Caratterizzazione reologica di blend LDPE/LLDPE e loro

Transcript

Caratterizzazione reologica di blend LDPE/LLDPE e loro
Caratterizzazione reologica di blend LDPE/LLDPE e loro comportamento nel
processo di filmatura in bolla
Dino Ferri1, Francesco Scavello1, Bruno de Cindio2
1
2
Centro Ricerche “Claudio Buonerba”, Polimeri Europa, Via Taliercio 14, 46100 Mantova, Italy
Dipartimento di Modellistica per l’Ingegneria, Università della Calabria, via P. Bucci, CUBO 39
C, 87036, Rende, CS, Italy
Introduzione
Nel corso degli ultimi decenni, il processo di filmatura in bolla (film blowing) si è affermato come
uno dei più importanti processi di trasformazione delle materie plastiche. Tuttavia, risulta attuale
un’analisi approfondita dell’influenza sul processo delle caratteristiche dei materiali utilizzati. Tra i
trasformatori di materie plastiche, ad esempio, è uso comune utilizzare blend di vari tipi di
polietilene per migliorare le prestazioni dei materiali nel processo di filmatura ma non è
completamente chiaro quali siano i meccanismi che determinano miglioramenti significativi della
lavorabilità. La comprensione dell’influenza della struttura dei materiali sui parametri reologici e di
questi sul processo di film blowing permetterebbe di progettare in maniera più razionale i nuovi
materiali. Stabilire una correlazione tra reologia dei materiali e comportamento in filmatura degli
stessi permetterebbe anche l’affinamento di un metodo di pre-selezione che eviterebbe il consumo
di ingenti quantità di materiale e renderebbe più rapido ed efficiente il processo di sviluppo di nuovi
prodotti.
1 - Materiali e strumenti
I materiali caratterizzati nel presente lavoro sono un polietilene a bassa densità (LDPE), un
polietilene lineare a bassa densità (LLDPE) e sei loro blend aventi diversi rapporti tra percentuale
di polimero ramificato e percentuale di polimero lineare. I materiali “base” sono gradi commerciali
di produzione Polimeri Europa. I blend sono stati realizzati via estrusione a portata e temperatura
costanti. Anche i polimeri “base” hanno subito un processo di estrusione per uniformarne la storia
termomeccanica a quella dei blend. In Tab. 1 vengono riportati il nome, il melt flow index (MFI) e
la shear sensitivity dei campioni caratterizzati. Il nome assegnato ad ogni materiale è indicativo
della composizione del blend (il primo numero si riferisce sempre alla percentuale di LDPE). Le
prove di MFI sono state effettuate a 210°C applicando due diversi valori di massa (2.16 Kg e 21.6
Kg). Se si osservano i dati di MFI ottenuti nella prima prova, si nota l’esistenza di un minimo
1
pronunciato al variare della percentuale di LDPE, in accordo con quanto riscontrato in letteratura
per alcuni blend LDPE/LLDPE [1].
NOME
MFI [g/10’]
MFI [g/10’]
CAMPIONE
210°C - 2.16 Kg
210°C - 21.6 Kg
LLDPE
1.20
37.4
20/80
0.96
35.7
50/50
0.89
41.0
60/40
0.79
38.9
70/30
0.81
42.5
80/20
0.83
49.5
90/10
0.86
52.5
LDPE
1.13
72.3
Tabella 1: Nome e MFI dei campioni preparati. Nella sigla, il primo numero si riferisce alla
percentuale di LDPE.
2 - Risultati e discussione
In Fig. 1 sono riportati i termogrammi DSC dei blend. Si nota che LDPE e LLDPE si organizzano
in strutture cristalline morfologicamente molto differenti.
118°C
EXO
LLDPE
blend 20/80
blend 50/50
blend 60/40
ENDO
blend 70/30
blend 80/20
blend 90/10
LDPE
110°C
70
80
90
100 110 120 130 140 150
T (°C)
Figura 1: Tracciato DSC per LDPE, LLDPE e loro blend. I dati sono stati traslati lungo l’asse delle ordinate
per renderne più chiara la lettura.
Inoltre LLDPE presenta due picchi distinti suggerendo l’esistenza di due diverse strutture
cristalline. Tale ipotesi trova conforto nel fatto che, in questo LLDPE, l’innesto di comonomero
lungo la catena principale non è uniforme. Ciò influenza la possibilità di cristallizzazione e la
morfologia dei domini cristallini che si formano. Inoltre si osserva che le curve calorimetriche di
tutti i materiali mostrano ben distinti i picchi relativi alla struttura cristallina di entrambi i polimeri
“base”. Ciò implica che LLDPE e LDPE si organizzano nei blend in strutture cristalline separate
che risultano immiscibili allo stato solido.
2
Oltre all’analisi DSC, sui blend è stata condotta una caratterizzazione reologica i cui risultati hanno
evidenziato peculiarità importanti: alcune proprietà tra quelle analizzate, infatti, hanno mostrato un
significativo scostamento da quelle dei polimeri “base” di cui i blend sono composti. La regola di
additività pesata delle proprietà fallisce, ad esempio, nel caso in cui si vada ad analizzare, in
funzione del contenuto di LDPE, l’andamento del plateau newtoniano della viscosità η0 (Fig. 2), dei
moduli G’ e G’’ misurati a basse frequenze di sollecitazione (qui non riportati), della viscosità
elongazionale ηE misurata ad alte deformazioni (qui non riportata) e del valore di melt strength (Fig.
3). Tale comportamento, tipico di sistemi multifasici [1, 2, 3], induce a pensare che LDPE e
LLDPE siano immiscibili, oltre che allo stato solido, anche allo stato fuso.
4
2,4x10
4
blend LDPE/LLDPE
viscosità newtoniana (Pa·s)
2,2x10
4
2,0x10
4
1,8x10
4
1,6x10
4
1,4x10
4
η=Σφiηi
1,2x10
4
1,0x10
3
8,0x10
3
6,0x10
0
10
20
30
40
50
60
70
80
90 100
LDPE (%)
Figura 2: Andamento di η0 in funzione della percentuale di LDPE nel blend. La curva tratteggiata è
l’andamento di η0 in caso di miscibilità tra i polimeri “base”.
5,5
melt strength (cN)
5,0
4,5
4,0
3,5
3,0
2,5
2,0
T=210°C
1,5
1,0
10
20
30
40
50
60 70
% LDPE
80
90 100 110
Figura 3: Andamento della melt strength al variare della percentuale di LDPE presente nel blend (T=210°C).
3
L’analisi del comportamento in filmatura dei materiali è stata condotta tramite prove in cui si è
fissata la portata di estrusione ad un valore di 0.940 Kg/h. Si è fissato, inoltre, il Blow Up Ratio
(BUR), ossia il rapporto tra il raggio iniziale e finale della bolla, ad un valore di 3.2 e, mantenendo
costante l’aria di raffreddamento, si è fatta variare la velocità di traino in modo da far variare il
Take Up Ratio (TUR), ossia il rapporto tra la velocità di traino e quella media di uscita del fuso
dalla filiera. A partire da queste prove si è arrivati a costruire una tabella (Tab. 2) in cui si è
riportato il comportamento dei materiali impiegati al variare del TUR.
TUR
%LDPE
0
20
50
60
70
80
90
100
20,3
I1
I1
I0
R
R
R
-
-
15,8
I1
I1
I0
I0
I0
S
R
R
11,3
I2
I0
I0
I0
S
S
S
S
6,8
I1
I0
S
S
S
S
S
S
2,3
I1
S
S
S
S
S
S
S
Tabella 2: Diagramma di stabilità della bolla: S=bolla stabile, I0= incipiente instabilità, I1 e
I2=instabilità completamente sviluppata, R= rottura della bolla.
I vari materiali hanno presentato in alcuni casi un comportamento di bolla stabile (indicato con S),
in altri casi una situazione di incipiente instabilità (indicata con I0) o di instabilità “piena” (indicata
con I1 o con I2 in funzione del tipo di instabilità). In alcuni casi non si è riusciti a portare a termine
la prova a causa della rottura della bolla (tale condizione di processo è stata indicata con R).
Osservando la tabella si nota che l’ampiezza della “finestra di stabilità” presenta un massimo simile,
anche se non identico, a quello delle prove di melt strength [4].
Al fine di mettere in relazione in maniera quantitativa i risultati ottenuti nelle prove di stiro con
quelli ricavati nelle prove di filmatura, si sono calcolati lo sforzo apparente e la velocità di
deformazione durante la prova di melt strength in corrispondenza delle pulegge di stiro. Il calcolo,
effettuato sfruttando l’analisi sviluppata da Dealy [5], parte dall’ipotesi che il logaritmo del
diametro dell’estruso vari linearmente con la distanza dal capillare e porta alla definizione di una
viscosità elongazionale apparente ηEA:
F
2
v ⋅ π ⋅ R0
σ
ηEA = EL = 0
ε& EL 1 ⎡ ⎛ R ⎞ 2 ⎤
⎢ln⎜ 0 ⎟ ⎥
L ⎣⎢ ⎜⎝ R L ⎟⎠ ⎦⎥
(1)
in cui F è la forza registrata durante la prova in funzione della velocità di stiro, v0 è la velocità di
uscita dello spaghetto dal capillare, R0 è il raggio del capillare, L la distanza tra le pulegge e l’uscita
4
del capillare e RL il raggio dello spaghetto all’altezza delle pulegge. Si è trascurato, in questa
analisi, ogni fenomeno di rigonfiamento dell’estruso all’uscita dal capillare (ipotesi verosimile dato
che le prove di melt strength sono state condotte a 210°C).
Da immagini acquisite durante le prove di filmatura, poi, sono state stimate le condizioni
cinematiche che si realizzano nel processo di film blowing partendo dall’equazione riportata di
seguito [6]:
dvS
1 dh 1 dR
= − vS
− vS
ds
h ds R ds
(2)
in cui vs è la componente di velocità meridiana del film, R il raggio locale della bolla, h è lo
spessore locale del film e s la direzione tangente alla bolla nel verso di traino (vedi Fig. 4).
R
s
h(z)
z
t
r
n
ARIA DI
RAFFREDDAMENTO
ESTRUSORE
Figura 4: Rappresentazione schematica del sistema di riferimento utilizzato nell’analisi del
processo di film blowing.
Tuttavia, dall’analisi delle immagini non si riesce a stimare il termine
dh
nè il valore dello
ds
spessore h. Ciò nonostante, basandosi su alcune ipotesi di andamento dello spessore lungo la
direzione della bolla, si è tentato di assegnare un valore allo spessore del film in corrispondenza
della generica sezione S e si è potuto ricavare così una stima della velocità di deformazione
caratteristica. Le ipotesi che sono state utilizzate in questo lavoro sono quelle di variazione lineare e
di variazione esponenziale dello spessore del film lungo la direzione s. I valori presentati in Tab. 3
si riferiscono alla massima velocità di deformazione che si realizza nella bolla al variare della
velocità di traino.
5
dvS (1)
ds
dvS ( 2)
ds
(s-1)
(s-1)
20,3
2,39
1,38
15,8
2,25
1,24
11,3
2,03
1,06
6,8
1,61
0,79
2,3
0,61
0,29
TUR
(1)
: variazione dello spessore di bolla lineare in direzione s.
(2)
: variazione dello spessore di bolla esponenziale decrescente in direzione s.
Tabella 3: Velocità di deformazione calcolate secondo l’ipotesi di variazione lineare (1) ed esponenziale (2) dello
spessore di bolla.
I valori mostrano per
dvS
il medesimo ordine di grandezza indicato in letteratura in lavori in cui
ds
sono stati sfruttati apparati sperimentali che, rispetto a quello utilizzato nel presente lavoro,
risultano essere diversi per caratteristiche geometriche ma simili per scala.
Si prenda in considerazione, ora, l’equazione che descrive lo stato tensionale di un elemento
infinitesimo di film nella bolla, data da:
ΔP σ S σ t
=
+
h
ρ s ρt
(3)
dove si sono indicati con σt lo sforzo tangenziale, con σs lo sforzo meridiano, con ρs e ρt le
curvature principali nelle due direzioni s e t.
Si supponga che la bolla durante il processo mostri condizioni di stabilità in regime stazionario.
L’Equazione 3, in questo caso, risulta verificata in ogni punto della bolla e le grandezze definite,
fissato un punto arbitrario della bolla, assumono un valore costante nel tempo. Si supponga, mentre
si sta conducendo la prova di filmatura, di modificare repentinamente i parametri di processo, ad
esempio aumentando la velocità di traino del film (incrementando cioè il TUR). Se si suppone che
la forma della bolla non subisca variazioni importanti (ipotesi confermata dalle prove effettuate) si
può assumere che la pressione all’interno della bolla resti costante. Lo spessore del film e le
velocità di deformazione, invece, subiranno delle variazioni. In particolare, si avrà una diminuzione
dello spessore del film ed un aumento delle velocità di deformazione. Se si analizza come queste
variazioni influenzano l’equilibrio tensionale del film ci si rende conto che, all’aumentare della
6
velocità di traino, il termine che compare a sinistra nel bilancio di forze tende ad assumere valori
via via maggiori (questo termine è infatti inversamente proporzionale allo spessore di bolla).
Il materiale trasformato, in sostanza, per effetto della riduzione degli spessori vede modificato il suo
stato di equilibrio dinamico. Ovviamente, il sistema perturbato tenderà ad un nuovo equilibrio e, nel
tentativo di ristabilirlo, il materiale reagirà incrementando gli sforzi elongazionali (ossia,
incrementando il termine a destra dell’Equazione 3). Tuttavia, l’incremento degli sforzi che il
materiale può produrre non può essere “arbitrario” ma è determinato dalla sua curva caratteristica
sforzo-velocità di deformazione.
L’ipotesi che si avanza è la seguente: se il materiale riesce a compensare l’effetto derivante dalla
diminuzione di spessore attraverso l’incremento dello sforzo allora, anche all’aumentare del TUR,
si continuerà a lavorare in condizioni di bolla stabile con una modifica minima delle curvature
principali. Al contrario, se l’incremento di sforzo non è sufficiente a ristabilire l’equilibrio, il
materiale tenderà a modificare in maniera significativa la forma della bolla, andando a mutare le
curvature principali e determinando l’innescarsi di fenomeni di instabilità.
Il concetto che si vuole affermare, in sostanza, è che affinché ci possano essere condizioni stabili di
processo è importante non solo il valore di sforzo esibito dal materiale, ma anche la capacità di
incrementarlo all’aumentare della velocità di deformazione.
In Fig. 5 vengono riportati, in funzione della percentuale di LDPE nei blend, i valori degli
incrementi di viscosità apparente dei materiali nell’intervallo compreso tra le velocità di
deformazione di 1.5 s-1 e 2.5 s-1. Tale intervallo corrisponde a quello entro cui i materiali hanno
mostrato il passaggio da una condizione di bolla stabile ad una instabile.
0,7
ΔηΕΑ (KPa s)
0,6
0,5
0,4
0,3
0,2
0,1
10
20
30
40
50
60 70
% LDPE
80
90 100 110
Figura 5: Variazione di viscosità apparente nell’intervallo di velocità di deformazione 1.5 s-1-2.5
s-1. I dati sono riportati in funzione della percentuale di LDPE presente nel blend.
7
Osservando il grafico mostrato in Fig. 5 si osserva che questo presenta un massimo per valori di
percentuali di LDPE comprese tra 70% e 90%. Inoltre, si vede che l’incremento di viscosità esibito
dai blend 20/80, 50/50 e 60/40 è inferiore rispetto a quello del solo polimero ramificato.
Confrontando questo andamento con quello mostrato in Tab. 2 si nota che esiste tra questi un ottimo
accordo, significativamente migliore dell’accordo mostrato tra il valore di melt strength e
l’ampiezza delle finestre di processabilità dei materiali e che, quindi, sia corretta la lettura del
meccanismo di innesco dei fenomeni di instabilità di bolla.
In sostanza, è stato trovato che, nel determinare la possibilità di lavorare un materiale in condizioni
di bolla stabile, risulta decisivo l’incremento di viscosità apparente che questo esibisce, nella prova
di melt strength, nell’intervallo di velocità di deformazione tipico del processo di filmatura in bolla.
3 - Conclusioni
Da analisi chimico-fisiche e reologiche e dall’osservazione del comportamento in filmatura in bolla
di blend di polietilene:
•
È stata verificata l’immiscibilità sia allo stato solido che allo stato fuso dei blend
LDPE/LLDPE caratterizzati provando che questa si traduce in migliorata stabilità della bolla in
processi di filmatura.
•
È stato individuato nella variazione della viscosità apparente esibita nel test di melt strength
un parametro capace di predire il comportamento dei materiali in termini di stabilità di bolla.
Bibliografia
[1] M. H. Wagner et al., Rheol Acta, 44, (2004) 198-218.
[2] A. Ajji et al., J Appl Polym Sci, 88, (2003) 3070-3077.
[3] A. I. Hussein et al., Rheol Acta, 43, (2004) 602-614.
[4] G. J. Field et al., Polym Intern, 48, (1999) 461-466.
[5] J. M. Dealy, K. F. Wissbrun, “Melt Rheology and its Role in Plastics Processing”, Van
Nostrand Reinhold, New York (1990).
[6] Luo X-L et al., Polym Eng and Sci, 18, 620-629 (1985).
8
Dino Ferri
e-mail: [email protected]
Francesco Scavello
e-mail: [email protected]
Bruno de Cindio
e-mail: [email protected]
9