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matteucci e scarascia mugnozza sequestro c ecosistemi forestali vol
Ecosistemi forestali e mitigazione dei cambiamenti
ambientali: sequestro di carbonio in foreste italiane
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G. Matteucci , G. Scarascia-Mugnozza
Istituto per i Sistemi Agricoli e Forestali del Mediterraneo, CNR, Rende (Cs), Italia
Istituto di Biologia Agro-ambientale e Forestale del CNR, Porano, Terni, Italia
[email protected]
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SOMMARIO: La quantificazione del ciclo globale del carbonio ed il ruolo che la vegetazione ha nel sequestrare carbonio stanno divenendo questioni centrali dell’ecologia globale. Benchè la problematica sia
tutt’altro che chiarita, crescenti sono le evidenze sperimentali che assegnano alle foreste nel mondo un
ruolo significativo per l’assorbimento di carbonio (missing sink). In questa nota vengono descritte alcune
stazioni di misura degli scambi di carbonio e vapor d’acqua tra ecosistemi forestali e atmosfera realizzati
e gestiti dal CNR.
1 IL PROBLEMA SCIENTIFICO
Il rapido incremento della concentrazione di
anidride carbonica (CO2) nell’atmosfera, registrato a partire dalla metà del diciannovesimo secolo, ha indotto la comunità scientifica
a sviluppare metodi per determinare la dinamica del ciclo del carbonio globale. Nell’ambito del monitoraggio e delle ricerche sugli
ecosistemi forestali è fondamentale quantificare il bilancio netto tra l’assorbimento e l’emissione di carbonio e stimare, di conseguenza, il ruolo delle foreste quali possibili “assorbitori” di carbonio (carbon sinks).
L’accumulo di carbonio da parte di una foresta corrisponde alla sua produttività netta di
ecosistema (NEP), pari all’incremento di biomassa dei tessuti vivi, soprattutto legnosi, e di
sostanza organica del terreno (humus), nell’arco di un dato periodo di tempo, solitamente un anno; la misura della NEP di una foresta richiede quindi inventari successivi di
biomassa legnosa e di materia organica nel
suolo: tale tecnica, tuttavia, è limitata dalla
sua laboriosità e, aspetto non secondario, dal
fatto che è distruttiva. Ma poiché la NEP può
anche essere considerata pari alla fotosintesi
totale del bosco (GPP, Produttività Primaria
Lorda), durante lo stesso intervallo temporale, al netto della respirazione delle piante (au-
totrofa) e della respirazione eterotrofa, cioè
della decomposizione della lettiera epigea
(foglie e rametti) e ipogea (radici fini) e della
predazione da parte degli erbivori, la sua determinazione può essere ottenuta misurando i
processi di scambio gassoso (cioè la risultante tra fotosintesi e respirazione) tra copertura
forestale ed atmosfera.
Per quel che concerne il metano, non è ancora ben chiaro se le piante terrestri rappresentino una fonte per questo composto.
2 ATTIVITÀ DI RICERCA
Gli scambi di carbonio tra l’ecosistema forestale e l’atmosfera vengono ormai frequentemente misurati con la tecnica della correlazione turbolenta (eddy covariance). Il principio
alla base di questa tecnica è rappresentato dai
moti turbolenti (da qui il nome) di quella porzione di atmosfera chiamata Planetary Boundary Layer (PBL). Questi moti sono all’origine dei vortici d’aria che giocano un ruolo di
primo piano nel trasferimento di energia e materia. La tecnica eddy covariance, rispetto ad
altre tecniche micrometeorologiche, presenta
diversi vantaggi; è una misura in situ e non disturba l’ambiente al di sopra delle coperture,
consente di effettuare misure continue ed è relativamente indipendente dalle caratteristiche
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Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR
della superficie e dell’atmosfera (Baldocchi et
al. 1988, Valentini et al. 1991).
Essa ha le seguenti caratteristiche:
- consente la misura integrata degli scambi di
carbonio e vapore acqueo su un’area estesa
e quindi rappresentativa di aree forestali;
- fornisce stime di assorbimento del carbonio
(sequestration) senza essere distruttiva;
- può essere condotta su base temporale continua per una o più stagioni;
- è relativamente poco costosa.
Ovviamente presenta anche degli svantaggi:
- richiede una copertura abbastanza omogenea;
- non è sempre affidabile in condizioni di
forte stabilità atmosferica;
- non è sempre raccomandata in condizioni
orografiche complesse.
Negli ultimi anni in Italia sono state realizzate diverse stazioni di misura di flussi di carbonio, vapor d’acqua e energia tra foreste e
atmosfera; la prima è stata costituita, in collaborazione con il prof. Valentini del Dipartimento di Scienze dell’Ambiente Forestale e
delle sue Risorse, nella foresta sperimentale
di Collelongo (AQ), un ecosistema a faggeta
(Fagus sylvatica) dell’Appennino nell’ambito del Parco Nazionale d’Abruzzo e ormai
funziona continuativamente da oltre dieci anni (Matteucci et al. 1999). Oltre alla stazione
sperimentale di Collelongo, l’IBAF-CNR ha
realizzato e sta gestendo altre due stazioni di
rilevamento in bosco che hanno riguardato
una pineta di pino laricio (Pinus laricio) nel
bacino montano del Bonis, nel Parco Nazionale della Sila in Calabria (Marino et al.
2005, in collaborazione con l’U.O.S. di Rende dell’Istituto per i Sistemi Agricoli e Forestali del Mediterraneo del CNR) e una foresta
di querce caducifoglie (Quercus petraea, Q.
cerris) in Emilia, nel Parco Regionale dei boschi di Carrega (Sala Baganza, PR, in collaborazione con il Corpo Forestale dello Stato,
progetto CONECOFOR e l’Ente Parco). Queste stazioni, insieme ad altre realizzate da
Università e Istituti di ricerca, formano una
sofisticata ed estesa rete di rilevamento della
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funzionalità degli ecosistemi forestali che ha
consentito alla ricerca forestale italiana di assumere un ruolo di rilievo a livello europeo
favorendo anche la realizzazione di una rete
continentale di rilevamento denominata
CARBOEUROFLUX (Aubinet et al. 2000).
L’applicazione della tecnica eddy covariance
per la stima dei flussi turbolenti di carbonio e
vapore acqueo prevede l’installazione di una
serie di strumentazioni all’interno dell’ecosistema oggetto di studio. La stazione micrometeorologica è costituita essenzialmente da
due stumenti a risposta veloce, che consentono la stima diretta dei flussi di carbonio e di
vapore acqueo, e da altri sensori a risposta
lenta per la misura di diverse variabili di interesse micrometeorologico che integrano, e
consentono di analizzare, le informazioni fornite dalla misura dei flussi turbolenti. Le variabili micrometeorologiche più importanti
sono la temperatura e l’umidità del suolo (Ts,
Usoil), il flusso di calore nel suolo (G), la
temperatura dell’aria (Ta), la temperatura del
fusto delle piante (Tf), la densità di flusso totale di radiazione fotosinteticamente attiva
sopra chioma (QPPFD), la radiazione globale
(Rg), la radiazione netta (Rn), l’umidità relativa dell’aria (Uair), le precipitazioni e la
pressione atmosferica (P). I sensori che rilevano le variabili appena elencate sono dispositivi elettronici analogici il cui segnale di
output viene raccolto e digitalizzato da appositi data-logger.
Gli strumenti a risposta veloce sono l’anemometro ultrasonico, che rileva con frequenza
elevata le tre componenti della velocità del
vento e la temperatura sonica, e un analizzatore per la misura della concentrazione di una
o più specie chimiche di interesse fisiologico;
in questo studio le specie chimiche misurate
sono la CO2 e il vapore acqueo.
Una serie di pannelli solari collegati alle batterie poste in serie, forniscono l’energia elettrica continua necessaria per l’alimentazione
dei sensori; naturalmente quando il cielo è coperto per lunghi periodi i pannelli solari potrebbero non essere sufficienti e perciò si renderebbe necessario attivare un gruppo elettro-
Impatti dei cambiamenti climatici
geno per ricaricare le batterie.
Nelle nostre stazioni, l’anemometro ultrasonico è posizionato sopra le chiome delle piante (da 26 a 33 m, a seconda dell’altezza degli
alberi) e alla stessa altezza si trova l’estremità
del tubo di campionamento che, grazie ad una
pompa che funziona in aspirazione, convoglia
l’aria atmosferica fino all’analizzatore di CO2
e H2O. Un analizzatore di questo tipo, in cui
il gas atmosferico deve essere convogliato all’interno dello strumento per poter essere esaminato, è detto sistema a cammino chiuso
(closed-path). L’analizzatore produce un segnale elettrico analogico proporzionale alla
concentrazione dei gas campionati; questo segnale viene inviato all’anemometro ultrasonico che lo digitalizza e lo accoppia ai valori di
velocità del vento e di temperatura sonica, generando così un’unica stringa di dati. Quest’ultima viene inviata ad un data-logger o ad
un computer, impiegando il protocollo di comunicazione RS-232, o RS422 nel caso l’anemometro si trovi a grande distanza dal
computer. Il data-logger infine immagazzina
i dati sia nella propria RAM che su una scheda PCMCIA da 1 gigabyte; la fase di elaborazione è successiva allo scaricamento di questi
dati e avviene in laboratorio.
nalità è anche dovuta al fatto che le foreste
temperate, quali anche quelle italiane, sono
quasi tutte trattate selvicolturalmente e quindi
in fase di attiva crescita anche ad età prossima alla scadenza del turno selvicolturale. Infine, va sottolineato che alla fine del ciclo di
crescita del bosco gran parte della biomassa
legnosa prodotta verrebbe asportata nel caso
in cui il bosco sia sottoposto a trattamento
selvicolturale; pertanto il carbonio durevolmente immagazzinato dall’ecosistema rimarrebbe essenzialmente quello della sostanza
organica del terreno.
I risultati ottenuti, sia su base giornaliera (Fig.
1) che stagionale e di bilancio annuale, confermano la validità dell’approccio integrato
alla copertura forestale; questa può essere, infatti, considerata come un’unità funzionale
alla quale si possono applicare le diverse curve di risposta ai parametri ambientali già individuate per singoli tessuti e organi. Inoltre,
è stata dimostrata la possibilità di determinare direttamente la produttività primaria netta
degli ecosistemi forestali e di seguirne l’evoluzione stagionale. Queste informazioni sono
indispensabili per valutare il ruolo svolto dai
diversi tipi di foreste temperate nel ciclo globale del carbonio e, anche, le interazioni tra
foreste e cambiamenti climatici.
3 RISULTATI RILEVANTI
Sulla base di serie pluriennali di dati, la capacità di sequestrare carbonio da parte delle nostre foreste (NEP) è stata stimata intorno a 4
ton C ha-1 a-1, di cui il 60% nella biomassa legnosa e il resto come carbonio organico del
terreno. Le oscillazioni, da un anno all’altro,
della produzione netta di un dato ecosistema
sono molto ampie, anche del 50%, in funzione dell’andamento climatico; ovviamente,
notevoli sono anche le differenze di NEP in
funzione delle specie forestali che compongono il bosco e della fertilità stazionale (Valentini et al., 1996). Questi sono valori comunque elevati a scala mondiale e fanno ritenere
che le foreste temperate siano tra le più attive
nell’assorbimento di carbonio, per unità di
superficie del terreno. Questa elevata funzio-
Fig. 1: Andamento giornaliero degli scambi di CO2 con la
tecnica eddy covariance in una pineta di pino laricio, in
Calabria. I valori di scambio netto di CO2 (FC) sono riportati sull’asse delle ordinate di sinistra, mentre i valori
di radiazione fotosinteticamente attiva (PAR) sull’asse di
destra (da Marino et al. 2005).
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Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR
4 PROSPETTIVE FUTURE
5 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
In letteratura comunque non vi sono, ad oggi,
dati sufficienti sull’influenza delle condizioni
climatiche, dei tipi di foreste, dell’età dei soprassuoli forestali e della selvicoltura sul bilancio del carbonio degli ecosistemi forestali.
Ulteriori ricerche in questo campo potranno
fornire importanti informazioni circa gli effetti delle diverse tecniche selvicolturali sul
bilancio del carbonio ai fini di un’ottimizzazione del sequestro di CO2 e di altri gas serra
dall’atmosfera.
Gli obiettivi delle future attività di ricerca dovranno quindi prendere in considerazione i
seguenti aspetti riguardanti le alterazioni ambientali (disturbances) e gli interventi selvicolturali, anche mediante realizzazione di stazioni mobili di rilevamento di flussi gassosi
sopra foresta:
1. Confronto dei bilanci di carbonio in cronosequenze di diverse formazioni forestali mediterranee;
2. Realizzazione di stime su soprassuoli sottoposti a differenti tipi di governo e/o tecniche selvicolturali;
3. Stima del contributo delle diverse componenti del bilancio Ra ed Rh della cronosequenza;
4. Creazione di modelli ecologici per descrivere gli effetti delle attività selvicolturali
sull’ecosistema forestale.
Aubinet M., Grelle A., Ibrom A., Rannik U.,
Moncrieff J., Foken T., Kowalski A.S.,
Martin P.H., Berbigier P., Bernhofer C.H.,
Clement R., Elbers J., Granier A.,
Grunwald T., Morgenstern K., Pilegaard
K., Rebmann C., Snijders W., Valentini R.
e Vesala T. (2000). Estimates of the Annual Net Carbon and Water Exchange of
Forests: The EUROFLUX Methodology.
Advances in Ecological Research, 30,
113-175.
Baldocchi D.D., Hicks B.B. e Mayers, T.D.
1988. Measuring biosphere-atmosphere
exchange of biologically related gases
with micrometeorological methods. Ecology, 69: 1331-1340.
Marino C., Manca G., Matteucci G. e Scarascia Mugnozza G.E. (2005). Cambiamenti
climatici nel mediterraneo: un caso di studio sul ciclo del carbonio in una pineta
della Sila, Calabria. Forest@ 2, 52-65.
Matteucci G., De Angelis P., Dore S., Masci
A., Valentini R., Scarascia Mugnozza G.
(1999). Il bilancio del carbonio delle faggete: dall’albero all’ecosistema, in Ecologia strutturale e funzionale di faggete italiane, a cura di G. Scarascia Mugnozza,
Bologna, Edagricole, pp.133-183.
Valentini R., Scarascia Mugnozza, G.E., De
Angelis P. e Bimbi R. (1991). An experimental test of the eddy correlation technique over a Mediterranean macchia canopy. Plant Cell Environ. 14, 987-994.
Valentini R., De Angelis P., Matteucci G.,
Monaco R., Dore S. e Scarascia Mugnozza G.E. (1996). Seasonal net carbon dioxide exchange of a beech forest with the atmosphere. Global Change Biol. 2, 199207.
Le linee di ricerca avviate oltre 10 anni fa rimangono dunque a tutt’oggi perfettamente
valide. Esse verranno perseguite attraverso lo
sviluppo di metodologie sempre più innovative per lo studio dell’emissione e dei flussi di
BVOC dalla vegetazione terrestre.
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