Via Pennella: Generale Giuseppe Pennella

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Via Pennella: Generale Giuseppe Pennella
Storia
Via Pennella: Generale Giuseppe Pennella
a cura di Luigi Oss Papot | Archivio Storico comunale
quadriennale, frequentava la scuola militare di Modena nel 1882 dove, senza
godere le spinte di “caste”, allora ferree, risultava 450° su 499 idonei. Risultò, poi,
al 2° posto sui trenta della scuola di Guerra, conseguendo il brevetto di Capo
di Stato Maggiore. Nel 1894 compì ricognizioni sul San Gottardo e nell’Alta
Savoia e, l’anno seguente, sull’Appennino Ligure. Negli anni 1898-1900, venne
impiegato in delicate missioni di ricognizione sulle Alpi e nella Svizzera. Nel
1901-1902 nel Giura Francese ed ancora in Svizzera.
Fu anche poeta, letterario e amante della musica
C
ontinuiamo il percorso di
scoperta dei personaggi ai quali
la città di Pergine ha voluto
intitolare una sua via o una
piazza. Dopo aver scoperto
piazza Serra nello scorso numero, ora
facciamo pochi passi verso il centro storico,
per trovarci in una delle vie principali di
Pergine, via Pennella. Una lunga via, che
parte da piazza Gavazzi, dalla sede della
Cassa Rurale, e che porta fino a piazza
Municipio. È intitolata a Giuseppe
Pennella, generale del Regio Esercito
Italiano, che combatté su vari fronti
durante la Prima Guerra Mondiale
(1915-1918).
La scuola militare a Napoli
Il generale nacque l’8 agosto 1864 a
Rionero in Vulture, comune della provincia
di Potenza, in Basilicata. Ad appena 13
anni, lasciò il suo paese natale per iscriversi
alla Scuola Militare Nunziatella di
Napoli. Questa scuola esiste fin dal 1787
(allora era Reale Accademia Militare),
ed è uno dei più antichi istituti di
formazione militare d’Italia e del
mondo. Tanto per renderci conto della
sua importanza, tra i suoi professori e
alunni ci sono state personalità del calibro
di Francesco De Sanctis, Mariano
d’Ayala, Carlo Pisacane, Guglielmo
Pepe, Enrico Cosenz, un viceré d’Etiopia
(Amedeo di Savoia-Aosta) e persino un
re d’Italia, Vittorio Emanuele III.
Tra i tanti ex allievi di prestigio figurano
alti gradi delle forze armate, tanti politici,
nonché esponenti di assoluto rilievo del
mondo culturale, politico e professionale
italiano e internazionale. Primo nel corso
Pur così impegnato in complesse e delicate missioni militari, Giuseppe
Pennella si dedicava anche alla pubblicazione di opere di carattere militare,
politico, sociale, letterario. Era anche poeta e musicista delicato. Scrisse e musicò,
fra l’altro, una “preghiera del soldato italiano sul campo”, “Passa il Re”. Musicò ancora
“l’Ave Maria” di Giosuè Carducci, tolta dall’Ode “La Chiesa di Polenta”. Allo
scoppio della Prima Guerra Mondiale, Pennella venne scelto, col grado
di Colonnello, dal generalissimo Luigi Cadorna a capo del suo ufficio di
segreteria. Nel novembre 1915 ottenne il comando della Brigata Granatieri di
Sardegna. Pochi giorni dopo Cadorna così si espresse nel tributargli l’encomio
solenne: “Col suo allontanamento, imposto da esigenza di carriera e di organico, il Corpo di
Stato Maggiore perde un valentissimo ufficiale ed io uno dei più geniali e devoti collaboratori,
ma sono certo che la Brigata Granatieri di Sardegna acquista in lui un ottimo comandante”.
Legatissimo ai suoi soldati, Pennella, nell’assumere il comando, verso la “Quota
188”, di fronte a Gorizia, donde passare nel Trentino, giurò che si sarebbe
recato, per alcune ore, tutti i giorni a vivere la vita di trincea dei suoi granatieri.
E lo fece sempre, se non tutti i giorni, almeno un paio di volte la settimana,
anche quando assunse comandi di grandi unità. Diceva con convinzione: “Non
si può degnamente comandare, senza mantenere assiduo contatto con i soldati e la trincea”.
Il 21 dicembre 1916 ebbe l’incarico di Capo di Stato Maggiore della IV
Armata, cooperando alla difesa del Cadore e alle azioni difensive delle
Alpi di Fassa. Nominato comandante della XXXV Divisione (Corpo di
spedizione della Macedonia), dal 26 aprile al 24 maggio 1917 diresse, tra
l’altro, la famosa offensiva che gli procurò la Commenda di Karageorgevik
Serba e, poco dopo, la promozione a tenente generale per merito di
guerra. Leggendario l’episodio del Cengio, pubblicizzato sulla “Domenica
del Corriere” in cui una suggestiva illustrazione di Beltrame, quando il
Generale Pennella col fucile imbracciato si mise alla testa dei suoi granatieri.
Nel marzo 1918 il nuovo comandante supremo, suo vecchio amico, il generale
Armando Diaz, lo designò al comando dell’VIII Armata del Montello e
qui si distinse nella famosa battaglia del Solstizio, del 15 giugno, provvedendo
alla sistemazione difensiva del delicato settore, che gli permise di contenere
l’avanzata austriaca in quasi tutta la linea del fronte e poté rigettare, con inizio
dal 19 giugno, al punto di partenza il nemico. Per questa superba azione militare,
Giuseppe Pennella venne riconosciuto come antesignano della vittoria finale
Storia
di Vittorio Veneto. Successivamente, alla guida dell’avanzata della
22esima Divisione italiana e della 48esima Divisione inglese
dall’Altopiano di Asiago a Caldonazzo, grazie alle sue doti di
stratega militare, Giavera del Montello e Pergine Valsugana
vennero liberate prima del 4 novembre, evitando atrocità commesse
in altri luoghi dal nemico in ritirata.
La nomina di cittadino onorario e la via a suo nome
Per meriti patriottici, virtù e capacità personali, avvalendosi dei poteri
discrezionali conferitigli dallo stato di guerra, il 5 novembre 1918
nominò sindaco di Pergine l’avvocato Angelo Valdagni. In
segno di gratitudine, il 7 novembre 1918 la comunità locale lo nominò
cittadino onorario di Pergine e gli intitolò la via centrale della
borgata, fino ad allora denominata Via Postale. Famosa è la foto che
lo ritrae in parata all’uscita dalla messa per la fine della
guerra, celebrata nella chiesa parrocchiale di Pergine
l’11 novembre 1918. Al suo fianco, l’avvocato Angelo
Valdagni. Nel 1919, il generale Pennella fu inviato dal
governo italiano, alla testa di 85.000 uomini, in Georgia
a mantenere l’indipendenza dei nuovi paesi caucasici. Alla
fine della guerra, prese il comando di Corpo d’Armata
di Firenze e ricoprì anche la mansione di presidente
della Deputazione provinciale fiorentina. Dopo
aver ottenuto diverse decorazioni, comandante e generale
per gradi ma soldato semplice in spirito, si spense a
Firenze il 15 settembre 1925.
Da Pergine a Pechino
Il diario di guerra di Arturo Dellai (1914-1920)
Dopo un lungo e complesso lavoro di studio l'Associazione "Amici
della Storia" di Pergine, in compartecipazione con il Comune
di Pergine, ha finalmente pubblicato l'atteso volume dedicato al
diario di guerra del perginese Arturo Dellai e realizzato la
mostra documentaria che permette di percorrere la vicenda narrata
in quelle pagine attraverso la ricca esposizione di moltissimi materiali
iconografici e documentali. Arturo Dellai, perginese, Kaiserjäger
nell'esercito austroungarico, parte per il fronte orientale allo scoppio
della Grande guerra, arriva a Leopoli, in Galizia; nell'atroce
battaglia del settembre 1914 la pallottola sparata da un suo compagno
sdraiato dietro di lui gli trapassa il piede destro e si ferma nella
gamba, mentre schegge di granate russe penetrano in tutto il corpo.
Raccolto dai russi, che hanno travolto le linee austroungariche,
privo di coscienza tra i cadaveri dell'infernale carneficina, si ridesta
prigioniero e gravemente ferito all'ospedale di Kiev. [...Da lì comincia
il suo lungo viaggio, che lo porterà in Ucraina, Crimea, Siberia e Manciuria,
fino al rientro in Italia nel 1920 con un viaggio per mare di 15.127 km fino a
Trieste che dura un mese e mezzo...] Queste le principali vicende vissute da
Arturo Dellai che possiamo ricavare dalle sue note di diario scritte
in un quadernetto conservato grazie alla passione per le memorie
storiche del figlio Luciano, insieme a innumerevoli cartoline postali
e illustrate, fotografie, foglietti, banconote, cartine geografiche,
vocabolarietti, album di immagini, e altri piccoli oggetti, tra cui
la pallottola macchiata di sangue che lo aveva ferito in battaglia.
Il diario viene ora pubblicato, messo a disposizione
in una trascrizione integrale che rispetta fedelmente
l'originale, corredato da un apparato di fotografie,
cartoline, immagini (materiali appatenenti ad Arturo
Dellai o raccolti dal figlio Luciano), da note e schede
di approfondimento. Per dare la possibilità al lettore di
leggere direttamente il testo anche nella stesura originale
del manoscritto, con una scelta editoriale inusuale ma
sicuramente interessante, al volume è stata allegata
la riproduzione in facsimile del quadernetto
di 144 pagine. Nel volume la trascrizione del diario
è preceduta dalla biografia "La vita in guerra e in
pace di Arturo Dellai (1889-1973)", da un quadro
cronologico delle sue peripezie e dei suoi spostamenti e
da una nota sulle caratteristiche del diario. La cura del
volume è di Alessandro Fontanari che nel suo saggio
introduttivo intitolato La forza di scrivere. Parole e ricordi di
guerra nel diario di Arturo Dellai lo esamina dal punto
di vista della scrittura autobiografica di guerra, con
le sue particolari modalità di espressione di una vicenda
esistenziale eccezionale, senza tralasciare il valore di
testimonianza di un evento storico di portata mondiale
vissuto da milioni di soldati, di prigionieri, di reduci. Il
diario, con i suoi tratti individuali irriducibili, si configura
Storia
così, pur nella semplicità di stile e di lessico,
come un genere letterario, con un tessuto di
temi, motivi, luoghi e simboli della letteratura
occidentale: il viaggio, il combattimento,
le prove mortali, la malattia, la prigionia,
l’odissea del ritorno continuamente impedito;
l’incontro con mondi esotici e sconosciuti;
il caso e il destino. Il viaggio negli immensi
spazi della Russia e della Siberia avviene
sempre con il treno che assume un posto
centrale nella storia di Arturo Dellai e che
con il suo simbolismo, arcaico e moderno allo
stesso tempo, ben riassume una guerra che
ha definitivamente trasformato il mondo. Nel
volume si trovano due studi storici di carattere
generale, il primo, Il fronte orientale, del
professor Gustavo Corni (docente di Storia
contemporanea presso l’università di Trento)
tratta del fronte orientale, sia quello russo che
quello balcanico. Analizza le vicende belliche
e il coinvolgimento delle potenze europee, la
Germania, la Francia, l’Austria-Ungheria, la
Russia, soffermandosi sulla guerra in Galizia
e poi sulle vicende legate alla rivoluzione
russa del 1917 e alla conseguente guerra
civile. Il secondo studio, Il miraggio del ritorno, a cura di Simone A. Bellezza
(ricercatore presso l’università degli Studi di Trento), indaga la situazione dei
prigionieri italiani in Russia durante la Prima guerra mondiale e segue
le vicende di Arturo Dellai per confrontarle con la situazione generale dei
prigionieri in Russia, le scelte che dovettero fare, se optare per lo stato italiano o
rifiutare l’invio in Italia; il trattamento loro riservato; l’illusione del ritorno e la
conseguente disillusione; la permanenza nei campi di Kiev e poi di Kirsanov; le
malattie e i ricoveri in ospedale; il lavoro nelle campagne russe, la malnutrizione e
gli stenti; il trasferimento con la Transiberiana a Vladivostok e da lì in Manciuria,
nei possedimenti italiani; l’arruolamento quasi obbligato nei battaglioni italiani
e il ruolo delle politiche nazionali nel trattamento dei prigionieri. Il volume
è corredato da una Cronologia generale, da alcuni approfondimenti storici
e dall’elenco delle illustrazioni. Il lettore attento avrà modo di apprezzare la
grafica particolarmente accurata, la ricchezza di immagini, la cura e
l’attenzione riservate dal curatore e dal team della Publistampa all’impianto,
alla costruzione e all’impaginazione di questo particolare libro, che si
compone di due parti inscindibili, il volume di studio e il quadernetto che riporta
il facsimile del diario di Arturo Dellai. Il prezzo di copertina è di 25 euro e si
può trovare a Pergine presso la Libreria Athena, la cartolibreria, l’edicola
Floriani di via Monte Cristallo e in Publistampa; è in distribuzione anche
in alcune librerie di Trento e della provincia. È possibile inoltre farne richiesta
o avere informazioni scrivendo una mail alla nostra associazione. (riferimento:
[email protected]).
Alessandro Fontanari e Iole Piva
per l’Associazione Amici della Storia
Custodia originale e pp 108 e 109 aperte del DIARIO
Arturo Dellai, terzo in piedi da sinistra in divisa di
Kaiserjaêger 1912
Opere d’arte in edifici di Pergine
N
el territorio del Comune di Pergine non abbondano le
opere d’arte visibili o liberamente visitabili dal
pubblico. La stessa Chiesa parrocchiale e quella dei
Francescani non offrono opere pittoriche o sculture
tali da giustificare una visita specifica, di perginese o
turista. Lo stesso Cesare Battisti, nella sua Guida di Pergine, edita
nel 1904, descrivendo la parrocchiale annotava «i dipinti sono tutti di
poco valore; eccettuati un S. Antonio e un S. Valentino, che sono della scuola
del Bassano». Battisti non era insensibile alle bellezze artistiche, e
non solo perché nella sua famiglia era cresciuto un cugino orfano,
Gino Fogolari, destinato a diventare un grande storico dell’arte,
direttore delle Gallerie di Venezia, docente in quella Accademia,
soprintendente per i beni artistici del Veneto, ma aveva al suo fianco la
moglie, Ernesta Bittanti, persona come il marito, di grande cultura,
che di arte si occupò sempre.
Il suo giudizio sulle opere d’arte contenute della chiesa
maggiore di Pergine rimane a tutt’oggi valido. La pala
dell’altare maggiore, rappresentante la Natività di
Maria, dipinta all’inizio del 1800 dal veronese Ugolini,
che fece anche un ritratto al suo committente, il grande
parroco Francesco Tecini, ritratto conservato nel
Museo Diocesano Tridentino, è solo un buon lavoro.
Nulla di paragonabile ai dipinti del Bassano della vicina
chiesa di Civezzano. La via Crucis fu dipinta da un
modesto pittore con bottega a Bassano. L’abate Giovanni
a Prato si era adoperato per farla dipingere da Eugenio
Prati, a quel tempo a Firenze, ma, come scriveva il
pittore all’abate il 10 agosto 1868: «Rispetto alla via Crucis
con dispiacere devo rinunziarvi. Il poco che mi danno servirebbe
appena per la spese, dovrei lavorare in fretta e furia per tre anni senza
Storia
potervi far sopra quegli studi che si dovrebbero e vorrei fare.» Vi sono però dei
dipinti, misconosciuti dagli stessi perginesi, conservati e fortunatamente
giunti fino a noi nella Chiesa di San Carlo Borromeo. Si tratta
di alcuni affreschi visibili sulla parete della navata e nella sacrestia
dietro all’altare. Di queste opere esistono due soli studi recenti
facilmente reperibili. Il primo, di Laura Dalprà, già sovrintendente
ai Beni artistici ed ora direttore del Castello del Buonconsiglio, è
un saggio pubblicato nel volume In factis Mysterium legere, edito
in onore del perginese di nascita mons. Iginio Rogger per il suo
ottantesimo compleanno, riguardante gli affreschi nella sacrestia. Il
secondo è solo una breve nota riguardante gli affreschi più visibili
al pubblico, ricavata da appunti presi da una persona presente alla
conferenza che il dott. Claudio Strocchi, direttore dei restauri dei
dipinti, tenne al momento della presentazione della fine dei lavori
relativi alla chiesa di San Carlo. Il dott. Strocchi ha anche redatto
una documentata memoria scientifica, presentata nella giornata
di studio specialistico tenuta a Padova nel 2011 e pubblicata nei
relativi Atti, nel 2012. In essa descrive in dettaglio anche l’opera di
restauro effettuata nella chiesetta negli anni 2008-2009. È il caso di
sottolineare che quelli conservati in San Carlo sono affreschi la cui
importanza trascende il nostro Comune, come la stessa Regione, ed
hanno un alto valore nella storia dell’arte di portata nazionale, se non
internazionale. Laura Dalprà, nel suo dotto e preciso saggio non
parla solo degli affreschi perginesi ma allarga le sue argomentazioni
ad altre raffigurazioni pittoriche, sia in Trentino che in Alto Adige.
A noi interessa però solo quanto espresso a favore dell’attribuzione
dei dipinti della chiesa di San Carlo a Venceslao, ovvero allo stesso
autore degli eccezionali affreschi dei mesi nella Torre d’Aquila al
Castello del Buonconsiglio, classificati come capolavori del gotico
internazionale. Il ciclo dei mesi è noto in tutto il mondo, e spesso,
anche in documentari stranieri, le immagini sono usate per illustrare la
vita e l’economia in Europa nel quattordicesimo secolo. La datazione
dei dipinti nella chiesetta perginese dovrebbe collocarsi alla fine dello
stesso secolo ed è probabilmente di pochi anni anteriore o coeva agli
affreschi della Torre d’Aquila. La Dalprà riprende, approfondisce e
chiarisce le ipotesi attributive a Venceslao già avanzate da Nicolò
Rasmo, con ricchezza di paragoni con le non molte opere conosciute
dello stesso autore che si trovano sia nella Cattedrale di Trento,
nella stessa Torre d’Aquila e in altri luoghi. Questi affreschi, sulle
pareti della sacrestia, rappresentano, quelli sulla parete meridionale,
il Martirio di Santa Caterina d’Alessandria, sulla opposta
parete una Madonna con Bambino e santi e una Navicella. Altri
rappresentano San Paolo, Santa Dorotea, San Giovanni Battista.
Per le pitture scoperte e restaurate pochi anni fa, riportiamo alcune
spiegazioni tratte da quanto già pubblicato su «Comunità e missione»:
Grazie all’intervento di restauro conclusosi nel giugno 2009, la chiesa
di San Carlo si è arricchita anche di un pregevole ciclo pittorico
inedito. Alla parete destra dell’aula è oggi infatti possibile ammirare
gli affreschi che illustrano alcuni episodi incentrati sulla figura di San
Nicola. Le scene sono organizzate in riquadri rettangolari e sono
suddivise in due registri, come si rileva dall’osservazione
complessiva della parete, nonostante lo stato di
frammentarietà. La prima scena in alto a destra raffigura
la Consacrazione a vescovo di Nicola.
Il santo inginocchiato e orante riceve la mitria vescovile
alla presenza di tre vescovi, di altri rappresentanti della
chiesa contraddistinti da suppellettili ecclesiastiche e dalla
folla. La scena accanto - San Nicola placa la tempesta
- mostra la disperazione dei naviganti che invocano
l’intervento del santo mentre salva l’imbarcazione dalla
furia delle acque. Nell’affollata raffigurazione dell’evento
calamitoso sono superbamente espresse le reazioni
umane di fronte al pericolo: si colgono gli sforzi dei
marinai che si aggrappano alla nave e tirano le funi, la
paura e il raccoglimento che attanagliano i rassegnati,
la speranza di quelli che pregano e invocano il santo
ed il ringraziamento di fronte al pericolo scampato. La
frammentaria scena in alto a sinistra, delimitata da una
monofora tamponata e dalla costruzione di un pilastro
della struttura architettonica settecentesca, è occupata
dalla rappresentazione di un edificio composto da una
camera da letto al piano superiore e da un portico a
quello inferiore. Nel primo ambiente San Nicola appare
ad un dormiente, nel secondo un armigero addormentato
è seduto di fronte ad una porta chiusa. I due episodi si
possono riferire al leggendario racconto agiografico
del Miracolo dei tre stratelati (generali bizantini) che,
ingiustamente incarcerati, furono liberati per intercessione
di San Nicola che apparve in sogno all’imperatore. In
assenza di qualsiasi notizia documentaria riferibile a
questo ciclo, la sua esecuzione e la paternità possono
essere unicamente oggetto di ipotesi. L’indubbia
altissima qualità della pittura, che non ha confronti
con il panorama coevo trentino, induce a ritenere che
la maestranza pittorica che l’eseguì, presumibilmente
si formò sulla conoscenza della produzione dei seguaci
di Giotto attivi in area veneta, come suggeriscono
l’impostazione delle architetture e la possanza corporea
dei personaggi, nonché l’attenzione alla realtà. Tali
caratteristiche risultano peraltro associate e sapientemente
mescolate anche con modi più espressivi e caricati, che
rivelano assonanze con alcune soluzioni adottate dai
pittori emiliani della metà del Trecento. Non è possibile
riprodurre tutte le immagini degli affreschi della chiesa
di San Carlo Borromeo. Pubblichiamo, a corredo
di questa nota, due foto, dovute ad Antonio Sartori,
una di affreschi della sacrestia, con il martirio di santa
Caterina d’Alessandria, l’altra del dipinto con le
scene di San Nicola che placa la tempesta e la
Consacrazione a vescovo di Nicola.