Le dolci pene di un lucano strano, emigrato in Brasile

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Le dolci pene di un lucano strano, emigrato in Brasile
Le dolci pene di un lucano strano,
emigrato in Brasile
V. Angelo Colangelo Cultura 15 Luglio 2016 Visite: 311
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Dopo il bel romanzo antropologico L’animale a sei zampe, che gli è valso due
anni fa il Premio “Carlo Levi”, Vincenzo Celano si ripropone ai suoi lettori con
una nuova opera, Il farmacista di Ilhéus (Giovane Holden Edizioni, Viareggio,
2016, pp. 82).
Si tratta di un romanzo breve, che con
coerenza si ricollega a molta
produzione letteraria precedente per
una nota significativa, che non
sorprende chi conosce l'autore come
un appassionato naturalista,
«instancabile navigatore di boschi». Si
vuol dire dell'amorevole attenzione
diCelano nei riguardi della natura, che
riesce a rappresentare nei suoi scritti con acuta sensibilità e con rara vividezza. L'impianto de Il farmacista di Ilhéus, un'opera di difficile classificazione riguardo
al genere, è semplice e lineare ed è sorretto da una scrittura nitida e densa, oltre
che da una narrazione intensa e incalzante.
Nicola Campoleone, un pittore lucano originario di Castel Lucio (chiara l’allusione
al paese natale dell’autore), si reca in Brasile con l'ambizione di «emulare i pittori
fiamminghi», che vi erano approdati molto tempo prima al seguito dei
colonizzatori olandesi. Anch'egli è animato da un forte desiderio di dipingere in
un Paese lussureggiante di colori e assurto a «metafora delle dimensioni
smisurate», ma anche di dedicarsi «all’osservazione della copiosa famiglia dei
policromi uccelli degli ambienti umidi brasiliani».
Subito s’imbatte casualmente in una figura strana con «le sembianze di un
enorme airone cinerino», Rogerio, un anziano di età indefinibile, che vive in una
piccola capanna costruita su palafitte.
Fra i due si stabilisce un rapporto di cordiale simpatia e, dopo qualche
perplessità iniziale, Rogerio acconsente a raccontare di sé all'ospite, che ha
segnato da
un'anomalia sessuale,
che lo aveva reso fin
da ragazzo oggetto di
derisione a Castel
Lucio, costringendolo a
fuggire via dal paese
natale. Dopo alcuni anni di
permanenza a Napoli,
dove egli riuscì a
sopravvivere lavorando
per qualche tempo
come facchino al porto,
grazie all'aiuto di
commerciante si
trasferì in Brasile. Qui
proseguiva la sua
avventurosa
peregrinazione,
diventando, tra l'altro,
tagliatore di canna in
una coltivazione di
Bahia e poi farmacista
a Ilhéus, un centro
sulla costa atlantica.
Intanto, un corteo di
donne di età diversa e
diversa condizione
irrompeva a vario titolo nella sua vita, riempendola di dolci tormenti: Dermana,
Vilma, Lucila, Crealba, Florinda. Ma la sua esistenza non smise di essere
determinata dalla sua diversità, che lo spinse alla fine a rifugiarsi in un luogo del
tutto solitario, lontano dal mondo.
Tema dominante del romanzo di Celano è, dunque, l'amore, che solo a una
lettura superficiale appare essere rappresentato in una esclusiva dimensione
sessuale ed erotica. Ben più complessa è, in realtà, la personalità del
protagonista, che è pervasa sì da una sensualità priapea, ma è molto sfaccettata
e rivela una straordinaria ricchezza di sentimenti, che gli ha consentito, nel corso
della sua intensa esistenza, di conoscere e assaporare ansie e speranze, piaceri
e sofferenze, felicità e dolore.
Rogerio, perciò, conferma una grande umanità anche dopo la sua difficile scelta
esistenziale, che lo consegna definitivamente ad una solitudine prima
disperante, ma poi serenamente accettata. Grazie alla panacea del ricordo, che
apre la strada a un ritorno alle origini, perché «la vita è una fustaia, la quale, in
mille intrighi e per ellisse, sempre regredisce alle radici».
L'ultima opera di Celano offre insomma un racconto interessante e godibile e
regala al lettore la strana sensazione di ritrovarsi fra le mani, “si parva licet
componere magnis”, un minuscolo ma prezioso frammento del celebre