concEDEtEvi Di scEGliERE
Transcript
concEDEtEvi Di scEGliERE
Direttore: Pier Luigi Amata IL CENTRO BIOS DELLA CHIRURGIA E MEDICINA ESTETICA A ROMA • VALUTAZIONE PRE-OPERATORIA CLINICO-STRUMENTALE • SOLUZIONI FINANZIARIE PERSONALIZZATE • ASSISTENZA POST-OPERATORIA FOLLOW-UP 1, 3, 6, 12 MESI • VISITE E CONSULTAZIONI: BIOS SPA - VIA D. CHELINI 39, ROMA • MEDICINA ESTETICA • PRIMO COLLOQUIO GRATUITO www.bioscultura.it PRENOTATE SUBITO UN COLLOQUIO CON LO SPECIALISTA AL CUP BIOS - 06 809641 bimestrale di informazione e aggiornamento scientifico Il pavimento pelvico: problemi e soluzioni Medicina dello sport... ma non “per sport” La degenerazione maculare legata all’età Il diabete mellito: l’epidemia del terzo millennio Edizioni bios S.p.A. n. 3 - 2011 SISTEMA QUALITÀ CERTIFICATO UNI EN ISO 9001:2000 CUP - CENTRO UNIFICATO DI PRENOTAZIONE - 06 809641 [email protected] www.bios-spa.it BIOS S.P.A. - STRUTTURA SANITARIA POLISPECIALISTICA FAX - 06 8082104 00197 ROMA - VIA D. CHELINI, 39 APERTO TUTTO L’ANNO. ANCHE IL MESE DI AGOSTO * • IN REGIME DI ACCREDITAMENTO PER TUTTI GLI ESAMI PREVISTI DAL SSR PER INFORMAZIONI SU TUTTI I SERVIZI E PRENOTAZIONI: INFO CUP 06 809641 DIRETTORE SANITARIO: Dott. Francesco Leone DIAGNOSTICA DI LABORATORIO Direttore Tecnico Prof. Giovanni Peruzzi * ANALISI CLINICHE ESEGUITE CON METODICHE AD ALTA TECNOLOGIA PRELIEVI DOMICILIARI • LABORATORIO DI ANALISI IN EMERGENZA (DEAL) - ATTIVO 24h su 24h - 365 GIORNI L’ANNO CON REFERTI DISPONIBILI DI NORMA ENTRO 2 ORE DAL RICEVIMENTO DEL CAMPIONE PRESSO LA STRUTTURA DIAGNOSTICA PER IMMAGINI Direttore Tecnico Prof. Vincenzo Di Lella Direttore Sanitario Dott. Francesco Leone • • • • • • • • DIAGNOSTICA RADIOLOGICA * RADIOLOGIA GENERALE TRADIZIONALE E DIGITALE * ORTOPANORAMICA DENTALE DIGITALE * SENOLOGIA TAC SPIRALE (T.C) (TOTAL BODY) R.M.N. (RISONANZA MAGNETICA NUCLEARE) DENTASCAN MINERALOMETRIA OSSEA COMPUTERIZZATA (M.O.C.) • DIAGNOSTICA ECOGRAFICA • ECOGRAFIA INTERNISTICA: singoli organi e addome completo • DIAGNOSTICA ECOGRAFICA CARDIOLOGICA E VASCOLARE: ecocardiogramma, ecocolordoppler • ECOGRAFIA GINECOLOGICA: sovrapubica, endovaginale • ECOGRAFIA OSTETRICO-GINECOLOGICA IN 3D E 4D DI ULTIMA GENERAZIONE: - TRANSLUCENZA NUCALE O PLICA NUCALE - ECOGRAFIA MORFOLOGICA - FLUSSIMETRIA • ECOGRAFIE PEDIATRICHE DIAGNOSTICA SPECIALISTICA Direttore Sanitario Dott. Francesco Leone • • • • • • ALLERGOLOGIA ANDROLOGIA ANGIOLOGIA AUDIOLOGIA CARDIOLOGIA DERMATOLOGIA • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • DIABETOLOGIA E MALATTIE DEL RICAMBIO DIETOLOGIA ENDOCRINOLOGIA GASTROENTEROLOGIA GENETICA MEDICA - DIAGNOSI PRENATALE GINECOLOGIA - OSTETRICIA IMMUNOLOGIA CLINICA MEDICINA DELLO SPORT MEDICINA INTERNA NEFROLOGIA NEUROLOGIA OCULISTICA ODONTOIATRIA ORTOPEDIA OSTETRICIA - GINECOLOGIA OTORINOLARINGOIATRIA PNEUMOLOGIA PSICOLOGIA CLINICA REUMATOLOGIA UROLOGIA CENTRI E SERVIZI MULTIDISCIPLINARI Direttore Sanitario Dott. Francesco Leone • - CHECK-UP PERSONALIZZATI MIRATI: Sui principali fattori di rischio VELOCI: Nell’arco di una sola mattinata Convenzioni con le aziende • SERVIZIO DIAGNOSTICA RAPIDA: con referti e diagnosi in 24-48 ore • CENTRO ANTITROMBOSI: monitoraggio e counseling del paziente in terapia antitrombotica • CENTRO PER LA DIAGNOSI E CURA DELL’IPERTENSIONE • CENTRO PER LO STUDIO, DIAGNOSI E CURA DEL DIABETE • CENTRO PER LO STUDIO DELLE CEFALEE • SERVIZIO DI MEDICINA E BIOLOGIA DELLA RIPRODUZIONE: studio dell’infertilità di coppia, fecondazione assistita di I livello • SERVIZIO DI DIAGNOSTICA PRE E POST NATALE, MONITORAGGIO DELLA GRAVIDANZA • SERVIZIO DI ANDROLOGIA E PREVENZIONE DELLE MALATTIE SESSUALMENTE TRASMESSE • SERVIZIO VACCINAZIONI Periodico della bIos s.p.A. fondata da Maria Grazia Tambroni Patrizi L’editoriale Francesco Leone 2 Il pavimento pelvico: problemi e soluzioni Antonio Brescia, Francesco Saverio Mari 3 Direttore Responsabile Fernando Patrizi Direzione scientifica Giuseppe Luzi segreteria di Redazione Gloria Maimone Coordinamento Editoriale Licia Marti A tutto campo G. L. Medicina dello sport... ma non “per sport” Sergio Lupo 9 10 Comitato scientifico Armando Calzolari Carla Candia Vincenzo Di Lella Francesco Leone Giuseppe Luzi Gilnardo Novellli Giovanni Peruzzi Augusto Vellucci Anneo Violante Hanno collaborato a questo numero: Fabio Piergiovanni, Francesco Antonio Vero, Francesco Leone, Francesco Saverio Mari, Giuseppe Luzi, Nicoletta Fantozzi, Sergio Lupo. La responsabilità delle affermazioni contenute negli articoli è dei singoli autori. Il Punto. La degenerazione maculare legata all’età. Francesco Antonio Vero, Nicoletta Fantozzi 15 1 Direzione, Redazione, Amministrazione BioS S.p.A. Via D. Chelini, 39 00197 Roma Tel. 06 80964245 [email protected] Grafica e Impaginazione Vinci&Partners srl Mixing G. L. 21 Impianti e stampa ArtColorPrinting srl via Portuense, 1555 - 00148 Roma Edizioni bIos S.p.A. Autorizzazione del Tribunale di Roma: n. 186 del 22/04/1996 In merito ai diritti di riproduzione la BIOS S.p.A. si dichiara disponibile per regolare eventuali spettanze relative alle immagini delle quali non sia stato possibile reperire la fonte Imparare dalla clinica. Il diabete mellito: l’epidemia del terzo millennio Fabio Piergiovanni 23 Pubblicazione in distribuzione gratuita. Finito di stampare nel mese di giugno 2011 bIos SpA Struttura Sanitaria Polispecialistica Via D. Chelini, 39 - 00197 Roma Dir. Sanitario: Dott. Francesco Leone CUP 06.809.641 From bench to bedside. G. L. 29 Un punto di forza per la vostra salute Gli utenti che, per chiarimenti o consulenza professionale, desiderano contattare gli autori degli articoli pubblicati sulla rivista Diagnostica bios, possono telefonare direttamente alla sig.ra Pina buccigrossi al numero telefonico 06 809641. EDItoRIALE Francesco Leone Direttore Sanitario Bios S.p.A. 2 L’EDItoRIALE QUALItà E QUAntItà nEI sERvIzI DI LAboRAtoRIo: vERA RAzIonALIzzAzIonE? Nel Sole 24 ore-Sanità (n.12, anno XIV 2011) un breve articolo riporta alla realtà di una corretta gestione dei servizi di laboratorio. Nell’articolo “Laboratori, aggregazioni con paletti” si fa riferimento all’accordo scaturito dalla Conferenza Stato-Regioni sui <<criteri per la riorganizzazione delle reti di offerta di diagnostica di laboratorio>>. Il punto evidenziato dall’articolo è di grande importanza e precisa le condizioni sull’accreditamento dei laboratori. In particolare viene messo in luce come sia essenziale una soglia minima di attività, soglia al di sotto della quale non è possibile riconoscere l’“idoneità al riconoscimento di produttore accreditato e a contratto”. La soglia minima definita nell’accordo riguarda 200.000 esami di laboratorio/anno effettuati nella sede e non in regime di “service”. Nell’accordo si puntualizza anche la definizione dei punti di prelievo per garantire l’efficienza dei tempi pre-analitici e post-analitici, parametri di indubbio valore per mantenere alta la qualità dei servizi forniti e delle prestazioni erogate. In questo accordo si ha senza dubbio nel mirino una serie di strutture che non hanno mezzi per garantire la qualità e si fa riferimento anche a possibili aggregazioni pubblico/privato. Ma non è questo il punto che si vuole evidenziare. Andiamo avanti e leggiamo invece un altro articolo, questa volta sul Corriere della Sera (24 – 04. 2011): “Per gli esami del sangue andremo in farmacia”. L’autore dell’articolo fa riferimento ai decreti attuativi della legge 69/2009 sulla competitività e sull’evoluzione delle farmacie come “farmacie dei servizi”. Nelle farmacie sarà dunque possibile effettuare alcuni esami del sangue (glicemia, colesterolemia, trigliceridemia, emoglobina, emoglobina glicata, creatinina, transaminasi, ematocrito) e valutare esame delle urine, test del sangue occulto nelle feci, test di gravidanza e della menopausa (sic!). Per il prelievo, dal dito, potrà intervenire un infermiere se necessario. Si parla di procedure semplici, così semplici che è possibile eseguirle da soli! Nell’articolo si discute anche della necessità di convenzioni tra farmacisti, Servizio Sanitario Nazionale, Regioni. Quindi da un lato si razionalizzano i laboratori fissando numeri soglia rigorosi e si valuta ogni sequenza dell’iter procedurale: prelievo, conservazione dei campioni, e così via. Dall’altro si “liberalizza” un approccio alle ana- lisi che possono essere gestite “ad personam”. Già in un precedente editoriale su Diagnostica si sottolineava la nostra perplessità sul ruolo delle analisi pret-a-porter, ma ancora più forte si ribadisce ora l’urgenza di un chiarimento su alcuni punti critici relativi alla gestione dei laboratori. Infatti se nel valutare i parametri di qualità e di soglia delle prestazioni si prevede, giustamente, che i laboratori vengano controllati per garantire l’attendibilità dei risultati, come sarà possibile dimostrare la sicurezza dei kit proposti in farmacia? E anche nella migliore delle ipotesi, come verranno gestite le analisi? Prendiamo, per esempio, il colesterolo. Sappiamo che la colesterolemia totale ha importanza, ma è ben noto che il fattore di rischio risiede nel rapporto HDL/LDL colesterolo. Ormai è linguaggio comune parlare di colesterolo buono e colesterolo cattivo. Ma allora? Che farà il medico di fronte a un colesterolo un po’ alto: vorrà conoscere meglio le frazioni che vanno inserite nei parametri del rischio clinico. Quindi prescriverà analisi inviando l’utente in un laboratorio di fiducia. Il malato di diabete usa a casa propria le “macchinette” per controllare la glicemia. E anche per questi strumenti è necessario fare un’adeguata taratura, altrimenti i risultati non sono credibili. Ma se si deve gestire una terapia antidiabetica o si deve monitorizzare una dieta non è certo la glicemia occasionale in farmacia a rappresentare il percorso più corretto. Lo si ribadisce ancora. Ben vengano le farmacie “dei servizi” come aiuto e integrazione dell’attività sanitaria (prenotare visite ed esami, ritirare reperti medici, “nel massimo rispetto della privacy”, pagare ticket, etc.) ma per le analisi non si può essere d’accordo perché esse rientrano in una procedura clinica di diagnosi e di monitoraggio e l’improvvisazione può essere pericolosa. Ancora, pensiamo al sangue occulto nelle feci; è già buona norma effettuare il controllo su tre campioni ma, anche se la diagnostica è migliorata rispetto al passato con test opportuni, come la mettiamo con i falsi negativi e i falsi positivi? Insomma c’è molto da lavorare per evitare che un disordine possibile venga scambiato scambiato per autogestione razionale. Ogni procedura diagnostica deve essere sempre coordinata, dall’inizio fino alla valutazione conclusiva, dal medico curante. IL PAvIMEnto PELvICo: PRobLEMI E soLUzIonI Antonio Brescia - Professore associato di Chirurgia Generale Francesco Saverio Mari - Specialista in Chirurgia Generale 3 Introduzione Le alterazioni anatomo-funzionali del pavimento pelvico interessano prevalentemente le donne, con un’incidenza che aumenta progressivamente col progredire dell’età fino a raggiungere e superare il 40% della popolazione femminile oltre i 65 anni di età. I disturbi dipendenti da tali alterazioni sono essenzialmente di tre tipi: 1) disturbi della minzione (ritenzione e incontinenza urinaria); 2) disturbi da dislocazione e ingombro (prolasso utero-vaginale); 3) disturbi della defecazione (stipsi e incontinenza fecale). Queste patologie determinano una situazione di profonda compromissione della qualità di vita con notevole impatto sociale (isolamento, modificazioni delle abitudini di vita), psicologico (depressione, abbassamento dell’autostima, apatia, paura), occupazionale (assenteismo), relazionale (vestiario, problemi nelle relazioni familiari), fisico (limitazione o cessazione dell’attività fisica) e sessuale (calo della libido, rinuncia all’attività sessuale). Dati epidemiologici stimano che nel mondo le donne affette siano oltre 400 milioni (di cui 4 milioni circa in Italia), con un’ampia variabilità dei dati ad oggi disponibili a causa della difformità nell’inquadramento clinico-diagnostico. Le patologie della statica pelvica rappresentano, molto frequentemente, sequele tardive di eventi avvenuti molti anni prima, particolarmente durante la gravidanza e in occasione dell’espletamento del parto. Esse rappresentano disturbi a genesi multifattoriale e a estrinsecazione polimorfa. Al fine di un corretto inquadramento diagnostico-terapeutico necessitano di un approccio multidisciplinare, in cui specialisti di diversa estrazione possano contribuire, in maniera coordinata, a definire e attuare l’iter da seguire più idoneo e specifico per singolo caso. Numerosi studi già presenti in letteratura scientifica medica hanno affermato e confermato la multifattorialità dell’etiologia nella patologia del pavimento pelvico, individuando fattori di rischio certi, probabili, possibili, causa delle patologie della statica pelvica. Il pavimento pelvico Il pavimento pelvico corrisponde alla zona genito-urinaria-anale ed è costituito da tessuto muscolare e connettivale. Partecipa alle funzioni urinaria, fecale, sessuale, riproduttiva, della statica pelvica, biomeccanica del cingolo pelvico. I sintomi causati dalla disfunzione del pavimento pelvico modificano spesso la qualità di vita di chi ne è afflitto, peggiorando notevolmente numerosi aspetti della vita quotidiana. AnAtoMIA DEL PAvIMEnto PELvICo torno ad essi fibre muscolari ad andamento circolare, cioè gli sfinteri, rispettivamente uretrale e anale. Anche il canale vaginale nella sua parte finale è circondato ad anello dalle fibre del pavimento pelvico. Il pavimento pelvico si estende dal pube (in avanti) al coccige e al sacro (all’indietro), mentre lateralmente si attacca in parte direttamente alle ossa del bacino, in parte si inserisce su altri muscoli o strutture connettivali. Da questi punti di origine, quasi tutte le fibre muscolari prendono contatto con una grossa formazione tendinea facilmente individuabile dall’esterno, situata tra l’ano e la vagina nella donna e tra l’ano e la base del pene nell’uomo, chiamata centro tendineo del perineo. FUnzIonI DEL PAvIMEnto PELvICo Funzione urinaria e pavimento pelvico 4 Il pavimento pelvico rappresenta la chiusura inferiore del bacino e corrisponde all’area genito-urinaria anale. In tale zona al di sotto di cute e mucose, è presente tessuto muscolare, così come nella restante parte del corpo. Il pavimento pelvico è costituito oltre che da muscoli, organizzati in tre diversi strati più o meno profondi nel bacino, anche da tessuto connettivo (legamenti e fasce). I visceri pelvici (vescica e uretra, utero e canale vaginale nella donna, retto e canale anale) sono poggiati sui muscoli e sul connettivo che compongono il pavimento pelvico, che può essere pertanto paragonato ad un’amaca. Inoltre uretra e canale anale nella loro parte finale “attraversano” il pavimento pelvico, che determina quindi in- La funzione urinaria è svolta dalle alte vie urinarie (reni e ureteri) e basse vie urinarie, di particolare interesse per l’argomento qui trattato. Fanno parte di queste ultime la vescica e l’uretra. La vescica è un organo che può essere considerato il “serbatoio” dell’urina, mentre l’uretra è un condotto tubulare posto in continuità con la vescica e che sbocca all’esterno. Il pavimento pelvico, circondando l’uretra con le sue fibre muscolari, costituisce lo sfintere uretrale interno e lo sfintere uretrale esterno; il primo non è sottoposto al controllo volontario del soggetto, mentre lo è il secondo, che ci permette per- tanto di trattenere l’urina modificando a piacimento e in condizioni socialmente accettabili la minzione. L’urina, filtrata dai reni, prosegue attraverso gli ureteri e raggiunge la vescica. All’interno di questa sono presenti piccole cellule sensitive (recettori) che informano il cervello, attraverso il midollo spinale, sullo stato di riempimento vescicale. Quando l’individuo decide di mingere, la vescica si contrae, gli sfinteri uretrali si rilassano e l’urina defluisce all’esterno attraverso l’uretra. La fase di accumulo dell’urina in vescica è denominata “fase di riempimento”, mentre il momento in cui l’urina fuoriesce all’esterno del corpo è detta “fase di svuotamento”. esterno, che è invece volontario, chiude l’ano, impedendo così alle feci di uscire. È considerato normale un intervallo di 3-4 ore tra una minzione e l’altra. Questo riferimento può subire variazioni in relazione a molteplici fattori (alimentazione, idratazione, sudorazione, ecc.) La continenza delle feci è quindi assicurata dal sistema sfinteriale, dal muscolo pubo-rettale, dalle proprietà elastiche del retto, che si adatta al contenuto fecale, dalla consistenza delle feci. Quando invece il soggetto decide di defecare, è necessario un aumento della pressione addominale (realizzato dai muscoli della parete addominale e dal diaframma respiratorio, che vengono a costituire il “torchio addominale”), un rilasciamento dello sfintere esterno e del muscolo pubo rettale. Quanto descritto permette lo scorrimento della materia fecale che viene così spinta all’esterno. Viene considerato normale un numero di evacuazioni comprese tra due volte al giorno e due volte alla settimana. Funzione fecale e pavimento pelvico Funzione sessuale e pavimento pelvico La funzione fecale è svolta fondamentalmente dal tratto terminale del tubo digerente. Il materiale fecale, prodotto dall’attività digestiva, arriva nel sigma, che può essere considerato il serbatoio delle feci. Da qui circa un paio di volte al giorno queste sostanze passano nella porzione superiore del retto chiamata ampolla rettale; questo fenomeno viene percepito dal soggetto più o meno intensamente a seconda di quanto materiale giunge o è già presente nell’ampolla. Oltre a ciò anche i gas vengono veicolati nell’ampolla rettale. La sessualità è una funzione complessa e coinvolge l’aspetto fisico-biologico e quello psicorelazionale. Coinvolge diversi sistemi, compreso quello muscolare e, all’interno di questo, in particolar modo il sistema dei muscoli del pavimento pelvico. In entrambi i sessi i diversi eventi della funzione sessuale vengono distinti in quattro fasi: desiderio, eccitazione, orgasmo, risoluzione / soddisfazione. I muscoli del pavimento pelvico sono coinvolti nella funzione sessuale femminile: essi, circondando il canale vaginale, permettono la penetrazione vaginale, lasciandosi distendere durante questo momento. Inoltre sono coinvolti nella fase dell’orgasmo con l’attivazione riflessa di contrazioni ritmiche ripetute. Nella funzione sessuale maschile la porzione muscolare del pavimento pelvico partecipa al meccanismo di erezione e di eiaculazione attraverso l’attività contrattile. Questi fenomeni danno luogo al rilasciamento dello sfintere anale interno, che non è sottoposto al controllo della nostra volontà, e successivamente, il materiale fecale passa nella parte inferiore del retto (canale anale). Grazie alle cellule sensitive (recettori) presenti nel canale anale, avviene il riconoscimento della natura del materiale (solida o gassosa); successivamente la contrazione dello sfintere anale 5 Funzione riproduttiva e pavimento pelvico Il ruolo del pavimento pelvico nella funzione riproduttiva è relativo al parto. Durante il parto i muscoli di questa zona si lasciano distendere per permettere la fuoriuscita del feto. Inoltre essi sono parte attiva nel promuovere la fuoriuscita del neonato attraverso una buona capacità contrattile. È pertanto utile che in occasione di questo importante evento, i muscoli del pavimento pelvico possiedano una buona capacità elastica. mento diventa armonico, preciso e funzionale. Ne deriva che in alcune condizioni funzionali, come afferrare un oggetto con le mani, si contraggano anche i muscoli del cingolo pelvico, compreso il pavimento pelvico. sUDDIvIsIonE DEL PAvIMEnto PELvICo In CoMPARtI Funzione statica e pavimento pelvico 6 Consiste nella capacità di mantenere in sede gli organi della bassa pelvi (vescica e uretra, utero e canale vaginale, retto e canale anale) rispetto sia alla forza di gravità, sia agli aumenti di pressione intraddominale che si verificano normalmente durante le attività quotidiane (tossire, flettere il busto per raccogliere un oggetto, sedersi, alzarsi, ecc.). La funzione relativa alla statica pelvica viene realizzata dal pavimento pelvico, sia con la porzione muscolare, sia con quella connettivale. La prima, più esterna, costituisce il sistema di sostegno e può essere paragonata alla funzione svolta dall’acqua quando fa galleggiare una nave. I muscoli del pavimento pelvico sono infatti posti al di sotto dei visceri e li fanno “galleggiare”. Funzione biomeccanica e pavimento pelvico Il pavimento pelvico appartiene al cingolo pelvico, costituito da diverse strutture biomeccaniche: ossa del bacino, muscoli, legamenti. Questi elementi cooperano insieme per assicurare stabilità al corpo, insieme alle strutture muscolo scheletriche del tronco, come la colonna vertebrale. Ad esempio, ogni volta che un arto superiore o inferiore si muove (es.: camminare, afferrare un oggetto, ecc.), le strutture biomeccaniche del cingolo pelvico e/o del tronco si attivano per fare da “contrappeso” alla parte che si muove. Così il movi- sintomi del comparto anteriore I sintomi vengono distinti in sintomi della fase di riempimento vescicale, della fase di svuotamento vescicale e della fase post-minzione. Tra i sintomi della fase di riempimento, il più frequente è sicuramente l’incontinenza urinaria, che viene definita come la perdita involontaria di urina. Ne soffrono in Italia circa tre milioni di individui, per la maggior parte donne. Vengono distinte tre forme: ➜ l’incontinenza urinaria da sforzo o da stress, che si verifica durante uno sforzo intenso come tossire, starnutire, soffiarsi il naso, sollevare un peso, oppure lieve, come camminare o fare le scale; è tipica dei soggetti di sesso femminile e si presenta frequentemente nel periodo post partum e nella menopausa; ➜ l’incontinenza urinaria da urgenza, presente in concomitanza di un impellente e improcrastinabile bisogno di mingere e tale da impedire al soggetto di raggiungere la toilette in tempo utile; ➜ l’incontinenza urinaria mista, dove sono presenti i sintomi di entrambe le forme. Appartengono ai sintomi della fase di svuotamento anche l’urgenza urinaria (improvviso irresistibile desiderio di urinare, difficile da procrastinare) e la frequenza urinaria (definita anche “pollachiuria”, è riferita dal paziente come lo svuotamento minzionale quotidiano troppo frequente). È utile ricordare che il numero di minzioni giornaliere considerate normali è al massimo di 7. È compresa anche la nicturia (necessità di svegliarsi una o più volte durante la notte per mingere). I sintomi della fase di svuotamento riguardano le difficoltà riferite dal soggetto relative al momento della minzione: quando è difficile iniziarla (esitanza), oppure il manifestarsi di flusso urinario debole e/o intermittente durante tale momento, oppure l’utilizzo della forza dell’addome per spingere fuori l’urina (torchio addominale). Fanno parte dei sintomi post minzionali il senso di incompleto svuotamento vescicale e il gocciolamento post minzionale (perdita involontaria di urina immediatamente successiva al termine della minzione, solitamente dopo aver lasciato la toilette). sintomi del comparto medio Le disfunzioni sessuali consistono nella difficoltà o impossibilità ad avere rapporti sessuali, e/o nella mancata soddisfazione durante questi, e/o nel dolore che può accompagnare tali momenti. Essi possono riguardare sia il sesso femminile sia quello maschile. Per le disfunzioni sessuali femminili il pavimento pelvico può essere causa o conseguenza di queste, oppure essere uno degli elementi che mantiene questa complessa disfunzione. Il prolasso degli organi pelvici consiste nella discesa verso il basso di uno o più organi della pelvi. A seconda dell’organo disceso, il prolasso viene chiamato cistocele (vescica), isterocele (utero), rettocele (retto), enterocele (anse intestinali). Il prolasso degli organi pelvici è un patologia tipicamente femminile. I sintomi avvertiti dalla paziente sono: senso di protrusione vaginale (la paziente percepisce al tatto una “tumefazione ovalare” che protrude dal canale vaginale verso l’esterno), senso di peso in zona genito-anale e/o al basso ventre; questi sintomi possono accentuarsi nelle ore serali e in occasione di lavori pesanti. Talvolta può essere presente difficoltà alla defecazione (la paziente percepisce il bisogno di defecare, ma non riesce a espellere le feci in modo soddisfacente). Le cause del prolasso sono identificabili in alcuni fattori di rischio: gravidanza e parto, sovrappeso, sport ad alto impatto, stipsi, tosse e starnuti frequenti. Il coinvolgimento del pavimento pelvico riguarda sia la porzione muscolare di sostegno, spesso ipovalida, sia la porzione connettivale di sospensione, il cui danno determina lo spostamento verso il basso del viscere prolassato. sintomi del comparto posteriore Sono rappresentati da incontinenza e stipsi. Incontinenza ai gas e/o alle feci: definita come la perdita involontaria di gas e/o feci solide o liquide. È un sintomo altamente invalidante per la qualità di vita ed è probabilmente più frequente di quanto si possa ipotizzare, data la difficoltà nel comunicare al personale sanitario di riferimento questo sintomo. Stipsi o costipazione: consiste nella difficoltà a evacuare le feci e può riguardare la frequenza, la difficoltà al momento dell’espulsione o entrambe. Si ricorda che è considerato normale un numero di evacuazioni comprese tra 2 al giorno e 2 alla settimana. La stipsi può dipendere da una ridotta motilità dell’intestino e/o da una dissinergia muscolare del pavimento pelvico, o meglio del fascio puborettale che circonda e chiude il canale anale. Esso durante la defecazione dovrebbe rilassarsi, permettendo la fuoriuscita delle feci, ma in alcuni casi questo fenomeno non avviene e il soggetto, pur avvertendo lo stimolo, non riesce a defecare, oppure residua dopo la defecazione una fastidiosa sensazione di non completo svuotamento. 7 Da ricordare anche il dolore ano-rettale e prolasso ano-rettale. Diagnosi e terapia delle disfunzioni del pavimento pelvico La multifattorialità delle disfunzioni del pavimento pelvico impone una valutazione complessa e multidisciplinare. È per questo che stanno nascendo in tutta Italia centri dedicati con professionisti specializzati che si occupano di questo tipo di patologie. La diagnostica deve prevedere innanzitutto una completa valutazione clinica che comprenda un accurato esame obiettivo seguita poi, a seconda delle alterazioni evidenziate, da esami strumentali specifici. I principali esami strumentali per la valutazione dei difetti del pavimento pelvico sono: 8 • • • • • • • • • La terapia delle patologie del pavimento pelvico deve essere mirata a ripristinare una condizione anatomica quanto più vicina possibile a quella fisiologica e può prevedere anche l’integrazione di più procedure chirurgiche. Solo dopo un corretto studio preoperatorio e la valutazione clinica dello specialista sarà possibile programmare il percorso terapeutico più idoneo per ciascun paziente. Come detto la multifattorialità delle alterazioni può portare alla necessità di correggere diverse anomalie anatomiche che (come nel caso del rettocele e del prolasso del retto) possono essere trattate con la stessa procedura oppure (come nel caso del prolasso del retto associato al cistocele) necessitano di 2 procedure chirurgiche distinte. Nel percorso terapeutico un importante ruolo riveste la riabilitazione pelvi-perineale sia in sinergia con il trattamento chirurgico sia da sola. La manometria anorettale; L’elettromiografia anale; Il tempo latenza motoria terminale del nervo pudendo; L’RX o RMN Cinedefecografia; L’ecografia transanale con sonda rotante e/o tridimensionale; L’ecografia pelvi-perineale; L’RX tempi di transito intestinale; L’esame urodinamico; L’uretrocistografia e l’uretrocistoscopia. Presso la BIOS SpA di Via D. Chelini 39 - Roma è attivo un Servizio volto alla Diagnosi e alla Terapia delle Patologie del Pavimento Pelvico. Lo staff medico è composto dal prof. Antonio Brescia, specialista in Chirurgia dell'Apparato Digerente ed Endoscopia Digestiva, dalla dott.ssa Romana Vallone, specialista in Ginecologia ed Ostetricia e dal dott. Fabio Goffredo, specialista in Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva. Per accedere al servizio rivolgersi al CUP 06 809641 Se la calprotectina, al contrario, risulta a bassa concentrazione nelle feci è probabile che non siano presenti patologie organiche dell’intestino (anche, per esempio, una diverticolite) e che il disturbo lamentato dal soggetto in esame sia riconducibile a patologie funzionali. Tutto ovviamente nell’ambito della prudenza clinica e della corretta sorveglianza medica. Vivere igienicamente L’igiene (dal greco γιεινός) è il ramo della medicina che si occupa delle interazioni tra ambiente e organismo ai fini della conservazione della salute umana. Nell’ambito di questa disciplina vengono elaborati criteri per gestire e organizzare le misure necessarie a definire un valido equilibrio tra nostro comportamento, individuale e collettivo, e l’ambiente che ci sta intorno. Per l’uomo l’ambiente non è soltanto il luogo dove vive ma include anche il contesto sociale e l’insieme dei rapporti che si sviluppano tra altri bipedi umani e le numerose specie animali. Il concetto di salute quindi non può limitarsi a un mal definito benessere fisico ma deve estendersi alle implicazioni psichiche e sociali che rappresentano il rapporto tra il singolo e l’ambiente nel quale vive. Chi vive nel mondo contemporaneo, chi è nato dopo la Seconda Guerra Mondiale, almeno in Europa e negli USA, e nei paesi economicamente sviluppati, conosce l’acqua calda e l’acqua fredda, usa molta carta per pulirsi, in ospedali si giova del materiale a perdere. Ma attenzione: questo è il risultato di uno sforzo immane. È il risultato di un approccio all’ambiente che abbiamo visto per molti secoli ostile e pericoloso. Tutte le culture sono state ossessionate dalla sporcizia. E quando parliamo di discariche cerchiamo di pensarle lontano da casa nostra. Quindi abbiamo perduto la consapevolezza della lotta che, come specie, abbiamo intrapreso per migliorare la qualità della vita combattendo l’ostilità ambientale “vera” e quella generata dal nostro sviluppo economico. Una breve storia dell’igiene è proposta dalla Wellcome Collection. Suggestivo itinerario per immagini che aiuta a ripercorrere alcune tappe fondamentali sul capitolo della sporcizia (wellcomecollection.org). G. L. Presso il Laboratorio di Microbiologia clinica della BIOS SpA di Via D. Chelini 39 Roma è possibile eseguire il dosaggio della calprotectina fecale. Non occorre prenotazione. Info 06 809641 A tUtto CAMPo Uso intelligente della calprotectina I globuli bianchi sono una fondamentale linea di difesa contro le infezioni e rappresentano cellule essenziali nell’evolvere del processo infiammatorio. La calprotectina è una proteina presente in notevole quantità all’interno dei granuli citoplasmatici dei leucociti neutrofili (un particolare tipo di globuli bianchi). In molti processi infiammatori del nostro organismo si osserva un accumulo di globuli bianchi neutrofili, che possono addensarsi nei tessuti dove si svolge la sequenza degli eventi infiammatori. Usando la calprotectina come indicatore indiretto dell’infiammazione possiamo avere notevoli informazioni utili per la clinica. La calprotectina è stata dosata in diversi liquidi biologici (plasma, saliva, liquido sinoviale, liquido cefalo-rachidiano, urine e feci). I livelli di calprotectina sono in grado di caratterizzare lo stato infiammatorio del distretto anatomico nel quale si va a dosare. Nella pratica clinica lo studio della calprotectina ha avuto diffusione prevalentemente nell’ambito della gastroenterologia per chiarire i caratteri di alcuni processi infiammatori del tubo digerente. Pur essendo un indicatore aspecifico può darci informazioni utili. Le concentrazioni di calprotectina nelle feci aumentano in corso di malattie infiammatorie del tubo digerente e consentono di distinguere le malattie tipicamente infiammatorie (morbo di Crohn, rettocolite ulcerosa) dalle forme non infiammatorie, considerate su base “funzionale” (per esempio la diffusa sindrome del colon irritabile). Nelle feci un aumento della calprotectina è possibile oltre che nelle malattie infiammatorie croniche dell’intestino anche in neoplasie del tratto gastroenterico. Se la patologia infiammatoria, anche di carattere acuto, è circoscritta all’apparato digerente, un incremento della calprotectina può associarsi a esofagiti e enterocoliti su base infettiva e soprattutto diverticoliti. Questa osservazione preliminare può aiutare il medico a impostare successive indagini di approfondimento. In particolare, per esempio, l’eliminazione di calprotectina nelle feci è un buon indicatore di recidiva nei soggetti affetti da malattie infiammatorie intestinali, essendo il suo incremento correlato alle fasi clinicamente attive del processo morboso considerato. 9 MEDICInA DELLo sPoRt... MA non “PER sPoRt” Sergio Lupo Specialista in Medicina dello Sport 10 Lo specialista in Medicina dello Sport, oltre all’effettuazione delle visite per l’idoneità all’attività sportiva può fornire consulenze su tutte le problematiche relative allo Sport (valutazione funzionale, traumatologia, riabilitazione post-infortunio, alimentazione ecc.). Può sottoporre a visita soggetti in età evolutiva per controllarne la struttura anatomica (colonna, ginocchio, piede ecc.), l’accrescimento (fornendo una previsione dello stesso utilizzando apposite formule e parametri), il rapporto statura/peso (intervenendo in caso di eccesso ponderale con idonei consigli) e quindi indicare quale sia l’attività sportiva più adatta. Con la diffusione sempre maggiore della pratica sportiva a tutte le età, lo Specialista in Medicina dello Sport diventa importante nella prevenzione di patologie che possono essere causate da un’attività fisica non idonea e sicuramente il soggetto più a rischio è il sedentario che inizia l’attività sportiva per la prima volta o la riprende dopo un più o meno lungo periodo di inattività. Chi va in palestra o fa jogging dovrebbe essere sottoposto a un controllo medico idoneo a evidenziare situazioni di rischio (artrosi, ipertensione ecc.), che in caso di eccessivo impegno potrebbero aggravarsi. AREE DI IntERvEnto 1 Età Evolutiva: • visita clinica attitudinale • correzione di patologie (scoliosi, platismo del piede, ginocchio varo o valgo ecc.) • igiene alimentare 2 Attività Agonistica: • visita idoneità attività sportiva • valutazione funzionale dell’atleta • ricerca applicata allo sport con esame delle qualità fisiche e definizione del modello di prestazione • controllo dell’allenamento • controllo degli effetti dell’allenamento • prevenzione delle patologie da sovraccarico funzionale • terapia e riabilitazione post-traumatica • alimentazione 3 Attività Amatoriale: • visita idoneità all’attività sportiva • controlli clinici periodici (soprattutto in soggetti anziani) Un controllo medico prima di intraprendere una qualsiasi attività fisica diventa quindi fondamentale a tutte le età e per qualsiasi tipo di impegno fisico: attività ludico-motoria, attività sportiva non agonistica e attività sportiva agonistica... LA vIsItA DI IDonEItà: "...Indicazioni e modalità d’uso..." Molti sono coloro che praticano attività sportiva agonistica in Italia, ma ben maggiore è il numero di praticanti amatoriali e l’impegno al quale l’organismo è sottoposto durante la pratica dello sport è tale che necessità di un perfetto stato di buona salute ed EFFICIENZA FISICA. Per verificare la propria efficienza fisica ed evitare rischi di patologie più o meno gravi, è opportuno sottoporsi, prima di intraprendere l’attività fisica e poi periodicamente, a un controllo medico con il quale si possono evidenziare alterazioni favorenti l’insorgenza di patologie invalidanti. Fra l’altro tale controllo medico, in Italia, è obbligatorio per tutti coloro che praticano attività sportiva agonistica e non agonistica organizzata [con società sportive, enti di promozione sportiva (UISP, ACLI ...), in palestre ecc.]: la differenza tra le due tipologie di visita consiste nel fatto che la visita per l’agonistica comprende accertamenti stru- mentali (elettrocardiogramma a riposo e dopo sforzo, spirografia, esame urine ...) e può essere effettuata esclusivamente dallo Specialista in Medicina dello Sport, mentre quella per la non agonistica (il certificato di "stato di buona salute" per intenderci) prevede solo la visita clinica (ma sarebbe opportuno effettuare almeno un elettrocardiogramma a riposo) e può essere eseguita anche dal proprio medico di base o pediatra di base. Tale visita è molto importante nel giovane, perché permette di evidenziare eventuali patologie a rischio, ma soprattutto perché permette di intervenire su problematiche strutturali importanti per un corretto sviluppo e accrescimento: eccesso di peso, scoliosi o atteggiamenti scoliotici, alterazioni dell’appoggio del piede (piede piatto, cavo) e del ginocchio (ginocchio valgo, varo). Queste alterazioni se trascurate, possono causare in età adulta seri problemi patologici: obesità, cardiopatie e patologie metaboliche, artrosi ecc. Un intervento precoce può invece quanto meno migliorare la situazione. Ugualmente importante è tale controllo nell’adulto che quasi sempre, preso dalla "smania sportiva", dopo anni di sedentarietà decide di iniziare l’attività fisica e ovviamente non inizia a praticare con calma e tranquillità un po’ di corsa, ciclismo, nuoto a bassa intensità, ginnastica a corpo li- 11 bero (attività estremamente salutari), ma va in palestra a fare Body building, Step, Aerobica, Spinning ...: tutte attività estremamente intense e a rischio. Un controllo dell’efficienza cardiaca, respiratoria, muscolo-tendinea e articolare è obbligatorio per prevenire accidenti talvolta molto seri. Un’avvertenza però: diffidate dalle visite fatte “in batteria”, in strutture non autorizzate (lo studio di Medicina dello Sport ha caratteristiche ben determinate), eseguite con superficialità e privilegiando più la velocità di esecuzione che la accuratezza. La Medicina dello sport è una medicina preventiva e non una formalità! 12 Vediamo per prima cosa chi può effettuare tale visita specialistica e quali sono le modalità di esecuzione e gli accertamenti clinici e strumentali obbligatori. A tal proposito dobbiamo distinguere la visita per l’idoneità allo sport agonistico e quella per lo sport non agonistico. visita per l’idoneità alla pratica di sport agonistico listi e le relative strutture autorizzate). Lo specialista deve effettuare una visita completa, comprendente la raccolta dell’anamnesi (la storia clinica, anche familiare) dell’atleta e l’esame dei grandi apparati (respiratorio, cardiaco, muscolo-scheletrici...). Gli esami clinici e strumentali da effettuare sono i seguenti: 1. esame spirografico, con determinazione della capacità polmonare statica e dinamica e della massima ventilazione volontaria; 2. elettrocardiogramma a riposo; 3. elettrocardiogramma dopo esecuzione di step test [lo step test consiste nel salire e scendere su un gradino di altezza variabile (30 cm per i bambini, 40 cm per le donne, 50 cm per gli uomini) al ritmo di 120 movimenti al minuto, per un tempo di 3 minuti]; sulla base di questo test deve essere calcolato l’I.R.I. (indice rapido di idoneità), che fornisce informazioni sulla capacità di recupero dell’atleta; 4. esame completo delle urine (che deve essere eseguito obbligatoriamente da un laboratorio di analisi). Per alcuni sport sono previsti accertamenti accessori [ad esempio per lo sport subacqueo è obbligatoria la visita dello specialista Otorinolaringoiatra; per lo sci alpino (discesa libera) l’elettroencefalogramma, la visita neurologica ecc.]. Di ogni atleta il medico deve conservare una scheda medica, con gli esami effettuati, per un periodo di 5 anni dalla data della visita. La visita ha, solitamente, validità di 12 mesi (per alcuni sport di minor impegno, come ad esempio il Tiro con l’Arco, la validità è di 24 mesi). Può essere effettuata solo dagli specialisti in Medicina dello Sport operanti in strutture autorizzate (in alcune regioni, il Lazio ad esempio, esistono albi regionali dove sono iscritti gli specia- Per accedere alla visita specialistica l’atleta deve consegnare allo specialista una Lettera di Richiesta della società di appartenenza, nominativa, nella quale devono comparire tutti i dati identificativi della società sportiva stessa (nome, indirizzo, LA RICHIEstA DELLA soCIEtà sPoRtIvA PER LA vIsItA DI IDonEItà ALLo sPoRt (D.M. 18-2-1982 e circ. Ministero sanità 31-1-1983 n. 7) Essa costituisce la condizione per l’ammissione alla visita sia negli ambulatori ASL sia negli ambulatori e studi privati ove operano i medici specialisti in medicina dello sport iscritti all’elenco regionale ex art. 16 L.R. n. 24/97. Sulla richiesta sono riportati i dati della società e l’attestazione che il soggetto è tesserato per la società stessa o sta per esserlo. A CosA sERvE: 1. L’attestazione (MODELLO 1) permette al soggetto di essere ammesso alla visita pagando la tariffa stabilità dalla legge. 2. Permette inoltre, essendo obbligatorio per il medico in caso di SOSPENSIONE o NON IDONEITà dell’atleta comunicare tale situazione oltre che alla ASL, alla Regione Lazio, alla Federazione sportiva di appartenenza, anche alla società sportiva dell’atleta, di ottemperare a tale obbligo di legge. • • • I “RICHIAMI” LEGIsLAtIvI: Legge Tutela Sanitaria Attività Sportive - D.M. 18-2-1982 e circ. Minist. Sanità 31-11983 n. 7 Circolare 31 della Regione Lazio del 27-7-1999 Verbale Giunta Regionale Lazio del 19-10-2001, deliberazione n. 1533 13 codici di affiliazione ecc.). visita per l’idoneità alla pratica di sport non agonistico In questo caso la certificazione può essere effettuata (dopo una visita accurata, ma senza obbligo di accertamenti clinici e strumentali) anche dal PROPRIO MEDICO DI BASE O DAL PROPRIO PEDIATRA DI BASE, oltre che, ovviamente, dal- lo Specialista in Medicina dello Sport. In caso di atleta minorenne, è obbligatoria la presenza di un genitore che deve tra l’altro sottoscrivere una dichiarazione di consenso informato. La visita medico sportiva non può essere effettuata al di fuori delle strutture autorizzate e quindi non può esistere uno Studio di Medicina dello Sport in una struttura sportiva (palestra, piscina ecc.) se non rispetta le norme di legge relative (DPR 22.7.1996, art. 22, comma 4: lo studio di Medicina dello Sport situato in una struttura sportiva, deve avere ingresso indipendente e deve essere completamente eliminata ogni comunicazione tra le due strutture...). Al termine della visita lo specialista rilascia una certificazione che può essere di: 1. IDONEITà, in caso di assenza di controindicazioni alla pratica sportiva specifica; 2. NON IDONEITà, in caso di presenza di controindicazioni assolute o temporanee alla pratica sportiva specifica (la non idoneità deve essere comunicata dallo specialista alla ASL di appartenenza dello studio, alla Regione, alla federazione sportiva e alla società dell’atleta, oltre, ovviamente, all’atleta stesso); 3. SOSPENSIONE, se sono ritenuti necessari ulteriori accertamenti strumentali per la formulazione del giudizio (anche in questo caso, trascorsi 60 giorni dalla richiesta di accertamenti e in caso di omessa consegna degli stessi, la sospensione deve essere comunicata alla ASL di appartenenza dello studio, alla Regione, alla federazione sportiva e alla società dell’atleta). In caso di giudizio di NON IDONEITà, l’atleta entro 30 giorni può fare ricorso alla commissione regionale all’uopo istituita. Lo specialista, a completamento dell’iter esecutivo e burocratico, deve inviare alla ASL di appartenenza dello studio, ogni 6 mesi, l’elenco delle visite effettuate. A questo punto è opportuno ricordare che alcune alterazioni riscontrabili soprattutto in età giovanile (atteggiamenti scoliotici o scoliosi, patologie del piede e/o del ginocchio, eccessi ponderali di grado diverso e cattiva igiene alimentare...), se non adeguatamente curate, sono alla base di innumerevoli patologie dell’età adulta (artrosi, obesità, diabete, ipertensione, cardiopatie...), causa non solo di diminuzione dello stato di salute dell’individuo, ma anche di costi a carico della comunità, sia come interventi del sistema sanitario sia come giorni di lavoro persi. Tra l’altro niente vieta al praticante “amatoriale” di sottoporsi comunque a un “Check-Up” mirato alla pratica sportiva. Non sottovalutiamo quindi la visita dello specialista in Medicina dello Sport e pretendiamo che essa venga effettuata nei tempi e con le modalità previste dalla legge. Per ulteriori informazioni sull’argomento: www.sportmedicina.com 14 Presso la BIOS S.p.A. di via D. Chelini 39 - Roma, nell’ambito dei Servizi dedicati alla prevenzione, è attivo il Servizio di Medicina Sportiva. Il responsabile è il dott. Sergio Lupo. Per prenotazioni: Info CUP 06 809641 IL CHECK-UP DELLO SPORTIVO PRATICARE UN’ATTIVITÀ FISICA SENZA RISCHI AVERE LE INDICAZIONI PER UNA PRATICA SPORTIVA OTTIMALE LIVELLO 1 BASE - CONSIGLIATO FINO A 30 ANNI BAMBINI INCLUSI LIVELLO 2 - CONSIGLIATO DA 31 A 35 ANNI LIVELLO 3 – CONSIGLIATO OLTRE I 35 ANNI • Visita dello specialista in Medicina dello Sport • Esame pirografico • Elettrocardiogramma (ECG) a riposo • Step Test e ECG dopo Step Test, con calcolo dell’indice di idoneità (IRI) • Visita dello specialista in Medicina dello Sport • Esame pirografico • Elettrocardiogramma (ECG) a riposo • Step Test e ECG dopo Step Test, con calcolo dell’indice di idoneità (IRI) • Ecolordoppler Cardiaco 3A • Esami di laboratorio I° e II° livello Emocromo, Glicemia, Azotemia, Transaminasi, Emoglobina, Sideremia, Ferritina, Transferrina. • Aggiungere gli esami di laboratorio di III° livello Colesterolo tot., HDL, LDL, Trigliceridi-CPK) • Visita dello specialista in Medicina dello Sport • Esame pirografico • Elettrocardiogramma (ECG) a riposo • Step Test e ECG dopo Step Test, con calcolo dell’indice di idoneità (IRI) • Ecolordoppler Cardiaco • Test Ergonomico Massimale 3B • Come 3A + Test Prostata LA DEGEnERAzIonE MACULARE LEGAtA ALL’Età. sIntoMAtoLoGIA, DIAGnosI E tRAttAMEnto. LA DEGEnERAzIonE MACULARE LEGAtA ALL’Età (DMLE) La Degenerazione Maculare Legata all’Età (DMLE) è una patologia oculare degenerativa della retina che comporta una progressiva perdita della visione centrale. Costituisce la principale causa di cecità acquisita per soggetti di età superiore a 50 anni nei paesi industrializzati. Tale patologia colpisce la regione maculare (un’area centrale della retina deputata alla visione distinta e dettagliata) alterandone i principali costituenti, quali: l’epitelio pigmentato retinico, la membrana di Bruch e la coroide (Fig. 1). In Italia 1 milione di persone presenta i primi segni di degenerazione maculare. Ogni anno solo nel nostro Paese si registrano 20.000 nuovi casi di DMLE umida . Il costo sociale di questa malattia è enorme se si considera tutto quello che è necessario per la diagnosi, il trattamento e il controllo dei pazienti e, anche, per la grave invalidità visiva che questa patologia produce (Bird A.C. et al., 1995; Vingerling J.R. et al., 1995; Attebo K. et al., 1996; Klein R. et al., 2002; Lafaut B.A. et al., 2000). Viene comunemente classificata in due forme: • forma atrofica o secca (Fig. 2 B): è quella più frequente (circa 80% dei casi) causa un difetto visivo di diversa gravità ed è caratterizzata da drusen e alterazioni dell’EPR visibili all’esame del fondo oculare, tale forma ha per lo più un decorso lento che può essere ulteriormente rallentato con terapia farmacologica (vit. A, C ed E, Luteina, Acidi Grassi, zeaxantina). La prevalenza globale della malattia è stimata tra il 7.1% e l’8.5% dopo i 50 anni. Come già detto aumenta con l’età: tra i 65 e i 74 anni varia dall’8.5% al 11%, tra i 75 e gli 85 anni è del 27%. Proprio in considerazione del progressivo innalzamento dell’aspettativa di vita, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha calcolato che l’incidenza di DMLE nella popolazione oltre i 60 anni aumenterà di 4 volte nei prossimi 20 anni. Attualmente si contano oltre 30.000.000 di casi con oltre 2000-3000 nuovi casi per anno. Una forma secca può trasformarsi nella forma umida/essudativa. • La forma essudativa o umida (Fig. 2 C) colpisce circa il 10-20% dei soggetti con DMLE atrofica, è caratterizzata dallo sviluppo di una neovascolarizzazione coroideale (CNV), vasi coroideali anomali che crescono nella sottostante coriocapillare e proliferano attraverso rotture della membrana di Bruch nello spazio sottoretinico tra le cellule dell’epitelio pigmentato retinico. IL PUnto Francesco Antonio Vero Responsabile U.O. Oculistica Clinica “Siligato”, Civitavecchia. Nicoletta Fantozzi Aiuto U.O. Oculistica Clinica “Siligato”, Civitavecchia. 15 16 Il decorso della forma essudativa è talvolta così rapido che già dopo poche settimane può comparire una grave perdita della visione centrale (Bird A.C. et al., 1995; Vingerling J.R. et al., 1995; Attebo K. et al., 1996; Klein R. et al., 2002; Lafaut B.A. et al., 2000). conda dell’occhio con il quale si guardano. Il sintomo tipico della maculopatia è lo sCotoMA CEntRALE: macchia scura centrale. Anche nei casi più gravi, la degenerazione maculare non provoca totale cecità in quanto la visione paracentrale e laterale non è compromessa (Fig. 3). sIntoMAtoLoGIA I primi sintomi si manifestano con una visione centrale ridotta e distorta, una diminuzione della sensibilità al contrasto e della visione dei colori. Il sintomo caratteristico e iniziale della degenerazione maculare è la percezione distorta delle immagini (metamorfopsie) seguita da una riduzione graduale e progressiva della visione centrale. Poiché la visione centrale è compromessa, risulta molto difficoltosa la lettura in quanto le lettere sulle quali viene fissata l’attenzione appaiono confuse e distorte. Può accadere che vengano percepite delle macchie grigie nel campo visivo o che le dimensioni di determinati oggetti appaiano diverse a se- FAttoRI DI RIsCHIo La DMLE è una malattia multifattoriale prevalentemente correlata all’invecchiamento, alla predisposizione genetica, all’esposizione ad ambienti sfavorevoli, alla carenza di antiossidanti nel- la dieta e allo stile di vita. A prescindere da tutti gli altri fattori sembra che sia proprio l’età, cioè l’invecchiamento dell’organismo, a creare il substrato sul quale può successivamente instaurarsi il danno della DMLE. Le accertate alterazioni funzionali e cellulari dell’occhio attribuibili alla senescenza risultano tuttavia frequentemente associate a una serie di fattori di rischio aggiuntivi di natura genetica, ambientale, alimentare: - sesso femminile - Cute e occhi chiari - Carenze nutrizionali (vit. A, C, E, sali minerali) - Ipertensione, disturbi cardiovascolari - Fattori ereditari - Ipermetropia - Fumo - Prolungata esposizione al sole/raggi ultravioletti I fattori di rischio sono diversi e classificabili in fattori di rischio modificabili e non modificabili (Tab. 1). FAttoRI DI RIsCHIo DMLE non MoDIFICAbILI MoDIFICAbILI Età Ipertensione arteriosa sesso Radiazioni ultraviolette Razza/etnia Alimentazione Predisposizione genetica Fumo Ipermetropia prattutto con esame del fondo oculare. L’obiettivo principale è quello di individuare i segni precoci di degenerazione maculare senile. Uno dei segni precoci della DMLE è la presenza di drusen, piccoli depositi giallastri nella retina, tuttavia, la sola presenza di drusen non indica che si ha questa patologia ma significa che l’occhio presenta i primi segni di una forma iniziale, nella maggior parte asintomatica ed è a rischio di svilupparla. test di Amsler (Fig. 4) È un test molto semplice che può essere fatto dal paziente anche a casa. Lo scopo del test è individuare il più precocemente possibile la metamorfopsia cioè la deformazione, ondulazione, distorsione di righe dritte, che è il sintomo più tipico e precoce della degenerazione maculare. Purtroppo questo sintomo non sempre viene notato precocemente perché spesso il paziente non si accorge del disturbo fino a quando non si copre l’occhio sano. L’esecuzione del test di Amsler è molto semplice: - Rigidità sclerale - Iride chiara Tab. 1 DIAGnosI visita oculistica La DMLE viene diagnosticata attraverso una visita medica specialistica completa di esame dell’acuità visiva per lontano e per vicino, ma so- indossare gli occhiali per la visione da vicino, se necessario; coprire con il palmo della mano l’occhio sinistro; tenere con la mano destra il test alla normale distanza di lettura (30-35 cm); fissare con l’occhio destro il punto al centro della griglia; osservare la presenza di righe deformate, distorte, spezzate oppure la presenza di una macchia scura; ripetere la stessa procedura per l’altro occhio. L’esecuzione del test andrebbe consigliata, in linea di massima, a tutte le persone a rischio di sviluppare una degenerazione maculare: persone di età superiore ai 50 anni, miopi elevati, persone che abbiano avuto già un occhio colpito dalla malattia, 17 18 persone alle quali sono stati riscontrati durante una visita oculistica particolari fattori di rischio come la presenza di drusen sulla retina, persone che sono in trattamento per la degenerazione maculare al fine di valutare l’efficacia del trattamento sull’evoluzione della malattia. tuttavia questo test non sostituisce in alcun modo la visita del medico oculista che deve comunque avvenire periodicamente e su indicazione dello stesso. È un esame di rapida esecuzione, affidabile, sensibile ma soprattutto non invasivo e facilmente ripetibile che ci permette di effettuare la diagnosi, anche precoce, di tutte le forme di patologie maculari, rappresentando quindi, un importante passo avanti nel capitolo della medicina preventiva in oftalmologia. Esami diagnostici strumentali Queste indagini permettono lo studio delle patologie delle strutture posteriori dell’occhio, retina e nervo ottico, e sono complementari a un accurato esame del fondo oculare e OCT. Sono indispensabili per la maggior parte dei trattamenti. La fluorangiografia retinica è un indagine che consente di evidenziare il circolo vascolare retinico oculare dopo aver iniettato per via endovenosa un mezzo di contrasto (fluoresceina). Dopo l’iniezione endovenosa vengono eseguite in sequenza fotografie attraverso la pupilla dilatata, utilizzando particolari apparecchiature. La fluorangiografia è particolarmente indicata in tutte le malattie vascolari della retina (ipertensione arteriosa, diabete, occlusioni vascolari, degenerazioni maculari, malattie del nervo ottico, neoformazioni e infiammazioni retiniche) in particolare nella degenerazione maculare nella sua forma essudativa con presenza di membrana neovascolare (CNV maculare). Lo studio di “imaging” della regione maculare avviene sostanzialmente attraverso tre esami principali: la fluorangiografia retinica (FA), l’angiografia con verde d’indocianina (ICGA) e la tomografia ottica a luce coerente (OCT). oCt (optical Coherence tomography) Tecnica diagnostica di recente acquisizione adatta per tutte le patologie retiniche coinvolgenti la regione maculare. L’OCT rappresenta un esame insostituibile in caso di retinopatia diabetica, nelle patologie vascolari trombotiche, nella degenerazione maculare legata all’età (forma atrofica o essudativa), in caso di malattie dell’interfaccia vitreoretinica (membrana epiretinica, foro maculare...), edemi maculari di varie origini e nel follow-up del paziente affetto da maculopatia. Angiografia con fluoresceina e/o al verde di indocianina L’angiografia al verde di indocianina consente di studiare il circolo vascolare della coroide mediante l’iniezione per via endovenosa di una sostanza iodata (indocianina). Anche in questo caso, dopo l’iniezione endovenosa vengono eseguite in sequenza fotografie del fondo oculare attraverso la pupilla dilatata, utilizzando particolari apparecchiature. L’angiografia al verde di indocianina è complementare al precedente esame ed è indicata per uno studio approfondito della coroide e quindi quando sono presenti emorragie e/o vaste essudazioni che rendono difficile l’interpretazione delle immagini fluorangiografiche, in particolare in caso di CNV maculare di tipo occulto. tRAttAMEnto Forma atrofica La terapia di cui disponiamo per la degenerazione maculare atrofica, si avvale di farmaci che hanno lo scopo di ritardare e rallentare la progressione della malattia. Si tratta di farmaci a base di sostanze antiossidanti, che combattono la formazione dei radicali liberi e l’ischemia del tessuto retinico maculare. I principali sono la luteina, molto efficace secondo recentissimi studi internazionali con il dosaggio di 10 mg al giorno, le vitamine A ed E, i sali minerali quali lo zinco il rame e il selenio, e antiossidanti vegetali quali la zeaxantina e l’astaxantina. Forma essudativa Fino al 2000 la terapia laser fotocoagulativa era l’unica terapia per la CNV, tuttavia i deludenti risultati e l’elevato rischio di recidive hanno facilitato l’approccio a un nuovo tipo di trattamento: la Terapia Fotodinamica (PDT) (Treatment of Age-Related Macular Degeneration with Photodynamic Therapy (TAP) Study Group, 1999; Verteporfin in Photodynamic Therapy (VIP) Study Group, 2001). L’introduzione della terapia fotodinamica con verteporfina ha costituito il primo trattamento selettivo per la DMLE essudativa sicuro ed efficace. La PDT consiste nell’iniezione per via endovenosa di verteporfina, un composto fotosensibile, attivato localmente mediante esposizione a una ra- diazione emessa da una sorgente laser a diodi e di lunghezza d’onda corrispondente al suo picco di assorbimento (689 nm). Il principale vantaggio della PDT è la sua capacità di danneggiare in modo selettivo i neovasi anomali della regione maculare (CNV), capacità attribuibile sia alla localizzazione preferenziale della verteporfina nella CNV sia all’irradiazione mirata del bersaglio retinico. La CNV viene irradiata con radiazioni luminose a un livello energetico molto lontano da quello necessario per la distruzione termica mediante argon laser (Treatment of age-related macular degeneration with photodynamic therapy (TAP) Study Group, 1999; Verteporfin in photodynamic therapy (VIP) Study Group, 2001). L’avvento della terapia fotodinamica e le peculiarità di tale trattamento hanno comportato importanti aspetti innovativi in tema di DMLE complicata da CNV. Per diversi anni la terapia fotodinamica con verteporfina (PDT) è stata il trattamento standard per la forma essudativa della DMLE, ma gli studi scientifici hanno riconosciuto un ruolo fondamentale dei fattori di crescita vascolari endoteliali (VEGF) sia nel processo di neoangiogenesi, sia nell’incremento della permeabilità vascolare in molte patologie oculari. La maggior parte degli studi ha individuato il VEGF (Vascular Endothelial Growth Factor) quale principale fattore pro-angiogenico, e il PEDF (Pigment Epithelial Derived Factor) quale principale fattore angiostatico. In occhi umani affetti da DMLE essudativa complicata da neovascolarizzazione coroideale (CNV) esiste un aumento del livello di VEGF e una riduzione di PEDF. In particolare, il VEGF-A è un fattore presente ad alte concentrazioni negli occhi di pazienti con DMLE e responsabile della crescita di neovasi. L’inibizione della componente infiammatoria, edematosa e neovascolare delle maculopatie è stata dapprima sperimentata con l’utilizzo intravitreale degli steroidi e poi con farmaci più specifici come gli inibitori del VEGF. Tra i farmaci più utilizzati ci sono: il Triamcinolone Acetonide (gli effetti benefici dei corticosteroidi vengono però controbilanciati dai loro effetti collaterali, come insorgenza di cataratta o di ipertono, per cui attualmente, nella maggior parte dei casi, vengono preferiti i farmaci anti-VEGF), 19 il Bevacizumab (Avastin), il Pegaptanib (Macugen) e il Ranibizumab (Lucentis). 20 Per entrambe le terapie (PDT e farmaci antiVEGF intravitreali) è necessario innanzitutto giungere a una corretta diagnosi avvalendosi di angiografia con fluoresceina e al verde di indocianina e OCT, tuttavia i due trattamenti non possono essere tra loro paragonabili. Il principale meccanismo d’azione della PDT è costituito dall’obliterazione vascolare coroideale relativa a un processo di trombosi, con stabilizzazione della CNV, trasformazione della stessa in tessuto fibrotico e, dal punto di vista funzionale, riduzione del rischio della perdita visiva (Studio TAP e VIP); l’azione dei farmaci anti-VEGF, al contrario è diretta verso lo stimolo proliferativo e patogenetico della CNV, ed è quella di inibire la crescita dei neovasi, con conseguente riduzione dell’edema intra e sottoretinico e dal punto di vista funzionale di un miglioramento dell’acuità visiva (Studio Anchor e Marina) (Bressler N.M. et al., 2010). La possibilità di una terapia combinata PDT + anti-VEGF ci permette di sfruttare l’effetto sinergico delle dei due trattamenti: - stabilizzazione della lesione con la PDT - riduzione dei VEGF (stimolati dalla PDT) con anti-VEGF. “...PDT has a direct effect on the CNV tissue and may therefore be an optimal candidate to combination with anti-VEGF agents to obtain a permanent inactivation of the neovascular lesion.” . (Schmidt-Erfurth U.M. et al., 2007). ConCLUsIonI Da quanto detto la terapia ottimale per la DMLE essudativa complicata da CNV dovrebbe essere: efficace, in termini di buon risultato anatomico e funzionale; sicura, con un ridotto numero di ritrattamenti e riduzione della percentuale di eventi avversi; ben tollerata, buona compliance del paziente e costi contenuti. L’attenzione scientifica nei confronti di questa patologia retinica di grande impatto sociale e purtroppo non ancora risolta deve rimanere alta al fine di favorire le ricerche in corso e nuove possibilità terapeutiche. In particolare sono necessari ulteriori studi sul meccanismo d’azione dell’angiogenesi patologica e sull’uso di nuovi farmaci: - Anecortave acetato - VEGF-trap - RNA interference - Receptor tyrosine kinase inhibitor (RTPi) - Squalamine - Gene therapy bIbLIoGRAFIA 1. Bird A.C., Bressler N.M., Bressler S.B., Chisholm I.H., Coscas G., Davis M.D., De Jong P.T., Klaver C.C., Klein B.E., Klein R., et al.: An international classification and grading system for age-related maculopathy and age-related macular degeneration. The International ARM Epidemiological Study Group. Surv Ophthalmol. 1995; 39(5): 367-74. 2. Vingerling J.R., Klaver C.C., Hofman A., De Jong P.T.: Epidemiology of age-related maculopathy. Epidemiol Rev. 1995; 17(2): 347-60. 3. Attebo K., Mitchell P., Smith W.: Visual acuity and the causes of visual loss in Australia. The Blue Mountains Eye Study. Ophthalmology 1996;103(3): 357-64. 4. Klein R., Klein B.E., Tomany S.C., Meuer S.M., Huang G.H.: Ten-year incidence and progression of age-related maculopathy: The Beaver Dam eye study. Ophthalmology 2002; 109(10): 1767-79. 5. Lafaut B.A., Bartz-Schmidt K.U., Vanden Broecke C., Aisenbrey S., De Laey J.J., Heimann K.: Clinicopathological correlation in exudative age related macular degeneration: histological differentiation between classic and occult choroidal neovascularisation. Br J Ophthalmol. 2000; 84(3): 23943. 6. Treatment of age-related macular degeneration with photodynamic therapy (tap) Study Group: Photodynamic therapy of subfoveal choroidal neovascularization in age-related macular degeneration with verteporfin. One-year results of 2 randimized clinical trials-TAP report 1. Arch Ophthalmo . 1999; 117: 1329-1345. 7. Verteporfin in photodynamic therapy (vip) Study Group. Verteporfin therapy of subfoveal choroidal neovascularization in age-related macular degheneration: a two years results of a randomized clinical trial including lesions with occult with no classic choroidal neovscularization-Veryteporfin in Photodynamic Therapy Report 2. Am J Ophthalmol 2001; 131: 541-560. 8. Bressler N.M., Chang T.S., Suñer I.J., Fine J.T., Dolan C.M., Ward J., Ianchulev T.; Marina and Anchor Research Groups: Vision-related function after ranibizumab treatment by better- or worse-seeing eye: clinical trial results from MARINA and ANCHOR. Ophthalmology 2010 Apr; 117(4): 747-756 9. Schmidt-Erfurth U.M., Richard G., Augustin A., Aylward W.G., Bandello F., Corcòstegui B., Cunha-Vaz J., Gaudric A., Leys A., Schlingemann R.O.; European Society For Retina Specialists’ Guidelines Committee (Euretina). Guidance for the treatment of neovascular age-related macular degeneration. Acta Ophthalmol Scand. 2007; 85(5): 486-94. Review. Il dott. Francesco Antonio Vero, consulente chirurgico dell’Ospedale San Carlo di Nancy di Roma è il responsabile del Servizio oculistico della BIOS SpA di via D. Chelini 39 - Roma. Per prenotazioni: INFO CUP 06 809641 Molti praticano attività fisica o così detta sportiva (calcetto, calciotto, tennis, jogging, footing, etc.) sul fine settimana e questo non è bene. Infatti sempre più numerose sono le segnalazioni di distorsioni, tendiniti, stiramenti, microfratture. Questo quando non ci sono ulteriori complicazioni: talora i problemi sono cardiocircolatori e c’è rischio di infarto. Considerazioni ovvie: non improvvisarsi maratoneti e, soprattutto dopo l’inverno, farsi guidare da un esperto nella ripresa progressiva di un’attività fisica altrimenti di nessun vantaggio. Necessaria una visita dal medico dello sport. PossIbILI sPERAnzE PER LA REtInItE PIGMEntosA Malattia degenerativa della retina, questa forma patologica dell’occhio conduce nel tempo alla cecità. Studi recenti di scuola italiana hanno messo in evidenza come una molecola (myriocin) sia in grado di rallentare la degenerazione della retina conservandone la struttura. Di particolare interesse la somministrazione con gocce e l’uso di nanoparticelle. Lo studio è stato fatto sui topi. EMICRAnIA DI DIFFICILE GEstIonE L’emicrania rappresenta un problema di grande rilievo clinico. Si calcola una prevalenza attorno al 10% a livello mondiale. Per l’emicrania i farmaci di elezione sono i triptani. Uno studio recente effettuato su popolazione italiana abbastanza ampio dimostra che numerosi malati interrompono il trattamento con triptano e comunque non hanno una gestione continuativa. Ne deriva la necessità di ottimizzare il trattamento attraverso una più stretta collaborazione tra medici di base e specialisti del settore. FLoRA IntEstInALE AMICA I fermenti lattici probiotici costituiscono integratori alimentari in grado di regolarizzare la flora intestinale. Una patologia frequente, talora di diagnosi complessa, è la sindrome dell’intestino irritabile. Tipico della sindrome il “gonfiore” addominale. Secondo alcuni dati l’impiego di un probiotico con otto diversi ceppi di batteri sembra in grado di ridurre questo disagevole sintomo. È probabile che il probiotico limiti la colonizzazione dell’intestino da parte di altri batteri (genere clostridium) che producono gas. Argomento che non ha ancora soluzione definitiva ma con prospettive incoraggianti. EsAntEMI DA ELIMInARE Eliminare morbillo e rosolia. Il 23 marzo 2011, con l’intesa stato-regioni è scattato il nuovo piano nazionale per eliminare morbillo e rosolia congenita. È una iniziativa importante proiettata al 2015 che vede impegnate regioni, province e le relative ASL. MIxInG AttEnzIonE ALLA “DoMEnICA sPoRtIvA” 21 Uno dei punti qualificanti del piano prevede di raggiungere una copertura vaccinale per la prima dose superiore al 95% entro i primi 24 mesi di vita, PRUDEnzA Con I DIMAGRAMEntI sUL wEb Dimagranti a rischio. Arriva l’estate e cominciano gli incubi del sovrappeso. Ciascuno/a vuole dimagrire con velocità e senza sacrifici. Esistono molti prodotti dimagranti o proposti come tali che si riferiscono a generici integratori composti da erbe e definiti, in modo del tutto privo di significato scientifico, naturali. Purtroppo molti di questi prodotti sono in vendita su internet e non sono garantiti per la sicurezza d’uso. È segnalazione della Food and Drug Administration il rischio nell’assunzione di questi prodotti, alcuni dei quali potrebbero contenere una sostanza (sibutramina) che agisce riducendo l’appetito ma è in grado di provocare gravi danni cardiovascolari. 22 DoLoRI ARtICoLARI E DIAGnosI PRECoCE DELL’ARtRItE REUMAtoIDE Early arthritis. Uno degli aspetti importanti della medicina contemporanea consiste nella precocità di diagnosi. Si tratta di un approccio ovviamente estendibile a numerose patologie ma risulta particolarmente evidente se lo applichiamo all’artrite reumatoide. Sospettare “in tempo reale” una diagnosi di artrite reumatoide e inviare allo specialista la persona con il sospetto è cosa veramente lodevole. Oggi è possibile gestire bene questa malattia e sia i parametri di laboratorio sia una corretta va- lutazione clinica riescono a ottenere, con l’impiego dei farmaci adeguati, non solo un controllo del danno ma anche la sua limitazione, talora con ripristino anatomico della lesione. Non si deve dimenticare che l’artrite reumatoide non è soltanto una malattia delle ossa e delle articolazioni, ma è un quadro patologico di sistema che coinvolge vari organi e apparati, tra i quali quello cardio-vascolare e quello respiratorio. I GEnI DELLA sInDRoME DI Down I pazienti affetti da sindrome di Down presentano un cromosoma 21 in triplice copia rispetto alle due copie degli individui sani. È importante conoscere il coinvolgimento dei geni responsabili delle manifestazioni cliniche e, soprattutto, l’assetto delle interazioni geniche. Utilizzare una mappa genetica della sindrome è quindi un approccio importante sia per le conoscenze di base sia per le applicazioni cliniche. Grazie alla bioinformatica è stato possibile, da parte di alcuni ricercatori del CNR italiano, descrivere un profilo dei geni dislocati sul cromosoma 21 e, soprattutto, le loro interazioni con altri geni. Sembra che proprio le interazioni siano alla base delle modificazioni patologiche della sindrome di Down. a cura di Giuseppe Luzi IL DIAbEtE MELLIto: L’EPIDEMIA DEL tERzo MILLEnnIo Epidemia del terzo millennio: è la definizione che ne ha dato l’oMs alla fine del secolo scorso, ma l’evoluzione del trattamento e migliori conoscenze della patogenesi offrono una valida possibilità per contrastare la malattia. giornaliere, senza la quale il paziente va in coma chetoacidosico. Può insorgere a qualunque età, ma nella grande maggioranza dei casi l’esordio, sempre drammatico, è nell’infanzia o nella giovinezza. Il diabete mellito è una malattia metabolica caratterizzata da un eccesso di glucosio nel sangue, nota sin dall’antichità ma che solo nella seconda metà del secolo scorso ha avuto un inquadramento nosologico chiaro. Nel 1997 è stata rivista la classificazione del diabete mellito che vede due forme principali. DIAbEtE tIPo 2 DIAbEtE tIPo 1 Caratterizzato dalla distruzione delle ß-cellule pancreatiche da parte di un processo autoimmune. Questa forma necessita di una immediata terapia con insulina in 3-4 somministrazioni Caratterizzato da esordio nell’età adulta e da insulinoresistenza (e spesso quindi con una produzione di insulina superiore alla media) che viene trattato con farmaci orali (almeno nei primi anni di malattia) anche se, talvolta, con il passare del tempo, si rende necessaria una terapia insulinica associata alla terapia orale o una terapia insulinica esclusiva per “esaurimento funzionale” delle ß cellule pancreatiche che producono insulina. Questo secondo tipo di diabete rappresenta oltre il 90% dei casi totali di diabete ed è in costante IMPARARE DALLA CLInICA Fabio Piergiovanni Diabetologo - Responsabile del Servizio di Diabetologia e Malattie Metaboliche della BioS S.P.A. 23 crescita, al punto che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha lanciato l’allarme chiamando la malattia “l’epidemia del terzo millennio”, al fine di richiamare l’attenzione delle autorità sanitarie. L’OMS prevede infatti un aumento di casi di diabete conclamato nel ventennio 2000-2020 da 110 a 320 milioni di casi e l’IDF (International Diabetes Federation) prevede che nel 2025 su una popolazione totale prevista di 7,9 miliardi di persone nel mondo, 380 milioni saranno diabetici e 418 milioni saranno prediabetici: in definitiva oltre 800 milioni di abitanti avranno problemi di diabete. 24 La causa di questo enorme incremento della malattia è in parte dovuto all’aumento dell’età media della popolazione (oltre i 65 anni in Italia la prevalenza del diabete passa dal 3% al 10 %) ma soprattutto è il modificato stile di vita generale, che vede da un lato un’alimentazione eccessiva, facilitata da una grande offerta di ogni tipo di cibi a costo relativamente basso, e dall’altro un ridotto consumo calorico per l’uso delle autovetture, di macchinari e utensili meccanici o elettronici che riducono l’attività fisica (fino ai telecomandi e agli alzacristalli elettrici). La frequente associazione di sovrappeso-obesità e diabete tipo 2 ha fatto coniare il termine di “diabesità ” per questa condizione sempre più diffusa, che lega intimamente le due situazioni patologiche, caratterizzate in definitiva da uno squilibrio progressivo fra calorie introdotte con l’alimentazione e calorie bruciate. La controprova di questa correlazione è il reperto epidemiologico della pressoché scomparsa del diabete tipo 2 in Italia alla fine della seconda guerra mondiale, dopo anni di severe e generalizzate restrizioni alimentari e la successiva inarrestabile ripresa e ascesa dal dopoguerra ad oggi, con il ritorno del benessere economico e alimentare. L’età di insorgenza del diabete tipo 2 è la quarta-quinta decade di vita, anche se si sta assistendo a un progressivo esordio precoce, soprattutto in giovani pazienti con familiarità diabetica di pri- mo grado (uno o entrambi i genitori diabetici) e in tutti i centri di diabetologia si cominciano a diagnosticare adolescenti obesi e diabetici. La prevenzione della malattia è possibile attraverso una radicale modificazione dello stile di vita, riducendo l’introduzione di calorie e aumentando l’attività fisica, ma purtroppo è facile constatare l’assenza di campagne pubbliche promozionali di salute in questo ambito e viceversa la presenza di un “bombardamento massiccio” di pubblicità e promozioni commerciali volte a incrementare il consumo di cibi di ogni tipo e la costante e progressiva invasione di quello che i nutrizionisti statunitensi chiamano ‘junk food’ - cibo spazzatura - riferendosi agli snack preconfezionati, ricchi di sale e grassi saturi, da consumare magari seduti davanti alla televisione. LA DIAGnosI La diagnosi di diabete si fa in laboratorio misurando la glicemia, ma dal 1997 un comitato di esperti ha modificato i criteri di diagnosi indicando come valore massimo normale della glicemia 100 mg/dl e ha individuato le seguenti classi in rapporto alla glicemia: • glicemia a digiuno compresa fra 100 e 126 mg/dl = ALTERATA GLICEMIA A DIGIUNO; • glicemia a digiuno superiore a 126 mg/dl (due mattine diverse) o glicemia in qualunque momento della giornata superiore a 200 mg/dl o glicemia alla seconda ora di una curva da carico di glucosio superiore a 200 mg/dl= DIABETE MELLITO. Recentemente si è aggiunto un nuovo criterio di diagnosi utilizzando la EMOGLOBINA GLICATA HbA1c con un valore soglia di 6,5%. La diagnosi di diabete mellito tipo 2 impone l’inizio della terapia che prevede due iniziali pilastri terapeutici: la dieta e l’attività fisica. La dieta, che va prescritta da uno specialista, deve essere opportunamente correlata alle necessità nutrizionali del singolo paziente valutando il suo indice di massa corporea e il suo consumo metabolico presumibile. La composizione percentuale prevede una quota di 50-55% di glucidi, 20-25% di protidi (1 grammo di proteine/die per chilo di peso corporeo ideale), 30% grassi (con prevalenza di mono-polinsaturi). L’attività fisica deve essere rigorosamente quotidiana, il paziente deve essere edotto che si tratta di una vera e propria terapia ipoglicemizzante al pari dei farmaci: infatti bisogna spiegare al paziente che il ‘carburante’ principale dei muscoli è il glucosio e che quindi fare regolare attività fisica significa realmente ridurre il tasso di zucchero circolante nel sangue. Non è necessario che il paziente diventi un atleta, si iscriva in palestra o in piscina: è sufficiente camminare di buon passo 45-60 minuti al giorno, tutti i giorni per avere consistente e documentabile beneficio sulla glicemia. Impostata la dieta e l’attività fisica il paziente deve essere poi addestrato a effettuare l’AUTOCONTROLLO GLICEMICO mediante l’utilizzo di un GLICOMETRO CAPILLARE. Ciò al fine di verificare, attraverso profili glicemici settimanali personalizzati, che le glicemie opportunamente registrate raggiungano il target terapeutico desiderato. Qualora i valori glicemici superino i limiti terapeutici previsti è necessario iniziare una terapia farmacologica. I farmaci attualmente disponibili sono molti e divisi in 8 classi (biguanidi, inibitori delle alfa glicosidasi, sulfoniluree, glinidi, tiazolidinedioni, inibitori del DPP4, analoghi delle incretine, insuline). Hanno caratteristiche diverse tali da consentire un ampio ventaglio di scelte. Il farmaco di prima scelta, secondo le linee guida dell’AMD - Associazione Medici Diabetologi-, è la METFORMINA (da 500 a 3000 mg pro die). Il suo meccanismo di azione consiste nella riduzione della neoglucogenesi e nella riduzione della insulinoresistenza. Qualora questa terapia si rivelasse non sufficiente si ricorre ad una politerapia che prevede l’associazione di più farmaci nella giornata secondo molteplici e individualizzabili profili terapeutici. Si possono associare i farmaci che seguono. L’ ACARbosIo (inibitore delle alfa-glicosidasi) inibisce gli enzimi coinvolti nell’assorbimento intestinale degli zuccheri per cui i carboidrati della dieta sono scarsamente assorbiti e pertanto la glicemia dopo il pasto è più bassa. Le sULFonILUREE e la REPAGLInIDE, pur appartenendo a due diverse classi farmacologiche, hanno lo stesso meccanismo d’azione che consiste in uno stimolo betacitotropo che fa aumentare la produzione pancreatica di insulina e quindi determina una riduzione della glicemia. Questo gruppo di farmaci annovera molte molecole diverse che pur con lo stesso meccanismo farmacologico modulano differentemente la loro attività: alcune hanno una azione molto rapida e potente, altre più blanda e prolungata nel tempo. I tIAzoLIDInEDIonI (in Italia il solo PIoGLItAzonE è in commercio) agiscono su enzimi nucleari degli adipociti abbassando pertanto il livello di acidi grassi circolanti e favorendo il consumo di glucosio da parte dei muscoli. Una nuova classe di farmaci denominati complessivamente InCREtInE è da poco disponibile in Italia. Il grande interesse scientifico suscitato da questi farmaci nasce dal fatto che per la prima volta è possibile modificare la storia naturale del diabete mellito tipo 2, nel senso che possono attivamente contrastare il progressivo esaurimento della ß cellula pancreatica che era apparso fino ad oggi inevitabile con il passare degli anni di malattia. Già da anni in fisiologia si conoscevano ormoni intestinali prodotti in risposta al pasto (in particolare GLP-1 Glucagon Like Peptide 1 e GIP Glucose-dependent Insulinotropic Polypeptide) in grado di svolgere numerose azioni favorevoli per il metabolismo dei glucidi e per la loro azione in termini di svuotamento gastrico e sazietà. Questi due entero-ormoni denominati INCRETINE ma in particolare il GLP-1 (prodotto dalle cellule L dell’ileo e del colon) agiscono sul- 25 26 le ß cellule pancreatiche promuovendo la sintesi e secrezione di insulina, agiscono sia a livello del sistema nervoso centrale sia sui tempi di svuotamento gastrico inducendo sazietà. Inoltre questa azione è glucosio-dipendente, nel senso che è proporzionale all’assunzione di zuccheri con il pasto e quindi non può determinare ipoglicemia. Questa azione ormonale ben nota in fisiologia con il nome di ‘effetto incretinico’ spiega perché una stessa quantità di glucosio determina una risposta insulinica assai maggiore se somministrato per bocca rispetto ad una somministrazione per endovena (e questo spiega anche perché la CURVA DA CARICO DI GLUCOSIO non può essere fatta per endovena, ma solo per os). Tuttavia l’azione di queste incretine endogene si limita a pochi minuti, poiché esse vengono disattivate dall’ enzima DPP4 (Dimetil Dipeptidasi 4) dopo circa 2 minuti dalla loro immissione in circolo. Lo studio farmacologico per sfruttare queste favorevoli azioni fisiologiche nel diabete mellito tipo 2 ha percorso due diverse strade. La prima è stata quella di sintetizzare analoghi del GLP1, cioè molecole simili all’ormone naturale ma con una variazione molecolare tale da non poter essere inattivate dal DPP4. La seconda strada sperimentale intrapresa è stata quella di sintetizzare sostanze capaci di inibire gli inibitori (appunto il DPP4) al fine di prolungare la benefica azione fisiologica delle incretine naturali. Gli ANALOGHI DEL GLP-1 attualmente in commercio sono due: ExEnAtIDE e LIRAGLUtIDE, entrambi vanno somministrati per iniezione sottocutanea - due volte al giorno il primo e una sola volta il secondo -, hanno caratteristiche simili fra le quali spiccano il fatto di non determinare ipoglicemie, la possibilità di utilizzare le stesse semplici “penne” per l’iniezione di insulina ma con dosaggio fisso, nonchè la possibilità di associazione con tutte le terapie orali già in commercio. In studi sperimentali controllati que- sti analoghi delle incretine naturali hanno dimostrato di migliorare il profilo glicemico e la emoglobina glicata HbA1c dei pazienti trattati e anche di indurre un calo ponderale di alcuni chilogrammi. Gli INIBITORI dell’enzima DPP4 consentono di poter sfruttare per varie ore l’effetto naturale del GLP-1 endogeno che agisce mediando il rilascio glucosio-dipendente della secrezione insulinica e riducendo la secrezione di glucagone. I farmaci attualmente in commercio sono sItAGLIPtIn,vIDAGLIPtIn e sAxAGLIPtIn che associati ad altri farmaci antidiabetici migliorano notevolmente il profilo glicemico quotidiano La terapia con INSULINA iniziata nel 1930 con insulina estratta e purificata da pancreas di suini, ha visto un progressivo miglioramento con l’introduzione delle insuline umane di sintesi nel 1980 e un ulteriore progresso con l’utilizzo dal 2000 di ANALOGHI dell’insulina con caratteristiche farmacocinetiche diverse fra loro. La possibilità di miscelare variamente tutte le insuline attualmente a disposizione consente di riprodurre un andamento quasi fisiologico delle glicemie nelle 24 ore (sempre nel rispetto di una dieta corretta). Inoltre l’utilizzo di “penne” per l’iniezione in luogo delle siringhe, ha notevolmente facilitato la vita quotidiana dei pazienti rendendo la iniezione sottocutanea realmente indolore. Viceversa tutti i tentativi di somministrare l’insulina per via inalatoria o transdermica non hanno avuto a tutt’oggi successo. CoMPLICAnzE CRonICHE DEL DIAbEtE MELLIto Se non ben curato il diabete mellito può causare complicanze, anche gravi, danneggiando sia i grandi vasi (“complicanze macrovascolari”) sia i piccoli vasi (“complicanze microvascolari”). Le complicanze MICROVASCOLARI sono tipiche del diabete mellito e si manifestano pre- valentemente in tre distretti: la retina, i glomeruli renali e la guaina dei nervi. La RETINOPATIA inizia con l’ispessimento della membrana basale dei vasi retinici e conseguente perdita della elasticità della parete vasale con aumento della permeabilità vasale. Si identificano vari stadi per la retinopatia che vanno da una iniziale presenza di microaneurismi ed essudati, ben visibili all’esame oftalmoscopico diretto del fondo oculare, alla presenza di emorragie “a fiamma”, successivamente emorragie diffuse che porteranno - se non trattate - alla pericolosa formazione di fragili neovasi che caratterizzano lo stadio di RETINOPATIA PROLIFERANTE che rappresenta un grave pericolo per la vista del paziente. Poiché i primi stadi della retinopatia sono efficacemente trattabili da parte dell’oculista mediante laserterapia, è assolutamente necessario che i pazienti diabetici si sottopongano a visita oculistica almeno una volta l’anno. La NEFROPATIA DIABETICA pur essendo una delle complicanze tardive della malattia (in genere l’esordio è dopo 10-15 anni di malattia) è tuttavia la prima causa di ricorso alla emodialisi in Italia. Il meccanismo patogenetico vede come primum movens un’aumentata filtrazione glomerulare e un’aumentata pressione di filtrazione glomerulare che danneggiano i capillari del glomerulo con un processo finale di progressiva glomerulosclerosi. Lo sviluppo della complicanza è assolutamente asintomatico e pertanto assai insidioso perché il paziente non avverte nessun disturbo mentre la patologia evolve. Anche in questo caso tuttavia un buon controllo delle glicemie e l’esecuzione del test della MICROALBUMINURIA consentono di evitare la progressione della patologia. In particolare l’esecuzione semestrale della MICROALBUMINURIA permette di cogliere l’eventuale patologia renale già dallo stadio di ultrafiltrazione del rene con la possibilità di intervenire efficacemente con terapia farmacologica atta a bloccare il processo patogenetico. La NEUROPATIA DIABETICA è particolarmente variegata potendo colpire sia il sistema nervoso autonomo sia quello somatico con quadri clinici conseguenti molti diversi. Anche il meccanismo patogenetico è duplice. Nelle forme di MONONEUROPATIE isolate, dolorose o plegiche acute (frequente è ad esempio l’improvvisa diplopia - sdoppiamento dell’immagine - per paresi del III° o VI° nervo cranico) il meccanismo in causa è quello dell’ischemia acuta dei vasa nervorum del nervo interessato. La prognosi è solitamente benigna e il deficit o il dolore regrediscono nel giro di settimane o mesi. La NEUROPATIA SOMATICA è prevalentemente sensitiva e simmetrica e di regola colpisce gli arti inferiori con perdita della sensibilità dolorosa e termica (ad esempio alle piante dei piedi) con pericolo di possibili lesioni inavvertite da trauma (scarpe inidonee) o da calore (tipica la lesione inavvertita da sabbia bollente al mare). Queste lesioni iniziali di continuità della cute possono portare alle temibili ULCERE TORPIDE DIABETICHE così denominate per la scarsa tendenza alla cicatrizzazione. La patogenesi della neuropatia somatica è prevalentemente metabolica per l’accumulo di sorbitolo e fruttosio nelle guaine nervose prodotti in eccesso secondariamente all’iperglicemia cronica. Poiché il trattamento farmacologico di queste forme è particolarmente arduo la raccomandazione per i pazienti è di tipo preventivo: evitare l’iperglicemia cronica mediante un attento controllo glicemico. Le complicanze MACROVASCOLARI consistono essenzialmente in un’accelerazione della malattia aterosclerotica con una maggiore incidenza per i pazienti diabetici di stenosi delle arterie carotidi con conseguenti danni ischemici o trombotici dell’encefalo, di patologia ischemica coronarica, di patologie dell’aorta e delle arterie degli arti inferiori. IL PIEDE DIABETICO rappresenta un capitolo a parte delle complicanze del diabete essendo il risultato di più fattori neurologici, vascola- 27 ri, osteologici e infettivi che interagendo negativamente in varia combinazione possono portare ad un quadro talvolta molto grave da richiedere la ospedalizzazione e rimedi drastici (e drammatici). ConCLUsIonI È stato più volte detto nei convegni di Diabetologia, con un voluto solecismo, che “ il diabete è le sue complicanze”, nel senso che la pericolosità della malattia è rappresentata non dall’alterazione del metabolismo dei glicidi in sé, ma dalle complicanze che l’iperglicemia può provocare causando danni in tutto il distretto cardio-vascolare. Tuttavia numerosi studi fra cui gli auto- revolissimi americano DCCT (Diabetes Control and Complications Trial) e l’inglese UKPDS (United Kingdom Prospective Diabetes Study) hanno dimostrato che un corretto trattamento della malattia e in particolare il mantenimento di una buona emoglobina glicata Hba1c nel tempo, possono rallentare e addirittura arrestare la progressione delle complicanze croniche. Pertanto utilizzando correttamente tutte le numerose possibilità terapeutiche oggi messe in campo dalla farmacologia e sollecitando costantemente l’attiva collaborazione dei pazienti al fine di un salutare cambiamento dello stile di vita è possibile sconfiggere ‘l’epidemia del terzo millennio’. 28 Il dott. Fabio Piergiovanni è il responsabile del Servizio di Diabetologia della BIOS S.p.A. di Via D. Chelini 39 Roma Per prenotazioni: Info CUP 06 809641 Salty-Snack Eating, Television or Video-Game Viewing, and Asthma Symptoms among 10- to 12-Year-Old Children: The PANACEA Study Arvaniti F, et al. J Am Diet Assoc. 2011; 111:251-257 Il problema di una sana alimentazione in età pediatrica è stato analizzato da numerosi punti di vista. Si tratta di “prevenire” l’obesità e di garantire a un organismo in formazione una migliore qualità di vita. Quando si parla di qualità della vita le cose si complicano e si entra nel tema, ancora più complesso, dello stile di vita. Nello studio PANACEA gli autori hanno preso in esame il tipo di alimentazione con il tempo trascorso davanti alla televisione o con videogames. Le conclusioni sono state che alimentazione errata e troppa televisione/videoga- mes sono fattori di rischio per lo sviluppo di asma nei bambini. Di interesse, nell’indagine condotta su 323 bambini in età fra i 10 e 12 anni, l’associazione tra consumo di snack salati e il periodo di tempo trascorso guardando la televisione o giocando con videogames. In pratica il rischio di soffrire di asma sembra aumentato di circa cinque volte quando il bambino consuma snack oltre tre volte a settimana. Seguire i dettami di una alimentazione mediterranea sembra offrire una vera protezione in tal senso. Le implicazioni sono ovvie e riguardano innanzi tutto l’educazione dei genitori e la consapevolezza del rischio alimentare nascosto nelle abitudini quotidiane. Nello stesso tempo è necessario che senza sosta le autorità variamente preposte negli eventi educazionali si impegnino per diffondere i principi di una sana ed equilibrata alimentazione. FRoM bEnCH to bEDsIDE I bEnEFICI CLInICI DELLA RICERCA: sELEzIonE DALLA LEttERAtURA sCIEntIFICA 29 30 Detection of Streptococcus pneumoniae and Identification of Pneumococcal Serotypes by Real-Time Polymerase Chain Reaction Using Blood Samples from Italian Children ≤5 Years of Age with Community-Acquired Pneumonia. Marchese A. et al. Microb Drug Resist. 2011 Apr 21 Intravenous immunoglobulin induces proliferation and immunoglobulin synthesis from B cells of patients with common variable immunodeficiency: mechanism underlying the beficial effect of IVIg in primary immunodeficiencies. Bayry J. et al. Journal of Autoimmunity 2011; 36: 9 - 15 Autori italiani hanno sviluppato un test basato sulla reazione PCR (Polymerase Chain Reaction) real-time che può essere eseguita direttamente sul sangue per poter identificare i sierotipi capsulari che causano la polmonite in età pediatrica, al di sotto dei cinque anni di età, dopo l’adozione del vaccino coniugato eptavalente. Secondo la segnalazione degli autori il test mostra una notevole sensibilità. In particolare la PCRreal time ha consentito di individuare lo specifico sierotipo in 37 bambini su 46 analizzati, bambini nei quali era stata diagnosticata una polmonite. L’importanza dello studio mette in evidenza la necessità di utilizzare metodi di biologia molecolare nella diagnosi di polmonite da pneumococco anche per il controllo della distribuzione dei diversi sierotipi. L’Immunodeficienza Comune variabile (ICV) è una malattia complessa, classificata nell’ambito delle immunodeficienze congenite. Studiata sotto il profilo genetico, immunologico e clinico ha messo in luce l’esistenza di fattori genetici e di familiarità con espressione clinica anche tardiva, oltre i 40 anni di età. È una patologia che riguarda maschi e femmine e si caratterizza per una bassa produzione di anticorpi che rendono il malato suscettibile a varie infezioni. Oltre al maggior rischio di contrarre infezioni, in corso di ICV si assiste a un incremento delle malattie autoimmuni e di neoplasie (prevalentemente linfomi e adenocarcinomi del tratto digerente). Una terapia sostitutiva con immunoglobuline per via endovenosa (IVIgG) e, in alcuni casi, per via sottocutanea consente, a soggetti con ICV, una vita discreta e con pochi disagi, soprattutto se la diagnosi non è tardiva. Le IVIgG somministrate in corso di ICV sono molecole che sostituiscono quelle che il paziente non è in grado di produrre e quindi il “rifornimento” va effettuato periodicamente, ogni quattro settimane circa, per compensare il naturale consumo. Nello studio pubblicato sul Journal of Autoimmunity gli autori hanno però evidenziato un fenomeno molto importante, sul quale sarà necessario effettuare ulteriori accertamenti di laboratorio. Hanno sostanzialmente dimostrato che le IVIgG somministrate possiedono anche un ruolo di stimolo su alcune cellule (linfociti B) consentendo, almeno in alcuni casi, una produzione ex novo di anticorpi. In generale i linfociti B (che in condizioni normali producono anticorpi trasformandosi in plasmacellule) rispondono agli stimoli causati da un’infezione con l’aiuto dei linfociti T. Solo in determinate condizioni possono fare a meno delle cellule T. Se i dati verranno confermati ci troviamo di fronte a un’importante osservazione a favore del ruolo immunomodulante delle IVIgG. Concludono, letteralmente, gli autori: “IVIg ‘replacement therapy in primary immunodeficiencies is therefore not a merepassive transfer of antibodies to prevent exclusively the recurrent infections; rather it has an active role in regulating autoimmune and inflammatory responses through modulating B cell functions and thus imposing dynamic equilibrium of the immune system“. Reported behavior of eating anything at anytime and risk of colorectal cancer in women. Int J Cancer. 2011 Apr 25. doi: 10.1002/ijc.26150 Bao Y. et al. Mangiare male fa venire il cancro? Uno studio interessante mette in luce come l’alimentazione priva di regole aumenti il rischio di cancro del colon nelle donne. L’indagine riportata nel lavoro fa riferimento ad uno studio prospettico condotto su 1940 donne dai 48 ai 73 anni. Il parametro di selezione riguardava l’abitudine alimentare secondo il criterio di mangiare a qualsiasi ora, qualunque tipo di alimento con quantità libera [“I eat anything I want, anytime I want”]. Il follow-up, durato ben 12 anni ha messo in evidenza che il gruppo con comportamento “sregolato” nell’alimentazione registrava 552 nuovi casi di cancro del colon. Ovviamente gli autori hanno elaborato una statistica in grado di depurare la valutazione da altri fattori di rischio. Resta pertanto questa segnalazione: mangiare male rappresenta un aumento di rischio relativo per il cancro del colon. L’indagine riporta inoltre alterazioni del livello insulinemico e del peptide C come biomarcatori di un’alterata risposta metabolica al comportamento alimentare. Awareness under general anesthesia IBischoff P and Rundshagen I Dtsch Arztebl Int 2011; 108(1–2): 1–7. 31 Non accade spesso, per fortuna, ma non è esperienza augurabile. Si tratta del presentarsi di una forma di “consapevolezza” (awareness) sotto anestesia generale. Il fenomeno, variamente caratterizzato, viene ricordato dai pazienti come esperienza angosciosa associata a un trauma psicologico complesso. Chi ne è coinvolto ricorda un’ esperienza tattile o auditiva con sensazione di impotenza, incapacità di movimento, panico e marcata paura di morte. Lo stato di “coscienza” sotto anestesia per alcuni non lascia sequele mentre per altre persone si associa a un quadro di stress post-traumatico, con insonnia, incubi, irritabilità, depressione e potenziale rischio di suicidio. Quando ci si avvicina ad un intervento chirurgico ciascuno di noi ha giustificato timore, indipendentemente dalla professionalità del chirurgo e dell’anestesista, e ben si comprende come l’atto operatorio implichi una serie di eventi complessi e a rischio, non solo per la tecnica chirurgico-anestesiologica ma anche per le implicazioni mentali e psicologiche. 32 I progressi dell’anestesiologia e della farmacologia correlati a questo atto medico hanno consentito interventi di lunga durata e un’ottima ripresa nel periodo post-operatorio, tuttavia la possibilità di un “risveglio consapevole” durante l’anestesia generale è un fenomeno ben conosciuto nella letteratura scientifica e sono segnalati diversi casi. Gli autori espongono nell’articolo una revisione interessante del problema; segnalano che l’evento si verifica in 1-2 casi per 1000 anestesie, e attraverso l’analisi comparativa mettono in luce alcuni punti di notevole interesse pratico. Calcolando il verificarsi dell’evento attorno allo 0,1-0,2% rispetto agli atti operatori (in soggetti privi di rischio noto) si tratta di una circostanza del tutto occasionale (occasionally occurring critical event). Tuttavia in età pediatrica il fenomeno è anche 10 volte più alto. La causa sembra correlare con un’inadeguata profondità dell’anestesia e incompleto stato di incoscienza. Nella review viene messo in luce come lo stato di coscienza possa associarsi a fattori propri del paziente, ad aspetti prettamente chirurgici, o al tipo di anestesia. Nella sintesi conclusiva viene messa in evidenza la necessità di preparare adeguatamente lo staff medico e, in particolare, di avere presente tre elementi critici: usare benzodiazepine nel preoperatorio, evitare nei limiti del possibile miorilassanti e proteggere il paziente da eccessivo rumore ambientale. Qualora, anche in presenza di tutti gli accorgimenti messi in atto, il fenomeno dovesse verificarsi, è necessario essere pronti per un intervento professionale di supporto immediato, interdisciplinare, soprattutto per ridurre o eliminare le sequele nel corso del tempo. È necessario considerare quanto riportato proprio nelle conclusioni dell’articolo: “With early expert treatment, the prognosis for awareness-associated disorders is good; persistent symptoms, by contrast, will tend to become chronic”. Di particolare interesse, fra i temi trattati, la necessità di un uso appropriato del linguaggio nella sala operatoria e l’evitare rumori o alterazioni acustiche che potrebbero avere un ruolo non secondario nella genesi del fenomeno “awareness”. a cura di Giuseppe Luzi HAnno CoLLAboRAto In QUEsto nUMERo Dott. Francesco Leone Medico chirurgo Specialista in Malattie Infettive Direttore Sanitario della BIOS S.p.A. Dott. Francesco Antonio Vero Responsabile U.O. Oculistica Clinica “Siligato”, Civitavecchia. Consulente Chirurgico Ospedale S. Carlo di Nancy, Roma. Dott.ssa Nicoletta Fantozzi Aiuto U.O. Oculistica Clinica “Siligato”, Civitavecchia Consulente Centro Maculopatie Policlinico Umberto I, Roma. Dott Fabio Piergiovanni Medico Responsabile del Servizio di Diabetologia Unità Operativa Semplice Dipartimentale U.O.S.D. Azienda Ospedaliera S. Giovanni Addolorata di Roma. Dott. Francesco Saverio Mari Specialista in Chirurgia Generale Prof. Giuseppe Luzi Specialista in Immunologia Clinica e Allergologia Professore associato di Medicina Interna (f. r.) Docente “Sapienza” Università di Roma. Facoltà di Medicina e Psicologia. Prof. Antonio Brescia Professore associato di Chirurgia Generale, Facoltà di Medicina e Psicologia, “Sapienza” Università di Roma . Specialista in Chirurgia Generale, Chirurgia dell’Apparato Digerente ed Endoscopia Digestiva, Chirurgia Laparoscopica e Coloproctologia. Direttore U.O. Oneday-Day Surgery. Azienda Ospedaliera Sant’Andrea. Dott. Sergio Lupo Medico chirurgo Specialista in Medicina dello Sport. TERAPIA ANTALGICA PER NON SOFFRIRE INUTILMENTE ! UN PUNTO DI FORZA PER LA VOSTRA SALUTE ❚❚ IL DOLORE CRONICO Il dolore è uno dei principali problemi sanitari. In particolare il dolore cronico, un dolore che si protrae oltre il normale decorso di una malattia acuta al di là del tempo di guarigione previsto e che può perdurare indefinitamente. Rimane uno dei problemi medici meno conosciuti e meno affrontati dei nostri giorni. Le statistiche dimostrano il terribile impatto negativo del dolore cronico, compresi i relativi costi economici per la società e la grave riduzione della vita dei milioni di persone che ne soffrono. Depressione, ansia, isolamento, disturbi del sonno, problemi economici, frequenti ospedalizzazioni, sono situazioni di maggiore riscontro nei pazienti affetti da sindromi dolorose croniche. Il dolore cronico altera in maniera significativa la qualità della vita di chi ne soffre. In europa interessa il 19% della popolazione. L'Italia, dove l'incidenza è del 26%, si colloca al terzo posto dopo Norvegia e Polonia. Il terapista del dolore È lo specialista che si occupa della diagnosi e della terapia del dolore. L'algologo possiede la cultura per definire la causa del dolore, nonché le capacità e gli strumenti per controllarlo. Suo compito è quello di riconoscere la patogenesi del dolore, suggerendo di volta in volta la strategia terapeutica più adeguata, non solo di natura farmacologica. >> NON È SOLO UN SINTOMO MA UNA MALATTIA È BENE RICORDARE CHE: Non si interessa solo di patologie neoplastiche. Anche se in questi pazienti è fondamentale. Tratta anche tutte le patologie dolorose non neoplastiche ma molto comuni come: ➔ ➔ ➔ ➔ ➔ ➔ ➔ ➔ ➔ ➔ ➔ ➔ ➔ Lombalgie (mal di schiena) Artrosi (colonna vertebrale, ginocchio, anche, etc…) Cefalee Lombosciatalgie Neuropatie Arteriopatie Fibromialgia Algodistrofie (CRPS tipo 1 e 2) Crolli vertebrali Protusioni discali Ernie discali Stenosi della colonna vertebrale Instabilità vertebrale INFO CUP BIOS (Centro Unificato di Prenotazione) TELEFONO 06 809641