Musica - Festival Pianistico Internazionale di Brescia e Bergamo
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Musica - Festival Pianistico Internazionale di Brescia e Bergamo
ques Brel, Edith Piaf, Leo Ferré, oltre a tanghi provenienti da tutto il mondo, eseguiti in lingua spagnola, portoghese, tedesca ed inglese: si è trattato di un percorso non poco affascinante, teso tra passato e presente, storicamente imperniato su uno dei periodi più drammatici della storia europea, culminante nella tragedia della Seconda Guerra Mondiale e del secondo dopoguerra, tra speranze di rinascita, abbandoni esistenzialistici e nostalgie per un mondo irrimediabilmente perduto. L’interpretazione squisitamente Triade classica-alternativa al Festival Pianistico Internazionale di Brescia e Bergamo. Nel cartellone di quest’anno, accanto a Haydn e Mozart non figura Beethoven, bensı̀ l’outsider Muzio Clementi, rilanciato come « uomo e artista da scoprire ». Si coglie, in questa operazione di recupero, un desiderio a suo tempo condiviso dai due padri fondatori della prestigiosa rassegna: il pianista Arturo Benedetti Michelangeli e il direttore artistico Agostino Orizio. Negli anni ’60 Michelangeli aveva accarezzato il sogno di promuovere un concorso pianistico internazionale intitolato a Clementi, da realizzare in collaborazione con la Rai. Lo stesso Orizio, che in gioventù aveva spesso eseguito in concerto alcune Sonate del compositore italiano, era entusiasta dell’idea, ma il progetto incontrò sul proprio cammino troppi ostacoli. Quest’anno, invece, la musica di Clementi è entrata nei programmi di numerosi concerti, oltre a coinvolgere in uno speciale progetto alcuni dei migliori allievi dei Conservatori delle due città lombarde. « Clementi – ha spiegato Piero Rattalino il 30 aprile nel Salone da Cemmo del Conservatorio di Brescia – nel 1784 lasciò Londra, dove viveva stabilmente da qualche anno, per un affare di cuore. A Lione aveva conosciuto la figlia di un banchiere, innamorandosene all’istante. Pare (anche se la vicenda non è del tutto chiara) che il musicista abbia rapito la ragazza per portarla con sé in Svizzera, ma il padre di lei raggiunse gli amanti fuggiaschi sepa- cameristica, tipica del cabaret berlinese, offerta dalla Lemper con la ben nota verve e versatilità, è culminata in momenti di rara intensità e toccante partecipazione emotiva, dando vita ad un vero e proprio crescendo emozionale: assolutamente straordinaria l’abilità della cantante nel tradurre in versione jazzistica molti lavori presentati e nel dar vita ad effetti timbrici strumentali a dir poco virtuosistici (memorabile un brano senza parole con la voce tesa ad imitare la tromba e il sassofono), cosı̀ come particolarmente toccante è stata la personale adesione ai contenuti di alcune celebri pagine (culminante in una assorta versione di Lili Marlene e nella straordinaria Avec le temps di Ferré, oltre ad alcuni successi della Piaf). Tale risultato – accolto dal pubblico con vere e proprie ovazioni – è stato ottenuto anche grazie al sempre puntuale accompagnamento dei due strumentisti, il notevole Vana Gierig al pianoforte e Victor Hugo Villena al bandoneón. Claudio Bolzan Brescia, Festival Pianistico Internazionale, 29-30 aprile, 2 e 10 maggio CLEMENTI Sonata in fa minore op. 13 n. 6; Sonata in re maggiore op. 40 n. 3 pianoforte Ilia Kim CLEMENTI Sonata in re maggiore op. 25 n. 6; Sonata in si bemolle maggiore op. 24 n. 2; Sonata in si minore op. 40 n. 2 pianoforte Mauro Bertoli CLEMENTI Sonata in sol minore op. 34 n. 2; Sonata in fa diesis minore op. 25 n. 5 fortepiano Alexander Melnikov MOZART Concerto in do minore per pianoforte e orchestra K 491 pianista David Fray Filarmonica del Festival, direttore Pier Carlo Orizio La Filarmonica diretta da Pier Carlo Orizio randoli per sempre ». Da questo stato di afflizione, paragonabile a quello di un Romeo allontanato da Giulietta, potrebbe essere nata la Sonata in fa minore op. 13 n. 6. « Quando Horowitz – ha proseguito Rattalino – negli anni ’50 incise un disco dedicato a Clementi, dichiarò che le Sonate dell’italiano erano superiori a quelle di Mozart, ma non fu preso sul serio dalla critica. Venne anzi accusato di avere indebitamente romanticizzato Clementi ». E se invece l’intuizione di Horowitz fosse quella giusta? Uomo dalla personalità artistica complessa e sfuggente, musica 277, giugno 2016 17 Clementi dimostra, con quel poco che si conosce della sua biografia e con il molto che si può intuire dalle sue numerose opere, di essersi brillantemente integrato nella società londinese del suo tempo, in una upper class colta, moderna, raffinata, sportiva e anche molto libertina. Interpretare oggi la musica di Clementi significa, come ha mirabilmente dimostrato tra gli applausi la pianista Ilia Kim, affrontarla con fuoco, con passione, con accentuazione dei contrasti e delle sonorità per trovare la voce originale di un autentico co-protagonista del periodo classico, ben al di là dell’immagine soltanto parziale e riduttiva di padre della didattica pianistica. Molto Clementi anche nel programma tutt’altro che standard affrontato dal pianista Mauro Bertoli, cui quest’anno è stato assegnato il Premio « Arturo Benedetti Michelangeli » per giovani interpreti. Iniziando il recital con la bella Sonata di Haydn Hob. XVI/37, il solista ha subito còlto lo spirito dell’opera buffa nel primo movimento e di una profonda interiorità nel Largo. Di Clementi sono state scelte tre Sonate: leggera la prima (op. 25 n. 6), più nota la seconda (op. 24 n.2,) anche per la suggestiva premonizione del tema dell’Ouverture del Flauto magico di Mozart, affascinante la terza (op. 40 n. 2) per il suo ambizioso patetismo, sottolineato dalle dissonanze iniziali e da indicazioni espressive già proprie dell’età romantica. In tutte queste pagine Bertoli ha evidenziato una mirabile varietà di tocco unita a matura padronanza della forma. Non poteva mancare in questo Festival sul classicismo un viaggio negli incanti sonori dell’antico fortepiano. Il pianista russo Alexander Melnikov ha tenuto il suo recital su uno strumento molto simile a quelli dell’epoca di Clementi. Si trattava, per l’esattezza, di un fortepiano realizzato da Christoph Kern su un modello viennese di Anton Walter datato 1795, munito di ginocchiere al posto dei pedali. Melnikov, attaccando con gravi e arcani rintocchi il Largo introduttivo della Sonata op. 34 n. 2 di Clementi, ha immediatamente fatto capire quanto le sonorità dell’antico strumento, di primo acchito stranianti, diano fascino e sapore ai passi più espressivi della musica del tardo Settecento. Nelle sue esecuzioni molto musicali si sono apprezzati forti contrasti dinamici, pianissimo improvvisi (davve- Milano, Teatro alla Scala, 10 maggio 2016 PUCCINI La fanciulla del West B. Haveman, R. Aronica, C. Sgura, C. Bosi, G. Sagona, A. Luongo, M. Ciaponi, G. Breda, C. Finucci, E. Giannino, K. Adam, F. Verna, R. Dal Zovo; Orchestra e Coro del Teatro alla Scala, direttore Riccardo Chailly regia Robert Carsen scene Robert Carsen, Luis Carvalho costumi Petra Reinhardt Era molto attesa e, giustamente, molto pubblicizzata (anche da noi: vedi il pezzo a pagina 32 dello scorso numero di MUSICA) questa nuova produzione scaligera della Fanciulla che riportava la partitura alla sua versione originale, prima degli interventi di Toscanini in materia di orchestrazione, e ripristinava anche i tre brevi tagli divenuti poi consueti: e se né della breve scena fra Minnie e l’indiano al primo atto o delle poche battute aggiuntive prima di « Ch’ella mi creda » serberemo un ricordo imperituro, l’aggiunta, nel 18 duetto finale del primo atto, di un intenso brano in cui Minnie racconta la dura vita dei minatori, è davvero significativa ed emozionante. Riccardo Chailly firma uno dei suoi maggiori capolavori professionali, ponendosi senza difficoltà in testa all’ipotetica classifica dei direttori che hanno affrontato la Fanciulla: vuoi per i tanti dettagli orchestrali diversi in virtù della nuova partitura, vuoi – e secondo me in misura maggiore – per un lavoro di concertazione sbalorditivo, ascoltiamo una lettura di incredibile asciuttezza, al musica 277, giugno 2016 ro rapinosi), momenti soffusi e passi di agilità brillante. Tra gli interpreti che invece si sono cimentati col sempreverde Mozart, si è particolarmente distinto il pianista francese David Fray, protagonista di una prova molto convincente al Teatro Grande nel Concerto in do minore K 491 di Mozart. In questo capolavoro spetta all’orchestra tenere le fila del discorso musicale, mentre il solista è chiamato a interagire e integrarsi con finezza, sovente in un atteggiamento non eroico, bensı̀ pensoso e riflessivo. Ed è appunto ciò che Fray ha accuratamente realizzato, con magnifica sensibilità stilistica, riuscendo nello stesso tempo a tener sempre desta l’attenzione degli ascoltatori con improvvise fiammate sonore, per esempio nello sviluppo e nella ripresa del primo movimento. Oppure nella stessa Cadenza (non scritta da Mozart), caratterizzata da un avvio travolgente, per giusta compensazione, ed un seguito mutevole fino allo squillante culmine del trillo. Note positive anche da parte della Filarmonica del Festival, molto attenta e concentrata sotto la direzione di Pier Carlo Orizio. Marco Bizzarini pari di quella celebratissima di Mitropoulos ma, al contrario del direttore greco, il Maestro milanese è meno passionale e più trasparente, analitico, bravissimo nello schivare come la peste la tentazione di cedere alla « grande melodia », rifugio del puccinismo più deteriore ma lontanissima dal Puccini più vero. Intendiamoci: la sua orchestra « canta » sempre, ma lo fa con misura ed equilibrio, e con un senso della narrazione che è addirittura mozzafiato: si ascolti l’incredibile climax di tensione che porta all’apertura, nel secondo atto, di « Io non ti lascio più ». E anche la delibazione preziosissima della ricchezza timbrica non è mai l’esibizione di virtuosismo fine a se stesso, ma l’applicazione chiara e coerente di un’idea teatrale: e questo dall’inizio alla fine, con un piccolo cedimento