Liceo Scientifico “E. Fermi” Esami di Stato 2015

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Liceo Scientifico “E. Fermi” Esami di Stato 2015
Liceo Scientifico “E. Fermi”
Esami di Stato 2015 - 2016
SIMULAZIONE DELLA PRIMA PROVA SCRITTA
Svolgi la prova, scegliendo una delle quattro tipologie qui proposte.
E’ consentito soltanto l’uso del dizionario italiano. TIPOLOGIA A - ANALISI DEL TESTO Giuseppe Ungaretti,( Alessandria d'Egitto, 1888– Milano, 1º giugno 1970)
BRASILE, da "Appendice alle Prose di viaggio"
Testo di una conferenza tenuta dal poeta in un suo viaggio di ritorno in Brasile nel 1968. Nel discorso, il poeta
ricorda gli anni del suo soggiorno brasiliano e del suo insegnamento all'Università di S. Paolo, e, soprattutto, ritorna
sulla sua esperienza di viaggiatore, sulle impressioni indelebili suscitate in lui dallo spavento della "natura vergine"
e dal "valore d'urto" del barocco brasiliano. L'invito diramato dalla Camera di commercio italo - brasiliana annunziava da parte mia un discorso inaugurale. Non
sarà un discorso quello che farò, ma la lettura alla buona di pochi appunti messi insieme in fretta alla meglio. [...]
Ho avuto in sorte di appartenere a più Patrie, e non è sorte che sia con agevolezza sopportabile. Sono sempre in esilio da
terre molto amate, e non è solo saudade (1) dell'una o dell'altra a muovermi l'animo, ma quasi smarrimento e come la
necessità senza quiete di ritrovare il modo di riorientarmi. E' dirvi come ciascuna di quelle Patrie mi divenga come una
continua fissazione, e non cessi di farmisi nell'animo più intima ed eloquente.
Lo sanno tutti, sono nato in Egitto, e vi rimasi i primi miei venti anni: sono i ricordi incancellabili dell'ambiente che fu
testimonio della mia infanzia e della mia prima gioventù: sole allucinante, deserto illimitato limitato dal mare illimitato,
cielo mutevole per luce, per abbagli, non per nuvole. L'Egitto è la mia Patria natia.
Alla Francia devo i miei primi contatti con l'arte d'oggi e con gli uomini che dovevano diventare i protagonisti in un
clima dal quale anche i miei strumenti espressivi ottennero tempra. E' la mia Patria formativa.
L'Italia è la mia naturale Patria perché sono di vecchio sangue italiano, anzi lucchese.
Nel 1936 partii per il Brasile e vi rimasi fino al 1942. Sei anni non sono un periodo lungo del tempo. Ma quali anni
furono quelli per me, di quanta novità, e di quali vicende felici e vicende terribili (2). Vi conobbi in un modo
nuovissimo il rapporto tra memoria e innocenza che la mia poesia ha sempre avuto per mira di conciliare. Vi ho
conosciuto il dolore maggiore che possa straziare un uomo nei suoi affetti familiari e la comprensione del prossimo che
in quella circostanza ricorse per consolarmi a premure di delicatezza ineguagliabile. Il Brasile è la mia patria umana.
Ero andato in Brasile, membro di una missione universitaria che il governo dello stato di San Paolo aveva chiesto al
Nostro per fondare, insieme a una Missione francese e ad alcuni professori tedeschi che le leggi razziali avevano fatto
scappare dalla Germania, la Facoltà di Scienze, Lettere e Filosofia di San Paolo. [...] Il contributo dato alle nuove facoltà
da uomini insigni[….] è stato di un'importanza decisiva nell'avviare il Brasile, anche in un campo strettamente
scientifico, verso quel Progresso che è nei palpiti vigorosi della sua bandiera. Intorno a me c'era un altro spettacolo che
mi rendeva fiero. C'erano intorno a me innumerevoli Italiani o figli d'Italiani che davano alla loro Patria adottiva, con
lena instancabile, il sudore proficuo del loro umile lavoro, e il loro amore, il loro amore divenuto fervidamente filiale. E
c'erano anche, tra gl'Italiani e i figli d'Italiani quelli che dall'umile lavoro erano saliti a diventare capitani d'industria, a
dotare il Brasile, in modo vitale dell'allora nascente sua industria; e c'erano quelli ch'erano diventati innovatori
nell'agricoltura, e stavano dando all'organizzazione delle campagne un ritmo corrispondente ai tempi.
.
C'era dell'altro intorno a me: c'erano i romanzieri, e mi basti nominare Linz de Rego; c'erano i poeti, e mi basti
nominare Mario de Andrade; c'erano i pittori e mi basti nominare Portinari; c'erano i musicisti, e mi basti nominare Villa
Lobos, c'erano storici originali; c'erano, e mi basti nominare Gilberto Freyre, straordinari studiosi di tradizioni etniche,
le più varie, le più incredibilmente liriche e epiche nei loro bruschi e sofferti incroci che tutte le rinnovano e le
portavano a percorrere, dal momento primitivo all'attuale, in un'illusione stupenda, un'infinita strada; c'era un territorio
immenso dell'umano linguaggio che da tradizioni indie, europee, affricane [sic] traeva una sintesi già mirabile.
C'era di più, c'era la ragione che faceva di quegli scrittori e artisti e studiosi brasiliani, autori d'opere tanto singolari e
che tanto mi seducevano: c'era la natura vergine, spaventosa, grandiosa, imponente, ermetica, colma di prodigi, e le
stava di fronte l'uomo civile, con le sue remote e incessantemente rianimate civiltà, l'uomo che si sentiva, di fronte a
quel terrore e a quella magnificenza di foreste e di fiumi, un minuscolo nulla anche se armato d'una potenza di dominio
sulla natura, dovuta ai mezzi fornitigli dalla sua scienza in vertiginoso sviluppo, ormai più forti di lui. Voglio insomma
confessare che devo al Brasile se ho capito il Barocco che tanto tormento dà, da lunghi anni alla mia ispirazione e alla
mia tecnica espressiva. Ho capito in Brasile chiaramente il valore di urto che era nel Barocco, e perché tra innocenza e
memoria e tra natura e ragione l'incontro dovesse sempre manifestarsi violento, e l'ho capito, devo riconoscerlo, più
contemplandone il cielo e il paesaggio, viaggiando e leggendone gli scrittori, più conoscendovi, in quei luoghi, in quel
quadro, faccia a faccia la Morte mentre infuriava inesorabile sulla creatura umana che mi era più cara, che
ammirandone le chiese a Bahia o a Minas, chiese che pure sono incarnazioni bellissime del Barocco.
Ma che dico? Alle chiese di Minas non dava la sua opera l'Aleijadinho, lo scultore architetto, il Michelangelo mulatto,
mutilato delle mani dalla lebbra, e che scolpiva facendosi legare ai moncherini scalpello e mazzuolo? Può esserci
un'arte più sconvolta dal vento del Barocco, più talvolta dalla disperata speranza di quello che s'agita nei suoi Profeti?
Ecco perché amo anche il Brasile come una mia Patria: perché nella sua terra è sepolta la parte più pura di me; perché il
suo popolo fatto di tante stirpi, avendo potuto riaccostarsi al segreto primitivo della natura, non perdendo nulla di
essenziale delle civiltà che portava a fondersi con l'autoctona, ha potuto perderne i pregiudizi e ritrovare quello slancio
di solidale simpatia verso il proprio simile che non viene dalle teorie sociologiche che possono anche essere pungoli
d'odio, ma dal potersi scrollare di dosso il peso di millenarie croste di convenzioni il peso fattosi ormai troppo assurdo,
mortalmente schiacciante; perché nelle vene del Brasiliano scorre a profusione sangue italiano; perché in Brasile la mia
poesia ha trovato risolto quel contrasto che è all'ordine della mia ispirazione e dei mie tentativi di canto e che mi pareva
dovesse rimanermi per sempre indecifrabile. Ecco perché chiamo il Brasile la mia Patria umana: mi ha dato per
l'esperienza che vi ho potuto fare, la misura dell'uomo. Smisurata di dignità, di potenza, e insieme d'un essere che è
nulla.
Volevo insomma dire che non solo io, ma qualsiasi Italiano che abbia potuto avere contatti con il Brasile, in qualsiasi
ordine di rapporti, sa che il Brasile è non solo un Paese che l'Italia non può non amare, ma un Paese che merita di essere
annoverato tra i Paesi che l'Italia deve sentire di prediligere. So che il Brasile nutre verso l'Italia uguale fervore di
affetti. Possa questo centro culturale italo - brasiliano che s'inaugura oggi, rendere, per valide iniziative, sempre più
evidenti e fruttuosi i vincoli che legano indissolubilmente i due popoli.
Note
1) "Saudade": "nostalgia". Parola del portoghese brasiliano derivante dalle parole latine "solitudo" e dal verbo
"salutare". Indica, allo stesso tempo, la nostalgia per un bene perduto e la sua speranza di poterlo riacquistare in
futuro.
2) "Vicende terribili": fa riferimento, come si può vedere nelle righe sotto, alla morte dell'unico figlio maschio. A. Comprensione del testo
1 Quali sono le diverse "patrie" del poeta e quali sono le loro caratteristiche?
2. Perché, secondo Ungaretti, la "sorte di appartenere a più patrie" non è "sorte con agevolezza sopportabile "?
3. In particolare, perché il termine "saudade" definisce solo in parte tale condizione?
4. Come sono descritti gli emigrati italiani che il poeta trova in Brasile? Come si caratterizza il loro rapporto con
la nuova patria d'adozione?
5. Il rapporto con il Brasile, da lui definita la sua patria "umana" si realizzano attraverso molteplici esperienze,
riguardanti la sua vita privata, il contatto diretto con il paesaggio e quello -mediato- che si realizza attraverso la
frequentazione del vario ed eterogeneo ambiente culturale ed artistico di quel paese. Analizzarne gli aspetti più
significativi, quali si manifestano nel testo.
6. Come definisce il suo rapporto con il Barocco e in che misura il paesaggio brasiliano contribuisce a chiarirlo e
approfondirlo?
7. In cosa consiste la "la misura dell'uomo" che lui ha conosciuto durante la sua permanenza in Brasile?
B. Interpretazione complessiva ed approfondimenti
Scegliere la trattazione di uno dei seguenti temi suggeriti dal contenuto di questa conferenza.
1. L'esperienza di appartenere a diverse "patrie" costituisce, allo stesso tempo, un'esperienza di
approfondimento di sè e di spaesamento. Trattare il modo in cui essa si viene sviluppando nella poesia di
Ungaretti o in quello di altri autori italiani da voi studiati. .
2. Nel testo vi sono tutta una serie di riflessioni sul rapporto tra natura e civilizzazione. Sviluppare questo tema,
o facendo riferimento all'opera di Ungaretti o a quello di altri scrittori da voi studiati. TIPOLOGIA B - REDAZIONE DI UN “SAGGIO BREVE” O DI UN “ARTICOLO DI
GIORNALE”
(puoi scegliere uno degli argomenti relativi ai quattro ambiti proposti)
CONSEGNE
Sviluppa l’argomento scelto o in forma di «saggio breve» o di «articolo di giornale», utilizzando, in tutto o
in parte, e nei modi che ritieni opportuni, i documenti e i dati forniti.
Se scegli la forma del «saggio breve» argomenta la tua trattazione, anche con opportuni riferimenti alle tue
conoscenze ed esperienze di studio.
Premetti al saggio un titolo coerente e, se vuoi, suddividilo in paragrafi.
Se scegli la forma dell’«articolo di giornale», indica il titolo dell’articolo e il tipo di giornale sul quale pensi
che l’articolo debba essere pubblicato.
Per entrambe le forme di scrittura non superare cinque colonne di metà di foglio protocollo.
B 1) AMBITO ARTISTICO - LETTERARIO
ARGOMENTO: Realtà, storia e finzione nel romanzo
Documento 1) Non c'è alcun dubbio che il romanzo sia il genere più caratteristico della letteratura moderna. Non solo
perché il numero di titoli pubblicati e classifiche di vendita indicano, già a un'osservazione estetica, che il romanzo ha
almeno da due secoli conquistato una quota maggioritaria, rispetto agli altri generi, del mercato librario. Ma anche
perché un ideale elenco di capolavori letterari moderni difficilmente non assegnerebbe al romanzo uno spazio
preminente.
Il particolare rapporto tra questo genere e la civiltà del nostro tempo ha costituito sempre un tema obbligato di ogni
riflessione sul romanzo. Quando Hegel, nelle sue Lezioni di Estetica (pubblicate postume nel 1836-38) definisce il
romanzo come la "moderna epopea borghese", egli individua bensì un rapporto di successione rispetto all'epos classico,
ma soprattutto una differenza capitale: il mondo dei classici è una totalità integrata e unitaria di valori; il mondo
moderno è invece il mondo del lavoro diviso e dell'autocoscienza. Tra vita interiore e realtà esterna non esiste più
alcuna correlazione immediata: ogni aspirazione al valore e alla totalità può essere vissuta solo in termini problematici,
come conflitto e scontro con i "fatti irriducibili e ostinati" della prosa quotidiana. Appunto questa "totalità degradata "
sarà oggetto della rappresentazione romanzesca, la parabola tragica o comica che conduce l'eroe alla sconfitta o alla
riconciliazione operosa con la società e la storia.
L'antitesi tra epos e romanzo, ripresa e approfondita, variata da quasi tutti gli studiosi del romanzo fino ai nostri giorni,
trova forse la sua formulazione più suggestiva in Bachtin (Epos e Romanzo, sulla metodologia dello studio del
romanzo, Mosca 1938). Non solo l'epopea, osserva Bachtin, ma tutti i generi letterari che abbiamo ereditato
dall'antichità si sono formati in età pre-storica, prima della scrittura e del libro. Ognuno di essi ha il suo canone, un
repertorio di norme, un modello che lo costituisce in quanto genere determinato. Il romanzo, al contrario, e solo il
romanzo fra tutti i grandi generi letterari "è più giovane della scrittura e del libro ed esso soltanto è organicamente
adatto alle nuove norme della percezione muta, cioè alla lettura. Ma, soprattutto, il romanzo non ha un canone come gli
altri generi letterari.
( Brioschi- Di Girolamo, Elementi di teoria letteraria, Milano 1984).
Documento 2) Se è vero che la filosofia e le scienze hanno dimenticato lo studio dell'essere dell'uomo, appare ancor
più chiaro il fatto che con Cervantes è nata una grande arte europea, che non è altro che l'esplorazione di tale essere.
In effetti, tutti i grandi temi esistenziali che Heidegger analizza in "Essere e Tempo" considerandoli trascurati da tutta la
filosofia europea precedente, sono stati svelati, mostrati, chiariti da quattro secoli di romanzo europeo. Uno per uno, il
romanzo ha scoperto, a suo modo, in base alla sua logica, i diversi aspetti dell'esistenza: con i contemporanei di
Cervantes, si domanda cos'è l'avventura; con Samuel Richardson, comincia a prendere in esame cosa accade
nell'interiorità, " a svelare la vita secreta dei sentimenti"; con Balzac, scopre il radicamento dell'uomo nella storia; con
Flaubert, esplora la terra fino a quel momento "incognita" del quotidiano; con Tolstoj, "si affaccia" sull'irruzione
dell'irrazionale nelle decisioni e nei comportamenti umani. Sonda i tempi: l'inafferrabile momento passato con Marcel
Proust; l'inafferrabile momento presente con James Joyce. Interroga, con Thomas Mann, il ruolo dei miti che giunti
dalla profondità del tempo guidano i nostri passi. Eccetera eccetera.
Il romanzo accompagna l'uomo costantemente e fedelmente dall'inizio dei tempi moderni. La "passione della
conoscenza" (quella che Husserl considera come essenza della spiritualità europea) si è impadronita di esso per
osservare la vita concreta dell'uomo e per proteggerlo contro "l'oblio dell'essere", per tenere "il mondo della vita" sotto
continua osservazione. (M. Kundera, l'Arte del Romanzo, Parigi, 1986)
Documento 3) I grandi romanzi sembra che nascano puntualmente apposta per correggere le idolatrie tentate dalla
filosofia, per guardarle con l'occhio critico e relativo dell'uomo che non si considera più il centro dell'universo. Il
romanzo dell'Ottocento non poteva nascere senza dietro le spalle il lavoro degli scrittori e dei filosofi del Settecento,
che avevano fondato una nuova visione della natura e una nuova coscienza della storia. Ma è pur vero che la
generazione post-napoleonica che inaugura, con Stendhal e con Puskin, il nuovo romanzo, già dissolve la provvidenzialità della natura di Rousseau e quella della storia del nascente storicismo per campire su uno scenario naturale e
storico che è solo teatro di occasioni per l'individuo, eroi per nulla esemplari nella complessità delle loro passioni, nella
forte carica vitale del loro egotismo, in Puskin fondato sulla sincerità e l'esser se stessi, in Stendhal sul calcolo sottile
segreto, e magari sull'ipocrisia coltivata col rigore di una virtù .
(Calvino, "Natura e Storia nel Romanzo", in "Una Pietra sopra, " Torino 1980)
Documento 4) Qual è, dunque il rapporto che esiste tra la finzione narrativa e la vita? La risposta classica e neoclassica
direbbe che la finzione presenta il tipico, l'universale, cioè, per esempio, l'avaro tipico (in Molière, e in Balzac), le figlie
infedeli, (di Re Lear o di Papà Goriot). Ma simili concetti di classi non sono propri della sociologia? Si potrebbe anche
rispondere che l'arte nobilita, esalta e idealizza la vita, e naturalmente esiste una simile forma d'arte, ma è uno stile, non
già l'essenza stessa dell'arte, anche se è pur vero che tutta l'arte, in quanto crea una distanza estetica e assume una certa
forma e articolazione, rende piacevole alla contemplazione ciò che nella vita sarebbe doloroso sperimentare o anche
testimoniare. Si potrebbe forse affermare che un'opera narrativa presenta la "storia di un caso", cioè una illustrazione o
esemplificazione di qualche schema o sindrome generale[...] ma il narratore presenta non tanto un caso, cioè un
personaggio o un evento, quanto un mondo, e i grandi romanzieri hanno tutti un loro mondo, che è riconoscibile giacché
coincide in parte con il mondo empirico, dal quale per altro si distingue per la sua intelligibilità in sé conclusa e
coerente. Talora si tratta di un mondo che si può trovare in qualche parte della terra, come il mondo provinciale e
parrocchiale di Trollope e come il Wessex di Hardy; ma talora è un modo che non esiste e gli orrendi castelli di Poe non
sono né in Germania ne in Virginia, ma nell'anima. Il mondo di Dickens può essere identificato con la città di Londra,
quello di Kafka con la vecchia Praga, ma questi due mondi sono talmente "proiettati", talmente creativi e creati e ormai
tanto si riconoscono nel mondo empirico come personaggi di Dickens e situazioni di Kafka che ogni identificazione
finisce per divenire irrilevante. Meredith, Conrad, Henry James e Hardy, tutti hanno gonfiato grandi e iridescenti bolle
di sapone in cui gli esseri umani che essi descrivono, anche se hanno una certa sensibile rassomiglianza con la gente
reale, tuttavia solo in quel loro mondo raggiungono la piena realtà. (R. Wellek- A. Warren, Teoria della letteratura,
Bologna 1956)
Documento 5) Il romanziere è insieme un osservatore ed uno sperimentatore. L'osservatore per parte sua pone i fatti
quali li ha osservati, individua il punto di partenza, sceglie il terreno concreto sul quale si muoveranno i personaggi e si
produrranno i fenomeni. Poi entra in scena lo sperimentatore che impianta l'esperimento, cioè fa muovere i personaggi
in una storia particolare, per mettere in evidenza che i fatti si succederanno secondo la concatenazione imposta dal
determinismo dei fenomeni studiati. Si tratta quasi sempre a questo proposito di un esperimento «orientativo», come lo
chiama Claude Bernard.
(E Zola, il romanzo sperimentale, Parigi 1880)
Documento 6) Milano, 24 marzo 1924-ore 16.
Carlo Emilio Gadda - "Racconto italiano del novecento" Cahier d'études (quaderno di studi) –
Nota Co I (24 marzo 1924-ore 16)
Dal caos dello sfondo devono coagulare e formarsi alcune figure a cui sarà affidata la gestione della favola, del
dramma, altre figure (forse le stesse persone raddoppiate) a cui sarà affidata la coscienza del dramma e del suo
commento filosofico: (riallacciamento con l'universale, coro)
Carattere ed epoca del romanzo:
Contemporaneità: (non sarebbe possibile ora fare degli studi storici) Materiale mio personale vissuto o quasi vissuto.
Topograficamente, da svolgersi in Italia e Sud America, eventualmente e parzialmente in Francia.
Il caos del romanzo deve essere una emanazione della società italiana del dopoguerra (non immediato) con richiami
lirico - drammatici alla guerra (nostra generazione) e forse al preguerra (infanzia, adolescenza) Emanazione italiana a.Trascegliere dall'italianesimo: o apsetti e cose di carattere generale, comuni ad altri popoli; o aspetti e cose
fondamentalmente caratteristici e che possano differenziarci potentemente.
(C. E. Gadda - 1893-1973- , Racconto Italiano di ignoto del novecento, Torino 1983). Appunti riguardanti un romanzo
mai scritto dall'autore, indicativi per comprendere il modo in cui ideava i suoi soggetti e li sviluppava)
B 2) AMBITO SOCIO-ECONOMICO
ARGOMENTO: Lavoro : condanna o opportunità ?
Documento 1) L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. (Art.1, Costituzione della Repubblica
Italiana).
Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività
o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società. (ibi, Art.4 com.2)
Documento 2)
Gli dèi infatti tengon nascosto agli uomini il sostentamento,
ché facilmente, allora, potresti lavorare un solo giorno
e per un anno ne avresti, anche restando nell'ozio,
presto il timone lo potresti appendere sul fumo
e sarebbe finito il lavoro dei buoi e dei muli pazienti;
ma Zeus lo nascose adirato dentro il suo cuore.
Perché Prometeo dagli astuti pensieri lo aveva ingannato,
per questo meditò agli uomini tristi sciagure
(Esiodo, VIII-VII a. C., Le opere e i giorni, vv. 42 ss.)
Documento 3) Con il sudore del tuo volto mangerai il pane; finché tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto:
polvere tu sei e in polvere tornerai. (Antico Testamento, Gen. 3,19).
Documento 4) (...) Dal punto di vista della psicologia sociale, l’individuo tende a costruire una rappresentazione
di sé basata sui ruoli che sente propri e, in base a questi, sviluppa la sicurezza che gli consente la corretta integrazione
sociale. La perdita del lavoro inciderà quindi su ambedue gli aspetti: il ruolo sociale e l’autostima. (...)
Nel 2005 Sharone ha studiato 100 colletti bianchi israeliani e statunitesi che avevano perso il posto. Si trattava
soprattutto di manager e lavoratori del settore high-tech, persone che mai avrebbero pensato, negli anni del boom delle
nuove tecnologie e degli stipendi d’oro, di trovarsi per strada. “Ho notato che c’erano differenze notevoli tra i due
gruppi” spiega Sharone. “Gli israeliani, quando non trovano lavoro, tendono ad attribuirne la colpa alle istituzioni e al
sistema, mentre gli americani incolpano se stessi. Questo fa sì che i primi reagiscano con più rabbia, ma anche con più
energia, mentre i secondi tendono a perdere sempre più fiducia in se stessi. In sostanza, si dicono che se non trovano
lavoro è perché c’è qualcosa di sbagliato in loro”. Sharone afferma che non si tratta di un effetto della cultura
individualista che caratterizza gli Stati Uniti: “In parte può darsi, ma non è solo questo. È anche un problema di struttura
sociale. In Israele esiste una tutela del lavoro centralizzata, figlia degli anni della fondazione dello Stato, che aveva un
impianto socialista. Ciò significa che se un’azienda ha bisogno di personale, si rivolgerà all’ufficio di collocamento che
smisterà le proposte e favorirà l’assunzione. Questo, se da un lato può inibire l’iniziativa personale del lavoratore,
dall’altra non lo priva del proprio ruolo. È sempre un lavoratore, solo che è momentaneamente senza impiego e tocca
all’ufficio preposto aiutarlo a ricollocarsi. Negli Stati Uniti, invece, tutti dicono al disoccupato: devi avere più fiducia in
te stesso, devi imparare a ricollocarti, devi parlare così, devi vestirti cosà. La manualistica fai-da-te, in questo campo,
vende milioni di copie l’anno. Per non parlare dei corsi di self-help e dei fenomeni come il coaching che pretendono di
“allenare” la persona ad affrontare le difficoltà. Quindi il lavoratore senza lavoro è un individuo senza ruolo, che si deve
ricostruire, e per di più, se non riesce a trovare un nuovo impiego, evidentemente è perché non fa le cose giuste. Ma
questo non è vero, perché ci sono anche le condizioni economiche esterne, che non sono modificabili a volontà”.
Daniela Ovadia, Mente e psiche , Chi perde il lavoro perde sè stesso? Le scienze Blog, Edizione italiana di Scientific
American, 9 marzo 2010
Documento 5) Se si escludono istanti prodigiosi e singoli che il destino ci può donare, l'amare il proprio lavoro
(che purtroppo è privilegio di pochi) costituisce la migliore approssimazione alla felicità sulla terra.
Ma questa è una verità che non molti conoscono.
Primo Levi , La chiave a stella,1978
Documento 6) In che cosa consiste ora l'espropriazione del lavoro? Primieramente in questo: che il lavoro resta esterno
all'operaio, cioè non appartiene al suo essere, e che l'operaio quindi non si afferma nel suo lavoro, bensì si nega, non si
sente appagato ma infelice, non svolge alcuna libera energia fisica e spirituale, bensì mortifica il suo corpo e rovina il
suo spirito. L'operaio si sente quindi con se stesso soltanto fuori del lavoro, e fuori di sé nel lavoro... Il suo lavoro non è
volontario, bensì forzato, è lavoro costrittivo. Il lavoro non è quindi la soddisfazione di un bisogno, bensì è soltanto un
mezzo per soddisfare dei bisogni esterni ad esso... Il lavoro esterno, il lavoro in cui l'uomo si espropria, è un lavorosacrificio, un lavoro-mortificazione. Finalmente l'esteriorità del lavoro al lavoratore si palesa in questo: che il lavoro
non è cosa sua ma di un altro; che non gli appartiene, e che in esso egli non appartiene a sé, bensì ad un altro...
Il risultato è che l'uomo (il lavoratore) si sente libero ormai soltanto nelle sue funzioni bestiali, nel mangiare, nel bere e
nel generare, tutt'al più nell'avere una casa, nella sua cura corporale ecc., e che nelle funzioni umane si sente solo più
una bestia. Il bestiale diventa l'umano e l'umano il bestiale
Karl Marx , (Manoscritti economico-filosofici, 1844)
B 3) AMBITO STORICO-POLITICO
ARGOMENTO: Antisemitismo in Germania e in Italia
Documento1) Il complotto mondiale ebraico
[...] la finanza ebraica desidera, contro gli stessi interessi dello stato britannico, non solo la totale rovina economica
della Germania, ma anche la sua completa schiavitù politica.
[...] L'ebreo è dunque oggi colui che incita alla totale distruzione della Germania. In qualunque parte del mondo
vengano mossi degli attacchi contro la Germania, sono sempre gli ebrei che li promuovono, allo stesso modo in cui sia
in pace che in guerra la stampa ebraica delle borse e quella marxista hanno stimolato sistematicamente l'odio contro la
Germania finché gli stati, uno dopo l'altro, hanno rinunciato alla neutralità, mettendo da parte i veri interessi del popolo,
e sono entrati al servizio della coalizione della guerra mondiale.
[...] L'annientamento della Germania non era un interesse britannico ma in primo luogo un interesse degli ebrei
esattamente come al giorno d'oggi la disfatta del Giappone non serve tanto gli interessi dello stato britannico ma
risponde agli ambiziosi desideri dei capi dell'auspicato impero mondiale ebraico.
A.Hitler, Mein Kampf
Documento 2) UN BILANCIO DELLA "NOTTE DEI CRISTALLI": I comunicati degli uffici di polizia giunti
sino all'11 novembre 1938 offrono il seguente quadro della situazione nel suo complesso.
In numerose città sono stati saccheggiati negozi e rivendite ebree. La polizia, per impedire altri saccheggi, è intervenuta
energicamente in tutti i casi. 174 persone sono state arrestate per saccheggio.
L'ampiezza delle distruzioni di negozi e di abitazioni degli ebrei non può essere tradotta in cifre sino a questo momento.
Le cifre indicate nel rapporto rispecchiano soltanto una parte delle distruzioni realmente effettuate, qualora non si tratti
di incendi: 815 negozi distrutti, 29 rivendite incendiate o distrutte con altri mezzi, 171 case di abitazione incendiate o
distrutte. Poiché il rapporto doveva essere steso con la massima urgenza, i comunicati giunti sino a questo momento
dovettero limitarsi soltanto a basarsi su informazioni molto generali come «numerosi» o «negozi per la maggior parte
distrutti». Le cifre indicate quindi debbono venire ulteriormente moltiplicate.
191 sinagoghe sono state messe a fuoco, altre 76 completamente distrutte. Inoltre vennero messe a fuoco 11 tra sedi
delle comunità, cappelle funebri e simili ed altre 3 completamente distrutte.
Sono stati tratti in arresto circa 20.000 ebrei, ed inoltre 7 ariani e 3 stranieri. Questi ultimi sono stati trattenuti per
garantire loro la sicurezza personale.
Sono stati notificati 36 casi mortali ed altri 36 casi di ferite gravi. Gli uccisi ed i feriti sono tutti ebrei. Inoltre mancano
notizie di un ebreo. Tra gli ebrei uccisi c'è un cittadino polacco e tra i feriti altri due cittadini polacchi.
REINHARD HEYDRICH, Rapporto a Göring
Documento 3) Legge "per la protezione del sangue e dell'onore tedesco" (15 settembre 1935)
Pervaso dal riconoscimento che la purezza del sangue tedesco è la premessa per la conservazione del popolo
tedesco ed animato dal proposito irriducibile di assicurare il futuro della nazione tedesca, il Reichstag ha
approvato all'unanimità la seguente legge che qui viene promulgata.
[par.1] 1) Sono proibiti i matrimoni tra ebrei e cittadini dello Stato di sangue tedesco o affine. I matrimoni già
celebrati sono nulli anche se celebrati all'estero per sfuggire a questa legge.
2) L'azione legale per l'annullamento può essere avanzata soltanto dal Procuratore di Stato.
[par.2] Sono proibiti rapporti extra-matrimoniali tra ebrei e cittadini dello Stato di sangue tedesco o affine.
[par.3] Gli ebrei non potranno assumere al loro servizio come domestiche cittadine di sangue tedesco o affine
sotto i 45 anni.
[par.4] 1) Agli ebrei è proibito innalzare la bandiera del Reich e quella nazionale ed esporre i colori del Reich.
2) È permesso loro invece esporre i colori ebraici. L'esercizio di questa facoltà è protetto dallo Stato.
[par.5] 1) Chi contravviene al divieto di cui al par.1 viene punito con il carcere duro.
2) Chi contravviene alle norme di cui al par.2 viene punito con l'arresto o con il carcere duro.
3) Chi contravviene alle norme di cui ai parr.3 o 4 viene punito con la prigione sino ad un anno e con una multa o
pene di questo genere.
Documento 4) Il "Manifesto della razza" (1938)
(Da "La difesa della razza", direttore Telesio Interlandi, anno I, numero 1, 5 agosto 1938, p. 2).
1. Le razze umane esistono. La esistenza delle razze umane non è già una astrazione del nostro spirito, ma corrisponde a
una realtà fenomenica, materiale, percepibile con i nostri sensi. Questa realtà è rappresentata da masse, quasi sempre
imponenti di milioni di uomini simili per caratteri fisici e psicologici che furono ereditati e che continuano ad ereditarsi.
6. Esiste ormai una pura "razza italiana". Questo enunciato non è basato sulla confusione del concetto biologico di razza
con il concetto storico-linguistico di popolo e di nazione ma sulla purissima parentela di sangue che unisce gli Italiani di
oggi alle generazioni che da millenni popolano l'Italia. Questa antica purezza di sangue è il più grande titolo di nobiltà
della Nazione italiana.
9. Gli ebrei non appartengono alla razza italiana. Dei semiti che nel corso dei secoli sono approdati sul sacro suolo della
nostra Patria nulla in generale è rimasto. Anche l'occupazione araba della Sicilia nulla ha lasciato all'infuori del ricordo
di qualche nome; e del resto il processo di assimilazione fu sempre rapidissimo in Italia. Gli ebrei rappresentano l'unica
popolazione che non si è mai assimilata in Italia perché essa è costituita da elementi razziali non europei, diversi in
modo assoluto dagli elementi che hanno dato origine agli Italiani.
Documento 5) Disegno di Otto Dix del 1926 per ironizzare sulla figura di Alfred Flechtheim mercante d’arte ebreo. Il
disegno non ha una caratteristica razziale ma esprime solo l’antipatia dell’autore per il mercante. Le caratteristiche
fisiche di Alfred Flechtheim diventeranno poi per i nazisti lo stigma della fisiologia dell’ebreo
Documento 6) Sulla finanza ebraica che domina il mondo
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B 4) AMBITO TECNICO-SCIENTIFICO
ARGOMENTO: Rapporto fra evoluzione tecnologica e la percezione del nostro essere
creature umane: gli spazi del pensiero critico, dell’immaginazione, della sensibilità verso
l’altro
Documento 1) […] nel corso dell'epoca tecnica, il rapporto tradizionale tra fantasia e azione si è rovesciato. Se era
naturale, per i nostri antenati, considerare la fantasia "esorbitante", esuberante, eccessiva, e cioè tale che superava e
trascendeva l'ambito del reale, oggi i poteri della nostra fantasia (e i limiti della nostra sensibilità e della nostra
responsabilità) sono inferiori a quelli della nostra prassi; per cui si può dire che oggi la nostra fantasia non è all'altezza
degli effetti che possiamo produrre [ …]
Gunther Anders – Decalogo dell’era atomica
Documento 2) […](Ci sono) nel diagramma psicologico dell’uomo-massa attuale due primi tratti: la libera espansione
dei suoi desideri vitali, pertanto, della sua persona, e l’assoluta ingratitudine verso quanto ha reso possibile la facilità
della sua esistenza. L’uno e l’altro tratto costituiscono la nota psicologica del bimbo viziato. E, in realtà, non cadrebbe
in errore chi volesse utilizzare la nozione di essa come una lente attraverso cui guardare l’anima delle masse odierne.
Erede d’un passato vastissimo e geniale – geniale d’ispirazione e di sforzi – il nuovo popolo è stato viziato dal mondo
circostante. Vezzeggiare, viziare equivale a non frenare i desideri a dare l’impressione a un essere che tutto gli è
permesso e che a nulla egli è obbligato. La creatura sottomessa a questo regime non ha l’esperienza dei suoi propri
confini. A forza di evitarle ogni pressione dell’ambiente, ogni scontro con altri esseri arriva a credere effettivamente che
soltanto essa esiste, e si abitua a non tenere in conto gli altri soprattutto a non considerare nessuno come superiore a se
stessa. Questa sensazione della superiorità altrui gliela poteva dare soltanto chi più forte di lei l’avesse obbligata a
rinunziare a un desiderio, a ridursi, a contenersi
J. Ortega y Gasset, La ribellione delle masse
Documento 3) L’aspirazione a una vita più bella ha in ogni tempo visto dinanzi a sé tre vie verso la lontana meta. La
prima conduceva fuori del mondo: il sentiero della rinunzia […]. La seconda era la via che conduceva al miglioramento
e al perfezionamento del mondo stesso […] Il terzo sentiero verso un mondo più bello conduce nel regno dei sogni. È la
via più comoda, ma sulla quale la meta si mantiene sempre ugualmente lontana. Se la realtà terrena è così penosa e
senza speranze, e la rinunzia al mondo così difficile, coloriamo la vita di belle apparenze, viviamo in un paese di sogni e
di luminose fantasie, mitighiamo la realtà colle estasi dell’ideale […] Quel terzo sentiero verso una vita più bella, la
evasione dalla dura realtà verso una bella illusione, è però soltanto un motivo letterario? Certamente è qualcosa di più.
Esso influisce sulla forma e sul contenuto della vita sociale non meno delle due altre tendenze.
J. Huizinga, L’autunno del Medioevo
Documento 4) Partendo dal presupposto che la premessa risponda al vero, che cioè soltanto un mutamento sostanziale
del carattere umano, vale a dire il passaggio dalla preponderanza della modalità dell’avere a una preponderanza della
modalità dell’essere, possa salvarci dalla catastrofe psicologica ed economica, bisogna chiedersi: è davvero possibile
una trasformazione caratterologica su larga scala? E, in caso affermativo, come fare a produrla?
A mio giudizio, il carattere umano può mutare a patto che sussistano le seguenti condizioni:
1 Che si sia consapevoli dello stato di sofferenza in cui versiamo.
2. Che si riconosca l’origine del nostro malessere.
3. Che si ammetta che esiste un modo per superare il malessere stesso.
4. Che si accetti l’idea che, per superare il nostro malessere, si devono far nostre certe norme di vita e mutare il modo di
vivere attuale
E. Fromm, Avere o essere
Documento 5) La lotta contro i piaceri della carne e l’attaccamento ai beni esteriori non era come attesta espressamente
insieme coi Puritani anche il grande apologeta del Quaccherismo il Barclay una lotta contro il guadagno razionale ma
sibbene contro l’impiego irrazionale della proprietà. E questo consisteva nell’altro apprezzamento da condannarsi come
idolatria delle forme ostensibili del lusso che erano così vicine al modo di sentire feudale in luogo dell’impiego voluto
da Dio razionale e utilitario per i fini della vita del singolo e della collettività. Non si voleva imporre al possidente la
macerazione ma l’uso della sua ricchezza per cose necessarie e di pratica utilità [...]
Max Weber – Lo spirito del capitalismo
Documento 6) 270. Lo spirito delle donne nella società odierna. Come oggi le donne la pensino sullo spirito degli
uomini, lo si indovina dal fatto che esse nella loro arte di adornarsi pensano a tutto fuorché ad accentuare
particolarmente lo spirito dei loro tratti o i dettagli spiritosi del loro viso: al contrario nascondono cose simili, e sanno
invece darsi, per esempio con una disposizione dei capelli sulla fronte, l’espressione di una viva e bramosa sensualità e
materialità, proprio quando posseggono poco di queste qualità. La loro convinzione che nelle donne lo spirito spaventi
gli uomini giunge al punto che esse stesse rinnegano volentieri l’acutezza del più spirituale tra i sensi e si accollano
intenzionalmente la reputazione di miopia; in tal modo confidano di rendere gli uomini più fiduciosi: è come se intorno
a loro si diffondesse un dolce, invitante crepuscolo.
F. Nietzsche, Umano, troppo umano
TIPOLOGIA C - TEMA DI ARGOMENTO STORICO
Fra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo si genera un’accelerazione, nell’ambito delle trasformazioni
economiche/politiche/sociali che caratterizzano lo sviluppo dell’Occidente, destinata a culminare in quella che un noto
storico italiano (Emilio Gentile) ha definito “il tramonto di un’illusione” coincidente con lo scoppio della Grande Guerra.
Si analizzino gli aspetti che portano alla frantumazione dell’eden positivistico.
TIPOLOGIA D - TEMA DI ORDINE GENERALE
«Oggi si coltiva molto la bellezza esteriore del corpo e si fa bene, è giusto che la si coltivi (…). Credo però che oggi,
troppo spesso, si trascuri la bellezza interiore, la grazia, il tratto più prezioso della personalità. Così facendo si elude la
grande lezione dell’estetica classica secondo cui la bellezza non è mai indipendente dalla verità e dalla bontà d’animo,
ovvero, per stare alla concretezza dell’esistenza umana, non è mai indipendente dalla veridicità in quanto desiderio di
verità e di sincerità.» (V. MANCUSO, Io amo. Piccola filosofia dell’amore, Garzanti, Milano 2014).
Rifletti su questo passo di Vito Mancuso, argomentando le tue opinioni a riguardo.