Come cambiano i problemi visivi delle persone

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Come cambiano i problemi visivi delle persone
optometria
Come cambiano
i problemi visivi
delle persone
G
li specialisti della visione stanno oggi progressivamente ampliando
le aree investigate, non limi-
DI
SILVIO MAFFIOLETTI,
DOCENTE A CONTRATTO
CORSO DI LAUREA
IN OTTICA E OPTOMETRIA
DELL’UNIVERSITÀ
DEGLI STUDI
DI MILANO BICOCCA
DEL
tandosi più alla sola compensazione ottica (lenti oftalmiche
o lenti a contatto che mirano
al ripristino della visione nitida), ma considerando anche
la prevenzione (fornitura di
consigli o indicazioni visive e/o ergonomiche) e il
potenziamento delle
abilità visive. Essi,
proprio perché
conoscono i
rapporti
che legano strettamente
la visione
con gli impegni scolastici, con
l ’ o rg a n i z zazione spaziale
e motoria, con
le abilità di lettura
e con il rendimento
sportivo, sono in grado
di intervenire in maniera
specifica ed efficace nei confronti di una vasta gamma di
condizioni visive inefficienti e/o inadeguate [Rossetti,
Gheller, 2003].
I problemi visivi prossimali
rappresentano oggi la difficoltà visiva numericamente più
10
diffusa in Italia e si presentano
attraverso caratteristici quadri
sintomatici, che richiedono al
professionista specifiche competenze teoriche e cliniche.
I problemi visivi prossimali
non interessano più, come
avveniva in passato, soltanto
il ristretto mondo accademico
e intellettuale, ma riguardano
studenti, operatori Vdt, artigiani, ricercatori, imprenditori,
insegnanti, ecc.
Quando muta
l’impegno
visivo
richiesto
L’inarrestabile diffusione dei
problemi visivi prossimali
mette in evidenza i profondi
mutamenti che, nella seconda
metà del Novecento, hanno
trasformato la società italiana
modificandone le caratteristiche economiche, urbanistiche,
sociali ed etico-morali. Per
secoli la vita degli italiani era
stata regolata dai ritmi delle
stagioni e dagli impegni lavorativi connessi all’agricoltura.
La maggior parte delle persone
lavorava la terra e allevava il
bestiame, traendone il necessario per vivere; la loro vita
si svolgeva prevalentemente
all’aria aperta e l’attività lavorativa veniva espletata attraverso l’uso della forza e della
resistenza fisica.
L’era industriale ha radicalmente modificato questa situazione. Le attività prettamente cognitive effettuate a
distanza prossimale hanno sostituito quelle di tipo fisico e in
Italia, a partire dalla seconda
metà del Novecento, l’uomo
non produce più direttamente
ciò che gli serve, in quanto
è l’organizzazione economica
e sociale che gli garantisce,
in maniera indiretta, la sopravvivenza. La forza fisica è
divenuta meno importante e le
mansioni lavorative più diffuse
in Italia vengono effettuate in
luoghi relativamente ristretti
e in condizioni sedentarie e
richiedono un’attività mentale
intensa e prolungata unita a
una competenza qualificata,
costruita attraverso anni di
frequenza scolastica e di perfezionamento professionale
[Maffioletti, 2004].
In questo mutato contesto,
l’utilizzo del sistema visivo
è cambiato. L’uomo oggi si
avvale della visione non sol-
optometria
tanto per percepire e riconoscere gli spazi circostanti, nei
quali orientarsi e muoversi
opportunamente, ma anche
e soprattutto per leggere e
comprendere i testi oppure
le immagini che gli vengono
presentate a distanza prossimale e in svariate modalità,
perlopiù su supporti cartacei
oppure a monitor. La richiesta
visiva è divenuta più intensa e
dispendiosa e, per questo, oggi
i problemi visivi prossimali
non riguardano più soltanto i
soggetti presbiti, ma tutti coloro che hanno intense richieste
visive a distanza ravvicinata.
Cambiano
anche
i problemi
visivi
delle
persone
distanza prossimale, ecc.
In Italia la testistica optometrica viene somministrata in due
modalità: al forottero oppure
nello spazio libero. I fautori
delle due metodologie hanno
a lungo dibattuto quale sia la
più precisa e, in relazione alle
varie problematiche visive, la
più opportuna.
Test al
forottero
e test nello
spazio libero
la propria visione in attività
prossimali, il professionista
non insisterà con test relativi
alla visione a distanza, ma
si orienterà prevalentemente
verso la verifica delle abilità
visive connesse alla visione da
vicino: ampiezza e flessibilità dell’accomodazione e delle
vergenze, acutezza visiva da
vicino, rapporto AC/A, stabilità della visione binoculare a
Il mutare della società ha cambiato anche la pratica optometrica, che si è interessata alle
nuove problematiche visive
della popolazione ampliando
e perfezionando le procedure
cliniche. Oggi l’esame visivo
di base non si limita più alla
compensazione delle eventuali
ametropie, ma esamina anche
altre abilità quali la motilità
oculare, la funzione accomodativa e la visione binoculare,
valutando la loro adeguatezza
alle richieste visive indotte
dall’ambiente.
Il professionista della visione
inizia la valutazione visiva con
un’attenta anamnesi del soggetto, che gli consente di scegliere la batteria di test visivi
più adeguata al caso in esame.
Per esempio, controllando un
soggetto che impegna a lungo
11
Il forottero è stato brevettato nel 1908 con il nome di
“Lens System Measuring the
refraction of the eye”. I primi
esemplari erano composti da
una struttura comprendente
quattro dischi dotati di non più
di otto lenti ciascuno, che consentivano un’escursione diottrica da sf–20.00 a sf+15.00
diottrie [Cappa, 2004]. Oggi
il forottero è uno strumento
più complesso, dotato di lenti
sferiche, lenti astigmatiche,
prismi e lenti accessorie assemblate in un’unica struttura,
tenuta sospesa dinanzi agli
occhi del soggetto esaminato. La parola forottero deriva
da due vocaboli: phoro, che
significa “esame del sistema
muscolare”, e optometer, che
significa “rifrazione”. Il termine è legittimo e corretto, perché i forotteri contengono sia
i prismi di Risley per testare le
vergenze e le forie sia le lenti
necessarie per effettuare la
verifica rifrattiva.
Il forottero risulta particolarmente pratico nelle sequenze
di analisi visiva che richiedono
una frequente sostituzione di
lenti. In Italia non ha avuto
optometria
la capillare diffusione che è,
invece, avvenuta nei paesi anglosassoni; gli studi optometrici italiani che ne dispongono sono pochi, probabilmente
perché il forottero viene considerato semplicemente (ed
erroneamente) come un’alternativa alla cassetta di lenti di
prova. Interpretato in maniera
così riduttiva, il forottero non
viene valorizzato nei suoi numerosi pregi, che ne fanno uno
strumento fondamentale nella
valutazione visiva [Roncagli,
2002].
I vantaggi principali del forottero risiedono:
- nella sua capacità di velocizzare il cambio delle lenti (e
quindi l’esame visivo)
- nella sua comodità, presentando sempre in ordine e
protetti dalla polvere i vari dispositivi ottici di cui è dotato
- nella sua precisione (l’asse
e il potere delle lenti astigmatiche possono essere verificati con particolare esattezza
con i cilindri crociati fissati
al forottero; l’asse dei cilindri
crociati è collegato, attraverso ingranaggi, alla manopola
di regolazione dell’asse delle lenti astigmatiche inserite,
cosicché, durante l’esame visivo, la rotazione della lente
astigmatica inserita provoca
automaticamente una rotazione del cilindro crociato posto
davanti all’occhio)
- nella sua stabilità (il potere prismatico introdotto per
quantificare forie e vergenze
attraverso il prisma di Risley
è stabile, in quanto è fissato allo strumento; la misura
può quindi essere rilevata con
maggiore accuratezza)
- nella ripetibilità delle modalità di presentazione dei
test, che ha indotto vari autori (Donders, Sheard, Percival, Hofstetter, Fry, Morgan,
ecc) a predisporre specifiche
sequenze standardizzate dell’esame optometrico.
I principali limiti del forottero,
invece, risiedono:
- nella forma dello strumento,
che nasconde il volto del soggetto esaminato impedendo al
professionista di osservarne la
mimica
- nel limitato diametro dei fori
per la visione e nel conseguente ridotto campo visivo, che
riduce significativamente la
visione periferica
- nell’impossibilità di verificare con il frontifocometro
l’effettivo potere frontale posteriore della combinazione
di lenti realizzata attraverso
l’esame visivo
- nella sua indipendenza dalla
postura del soggetto esaminato (se egli piega lievemente
la testa da un lato durante
l’esame, la correzione cilindrica risulterà prescritta con un
asse errato)
- nell’inopportuno adattamento che le variazioni prismati-
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che, introdotte con gradualità
al test delle vergenze con i
prismi di Risley, inducono nel
soggetto esaminato; tale adattamento rende il risultato del
test meno attendibile [Scheiman, Wick, 2002].
I test nello spazio libero si
rivelano, a loro volta, più appropriati per la verifica delle
abilità dinamiche del sistema
visivo (oculomotilità, facilità
accomodativa, ampiezza accomodativa, facilità di vergenza, ampiezza di convergenza,
posizione del LAG e del LEAD,
presenza e ampiezza di forie
o di tropie). Gli accademici e i
clinici concordano oggi nel ritenere che l’analisi visiva nello
spazio libero sia più adatta a
verificare la condizione visiva
del soggetto nel corso dell’attività prossimale e, altresì, sia
più idonea a determinare, in
caso di problemi o di sintomatologia astenopica, la terapia
visiva da adottare.
I vantaggi dell’analisi visiva
dello spazio libero, quindi,
risiedono:
- nella possibilità di testare il
soggetto nella sua condizione
posturale naturale, nell’abituale modalità di utilizzo del
sistema visivo
- nella sua possibilità di evidenziare e quantificare alcune
funzioni visive dinamiche (facilità di accomodazione, facilità di vergenza, ecc) che non
sono verificabili utilizzando il
forottero
- nella sua possibilità di
evidenziare più facilmente
un’eventuale soppressione
che intervenga durante l’effettuazione del test.
Modelli
teorici
di riferimento
La visione e il suo corretto funzionamento sono esaminati
guardando a due principali modelli teorici.
Il primo si riferisce
all’ottica fisiologica e
persegue l’accurata
compensazione delle
ametropie, l’equilibrata relazione tra
l’accomodazione e
la convergenza, la
stabilità della visione binoculare.
Il secondo enfatizza l’influenza
sulla funzione vi-
optometria
siva dell’ambiente circostante
e della pregressa esperienza
soggettiva, studia il rapporto
tra la visione e gli altri aspetti
del comportamento, analizza
il ruolo della visione come
modalità di raccolta e di elaborazione delle informazioni.
Il secondo approccio appare
più adeguato alla valutazione
dei problemi prossimali di natura funzionale, che normalmente evidenziano una specifica sintomatologia astenopica
da affaticamento visivo. È,
però, maggiormente diffusa in
Italia, da parte dei professionisti della visione, l’applicazione
di un approccio strutturale
semplicistico, in base al quale
“vedere bene” significherebbe
semplicemente raggiungere i
dieci decimi, ovvero riconoscere e denominare correttamente una serie di simboli
neri, larghi e alti 7,3 mm, posti
alla distanza di 5 metri dal
soggetto su tabelle bianche
che realizzano un contrasto
superiore al 90%. Si tratta di
una concezione che si fonda su
un vecchio approccio al tema
della percezione visiva, superato ormai da più di mezzo
secolo: l’adeguata percezione
visiva binoculare e la capacità
di analizzare testi e immagini
in modo adeguato per tempi
prolungati implicano, infatti,
abilità visive e cognitive ben
più ampie della semplice acutezza visiva di dieci decimi
misurata a distanza [Pocaterra, 2004].
Una compensazione ottica
concepita soltanto come “lente di emmetropizzazione a
distanza” potrebbe oltretutto indurre squilibri tra acco-
modazione e convergenza in
soggetti con intenso impegno
prossimale, provocando nuovi e inopportuni adattamenti.
Nonostante le lenti prescritte
i problemi visivi del soggetto
potrebbero, infatti, peggiorare,
se la compensazione ottica
è stata finalizzata esclusivamente all’emmetropizzazione
a distanza e non ha considerato le cause che hanno prodotto
i suoi sintomi astenopici [Faini,
2001].
L’Human
Information
Processing
I modelli teorici più moderni
sottolineano come la visione
assuma un ruolo di unificazione generale, nel quale gli atti
visivi specifici si manifestano
come parte dell’attività complessiva dell’organismo; per
verificare l’adeguatezza del
sistema visivo della persona
alle attività che compie è,
quindi, necessario individuare
eventuali inadeguatezze conseguenti all’età, alla maturazione psicofisica, alle richieste
occupazionali e/o ambientali
[Grosvenor, 2002].
Negli ultimi due decenni del
Novecento la ricerca psicologica, attraverso lo Human Information Processing (H.I.P.),
ha sviluppato un modello più
moderno e completo di visione. Il modello H.I.P. assegna
all’elaboratore visivo umano
un ruolo pertinente e attivo,
in base al quale la persona recepisce le informazioni visive
e le trasmette alle varie strutture del sistema visivo dove
vengono elaborate, valutate,
collegate ad altre informazioni
precedentemente memorizzate e utilizzate per realizzare
pensieri ed azioni.
In estrema sintesi, il processamento dell’informazione visiva
secondo l’approccio H.I.P. può
essere suddiviso in tre fasi
specifiche e complementari: la
fase della discriminazione, la
fase della mediazione e la fase
dell’elaborazione. Secondo il
modello H.I.P. l’essere umano apre gli occhi sul mondo,
seleziona le informazioni ed
elabora i dati raccolti sulla
base della pregressa personale esperienza, della propria
personalità e del contesto sociale nel quale si trova; quindi
sceglie il tipo di comportamento da mettere in atto [Reed,
1994].
L’approccio H.I.P., che assimila l’organismo vivente a un
computer impegnato a elaborare dati introdotti attraverso il
canale visivo, non appare però
esaustivo. In realtà il comportamento visivo dell’uomo è
assai complesso e comprende
sia funzioni di natura riflessa
(accomodazione, visione binoculare, ecc) sia legate alla
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motivazione, alle emozioni,
all’attenzione, al contesto. Ciò
suggerisce un approccio diverso ai problemi visivi prossimali. Nel controllare e valutare la
visione non si osserva soltanto
il sistema visivo, ma l’essere
umano nel suo complesso, nel
suo relazionarsi all’ambiente
circostante. In questo senso
la psicologia cognitiva ha ampliato gli scenari e dilatato gli
orizzonti, studiando i processi
per mezzo dei quali l’input
sensoriale viene trasformato,
ridotto, elaborato, immagazzinato, recuperato e, infine,
utilizzato.
L’analisi
dei dati
optometrici
I dati optometrici raccolti nel
corso dell’esame visivo possono essere analizzati attraverso
varie metodiche. Alcune sono
attualmente in auge e si rivelano appropriate e utili; altre
sono, invece, datate e fanno
ormai parte più della storia che
dell’attualità dell’optometria.
Ogni metodica di analisi sottende uno specifico modello
teorico e una definita testistica
impiegata.
Gli approcci optometrici più
diffusi sono:
- l’analisi grafica
- l’approccio analitico di analisi dell’OEP (Optometric Extension Program)
- il sistema di analisi di Morgan
- l’analisi della disparità di
fissazione
- l’analisi optometrica integrata (AOI).
L’analisi dei dati optometrici
definisce i problemi della per-
optometria
sona e orienta alla corretta
prescrizione ottica per la visione a distanza e, soprattutto,
per la visione prossimale. È un
passaggio di primaria importanza, in quanto i singoli test
optometrici forniscono generalmente indicazioni limitate
e frammentarie; è necessario
integrarli fra loro per ottenere
una valutazione complessiva
e definire così una sindrome,
una condizione problematica,
un quadro globale della situazione visiva del soggetto.
Il professionista esperto potrebbe valutare la situazione
anche utilizzando pochi test,
mettendo a frutto l’esperienza
pregressa che gli ha consentito
di apprendere, sperimentare e
far propri i diversi modelli di
analisi. Egli è, quindi, in grado di individuare i valori nella
norma e quelli inadeguati, definendo la problematica visiva
del soggetto. Ciò che costituisce l’abilità del professionista
esperto è proprio la flessibilità
nell’applicare schemi ed euristiche corrette e congrue alla
situazione in esame. Il neofita,
per ovvi motivi, non possiede
tale capacità.
Il professionista della visione,
durante i primi anni di pratica
professionale, sviluppa generalmente una metodica personale, variegata, sintesi dei
vari sistemi appresi durante il
periodo di formazione scolastica. I dati raccolti nel corso
dell’esame optometrico, come
in ogni esame psicometrico,
variano in relazione al tipo di
tecniche usate, alla sequenza
con cui sono state applicate, allo stato psico-fisico del
soggetto esaminato, alla com-
il controllo di ulteriori sviluppi
di una situazione visiva che sta
mutando, la fornitura di consigli o indicazioni a carattere
preventivo o ergonomico.
Riferimenti bibliografici
petenza professionale e alla
qualità della strumentazione
del professionista.
Qualsiasi sia l’approccio analitico utilizzato, l’esaminatore
non può prescindere dall’uso
di uno studio optometrico adeguato, dove gli spazi riproducano le condizioni ambientali
consuete, nelle quali il soggetto esaminato svolge la propria
attività. Un approccio scientifico all’uso dei test optometrici
implica che il professionista
conosca il costrutto teorico
che misura, sia consapevole
delle proprietà statistiche del
test utilizzato (ovvero la sua
attendibilità e la sua validità)
e si attenga con precisione alle
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norme generali di somministrazione del test. Il risultato
di ogni test è costituito dalla
somma tra il punteggio vero e
l’errore; un approccio consapevole che fa riferimento a una
metodologia scientifica cerca
di ridurre al minimo le cause di
errore [Ruggeri et al., 2003].
L’esame optometrico complessivo trascende, quindi, il semplice esame visivo e la prescrizione della compensazione ottica. Può essere meglio definito
come “gestione della condizione visiva”, espressione che
sottende l’approntamento di
un’adeguata compensazione
ottica, l’approfondimento dei
vari aspetti visivi e percettivi,
- Cappa S., Conspicilla, storia
comparata di sette secoli della
professione oftalmica, Edizione
La Lontra, Genova, 2004
- Faini M., Lezioni di
Optometria, Assopto Milano
Acofis, Milano, 2001
- Fonte R., L’analisi funzionale
nello spazio libero, Rivista
Italiana di Optometria, vol.
28/2, 2005
- Grosvenor T., Primary
care optometry, Butterworth
Heinemann, Boston, 2002
- Maffioletti S., La verifica
e la valutazione optometrica
dell’attività visiva prossimale,
Rivista Italiana di Optometria,
vol. 27/1, 2004
- Pocaterra R., Giovani e
sicurezza stradale, Franco
Angeli, Milano, 2004
- Reed S.K., Psicologia
cognitiva, Il Mulino,
Bologna,1994
- Roncagli V., Forottero:
strumento fondamentale per
l’analisi visiva, Ottica Italiana,
marzo 2002
- Rossetti A., Gheller P.,
Manuale di optometria e
contattologia, Zanichelli,
Bologna, 2003
- Ruggeri L. con la
collaborazione di Facchin
A., Maffioletti S., Pregliasco
R., Segantin O., La
standardizzazione italiana del
protocollo Visuo-CognitivoMotorio (PVCM) in ambiente,
Rivista Italiana di Optometria,
vol.26/4, 2003
- Scheiman M., Wick B.,
Clinical management of
binocular vision, heterophoric,
accomodative, and eye
movement disorders, Lippincott
Williams & Wilkins,
Philadelphia, 2002
dossier
Il bambino
e le abilità di lettura:
il ruolo della visione
I
l processo di apprendimento
della lettura copre un ampio
periodo nel quale il bambino acquisisce le informazioni
relative al linguaggio parlato e alla
sua traduzione grafica scritta che,
gradualmente, gli consentono di
leggere e scrivere correttamente.
Negli ultimi 20 anni le ricerche
concernenti i processi visivi e neu-
ropsicologici che sottendono la
lettura hanno avuto un notevole
sviluppo e oggi costituiscono un
corpus di conoscenze consolidato,
che fornisce a chi se ne occupa una
più ampia consapevolezza.
Silvio Maffioletti e gli altri autori di
questo libro si propongono di fornire un panorama delle principali
riflessioni teoriche e delle ricerche
sperimentali più recenti relative alla
percezione visiva e ai processi che
rendono possibile la lettura. É diviso
in tre parti: la prima riguarda l’area
visuo-percettiva e oculomotoria,
la seconda approfondisce l’area
della lettura, la terza prende in
considerazione l’area ergonomica
e compensativa.
«La formazione scolastica e professionale in larga parte procedono
e sono efficaci per mezzo della
lettura, grazie alla quale si può
ripercorrere il processo mentale
che è alla base dei concetti che
vengono espressi con la scrittura;
la lettura è necessaria per acquisirli,
per comprenderli e per consolidarli nel proprio bagaglio culturale
– spiega Maffioletti - Per imparare
e riuscire ad automatizzare un’attività complessa come la lettura è
necessario che i bambini siano in
grado di automatizzare alcuni dei
sottoprocessi da cui essa è com-
posta; quando ciò non avviene, la
quantità di attenzione necessaria
a leggere eccede le capacità del
bambino».
Si può collocare l’abilità di lettura
di ogni persona all’interno di una
scala di valutazione che ha, a un
estremo, la massima efficienza,
cioè i lettori rapidi e accurati; e,
all’altro estremo, la massima inefficienza, vale a dire i dislessici. «La
dislessia è una difficoltà inattesa.
Nel bambino dislessico l’automatizzazione dell’identificazione della
parola-lettura e/o della scrittura
non si sviluppa oppure si sviluppa
in maniera incompleta. Ne sono
affetti bambini che, per il resto,
sono normali e a volte sono di
intelligenza superiore alla media
- spiega Maffioletti - Esistono poi
situazioni meno evidenti che caratterizzano persone che leggono con
grande difficoltà, che si stancano
dopo pochi minuti di lettura e sono
quindi costrette a interromperla,
che procedono con sintomi disturbanti (bruciore, lacrimazione, ecc),
che comprendono poco e male di
quanto hanno letto. Le condizioni visive inadeguate influenzano
negativamente le capacità di lettura della persona: vedere bene è
importante per leggere bene. La
lettura, quindi, non può prescin15
dere da una visione integra ed
efficiente che, prendendo avvio
dall’interazione tra luce e retina e
continuando negli stadi successivi
dell’elaborazione visiva, consente
l’analisi visiva delle caratteristiche
grafiche che costituiscono il testo,
la “materia prima” della lettura. Vedere bene significa soprattutto non
avere malattie oculari, non avere
ametropie (miopia, astigmatismo,
ecc), avere occhi che cooperano per
realizzare un’immagine binoculare
singola e ricca di informazioni,
muovere gli occhi in modo veloce
e preciso, saper mettere a fuoco i
maniera veloce ed efficace, percepire correttamente i colori, saper
riconoscere anche i piccoli dettagli
di un’immagine, usare le immagini
visive per comprendere e memorizzare concetti e significati. Il miglioramento dell’ambiente scolastico
e i mezzi ottici possono essere di
supporto al bambino che impara a
leggere. Vanno considerate la postura e l’illuminazione ambientale
più idonee (rilevanti per sostenere
nel tempo un impegno prolungato
come quello richiesto durante la
lettura) e i mezzi ottici (occhiali,
filtri colorati e lenti a contatto) che,
quando opportuno, sono in grado
di migliorare la qualità della visione
e l’efficienza visiva del bambino».