LT.2016-17 Erec. Interpretazione - Università del Salento

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LT.2016-17 Erec. Interpretazione - Università del Salento
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Hartmann von Aue e il romanzo Arturiano1
I. Hartmann e il suo tempo
Hartmann von Aue fu uno dei tre più grandi poeti epici della letteratura tedesca medievale intorno
al 1200: Hartmann von Aue, Wolfram von Eschenbach, Gottfried von Straßburg. Fu Hartmann von
Aue che, da primo, rese noto il re Artù in Germania.
Hartmann si presenta come Hartman von Ouwe, Der von Ouwe, Der Ouwære nei suoi testi. “Von
Aue” esprime un’indicazione del luogo d’origine o dei signori ai quali Hartmann prestava servizio.
Infatti, si chiama anche dienestman ze Ouwe, cioè “ministeriale” dei signori Von Aue che sono da
ricercare nell’Alemannia sud-occidentale, molto probabilmente nei pressi di Freiburg (Friburgo) im
Breisgau. Questi signori Von Aue facevano parte dei ministeriali del duca di Zähringen che faceva
parte, assieme ai Guelfi e Staufer, delle famiglie più nobili della Svevia. Avevano legami stretti con
la Francia e favorivano la produzione di letteratura cortese.
Hartmann si chiama anche ritter (‘cavaliere’), cioè uomo del mestiere delle armi, ma, nello stesso
tempo geleret (‘dotto, erudito’), cosa che, nei tempi di Hartmann, è una combinazione insolita e
allude al contrasto fra chevalerie e clergie con il quale gioca anche Chrétien de Troyes, il poeta
modello di Hartmann.
La formazione di Hartmann consiste nel saper leggere e scrivere e, in più, aver accesso alla
letteratura latina, cioè la cultura scritta dei libri. Avrà saputo anche il francese.
Hartmann tradusse due romanzi arturiani di Chrétien de Troyes in tedesco: Érec et Énide e Yvain ou
le chevalier au lion. Entrambi raccontano la storia di una coppia, un cavaliere e la sua dama, che
vivono un matrimonio difficile e si riconciliano nel lieto fine. Non sappiamo se questa scelta
tematica risale a Hartmann o al suo mecenate. Oltre ai romanzi cortesi, Hartmann scrisse due
racconti brevi in versi: Il povero Enrico e Gregorio, poi il Libro del lamento (dibattito fra cuore e
corpo sul servizio d’amore) e 18 canzoni d’amore. È impossibile stabilire una cronologia assoluta.
Hartmann ha lavorato fra il 1180 e il 1210 ca. La sua prima opera fu il Erec.
II. La tradizione manoscritta dell’Erec
Nel caso dell’Erec, la questione dell’autenticità del testo è un problema particolarmente grosso.
Possediamo solo un unico manoscritto che ci tramanda il testo quasi completo. Si tratta di un codice
del XVI secolo, quindi, scritto ben più di 300 anni dopo la stesura del testo dalla mano dell’autore.
È il famoso Ambraser Heldenbuch (Libro degli eroi, di Ambras) (A), scritto per incarico
dell’imperatore Massimiliano I. negli anni 1504-1516 in Tirolo, dallo scriba Hans Ried:
(A) Wien, Österreichische Nationalbibliothek, Cod. ser. Nova 2663, fol. 30rb-50vb.
Pergamena, V + 238 foll., 46 x 36 cm; 3 colonne di 68 righe ca.; versi continui, ma separati da punti
sopra la riga. Inizi di nuovo passo marcati da lombarde in rosso e blu.
Contenuto:
Ia parte fol. 1ra-50vb: raccolta di 7 testi cortesi, con focus sulle opere di Hartmann von Aue.
IIa parte fol. 51ra-214vc: ampia raccolta di testi epici eroici.
IIIa parte fol. 215ra-233vb: raccolta di testi epici brevi.
IVa parte 234ra-237vc: Wolfram von Eschenbach, Titurel; Lettera del Prete Gianni
Dialetto: bavarese meridionale
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Le riflessioni seguenti, se non indicato diversamente, sono prese da: J. Bumke, Der “Erec” Hartmanns von Aue. Eine
Einführung, de Gruyter: Berlin, New York 2006.
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Oltre a A esistono 4 frammenti dell’Erec:
(K) Koblenz, Landeshauptarchiv, Best. 701 Nr. 759,14b
Pergamena, 1a metà del XIII sec., 1 foglio doppio, 22,5 x 15,1 cm; 1 colonna a 35 righe; versi
continui, ma separati da punti. Inizi di nuovo passo marcati da lombarde in rosso e blu.
Contenuto: Erec, vv. 7522-7705 e 8436-8604
Dialetto: francone-renano
(V) St. Pölten (fino al 1997: Wien), Niederösterreichisches Landesarchiv, Hs. 821
Pergamena, fine del XIV sec., 1 foglio doppio, 33,9 x 24,5 cm; 1 colonna a 45 righe, di cui 31
scritte; versi continui, ma separati da punti; inizi di una coppia rimata in maiuscole.
Contenuto: Erec, vv. 10047-10135
Dialetto: bavarese-austriaco
(W) Wolfenbüttel, Herzog-August-Bibliothek, Zu Cod. Guelf. 19.26.9 Aug.4°
Pergamena, 1a metà del XIII sec., 3 fogli doppi incompleti, ca. 21-22 x 13-14 cm; una colonna a 23
righe; versi continui, ma separati da punti; spazi vuoti per lombarde agli inizi di nuovo passo e
all’interno del testo.
Contenuto:
fol. III-VI: 317 versi, più o meno congruenti con mscr. A, dall’ambito dei versi 4549-4832.
fol. I/II: 157 versi di un testo indipendente da A, più vicino alla versione di Chrétien.
Dialetto: tedesco medio-bassotedesco
(Z) Stift Zwettl, Stiftsbibliothek, Fragm. Z 8-17
Pergamena, 1a metà del XIII sec., resti di un foglio doppio in forma di 10 pezzi di dimensioni
diverse; versi continui, ma separati da punti;
Dialetto: tedesco medio-bassotedesco
I frammenti W e Z sono legati fra di loro attraverso il dialetto comune e una rima particolare in fine
di un passo. Di più, il loro testo mostra una vicinanza più stretta con il testo di Chrétien. Tutte
queste caratteristiche suggeriscono che la versione di Z e di W I/II risalgono a un unico autore che
non era Hartmann von Aue.
Infine, nel Friedrich von Schwaben (‘Federico di Svevia’) (FvS), un romanzo d’amore della prima
metà del XIV sec., si trovano citazioni dal Erec, cioè in cinque luoghi del FvS sono stati inseriti
versi dell’Erec, lievemente elaborati a seconda del nuovo contesto.
La scarsa tradizione manoscritta dell’Erec non è spiegabile e non sta in nessuna relazione
ragionevole con la recezione vivace dell’Erec nel XIII / XIV sec. - l’Erec fu un testo molto noto e
apprezzato come risulta da citazioni e menzioni in opere di altri poeti - né va d’accordo con l’ampia
tradizione dell’Iwein (32 mscr.). Forse si tratta di un puro caso. Più probabilmente, però, esisteva
una antica tradizione mansocritta che si diffuse immediatamente dopo la stesura ancora nel XII
secolo e si interruppe presto. Non sappiamo perché. Il motivo per questa idea è l’organizzazione
codicologica di tutti i frammenti, cioè scrittura in una colonna con versi continui. Ci sono indizi per
pensare che addirittura il modello di Hans Ried fosse un manoscritto di questo tipo. Più tardi, nel
XIII sec., l’organizzazione del codice cambia: il testo viene scritto in 2 colonne e i versi cominciano
sempre a capo.
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'Erec'
Handschriften
A - Wien, Österreichische Nationalbibliothek, Cod. vindob. ser. nova 2663,
BL. 30rb-50vb
K - Koblenz, Landeshauptarchiv, Best. 701 Nr. 749,14
V - Wien, Niederösterreichisches Landesarchiv, Nr. 821
W - Wolfenbüttel, Herzog-August-Bibliothek, Zu Cod, Guelf. 19.26.9 Aug. 4°
Z - Zwettl
FvS - Im >Friedrich von Schwaben< (Exzerpte)
Il modello dell’Erec del mscr. A e il valore di A per il lettore
Quale modello ha utilizzato Hans Ried quando all’inizio del XVI sec., probabilmente nel 1505,
copiava l’Erec di Hartmann von Aue? Il modello di Hans Ried fu molto probabilmente un
manoscritto assai antico e già difettoso. Nel Ambraser Heldenbuch, l’inizio dell’Erec, cioè il
prologo e l’inizio del racconto, mancano. Altre lacune si trovano nel corso del testo, precisamente
dopo v. 4317 e un’altra dopo v. 4629. Fortunatamente possono essere “riempite” tramite materiali
dei frammenti W.
Molto particolare è l’inizio dell’Erec nella versione di A. Il testo comincia sul fol. 30rb in mezzo di
una frase che prende il suo inizio da un altro testo, cioè dal racconto Der Mantel (‘Il mantello’) che
precede l’Erec in A e si interrompe con proprio questo brusco cambio all’Erec. Ovviamente, per
Hans Ried i due testi Der Mantel e Erec apparivano già nel suo modello come un’unità e li copiava
nella convinzione di scrivere un unico romanzo. Questo fatto risulta anche dal titolo che Hans Ried
diede a questo testo combinato all’inizio del Mantel: annuncia un romanzo che racconta di re Artù e
tre cavalieri della sua tavola rotonda, Galvano, Keie e Erec. Anche la posizione dell’Erec nel A
parla in favore dell’idea che Hans Ried prese la combinazione di Mantel + Erec per un’unica opera,
cioè l’Erec di Hartmann von Aue: l’Erec segue immediatamente le altre opere di Hartmann e forma
con loro una raccolta dell’œuvre dell’autore Hartmann von Aue nel manoscritto di Ambras.
La combinazione di Mantel + Erec risale, quindi, molto probabilmente al modello di Hans Ried e
esisteva già nel XIII sec. Il Mantel racconta una prova di castità alla corte di re Artù che
compromette una dama dopo l’altra. Anche questo racconto ha una fonte francese: Du mantel
mautaillé. La versione tedesca, però, ha cambiato il racconto francese a un punto decisivo: nel testo
francese, l’unica dama che supera la prova è Galeta, l’amica di Carados. Nel testo tedesco, invece,
la vincitrice è Enite, moglie di Erec - una coppia che non esiste nel testo francese. Ovviamente,
l’anonimo traduttore del Du mantel mautaillé conosceva l’Erec di Hartmann e vide in Enite, che
subito all’inizio vince il premio della bellezza, una eroina degna del suo testo dove la inserì, cosa
che portava a una fusione di Mantel e Erec. Possibile è anche l’ipotesi che un redattore dell’Erec
prese il Mantel, lo rielaborò e lo adattò al suo testo, cioè l’Erec, per creare un testo combinato.
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Come sia, il modello di Hans Ried fu un Erec assai elaborato e modificato, con un nuovo “inizio”,
cioè il Mantel, con parecchie carenze nel suo testo. Questo significa che il mscr. A, l’unico
abbastanza completo che possediamo, è una versione redatta riguardo sia la quantità sia la qualità di
quell’Erec che aveva in mente Hartmann von Aue. Oltre alla redazione sommaria abbiamo a che
fare con la copia di Hans Ried. Lo scriba lavorava abbastanza attentemente e copiava il suo modello
fedelmente. Solo che si trovava davanti a un testo antico (formulato ca. 300 anni fa) in una lingua
per Ried poco comprensibile. In più, non era un esperto nel genere letterario del romanzo arturiano
come risulta dalla deformazione totale dei nomi propri con i quali, ovviamente, non sapeva cosa
fare. Hans Ried “correggeva” il suo modello linguisticamente, secondo il suo proprio dialetto, il
tirolese del XVI sec. e sostituiva parole e fraseologismi antichi con formulazioni moderne, e quando
veramente non capiva, saltava parole e passi incomprensibili. Oltre a queste “correzioni”
consapevoli esistono ancora i semplici errori meccanici che deformano il testo in alcuni passi.
Insomma, il valore di A è altissimo perché ci conserva la più grande quantità del testo, è mediocre,
invece, se si guarda la qualità. Ma solo tre dei quattro frammenti tramandono un testo che
corrisponde per lo più con la versione di A.
Una seconda versione dell’Erec
Nel 1978 un altro frammento dell’Erec fu scoperto e pubblicato dal medesimo mscr. di
Wolfenbüttel (W) in cui già nel 1898 frammenti del nostro testo erano venuti alla luce (W II).
L’analisi filologica della nuova scoperta portava al risultato che i nuovi frammenti di W I (fol. I/II)
non si basavano sul testo di Erec come lo conosciamo da A, ma su una versione diversa. Infatti,
nessun verso di W I corrisponde letteralmente con il verso rispettivo di A. Inoltre, il testo di W I sta
molto più vicino al modello francese. Questi risultati significano che nel XIII sec. giravano due
redazioni diverse dell’Erec oppure addirittura i poemi di due autori diversi che entrambi
utilizzavano il testo di Chrétien come modello. Non sappiamo in quale distanza di tempo nacquero
le due versioni.
La opinio communis vede nel testo di A che è confermato tramite i frammenti K, V e W II, il
romanzo di Hartmann von Aue, mentre in W I si trovano i pochi resti di una nuova elaborazione del
romanzo di Chrétien, post-Hartmanniana e in dialetto medio-tedesco.
La discussione filologica intorno all’Erec si svegliò di nuovo con la scoperta dei frammenti di
Zwettl (Z). Nonostante lo stato di conservazione sia pessimo, Z testimonia la medesima versione di
W I. Con ciò cresce la probabilità che il romanzo francese Erec et Enide di Chrétien de Troyes sia
stato tradotto e elaborato in lingua tedesca due volte, da Hartmann von Aue in una versione assai
“libera” con l’interpretazione propria e una traduzione fedele da uno sconosciuto.
III. L’edizioni dell’Erec
Vista la tradizione manoscritta, l’editore dell’Erec non ha grande scelta. Può fare nient’altro che
pubblicare il manoscritto A. La sua unica libertà d’azione consiste nella decisione con quanta
fedeltà seguire la copia di Hans Ried, cioè parola per parola oppure applicare qualche
“emendazione”, e come correlare i frammenti con il testo di A. Però, anche se i problemi della
critica di testo sono pochi, l’edizione dell’Erec non nacque sotto una buona stella.
La prima edizione di Moritz Haupt del 1839 e soprattutto la sua seconda edita in collaborazione con
Karl Lachmann del 1871 fu la base e il punto di partenza per ogni lavoro scientifico sull’Erec.
Erec. Eine Erzählung von Hartmann von Aue. Herausgegeben von MORITZ HAUPT, Leipzig 1839; 2. Auflage
1871.
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Haupt non aveva visto l’originale di A, ma solo una copia difettosa, e, cosa ancora più grave, aveva
ri-tradotto il tedesco protomoderno di Hans Ried in un presunto altotedesco medio dei tempi di
Hartmann, un procedere che cambiava profondamente non solo la struttura fonetica delle parole, ma
in tanti casi i lessemi stessi (p.e. la negazione del atm. si distingue abbastanza da quella moderna, lo
stesso vale per le congiunzioni). Di più, Haupt emendava il testo tramite congetture dove gli
sembrava erroneo.
Il primo che utilizzava in autopsia il manoscritto di Ambras fu Albert Leitzmann. Nella sua
edizione del 1939 riuscì a correggere le congetture di Haupt in tanti passi, ma aggiunse altre sue.
Erec von Hartmann von Aue. Herausgegeben von ALBERT LEITZMANN, Halle a.d.S. 1939.
Tutte queste congetture sono presenti fino ad oggi, nella sesta edizione del 1985, che è considerata
l’edizione valida e autorevole dell’Erec.
Hartmann von Aue, Erec. Herausgegeben von ALBERT LEITZMANN, fortgeführt von LUDWIG WOLFF. 6. Auflage
besorgt von CHRISTOPH CORMEAU und KURT GÄRTNER (ATB 39), Max Niemeyer: Tübingen 1985.
Cosa leggiamo in questa edizione, però, non è il testo di Ambras e ancor meno il testo di Hartmann,
ma una ri-traduzione di A in un altotedesco medio normalizzato, mentre il contenuto è variato da
una lunga serie di congetture. Un primo passo verso un recupero del testo di A fece Manfred G.
Scholz.
Hartmann von Aue, Erec. Herausgegeben von MANFRED G. SCHOLZ. Übersetzt von Susanne Held (Bibliothek des
Mittelalters 5), Deutscher Klassiker Verlag: Frankfurt a.M. 2004.
Nella stessa direzione, con un recupero ancora più pronunciato, andò Volker Mertens.
Hartmann von Aue, Erec. Mittelhochdeutsch / Neuhochdeutsch. Herausgegeben, übersetzt und kommentiert von
VOLKER MERTENS, Philipp Reclam jun.: Stuttgart 2008
La prima integrazione di tutti i frammenti in una edizione si trova nella settima, elaborata da K.
Gärtner del 2006.
Hartmann von Aue, Erec. Mit einem Abdruck der neuen Wolfenbütteler und Zwettler Erec-Fragmente.
Herausgegeben von Albert Leitzmann, fortgeführt von Ludwig Wolff. 7. Auflage besorgt von KURT GÄRTNER
(ATB 39), Max Niemeyer: Tübingen 2006.
IV. Struttura e poetica
Non esistono segnali testuali nell’Erec che ci facciano capire quale strutturazione l’autore aveva in
mente. Nemmeno i manoscritti ci aiutano. Non si trovano iniziali o altre marcature di brani diversi,
tipo paragrafi, capitoli, libri etc. In A abbiamo lombarde (lettere iniziali in stile unciale) che
separano passi di lunghezza variabile.
Dobbiamo dedurre la strutturazione del testo attraverso il suo contenuto. Il primo fu Hugo Kuhn che
scoprì nell’Erec un cursus doppio come principio della strutturazione2 che, più tardi, fu chiamato
“Doppelweg” (‘percorso doppio’) da Hans Fromm3. Il percorso doppio (cioè una doppia serie di
avventure che il protagonista deve affrontare) è la base e il principio strutturale del romanzo
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Cfr. H. Kuhn, Erec, in: Festschrift für Paul Kluckhohn und Hermann Schneider, Tübingen 1948, pp. 122-147.
Cfr. H. Fromm, Doppelweg, in: I. Glier (u. a.) (Hgg.), Werk -Typ - Situation. Studien zu poetologischen Bedingungen
in der älteren deutschen Literatur, Stuttgart 1969, pp. 64-79.
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arturiano. Parliamo anche di un primo e un secondo ciclo (di avventure). Entrambi i cicli sono
separati da soggiorni del protagonista alla corte di Artù:
L’azione ha inizio alla corte di Artù. Erec parte due volte dalla corte e ritorna per due volte. Ciascun
ciclo di avventure viene provocato da una crisi, cioè una situazione particolarmente imbarazzante
per il protagonista che perde il suo onore, la sua considerazione alla corte e deve recuperarla tramite
la dimostrazione delle sue virtù cavalleresche nell’avventura. Il suo ritorno alla corte di Artù
conferma il suo stato di perfezione cavalleresca. Ma mentre la crisi del primo ciclo è un evento
esteriore che “attacca” il mondo ideale di Artù e lo mette in questione (nell’Erec: l’attacco del nano
di Iders che Erec non può respingere perché è senza armi), la crisi del secondo ciclo ha luogo
all’interno del protagonista stesso che si mostra ancora immaturo, emozionalmente e
intellettualmente incapace, di reggere le responsabilità di un cavaliere perfetto arturiano (nell’Erec:
il protagonista trascura completamente i suoi doveri sociali da buon governatore e uomo cortese).
Può risanare questo stato di squilibrio e difetto solo con una nuova partenza in cui supera di nuovo
una serie di avventure, adesso più difficili della prima volta, fino alla vittoria finale che sbocca nel
ritorno alla corte di Artù e il riconoscimento definitivo nella Tavola Rotonda. Nel caso dell’Erec,
anche il secondo ciclo è raddoppiato in due serie che sono separate da una sosta involontaria alla
corte di Artù.
Strutturazione “classica” dell’Erec di Hartmann von Aue
Primo ciclo
Il doppio premio di bellezza (1-1805)
(L’inizio perduto)
L’incontro con il cavaliere straniero (1-159)
Erec a Tulmein (160-1483)
L’arrivo alla corte di Artù (1484-1805)
Le nozze di Erec e Enite e il verligen4 (1806-3105)
Le nozze (1806-2221)
Il torneo (2222-2860)
Il verligen a Karnant (2861-3105)
Secondo ciclo
La prima serie di avventure (3106-5287)
L’avventura con i ladri (3106-3474)
La prima avventura con un conte (3475-4276)
La prima avventura con Guivreiz (4277-4629.5)
La sosta involontaria alla corte di Artù (4629.6-5287)
La seconda serie di avventure (5288-7807)
L’avventura con i giganti (5288-6114)
La seconda avventura con un conte (6115-6813)
La seconda avventura con Guivreiz (6814-7807)
Joie de la curt (7808-9858)
Finale: corte d’Artù e Karnant (9859-10135)
Corte d’Artù (9859-10001)
Karnant (10002-10135)
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Atm. verligen, verbo forte e inf. sost.: ‘cadere in pigrizia per motivo di stare sdraiato, riposando troppo a lungo’,
‘l’inattività a causa di aver riposato troppo’. Verligen è termine chiave per il protagonista Erec e l’intero romanzo.
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Questa struttura marcata, la troviamo, però, solo nell’Erec tedesco. Nella fonte francese, l’Erec et
Enide di Chrétien, si profila una strutturazione diversa. Dopo la conclusione della caccia al cervo
bianco, si legge da Chrétien: “Qui finisce la prima parte” (ici fenist li premiers vers, 1796). Tutto
ciò che precedeva, per Chrétien fa parte della “prima parte” del suo testo. Così, l’inizio e fine della
prima parte è la caccia al cervo bianco nella quale, in modo artistico, sono integrati l’incontro della
regina con Iders e la vittoria di Erec nella contesa dello sparviero. Tema generale è l’armonia alla
corte di Artù che viene disturbata dalla decisione del re di cacciare il cervo bianco, e restiuita nel
momento del bacio che Artù dà a Enite. La funzione di Erec consiste nel fatto di essere quel
cavaliere che vince la bella sposa Enite con il cui aiuto può risolvere il conflitto della caccia e
portare tutto a un lieto fine.
Per tutto ciò, invece, che segue il bacio d’Artù, nel testo di Chrétien non si trovano più segnali di
strutturazione. Quindi, tutto il testo dopo il bacio dovrebb’essere la “seconda parte” che va dalle
nozze di Erec e Enite alla corte di Artù fino all’incoronazione di Erec e Enite alla corte di Artù.
Questa seconda parte è incorniciata da due grandi feste cortesi. Entrambe le feste sono organizzate
su richiesta di Erec: la prima volta egli chiede ad Artù di festeggiare le sue nozze (1870 ss.), la
seconda volta chiede ad Artù di incoronarlo (6488 s.). Quando Erec torna per l’ultima volta alla
corte d’Artù, la trova in squilibrio e in disturbo come alla prima volta, perché Artù è molto
preoccupato del numero basso di cavalieri presenti alla corte. L’arrivo di Erec risolve questo difetto
e di nuovo Artù può esclamare che grazie a Erec la sua corte abbia guadagnato tanto di stima.
La particolarità delle avventure consiste nel fatto che riguardano una coppia. Non si tratta di un
romanzo intorno alle virtù cavalleresche di Erec, ma le varie serie d’avventure servono per
sviluppare il rapporto coniugale.
Struttura di Erec et Enide di Chrétien de Troyes
Prima parte: la caccia al cervo bianco
La caccia del re
L’incontro con Iders
Erec a Tulmein
Il ritorno alla corte di Artù
Seconda parte: dalle nozze di Erec e Enide fino all’incoronazione di Erec e Enide
Le nozze di Erec e Enide
Il verligen a Karnant
La serie d’avventure
Joie de la cort
L’incoronazione di Erec e Enide
Questo schema non è compatibile con il romanzo di Hartmann. Anzi, si vede che Hartmann ha
cancellato la maggior parte dei cenni che suggeriscono questo schema. Hartmann non menziona la
fine della sua prima parte, né mantiene l’incoronazione come evento finale alla corte di Artù. Nel
testo tedesco, l’incoronazione è spostata a Karnant e riguarda esclusivamente Erec. Il scenario
finale alla corte di Artù, invece, nel testo di Hartmann è l’introduzione delle 80 vedove da
Brandigan, una scena che non esiste nel testo di Chrétien. La corte di Artù, nel testo tedesco è meno
importante e l’attenzione si focalizza su Karnant. Anche il rapporto coniugale è meno accentuato
nel discorso di Hartmann che si concentra più su Erec. Nel suo romanzo Erec è il protagonista
indiscusso.
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Ma Hartmann non fornisce nessun cenno sulla sua strutturazione. Solo con la partenza della coppia
verso Karnant, si raggiunge una chiara interruzione nel flusso narrativo. Dovrebbe essere la fine
della prima parte. Dopo la crisi del verligen a Karnant segue senza pausa la partenza per le
avventure che sono divise come nel modello francese. Poco chiaro è il punto finale delle avventure.
Potrebbero finire con la riconciliazione dei coniugi dopo la seconda avventura con un conte, con
una specie di conclusione a Penefrec, con la guarigione di Erec. Joie de la curt è un’avventura
separata che pone accenti nuovi ed è collegata, da Hartmann, strettamente alla corte di Artù
attraverso il motivo delle 80 vedove. Quindi, nel testo di Hartmann, Joie de la curt fa parte del
finale.
In relazione alla struttura di Chrétien, si può vedere il romanzo di Hartmann anche con la divisione
seguente:
Parte iniziale
Il doppio premio di bellezza
Le nozze di Erec e Enite
Parte media
Il verligen a Karnant
Le avventure
Parte finale
Joie de la curt
Corte di Artù
Karnant
Il “senso vero” (verum intellectum) del racconto
Nel prologo di Erec et Enide, Chrétien parla dei cantautori professionali che “spezzano e
corrompono” (depecier e corronpre, 21) i racconti su Erec. Lui, invece, avrebbe l’intenzione di tirar
fuori da un racconto di avventure “una congiunzione molto bella” (une molt bele conjointure 13). Il
termine conjointure che esprime il nuovo programma poetico di Chrétien è preso in prestito dal
latino conjunctura e significa, riguardo a un testo epico, il più probabilmente qualcosa come ‘unità
artistica, continuità interna’. Ovviamente, Chrétien vide nel romanzo qualcosa di più di una
sequenza ordinata di avventure che cambiano con soggiorni alla corte.
La trama del romanzo di Chrétien comincia con la decisione di Artù di andare a caccia del cervo
bianco. Ma il narratore non accompagna Artù e i suoi cacciatori, bensì la regina e Erec che vivono
un’avventura diversa, cioè l’umiliazione tramite il nano di Ydiers. Questa umiliazione provoca
un’azione nuova che porta fino a Tulmein, Enide e la contesa dello sparviero. Adesso, lo scenario
cambia. Il lettore torna da Artù che ha ucciso il cervo bianco, ma non può premiare la dama più
bella perché i cavalieri della tavola rotonda non sono d’accordo. Di nuovo lo scenario cambia. Erec
vince Ydiers nella gara dello sparviero e con ciò vendica la regina e aumenta la sua propria stima
nella società. Lo scenario cambia. Ydiers appare alla corte di Artù, riferisce la vittoria di Erec e
annuncia il ritorno del medesimo. Lo scenario cambia. Erec torna insieme con la giovane più bella e
permette a Artù di concludere la sua avventura di caccia, baciando Enide, la nuova arrivata.
Non solo il continuo cambio di scena lega queste due avventure, che a prima vista sono avventure
separate e indipendenti, ma stanno anche in un rapporto di contenuto e funzione cosìcche esiste fra
di loro una continuità interiore, una conjointure.
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Lo stesso possiamo osservare in parti più ampie della trama. Le avventure di Erec e Enide
consistono in scontri e eventi che non hanno nulla a che fare fra di loro. Però, nel percorso del
romanzo diviene evidente che stanno in un rapporto fra di loro. Molto vistoso è, per esempio, il
fatto che Erec combatte due volte contro Guivret, e in entrambi i casi, nell’avventura precedente, un
conte, sopraffatto dalla bellezza di Enide, viola le buone maniere di corte. E prima delle avventure
con un conte, Erec deve combattere in entrambi i casi con rappresentanti del mondo non-cortese
(con ladri e giganti).
In fine, l’avventura di Joie de la curt si riferisce come un’immagine riflessa alla scena di Karnant,
dove Erec e Enide si sono isolati e comportati in modo simile alla coppia di Mabonagrain e la sua
amica.
Le singole unità sono incatenate attraverso riflessioni, contrasti e corrispondenze e rappresentano la
struttura artistica dell’Erec.
La struttura artistica dell’Erec è caratterizzata dal fatto che dietro il piano d’azione sta un piano del
senso ovvero del significato. La distinzione fra diversi livelli di comprensione testuale, cioè fra una
comprensione letterale e una spirituale, fu ben nota agli intellettuali del medioevo. Una tale
distinzione fu valida soprattutto per la Sacra Scrittura. Per testi di contenuto secolare, nel XII sec.,
si sviluppò la dottrina dell’integumentum (‘coperta, velo’). Bernardo Silvestre distinse nel
commento su Marziano Capella a lui attribuito due forme di verità velata: l’allegoria (negli scritti
sacri) e l’integumentum (in poemi come l’Eneide di Virgilio). Si tratta di integumentum se un
racconto finzionale rende accessibile un “senso vero” (verum intellectum). Che tali teorie letterarie
furono note a Chrétien lo testimonia lui stesso nell’Erec riferendosi a Macrobio, da cui avrebbe
imparato l’arte di descrizione. Nel XII sec., soprattutto la teoria della favola fu recepita da
Macrobio. Macrobio distingue tre tipi di favole nel suo commento sul Somnium Scipionis di
Cicerone.
1. Storie inventate che si raccontano solo per il piacere.
2. Storie inventate che rammentano il buono.
3. Storie inventate che si basano sul fondamento fermo della verità (fundatur veri soliditate), cioè in
modo che “questa stessa verità verrà messa in evidenza tramite delle invenzioni” (haec ipsa veritas
per … ficta profertur; Commentarii in somnium Scipionis, I, 2, 9).
Forse Chrétien volle accennare che il suo termine conjointure fosse una favola del terzo tipo. In che
cosa consista la verità è, in fin dei conti, una questione di interpretazione.
V. Erec e Enite
Enite
Enite appare come rappresentazione dell’immagine tradizionale e patriarcale della donna. Da figlia
sta sotto il potere del suo padre, da moglie sotto il potere del suo marito. Questo rapporto fra i due
sessi sta in un contrasto drastico con l’idea cortese del servizio da prestare per la signora amata che
è caratteristico per la società della corte di re Artù, e il pubblico cortese di Hartmann, sicuramente,
si rendeva conto di questa contraddizione. Come si possa spiegare non è facilmente visibile.
Hartmann non pone in questione la sottomissione tradizionale della donna all’uomo e
l’atteggiamento di Enite è esemplare: ubbidienza verso padre e marito, disponibilità e capacità di
soffrire, consapevolezza della propria inferiorità. Con queste “virtù”, Enite corrisponde
perfettamente all’immagine della donna richiesta dalla teologia (cfr. Genesis 2, 18; la donna è
creata per aiutare l’uomo: ei adjutorium).
Motivi ricorrenti legati alla figura di Enite:
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1. Parlare e tacere
Enite fa tutto che vuole il suo marito, senza mai protestare. Resiste ai suoi comandi solo in un
punto: non obbedisce al divieto di parlare. Questo rifiuto dell’ubbidienza è un problema serio per
Enite che trasgredisce ogni volta solo dopo dubbi forti. Però anche il pubblico capisce subito che
questa trasgressione di Enite non è un suo difetto, anzi un ulteriore segno della sua perfezione,
perché Enite agisce preoccupata per la salvezza di Erec. Anche in Karnant, Erec apprende la perdita
del suo onore solo grazie a Enite che lo esprime in parole.
Si pone la questione se Erec sarebbe caduto così in basso, se Enite avesse parlato prima e avesse
avvisato, in modo diretto, il marito. Anche in Karnant, il benessere del marito sta in gioco.
Nella ricerca, già dagli anni ’70, vige l’opinione che Enite, a Karnant, avrebbe dovuto parlare in
tempo. Sarebbe stato il suo dovere da moglie e regina di avvisare il suo marito della perdita d’onore
incombente. Nel fatto di non aver parlato nel momento giusto si vede il fallimento di Enite che deve
ripagarlo nella serie d’avventure che segue. Sarebbe una possibilità di interpretazione per la trama
del romanzo. Però si deve ammettere che il narratore non dà il minimo cenno per una tale
valutazione di Enite e il suo agire. Dovremmo, quindi, supporre che il pubblico di Hartmann
sarebbe dovuto arrivare da solo a questa interpretazione.
2. Abiti
Nella prima parte del romanzo, l’abiti di Enite giuocano un ruolo importante. Già nella sua prima
entrata in scena, l’attenzione viene richiamata sullo stato cattivo dell’abito di Enite. La sua veste è
consumata, misera e così lacerata che si vede la pelle nuda. Nella descrizione dei vestiti miseri,
Hartmann ha superato Chrétien di gran lunga. Ovviamente era un fatto importante per la sua
concezione del romanzo. Essere malvestita a casa sua può suscitare pietà per Enite, ma essere
malvestita in apparizione pubblica a corte è motivo di vergogna, in particolare, perché Erec chiede
per una donna di presentazione così miserabile il premio di bellezza. Erec rifiuta l’offerta del duca
Imain di vestire Enite meglio. In Chrétien, il padre di Enite rinuncia a vestiti migliori. La
motivazione di Erec per il suo rifiuto è particolare: sarebbe falso di stimare una donna per motivo
dei suoi abiti. Egli, Erec, dimostrerà che rischierà la sua vita per lei, anche “se fosse nuda come la
mia mano e più nera di carbone” (652s.).
Quando i due partono per la serie di avventure, nel romanzo di Chrétien, Enite veste il suo abito
migliore, di propria decisione e senza spiegare il motivo; nel testo di Hartmann, invece, è di nuovo
Erec che comanda il tipo di vestito, cioè questa volta il migliore che possiede. Ovviamente vuole
usare Enite come zimbello. Lei deve attirare le avventure. E il piano di Erec funziona.
L’abito delle donne segnala il loro rango e stato sociale, ma anche lo stato d’animo. P. e. le 80
vedove in Joie de la curt vestono nero per mostrare la loro tristezza, alla corte di Artù si cambiano simbolo per la svolta verso la gioia. Nel caso di Enite, i segnali degli abiti sembrano capovolti
ironicamente: da sposa di Erec, si presenta in stracci; quando è privata di tutti i diritti matrimoniali,
si presenta nell’abito più ricco. In entrambi i casi è stata costretta dal marito a portare questi abiti,
ovviamente come segnali sociali. Ma sono anche segnali del suo stato d’animo. Prima delle nozze,
Enite si trove in uno stato bisognoso e povero, come Erec in uno stato di vergogna. Quando Enite,
però, è privata di tutti i diritti di una nobile moglie, il suo ricco abito dimostra che essa proprio
adesso si dimostra moglie perfetta.
3. Cavalli
In modo particolare Enite è collegata con cavalli. Già nella sua prima presentazione, il suo padre
comanda a Enite di occuparsi del cavallo di Erec. Durante la serie di avventure, Erec degrada Enite
a una specie di stalliere. Deve portare con sé prima tre, poi otto cavalli. Per la Enide francese,
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questo servizio non crea problemi e finisce già il giorno dopo. Nel testo tedesco viene sottolineato
come il servizio da stalliere sia assolutamente indegno per una signora cortese, e troppo pesante per
qualsiasi donna. Una soluzione si trova grazie alla umiltà di Enite e la sua disponibilità di soffrire e
di servire, e grazie alla protezione sovrannaturale di Dio che assiste Enite. Grazie alla protezione
divina, Enite riesce a domare gli otto cavalli che si trasformano quasi in agnelli. Qui, il racconto
allude a un senso più profondo: l’umiltà di Enite fa sì che Dio la rende capace di domare la creatura
maschile, cioè il cavallo (ros è il destriero), di trasformare impeto violento in mansuetudine e bontà.
Il medesimo effetto, Enite avrà di fronte a Erec. L’amore devoto di Enite trasforma l’Erec violento
in un uomo avveduto e equilibrato.
Ma Enite riceve anche cavalli come regalo: uno da suo zio a Tulmein e un altro dalle sorelle di
Guivreiz a Penefrec. Tutti e due cavalli sono ambiatori e di bellezza squisita. Già Chrétien ha
descritto i due cavalli con grande attenzione e Hartmann ha dedicato loro ancora più spazio nel suo
testo. Questi due ambiatori meravigliosi sono segni della umiltà e bellezza di Enite. Sono specchi
della personalità di Enite.
4. Bellezza
Sin dalla prima menzione di Enite si parla della sua straordinaria bellezza. Il suo corpo nudo creato
da Dio eccelle sopra tutte le altre donne di bellezza, una bellezza che viene aumentata ancora
tramite abiti preziosi. Due premi confermano questa particolarità di Enite.
Però, il suo aspetto così bello ha anche un lato oscuro, pericoloso5. Solo così si spiega il spavento
dei cavalieri d’Artù quando vedono entrare Enite nella sala della tavola rotonda. Le due avventure
con i conti dimostrano bene l’estrema pericolosità della bellezza d’Enite che sollecità la sensualità,
gli istinti sessuali dell’uomo. Soprattutto Hartmann sottolinea questo aspetto: il primo conte è un
uomo bravo e buono fin quando non vede la bellezza d’Enite che lo “costringe” di essere sleale e
prendersi la moglie di un altro, di Erec. Per colpa della Signora Venere (Frouwe Minne), il conte si
trasforma in un adultero e cattivo.
Pure Erec viene sedotto dalla bellezza della sua moglie e trasformato dal cavaliere impeccabile in
un pigrone e damerino. È l’antico modello di Eva, la seduttrice d’Adamo che lo corrompe e lo porta
in rovina. L’Enide francese rappresenta questo ruolo in modo ancora più accentuato, lei è sì la
moglie devota e umile, ma anche una giovane donna perfettamente consapevole dell’effetto che ha
sugli uomini. L’Enite di Hartmann è più sottomessa, la sua “pericolosità” è minimizzata, e lei si dà
la colpa alla disgrazia di Erec. Ma l’Enite di Hartmann cresce nel suo ruolo di moglie e nel suo
rapporto con il matrimonio: dal solo piacere sensuale, durante le avventure insieme col marito
accetta la propria corresponsabilità. Il parlare, tacere e agire dell’Enite di Hartmann è guidato
dall’interno: anche se tormentata da dubbi e lamenti, l’Enite dimostra una forza emozionale che
determina la sua intera essenza, cioè l’amore illimitato verso Erec che va fino alla morte e oltre.
Erec
Hartmann ha costruito la figura di Erec in modo diverso di Chrétien. Da Chrétien, Erec è un
giovane cavaliere di 25 anni, celebre per le sue virtù cavalleresche e noto alla corte per la sua fama
più di qualsiasi altro cavaliere. Da Hartmann, invece, Erec è un giovane completamente inesperto
che non ha mai partecipato a un torneo e tanto meno a un duello serio. Il cambio del punto di
partenza cambia anche l’intera trama e la sua interpretazione. In Chrétien, Erec rimane sempre lo
stesso, solo che alla fine raggiunge anche l’onore di essere re. In Hartmann, Erec si forma dal
5
Nel materiale celtico di cui si serviva Chrétien per la stesura del suo romanzo, il cavaliere che gareggia per lo
sparviero vince alla fine una fata per sposa. Il prototipo di Enide / Enite è, quindi, un essere demoniaco dell’aldilà
celtico con capacità sovraumane. Già Chrétien de-mitizza il suo modello e lo inserisce in un contesto nuovo: il regno di
re Artù. Hartmann riduce questo mondo celtico ancora di più fino a poche tracce; cfr. V. Mertens, Hartmann von Aue,
Erec. Mittelhochdeutsch / Neuhochdeutsch, Philipp Reclam: Stuttgart 2008, pp. 717s.
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ragazzino al cavaliere onorato in tutti i paesi. L’Erec di Hartmann, alla fine è una persona diversa.
La sua formazione, interiore e esteriore, sta nel centro del romanzo di Hartmann.
Nella parte iniziale, il narratore fa vedere i stimoli emozionali che determinano le azioni di Erec,
cioè schame (‘vergogna’) e prîs (‘lode’). Tutto gira intorno alla stima di Erec alla corte. Erec deve
profilarsi. Non si spiega perché non partecipa, insieme con gli altri, alla caccia del cervo bianco.
Erec, invece, rimane indietro con le donne, accompagna la regina. In questa situazione
apparentemente sicura, l’incontro inaspettato con il nano di Iders travolge Erec e lo disonora
davanti alla regina. Da questo momento, per Erec esiste solo un unico obiettivo: vendicarsi per la
vergogna subita e guadagnarsi la lode.
Però, prima vive una nuova umiliazione perché non trova nessun alloggio a Tulmein e deve cercarsi
un misero riparo in una vecchia rovina. Appena arrivato, Erec si trova di nuovo in una situazione
d’imbarazzo perché la vecchia rovina è abitata. Rosso di vergogna Erec deve chiedere perdono per
il disturbo che ha dato senza volerlo. Il prossimo giorno si presenta con armi disusate per il duello
contro un cavaliere armato modernissimo e deve subire il suo scherno, perché non basta che Erec
appaia con armatura antiquata, la sua “dama” è ovviamente una poveraccia vestita di stracci.
Diversamente da Chrétien: Erec e Enide sono descritti come una coppia splendida.
La vittoria di Erec restituisce il suo onore. Ma non gli basta: manda Iders alla corte di Artù affinché
riferisca la gloria di Erec. È un caso fortunato che il ritorno di Erec vada bene per il piano della
regina e che, grazie alla presenza di Enite, la caccia al cervo bianco possa concludersi in piena
soddisfazione della corte. Erec non ha solo vendicato la sua vergogna, ha anche restituito la pace e
la gioia alla corte di Artù. Dopo che ha dimostrato la sua bravura nel torneo della festa, Erec è
riconosciuto il migliore cavaliere di Artù, mentre Enite, dopo il bacio di Artù, è riconosciuta la
dama più bella della corte.
La coppia ha raggiunto la massima lode e può partire verso il regno di Erec, con la capitale Karnant.
In tutta questa prima parte Erec si occupa solo di se stesso e del suo onore. Solo una volta sentiamo
che Erec ha pietà per un altro, cioè per il suo nemico Iders che non uccide, ma dal quale si lascia
dare la parola d’onore. La pietà di Erec si manifesterà sempre di più durante le avventure della
seconda parte.
A Karnant, Erec cambia. Non partecipa più alla vita sociale della sua corte, ma trascorre tutte le
giornate a letto insieme con la moglie. La conseguenza è che nessuno lo stima più. L’onore e
riconoscimento di una volta si cambia in vergogna, non si trova più la gioia a Karnant.
La parola chiave per questo cambiamento di Erec è gemach (‘comodità, riposo’). Gemach copre un
ampio campo semantico: la comodità della vita cortese in senso positivo, ma anche il vizio della
pigrizia in senso negativo. Dietro al lessema volgare, probabilmente sta lat. acedia, tristitia, cioè
uno dei sette peccati mortali. Si intende con ciò un’inattività pericolosa, trascuratezza dei propri
doveri e indolenza nel servizio per Dio. Ma nell’Erec, non si tratta del peccato, ma di uno sbaglio
sociale: il rifiuto di partecipare alla vita cortese e l’irresponsabilità da sovrano6. L’esempio
personale del sovrano determina la morale e la cultura della sua corte. Soprattutto nel romanzo di
Hartmann, Erec a Karnant ha già gli obblighi del sovrano, e anche Enite è partecipe di questo
governo. Erec non può più vivere libero come un ragazzo.
Il motivo per l’inattività di Erec è il suo amore per Enite. Si comporta “come se mai fosse diventato
un uomo” (v. 2935). Effeminatio, effeminare è la più grave accusa che può essere rivolta contro un
sovrano. Significa che il sovrano è dominato dai suoi desideri e non sente più nessuna
responsabilità per il bene comune.
A partire dal momento in cui apprende il giudizio della corte di Karnant su di lui, Erec esprime solo
comandi. Perché parte di nascosto, perché porta con sé la moglie, perché annulla la comunità
matrimoniale e vieta a Enite di parlare con lui? - né Erec né la figura narrante risponde a tutte
queste domande. Ovviamente, il comportamento di Erec dev’essere in tanti punti ambiguo. Per
6
Cfr. S. Ranawake, verligen und versitzen. Das Versäumnis des Helden und die Sünde der Trägheit in den
Artusromanen Hartmanns von Aue, in: M. H. Jones, R. Wisbey (a cura di), Chrétien de Troyes and the German Middle
Ages, Cambridge 1993, pp. 19-35.
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motivo del suo verligen7, Erec è di nuovo caduto in vergogna, e adesso ancora di più che nella
prima volta. Di nuovo il suo intero interesse mira a recuperare lo stato di êre (‘onore’) e prîs
(‘lode’). Di nuovo crede che possa raggiungere il suo obiettivo solo tramite combattimenti.
Con la partenza nel secondo ciclo di avventure, la vita di Erec si capovolge. Al posto del gemach
(‘comodità’) adesso sta ungemach (‘scomodità’) e nôt (‘pericolo’). Erec cerca la vita dura, pernotta
nella foresta e accetta al massimo per una notte un alloggio nobile che verrà offerto.
Durante le avventure, Enite sta sul primo piano. Solo dopo la seconda avventura con un conte, Erec
torna vero protagonista. Nella fuga da Limors, i coniugi si riconciliano. La figura narrante offre una
interpretazione per il comportamento di Erec: Senza un motivo (âne sache, v. 6775), Erec avrebbe
punito e torturato sua moglie. Erec chiede perdono e promette di migliorare. Diversamente
dell’Erec di Chrétien, l’Erec tedesco riconosce il suo comportamento come falso e cerca una nuova
strada.
Erec deve cambiare le sue convinzioni ancora in un secondo punto. Quando fu vinto da Guivreiz,
confessa di aver agito come uno stupido, cioè di scontrarsi in duello con chiunque l’incontrasse e di
aver voluto togliere agli altri l’onore per aumentare il suo proprio. Questo discorso di Erec non
trova nessuna corrispondenza nel testo di Chrétien. Però non è del tutto chiaro come interpretarlo.
Significa che le avventure erano sbagliate (addirittura, l’avventura com principio sarebbe cosa
sbagliata e stupida) o si riferisce solo ai due combattimenti contro Guivreiz? È una delle tante
domande riguardo a Erec che rimane aperta.
Che Erec abbia cambiato idea, si vede nell’avventura finale. Scherzando e allegro fa la sua entrata a
Brandigan dove la gente piange già la sua morte sicura. Nonostante tutti gli avvertimenti
preoccupanti, Erec mostra incomprensibile sicurezza di sé e spensieratezza. Nel dialogo con
Mabonagrin vinto, Erec parla del suo atteggiamento verso le donne e la società. Avrebbe sentito
dalla bocca di una donna, che le donne preferirebbero di non avere gli uomini sempre con sé, ma di
trascorrere qualche periodo senza di loro, affinché l’uomo appaia sempre “nuovo” a loro, quando
ritorna. Per quanto riguarda la società cortese, Erec riassume la sua nuova convinzione con le
parole: bî den liuten ist sô guot (v. 9438) (‘si sta così bene con la gente’). Di tutto ciò, non una
parola in Chrétien.
Verso la fine del romanzo tedesco i motivi religiosi aumentano nella presentazione della figura di
Erec, e non hanno nessuna corrispondenza nel testo di Chrétien. Già nel combattimento contro i
giganti (vv. 5560ss.), Erec deve la sua vittoria all’aiuto di Dio, come il narratore afferma. Erec
viene addirittura comparato con Davide che combatte contro Goliath (vv. 5562ss.). Quando Erec,
apparentemente morto, si risveglia, il narratore descrive l’evento con parole che alludono alla
risuscitazione di Lazaro (v. 6669s.). Dopo il secondo duello con Guivreiz, il narratore interpreta il
destino di Erec come un salvataggio di un naufrago tramite la grazia di Dio. Anche questa
similitudine, cioè la vita umana come naufragio da cui solo Dio può salvare, fa parte del repertorio
della letteratura spirituale.
Forse anche il motivo del bivio (vv. 7813ss.) ha un significato religioso: Erec sceglie al bivio la
strada sbagliata che porta a Brandigan che, infine, si manifesta per Erec come strada giusta.
La metafora cristiana del bivio risale al Vangelo di Matteo, 7, 13s.: nel discorso della montagna
Gesù parla della strada larga e comoda che porta all’inferno, e della strada stretta e difficile che
conduce alla vita eterna. Senza dubbio, Hartmann si riferisce a questo passo biblico. Dobbiamo,
però, renderci conto che Erec, secondo la tradizione cristiana, sceglie la strada sbagliata, cioè la
strada larga, verso sinistra8.
Mabonagrin vinto si convince che Dio abbia mandato Erec affinché lo salvasse (vv. 9585ss.).
7
8
Cfr. nota 4.
E. Trachsler, Der Weg im mittelochdeutschen Artusroman, Bonn 1979, pp. 213-15.
14
Sempre di nuovo Erec afferma di sottomettersi sotto la volontà di Dio e chiede aiuto da Dio. Verso
la fine, il narratore sottolinea ancora una volta questo comportamento: Erec si sarebbe comportato
come i pii che ringraziano Dio per tutta la gloria che riescono a conquistare. Perciò Dio avrebbe
regalato la vita eterna a Erec e Enite (vv. 10125ss.).
Il motivo della misericordia fa parte dei motivi religiosi che, a partire dell’avventura con i giganti,
si mette sempre di più in risalto e domina alla fine completamente, con l’introduzione delle 80
vedove, assenti in Chrétien, il comportamento di Erec. Dalla misericordia cresce la capacità di
salvare gli altri, che si manifesta in una doppia funzione: la liberazione di Mabonagrin
dall’isolamento mortale del giardino fatato e la liberazione delle 80 vedove dal potere della tristezza
e la loro reintegrazione nella società cortese. In entrambi i casi, la gioia della corte è restituita.
Non è completamente chiaro come valutare questi motivi religiosi. Il tema generale è la via del
cavaliere nel mondo, cioè dell’uomo nobile che è destinato a governare. Nell’Erec, spesso
incontriamo il motivo della strada giusta e sbagliata. Ovviamente, Erec inizia con le strade sbagliate
prima di trovare quella per lui giusta. I motivi religiosi rendono chiaro che l’uomo può trovare la
strada giusta solo se si fida della guida di Dio. Una volta trovata la strada giusta, il protagonista
verrà condotto verso un governo perfetto nel senso del’ideale del rex iustus et pacificus. Prima che
Erec raggunga questa meta, la sua strada porta in imbarazzo e vergogna e ancora più in profondità,
fino alla morte apparente. Il punto più basso e contemporaneamente il punto di svolta porta il nome
simbolico: Limors (‘la morte’), sede del conte Oringles. Erec deve passare la morte prima di trovare
la via giusta.
Ma il racconto di Erec non è solo un esempio didattico, anche se Hartmann si è sforzato molto per
offrire una lettura esemplare di un modello francese che non fa valere questo diritto morale. Erec è
anche un personaggio ambiguo le cui motivazioni, sentimenti e pensieri spesso rimangono
nell’oscurità e enigmatici. Rimane sempre un resto inspiegabile. Erec fa parte dei personaggi
problematici che rendono così interessante l’epica cortese.
La coppia
Il romanzo Érec et Énide di Chrétien de Troyes non ha un unico protagonista, ma due, cioè la
coppia. Tema è il rapporto fra i due sessi. Un tale argomento è rimasto unico per il romanzo
arturiano, in nessun altro romanzo il cavaliere eroe è accompagnato da una donna nelle sue
avventure. Pure Chrétien stesso non ha ripetuto tale costruzione nei suoi tre romanzi seguenti a
quello di Érec et Énide.
Nell’Erec, la coppia protagonista è una coppia sposata. Anche questo è nuovo. Nei romanzi precortesi, l’innamoramento e il corteggiamento giocano un ruolo importante, ma quando i due
innamorati si sono sposati, non rimane più nulla da raccontare. Nell’Erec, la storia comincia a
questo punto. Nella prima parte, Erec e Enite si sposano, nella seconda parte il suo matrimonio deve
dare buona prova di sé. Il matrimonio è discusso in relazione a due temi: l’amore e il governo.
All’inizio la coppia è una coppia d’innamorati, alla fine di sovrani.
Chrétien ha stilizzato un’introduzione artistica per la presentazione della coppia, entrambi sullo
stesso livello, cioè bellezza e perfezione. Erec è particolarmente lodevole per il suo coraggio da
cavaliere, Enide per il suo pudore. Inoltre, il padre di Enide esalta il sapere (ses savoir, v. 538) della
sua figlia e i suoi nobili principi. Un primo rapporto fra i due si stabilisce tramite gli sguardi di Erec
(stupisce vedendo tale bellezza) e il consenso silenzioso di Enide. Tutto questo manca nel testo di
Hartmann.
Il motivo di Erec per sposarsi non ha nulla a che fare con i soliti motivi nel Medioevo, ma risulta
esclusivamente dalla sua situazione. Perché nella gara dello sparviero si deve presentare una dama,
Erec ha bisogno di una donna. Erec è disponibile di pagare un prezzo alto al padre di Enite: la
promessa di sposare la sua figlia. Nel testo francese, il padre va perfettamente d’accordo e anche
Enide è contenta. Nel testo tedesco, invece, Koralus considera la richiesta di Erec un brutto scherzo
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e dev’essere convinto della serietà del pretendente. Di una reazione di Enite non si parla. Per queste
nozze non esistono interessi dinastici, nemmeno la continuità di potere tramite la generazione di
figli.
Nel testo francese, durante il viaggio verso la corte di Artù i due si baciano per la prima volta. Erec
è sconvolto dalla bellezza di Enite e lei piena di ammirazione per il cavaliere ardito. Chrétien
sottolinea la perfetta conformità dei due in comportamento cortese, bellezza e nobiltà - cosa che li
fa una coppia ideale. Tutto ciò è omesso da Hartmann che dà molto meno peso alla figura della
donna. Anzi, quando introduce Erec, il narratore afferma che il romanzo è iniziato per causa sua
(durch den diu rede erhaben ist, v. 4). Hartmann ha trasformato il romanzo di coppia in un romanzo
di Erec.
L’amore nella coppia tedesca si manifesta soprattutto come desiderio sensuale. Non vedono ora di
poter consumare il matrimonio, ma la prima notte di nozze, Hartmann non la descrive.
L’amore matrimoniale praticato da Erec e Enite a Karnant è quasi una parodia della dottrina
teologica dell’epoca che riguarda il matrimonio: doveva essere un rimedio contro il desiderio
sessuale esagerato. Il comportamento della coppia a Karnant pesa grave, perché il vice-sovrano - il
padre di Erec è ancora in vita - e la sua moglie dovrebbero essere modello e buon esempio per
l’intera corte.
Ancora più problematico è il prossimo passo nel rapporto coniugale: dopo la perdita del suo onore a
Karnant, Erec cancella i diritti e gli obblighi coniugali. Colpita da questi provvedimenti è in prima
linea Enite. La decisione unilaterale di Erec fa vedere il matrimonio in una nuova luce, cioè come
un rapporto di violenza. Il marito comanda, la moglie deve ubbidire. Il secondo episodio con un
conte è particolarmente significativo: Oringles organizza nozze frettolose di chiesa con Enite e la
considera dopo la sua moglie a tutti i diritti. Quando i cortigiani criticano la sua violenza contro
Enite, Oringles li rimanda alla sua posizione di marito il quale ha piena autonomia di decisione e
non può essere controllato da nessuno (vv. 6543-45). Erec e Oringles interpretano il matrimonio in
conformità alla dottrina della chiesa e alla prassi dei nobili. Nel testo di Hartmann, Erec chiede alla
fine il perdono da Enite, ma anche nel testo tedesco la chiara dominanza del marito non viene mai
messo in discussione.
La serie delle avventure è una prova per il matrimonio, e quindi per la coppia. Per Erec, questa
prova consiste in una serie di duelli, però, visto da più vicino, la maggior parte di loro non sono
sfide serie per Erec. Solo il piccolo Guivreiz è un avversario vero e proprio, però solo nel primo
duello. Più che nelle virtù cavalleresche Erec deve affermarsi nelle virtù di marito. A prima vista
sembra importante che Erec dimostri le sue capacità di buon sovrano (protezione delle strade,
liberazione della terra dei mostri, garanzia del diritto e della pace), ma su un secondo piano, Erec
deve imparare come comportarsi da buon marito. Deve imparare che il ruolo maschile di comandare
non giustifica violenza arbitraria.
Nello stesso tempo, tutte le avventure sono anche prove per Enite, e cioè, se sia una buona moglie
(v. 6782). Il problema è la corresponsabilità della moglie per il matrimonio ben riuscito. In tutte le
avventure, Enite non ubbidisce al divieto di parlare e, rischiando la propria morte, salva la vita di
Erec. Le due avventure con i conti sono addirittura avventure esclusivamente di Enite: nella prima
Erec non è informato su quello che sta succedendo; nella seconda è pure morto in apparenza, e
Enite decide che il suo matrimonio con Erec è valido anche oltre la morte. Il matrimonio è un bene
secondo il quale Enite allinea la sua intera esistenza. Un tale comportamento da parte della moglie,
nel nostro testo è considerato giusto e garantisce un rapporto esemplare della coppia.
Da Chrétien, la coppia perfetta alla fine si costituisce come coppia di sovrani. Questo aspetto, nel
testo di Hartmann, è meno importante. Nel romanzo tedesco, la visione della beatitudine eterna
della coppia forma il finale trionfante.
Nell’Erec, il fondamento del matrimonio è l’amore. L’amore ha due faccie: può essere un pericolo,
ma preso come fedeltà (triuwe) è la base per il matrimonio. Questo sembra essere un contrasto sia
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con la dottrina teologica sia con la prassi dei nobili. Il matrimonio fu soprattutto uno strumento per
l’affermazione e protezione del governo oppure per l’allargamento del potere. Per sentimenti,
certamente, non c’era molto spazio. Però, nel XII sec., nella dottrina teologica vinse l’idea che ci
volesse il consenso di entrambi i partner. Senza il consensus, un matrimonio non era possibile. Fu
noto anche il concetto della maritalis affectio, dell’amore coniugale. Teologi parlarono
dell’amicizia fra uomo e donna che si sviluppa dalla comunità coniugale. In un trattato anonimo del
XII sec. sul matrimonio, l’amore reciproco (mutua dilectio) è considerato un elemento importante
del consenso matrimoniale9.
La presentazione dell’amore e del matrimonio, nel primo romanzo arturiano, va molto oltre la
posizione della dottrina contemporanea. Nel centro dell’immaginazione cortese sta l’idea che il
cavaliere, tramite il suo amore e l’amore della moglie verso di lui, verrà stimolato a compiere gesta
grandi e di perfezionare le proprie virtù. L’idea fu già presente, prima del 1150, nella Historia
regum Britanniae di Geoffrey di Monmouth. Nella descrizione della favolosa festa di Pentecoste
che re Artù celebra dopo aver sottomesso l’intera Europa, si legge: ciascun cavaliere che fu famoso
per il suo coraggio portava costume e armi in un unico colore. Le signore cortesi avevano gli abiti
nei medesimi colori e consideravano onorevole il fatto di non regalare il proprio amore a nessuno
che non avesse dimostrato per tre volte le sue capacità nel servizio cavalleresco. Così, le signore
diventarono caste e sempre più virtuose, e i cavalieri, per conseguenza del loro amore, sempre più
bravi10.
Nell’Erec, questo tipo di “collaborazione” fra marito e moglie viene presentato in alcuni brani,
soprattutto nell’avventura Joie de la curt.
L’amore coniugale viene, però, descritto solo per la parte della donna. L’amore coniugale di Enite è
l’allineamento completo della propria vita verso il marito, fino alla abnegazione di se stessa, è
ubbidienza, dedizione e ammirazione, ma anche corresponsabilità e disponibilità a impegnarsi per
la salvezza del marito. L’amore coniugale da parte dell’uomo rimane più nel vago. Si tratta di
rapporti fisici in quanto non nuocciono agli obblighi socali, disponibilità di servire in quanto
permesso dai compiti del sovrano e un legame interiore non meglio definito. Di parità nei diritti,
non se ne parla. L’uomo rimane sempre la parte dominante.
L’argomento del romanzo di Chrétien è raccontare come la coppia d’innamorati diventa la coppia
dei sovrani, la conclusione si manifesta alla corte di Artù con l’incoronazione di Erec e Enide.
Anche da Hartmann, Erec e Enite alla fine sono una coppia ideale di sovrani, ma sono partecipanti
al governo già a Karnant e da questo momento in poi chiamati re (v. 6763) e regina (v. 3365).
Inoltre, nel finale solo Erec verrà incoronato. Da Hartmann, la comunanza di Erec e Enite consiste
nella grazia di Dio.
VI. Parlare e tacere
Parlare e tacere è il tema principale nell’Erec. La problematica è discussa su due livelli: sul piano
della trama e nelle affermazioni del narratore. Nel centro sta il divieto di parlare che Erec rivolge a
Enite all’inizio della loro partenza per avventure.
Il divieto di parlare
Né Erec né il narratore danno una spiegazione perché Enite deve tacere, così in Chrétien e anche in
Hartmann. Ovviamente, il divieto di parlare è legato al comando di cavalcare davanti. Nel testo di
9
Sacramentum conjugii non ab homine, in: R. Weigand, Liebe und Ehe bei den Dekretisten des 12. Jahrhunderts, in:
W. Van Hoecke, A. Welkenhuysen (eds.), Love and Marriage in the Twelfth Century, Louvain 1981, pp. 41-58, qui p.
42, nota 3.
10
Cfr. Geoffrey of Monmouth, Historia regum Britanniae. A Variant Version, Edited from Manuscripts, ed. by J.
Hammer, Cambridge, MA 1951 (The Medieval Academy of America Publications 57), p. 164.
17
Chrétien, il divieto è limitato alla comunicazione con Erec: Enide non deve avvisare nulla di ciò che
lei vede per prima, cavalcando davanti. Il divieto di parlare con Erec vale solo per le prime tre
stazioni, già nella prima avventura con Guivret Erec rinuncia a una punizione di Enide che di nuovo
gli ha rivolto la parola. E dopo, il divieto non è più menzionato.
Nel testo di Hartmann, invece, le condizioni sono più dure. Erec minaccia Enite con la morte se lei
osa di aprire la bocca, cioè parlare in generale. Enite prende per serio questa minaccia e, nel corso
delle avventure, pondera la propria vita contro la salvezza di Erec. Però, anche in Hartmann il
divieto di parlare non è più menzionato dopo la prima avventura con Guivreiz.
Divieti di parlare sono soliti nella letteratura dei conventi, nella letteratura didattica rivolta a
bambini e hanno un significato particolare nel rapporto fra i sessi. La donna, nel medioevo, è ‘senza
voce’11. Nell’Erec, il divieto di parlare documenta il potere discrezionale illimitato del marito sulla
moglie. Con il divieto di parlare, la donna è inabilitata, priva di una propria identità.
Ma mentre il Erec di Chrétien applica il divieto come una prova della moglie e si diverte
nascostamente perché lei lo trasgredisce dimostrando così il suo amore per il marito, nel caso
dell’Erec tedesco il divieto è preso perfettamente per serio, e con ogni trasgressione, Erec si
arrabbia sempre di più.
In entrambi i testi, il divieto è spiegato nel finale non come punizione, ma come una prova. In
Chrétien si tratta di una prova d’amore, in Hartmann di una prova di matrimonio, se Enite sia una
buona moglie (vv. 6781-82). Nessun autore mette in dubbio il diritto del marito di trattare la moglie
in questo modo. Per entrambi gli autori, l’importanza del divieto di parlare sta nella questione come
si comporterà Enite. Per cinque volte, lei trasgredisce il divieto e ogni volta precede un
combattimento interno di coscienza. Enite vuole obbedire, ma non può, perché la vita di Erec
dipende dal suo avviso del pericolo incombente. Il motivo per la disubbidienza di Enite è chiamato:
triuwe, ‘fedeltà’, ovvero una forma dell’amore coniugale che implica il senso per una
corresponsabilità da parte della donna.
Parlare e tacere nel rapporto fra i sessi
L’uomo parla, la donna tace. Questa distribuzione di ruolo ha determinato il rapporto fra i sessi
nella società occidentale. Parlare significa potere, coscienza di sé, personalità; tacere significa
ubbidienza e inferiorità. Rispecchia la dottrina della chiesa come insegnata dall’apostolo Paolo:
Mulieres in ecclesiis taceant (I. Cor. 14, 34) e non motiva solo l’esclusione della donna dalla
gerarchia ecclesiastica, ma serve anche come giustificazione per escludere la donna da tutti i settori
della vita pubblica. Nel settore privato, la donna dipende dal potere del padre o del marito che
possono vietarle di parlare. Anche nella società cortese, il tacere della donna è segno della sua virtù.
Nella poesia cortese, questo schema è messo in dubbio. Il potere della Minne capovolge il rapporto
uomo - donna, e adesso è la dama che vieta al cavaliere di parlare e cantare le sue canzoni d’amore
se le non piacciano.
Chrétien e Hartmann conoscono entrambi i modelli. Nell’Erec, l’idea tradizionale che la donna è
sottomessa all’uomo nel matrimonio, non è mai messa in questione. Però, il rapporto fra i sessi
viene definito nuovamente tramite il divieto di parlare. Enite rimane la moglie umile e ubbidiente. Il
divieto di parlare, che nella sua situazione è un divieto di avvisare il marito del pericolo, la fa
cadere in un conflitto profondo che supera con la decisione di rischiare la propria vita e, quindi, di
essere disubbidiente e di parlare. Chrétien, nel suo primo romanzo arturiano, ha fatto vedere come
la donna raggiunge la sua propria voce, e con ciò la sua propria dignità. Questo è forse il messaggio
più importante dell’opera.
Ma mentre in Chrétien il divieto di parlare è solo simulato da Erec che in fine è lieto della
disubbidienza perché un segno dell’amore, Hartmann non ha seguito il modello francese in questo
11
Cfr. G. Duby, Die Frau ohne Stimme. Liebe und Ehe im Mittelalter, Berlin 1988.
18
punto. Però, la cosa più importante, che la donna raggiunge la sua voce tramite il divieto, l’ha
adottata. È nuovo nell’Erec tedesco che Guivreiz riconosce Enite dalla sua voce (v. 6957s.) Pure la
voce inarticolata di Enite è importante. Due volte, l’urlo di Enite ha un effetto salvataggio (nel
primo duello contro Guivreiz; su Limors, dove l’urlo di Enite sveglia l’Erec apparentemente morto).
Queste urla mancano nel testo di Chrétien.
Nella serie di avventure, quando parlare è vietato a Enite, essa dimostra una eloquenza notevole
nelle due avventure con i conti. Si diffende verbalmente contro le loro invadenze. Enite utilizza
pure la lingua come strumento d’inganno e manipolazione. Nell’episodio su Limors, Enite provoca
Oringles fin quando egli non sa più contenersi e la picchia per farla tacere. Ma la violenza del conte
ha l’effetto contrario: Enite grida a voce ancora più alta tanto che Erec si sveglia. Il parlare di Enite
è sempre legato strettamente al benessere del marito. Questo non vale solo per la qualità, ma anche
per la quantità del suo parlare.
Nella parte iniziale fino alla partenza dalla corte di Artù (3000 versi ca.), Enite dice 4 parole (v.
322).
Nella parte media, la serie delle avventure fino al secondo episodio con Guivreiz, Enite dice 216
versi in discorso diretto e si pronuncia in lunghi monologhi interiori. Nella parte finale, a partire da
Joie de la curt, Enite non parla più. Il risultato paradossale: quando le è vietato di parlare, Enite
pronuncia più di 200 versi, quando è libera a parlare, Enite tace.
Naturalmente, questo esito non è venuto a caso, ma accenna la problematica fondamentale di
parlare e tacere in generale, e in particolare il potere della lingua utilizzata differentemente dai due
sessi.
La parola interiore (verbum cordis)
La forma caratteristica per il parlare di Enite è il soliloquio, qualche volta come monologo ad alta
voce, più spesso però un parlare silenzioso, solo nel pensiero (locutio in mente), cioè la parola
interiore che esce dalla bocca del cuore.
Enite parla in prima linea con se stessa: monologhi, preghiere e parlare mentalmente insieme sono
per Enite 372 versi, per Erec 42 versi. Discorsi indirizzati ad altri, invece, sono per Erec 913 versi,
per Enite 217 versi. Erec, quindi, parla molto più con altri. Questa caratteristica di Enite, cioè
parlare con se stessa, è meno accentuata nel testo di Chrétien. Però anche nel romanzo francese,
Erec e Enide si distinguono chiaramente nel loro modo di parlare.
Il concetto della parola interiore è di grande importanza nella filosofia e teologia del XII secolo.
Punto di partenza è Agostino secondo cui la verità sarebbe solo all’interno dell’uomo, nel suo cuore
(Noli foras ire, in te ipsum redi. In interiore homine habitat veritas)12. Solo la parola interiore,
quella della mente (oratio mentalis) è il discorso vero. Il discorso esteriore della bocca può essere
solo un segno, uno specchio della parola interiore.
I poeti cortesi hanno utilizzato questi mezzi di presentazione e modelli di pensiero della letteratura
dotta, però non seguirono lo stesso obbiettivo di conoscenza. Svilupparono da questo concetto della
parola interiore nuove tecniche per la presentazione delle loro figure. Così, Chrétien ha dimostrato
tramite Enide in modo esemplare la motivazione dell’azione dall’interiore. E Hartmann l’ha imitato.
Le regole cortesi di comportamento imposero alle donne della società nobile cortese un perfetto
controllo dei movimenti del corpo. Anche ai sovrani si raccomandava di mostrare un’espressione
calma e gentile che non facesse riconoscere nessuna emozione. Lo sguardo poetico, invece, è
rivolto dietro le quinte e fa vedere all’interno dei personaggi insicurezza e conflitti d’emozione.
Grazie a questa nuova prospettiva, le figure letterarie raggiungono una profondità psichica mai
prima vista e il lettore / ascoltatore partecipa in compassione con i singoli caratteri, non segue solo
le azioni. Il pubblico in piena simpatia vive le prove insieme a Enite.
12
Sancti Aurelii Augustini De vera religione 39, 72, ed. Klaus-Detlef Daur, Turnhout 1962 (Opera 4,1; CCSL 32), p.
234.
19
L’ambivalenza di parlare e tacere
Parlare e tacere giocano un ruolo importante nella filosofia medievale del linguaggio. Parlare e
tacere sono valutati in modo diverso, rispettivamente se si parla di Dio o dell’uomo. Nell’ambito
divino, la parola di Dio ha creato il mondo, la parola è medio della rivelazione divina e Cristo è la
parola divina incarnata. Nell’ambito umano, la parola è medio del peccato, la parola fatale di Eva
che sollecitò Adamo a ribellarsi contro Dio. La parola peccaminosa di Eva ha distrutto il sacro
tacere nel paradiso. Il tacere rappresentava, quindi, lo stato pre-peccaminoso, paradisiaco
dell’uomo. Il tacere rappresentava però anche lo stato pre-creaturale del mondo, quindi il caos.
Nei romanzi arturiani di Chrétien, l’ambivalenza del parlare e del tacere è un tema ripetitivo. In
Érec et Énide, la parole fatale di Énide provoca la crisi per la coppia. In Le Conte du Graal, il
tacere fatale di Perceval costringe l’eroe di girare per anni nella ricerca del Santo Graal. La
domanda non è cosa fosse meglio: parlare o tacere, ma si tratta del parlare giusto e del tacere giusto.
Già nell’Antico Testamento si distingue tempo di parlare e tempo di tacere (tempus tacendi, et
tempus loquendi; Ecclesiastes 3, 7). Fu facile per i novizi del convento di imparare quando si parla e
quando si tace. Molto più difficile si pone la situazione per il poeta cortese e i suoi protagonisti.
Enite agisce in modo giusto: obbedisce e tace. Ma quando la vita del marito è minacciata, ignora il
divieto e parla. Se ha fatto il giusto a Karnant, quando ha taciuto, nonostante sapesse della perdita
d’onore di Erec, l’autore lo lascia aperto. Solo sotto certe condizioni, quindi, la donna sbaglia se
tace. Per gli uomini vale il contrario. Loro possono e devono parlare in quasi qualsiasi situazione.
L’ordine di tacere per un uomo è sempre segno di un comportamento scortese ed è formulato da
figure scortesi (p.e. il nano di Iders in confronto di Erec; uno dei giganti in confronto di Erec).
Il più grande pericolo legato al parlare sono, però, i peccati della lingua (peccati linguae)13. Secondo
Tommaso d’Aquino si tratta di diffamazione, discredito, bisbigliare, schernire, bestemmiare
(Summa theologiae 2a. 2ae. qu. 72). Nella Summa, qu. 100, Tommaso discute “gli errori linguistici
che si rivolgono contro la verità”, cioè bugia, inganno, ipocrisia e vanteria. La maggior parte di
queste mancanze linguistiche si trovano anche nell’Erec, non come peccati, ma per sottolineare
l’ambivalenza del parlare della quale uno deve sempre rendersi conto. Anche un parlato cattivo può
avere uno scopo buono: Enite mente con buone intenzioni. Erec inganna verbalmente.
Dall’altra parte, le figure negative - Iders, i due conti, i giganti - dimostrano la loro cattiveria già nel
loro modo di parlare.
Qualsiasi parlare è ambivalente. Contemporaneamente, la lingua è uno strumento del potere,
soprattutto nelle mani degli uomini e utilizzato contro le donne. Sono gli uomini che peccano di più
con la lingua. Spesso le loro parole sono superflue e vuote, sanno solo gridare, minacciare e
comandare ad alta voce. Enite, invece, parla solo quando è necessario, dalle sue parole dipende il
proseguimento della trama.
Il divieto di parlare per il narratore
Un racconto esiste solo se un narratore parla e qualcuno lo ascolta. Nel romanzo arturiano, il
narratore non solo racconta la sua storia, ma riflette anche su questa storia, creando in questo modo,
a fianco dell’azione, un secondo livello del racconto e del senso in cui il narratore, per la durata
dell’intero racconto, fa un dialogo fittizio con gli ascoltatori.
La messa in scena di una situazione narrativa orale trova nel testo di Hartmann il suo culmine nel
grande excursus sul cavallo di Enite alla fine del secondo episodio con Guivreiz. Quando descrive
l’imbrigliatura, il narratore ammette che avrebbe raggiunto il limite delle sue capacità. Uno degli
13
Cfr. C. Casagrande, S. Vecchio, I peccati della lingua. Disciplina ed etica della parola nella cultura medievale, Roma
1987, p. 35ss.
20
ascoltatori fittizi utilizza questa confessione di incapacità per far tacere il narratore: nû swîc, lieber
Hartman (v. 7493) (‘allora taci, caro Hartmann’). E nasce la situazione paradossale che questo
ascoltatore continua con il racconto (ich wil dir diz maere sagen; v. 7500) (‘ti spiegerò io questa
cosa’). Il narratore è diventato ascoltatore. Però non ascolta in silenzio, ma interrompe
continuamente con domande e osservazioni beffarde, fin quando il nuovo narratore si arrende e il
vecchio (Hartmann) torna sul suo posto.
Potrebbe essere una giustificazione della indispensabilità del narratore che da unico sa garantire la
verità del racconto, grazie alla sua conoscenza del modello francese, alla sua arte retorica e alla sua
immaginazione poetica. Ma si tratta anche di una auto-ironizzazione del discorso narrativo. Il
narratore cortese ammette la sua dipendenza dal pubblico che lo prende in giro nello stesso
momento.
VII. Stile
Il narratore personificato
Il primo romanzo Arturiano non è solo caratterizzato dalla sua materia, ma anche dal nuovo stile di
racconto che si manifesta soprattutto nella personificazione del narratore e nel ruolo che l’io
narrante gioca all’interno del racconto. Nel prologo di Érec et Énide, Chrétien de Troyes si presenta
come io narrante. È un narratore che è ben consapevole della sua prestazione. La materia era
prestabilita, il compito dell’autore fu l’elaborazione di questa materia ovvero la dilatatio materiae
come si legge nei manuali latini della poetica del tempo. L’elaborazione della materia da parte di
Chrétien diventa evidente nell’istituzione di una istanza narrativa che si presenta come “io” nel
racconto e guida l’intera presentazione della trama dall’inizio fino alla fine. Durante questa
presentazione, l’io narrante si rivolge al pubblico e sta in un continuo dialogo con i suoi lettori /
ascoltatori i quali, in questo modo, sono coinvolti nella storia narrata. Con la sua continua presenza,
l’istanza narrativa rende chiaro al pubblico che sta leggendo / ascoltando una storia “inventata,
fatta” da un autore / narratore. La finzionalità è resa evidente. Ma il narratore sottolinea sempre di
nuovo che sta dicendo la verità, cioè la verità di una storia fittizia. “Verità” in questo contesto
significa l’ordine giusto della trama e la sua valutazione e interpretazione da parte del narratore.
Chrétien de Troyes ha costituito, a fianco del livello della trama, un secondo livello del racconto
dove l’autore / narratore dialoga con il suo pubblico su contenuto e interpretazione della trama.
Questo è forse la prestazione letteraria più grande di Chrétien.
Hartmann von Aue ha assunto questa nuova dimensione in tutti i suoi aspetti. Anzi, nella
personificazione del narratore, Hartmann è andato ancora un passo avanti. L’istanza narrativa si
mette ancora più in scena nel testo tedesco. Nello stesso modo, anche il pubblico è ancora più
coinvolto nel processo della narrazione.
Descrizioni
Fra tutti i mezzi dell’elaborazione (dilatatio) raccomandati nelle poetiche, Chrétien non ne utilizzò
nessuno così tanto come la descrizione (descriptio). Si può addirittura definire lo stile narrativo
cortese “uno stile descrittivo” ed è l’unico metodo retorico che Chrétien discute durante il suo
racconto. Lo fa nella descrizione del mantello d’incoronazione che Erec riceve da re Artù nel testo
francese (vv. 6674-6747). Chrétien si riferisce a Macrobio, da lui avrebbe imparato l’arte della
descrizione. Non è chiaro quale opera di Macrobio è intesa14. Chrétien si concentra sul tessuto e la
14
D. Kelley, The Conspiracy of Allusion. Description, Rewriting, and Authorship from Macrobius to Medieval
Romance, Leiden (et. al.) 1999, p. 36ss.
21
sua decorazione, soprattutto le figure allegoriche delle quattro discipline del quadrivio che si vede
sul mantello. Ovviamente, questo programma è scelto in relazione alla storia di Erec e Enide.
Nelle estensioni delle descrizioni, Hartmann supera ancora Chrétien. Alcune descrizioni sono nuove
nel testo di Hartmann, altre mancano. Stranamente manca la descrizione del mantello
d’incoronazione.
Il culmine assoluto è la descrizione del cavallo meraviglioso che Enite riceve in regalo dalle sorelle
di Guivreiz. Chrétien dedicò 44 versi alla descrizione del cavallo, Hartmann dodici volte, cioè 534
versi, ovviamente intenzionalmente. Rimangono passi enigmatici in questo capolavoro retorico,
soprattutto la strana allegoria di colori (il cavallo è mezzo bianco, mezzo nero e i due colori sono
separati da una sottile linea verde). Hartmann utilizza questo excursus, fra altro, per discutere il
lavoro del narratore e il compito della narrazione con il suo pubblico.
Le numerose descrizioni ampie fanno il testo di Hartmann, per alcuni passi, un manuale per maniere
cortesi e la cultura materiale cortese.
Prospettiva del narratore e prospettiva delle figure
Il narratore del’Erec è onnisciente. Fa vedere la storia ai lettori dalla sua prospettiva con la sua
interpretazione. Mette anche in scena le figure, le fa parlare e agire, ma così che loro non sanno
tutto ciò che sa l’istanza narrante. Chrétien, nel suo primo romanzo arturiano, ha adoperato
magistralmente l’alternare fra le due prospettive e Hartmann lo seguì. Ma non è che la prospettiva
del narratore e quella delle figure si danno semplicemente il cambio: il narratore si avvicina ora a
una, ora all’altra figura. Chrétien ha scritto la prima parte del suo romanzo fino alla scena del
verligen a Carnant prevalentemente dalla prospettiva di Erec, la parte media è presentata con gli
occhi di Enide, mentre la parte finale è raccontata di nuovo dalla prospettiva di Erec15. Tutto
sommato, Hartmann riuscì in questa alternanza di prospettive.
VIII. Materia e fonti
L’Érec et Énide di Chrétien e le sue fonti
L’Érec et Énide di Chrétien de Troyes, scritto intorno al 1170, fu il primo romanzo arturiano
francese. L’elaborazione della nuova ‘matière de Bretagne’, cioè delle storie di re Artù e i suoi
cavalieri, in forma romanzesca fu il più importante arricchimento della letteratura europea nel
Medioevo.
L’Érec et Énide di Chrétien si basa su due tradizioni: una in volgare, tramandata oralmente, e una
scritta in latino. Questa seconda è rappresentata da un’opera storica della seconda metà del XII
secolo: Geoffrey of Monmouth, Historia regum Britanniae, del 1138 ca. Re Artù appare come
figura storica, un eroe celtico del VI secolo che riuscì a liberare l’isola Britannica dagli invasori
germanici e che conquistò, negli anni seguenti, mezza Europa in una serie di successi militari. La
sua corte fu splendido centro sociale per la nobiltà britannica, le sue cerimonie e grandi feste
ostentarono una sontuosità mai prima vista. Non conosciamo le fonti di Goffrey. Avrà conosciuto
l’antica cronistica, come la Historia Britonum del Ps.-Nennius (IX secolo), che parla di un Arcturus
dux bellorum che avrebbe vinto i Sassoni presso il mons Badonis, nel 518. Inoltre, Geoffrey avrà
consciuto racconti popolari-celtici che giravano oralmente.
Questa tradizione orale di matrice celtica è il secondo pilastro per l’epica arturiana. Com’era fatta
questa tradizione, non lo possiamo sapere. Abbiamo solo poche notizie scritte, in lingua cymrica,
soprattutto del XIV secolo: p. e. la raccolta di racconti celtici in prosa, chiamata Mabinogion. Là,
15
Cfr. N. J. Lacy, The Craft of Chrétien de Troyes: An Essay on Narrative Art, Leiden 1980 (Davis Medieval Texts and
Studies), p. 72ss.
22
Artù è un grande cacciatore e re con una splendida corte dove s’incontrano i cavalieri migliori. Artù
e i suoi cavalieri vivono avventure pericolose nel mondo meraviglioso delle fate e dei maghi celtici.
Intorno alla metà del XII secolo, il clerico normano Wace scrisse una versione anglo-normanna
della Historia regum Britanniae in versi, il Roman de Brut che fu il primo racconto francese su re
Artù. Wace menziona per la prima volta la celebre Tavola Rotonda.
Non è da escludere che la storia di Erec e Enide circolasse già oralmente prima che il romanzo
prese forma. Chrétien dice nel prologo del suo Érec et Énide che cantautori professionali delle
grandi corti, di solito, spezzano e distruggono la storia di Erec. Se ci crediamo, un racconto orale di
Erec e Enite girava già nell’ambito della ‘matière de Bretagne’. Però, i tentativi di ricostruire questo
archetipo orale non ha dato nessun risultato. Oggi la critica tende di più a pensare che Chrétien
stesso abbia composto la storia di Erec da singoli motivi celtici in circolazione. Di origine celtica
nell’Erec è la figura di Morgane (Morganz, v. 4196), esperta di medicina, nell’Erec presentata
come sorella di Artù; inoltre, il cavallo di Gauvain, chiamato Gringalet (v. 3935), forse anche il re
nano Guivret con le sue sorelle, forse la caccia al cervo bianco. Sicuramente celtico è il luogo della
morte Limors. Numerosi sono i motivi celtici in Joie de la cort: la nebbia magica, il giardino
paradisiaco, le teste infilzate, il corno. L’amica di Mabonagrain porta ancora i tratti di una fata
dell’altro mondo celtico.
La popolarità della materia arturiana
Jean Bodel (morto il 1210) divise l’epica francese del suo tempo in tre gruppi: de France et de
Bretaigne et de Romme la grant (Chanson de Saisnes, v. 7). La “matière de France” è l’epica delle
chansons de geste francesi che trattano materiale della storia merovingica e carolingica. La “matière
de Romme” intende i romanzi d’antichità francesi del XII secolo. La “matière de Bretaigne” sono i
romanzi d’Artù e di Tristano. Jean Bodel ha distinto i tre gruppi a seconda del contenuto di verità
intrinseco: le chansons de geste sono vere perché sono materia storica; i romanzi d‘antichità sono
istruttivi e fanno parte del bagaglio culturale; i romanzi arturiani sono divertenti e piacevoli. In
queste affermazioni si riflette il giudizio del clerico dotto sulle forme di intrattenimento della
società cortese. L’aggettivo ‘piacevole’ allude al grande successo dei romanzi arturiani nei circoli
della nobiltà.
Adaptation curtoise
In nessun paese l’epica arturiana francese fu recepita così presto e così intensamente come nella
Germania. I poeti sono stati incaricati con la traduzione e l’elaborazione dei romanzi francesi
perché la nobiltà tedesca era molto interessata della cultura nobile francese, così tanto che da voler
conoscere tutto di questa cultura. Tutto ciò che era francese fu considerato esemplare e degno di
essere imitato, soprattutto nell’ambito della moda.
La dipendenza dalla materia francese non ha impedito ai poeti tedeschi di mettere accenti propri e
di cambiare dove loro sembrava giusto. Il processo di questa elaborazione della fonte francese in
lingua tedesca è chiamato adaptation curtoise.
L’Erec di Hartmann e l’Erec di Chrétien
Come Hartmann è proceduto nell’elaborazione del suo modello francese dipende dalla valutazione
della tradizione testuale (vedi sopra: l’esistenza di due testi dell’Erec). L’Erec di Ambras ha
cambiato tanti dettagli e posto nuovi accenti, mentre il frammento del secondo Erec segue
fedelmente il testo francese.
Il cambiamento più vistoso della versione di Ambras si trova alla fine: nel testo tedesco la storia
finisce, non come quella francese alla corte di Artù, ma a Karnant con una visione della beatitudine
eterna di Erec e Enite. La trasformazione del modello ha già cominciato nell’episodio di Joie de la
23
curt con l’introduzione delle 80 vedove. Il trasferimento delle vedove alla corte di Artù dà un nuovo
senso all’ultima scena di Artù: re-integrazione delle vedove nella corte e restituzione della goia.
Per il resto, le due trame si distinguono solo in poco, e i motivi di Hartmann per uno o altro
dettaglio cambiato sono poco chiari. Alcune scene del testo francese sono state cancellate nella
versione tedesca. Ogni tanto, riduzioni di questo tipo portano a confusione e fraintendimenti.
Più chiara è la motivazione per il cambio della figura di Erec nel testo di Hartmann. Diverso è già il
punto di partenza: l’Erec tedesco è un giovane inesperto che deve imparare tante cose sulla sua via
di prova e formazione. L’Enite tedesca sta più vicina al suo modello francese, però le sue virtù
femminili (umiltà, ubbidienza, senso di inferiorità) sono rinforzate, è più passiva e devota al marito.
Il più grande cambiamento è la costante emozionalizzazione delle figure nel testo tedesco, la loro
motivazione dall’interno. L’idea di due protagonisti, la coppia Erec e Enide, non regge nel testo
tedesco, che è un romanzo su Erec. Rimane inspiegabile perché il testo tedesco abbia una
dimensione maggiore di una volta e mezzo in più rispetto a quello francese.
La questione delle fonti secondarie
La questione se Hartmann avesse conosciuto e utilizzato ancora altre fonti oltre a Chrétien, oggi
non è più di grande interesse. Hartmann conosceva la letteratura volgare del suo tempo. Nell’Erec si
trovano stretti rapporti con l’Eneit di Heinrich von Veldeke. Fu anche un uomo dotto con la
conoscenza del latino e accesso alla letteratura teologica del suo tempo.
In alcuni dettagli, il testo di Hartmann corrisponde con due rifacimenti dell’Erec di Chrétien in
prosa, cioè il Mabinogi Gereint ab Erbin in lingua cymrica e la Erex saga norvegese. Ma ciò non
basta per poter confermare una dipendenza.