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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DEL MOLISE
CAMPOBASSO, 17 Novembre 2016
Journée d’études
ROUTES DES HOMMES ET DES ANIMAUX
Réseaux européens de transhumance
Letizia BIndi, Università degli Studi del Molise – BIOCULT
Cammini di uomini, cammini di animali. Paesaggi culturali e naturali
della transumanza
In questo intervento introduttivo ai lavori del convegno intendo toccare il nesso
strutturale tra conservazione e valorizzazione ambientale e culturale contenuto
nei paesaggi del pastoralismo e della transumanza, con particolare, ma non
esclusivo riferimento al Molise, ma ritenendo che questa Regione possa
rappresentare uno dei luoghi
cruciali, sia sul piano territoriale che della
governance, di messa in atto di processi virtuosi e buone pratiche sia di recupero
delle attività allevatoriali transumanti come garanzia di salvaguardia e tutela
della biodiversità e tipicità locale, sia come grande opportunità di valorizzazione
degli spazi naturali e culturali. A partire da una ricerca svolta in questi ultimi anni
sia sulle cornici normative e politiche di tutela e valorizzazione possibile che sul
concreto perpetuarsi in alcune aree e comuni di attività di transumanza e/o di
alpeggio di notevole interesse, seppur residuali rispetto alla loro preponderanza
sino a qualche decennio fa, la mia attenzione si è piuttosto orientata alla
trasformazione e rifunzionalizzazione in chiave patrimoniale delle pratiche
pastorali accanto alle nuove esperienze e proposte in questo ambito che
denotano un crescente ritorno verso queste modalità di allevamento e relazione
uomo-animale più sostenibili e eque anche dal punto di vista delle nuove
sensibilità di tipo ecologista e animalista. Sul piano più strettamente patrimoniale
e turistico, infine, il tema dei cammini e dello slow tourism oltreché di un certo
approccio esperienziale alla vacanza trova negli spazi, un tempo dedicati e
segnati dal pastoralismo e dalla transumanza, una straordinaria risorsa
territoriale, culturale e umana. In tal senso lo studio di questa dimensione e
pratica nel tempo e nella contemporaneità apre anche scenari di grande
interesse in una nuova ottica di valorizzazione dei territori da essa interessati e
un’opportunità di gestione partecipativa, condivisa da parte delle comunità locali
di un’opera di salvaguardia e ‘presa in carico’ degli spazi comuni e delle vocazioni
territoriali che è di per sé un’indicazione sia culturale che politica di straordinario
interesse e su cui si è ritenuto e si ritiene fondamentale appuntare una puntuale
indagine etnografica.
Jean-Claude Duclos, conservateur honoraire
président de la Maison de la transhumance
du
Pourquoi défendre la pratique de la transhumance ?
patrimoine,
vice-
Assurer la vie du groupe en adaptant aux besoins des herbivores les paramètres
du climat, du sol et du couvert végétal, instaure, il y a quelque dix millénaires, un
mode de vie et une culture dont l’évolution et la diversification n’ont jamais
gommé le modèle de base : l’un des rares dénominateurs communs des peuples
de la Méditerranée. La vie, les besoins, les relations et les rythmes desquels elle
est tributaire, autant que ce qu’elle offre à l’individu, la sensation et la
conscience d’être en tant que personne et membre d’un groupe, sont autant de
composantes de ce dont est fait l’environnement, de ce qui le crée et le
conditionne. Le modèle de relation entre mode de vie et milieux de vie que
constitue la transhumance, de la plaine à la montagne, est l’un des meilleurs
moyens de le démontrer. Renouvelée périodiquement dans le déplacement, la
relation qu’entretiennent les pasteurs transhumants avec le monde constitue
alors la base d’une pédagogie riche d’enseignements et de prises de conscience
sur le rapport qu’entretiennent nos sociétés urbaines avec leur environnement.
Tel n’est pourtant qu’un aspect des fonctionnalités de cette pratique pastorale
qui sont aussi économique, environnementale et sociétale. Cette communication
tentera, en les développant, de démontrer pourquoi elle doit être défendue, non
comme une relique du passé mais comme un dispositif indispensable à l’équilibre
de nos sociétés et de leur environnement.
Patrick Fabre, directeur de la Maison de la transhumance
Comment défendre la transhumance ? L’exemple de la Maison de la
transhumance et de ses projets.
Fondée en 1997, l’association Maison de la transhumance réunit des éleveurs,
des experts de l’agriculture, de l’environnement et des sciences humaines, des
opérateurs culturels et des élus territoriaux, convaincus que l’avenir de la grande
transhumance ovine nécessite le concours et la synergie de toutes ces
compétences. Depuis juin 2012, la Maison de la transhumance est domiciliée au
domaine du Merle, au cœur de la plaine de la Crau d’où partent chaque été dans
les Alpes près de 150 000 brebis. Propriété de Montpellier SupAgro (Ecole
nationale supérieure d’agronomie), ce domaine est aussi un lieu de formation,
avec l’Ecole de bergers, et de contacts, bien connu des éleveurs de la Région
Provence-Alpes-Côte d’Azur. Un centre de ressources euro-méditerranéen sur la
transhumance, ainsi qu’un itinéraire pédagogique autour des questions de
l’élevage ovin transhumant, de la gestion de l’eau et de la production de foin, y
seront aménagés en 2017. La Maison de la transhumance porte également une
opération d’envergure, intitulée Pasteurs, paysages. Pastoralisme en ProvenceAlpes-Côte d’Azur, qui, au travers d’une publication, d’un colloque et bientôt
d’une exposition, vise à faire reconnaître la multifonctionnalité, économique,
environnementale et culturelle de l’élevage pastoral, et en apprécier la place en
Provence-Alpes-Côte d’Azur. Elle mène enfin, en partenariat avec l’Ecomuseo
della pastorizia (vallée Stura), la mise en œuvre d’un itinéraire agritouristique
intitulé La Routo. Sur les pas de la transhumance, qui, s’appuyant sur les
drailles reliant la Provence au Piémont, débouche aujourd’hui, autour du GR® 69,
sur des partenariats riches d’intenses échanges humains.
Aris Tsantiropoulos, University of Crete
Transhumance as an aspect of pastoralism in modern Crete (Greece):
Mapping the main routes of a social and cultural network
In this paper I will firstly present an image of pastoralism (sheep and goats) in
contemporary Crete, focusing on transhumance. According to official statistical
censuses, compared to other pastoral societies in Greece, the transhumance
pastoralism still persists in Crete until today (403 family corporations of
stockbreeders in 2013). In particular, I will present the main routes and directions
of this flock management practice pinpointing the local economical, ecological
and social factors which have effects on the formation of a specific transhumance
network On the other hand, Greek State and European Union’s Agricultural
Policies have influenced this network in new directions and transformations in
modern Crete. Last there will be a summary on the present data and the research
methods for collecting, organizing and analyzing them.
Lucidi A.1, Sarti F.M.2
1
CEDRAV (Centro per la Documentazione e la Ricerca Antropologica in Valnerina
e nella dorsale appenninica umbra)
2
Dip. Scienze Agrarie, Alimentari e Ambientali-Università degli Studi di Perugia
La Transumanza in Valnerina e nella Dorsale Appenninica Umbra
Lo sviluppo della transumanza fu determinato dalla straordinaria capacità
dell’uomo di saper sfruttare alcuni ambienti naturali dove non si poteva
sviluppare l’agricoltura, in modo che dei pascoli montani, inagibili d'inverno, ma
rigogliosi d'estate, e le erbose pianure del Lazio, della Toscana e delle coste
marchigiane, divenissero complementari, con lo scopo di trasformare
un’economia fino ad allora legata al piccolo allevamento stanziale, in
un’economia monetaria con considerevoli concentrazioni di animali.
La transumanza, però, non si sviluppò in modo omogeneo ed organico, quindi è
più corretto parlare di varie transumanze legate per ambiti geografici e sub-aree
storicamente affini. L’analisi dello sviluppo di un territorio è di conseguenza
strettamente legata alla sua storia ed al paesaggio agrario che centinaia di
generazioni di uomini hanno straordinariamente modellato. Solo così si può
comprendere la grande varietà di quadri paesaggistici presenti in questi luoghi
che derivano sempre dai modelli di sfruttamento della terra e delle sue possibili
risorse e quindi dal modello di sviluppo economico che una comunità vi impianta.
E quanto più l’uomo è capace di comprendere la caratteristiche naturali e
adattarvi le proprie attività produttive, tanto più lo sfruttamento del territorio
risulterà equilibrato e costruttivo.
Le greggi umbre non si spostavano percorrendo tratturi come tra l’Abruzzo e la
Puglia, perché le strade della transumanza erano essenzialmente le vie consolari,
la via Flaminia in particolare, che i greggi poi lasciavano per salire sul Monte
Subasio, sul Monte Pennino, sul Monte Penna, sui monti di Trevi e di Campello e
soprattutto sui Monti Sibillini.
Percorrendo oggi le vie della transumanza possiamo vedere il passaggio
dall’economia
chiusa
medievale,
con
la
forte
caratterizzazione
dell’incastellamento, alla successiva fase di sviluppo dell’agricoltura, con
dissodamenti, regimentazione delle acque, disboscamenti, impianti di nuove
colture e fondazione di nuovi agglomerati.
Lungo le vie della transumanza il cammino dei pastori conosceva molte soste,
ecco quindi che il percorso ci permette di conoscere preziose testimonianze di
arte sacra; le strutture di servizio, infatti, erano spesso chiese capaci di offrire
non solo sollievo spirituale, ma anche acqua per uomini e greggi, un sicuro
ricovero alle bestie ed un tetto per la notte ai pastori. Si sottolinea, inoltre, che la
transumanza con i suoi cicli di spostamento ha fortemente caratterizzato non
solo i territori, ma anche aspetti della vita sociale e culturale dei luoghi in cui si è
sviluppata. Da essa derivano quindi stili di vita, tradizioni culinarie, consuetudini
e manifestazioni che rappresentano il patrimonio culturale della dorsale
appenninica.
I pastori non furono, infatti, quegli analfabeti ed ignoranti che spesso la tradizione
descrive, ma nella maggior parte dei casi, sapevano leggere e scrivere e
possedevano un certo grado di cultura, conoscendo a memoria testi epici e
cavallereschi; l’allontanamento per molti mesi dalle proprie case comportava un
imprescindibile, ma necessario distacco dal luogo familiare che si trasformava in
un periodo di estraneamento durante il quale coltivavano la letteratura,
inventavano storie, compensavano la solitudine con fatti e luoghi immaginari: si
può quindi capire l’amore che molti pastori avevano per la poesia.
In ultimo, si può anche analizzare come imprenditori locali (Piscini e Rosi) abbiano
selezionato nel tempo le greggi contribuendo alla costituzione della pecora
Sopravissana che si originò nel 1700 quando alcuni arieti merinos Rambouillet
furono regalati al cardinale Adani che li inviò sull’Appennino marchigiano, vicino
alla città di Visso, dove furono utilizzati per incrociare la popolazione ovina locale
chiamata “Vissana”. La nuova razza si propagò anche in Umbria, Lazio, Toscana e
Abruzzo.
Per secoli questi tipi genetici hanno fortemente influenzato la connotazione
paesaggistica delle aree in cui venivano allevati ed anche i loro prodotti
acquistarono grande popolarità e tipicità.
Ma la storia di questa razza è stata scandita in maniera decisiva dall’evoluzione
che il mercato della lana, suo prodotto per eccellenza, ha subito nei secoli.
Nell’alta Valle del Nera gualchiere e lanifici erano attivi a Visso fin dal medioevo,
mentre ad Ussita fu impiantato nel 1460 un grande lanificio per dare lavoro alla
popolazione indigente.
Alla fine del Seicento si contavano a Norcia ben 17 lanifici che costituivano la
principale attività economica della città. Purtroppo i due terremoti che colpirono
l’Appennino umbro-marchigiano nel 1703 e nel 1730 in una micidiale sequenza
distruttiva, provocarono catastrofici danni e numerose vittime. Il “Pubblico
Lanificio di Norcia” cessò la sua attività nel 1850 e il distruttivo terremoto del
1859 pose fine all’industria laniera di Norcia.
Come spesso si è verificato per molte razze storiche italiane, anche questo tipo
genetico è stato quasi del tutto accantonato negli anni ’60 a causa della crisi
dell’industria laniera e la successiva introduzione d’incroci sporadici e disordinati
che hanno portato ad un forte inquinamento genetico.
Solo dal 2000 si sta cercando di riformare una consistenza tale che possa
giustificare la proposizione mercantile delle sue produzioni tipiche tantochè,
attualmente, la Sopravissana conta circa 5.000 capi e notevole e ampiamente
riconosciuta è la sua valenza sia in relazione alla tipicità dei prodotti (abbacchio,
formaggio romanesco, lana) che alla funzione di custode del territorio e delle
antiche tradizioni antropologiche e culturali.