stato carenziale. In altre parole, tanto quanto i dosaggi degli estrogeni nel maschio sono di difficilissima affidabilità, tanto complessi e inaffidabili sono quelli degli androgeni nella donna. Una diagnosi di ipoandrogenismo femminile, dal punto di vista di laboratorio, è dunque assai difficile, e quindi criticabile. La maggior parte dei dosaggi di testosterone totale nel plasma femminile è infatti in grado di identificare ma non di quantificare accuratamente lo stesso iperandrogenismo severo (quesito diagnostico assai frequente per l’endocrinologo), non è in grado di identificare l’iperandrogenismo moderato, ma soprattutto non sembrano, a oggi, clinicamente utili negli ipoandrogenismi. I metodi automatici non sono in grado di misurare accuratamente il testosterone, e si deve comunque ricorrere a metodi che prevedono una estrazione e quindi a metodi cromatografici. Questo è il sostanziale motivo della diffidenza del mondo endocrinologico nei confronti di una nuova proposta terapeutica (è da pochissimo disponibile il cerotto al testosterone per donne), altrimenti interessante e sicuramente capace di intercettare le necessità di alcuni pazienti. IL DECLINO CLIMATERICO Il calo degli ormoni sessuali che si manifesta con la menopausa è causa dell’ampia gamma di sintomi che si manifesta nella maggioranza delle donne. Secondo recenti stime, circa l’85% delle donne in menopausa manifesta uno o più sintomi, tra i quali vampate, stati depressivi o disturbi del sonno. In un terzo delle donne, questi sintomi della menopausa incidono in maniera significativa sulla qualità di vita. Il tema della sessualità è dunque centrale per un approccio adeguato alla donna in menopausa e deve essere considerato fondamentale per una qualità di vita soddisfacente. Ciò riveste oggigiorno un’importanza ancora maggiore se si pensa al drastico aumento delle aspettative di vita cui si è assistito nelle ultime decadi in virtù del quale una donna passa ora in menopausa circa un terzo della vita; si comprende quindi perfettamente quindi la necessità per la donna di vivere al meglio, anche dal punto di vista sessuale-relazionale, un periodo così lungo. CAMBIAMENTI ORMONALI ASSOCIATI ALLA MENOPAUSA Estrogeni Nelle donne sane i livelli di estrogeno si mantengono più o meno stabili sino alla perimenopausa. I principali cambiamenti ormonali associati al termine della fase riproduttiva sono il drastico calo dei livelli di estradiolo (E2) circolante (il principale estrogeno della fase riproduttiva) e un conseguente aumento dei livelli di gonadotropine circolanti: l’FSH e l’LH. Il calo dei livelli di estradiolo che si verifica con la menopausa è considerato la causa principale delle vampate, dei cambiamenti di umore, dei disturbi del sonno e della secchezza vaginale, associata a dispareunia: tutti sintomi riportati frequentemente dalle pazienti. Al contrario dell’estradiolo, i livelli di estrone rimangono pressoché invariati in quanto esso è prodotto dalla conversione per aromatizzazione a livello del tessuto adiposo degli androgeni di origine ovarica e surrenalica. Androgeni I livelli di androgeni nella donna sono più alti di quello che è considerato il tipico ormone sessuale femminile, ovvero l’E2; i più importanti androgeni sono il Deidroepiandrosterone (DHEA) e il suo estere solfato (DHEA-S) di produzione surrenalica, l’androstenedione, il testosterone e il diidrotestosterone (DHT). La cessazione dell’attività follicolare che si verifica con la menopausa si ac- compagna a un significativo decremento della produzione ovarica di androstenedione e, in misura minore, di testosterone; oltrechè dal DHEA e dal DHEA-S i cui livelli decrescono con l’età. I livelli di teststerone e degli altri androgeni dopo la menopausa si dimezzano e a una riduzione ancora più drastica si assiste in caso di menopausa chirurgica (Tab. 1): Estradiolo (pg/mL) Testosterone (pg/mL) DHEA (pg/mL) Donne in età riproduttiva Menopausa Naturale 40±3 Minore dei limiti di rilevamento dell’analisi* 400±30 4200±210 200±20 (- 50%) 1970±430 (- 53%) Menopausa Chirurgica (Ooforectomia) Tibolone: è uno steroide sintetico con proprietà estrogeniche, androgeniche e progestiniche indicato per il sollievo dai sintomi climaterici nelle donne in menopausa. I dati di efficacia suggeriscono un effetto sui sintomi sessuali comparabile alla terapia ormonale per quanto riguarda la sicurezza si è osservata una bassa incidenza di sanguinamento vaginale e di sensibilità al seno. I dati disponibili sul rischio di cancro endometriale e al seno non sono convincenti. Tuttavia, il tibolone comporta un potenziale aumento del rischio di ictus da valutare con attenzione. Minore dei limiti di rilevamento dell’analisi* 100±20 (- 50%) 1260±360 (- 70%) Tabella 1. Modificazioni dei principali steroidi sessuali nella menopausa naturale e in quella chirurgica – (da Lobo, RA (2001) Androgens in postmenopausal women: production, possible role, and replacement options. Obstetrical and Gynecological Survey. 56: 361-376, mod). EFFETTI DELL’IPOANDROGENISMO SULLA FUNZIONE SESSUALE Gli androgeni rivestono una parte importante per il desiderio sessuale e altre componenti della risposta sessuale femminile quali eccitazione, orgasmo e soddisfazione sessuale. Tali effetti sono mediati dall’interazione con i recettori a livello del sistema nervoso centrale situati nell’ipotalamo e lungo la via dopaminergica, perciò la riduzione dei loro livelli cui si assiste nella menopausa fisiologica o chirurgica si accompagna a riduzione della funzione sessuale. La “sindrome da deficienza/insufficienza androgenica” è un’entità puramente clinica (tuttora in attesa di un definitivo consenso) che comprende sintomi specifici come riduzione del desiderio sessuale, affaticabilità persistente ed inspiegata, ridotta motivazione e senso di malessere. Una delle principali disfunzioni sessuali femminili (Female Sexual Dysfunctions - FSD) è il disturbo associato al calo del desiderio sessuale (Hypoactive Sexual Desire Disorder – HSDD), ovvero la mancanza di desiderio sessuale che crea nella donna disagio personale e/o difficoltà interpersonali. Esso si presenta con carenza e/o assenza, persistente o ricorrente, di pensieri sessuali e/o di desiderio di attività sessuale. Il calo del desiderio sessuale è la disfunzione sessuale più diffusa: il 2630% delle donne europee di età compresa tra 40 e 80 anni lo manifesta. Nelle donne in menopausa chirurgica l’incidenza del calo del desiderio raggiunge quasi il 50%. IMPATTO DELLE DISFUNZIONI SESSUALI FEMMINILI SULLA QUALITÀ DI VITA Esiste una stretta correlazione tra calo del desiderio e altri momenti della funzionalità sessuale femminile, quali difficoltà di eccitazione (lubrificazione), orgasmo e piacere sessuale. Nelle donne con HSDD si riscontra infatti frustrazione, preoccupazione, infelicità, disperazione ed amarezza, rispetto alle donne con desiderio sessuale normale. Inoltre, le donne affette da HSDD manifestavano più frequentemente emozioni o atteggiamenti personali negativi, come sentirsi meno femminili ed insicure, delle “fallite” dal punto di vista sessuale o scarsa autostima, rispetto alle donne con desiderio sessuale normale. La prima preoccupazione delle donne affette da HSDD, riportata come sensazione provata sempre o spesso e menzionata dal 90% di queste pazienti, consisteva nell’effetto della loro relazione intima e sulla qualità di vita dei partner (“stavo deludendo il mio partner”). TRATTAMENTO FARMACOLOGICO DELLE DISFUNZIONI SESSUALI FEMMINILI Per l’endocrinologo chiamato a prendersi cura del HSDD dovuto a carenza steroidea sono state proposte diverse strategie terapeutiche, con differente impatto clinico e diverso livello di evidenza: • • • • Terapia estrogenica (sistemica o locale) Tibolone DHEA Testosterone Estrogeni: gli estrogeni svolgono un ruolo essenziale per la componente periferica della funzione sessuale femminile, essi infatti contribuiscono al mantenimento e al funzionamento dell’epitelio vaginale, delle cellule stremali, dei muscoli lisci e del trofismo nervoso. Gli estrogeni, inoltre, presentano effetti vasodilatatori e aumentano il flusso ematico vaginale, clitorideo ed uretrale attraverso la sintesi dell’ossido nitrico (NO) e le vie del polipeptide intestinale vasoattivo (VIP) che determinano congestione genitale e lubrificazione vaginale. Gli estrogeni, infine, modulano le soglie sensoriali. Pur con tutte le attenzioni e i caveat ben noti all’endocrinologo sul rapporto rischio/beneficio della terapia sostitutiva con estrogeni in menopausa, gli estrogeni restano un caposaldo della medicina sessuale. Figura 1. Da R. Nappi: Sessualità e terapie sostitutive in menopausa. In Jannini EA, Lenzi A, Maggi M. Sessuologia medica: Trattato di Psicosessuologia e Medicina della Sessualità. Elsevier-Masson, Milano, 2007, mod. DHEA: poiché gli estrogeni mediano solo la componente periferica della funzione sessuale femminile mentre gli steroidi sono responsabili della sua componente centrale, questi ultimi sono stati associati agli estrogeni al fine di migliorare la risposta terapeutica. E’ stato proposto l’utilizzo del DHEA in formulazioni galeniche ma i dati circa il suo ruolo specifico sulla funzione sessuale femminile sono contrastanti. Il ruolo emergente del testosterone Molti studi dimostrano che la terapia con testosterone migliora moltissimi aspetti della sessualità femminile, inclusi quelli su cui gli estrogeni hanno efficacia ridotta. Tale ruolo del testosterone è stato riconosciuto in un position statement della North American Menopausal Society secondo la quale le donne in menopausa (spontanea o chirurgica) con calo del desiderio sessuale associato a disagio personale sono candidate per tale terapia. Recentemente è stato autorizzata in tutta l’Unione Europea la vendita di un cerotto a basso dosaggio di testosterone (Intrinsa) per le donne in menopausa chirurgica in concomitante terapia estrogenica. I cerotti al testosterone e i gel sono infatti considerati preferibili rispetto ai prodotti per os per evitare l’effetto epatico di primo passaggio. Il cerotto al testosterone è stato sviluppato per donne in menopausa chirurgica che assumono terapia estrogenica concomitante, orale o transdermica. Il trattamento con testosterone a basso dosaggio per via transdermica determina un significativo aumento, rispetto al basale, di tutte le componenti della funzione sessuale (desiderio, attività soddisfacente, eccitazione, piacere, orgasmo, reattività ed immagine di sé) senza per questo provocare segni e sintomi di iperandrogenismo. I livelli sierici di testosterone al termine della terapia risultano essere compresi nell’intervallo di riferimento riscontrato delle donne in menopausa. La donna trattata divine, sostanzialmente, euandrogenizzata. Nel cerotto a base di testosterone, l’ormone (8,4 mg) viene sciolto nella matrice adesiva che viene messa a contatto con la pelle dell’addome una volta tolta la pellicola esterna (Fig. 2). Questo strato di matrice contiene anche monooleato di sorbitano, sostanza che favorisce la penetrazione del testosterone attraverso la cute. La cute limita l’assorbimento del farmaco in modo tale che il cerotto rilascia solamente una frazione di testosterone (300 μg/24 ore) nell’arco di 3-4 giorni. Il cerotto è quindi applicato due volte alla settimana in maniera continuativa, ruotando il sito di applicazione con un intervallo di almeno 7 giorni tra un’applicazione e l’altra sulla medesima parte. Si consiglia di applicare sull’addome al di sotto del punto vita e di evitare in ogni caso la mammella. L’evento avverso più comune è la reazione topica al sito di applicazione del cerotto (30,4%). Il testosterone transdermico nel dosaggio di 300 μg/die non produce variazioni significative della pressione arteriosa, dei trigliceridi, del colesterolo totale e dei parametri della funzionalità epatica (fosfatasi alcalina, alanin aminotrasferasi, bilirubina totale). Tuttavia, il trattamento prolungato (fino a 3 anni) termine dei tre anni nei pazienti è stato riscontrato un lieve aumento ponderale (in media: 1,7 kg). Altresì improbabile è la policitemia talvolta riscontrata nei maschi trattati con testosterone ad alte dosi. Un monitoraggio dell’emocromo è tuttavia buona norma durante il trattamento. Consigliamo comunque di interrompere la somministrazione in presenza di eventi avversi di tipo androgenico (ipertricosi, acne, seborrea, eritrocitosi: tutte eventualità piuttosto rare), nelle gravi reazioni a livello cutaneo e in tutte quelle pazienti che non hanno conseguito un beneficio significativo dal trattamento. Sono da considerarsi controindicazioni assolute (oltre all’ovvia ipersensibilità al principio attivo o a qualcuno degli eccipienti) il sospetto, accertato o pregresso tumore della mammella, ogni altra neoplasia estrogeno-dipendente o altra condizione patologica prevista nelle controindicazioni alla somministrazione di estrogeni. Ciò anche in considerazione del fatto che una quota importante di testosterone viene comunque aromatizzata a estrogeno. Si consiglia attenzione e cautela in caso di uso di lungo periodo, nella patologia cardiaca, renale o epatica, nel diabete. È utile poi che l’endocrinologo faccia eseguire con regolarità lo screening per tumore della mammella, in quanto il rischio di lungo termine – per quanto improbabile - è sconosciuto. Come si è detto, il cerotto è indicato per le donne in menopausa precoce con HSDD. È quindi sconsigliato in gravidanza/allattamento, in donne di età superiore ai 60 anni, in donne sottoposte a trattamento concomitante con estrogeni equini coniugati per via orale e in donne in menopausa naturale. Relativamente a questo ultimo punto, è verosimile che nel futuro le Autorità comunitarie allarghino l’uso del cerotto anche alle donne in menopausa naturale, sulla base di dati scientifici in costante pubblicazione e sempre più rassicuranti in tal senso. Quando abbiamo una paziente che ha sviluppato distress, diminuzione della libido e della sua attività sessuale a seguito di menopausa chirurgica (forse fra poco diremo: anche in presenza di menopausa naturale, di ipopituitarismo, di insufficienza surrenalica) dobbiamo considerare la somministrazione del cerotto al testosterone. Purché però sia fatta una buona endocrinologia: quella esperta di medicina sessuale che permette la preventiva esclusione di altre cause di HSDD come la depressione endogena (la più frequente causa o concausa di ridotta libido della femmina), i problemi della sfera relazionale (che possono anche essere conseguenza e non solo causa, di HSDD), le malattie sistemiche e l’uso di farmaci e di sostanze di abuso. CONCLUSIONI Per molti versi il problema della somministrazione di testosterone nella donna è ancora aperto. Proprio per questo motivo vogliamo lasciare al lettore endocrinologo la possibilità di scegliere tra due linee-guida, entrambe assai autorevoli e scientificamente fondate, ma tra loro non completamente concordanti: quella dell’Endocrine Society (Tabella 2) e quella della North American Menopause Society (NAMS) (Tabella 3). Si tratta di line guida estremante interessanti e sicuramente capaci di far discutere, anche se appaiono per certi versi apodittiche. Mentre è evidente che molta strada debba ancora essere compiuta sia per la definizione fisiopatologica, sia per la terapia dell’ipotestosteronemia femminile, crediamo che un atteggiamento maggiormente attento alla realtà clinica sia necessario in questo nuovo e delicato ambito dell’endocrinologia. Tabella 2. Linea guida sull’uso del testosterone della Endocrine Society 1. non si può far diagnosi di deficienza androgenica femminile per l’assenza di una sindrome clinica ben definita. 2. esistono evidenze solo per l’uso a breve termine del testosterone nella menopausa chirurgica. 3. è fortemente scoraggiato l’uso generalizzato. 4. Non possono essere formulate linee-guida per mancanza di dati clinici e di sicurezza a lungo termine. Tratto da: Wierman ME, Basson R, Davis SR, Khosla S, Miller KK, Rosner W, Santoro N. Androgen therapy in women: an Endocrine Society Clinical Practice guideline. J Clin Endocrinol Metab. 2006 Oct;91(10):3697-710. Tabella 3. Linea guida sull’uso del testosterone della North American Menopause Society 1. Uso in donne in postmenopausa con HSDD 2. La terapia con testosterone non è raccomandata se non in donne in trattamento con estrogeni 3. Il dosaggio del testosterone non deve essere effettuato per porre diagnosi di insufficienza androgenica, ma soltanto per monitorare i livelli sovrafisiologici 4. Il testosterone transdermico deve essere preferito rispetto alle preparazioni orali per evitare il primo passaggio epatico 5. La terapia con testosterone deve essere somministrata alla dose più bassa e per il tempo più breve ad ottenere l’obbiettivo terapeutico. Tratto da: North American Menopause Society: The role of testosterone therapy in postmenopausal women: position statement of The North American Menopause Society. Menopause. 2005 Sep-Oct;12(5):496-511.