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Numeri e numerali
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''Nessuna sostituzione delle targhe esistenti e nessun costo aggiuntivo per il Comune di Roma''. Lo precisa
all'Adnkronos l'assessore capitolino alla Cultura, Giovanna Marinelli, in merito alla delibera approvata ieri
dalla Giunta sulla cancellazione dei numeri romani dalle targhe di piazze e vie di Roma. Un provvedimento
obbligato, visto che risponde a una richiesta dell'Istat, messa nero su bianco in una circolare.
''Rispondiamo a un'indicazione dell'Istat a cui non potevamo non rispondere - precisa l'assessore alla cultura L'Istituto di statistica ha individuato dei processi di standardizzazione, ossia delle regole tecniche, a cui i
comuni si devono necessariamente uniformare nelle denominazioni di toponomastica''.
''Queste regole prevedono che venga adeguato l'archivio on line, ovvero il database dentro il portale dei
comuni e, devo dire, che Roma è stata tra i primissimi comuni ad aver già fatto questo lavoro. Ma queste
regole non comportano nessuna sostituzione delle targhe esistenti, se non per quelle che mano a mano
vengono sostituite per anzianità, perché sono rovinate, rotte o macchiate. Ovviamente le regole valgono per
le nuove targhe. Tradotto in parole povere non c'è nessun costo aggiuntivo''.
Tra gli esempi che si possono citare quello di via XXIV Maggio che non sarà più scritta con i numeri romani ma
con le lettere: ovvero via Ventiquattro Maggio. Altro caso, quello di piazza di 'S. Anastasia' che diventerà
piazza di 'Sant'Anastasia'. ''Alla fine le regole di standardizzazione - conclude Marinelli - rendono tutto più
semplice''.
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Quel cattivone di Ignazio Marino ne ha combinata un’altra. Come ha raccontato il Messaggero, il perfido
Marino «ha “licenziato” i numeri romani: dalle targhe alle bollette, addio alle tradizionali cifre dell’Impero», e
ciò, come potete immaginare, causerà una serie di incredibili svantaggi ai romani.
l’Agenzia delle Entrate ha pubblicato sul suo sito questa delibera dell’Istat: «PRECISAZIONI RELATIVE
ALL’ATTIVITA’ DI INSERIMENTO E VALIDAZIONE DEI DATI TOPONOMASTICI (STRADARI E NUMERI CIVICI) IN
ANSC, TRAMITE L’UTILIZZO DEL “PORTALE PER I COMUNI”». Lì si parla dei numeri romani, e si spiega:
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In molte culture la rappresentazione grafica dei numeri è molto simile, i numeri "uno", "due" e "tre" degli antichi romani erano espressi
come I, II, III (numeri romani). I cinesi usavano una notazione analoga, con le cifre in orizzontale, o in verticale, ma al contrario dei
romani utilizzavano un sistema posizionale, simile al nostro attuale, con le cifre da 0 a 9. I numeri, detti tsu o hêng, cambiavano
orientamento a seconda della posizione: | = | era 121, - || - ◦ era 1210. Gli tsu erano verticali, gli hêng orizzontali, i numeri sopra al
cinque avevano una bacchetta disposta perpendicolarmente alle altre. Il sistema era impiegato con le bacchette da calcolo, che i
cinesi manovravano a velocità tali da stupire i primi missionari nestoriani.
Tuttavia, non c'era un segno univoco per definire il quattro tra i romani, mentre per i cinesi era ||||. I romani usavano una notazione a
sottrazione: esprimevano il quattro con una V preceduta da una I. La V indicava il numero cinque, il simbolo I anteposto indicava che
andava sottratto, e cinque meno uno fa quattro. Nell'assegnare un simbolo particolare al cinque c'era un evidente vantaggio
antropomorfico, la mano ha cinque dita ma vi era anche una motivazione nascosta che coinvolgeva il nostro cervello. Gli psicologi
hanno dimostrato che il nostro cervello ha difficoltà a distinguere più di cinque simboli simili vicini: infatti provate con uno sguardo a
dire se è più grande ||||||||| o |||||||||||; più semplice dirlo se scritti come IX e X.
Il sistema adottato adesso in Europa è il sistema di numerazione decimale, detto anche di numerazione araba, che in realtà proviene
dall'India, e molto probabilmente deriva a sua volta dai numeri corsivi egiziani, i numeri copti. La cifra 1 è molto simile al simbolo
romano, 2 e 3 sono delle varianti dello stesso simbolo che consentono di scrivere i numeri senza dover alzare la penna e quindi
consentono una scrittura rapida ma comunque conservano l'idea della linea orizzontale, mentre col simbolo 4 la corrispondenza si
perde.
1. Sistema di numerazione romano (confrontato con quello di altre culture)
Il sistema di numerazione romano è di tipo "Sistema di numerazione additivo",ovvero ad ogni simbolo è associato un valore, e il
numero rappresentato è dato dalla somma dei valori dei simboli (che per tanto assomigliano a delle lettere anzi li possiamo definire
"simboli letterari")
In verità il sistema come viene presentato in questa sezione non è quello utilizzato nell'antica Roma ma è la sua modifica effettuata nel
Medioevo quando si accorsero che l'originale risultava troppo lungo per descrivere alcuni numeri. Difatti il sistema originale era
"additivo" nel vero senso della parola, cioè i valori dei simboli venivano sempre addizionati, mai "sottratti". Era accettata cioè la
ripetizione di un simbolo anche per quattro volte. Quindi ad es. il numero nove si scriveva VIIII.
I numeri romani sono stringhe, cioè sequenze, costituite dai simboli dati.
I numeri romani ebbero origine dall'intaglio di tacche successive su legno o altro. L'I è chiaramente una tacca, mentre V rappresenta
probabilmente una mano aperta e X due mani aperte speculari. In realtà non erano segni per fare operazioni ma semplici abbreviazioni
per esprimere e ricordare numeri.
L'intaglio doveva affrontare il problema delle percepibilità diretta a colpo d'occhio dei numeri fino a 4, per cui il 5 abbisognava di un
altro simbolo. Il pastore ad es. era in difficoltà percettiva dopo la quarta tacca ed era costretto a ricontare astrattamente. Modificando
l'aspetto della tacca per ogni multiplo di 5 e di 10, con uno sguardo sulla serie di tacche comunque si tiene la situazione sotto controllo.
IIIIVIIIIXIIIIVIIIIX...
Tale notazione cardinale era molto scomoda, anche se non ci costringe a memorizzare, in quanto ci espone fortemente alla confusione
percettiva. Dunque si passò alla notazione ordinale, dove il numero è in sé una totalità che riassume in sé i momenti che l'hanno
costituita, ha in sé la memoria della sua autocostituzione.
Il fatto che la numerazione greco-latina sia derivata dalle tecniche della numerazione per intaglio è indirettamente provato dal fatto che
popoli più primitivi dei Romani (Dalmati, Tirolesi, Germano-Scandinavi) sono pervenuti autonomamente ai principi della numerazione
latina (es. il principio sottrattivo era presente pure presso gli Etruschi).
I numeri romani ebbero origine dall'intaglio di tacche successive su legno o altro. L'I è chiaramente una tacca, mentre V rappresenta
probabilmente una mano aperta e X due mani aperte speculari. In realtà non erano segni per fare operazioni ma semplici abbreviazioni
per esprimere e ricordare numeri.
L'intaglio doveva affrontare il problema delle percepibilità diretta a colpo d'occhio dei numeri fino a 4, per cui il 5 abbisognava di un
altro simbolo. Il pastore ad es. era in difficoltà percettiva dopo la quarta tacca ed era costretto a ricontare astrattamente. Modificando
l'aspetto della tacca per ogni multiplo di 5 e di 10, con uno sguardo sulla serie di tacche comunque si tiene la situazione sotto controllo.
IIIIVIIIIXIIIIVIIIIX...
oppure
IIIIVIIIIXIIIIXVIIIIXXIIIIXXVIIIIXXXIIIIXXXVIIIIXXXX...
All'inizio il quinto trattino per essere differenziato veniva inclinato: IIII\
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Oppure si aggiungeva un altro trattino a quello già esistente con diversi orientamenti
V Λ < > Y у ecc.
Dopo altri 4 segni, deve comparire un nuovo segno (spesso anche graficamente doppio del 5). Dopo altri 4 segni, altro V differente dal
primo perché successivo al X, e così via. In questo modo con uno sguardo il pastore discerne insiemi di 50, 100 segni senza doverli
contare ad uno ad uno. Nella tecnica primitiva di computo per intaglio, "39 manzi" era così descritto:
IIIIVIIIIXIIIIVIIIIXIIIIVIIIIXIIIIVIIII
5 10 15 20 25 30 35 39
Tale notazione cardinale era molto scomoda, anche se non ci costringe a memorizzare, in quanto ci espone fortemente alla confusione
percettiva. Dunque si passò alla notazione ordinale, dove il numero è in sé una totalità che riassume in sé i momenti che l'hanno
costituita, ha in sé la memoria della sua autocostituzione.
Il fatto che la numerazione greco-latina sia derivata dalle tecniche della numerazione per intaglio è indirettamente provato dal fatto che
popoli più primitivi dei Romani (Dalmati, Tirolesi, Germano-Scandinavi) sono pervenuti autonomamente ai principi della numerazione
latina (es. il principio sottrattivo era presente pure presso gli Etruschi).
Per gli indiani Zuni: 1= I (tacca), 5= V, 10= X. Gli stessi segni!
Anche dal punto di vista linguistico, in latino computo/conto è ratio. Ratio vuol dire rapporto, comparazione come ad es. tra pecore e
sassi. Pensare è rationem putare. Putare è fare una tacca, tagliare. Rationem putare è istituire un rapporto con una cosa facendo una
tacca sul legno (analogia tra la mente ed una lama).
Le notazioni numeriche romano-medievali invece erano complicate e compromettevano l'effetto originario (economia di simboli) del
principio additivo. Il sistema, ricorrendo a più principi come quello sottrattivo, più basi, più convenzioni, perse di coesione e finì per
precludersi molte possibilità operatorie, risultando essere alla fine una regressione.
2. Sistema di numerazione babilonese
Le civiltà mesopotamiche furono le prime ad intuire sia il principio posizionale sia lo zero (inizio II millennio a.C.). Essi avevano però un
sistema sessagesimale misto con il 10 ausiliare (introdotto probabilmente nel Primo Impero Babilonese), dove la base ausiliare vedeva
una numerazione additiva e dove la numerazione posizionale partiva solo da 60 in poi, per lasciare il posto alla numerazione additiva
tra una potenza e l'altra di 60. Dunque solo con la sessantina si andava all'ordine superiore all'unità mentre il terzo ordine si
raggiungeva addirittura con 60x60.
C’era dunque una distanza eccessiva tra i diversi ordini numerici e c’erano due sole cifre: il chiodo verticale (unità) ˆ, un punzone
(decina) |
3. Sistema di numerazione greco
Nell'antica Grecia pare esistessero due tipi di numerazione, entrambe in base dieci. La più antica (numerazione attica) venne usata
correntemente fino al V secolo a.C., quando entrò in uso la numerazione ionica che prese il sopravvento in età alessandrina.
La numerazione ionica
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Nella numerazione ionica (o alfabetica) si faceva uso delle lettere dell'alfabeto greco; tuttavia richiedeva ben ventisette simboli, tre in
più di quanti ne contenesse l'alfabeto classico, motivo per cui si utilizzavano delle lettere presenti nell'alfabeto arcaico: stigma o sigma
finale (ς), qoppa (Ϙ) e sampi (Ϡ).
4. Sistema di numerazione arabo
I Numeri arabi, prima conosciuti come Numeri indo-arabici, o anche come numeri indiani, numeri indù, numeri arabi occidentali, numeri
europei, o numeri occidentali, sono la rappresentazione simbolica più comune al mondo. Sono considerati una pietra miliare nello
sviluppo della matematica.
Si può distinguere tra il sistema posizionale utilizzato, anche conosciuto come sistema numerico indo-arabo, ed il preciso glifo
utilizzato.
I numeri nacquero in India tra il 400 a.C. ed il 400 d.C. Furono trasmessi prima nell'Asia occidentale, dove trovano menzione nel IX
secolo, ed in seguito in Europa nel X secolo. Poiché la conoscenza di tali numeri raggiunse l'Europa attraverso il lavoro di matematici
ed astronomi arabi, i numeri vennero chiamati "numeri arabi".
I simboli da 1 a 9 nel sistema numerico indo-arabico si evolvette dai numeri brahmitici. Le iscrizioni buddiste intorno al 300 a.C.
utilizzano i simboli che poi divennero 1, 4 e 6. Un secolo più tardi, fu registrato l'utilizzo dei simbolo che poi divennero 2, 7 e 9.
5. Sistema di numerazione cinese
Gli antichi Cinesi avevano sviluppate notazioni basate su corde e nodi, nodi bianchi per i numeri dispari, richiamanti le giornate, nodi
neri per i pari, assegnati alle notti.
A partire dal III sec. a.C circa, i Cinesi cominciano a usare 13 segni.
2. Calcolo con i numeri romani
Il sistema di numerazione romano è di tipo "Sistema di numerazione additivo", ovvero ad ogni simbolo è associato un valore, e il
numero rappresentato è dato dalla somma dei valori dei simboli (che per tanto assomigliano a delle lettere anzi li possiamo definire
"simboli letterari")
In verità il sistema come viene presentato in questa sezione non è quello utilizzato nell'antica Roma ma è la sua modifica effettuata nel
Medioevo quando si accorsero che l'originale risultava troppo lungo per descrivere alcuni numeri. Difatti il sistema originale era
"additivo" nel vero senso della parola, cioè i valori dei simboli venivano sempre addizionati, mai "sottratti". Era accettata cioè la
ripetizione di un simbolo anche per quattro volte. Quindi ad es. il numero nove si scriveva VIIII.
I numeri romani sono stringhe, cioè sequenze, costituite dai simboli dati dalla seguente tabella accanto ai corrispondenti valori.
I=1
V=5
X = 10
L = 50
C = 100
D = 500
M = 1.000
Aggiungiamo – poi – la storia delle “lettere” V, X, L, D
Soprallineando una lettera il suo valore originale viene moltiplicato per 1000.
= 5.000
= 10.000
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= 50.000
= 100.000
Bordando una lettera con due linee verticali ai fianchi ed una linea orizzontale sopra, il suo valore originale viene moltiplicato per
100.000. Gli antichi romani, infatti, non avevano nè i "milioni" nè i "miliardi", e la loro massima espressione numerica erano le
"centinaia di migliaia". Ad esempio per indicare il numero "un milione" essi dicevano "dieci centinaia di migliaia"
= 500.000
= 1.000.000
= 5.000.000
= 10.000.000
= 50.000.000
= 100.000.000
I segni onciali e i moltiplicatori di C I .
Per ottenere gli altri interi esprimibili bisogna combinare tra loro, cioè giustapporre, questi simboli in modo da ottenere stringhe che
rispettano le regole che seguono.
• All'interno di un numero romano i simboli I, X, C e M possono essere ripetuti, di norma, al massimo tre volte, mentre i simboli
V, L e D non possono essere mai ripetuti più di una volta. Esistono, però, anche le forme con quattro simboli.
• Una sequenza (ovvero una stringa) di simboli che non presenta mai valori crescenti denota l'intero ottenuto sommando i
valori dei simboli indicati (principio di sommazione per giustapposizione); esempi II = 2, XI = 11, XVIII = 18, CXV = 115, DLII =
552, MMVII = 2007.
• Quando si incontra un simbolo seguito da un secondo simbolo di valore maggiore si ha come risultato la differenza tra i due
(principio di differenza); esempi: IV = 4, IX = 9, XL = 40, XC = 90, VC= 95, IC = 99, CD = 400, CM = 900, LM = 950.
• Sono accettabili anche stringhe formate da coppie del tipo precedente e simboli, purché si passi da una coppia a una coppia
di valore inferiore, da un simbolo a una coppia di simboli entrambi inferiori e da una coppia a un simbolo inferiore di entrambi i
membri della coppia.
• Solo I X e C possono essere usati in senso sottrattivo. I, inoltre, non va mai sottratto a M-D-C e L, pertanto, non possiamo
scrivere ad esempio 999 con i simboli IM, ma con CMXCIX.
3. Calendario romano
I Romani usavano originariamente un calendario lunare in cui il mese corrispondeva ad una lunazione. Le Calende erano il novilunio e
le Idi corrispondevano al plenilunio. Le None era una data intermedia tra le Calende e le Idi: erano il nono giorno prima delle Idi.
Romolo stabilì che l'anno avesse 10 mesi, ma Numa Pompilio lo portò a 12 mesi per farlo coincidere con l'anno solare.
Furono fatti diversi tentativi per sincronizzare il calendario lunare con quello solare. Ciò nonostante nel primo secolo a.C. lo
sfasamento era arrivato ad alcuni mesi.
Nel 46 a.C. Giulio Cesare riformò il calendario su base solare. L'anno venne fissato in 365 giorni e si introdussero i giorni bisestili con
cadenza quadriennale. Il calendario giuliano è alla base di quello attualmente in uso. Nel 1582 papa Gregorio XIII apportò alcune
correzioni per cui il nostro calendario è chiamato gregoriano.
Gli anni venivano contati ab Urbe condita, ossia a partire dalla fondazione di Roma, 753 a.C.
A partire da Numa Pompilio i mesi furono dodici. Egli aggiunse gennaio e febbraio.
Italiano
Latino
Gennaio
Januarius
Febbraio
Februarius
Marzo
Martius
Aprile
Aprilis
Maggio
Maius
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Giugno
Iunius
Luglio
Quintilis poi Iulius
Agosto
Sextilis poi Augustus
Settembre
September
Ottobre
October
Novembre
November
Dicembre
December
L'inizio dell'anno originariamente era fissato a marzo. Dal 153 a.C. venne portato a gennaio.
Nel 44 a.C. il Senato romano, su proposta di Marco Antonio cambiò il nome di Quinctilis in Iulius, in onore di Giulio Cesare.
Nell'8 d.C. il mese di Sextilis venne chiamato Augustus in onore di Cesare Ottaviano Augusto.
La durata dei mesi oscillò intorno ai 30 giorni. L'ultima correzione venne apportata da Ottaviano che allungò di un giorno il mese di
Agosto per farlo uguale a Luglio.
I Romani avevano inizialmente una periodicità scandita su una base di otto giorni: la nundina. Il nome derivava dal modo di contare
che includeva sia il giorno di partenza che il giorno di arrivo.
Fu Costantino, nel IV secolo d.C., ad introdurre la settimana, di origine orientale, facendo un compromesso tra mondo pagano e
mondo cristiano. La durata di 7 giorni corrispondeva alle attese dei cristiani che ottenevano l'ufficializzazione della settimana ebraica,
mentre ai giorni venivano dati i nomi degli dei pagani. I cristiani affiancarono alla denominazione ufficiale dei giorni delle denominazioni
loro proprie, in particolare per il sabato e la domenica.
Italiano
Latino (pagani)
Latino (cristiani)
Inglese
Lunedì
Lunae dies
Feria secunda
Monday
Martedì
Martis dies
Feria tertia
Tuesday
Mercoledì
Mercurii dies
Feria quarta
Wednesday
Giovedì
Iovis dies
Feria quinta
Thursday
Venerdì
Veneris dies
Feria sexta
Friday
Sabato
Saturni dies
Sabbatum
Saturday
Domenica
Solis dies
Dies dominicus
Sunday
I Romani contavano i giorni non in riferimento al mese, ma in riferimento alle Calende, alle None e alle Idi. Si contavano quanti giorni
mancavano alla solennità successiva tenendo conto sia del giorno di partenza che del giorno di arrivo.
Invece di dire "il 12 di marzo" dicevano "mancano quattro giorni alle Idi di marzo", ossia al plenilunio. Questo computo derivava dal
calendario lunare dove si era soliti dire quanti giorni mancavano alla luna piena piuttosto che dire quanti giorni erano passati dall'ultima
luna piena.
I Romani qualificavano i giorni in funzione delle attività religiose e civili che potevano essere svolte.
Tipo
Significato
Note
F
Dies fastus
Giorno in cui le azioni legali erano permesse
N
Dies nefastus
Giorno in cui le azioni legali non erano permesse
EN
Dies intercisus, endotercisus
Giorni nefasti all'inizio e alla fine, ma fasti in
mezzo
C
Dies comitialis
Giorni in cui si potevano tenere i Comizi ossia le
assemblee pubbliche
NP
Festa religiosa pubblica
FP
Festa religiosa pubblica
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Per i Romani il giorno iniziava al levare del sole. Il periodo tra l'alba ed il tramonto veniva diviso in 12 ore (horae). La durata delle ore
era variabile in quanto dipendeva dal tempo effettivo di luce. All'equinozio la durata di un'ora era pari ad una nostra ora, ma al solstizio
d'inverno era minore ed al solstizio d'estate era maggiore.
Il punto mediano era l'hora sexta, mezzogiorno (meridies).
Nella vita militare la notte era divisa in 4 vigiliae o turni di guardia, ciascuna di 3 ore in media.
Nella vita civile si usavano dei termini più generici per le varie parti della notte.
Si riporta una tabella approssimativa di corrispondenza delle ore.
Italiano
Latino
Da mezzanotte alle 3
tertia vigilia
Dalle 3 alle 6
quarta vigilia
Dalle 6 alle 7
hora prima
Dalle 7 alle 8
hora secunda
Dalle 8 alle 9
hora tertia
Dalle 9 alle 10
hora quarta
Dalle 10 alle 11
hora quinta
Dalle 11 alle 12
hora sexta
Dalle 12 alle 13
hora septima
Dalle 13 alle 14
hora octava
Dalle 14 alle 15
hora nona
Dalle 15 alle 16
hora decima
Dalle 16 alle 17
hora undecima
Dalle 17 alle 18
hora duodecima
Dalle 18 alle 21
prima vigilia
Dalle 21 a mezzanotte
secunda vigilia