BIOGRAFIE - Mondo Mostre

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BIOGRAFIE - Mondo Mostre
BIOGRAFIE
Max Beckmann
Lipsia, 1884 - New York, 1950
L’itinerario artistico e umano di Beckmann è la parabola esemplare della condizione di
un artista tedesco nei decenni tra le due guerre mondiali. Dopo una prima formazione
nell’Accademia di Weimar, il ventenne Beckmann soggiorna a Parigi e a Ginevra,
completando un intelligente aggiornamento sulle avanguardie del primo Novecento. Le
opere di questi anni giovanili mostrano vari esperimenti stilistici, dal tardo
impressionismo al realismo, ma sempre caratterizzati da un intenso segno grafico. Dopo
il 1906, anche in seguito al successo di una mostra personale, si trasferisce a Berlino,
dinamica capitale di una Germania in piena espansione, che corre verso la tragedia della
Prima Guerra Mondiale. Anche Beckmann, come Otto Dix, esprime attraverso
l’espressionismo la lacerazione fisica e morale della Germania sconfitta: peraltro, le
esperienze internazionali e i frequenti viaggi a Parigi spingono Beckmann a mantenere il
rapporto con altri movimenti contemporanei europei, come il cubismo e il “ritorno
all’ordine” degli anni Venti. Beckmann rende progressivamente meno aspro il suo
espressionismo, proponendo scene e personaggi dai volumi semplificati, monumentali, e
recuperando anche il gusto per il colore. Nel 1937, tuttavia, il suo percorso professionale
(era direttore dell’Accademia di Francoforte) ha una brusca interruzione: la sua arte
viene bollata come “degenerata”, e Beckmann è costretto a lasciare la Germania in
seguito alle persecuzioni naziste. Emigrato in Olanda durante la Seconda Guerra
Mondiale, si trasferisce infine negli Stati Uniti, dove dal 1947 alla morte insegna
all’università di Saint Louis.
Pierre Bonnard
Fontenay-aux-Roses 1867 - Le Cannet 1947
Nato nel 1867 da madre alsaziana e padre funzionario del Ministero della guerra, il
giovane Pierre compie studi secondari in legge. Dopo il diploma, abbandona però gli
studi legali per iscriversi all’École des Beaux-Arts. In contatto con Gauguin, Paul Sérusier
e Maurice Denis, forma con loro i “Nabis”, ma limitandosi agli aspetti stilistici, senza
lasciarsi coinvolgere negli slanci mistici di altri membri del gruppo. Abbandonato il
chiaroscuro e il gioco delle ombre caro agli impressionisti, dopo aver dipinto scene di
vita parigina Bonnard si concentra progressivamente sugli aspetti intimi e
apparentemente meno significativi della vita quotidiana: conversazioni in giardino, il
corpo della sua compagna, tavole modestamente apparecchiate, semplici paesaggi,
interni domestici come il bagno e la cucina. Con uno stile del tutto autonomo, Bonnard
utilizza una linea morbida e decorativa, che apre ai successivi sviluppi dell’art nouveau e
anticipa alcuni aspetti di Matisse. Dopo la guerra si stabilisce in Costa Azzurra, a Le
Cannet, dove trascorrerà tutto il resto della vita in una tranquilla solitudine creativa,
nella luce del Mediterraneo. Dopo aver giocato un ruolo da protagonista nel dibattito
sugli sviluppi del post-impressionismo e aver contribuito in modo significativo alle
riflessioni sul colore e sul disegno nell’arte che si apre al XX secolo, Bonnard compie la
consapevole scelta di non procedere lungo la strada dell’avanguardia, scegliendo una
poetica ricerca personale.
1 Carolus-Duran (Charles Émile Auguste Durand)
Lille 1837 - Parigi 1917
Dopo aver studiato disegno presso l’Accademia della città natale e aver compiuto un
periodo di apprendistato come allievo di François Souchon, decide di trasferirsi a Parigi,
e semplifica il proprio nome con lo pseudonimo di Carolus-Duran. Profondamente
influenzato dal realismo di Courbet, amico di Manet e di Fantin-Latour, Carolus-Duran
esordisce al Salon nel 1859. E’ l’inizio di una carriera di uno dei più apprezzati pittori
“ufficiali” dell’alta società parigina della Terza Repubblica, che affolla la sua bottega a
Montparnasse. Autore di ritratti e di brillanti scene di vita e di svago, Carolus-Duran
rappresenta il genere di pittore prediletto dal pubblico borghese e dai critici contrari
all’avanguardia: la sua pittura preziosa e rifinita risponde alla tradizione accademica,
rifiuta le semplificazioni degli impressionisti e non cerca mai ardite sperimentazioni. Un
successo che si rispecchia in una ininterrotta serie di riconoscimenti professionali e
onorificenze pubbliche: nel 1872 gli viene assegnata la Legion d’Onore; dal 1889 è
membro della giuria di ogni Esposizione Universale parigina; nel 1890 è tra i fondatori
della Societé Nationale des Beaux-Arts e dal 1905 è nominato direttore dell’Académie de
France a Roma.
Gustave Courbet
Ornans, 1819 - Vevey, 1877
Courbet segna la fine del romanticismo lirico, sognante e letterario: la sua pittura
propone, all’opposto, un’interpretazione diretta, forte e a tratti perfino brutale della
realtà. Una formazione irregolare e disordinata in provincia porta infine Courbet a
trasferirsi a Parigi nel 1840, e a frequentare intensamente le sale del Louvre. Courbet
studia i grandi pittori del passato, concentrandosi soprattutto su Rembrandt, la cui
conoscenza viene approfondita anche grazie a un viaggio in Olanda. Courbet è un artista
impegnato anche sul piano politico e sociale, tanto da partecipare da protagonista ai moti
del 1848: nascono in questo periodo scene di grandiose dimensioni, con gruppi di
personaggi in grandezza naturale. Courbet comprende una strada nuova: quella del
realismo. Anzi, in polemica opposizione con la cultura ufficiale, organizza mostre
personali in cui i suoi quadri grandiosi e dalle tinte scure, privi di qualunque
compiacimento mistico o patetico, descrivono in modo diretto la fatica quotidiana o
illustrano senza veli grandi nudi femminili. Molti di questi dipinti creano scandalo nei
critici e nel pubblico tradizionalista, ma per converso suscitano forte interesse fra gli
artisti. La vita di Courbet ha un ulteriore sussulto nel 1870, quando il cinquantenne
pittore partecipa ai moti della Comune di Parigi: arrestato dopo il fallimento
dell’insurrezione, viene condannato a sei mesi di prigione. Costretto a trasferirsi in
Svizzera, viene di nuovo processato nel 1874 e costretto a pagare un pesantissimo
risarcimento per aver fatto abbattere la colonna di place Vendôme: le sue opere vengono
messe all’asta. Si conclude così, con una nota personale che l’avvicina all’amatissimo
Rembrandt, la vita di un pittore “maledetto”, antiretorico e potente.
2 Edgar Degas
Parigi, 1834-1917
Figlio di un banchiere di nobili origini (il cognome dovrebbe essere scritto De Gas), il
giovane Degas frequenta l’École des Beaux-Arts e trascorre i pomeriggi al Louvre a
copiare i dipinti dei grandi maestri. Profonda è la sua conoscenza dei protagonisti del
Rinascimento italiano, soprattutto grazie ai ripetuti viaggi a Napoli, Roma e Firenze tra il
1854 e il 1859. Fedele a questa formazione classica, Degas non abbandonerà mai la
pratica del disegno e dipingerà sempre nell’atelier e non “en plein air”, come gli
impressionisti. D’altra parte, la passione per la fotografia lo porta a inquadrature e tagli
prospettici del tutto nuovi, ispirati alla casualità dell’istantanea. Amico di Manet e
sempre vicino al gruppo degli impressionisti (partecipa a tutte le esposizioni del gruppo)
Degas sceglie tuttavia una direzione indipendente, mostrando scarso interesse verso i
paesaggi e, invece, una grande attenzione verso le espressioni, i gesti, le emozioni delle
figure umane, soprattutto femminili. I suoi soggetti preferiti sono il mondo del teatro
(musicisti, cantanti e soprattutto ballerine) e quello delle corse ippiche. Durante la
guerra franco-prussiana subisce una lieve ferita a un occhio, un incidente
apparentemente di poco conto ma che in seguito si rivelerà invalidante. Tornato nella
sua Parigi dopo un viaggio a New Orleans (1873) Degas cambia l’ambiente sociale dei
suoi soggetti, e comincia a trarre ispirazione dalla vita quotidiana e disadorna di
lavandaie, cameriere e sartine in modesti appartamenti. Per progressivi malanni agli
occhi, che lo porteranno alla cecità, Degas rende la sua pennellata rapida, quasi
stenografica, per passare all’uso dei pastelli e giungere infine alla modellazione in creta e
in bronzo.
Maurice Denis
Granville, 1870 - Saint-Germain-en-Laye, 1943
Fondatore e spirito critico del gruppo dei Nabis, Denis associa l’attività di pittore con
quella di teorico e critico d’arte. L’esperienza decisiva nella sua è l’incontro con Gauguin,
Serusier, Bonnard e il critico Émile Bernard, nel 1888, a Pont-Aven. Denis abbandona le
premesse impressioniste del suo stile e sceglie superfici piatte, su cui i colori sono stesi
dentro zone definite da contorni netti. Nel manifesto del simbolismo Denis rammenta,
appunto, ai pittori che “un quadro, prima di essere un cavallo in battaglia, una donna
nuda, o un soggetto qualsiasi, è essenzialmente una superficie piana ricoperta di colori
sistemati in un certo ordine”. La semplicità dei temi della pittura dei Nabis, molto
differente dagli ambienti sofisticati di Parigi, l’uso di colori puri e gli accenti
moraleggianti: scene allusive e figure idealizzate pongono Denis e il suo gruppo alle
origini del simbolismo europeo. Sul finire del secolo, dopo un viaggio in Italia in cui
ammira la pittura dei maestri del Rinascimento, Denis si orienta verso una pittura di
impianto monumentale. Ritornato alla tradizione della grande pittura murale, realizza
vaste decorazioni ispirate da un misticismo cristiano, compiaciuto e intellettuale, legato
al filosofo Maritain. Animato da un cattolicesimo profondo, Denis fonda insieme a
Rouault gli “ateliers de l’art sacré”.
3 Otto Dix
Untermhaus, 1891 - Singen, 1969
Da ragazzo, Dix studia presso le scuole di arti decorative di Dresda e di Düsseldorf (19101914). Le opere giovanili appaiono estranee alle correnti d’avanguardia, e legate a una
formazione tradizionale, basata su un accurato disegno. Non sfugge, tuttavia, l’intensità
marcata degli sguardi e la nitida definizione delle sagome: un chiaro preannuncio della
futura svolta verso l’espressionismo. La chiamata alle armi per la Prima Guerra Mondiale
impone anche a Dix una profonda riflessione sul senso della vita e sull’arte: sconvolto
dalle piaghe fisiche e morali che si sono aperte nella società tedesca dopo gli orrori della
guerra, Dix elabora un mezzo espressivo in cui il più amaro realismo confina con
l’assurdo, la caricatura, il paradosso. Ai dipinti di denuncia si affianca un’intensa attività
ritrattistica, caratterizzata da un tratto grafico aguzzo e tagliente. Dix intanto recupera le
radici dell’espressionismo nell’antica tradizione pittorica tedesca: con Beckmann e Grosz
cui fonda nel 1924 il movimento chiamato “Neue Sachlichkeit” (nuova oggettività). Temi
prediletti di Dix sono la satira sociale e la denuncia della violenza, in un interessante
parallelo con i film di Fritz Lang e con gli esasperati cabaret berlinesi. La violente
polemica dei suoi dipinti non preclude però a Dix una carriera accademica, come docente
all’accademia di Dresda. Con l’avvento del nazismo, nel 1933, si chiude un’epoca. La
pittura di Dix viene dichiarata “arte degenerata” e antimilitarista: il pittore perde
ovviamente la cattedra e molte tele vengono bruciate in falò di piazza. Il pittore, accusato
di essere coinvolto in un attentato al Führer, viene arrestato e imprigionato a Dresda.
Scarcerato, nel 1935 riesce a passare la frontiera e a rifugiarsi sulla sponda svizzera del
lago di Costanza, dove dipinge paesaggi, con uno stile molto più pacato rispetto agli anni
berlinesi. Come veterano pluridecorato, nonostante sia vicino ai cinquant’anni allo
scoppio della Seconda Guerra Mondiale viene richiamato sotto le armi. Sarà catturato e
preso prigioniero dalle truppe francesi.
Raoul Dufy
Le Havre, 1877 - Forcalquier, 1953
Esponente storico dei fauves, Dufy si forma alla scuola municipale di Belle Arti nella città
natale di Le Havre. Nel 1900, grazie a una borsa di studio, si trasferisce a Parigi e decide
di iscriversi all’atelier di Bonnard. Qui studia la pittura impressionista e postimpressionista fino a che, nel 1905, si avvicina a Matisse. Nel Salon d’Automne del 1905
il critico d’arte Louis Vauxcelles, colpito dal contrasto fra una scultura di gusto
tradizionale e una pittura quasi selvaggia da parte di alcuni artisti, esclama sdegnato:
“Donatello in mezzo alle belve”. Nasce così l’appellativo “fauves”, cioè le belve, una delle
prime in ordine avanguardie storiche. In parallelo con i colleghi tedeschi della Brücke, i
fauves non considerano il quadro come decorazione, composizione, ordine, ma come
espressione di emozioni sulla tela. Dopo la breve ma decisiva esperienza fauve, Dufy
recupera la lezione di Cézanne, attraverso il filtro delle rivoluzionarie Demoiselles
d’Avignon dipinte da Picasso, e si accosta al cubismo. Tuttavia, la severa razionalità
delle immagini cubiste si scontra con il suo gusto per il colore e l’arabesco: Dufy esce così
dal flusso dei movimenti e delle correnti, proponendo una pittura rapida, squisitamente
ritmica. Stende sulla tela larghe zone di colore nella gamma dei blu, su cui stende una
elegante rete di minuziosi motivi ornamentali, analizzati in ogni dettaglio.
4 Paul Gauguin
Parigi 1848 - Isole Marchesi 1903
Pittore autodidatta, stralunato erede di una famiglia avventurosa, padre e marito
disordinato, sempre soffocato dai debiti e oppresso da una vita parigina da cui si sentiva
estraneo, Paul Gauguin è il protagonista di una straordinaria vicenda umana e artistica.
Prima di avvicinarsi alla pittura fa il marinaio e l’agente di cambio. Grazie al collega e
amico Émile Schuffenecker si appassiona all’arte, iniziando ad acquistare quadri e a
dipingere. Dal 1883, perso il posto di lavoro di impiegato, si dedica esclusivamente alla
pittura. Iniziano le sue peregrinazioni artistiche alla ricerca di una natura pura e di una
pittura nuova. Dopo aver lavorato come spalatore al canale di Panama, nel 1888 Gauguin
riunisce in Bretagna, a Ponte-Aven, un gruppo di artisti che prenderanno il nome di
“Nabis”, i profeti; alla fine dello stesso anno, il tentativo di un sodalizio artistico con Van
Gogh ad Arles si conclude in modo tempestoso. Nel 1891 Gauguin decide di partire verso
lontane isole del Pacifico, non corrotte dalla civiltà occidentale, con l’intenzione di
fondare una “scuola dei Tropici”. Nel 1895 si trasferisce definitivamente a Tahiti. Ormai
lontanissimo dal compiaciuto gusto degli impressionisti, Gauguin si sofferma in
contemplazione di forme pure e ridotte all’essenziale, quasi l’evocazione di un paradiso
perduto. L’ultima meta saranno le Isole Marchesi, dove Gauguin si spegnerà l’8 maggio
1903.
Henri Gervex
Parigi, 1852 – 1929
Dotato di una tecnica impeccabile e di un forte senso della realtà, Gervex è un artista di
grande successo internazionale, e senza dubbio uno dei pittori parigini più in voga nel
secondo Ottocento, Gervex è un artista: pur essendo amico di Manet e in contatto con
altri membri del gruppo, non entrerà mai far parte degli impressionisti. Anzi, la sua arte
rappresenta proprio quella pittura “ufficiale”, costruita e accademica, alla quale gli
impressionisti esplicitamente si opponevano. Esemplare in tal senso è la scelta di trovare
pretesti mitologici per i grandi nudi femminili dipinti negli anni Settanta (Satiro e
Baccante, Diana ed Endimione, e così via). Una decisione che viene rafforzata dallo
scandalo suscitato da Rolla (1878), un dipinto di nudo “moderno”, ispirato a un poema
di Alfred de Musset, che oggi viene considerato il capolavoro di Gervex per le stesse
ragioni di realismo, sensualità e dramma che all’epoca ne decretarono l’espulsione dal
Salon. Gervex raccoglie invece successi e consensi internazionali per la sua capacità di
narrare il proprio tempo con ricchezza di dettagli e con monumentale senso classico della
composizione. Una certa maggiore freschezza, grazie alla luce serena e ai colori vivaci, si
registra nei ritratti femminili della alta società. Oltre alle tele che rappresentano
situazioni parigine, importanti sono anche le imprese decorative nell’Università della
Sorbona e nel municipio del XIX arrondissement.
Juan Gris
Madrid, 1887 – Boulogne-sur-Seine, 1927
José Victoriano González-Pérez (questo il vero nome dell’artista), dopo aver studiato
disegno industriale a Madrid si trasferisce a Parigi nel 1906, in un momento di
straordinario sviluppo delle avanguardie. Simpatico ed estroverso, il madrileno entra in
rapporto con i movimenti e i protagonisti del rinnovamento artistico in atto: Matisse e i
5 fauves, Modigliani e l’ambiente di Montparnasse, ma soprattutto il connazionale Picasso,
arroccato a Montmartre insieme a Braque. Gris si accosta con convinzione al cubismo,
partecipando da protagonista al passaggio, negli anni della Prima Guerra Mondiale, dal
cubismo analitico (basato sulla struttura degli oggetti) al cubismo sintetico, con il
recupero del colore. In contatto con Le Corbusier, Gris adotta un sistema matematico e
geometrico rigoroso, che conferisce ai suoi quadri una meditata regolarità. Nel primo
dopoguerra Gris continua a risiedere in Francia, occupandosi anche di allestimenti
teatrali per la compagnia dei Balletti Russi. Muore a soli quarant’anni per una grave
malattia renale.
Erich Heckel
Döbeln, 1883 – Rudolfzell, 1970
Compagno di liceo di Schmidt-Rottluf e poi come lui studente di architettura a Dresda,
Heckel è perfettamente complementare all’amico. Quanto Schmidt-Rottluf è estroverso e
vivace, tanto Heckel è taciturno, ma dotato di uno spirito concreto indispensabile alla
formazione della Brücke: solo grazie alla sua capacità commerciale, infatti, il gruppo
riesce a organizzare circa settanta mostre in diverse città. Ed è sempre lui a occuparsi
dell’affitto degli spazi comuni a Dresda e a Berlino, e a curare le finanze del gruppo.
Heckel è un grande appassionato del colore, tanto da utilizzarlo anche nell’opera grafica:
netto è il contrasto tra le tinte chiare utilizzate a Dresda e quelle più cupe del periodo
berlinese. Dipinge volentieri en plein air, soprattutto in campagna, con una predilezione
per gli stagni nei pressi di Moritzburg, la località di Dangast e le spiagge del Baltico.
Dopo un importante viaggio in Italia, nel 1910 conosce “Siddi”, la ballerina Milda Frieda
Georgi, che diventa sua modella e poi sua moglie. Allo scoppio della guerra parte
volontario, e viene inquadrato sul fronte occidentale, in una compagnia di artisti che ha il
compito di illustrare le scene del conflitto: continua pertanto a dipingere (ritratti di
camerati, paesaggi dei campi di battaglia), ma ovviamente il suo stile diventa più cupo, e
non ritroverà mai più la vena degli anni della Brücke. Si stima che circa metà dei dipinti
degli anni 1905-1913 siano stati distrutti dall’iconoclastia nazista.
Vasilij Kandinskij
Mosca, 1866 - Neully-sur-Seine, 1944
La vita del fondatore dell’espressionismo astratto, uno dei più significativi e duraturi
filoni della pittura contemporanea, rivela aspetti sorprendenti. Kandinskij giunge infatti
molto tardi alla pittura. Brillante avvocato moscovita, studia quasi come hobby la cultura
popolare e ammira i dipinti impressionisti portati in Russia dai collezionisti. A
trent’anni, inaspettatamente, decide di rinunciare a una cattedra universitaria di
giurisprudenza per trasferirsi a Monaco di Baviera e studiare pittura. Come compagno di
accademia incontra Paul Klee, con cui stringerà più tardi un formidabile sodalizio. I
primi dipinti di Kandinskij sono ancora inseriti in una tradizione tardo-ottocentesca:
paesaggi e scene di vita popolare russa descritti con una tecnica che ricorda il
pointillisme, modulata su gradevoli toni art nouveau. Nel 1908 si ritira nella cittadina di
Murnau nelle Alpi bavaresi, alla quale dedica una serie di paesaggi dove l’immagine
naturalistica lasciare lascia progressivamente il posto a zone di colori contrastanti. È
possibile riconoscere paralleli con la coeva produzione dei fauves, ma l’evoluzione di
Kandinskij è rapidissima: già nel 1909 approda all’astrattismo, stendendo con grande
libertà gestuale e cromatica macchie e striature di colore sulla tela. Alla produzione
6 pittorica si affiancano saggi e scritti, che formano la base teorica per la nascita del
gruppo “der blaue Reiter” (il cavaliere azzurro), fondato nel 1911 a Monaco insieme a
Marc e a Macke. Nello stesso anno pubblica il primo importante trattato, “Lo spirituale
nell’arte”. Tornato a Mosca nel 1914, Kandinskij partecipa alla rivoluzione russa e viene
nominato professore nei laboratori artistici moscoviti, avviando ricerche costruttiviste.
Questa tendenza verso la ricerca di forme regolari e modulari, molto diverse rispetto agli
anni di Monaco, viene confermata dopo il ritorno in Germania (1922) e la partecipazione
al lavoro di Klee e del Bauhaus di Weimar. I dipinti di Kandinskij appaiono d’ora in poi
geometrizzanti, ma non rinunciano mai all’intensa poesia del colore. Dopo la
pubblicazione dell’importante volume Punto, linea, superficie (1926) prosegue il
rapporto fra Kandinskij e il Bauhaus. Con la salita al potere del nazismo, il “bolscevico”
Kandinskij lascia la Germania, per trascorrere gli ultimi anni di vita nei dintorni di
Parigi.
Ernst Ludwig Kirchner
Aschaffenburg, 1880 - Davos, 1938
Fondatore del gruppo die Brücke, Kirchner è forse il più esplicito e coerente interprete
del movimento espressionista tedesco. L’esordio di Kirchner come pittore è quasi
casuale: studente di architettura a Dresda, studia nei musei i dipinti del Rinascimento
germanico (Cranach, Dürer) ma anche le sculture lignee africane e le stampe giapponesi,
oltre ad alcune opere di Munch e Van Gogh. Un materiale figurativo che ha come
denominatore comune la forzatura della realtà e l’intensa carica del tratto grafico,
semplificato e drammatico. Nel 1905, Kirchner raccoglie alcuni giovani compagni di
studi e fonda die Brücke, un movimento artistico e una rivista di tendenza in cui si
raccolgono scritti e incisioni. Kirchner è l’animatore del gruppo: dipinge paesaggi e
ritratti, sempre accesi di colori e caratterizzati da energiche deformazioni espressive. Nel
1911 si trasferisce a Berlino e la sua attenzione di pittore si sposta sui passanti, sui
paesaggi urbani e sui personaggi che compongono il variegato panorama sociale
berlinese, sagome allampanate trattate con contorni secchi e angolosi. Kirchner è
l’interprete nervoso di una metropoli in piena espansione, di una società frenetica
eppure affascinante. Nel maggio del 1913 un suo scritto causa il brusco scioglimento del
gruppo. Kirchner parte volontario per la guerra, ma il servizio al fronte dura solo circa un
anno. Congedato per ragioni di salute (manifesta sintomi di paralisi nervosa e di manie
di persecuzione) Kirchner passa attraverso vari sanatori, fino ad approdare nella pace
montana di Davos, nei Grigioni, dove si concentra sul paesaggio delle alpi e dei boschi,
accentuando ulteriormente le dissonanze del colore e del segno. Cercherà più volte di
affacciarsi di nuovo sulla scena artistica tedesca; ma alla fine, la condanna delle sue
opere da parte del nazismo lo porta alla estrema decisione del suicidio, con un colpo di
pistola.
Oskar Kokoschka
Pöchlarn (Austria Inferiore), 1886 - Villeneuve, 1980
Protagonista della stagione più intensa dell’espressionismo austriaco, Kokoschka
esordisce come allievo e seguace di Klimt nel movimento della Secessione viennese.
Peraltro, seguendo le indicazioni dell’amico architetto Adolf Loos e l’esempio di correnti
internazionali (soprattutto i fauves e le avanguardie tedesche), già durante il primo
decennio del XX secolo Kokoschka affronta più convinto l’impegno artistico
7 e letterario nell’espressionismo. Importanti opere teatrali, penetranti ritratti e dipinti di
forte accensione cromatica scandiscono l’intensa attività di Kokoschka negli anni intorno
alla Prima Guerra Mondiale, da lui combattuta in prima linea, con due ferite e varie
decorazioni sul campo. Al termine della guerra si trasferisce a Dresda, dove fino al 1924
insegna all’Accademia di belle Arti. Pur inserito in una continua rete di rapporti con altri
pittori contemporanei, grazie anche ai frequenti viaggi di aggiornamento e di studio,
Kokoschka rappresenta un caso isolato. Alcuni caratteri della sua arte, come la ripresa
della flessuosa pennellata della pittura barocca austriaca, lo distinguono nettamente dai
vari gruppi e avanguardie dell’espressionismo internazionale. Nel corso degli anni venti
Kokoschka abbandona i temi di maggiore intensità, come i ritratti psicologicamente
investigati, per opere di grande formato, prevalentemente vedute di città. Nonostante la
ritrovata pacatezza, la sua pittura viene bandita dal regime nazista. Nel 1934 ripara a
Praga, a Londra e infine in Svizzera, dove esegue le ultime opere, animate da una vena
sarcastica, tragica e amara. Muore a Montreux il 22 gennaio 1980.
Henri Matisse
Le Cateau, 1869 - Cimiez, 1954
Il lungo percorso di Matisse, uno dei massimi protagonisti nell’arte del XX secolo, è di
assoluta singolarità, ma anche di grande coerenza, grazie alla intensità di un colore
inondato di luce e sorretto da un senso lirico della linea. Nella sua formazione gioca un
ruolo importante la frequentazione dell’atelier parigino di Gustave Moreau dove
apprende che il colore “deve essere pensato, sognato, immaginato”. Abbandonata la
carriera giuridica, decide di studiare arte a Parigi. Dopo una prima mostra personale,
nell’estate del 1905 lavora a Collioure insieme ad André Derain, e nell’ottobre, tornato a
Parigi, espone i suoi lavori al Salon d’Automne, dando vita al movimento fauve, risposta
mediterranea, tutta luce e colore, al contemporaneo espressionismo tedesco. Tra il 1906
ed il 1912 Matisse compie tre viaggi in Africa settentrionale: l’incontro con l’arte islamica
lo spinge ad inserire nei suoi quadri elementi decorativi, mentre la luminosità del
Maghreb rende ancora più limpidi i suoi colori. Durante la prima guerra mondiale
Matisse ripara a Collioure, dove conosce Juan Gris, grazie al quale si avvicina allo stile
cubista. Nel dicembre del 1917 Matisse si reca per la prima volta a Nizza: il clima mite e
l’ambiente rilassante lo convincono a stabilirsi in costa Azzurra: ormai è un pittore
affermato, che espone con successo nelle maggiori gallerie. Sulla sua tavolozza ritornano
i colori chiari e gioiosi, le linee curve morbide e sinuose e la serena gioia di vivere del
periodo fauve. Alla fine degli anni Trenta riprende ad esercitarsi con le nature morte e
collabora a scenografie e a costumi teatrali. Negli stessi anni approfondisce l’uso della
tecnica dei papier découpés, collages di tempere ritagliate. Un vero testamento spirituale
è la decorazione della cappella del Rosario delle suore domenicane a Vence: dipinta a
ottant’anni, quando ormai Matisse è costretto dall’artite su una sedia a rotelle, con i
pennelli legati a lunghe canne di bambù, la cappella è un inno alla luce e alla gioia di
vivere.
Paula Modersohn-Becker
Dresda 1876 – Worpswede, 1907
Paula Becker (Modersohn è il cognome del marito Otto, sposato nel 1901, anch’egli
pittore) è un’artista dalla vita breve e intensa, conclusa a soli trentun anni, poco dopo la
nascita della figlia Matilde. La sua attività si divide tra la zona di Brema, nel nord della
8 Germania, e Parigi, dove si reca più volte alle soglie del Novecento. Il punto di
riferimento principale è il primitivismo, rivisitato con raffinata intelligenza alla luce di
Gauguin, di Van Gogh e di Cézanne. A partire dal 1897, Paula è insieme al poeta Rainer
Maria Rilke la principale animatrice del gruppo di artisti e intellettuali che si ritrova a
Worpswede, un piccolo centro rurale non lontano da Brema. Seguendo il modello
francese di Barbizon o di Pont-Aven, gli intellettuali riuniti a Worpswede cercano un
modello di vita semplice e diretto, rifiutando le auliche lezioni delle accademia. Paula
Modersohn-Becker offre un contributo fondamentale, grazie a una straordinaria capacità
creativa. Il suo soggetto preferito è la figura umana (spesso anzi l’autoritratto o il tema
profetico della maternità), interpretata in forme ampie e ben definite, e con una
tavolozza di colori vivaci.
Amedeo Modigliani
Livorno, 1884 - Parigi, 1920
Figlio di un toscano e di una francese, Modigliani si forma nelle accademie di Firenze e di
Venezia, ma tutta la sua breve carriera di pittore si svolge a Parigi, che comincia a
frequentare nel 1905 e in cui si stabilisce definitivamente nel 1909. Persino nel
soprannome francese di “Modì” Modigliani incarna la figura dell’artista “maudit”,
maledetto, costantemente alla ricerca di una irraggiungibile forma espressiva e di un
equilibrio personale soddisfacente. Sullo scenario di una Parigi minore, negli edifici
fatiscenti di Montparnasse, avvolto dai fumi della droga e dell’alcol, Modigliani è uno dei
più grandi e poetici maestri del primo Novecento in Europa. La sua formazione italiana,
anzi toscana, si manifesta nel rigore assoluto e purissimo del disegno e nell’esaltazione
della figura umana. Pur conoscendo perfettamente i cubisti, il livornese non appare mai
particolarmente attratto dalla razionalità della loro visione: affascinato, semmai, dalla
semplicità sintetica della scultura negra, dal tocco nervoso di Toulouse Lautrec e dalle
opere di Brancusi, Modigliani limita per alcuni anni la sua produzione pittorica per
dedicarsi alla scultura, che tuttavia dovrà abbandonare per ragioni di salute. Sollecitato
dal mercante Zborowski, dal 1915 al 1920 (quando muore a soli trentasei anni)
Modigliani torna alla pittura e produce circa trecento oli, quasi tutti ritratti.
L’inconfondibile allungamento delle figure esalta l’eleganza solitaria e leggera dei
personaggi, mentre le espressioni sono rese con una penetrante semplicità. Portato per
natura a non legarsi a correnti o avanguardie, Modigliani resta un grande isolato, pur
legandosi ad artisti internazionali (come Chagall o Soutine) che condividevano con lui
l’origine ebraica.
Claude Monet
Parigi, 1840 - Giverny, 1926
Nato a Parigi, Monet trascorre l’adolescenza a Le Havre, in Normandia: il suo primo
maestro paesaggista è Eugène Boudin, dal quale apprende il gusto per la pittura del mare
e delle acque in generale, con tutti i suoi cangianti, mutevoli effetti. La passione per i
riflessi della luce sull’acqua accompagnerà Monet tutta la vita, al punto da costruire un
atelier galleggiante su una barca. Rientrato a Parigi nel 1859, Monet abbandona ben
presto i corsi accademici , preferendo gli scambi di idee con Pissarro e lo studio dell’arte
di Courbet. Appassionatosi alla pittura di paesaggio en plein air, insieme agli amici
Renoir e Sisley dà vita a un movimento di idee e di entusiasmi nuovi. Senza ricorrere a
un “manifesto” o a dichiarazioni teoriche, Monet pone le basi per una delle più profonde
9 svolte nell’arte. É lo stesso Monet a ispirare il nome del movimento, quando, in
occasione della prima mostra collettiva (1874), per intitolare un suo dipinto suggerisce:
“Scrivete: Impression”. Durante gli anni settanta e nel decennio successivo Monet
alterna scene di vita parigina con paesaggi sempre più deserti, insistendo nella ricerca di
effetti di colore. Il rapporto tra l’artista e la natura, vissuto con passione attraverso il
filtro del colore, diventa predominante quando Monet decide di lasciare Parigi e di
muoversi fra Argenteuil, Londra, Rouen, Venezia, Bordighera, per fermarsi infine in
campagna, a Giverny, nella casa immersa in un curatissimo giardino. Ritirato in una
solitudine creativa, tormentato dalle malattie agli occhi, isolato da un mondo che non è
più il suo, lontano dal susseguirsi delle avanguardie, appena sfiorato dall’ipotesi
dell’astrattismo, Monet dipinge insistentemente l’ondeggiare delle ninfee nello stagno,
concentrandosi su questo soggetto durante tutta la sua ultima, lunga stagione, dal 1909
fino alla morte nel 1926.
Emil Nolde
Nolde, 1867 – Seebüll, 1956
Il vero cognome del pittore era Hansen, di chiara origine scandinava: dopo una
giovinezza girovaga tra Germania, Svizzera e Danimarca, il pittore lo sostituirà con il
nome della cittadina natale a partire dal 1902, quando si trasferisce a Berlino. Figlio di
contadini, pittore autodidatta, Nolde è un artista autonomo e libero, capace di tradurre
in colori e pennellate slanci mistici, tensioni esistenziali, brevi spazzi di felicità.
Disegnatore di mobili, arrotonda il salario vendendo cartoline illustrate con immagini
delle montagne svizzere. Dopo un soggiorno di studio a Monaco di Baviera e poi a Parigi
(1899), sceglie la strada della pittura. Fin dall’inizio, i quadri di Nolde presentano i
caratteri che distingueranno il suo stile lungo tutta la vita: forme ridotte e semplificate,
sagome grandiose, colori violentissimi, un senso magico e mistico della natura. Nel 1906
Nolde è a Dresda, dove la moglie Ada è ricoverata in sanatorio: l’intraprendente
Schmidt-Rottluf lo invita a far confluire le sue “tempeste di colore” nel gruppo della
Brücke. Nonostante la differenza d’età e il temperamento solitario, inaspettatamente
Nolde accetta. E’ un contatto breve ma decisivo: Nolde dipinge paesaggi, ritratti, interni
di caffé e cabaret, impara da Kirchner la tecnica della xilografia, trascorre le vacanze
insieme a Schmidt-Rottluf in una capanna di pescatori sull’isola di Alsen nel Baltico. Nel
1913 Nolde riprende la sua strada individuale; si imbarca verso l’Estremo Oriente, in una
spedizione che tocca Cina, Corea, Giappone e Nuova Guinea: si consolida il suo
sentimento per una relazione diretta, “primitiva”, con la natura e con il divino. Nel primo
dopoguerra Nolde diventa un personaggio conosciuto, ma dal 1927 preferisce ritirarsi
nella solitaria casa di Seebüll, quasi al confine con la Danimarca, dove dipinge quadri
pieni di forza e di colore. Nonostante la sua vita appartata, viene perseguitato dalla
cultura nazista (circa 1000 sue opere sono espulse dai musei), tanto da essere a lungo
dimenticato, per venire riscoperto solo negli anni Cinquanta.
Max Pechstein
Zwickau 1881 – Berlino 1955
Unico tra gli esponenti del movimento espressionista “die Brücke” a compiere studi
accademici di pittura, Pechstein propone un tratto più morbido, in dialogo con i fauves,
conosciuti grazie a un soggiorno a Parigi e al costante desiderio di un confronto
internazionale. Entrato a far parte della Brücke nel 1906, grazie all’amicizia con Heckel,
10 nel 1908 è il primo a lasciare Dresda e a trasferirsi a Berlino, convincendo gli amici a
seguirlo. Attratto dalla vita naturale, sceglie i suoi soggetti preferiti, paesaggi e nudi
all’aria aperta, animati da una furia dionisiaca e sensuale, in ambienti incorrotti dalla
civiltà, nella ritrovata unità tra uomo e natura. Proprio il contrasto tra questi sentimenti
e l’aggressiva Berlino, metropoli del Secondo Reich, spinge Pechstein a rendere concreto
il sogno di una immersione in un mondo “primitivo”: nel 1914 si imbarca per le
lontanissime isole di Palau, in Micronesia. Lo scoppio della guerra lo coglie nell’esotico
paradiso del Pacifico: internato dall’esercito giapponese, viene fatto rientrare in
Germania in modo avventuroso, per essere immediatamente arruolato e spedito al fronte
occidentale. Il contrasto tra le sognanti atmosfere di Palau e l’atrocità della guerra è
sconvolgente, tanto che Pechstein viene congedato nel 1917, in piena crisi esistenziale.
Insieme agli amici di sempre, come Heckel e Schmidt-Rottluf, cercherà in seguito di dare
vita a nuovi movimenti artistici (nel 1920 si iscrive al Novembergruppe e partecipa al
dibattito sul ruolo dell’arte nella società e, dal 1922, è membro dell’Accademia di
Berlino), ma gli anni felici della Brücke non torneranno più. Nel 1933, con l’avvento del
Nazismo, è destituito dall’Accademia: ben 326 suoi dipinti espulsi come “degenerati” dai
musei tedeschi e distrutti.
Pablo Picasso
Malaga, 1881 - Mougins, 1973
Figura chiave dell’arte del XX secolo, Picasso mostra un’impressionante prontezza nel
mettere in discussione il proprio stile, attraverso esperimenti, movimenti d’avanguardia,
clamorose proposte. Dalla formazione artistica condotta in Spagna riceve una perfetta
conoscenza delle tecniche espressive. Nell’anno 1900 comincia a frequentare Parigi, che
diventerà la sua nuova patria. La carriera di Picasso si apre con il “periodo blu” (19011904), la prima delle ricorrenti fasi di rilettura dell’arte classica che nella sua carriera si
alternano con i periodi di più coraggiosa avanguardia. I soggetti e i personaggi della
patetica commedia umana (gli arlecchini, gli artisti del circo) ritornano anche nel
successivo “periodo rosa” (1905-1906), con punte di raffinatissimo, aristocratico
disincanto. Inserito in una trama di amicizie letterarie e artistiche (Gertrude Stein,
Matisse), nel 1907 rimane profondamente influenzato dalla vista delle bagnanti e dei
paesaggi di Cézanne: Picasso avvia la rigorosa scomposizione dell’immagine lungo le
linee della geometria solida, semplificando contorni e volumi con la totale abolizione
degli effetti atmosferici di luce e ombra. Il “Bateau Lavoir”, l’atelier di Montmartre che
Picasso divide con Braque, diventa il luogo di nascita del movimento cubista. Nel 1909,
con l’eliminazione delle linee curve e la riduzione del colore alla semplice gamma dei
grigi, Picasso porta il cubismo a un’estrema purezza intellettuale, fino ai limiti
dell’astrazione, per recuperare in parte la riconoscibilità degli oggetti nella successiva
fase del “cubismo sintetico”. A causa della guerra si trasferisce ad Avignone. È il
presupposto per una fase di recupero classico degli anni venti, ribadito da un importante
viaggio in Italia, in cui un disegno quasi accademico si sposa con le forme compatte del
cubismo. Negli anni trenta lo scoppio della guerra civile in Spagna impone a Picasso
scelte radicali: militante antifranchista, diventa direttore del Museo del Prado e, nel
1937, riprende e accentua le linee scheggiate e drammatiche del cubismo per dipingere
Guernica, forse in assoluto l’opera d’arte più nota dell’interno Novecento. Tornato nella
Francia meridionale, dal 1947 si dedica con particolare impegno alla ceramica. Ormai
figura mitizzata, Picasso ha un’intensa attività pubblica. La sua ricerca più
profondamente pittorica si concentra sulla rilettura di celebri capolavori del passato e sul
tema prediletto del rapporto fra il pittore e la modella.
11 Camille Pissarro
Saint-Thomas, Antille, 1830 - Parigi, 1903
Esponente fedele e convinto del movimento impressionista, Pissarro trova la propria
vena migliore in paesaggi agresti e vedute cittadine, di brillante resa atmosferica. Nato
nelle Isole Antille, dove la sua famiglia si era stabilita in cerca di fortuna, l’artista si
trasferisce a Parigi nel 1855. All’iniziale influsso del realismo di Corot e della scuola di
Fontainebleau si sostituisce, intorno al 1861, il più stimolante contatto con Manet e
Cézanne, con i quali partecipa a una storica esposizione al Salon des Refusés nel 1863.
Pissarro dichiara di voler eliminare dai suoi paesaggi il nero e le ombre scure: per questo
lascia Parigi per la campagna, trasferendosi prima a Pontoise e poi a Louveciennes. Dopo
il 1870, quando l’iniziale compattezza del gruppo degli impressionisti comincia a
mostrare qualche incrinatura, Pissarro si sente il custode dello spirito iniziale. Persino
l’aspetto fisico, con un folta e lunga barba bianca, favorisce la sua immagine di bonario
patriarca del movimento. Contrario agli esperimenti stilistici (a parte un periodo di
contatto con il divisionismo), il tradizionale Pissarro diventa un importante punto di
riferimento per i giovani artisti. I paesaggi rurali degli anni sessanta lasciano
progressivamente il posto a vedute urbane, culminate nelle ampie tele dei boulevard,
dipinte dopo il ritorno a Parigi nell’ultimo decennio del secolo. La carriera di Pissarro si
conclude in modo coerente con gli esordi, nella perseverante pratica impressionista, con
colori tratti direttamente dalla vita e luci vibranti.
Pierre-Auguste Renoir
Limoges, 1841 - Cagnes-sur-Mer, 1919
Penultimo di sette figli di una famiglia di artigiani, Renoir entra nel mondo dell’arte
attraverso un percorso umile, paragonabile a quello di un apprendista del Rinascimento.
Prima di iniziare a dipingere su tela, infatti, il giovane Renoir è impegnato come
decoratore nelle manifatture di ceramiche e di tessuti. Compagno di studi di Monet e di
Sisley all’École des Beaux-Arts, soffre per il soffocante accademismo dell’insegnamento,
in contrasto col realismo professato da Courbet e con gli sviluppi della pittura di
paesaggio. Spinti insieme a dipingere en plein air, Renoir e i suoi compagni cominciano
a schiarire la tavolozza e a lasciarsi ispirare direttamente dalla realtà, sia per quanto
riguarda i soggetti sia nella scelta dei colori e dei toni. Renoir ama soprattutto dipingere i
luoghi e le figure delle uscite domenicali della piccola borghesia parigina: balli all’aria
aperta, ritrovi, gite in barca o fra i parchi della Senna. Partecipa con entusiasmo alla
memorabile esposizione presso Nadar del 1874, dimostrando di essere anche un
eccellente ritrattista, particolarmente felice nella rappresentazione di giovani donne
e di bambini. Il suo modo di dipingere i volti è molto caratteristico, con una luce
splendente che accentua lo sguardo e le labbra, lasciando quasi neutro il trattamento del
resto del viso. Il Ballo al Moulin de la Galette (1876, Parigi, Musée d’Orsay) è
giustamente diventato un simbolo della “joie de vivre” parigina.
L’anno 1881 segna un significativo punto di svolta nella carriera di Renoir. Un lungo
viaggio in Italia centrale e meridionale lo mette in contatto con la pittura rinascimentale,
spingendolo a larghe composizioni di volumi (specie corpi femminili, sempre più spesso
nudi e di ampie proporzioni, quasi rubensiani), con un colore che è sempre
luminosissimo ma meno brillante e leggero. In anni avanzati, Renoir continuerà a
dipingere inni alla gioventù e alla bellezza delle donne, nella luce abbagliante della Costa
Azzurra, nonostante una forma progressiva di artrite lo costringe su una sedia a rotelle,
con il pennello legato alle dita.
12 Georges Rouault
Parigi, 1871-1958
Nato in una cantina di Parigi nei giorni drammatici della Comune, Rouault sembra
averne ricavato il presagio per una pittura oscura e solitaria. La sua formazione avviene
alla scuola di Gustave Moreau, insieme a Matisse. Le sue iniziali esperienze di pittore di
vetrate sono all’origine di alcune peculiarità della sua pittura, quali la luminosità
notturna dei fondi e soprattutto il segno nero che contorna le figure, definendone con
perentorietà le forme essenziali, come avviene nelle coeve avanguardie
dell’espressionismo. All’inizio del Novecento, Rouault si avvicina temporaneamente al
gruppo dei fauves: ma ben presto si allontana dalla vivacità cromatica di Matisse e
restringe la sua tavolozza a pochi colori cupi (nero, grigio, terra), ravvivati da improvvisi
squarci luminosi, talvolta caricati di significati simbolici. Dal punto di vista artistico,
Rouault fa genericamente parte della École de Paris, ma resta sostanzialmente isolato. Al
contrario, importanti sono i contatti culturali con il mondo cattolico. Decisivo è
l’incontro, nel 1911, con il filosofo Jacques Maritain, che sollecita Rouault a una
interpretazione originale dei tradizionali temi religiosi, tanto da farne il maggior pittore
di arte sacra del nostro secolo. Dopo il 1930 la tensione drammatica di Rouault si attenua
a favore di un maggiore equilibrio formale.
Karl Schmidt-Rottluff
Rottluf, 1884 - Berlino, 1976
Vivace, pieno di iniziative, aperto a nuovi incontri e ricerche: Karl Schmidt è il più
giovane del gruppo che proprio a una sua intuizione e a una citazione tratta da Nietzsche
prende il nome di die Brücke, il ponte. Schimdt è uno dei cognomi tedeschi più diffusi, e
per distinguersi Karl ha aggiunto il riferimento alla cittadina natale, in Sassonia. Dopo
una formazione come architetto, insieme a Kirchner e a Heckel partecipa alla fondazione
del movimento die Brücke (Dresda, 1905). Nel 1911 il pittore (che compie anche opere di
grafica e di scultura) si trasferisce a Berlino, e la sua arte diventa ancor più brutale, quasi
naïf: caratteristici di questo periodo sono i paesaggi carichi di colori accesi e i ritratti,
esenziali ed efficaci. Affascinato dalla pennellata drammatica di Van Gogh e dalla
sintetica semplificazione formale dell’arte africana, Schmidt-Rottluff è sempre portato a
concepire l’immagine come incastro di volumi architettonici. Dopo i felici anni della
Brücke, viene la chiamata alle armi e la guerra combattuta sul fronte russo:
dall’esperienza come soldato ricava una nuova tensione religiosa e, negli anni successivi,
una sorta di immagine mistica della vita contadina. Anche la sua arte verrà considerata
“degenerata” dal nazismo; per di più, il suo studio berlinese, dove si accumulavano
centinaia di dipinti e disegni, verrà devastato dai bombardamenti.
Vincent Van Gogh
Groot Zundert, 1853 - Auvers-sur-Oise, 1890
Figlio di un pastore protestante, è avviato agli studi teologici. Nel 1869 inizia a lavorare
in una ditta di mercanti d’arte, prima all’Aia, poi nella filiale londinese e infine a Parigi
fino al 1875, quando viene licenziato. Dopo ripetuti quanto inutili tentativi di un nuovo
inserimento nel mondo del lavoro, decide, nel 1878, di dedicarsi alla predicazione
evangelica tra i minatori della regione del Borinage, in Belgio. Qui matura la sua
vocazione per la pittura: Van Gogh fissa con aspra essenzialità i volti segnati dal dolore e
13 dalla fatica delle famiglie che trascorrono la vita nella dura realtà delle miniere di
carbone. Nella sua prima produzione di accentuato contenuto sociale è evidente
l’ascendenza del realismo della seconda metà dell’Ottocento. Nel febbraio del 1886,
chiamato dal fratello Theo, Van Gogh torna a Parigi, dove è acceso il dibattito sugli
sviluppi dell’impressionismo e sulle novità nella scienza del colore. Van Gogh entra nella
parte più caratteristica della sua folgorante parabola umana e artistica. Nel 1888 si
stabilisce ad Arles, in Provenza, dove resta abbagliato dalla luce del Mediterraneo e il suo
entusiasmo per la natura si esprime con pennellate separate e dense di colore,
fondamento decisivo per gli sviluppi internazionali dell’espressionismo. Ad Arles lo
raggiunge Gauguin, con l’intento di lavorare insieme, ma il rapporto tra i due pittori dura
solo pochi drammatici mesi. Tormentato da ricorrenti accessi di ansietà e attacchi di
violenza diretti contro se stesso, Van Gogh decide di farsi curare presso il sanatorio di
Saint-Rémy. Il suo lavoro diventa febbrile, appassionato: in ogni soggetto, ma prima di
tutto negli autoritratti, riversa tutto il dramma della sua complessa vicenda esistenziale.
Nel maggio del 1890 lascia Saint-Rémy per Auvers-sur-Oise, dove è ospite del dottor
Gachet. Dopo un breve periodo di ripresa, comincia ad avere sempre più frequenti
attacchi di angoscia, che si manifestano in una pittura visionaria di una violenza senza
precedenti. Nel luglio dello stesso anno, in un campo di grano maturo inondato di sole,
l’artista si uccide con un colpo di pistola.
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