Come valorizzare all`estero la cucina italiana di qualità

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Come valorizzare all`estero la cucina italiana di qualità
La Rivista Anno 107 - n.4 - Aprile 2016
Anno 107 - n. 4 - Aprile 2016
Come valorizzare
all'estero la cucina
italiana di qualità
“Voluntary Disclosure” o
“Compulsory Disclosure”
Successo o Insuccesso?
Editoriale
di Giangi Cretti
Ne siamo consapevoli. Non foss’altro per l’universale sincero riconoscimento.
Di riflesso ce ne beiamo e gustosamente ne godiamo. Tanto ci basta.
O meglio, ci bastava. Da qualche tempo – oltre che da pretesto per inflazionate
trasmissione televisive nazional popolari - ne facciamo un vessillo dell’internazionalizzazione, con tanto di imprimatur istituzionale.
La cucina - va da sé nella sua accezione gastronomica che ce la rende edibile
(e non in quella che la confina nello spazio edile) – come invidiato propulsore
della promozione virtuosa, godibile e gustosa del nostro Paese.
Nulla di nuovo. Nel senso che non si tratta di un’improvvisa quanto casuale
scoperta, tanto meno di una felice intuizione dell’ultima ora.
Nel corso di decenni - talvolta camuffando, sotto le
mentite spoglie di nobili intenti, interessi privati persino di natura elettorali - in molti ci hanno provato:
ad imbrigliarla, addomesticarla, assoggettarla a questa o quella certificazione. Che si sono ricorse e cannibalizzate, rivendicando primati che puntualmente
sfumavano, non appena i nobili intenti perdevano il
supporto degli interessi privati.
D’altronde è noto, il proliferare di certificazioni, va da
sé di qualità, sortisce lo stesso effetto che l’abuso del
significante ha sulla parola: ne stempera, svuotandolo, il significato.
Questa volta, potrebbe (l’esperienza induce al condizionale) non essere così.
In gioco – oltre a grandi chef che di loro ci mettono
(non solo in tv) la faccia - si son messi tre ministeri:
Maeci, Miur e Mipaaf. Che hanno siglato una strategia di sistema (parola, questa, talmente spudoratamente abusata da generare fastidiosi dubbi) che
prevede un programma di eventi, manifestazioni e attività, in particolare formative, per l’internazionalizzazione di un settore strategico dell’economia italiana e
non solo. Tra esse, la ‘Settimana della cucina italiana
nel mondo’. (Che, ne siamo certi, riscuoterà più successo della sua omologa dedicata alla lingua).
In perfetta sintonia con le parole del ministro degli
Esteri, Paolo Gentiloni, sottoscriviamo: “la cucina
italiana è parte fondamentale della nostra identità e
cultura, uno degli elementi che oggi più concorrono a
diffondere l’immagine dell’Italia nel mondo”. L’obiettivo è “coniugare sempre più questa potente e capillare
diffusione con la qualità” e proporre un’esperienza
che comunichi tradizione, territori, creatività e sapienza artigianale, e sia insieme “traino della filiera
industriale italiana”.
Nelle intenzioni, palesemente ottime, vuol essere
un modo per proseguire e dare corpo alla riflessione
avviata e condotta con Expo Milano 2015, dando
seguito concretamente alla promozione di un settore
centrale per il made in Italy, che veicola i punti forti
dell’immagine dell’Italia nel mondo: l’importanza e la
preziosità della tradizione, la creatività che emerge
nella sua reinterpretazione e la qualità dei prodotti
agroalimentari, quanto più legati al territorio tanto
più riconosciuti nella loro unicità.
Nessuno lo può contestare (chi lo facesse si macchierebbe del vergognoso reato di leso palato): le nostre
cucina regionali, tessere che compongono il variegato
mosaico della nostra cucina nazionale, sono espressione di eccellenza.
E questo basterebbe ad ampiamente giustificare la
scelta di investire sulla nostra cucina per promuovere
anche l’immagine del nostro Paese nel mondo. Se a
questo aggiungiamo che un terzo della spesa complessiva degli italiani e degli stranieri in vacanza in
Italia è destinato ai piaceri della tavola, allora diventano evidenti anche i ritorni d’immagine.
È certo: valorizzare la nostra gastronomia all’estero
contribuisce a migliorare e a consolidare la reputazione
del nostro Paese fuori dai patri confini. La perplessità, fa
capolino, ogni qualvolta – come abbiamo anticipato in
un inciso precedente – gli obiettivi, lodevoli sulla carta,
vengono perseguiti in una logica di sistema, coinvolgendo numerosi soggetti, tra loro, non solo pletorici ma,
talvolta, in colpevole e penalizzante competizione.
Il riferimento non va ai tre ministeri: nel caso specifico, hanno competenze precise ben delineate, ma a
quei soggetti che sui territori operano in assenza di
coordinamento e, come detto, non sempre dentro i
perimetri della leale concorrenza. È quanto succede,
laddove l’ICE e le Camere di Commercio Italiane
all’Estero - diverse per natura giuridica e potenza
finanziaria, ma, in teoria, accomunate dalla comune
missione di promuovere il Paese all’estero – non
agiscono di concerto naturalmente penalizzando
l’efficacia della loro azione.
Le responsabilità, in questo come in molti altri casi, vengono rimpallate: un modo sicuro per perdere delle opportunità, o comunque di non coglierne a pieno le potenzialità.
Ma questo è un altro discorso. Che riprenderemo.
Magari, in occasione della prima edizione della ‘Settimana della cucina italiana in Svizzera’.
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Sommario
1
4
16
CULTURA
Editoriale
Sommario
PRIMO PIANO
Il Protocollo d’intesa per la valorizzazione
all’estero della cucina italiana di qualità
Firmato alla Farnesina
44
50
20
23
“Da artista penso e da artigiano realizzo”
Incontro con Doriano Marcucci
52
54
Il tetto di cristallo non esiste, è solo
un’invenzione femminile
Donne in Carriera: Pina Amarelli
56
29
“Voluntary Disclosure” o “Compulsory
Disclosure”. Successo o Insuccesso?
Un sguardo sul rientro degli attivi in Italia
58
INCONTRI
Il Discorso de i sguizzeri di Ascanio Marso
(1558)
Dalla Svizzera degli Stati alla Svizzera federale
Vittime e responsabili della lotta armata a
confronto
Il libro dell’incontro
La lingua ausiliaria di un Dante minore
«Conrad Gessner 1516–2016»
Dotto universalista e naturalista dell’età moderna
Fino al 19 giugno al Landesmuseum di Zurigo
Ricordi e stima: Fotografia e storia orale
della migrazione italiana
A San Gallo fino al 29 maggio
Il Festival di Mons ha celebrato l’amore per
il cinema
DOLCE VITA
64
68
70
71
78
79
80
Anteprime dei vini toscani
Vinalies® Internationales 2016 a Parigi
Fresco in tavola: il ristorante Molino
si presenta con una veste totalmente
rinnovata
Apertura del nuovo Molino ad Affoltern am Albis
Ma gli spaghetti si mangiano col
cucchiaio o no?
Cars and Coffee 2016
La nuova stagione tricolore del fenomeno
mondiale
Sette sorelle per Jeep e Mopar a Moab
“La Macchina del tempo” Brabham BT45Alfa Romeo
Avvincente capitolo della storia Alfa
Romeo
Motocicletta che passione
Sommario
IL MONDO IN CAMERA
82
84
I tesori della collezione “zum Römerholz”
in italiano!
Go-Italy@Manor Food
Emmen Center dal 4 al 16 aprile 2016
85
86
GO-ITALY - RIMINI LIFE STYLE 2016
Le Rubriche
A Ginevra il
“Taste of Italy – food edition:
il meglio del cibo italiano in svizzera”
L’architetto Flavio Manzoni ospite della
CCIS a Ginevra
L’incontro con il mito
Osteria d’Italia 2016
Contatti Commerciali
Benvenuto ai nuovi soci
88
Servizi Camerali
6
In breve
41
L’elefante invisibile
9
Italiche
43
Per chi suona il campanello
11
Elvetiche
49
Scaffale
13
Europee
55
Benchmark
15
Internazionali
61
Sequenze
19
Cultura d’impresa
64
Diapason
26
Burocratiche
71
Convivio
34
Normative allo specchio
74
Starbene
35
Angolo Fiscale
76
La dieta rivista
37
Angolo legale Svizzera
77
Motori
38
Convenzioni Internazionali
In copertina: La cucina italiana strumento di promozione internazionale del Paese
Editore
Camera di Commercio
Italiana per la Svizzera
Direttore - Giangi CRETTI
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A.G. LOTTI, C. NICOLETTI,
S. SGUAITAMATTI
Collaboratori
C. Bianchi Porro,
M. Calderan, G. Cantoni,
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In Breve
Svizzera:
poche le donne ai vertici
Da un confronto internazionale emerge
che nelle aziende svizzere sono poche le
donne che occupano posizioni dirigenziali. E questo nonostante le società con
una maggiore quota femminile ai vertici
gerarchici siano più efficienti delle altre.
È quanto risulta da uno studio pubblicato
dalla società di revisione EY (fino al 2013
Ernst&Young) alla vigilia della Giornata
internazionale dei diritti delle donne. EY
ha preso in esame 22.000 aziende quotate
in borsa di 59 Paesi, in ognuno dei quali è stata considerata almeno una decina
di imprese. In Svizzera lo studio ha analizzato 207 società. La Confederazione è
risultata al 42. rango per tasso femminile
nei consigli d’amministrazione (9,1%) e al
56. per la presenza di donne in seno alla
direzione (8,3%). Solo 6 delle 207 aziende
Il vino è la bevanda alcolica
più popolare in Svizzera
Il vino è la bevanda alcolica più popolare in
Svizzera e la birra è quella più consumata
fra i giovani. Secondo un’inchiesta di Dipendenze Svizzera, in termini di alcol puro,
quasi il 60% è consumato sotto forma di
vino, anche del tipo spumante. La birra è
più distaccata, al 30%. Seguono i superalcolici (5%), aperitivi e cocktail (3%) e gli
alcolpops (1%).
I dati raccolti di recente dal Monitoraggio svizzero delle dipendenze confermano
inoltre che gli uomini bevono nettamente
più delle donne e che nella Svizzera francese e in quella italiana si consuma globalmente più alcol - soprattutto più vino che nella Svizzera tedesca. In quest’ultima
il consumo di vino corrisponde al 56% del
totale di alcol e in Romandia al 69%.
I giovani preferiscono la birra: costituisce
oltre la metà dell’alcol consumato nella
fascia d’età tra i 15 e i 24 anni. I giovani bevono anche più spesso superalcolici,
cocktail e alcopop. Con il passare degli
6 - La Rivista aprile 2016
hanno una presidente del CdA e solo 7 una
direttrice generale.
I consigli d’amministrazione di gran lunga
più «rosa» sono stati riscontrati in Norvegia (40%). Con una buona quota, ma
più distanziati, seguono quelli in Lettonia
(25%), Italia (24%), Finlandia (23%), Bulgaria, Slovenia, Svezia (tutte 22%) e Kenya
(21%). Nei posti femminili alla direzione
spiccano invece Bulgaria (37%), Lettonia
(36%), Filippine, Slovenia (entrambe 33%),
Romania (32%) e Malaysia (29%).
Nella maggioranza dei Paesi la rappresentanza femminile ai posti dirigenziali rimane nettamente sotto la soglia del 20%. Le
grandi economie – Stati Uniti, Cina, Giappone, Germania e Gran Bretagna – figurano
nella seconda parte della classifica. Il Giappone è ultimo in entrambe le categorie: CdA
e direzioni. Lo studio di EY mostra che le
società con più donne ai vertici della gerarchia sono più redditizie delle altre: quelle
che hanno nella direzione una quota rosa
oltre il 30% realizzano un utile netto fino
al 6% superiore. «I dipendenti sono più im-
pegnati, la cultura aziendale più aperta e la
capacità produttiva aumenta», sottolinea
Bruno Chiomento, direttore di EY Svizzera.
anni, però, le persone tendono a bere più
vino (dai 15 ai 19 anni lo beve il 16%, oltre
i 75 anni l’84%), mentre tende a diminuire
il consumo di birra (dai 15 ai 19 anni la bevono il 53%, tra gli ultrasettantacinquenni
l’11%) e delle altre bevande alcoliche.
Come già noto, si beve soprattutto durante
il fine settimana (il 60% in più rispetto ai
giorni feriali) e maggiormente sotto forma
di superalcolici e birra che non di vino. A
consumare nettamente più alcol durante il
weekend sono in particolare le fasce d’età
più giovani. Invecchiando, gli svizzeri bevono invece meno durante il fine settimana, ma in compenso di più nei giorni feriali.
Dipendenze Svizzera sottolinea che tra il
2011 e il 2015 si sono riscontrate pochissime differenze. Nel 2015 le donne hanno
consumato proporzionalmente più vino rispetto al 2011 (nel 2011 il 69%, nel 2015 il
78%), ma meno birra (nel 2011 il 17%, nel
2015 l’11%). Tra gli uomini le percentuali sono rimaste invariate: vino al 51,5% e
birra al 38,5%.
Svizzera: entro il
2025 i multimilionari
aumenteranno del 12%»
Il numero di persone con un patrimonio
netto superiore ai 30 milioni di dollari è
leggermente diminuito in Svizzera nel
2015. Ma non si tratta di un segnale di
tendenza al ribasso: in fatti, secondo lo
studio «The Wealth Report», pubblicato recentemente, entro il 2025, il loro numero
aumenterà del 12%.
Nel 2015 il numero dei Paperoni a livello
mondiale è diminuito del 2%, indica una
stima realizzata da KnightFrank, specialista
in immobili e imprese, sulla base dei dati
dello studio che prende in considerazione
150.000 multimilionari. Il calo è dell’1% in
Referendum abrogativo 17
aprile 2016
Il 17 aprile 2016 il popolo italiano sarà chiamato a votare Referendum comunemente
definito “contro le trivellazioni in mare”.
Esso prevede di abrogare la norma, introdotta dall’ultima Legge di Stabilità, che
prevede che i permessi e le concessioni a
esplorazioni e trivellazioni dei giacimenti di idrocarburi entro dodici miglia dalla
costa abbiano la “durata della vita utile
del giacimento” (referendum popolare per
l’abrogazione del comma 17, terzo periodo, dell’art. 6 del decreto legislativo 3
aprile 2006, n. 152 [Norme in materia ambientale], come sostituito dal comma 239
Cina, del 2% negli Stati Uniti, del 5% in
Russia e del 12% in Brasile. Zurigo, città
al decimo posto mondiale per numero di
facoltosi, nel corso di quest’anno perderà
il posto in classifica a scapito di Ginevra,
che risulta tra l’altro il quinto agglomerato più caro al mondo. La città più ricca in
assoluto è Londra, seguita da New York.
Nel 2025, le persone con un patrimonio
superiore ai 30 milioni saranno 6.362 in
Svizzera, contro i 5.680 attuali. A Zurigo la
crescita sarà dell’11%, a Ginevra del 13%.
A livello planetario i multimilionari saranno 263.000 contro gli attuali 187.000.
dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015,
n. 208 [Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato
− legge di stabilità 2016], limitatamente
alle seguenti parole: «per la durata di vita
utile del giacimento, nel rispetto degli
standard di sicurezza e di salvaguardia
ambientale»).
Gli elettori residenti all’estero ed iscritti
nell’AIRE (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero) che non abbiano effettuato
l’opzione per votare in Italia, potranno
votare per corrispondenza nei Paesi di
residenza. A tal fine riceveranno, come di
consueto il plico elettorale al loro domicilio.
Trattandosi di un referendum abrogato,
l’esito è ritenuto valido solamente se viene
raggiunto il cosiddetto quorum, che presuppone che partecipino al voto il 50% +
1 degli aventi diritto.
Pirateria e sicurezza in alto mare
Un convegno a Ginevra il 22 aprile
Il prossimo 22 aprile, il Dipartimento di Relazioni Internazionali
della Webster University di Ginevra (www.webster.ch), diretto dal
Prof. Oreste Foppiani, organizzerà il X Security Forum sulla Pirateria
e sicurezza in alto mare. Il fine di questo evento è di riunire intorno
a un tavolo dirigenti di compagnie di shipping (Maersk e MSC), di
assicurazioni (Lloyd’s e Axa-Winterthur), diplomatici e ufficiali di
marina (U.S. Navy, JMSDF, Marina Militare e Marine Nationale) per
discutere di una piaga che tocca profondamente gli interessi e le
vite di tutti i paesi del mondo; soprattutto di quelli che dipendono
dal trasporto marittimo (SLOCs) per sostenere la loro economia o
l’importazione di cibo (e.g., il Giappone, che importa il 60 percento
delle sue derrate alimentary). Nonostante sia un crimen erga omnes
riconosciuto come tale fin dalla Conferenza di Parigi del 1856, la
pirateria ha assunto nuove connotazioni e nuovi livelli di criminalità,
che spesso la fanno confondere con il terrorismo internazionale di
cui, negli ultimi dieci anni, ne è divenuta una branca per sostenere
finanziariamente organizzazioni politico-terroristiche.
Questo forum sarà l’occasione per un confronto franco e stimolante
per capire come vada affrontato questo fenomeno preoccupante
e per fare il RETEX (retour d’expérience) di alcune operazioni
internazionali anti-pirateria come, per esempio, ATALANTA di
EUNAVFOR, attualmente comandata dal Contrammiraglio della
Marina Militare Stefano Barbieri.
aprile 2016 La Rivista - 7
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Italiche
di Corrado Bianchi Porro
Appesantiti da deficit storici
Secondo il rapporto sulle economie territoriali che la Confcommercio ha presentato gli scorsi giorni a Cernobbio, quest’anno il Pil italiano crescerà dell’1,6% grazie ai buoni impulsi derivanti dai consumi (+1,4%)
mentre la crescita dalla parte estera per le esportazioni è stimata in maniera pressoché stagnante. Ma il Paese,
oltre che dal rallentamento internazionale, è appesantito da deficit storici e di accessibilità logistica, eccessi
di carico fiscale e di burocrazia, soprattutto in varie regioni meridionali e denota uno sviluppo assai variegato
tra le varie regioni d’Italia.
Tra il 2000 e il 2014 la Lombardia, ad esempio, è cresciuta di oltre un milione di abitanti, passando da 9 milioni a 10 milioni,
il Lazio è cresciuto nello stesso periodo da 5,1 a 5,8 milioni, raggiungendo la Campania (da 5,7 a 5,8 milioni nello stesso
lasso di tempo). Tra le regioni più abitate troviamo la Sicilia, pur essa cresciuta marginalmente da 5 a 5,1 milioni di abitanti,
mentre è aumentata la popolazione residente in maniera significativa sia in Veneto (da 4,5 a 4,9 milioni di abitanti), sia in
Emilia Romagna (da 3,9 a 4,4 milioni) che ha così raggiunto il Piemonte (in crescita da 4,2 a 4,4 milioni). Ci sono invece
tre regioni che in 15 anni hanno registrato una crescita negativa sul fronte della popolazione: si tratta della Calabria (da
2 a 1,9 milioni), della Basilicata e del Molise.
La crescita è stata sostenuta ovviamente anche dai flussi migratori. Tra il 2001 ed il 2014, gli stranieri residenti sono infatti
aumentati di oltre 3,6 milioni e di questi circa l’85% si è stabilito nel Centro-nord. Accanto a queste cifre sulla popolazione,
emergono gli ampi divari territoriali nella dotazione del capitale con il Nord che in questo frangente rispetto alla media
dell’Italia di 100 è passato da 114% a 119%, mentre il Mezzogiorno è sceso da 84% al 77,4%. D’altra parte, da questo
quadro emergono le differenze di dotazione del territorio.
Il Mezzogiorno soffre, infatti, di una minore dotazione di capitale pro capite, con maggiori costi legati alla burocrazia, alla
legalità, all’accessibilità e alla fiscalità, nonché al capitale umano inteso quali anni medi di istruzione con le abilità che ciò
produce col trascorrere del tempo. Questo determina il fatto che nel Mezzogiorno gli investimenti non sono sufficienti a
coprire gli ammortamenti, con forte pregiudizio per le possibilità di crescita economica complessiva. Questo inoltre determina un crescente divario e gap tra le aree economiche del Paese.
Secondo il rapporto di Confcommercio, se per esempio tutte le regioni italiane fossero dotate dell’efficienza burocratica
che si riscontra in Valle d’Aosta, questo implicherebbe per l’intera Italia una riduzione dell’eccesso di burocrazia di circa
l’81%. Tutto questo spiega il diverso andamento delle varie configurazioni territoriali. L’indice di carico burocratico è un
parametro composito di autovalutazione sulle perdite di tempo necessarie presso gli uffici pubblici e dei tempi medi di
giacenza dei procedimenti civili presso le corti d’appello. Un tempo che al Sud è doppio rispetto al Nord, secondo il rapporto
presentato a Villa d’Este.
Nel 2015, dopo tre anni di decrescita, l’Italia è ritornata ad una crescita positiva anche se dello “zero virgola” (0,8%) che
non è tuttavia esaltante a fronte delle perdite che si sono registrate negli anni precedenti. Tuttavia è sempre un passo
positivo che si abbina ad una crescita parallela (+0,8%) degli investimenti fissi lordi (mentre dal 2008 al 2014 essi erano
calati in media del 5% annuo). È diminuita la spesa pubblica dello 0,6% (a fronte di un calo medio annuo nello stesso
frangente dello 0,4% annuo), ma nel 2015 è tornata a crescere l’occupazione di oltre 190 mila addetti (dopo una perdita
di 1,8 milioni di posti dal 2008 al 2014). L’occupazione è tornata a crescere anche nei primi mesi dell’anno corrente e
questo determina appunto una crescita stimata del Pil dell’1,6% quest’anno come pure l’anno prossimo (con un’incidenza
dei consumi rispettivamente dell’1,4% e dell’1,7%). Gli investimenti fissi lordi sono invece visti crescere del 3% quest’anno
e del 3,7% l’anno prossimo.
Secondo il rapporto della Confcommercio non vi è comunque pericolo di deflazione in Italia. Essa, infatti, appare più come
un pericolo teorico che una minaccia reale. Lo dimostra la crescita degli acquisti di beni durevoli come ad esempio le auto,
anche con ricorso al debito, mentre ove esistesse il timore da parte dei consumatori di una deflazione, essi rinvierebbero gli
acquisti avendo la prospettiva di un ulteriore sconto col trascorrere del tempo, ciò che comporterebbe un rinvio e posticipo
degli acquisti.
Dunque, il ribasso o la stagnazione del livello generale dei prezzi è più che altro determinato dal calo dei prezzi energetici
e dall’evoluzione debole di molti prodotti alimentari non lavorati. Anche in questo scenario, non vanno dimenticate le diverse evoluzioni delle varie regioni. Per esempio, nel 2015 l’evoluzione positiva della Lombardia è stata innescata e pilotata
dall’evento Expo 2015 che è riuscito ad accendere un fuoco durevole in vari comparti.
Invece la Calabria si è mossa ancora in recessione. Tutto il Nord Ovest ha poi ricevuto gli impulsi positivi dall’export in
quanto la taglia media delle imprese ivi residenti ha favorito la presenza sui mercati internazionali dell’esportazione a
differenza di altre aree del Mezzogiorno che anche a motivo della taglia insufficiente, hanno riscontrato difficoltà a tenere
l’export, mentre il contributo del turismo è restato insufficiente.
aprile 2016 La Rivista - 9
Elvetiche
di Fabio Dozio
Durevoli e robusti
ma costosissimi
Il Parlamento svizzero ha approvato la riforma dell’esercito. Fra le varie misure spicca la
spesa di 558 milioni di franchi per riparare e rinnovare 2200 veicoli.
Si chiamano DURO, da “durevoli” e “robusti”. Un nome e una garanzia, verrebbe da dire. Si tratta di camioncini a quattro
trazioni, utilizzati per il trasporto delle truppe. Ne sono stati acquistati 2200 nel 1990 e ora cominciano a denunciare
i malanni della vecchiaia. Il Dipartimento militare ha quindi proposto di aggiustarli, sostituendo i motori e apportando
una serie di modifiche tecniche. Dopo questa operazione dovrebbero tener duro fino al 2040. Potrebbe sembrare una
misura ragionevole, ma c’è un dettaglio non trascurabile: il costo dell’operazione di modernizzazione ammonta a circa
220 mila franchi per ogni veicolo. Era stato acquistato per meno di 140 mila franchi, venticinque anni fa.
Il Consiglio nazionale ha approvato in dicembre l’investimento per i DURO con 98 voti contro 90. Che la sinistra sia
contraria, in genere, alle spese militari, non fa notizia. Vale quindi la pena citare la presa di posizione del deputato UDC
Ulrich Giezendanner che ha definito un ingiustificato regalo alla MOWAG di Kreuzlingen, la fabbrica che effettuerà i
lavori, azienda che fa capo al gruppo americano General Dynamics.
Anche il Consiglio degli Stati ha avallato il credito, malgrado un tentativo della sinistra di rimandare il dossier al Consiglio federale. In aula, i favorevoli alla spesa hanno sostenuto che non tocca ai parlamentari mettere in questione le
scelte tecniche dell’esercito svizzero.
A giudizio del neoconsigliere federale Guy Parmelin, capo del dipartimento militare, i DURO rinnovati saranno “veicoli
polivalenti, sicuri per i soldati e più ecologici”.
Ciò che dovrebbe far discutere è però la modalità che ha portato alla scelta di affidare alla MOWAG i lavori di sistemazione dei veicoli. Infatti, la ditta che ha realizzato la perizia che propone il rinnovamento è la stessa MOWAG che
ha ottenuto l’appalto dei lavori. Un meccanismo forse non troppo trasparente, che ha fatto dire a qualcuno che è una
modalità da “repubblica delle banane”.
Ma non è solo la sinistra a criticare l’investimento per i DURO. Un ex maggiore dell’esercito, Richard Fischer, sta conducendo una vera e propria battaglia contro questi veicoli. “Non sono contro l’esercito – ha affermato l’ex imprenditore
edile – la Svizzera deve potersi difendere. Ma non è ammissibile che si spendano inutilmente centinaia di milioni di franchi
dei contribuenti”. Secondo Fischer, che ha aperto un sito per sostenere la sua lotta (Duromillionen), basterebbero 90 mila
franchi, invece dei 220, per rinnovare ogni veicolo. Anche Fischer chiede maggior trasparenza e critica il fatto di aver
assegnato direttamente alla MOWAG la commessa.
Intanto, nella sessione di marzo delle Camere federali, è stata approvata la riforma dell’esercito, avviata nel 2010 dall’allora responsabile del Dipartimento Ueli Maurer.
Il numero dei militi scende da 200 a 100 mila. Un esercito più snello che sarà in grado di intervenire in tempi brevi. I
vertici del Dipartimento garantiscono che in dieci giorni possono essere mobilitati 35 mila soldati e in venti giorni tutti
i centomila. Ogni soldato dovrà espletare sei corsi di ripetizione di sei settimane.
Per quanto riguarda le finanze l’esercito svizzero potrà contare, dal 2017 al 2020, su circa 20 miliardi di franchi. 5 miliardi all’anno. I socialisti hanno criticato il finanziamento, la senatrice Géraldine Savary ha sottolineato che “il budget
dell’esercito impedisce di investire in settori importanti come l’agricoltura e la formazione”. Per il popolare democratico
Jean-René Fournier le spese militari sono diminuite del 29% dal 1991 a oggi, mentre “la questione della sicurezza non è
certo migliorata in questi ultimi anni, al contrario”.
Il Programma d’armamento 2016 prevede un credito complessivo di 1362 milioni di franchi, per acquistare materiale
bellico e per investimenti immobiliari. Tutti soldi, precisa il Governo, che andranno a beneficio dell’economia nazionale.
L’esercito svizzero è stato molto ridimensionato nel corso degli ultimi decenni. Il punto di svolta fu la votazione del 26
novembre 1989 quando il popolo si espresse sulla proposta di abolire l’esercito. In votazione popolare oltre un terzo dei
cittadini, il 35,6%, con due cantoni favorevoli, Ginevra e Giura, sostenne la proposta di liquidare uno dei simboli della
nazione.
Pur essendo stata bocciata, l’iniziativa, proposta dal Gruppo per una Svizzera senza esercito, ha contribuito a riformare
l’armata elvetica.
Il Parlamento, sempre a marzo, ha respinto la proposta del Canton Berna di destinare all’esercito l’1,2 % del prodotto
interno lordo. Portare il budget dall’attuale 0,7% all’1,2% del PIL, significherebbe destinare 7,5 miliardi di franchi alla difesa. 2,5 miliardi più del previsto. Una misura “irragionevole e inapplicabile” a giudizio della maggioranza delle Camere.
aprile 2016 La Rivista - 11
Europee
di Viviana Pansa
Ue-Turchia:
soluzione parziale e poco coraggiosa
In un suo recente intervento al Parlamento europeo, Jean Claude Juncker, presidente della Commissione, si è soffermato sui costi derivanti da un ripristino dei controlli alle frontiere all’interno dell’Unione.
In particolare ha stimato in 55 euro per veicolo l’aggravio dovuto ad uno suo probabile rallentamento
in ragione della reintroduzione dei controlli, una previsione che, moltiplicata per i 60 milioni di veicoli
che ogni anno attraversano una frontiera Schengen, comporterebbe perdite per oltre 1,5 miliardi di
euro (e ipotizzando un ottimistico rallentamento di mezz’ora per attraversamento).
Ora, le esportazioni di Paesi Ue verso altri Paesi dell’Unione ammontano a oltre 2900 miliardi di euro e costituiscono circa due
terzi del totale delle esportazioni europee. Se si considera che l’Italia esporta verso gli altri Paesi Ue il 55% dei beni venduti
all’estero, per un totale di 208 miliardi di euro, possiamo immaginare l’impatto disastroso che tale ripristino avrebbe sul nostro
flusso commerciale e, di conseguenza, sul nostro Pil, la cui crescita è ancora fortemente compromessa dalla crisi. Così sarebbe
anche per Paesi come la Germania, che esporta in Ue il 58% dei suoi beni venduti all’estero, la Francia (il 60%) o la Spagna (con
il 62%). Secondo quanto riportato dal sito dell’Ispi, l’Istituto per gli studi di Politica internazionale, l’aumento dell’interscambio
dovuto all’assenza di vincoli sancita da Schengen equivale a 30-90 miliardi di euro, cifra quantificata a partire dal calcolo
effettuato dal Fondo Monetario Internazionale nel periodo in cui fu istituito il Trattato (per l’Fmi l’effetto positivo sarebbe stato
un incremento di Pil di 1-3 punti percentuali per i Paesi partecipanti). E le cifre sin qui richiamate non includono costi e disagi
che andrebbero a danno dei cittadini che viaggiano tra uno Stato e l’altro dell’Unione, anche e molto per lavoro.
Al di là del danno economico, a suscitare più profonde preoccupazioni sono però le conseguenze che un passo indietro come
questo potrebbe comportare a livello politico, per il futuro dell’Unione. Pericoli cui è senz’altro dovuta la reazione seguita agli
annunci di chiusura delle frontiere per impedire il passaggio dei migranti formulati in particolare dal premier austriaco Werner
Faymann, che ancora nel corso dei negoziati di inizio marzo tra Ue e Turchia si diceva favorevole alla chiusura di tutte le rotte,
anche quella balcanica. E l’accordo concluso con la Turchia attraverso quel vertice – protrattosi sino al 18 marzo scorso – è teso
proprio a tutelare il libero scambio all’interno dell’Unione, rafforzando i controlli alle frontiere esterne. Mentre Faymann giudica positivamente il risultato – l’Accordo è stato votato all’unanimità, - ribadisce, insieme al premier italiano Matteo Renzi, che
saranno i prossimi mesi a rivelarci la tenuta dell’intesa, costata all’Europa più di quanto inizialmente previsto. Ankara ha infatti
raddoppiato la partita degli aiuti, a 6 miliardi di euro, impegnandosi a chiudere dal 20 marzo l’accesso alla Grecia – il confine
tra Turchia e Bulgaria è già presidiato da una rete metallica, un muro, a tutti gli effetti, che impedisce il passaggio di uomini.
Da aprile, dunque, ogni migrante irregolare che sbarcherà sulle coste elleniche sarà riportato ad Ankara, a spese dell’Unione; in
cambio un migrante siriano potrà avere asilo politico in Europa, fino ad un massimo di 72 mila persone. Oltre questa soglia vi
sarà un programma di accoglienza umanitaria basato però sull’assenso volontario dei Paesi Ue.
I profughi che verranno accolti in Europa attraverso questo “canale umanitario” saranno scelti in base a “criteri di vulnerabilità
stabiliti dall’Onu”, con precedenza a donne e bambini, una scelta che si preannuncia estremamente complessa, visto che il
numero dei profughi siriani presenti in Turchia supera ad oggi i 2 milioni. Resta poi da capire come la Grecia potrà farsi carico
del vaglio di tutte le richieste d’asilo – in queste settimane il campo di Idomeni, al confine con la Macedonia, è arrivato a
contare oltre 10 mila profughi, anche donne e bambini ammassati in condizioni che hanno spinto il ministro del’Interno greco,
Panagiotis Kouroumplis, a parlare di una “moderna Dachau”; ma i migranti bloccati in tutto il Paese sarebbero 48 mila. L’Unione inoltre “accetta l’impegno di Ankara che i migranti tornati in Turchia verranno protetti in base agli standard internazionali”,
una condizione richiesta anche dall’Italia in considerazione del fatto che la Turchia non ha ratificato la Convenzione di Ginevra
sulla protezione dei rifugiati del 1951. Ankara chiede inoltre una liberalizzazione per i visti dei cittadini turchi all’Europa, possibilità su cui saranno chiamati ad esprimersi nei prossimi mesi Parlamento europeo e Consiglio, e l’apertura di nuovi capitoli
sull’adesione del Paese all’Unione.
Si tratta, ancora una volta, di una soluzione che non potrà che rivelarsi parziale e poco coraggiosa, dal punto di vista umanitario –
il Vaticano ha immediatamente formulato i richiami del caso non appena diffusi i contenuti dell’Accordo, - ma anche economico.
La volontà di istituire “canali umanitari” dovrebbe far riflettere, infatti, sulla necessità di rilasciare visti umanitari nelle zone a
più alto rischio geo-politico – non solo nelle aree limitrofe alla Siria, dunque, ma anche in quelle della costa mediterranea, affinché appaia realistica l’intenzione di stroncare l’attività dei trafficanti di esseri umani. In un articolo pubblicato sulla rivista
americana Foreign Affairs, Alexander Betts, docente all’Università di Oxford, suggerisce inoltre alcuni percorsi tesi a consentire
ai rifugiati di cogliere le opportunità economiche della globalizzazione, garantendo loro libertà di impresa e di lavoro nei Paesi
in cui transitano o decidono di restare: solo in questo modo è lecito immaginare un approccio che si discosti da quello prettamente assistenzialistico, oggi giudicato insostenibile dall’Europa.
aprile 2016 La Rivista - 13
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Internazionali
di Michele Caracciolo
di Brienza
L’impostura della guerra santa
Ancora una volta l’attacco arriva da dei codardi. Uccidere dei civili inermi non ha nulla di religioso
o di eroico. Questa malvagità appare gratuita. È il frutto di un’attenta opera d’indottrinamento
che arriva da lontano. È semplicistico dire che il fenomeno del terrorismo di matrice islamista è
complesso. Dietro il cosiddetto “martirio”, la “guerra santa”, “l’infedele”, il “profeta” e altre parole
usate a sproposito si nasconde la cattiveria astuta dell’utilizzo delle parole appunto. Come i mafiosi
amano parlare di “famiglia” e di “onore” deviandone il significato, così l’islam radicale stravolge il
suo libro e i suoi precetti. Il salafismo è una piaga incancrenita che si propaga ormai su scala planetaria tramite la rete.
Il profilo dei simpatizzanti e dei terroristi stessi è ormai noto: giovani di scarsa cultura e sovente di scarsa intelligenza
trovano nella radicalizzazione un senso alla loro miserabile esistenza. I veri assassini sono le menti pseudoreligiose dei
profeti del demonio e le menti raffinate della manipolazione e della propaganda terroristica. Durante la guerra tra l’Iran
e l’Irak Khomeini incitava a sminare i campi mandando avanti i bambini insieme alla fanteria, poi lo sceicco Yassin,
fondatore di Hamas, incitava gli attacchi suicidi contro Israele. Questi personaggi agghiaccianti hanno utilizzato l’atmosfera religiosa dei loro sermoni per giustificare le peggiori nefandezze.
L’Europa occidentale sta diventando come Israele? Dovremmo immaginare le strade di Bruxelles, Roma, Londra o Parigi
come le strade di Tel Aviv con dei cittadini armati di mitra? Gli attentati di Bruxelles hanno ucciso 34 persone e sono
oltre duecento i feriti. Avvengono dopo l’arresto dell’artefice degli attentati di Parigi. È possibile pensare ad un nesso di
causa-effetto? Perderanno sempre. Perderanno nella loro lercia bigotteria di una pseudoreligiosità deviata che nulla ha a
che fare con l’Islam che tanto ha contribuito alla storia della civiltà. Perderanno per via della loro concezione della donna
quale fattrice e oggetto di piacere. Perderanno per via della violenza intrinseca al totalitarismo di ogni tipo. Il salafismo
è il cancro dell’Islam e dei paesi che l’accolgono. Non credo nel dialogo. Il dialogo non fu possibile con il fanatismo
nazista. Il paragone regge fino ad un certo punto, se non altro per le nefandezze commesse dalle due ideologie e per la
loro concezione dell’uomo: entrambe hanno schiacciato il senso di Umanità. La risposta non può essere di dialogo come
avvenne con l’Unione Sovietica. La risposta è ormai senza quartiere e puntuale, come l’uccisione con un bombardamento dell’aguzzino del giornalista statunitense James Foley. Al radicalismo ci s’oppone con radicalismo. La risposta al
terrorismo non è continuare a vivere come se niente fosse, ma andarli a cercare e fargli del male.
È intrinseco nella definizione di terrorismo l’ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo. A Bruxelles si è diffuso
il panico in tutta la città. Giocano sulla sorpresa e l’attacco a dei civili per sembrare più forti di quanto in realtà non
siano. La mancanza di capacità dialettica è tipica della persona delirante e che non è consapevole della propria realtà.
Lo stesso vale per l’islam radicale che accoglie tra le sue file dei criminali di ogni specie che si travestono da uomini pii.
Domenico Quirico, l’inviato de La Stampa in Medio Oriente, dopo la sua liberazione dopo cinque mesi di sequestro in
Siria nel 2013, dichiarò che ormai dell’opposizione siriana laica, democratica e moderata non era rimasto quasi nulla.
Lo spazio era stato occupato da bande di criminali. L’ISIS resta un’organizzazione mafiosa che Domenico Quirico ha
ben descritto nel suo libro intitolato Il Grande Califfato, presentato all’Università di Ginevra lo scorso 31 marzo grazie
all’associazione culturale ARLS (A Riveder Le Stelle), presieduta da Andrea Buscaglia.
Lo storico svizzero Jacques Freymond, citato da Jean-Baptiste Duroselle nel suo manuale di storia diplomatica, aveva
perfettamente individuato alla fine degli anni Ottanta la forza profonda dell’islamismo radicale che si sarebbe sostituito
al comunismo in quanto ideologia con uno slancio planetario. Il flaccidume della società opulenta, relativista e mollemente tollerante perché indifferente è tutto a vantaggio di questi maledetti che vogliono imporci il loro modello di
società islamizzata. Quale modello prevede il grande califfato? Senz’altro una società in cui il relativismo non è di casa.
Gli attacchi terroristici in parte nascondono delle logiche di politica internazionale come gli schieramenti della guerra
in Siria, in parte sono davvero fatti con la convinzione e con l’odio di chi vuole cambiare una società dove le libertà
costituzionali sono laicamente tutelate. Le luride masnade di guerrieri del profeta dovrebbero semmai convincerci della
loro felicità e della superiorità morale del loro stile di vita. Dubito che ci riusciranno.
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aprile 2016 La Rivista - 15
Firmato alla Farnesina
Il Protocollo d’intesa per la
valorizzazione all’estero della
cucina italiana di qualità
Siglata da tre ministeri: Maeci, Miur e
Mipaaf, una strategia di sistema che prevede un programma di eventi, manifestazioni e attività, in particolare formative,
per l’internazionalizzazione di un settore
strategico dell’economia italiana e non
solo. Tra esse, la Settimana della cucina
italiana nel mondo.
Il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, ricorda come “la cucina italiana è parte fondamentale della nostra identità e cultura,
uno degli elementi che oggi più concorrono a diffondere l’immagine dell’Italia nel
mondo”. L’obiettivo è “coniugare sempre
più questa potente e capillare diffusione
con la qualità” e proporre un’esperienza che
comunichi tradizione, territori, creatività e
sapienza artigianale, e sia insieme “traino
della filiera industriale italiana”.
Una strategia di sistema per la promozione della cucina
italiana di qualità all’estero: questo l’obiettivo alla base
del Protocollo d’intesa per la valorizzazione della cucina
italiana di qualità firmato lo scorso marzo alla Farnesina dai ministri Paolo Gentiloni (Affari esteri), Maurizio
Martina (Politiche agricole, alimentari e forestali) e Stefania Giannini (Istruzione, Università e Ricerca).
Maeci, Miur e Ministero delle Politiche agricole intendono proseguire in questo modo una riflessione avviata e condotta in profondità con Expo Milano 2015,
dando seguito concretamente alla promozione di un
settore centrale per il made in Italy, che veicola i punti
forti dell’immagine dell’Italia nel mondo: l’importanza
e la preziosità della tradizione, la creatività che emerge nella sua reinterpretazione e la qualità dei prodotti
agroalimentari, quanto più legati al territorio tanto più
riconosciuti nella loro eccellenza e unicità.
Eredità di Expo 2015
A rimarcare come questa sia una “iniziativa di sistema”,
“eredità e sviluppo di Expo 2015” e “tesa a promuovere la qualità della cucina italiana all’estero”, il direttore
16 - La Rivista aprile 2016
generale della Promozione del sistema Paese del Maeci,
Vincenzo De Luca, cui è seguito l’intervento del ministro
Gentiloni che ne ha, a sua volta, segnalato l’importanza,
ricordando come la cucina italiana, pur conosciuta e diffusa in tutto il mondo, sia “una carta che possiamo ancora
giocare meglio a nostro vantaggio”. Gentiloni ha chiarito
come il Protocollo preveda un programma di promozione
coordinato e condiviso da Maeci, Miur e Mipaf, e con la
collaborazione di Mise, Agenzia Ice, Coni, Unioncamere e
Assocamerestero, presenti alla presentazione del progetto
con i loro rappresentanti insieme ad ambasciatori dei Paesi del G20, istituzioni, enti della cultura e dell’economia
e alcuni degli chef più apprezzati del panorama italiano
e internazionale.
L’intesa si concentrerà nel biennio 2016-2017 su sei
Paesi – Stati Uniti, Giappone, Cina, Russia, Emirati Arabi e Brasile, per poi espandersi in tutto il mondo. Tra le
attività in programma, la Settimana della cucina italiana nel mondo, che verrà organizzata da Ambasciate,
sedi consolari e IIC nell’ultima decade di novembre,
masterclass dirette a chef stranieri per far conoscere
i valori della dieta mediterranea e le eccellenze dell’agroalimentare nostrano, borse di studio per chef italiani under 30 e giornate dedicate alla cucina di qualità
promosse dal Coni negli eventi sportivi internazionali,
a partire dalle Olimpiadi di Rio 2016.
Leader in Europa per prodotti di qualità
certificata
Gentiloni ha ricordato come l’agroalimentare italiano
sia leader in Europa per prodotti di qualità certificata
(oltre 800 tra cibo e vini), per un valore complessivo di
13,4 miliardi di euro (e con esportazioni dell’agroalimentare cresciute del 7,4% rispetto al 2014), e come
l’Italia sia tra i primi produttori di vino al mondo (48,9
milioni di ettolitri). Ha segnalato inoltre come la Penisola eserciti una forte attrazione sui flussi turistici
internazionali (in continua crescita) anche grazie alla
fama e al successo riscosso dalla nostra eno-gastronomia e come occorra tuttavia “coniugare questa grande
diffusione dell’offerta di cibo italiano con la qualità
della nostra cucina”. “L’obiettivo è quindi soffermaci su
quanto la cucina italiana sia legata alla nostra identità, sulla qualità e la tradizione dei nostri piatti – ha
affermato Gentiloni, rilevando come l’esperienza de-
gli chef – chiamati a raccolta e presenti
alla firma di oggi, - ossia la loro capacità
di collegare il territorio, la creatività e il
valore artigianale, “sia il messaggio che
vogliamo portare nel mondo, l’immagine
che sempre più dobbiamo dare dell’Italia”.
“Il nostro Paese è una grande potenza culturale che ha nella cucina di qualità uno
dei suoi elementi fondamentali – conclude
il ministro, dicendosi certo che iniziative
come quelle della Settimana della cucina
italiana potranno divenire centrali nella
strategia di promozione di cultura e capacità creative italiane, imitando dunque il
modello incarnato dagli chef, capace a sua
volta di “fare da traino a tutta una filiera
industriale italiana”.
Tra gli chef presenti, già coinvolti in un
patto siglato tra istituzioni e mondo della cucina di qualità denominato Food
Act, sono intervenuti Carlo Cracco, che
ha parlato di un “capitolo nuovo” per la
valorizzazione della cucina italiana, tema
su cui, a suo avviso, “non si è fatto quasi
nulla” e insistito sull’importanza del fare
squadra e di investire nella formazione
dei giovani; Cristina Bowerman, anch’essa sostenitrice di iniziative rivolte alla
formazione in Italia di giovani chef e che
auspica l’istituzionalizzazione di corsi di
cucina curati da chef italiani presso la
sedi consolari presenti all’estero; Davide
Oldani, che curerà l’alimentazione degli
atleti italiani alla Casa d’Italia di Rio de
Janeiro, alle prossime Olimpiadi, il quale
ha ribadito l’importanza di fare squadra
– capacità che si può apprendere proprio
grazie allo sport - e sottolineato come
“sport, benessere e movimento” siano gli
ingredienti del vivere bene cui risulta essenziale una buona nutrizione fatta con
prodotti di qualità.
Strumento di
internazionalizzazione del Paese
Il ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca, Stefania Giannini, intervenuta in video, perché si trovava in Africa con il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in visita in Africa, con un messaggio in
cui segnala come il Protocollo richiami lo
spirito di Expo e miri a rafforzare la strategia di promozione della cucina come strumento di internazionalizzazione del Paese,
e rileva un rinnovato e accresciuto interesse del mondo nei nostri confronti. “Questo
Protocollo avrà durata triennale e prevede
lo stanziamento di 1 milione di euro per 50
borse di studio destinate a chef under 30 –
ricorda Giannini, insistendo sull’importante investimento in formazione che questa
iniziativa prevede.
Infine, il ministro Maurizio Martina rileva
come l’importanza dell’azione intrapresa
sia testimoniata anche dalla sede scelta
per la firma, mentre imputa ad Expo il
merito di una riflessione che ha determinato l’avio di un percorso collettivo
che è culminata con la firma del Protocollo, frutto di una strategia condivisa e
dell’“assunzione di responsabilità da parte
del governo” sui temi oggetto dell’esposizione milanese. Anche la promozione
di questo settore costituisce oggi “un
pezzo di diplomazia italiana” – segnala
Martina, aggiungendo come - “la cucina
italiana non costituisca solo un portabandiera della nostra immagine, ma anche un
modo importante di valorizzare la nostra
presenza nel mondo”. Una valorizzazione
che può assumere ben alte dimensioni se
“pensiamo ai 250 milioni di italici richiamati nell’ultimo libro di Piero Bassetti” –
prosegue il ministro, che ritiene in questo
modo praticabile - “un salto di qualità”
della nostra proiezione internazionale. “La
cucina è potenziale formidabile per capire
la nostra identità, per proiettarci verso il
futuro e per dialogare con gli altri – conclude il ministro, sottolineando allo stesso tempo - l’operatività dell’iniziativa” e
l’importanza della declinazione da essa
assunta in ambito formativo.
aprile 2016 La Rivista - 17
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Cultura
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di Enrico Perversi
Non ho tempo neanche di
respirare …
Il nostro respiro ci aiuta a sviluppare l’attenzione momento per
momento migliorando efficacia, creatività e concentrazione
Mi è successo di provare una sensazione intensa di stupore, presenza e chiarezza di fronte a spettacoli naturali
imponenti, credo che sia comune a molti. Rimanere parecchi minuti a guardare un 8000 in Himalaya oppure le
dune rosse al tramonto oppure il ghiacciaio Perito Moreno che si rompe nel lago Argentino è considerata un’esperienza indimenticabile e viva, qualche volta succede pure che registriamo le nostre sensazioni fisiche quali calma,
attenzione, concentrazione, percezione dei dettagli.
Perché non ci succede la stessa cosa tutti i giorni con il prato fuori casa o le nuvole in cielo? Perché un pasto in un ristorante
tre stelle con uno chef famoso ci rimane impresso mentre una pietanza preparata con ingredienti freschi e naturali da un
nostro congiunto viene considerata normale tanto da non ricordarcene dopo pochi giorni?
La risposta è molto semplice, gli eventi straordinari catturano la nostra attenzione e ci rendono consapevoli di quello che
vediamo o addirittura di quello che proviamo, in quel momento siamo lì e questo ci dà chiarezza e calma che però ci servirebbero sempre, soprattutto nel quotidiano mentre lavoriamo interagendo con altri.
La meditazione consapevole è un allenamento della mente non solo all’attenzione ma anche all’attenzione dell’attenzione
cioè a rendersi conto che la propria mente si è distratta e sta vagando, questo è importante perché è il segreto della concentrazione vale a dire la continuità nell’attenzione.
La meditazione parte dall’esprimere un’intenzione perché questo aiuta a creare un abito mentale che ripetuto più volte
la trasforma in una abitudine spontanea che guida il comportamento, il passo successivo è seguire il proprio respiro che
cattura l’attenzione generando calma e concentrazione, fino a che la mente si distrae seguendo pensieri, preoccupazioni,
progetti. Appena ci si rende conto di questo è necessario rifocalizzare l’attenzione sul processo di respirazione con pazienza
e gentilezza avendo cura di sé stessi. La meditazione consiste quindi nel concentrarsi sul processo di respirazione.
L’analogia di questo allenamento con quello fisico è immediata: così come flettere i bicipiti in palestra aumenta la forza
muscolare, così riportare l’attenzione alla respirazione dopo aver divagato con la mente rafforza la crescita e lo sviluppo dei
“muscoli” mentali verso la consapevolezza. Distrarsi quindi non è un errore ma una cosa naturale che consente il miglioramento, un processo molto semplice, al limite del banale, tuttavia con implicazioni importanti.
La meditazione nasce dalla tradizione buddista ma ha riscontri scientifici solidissimi, due neuro scienziati quali Richard
Davidson e Jon Kabat Zinn hanno provato in ambienti di lavoro che dopo otto settimane di training era sensibilmente diminuito il livello di ansia e di stress dei soggetti impegnati; un altro studio ha dimostrato un netto miglioramento dell’attentional blink vale a dire l’efficienza operativa del cervello; attraverso la risonanza magnetica è stata definita una correlazione
stretta tra meditazione e ispessimento della neocorteccia vale a dire l’area cerebrale preposta alla percezione sensoriale e
all’attenzione; infine è stato rilevato un sensibile incremento della risposta immunitaria.
La meditazione consapevole genera quindi benessere nell’individuo che si prende cura di sé e migliora la propria prestazione, tuttavia ha una grande utilità anche nel rapporto con gli altri in quanto favorisce l’ascolto vero, la comprensione
profonda. Siamo tutti oppressi dalla connessione continua, il multitasking è un’abitudine di molti, in questo contesto spesso
non prestiamo attenzione ad un collega che ci chiede aiuto, capita che si generino conflitti senza che le due parti abbiano
chiaramente espresso le loro posizioni, si fanno riunioni (magari di team building) con un occhio allo smartphone.
Ecco perché la meditazione è entrata in azienda, ormai non è più solo un esperimento avanzato di poche società innovative, esiste un’ampia casistica che comprende decine di società quali Apple, AstraZeneca, Basf, General Motors, Google,
Huffington Post, IBM, McKinsey, Procter&Gamble, Sap, Toyota, Unilever, Volvo, e la lista potrebbe continuare oltre il limite
del noioso.
Una sola avvertenza, viene chiamata Mindfulness; per completezza diciamo allora che la parola tibetana per meditazione
è Gom e significa “familiarizzare o abituare”, mentre in lingua pali, usata nei primi testi buddisti 26 secoli fa, il termine è
Bhavana cioè “coltivare” come in agricoltura.
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aprile 2016 La Rivista - 19
Incontro con
Doriano
Marcucci
Consegna del premio d’Eccellenza a Doriano Marcucci nella Sala della Regina di Palazzo Montecitorio
di Rossella Bianco
“Da artista penso e
da artigiano realizzo”
Creatività, ingegno, tecnica e pregio si fondono per creare
un prodotto unico. Maestro di arte e musica, dotato di alta
sensibilità e creatività, Doriano Marcucci è un degno rappresentante del Made in Italy, che da sempre ma oggi più
che mai, sente la necessità di riaffermarsi in tutto il mondo
per l’alta qualità dei prodotti, bellezza e tradizione.
L’elegante volume 100 Eccellenze Italiane, Limited Edition, pubblicato
su carta patinata, annovera personaggi, aziende ed enti che con il loro
lavoro hanno contribuito e contribuiscono a rendere grande e riconoscibile il marchio “Italia”, espressione di una secolare tradizione, stile di vita
e passione per la bellezza.
Doriano Marcucci durante una dimostrazione su come creare una scarpa
fatta a mano
Nel settore delle calzature artigiane l’Eccellenza ha il nome di Doriano Marcucci, premiato lo scorso 3 Dicembre 2015, presso la Sala
della Regina di Palazzo Montecitorio.
Marcucci è originario di Montegranaro (Fermo), luogo in cui vive e lavora, centro pulsante del distretto calzaturiero. È stato l’allievo
prediletto di Basilio Testella, soprannominato
“Vasí”, classe 1930, il quale ha insegnato l’arte
di realizzare scarpe, ai calzaturieri che hanno
reso le Marche famose nel mondo.
Artista nel pensiero e nella fantasia, artigiano
nella manualità e nella realizzazione, Doriano
Marcucci è la dimostrazione che, spinti dalla
passione e dall’entusiasmo per il proprio lavoro, si può arrivare a raggiungere traguardi
stupefacenti.
L’antica e prestigiosa Università di Camerino,
nel 2014, ha conferito al Maestro l’attestato
per essersi distinto nella produzione artigianale di altissima qualità e aver diffuso il nome
delle Marche in Italia e all’estero. Nel 2011
in occasione dei 150 anni dell’Unità d’Italia,
Marcucci ha realizzato scarpe interamente a
20 - La Rivista aprile 2016
mano per il Presidente della Repubblica, che
in quegli anni era Giorgio Napolitano. Ha ideato e creato le meravigliose scarpe per Papa
Benedetto XVI.
La sua bottega è stata visitata da emittenti tv
locali, nazionali e internazionali provenienti
da Russia e Cina.
Nella meravigliosa bottega Vicolo d’Arte, Doriano Marcucci realizza calzature
da uomo interamente a mano, creazioni
uniche, vere proprie opere d’arte. Sita nel
centro storico di Montegranaro, sintesi di
esperienze personali e tradizioni storiche,
la bottega è uno scrigno. Una suggestiva
atmosfera la caratterizza, viene considerata
una delle più particolari ed antiche botteghe italiane, si percepiscono odori di pellami che si intrecciano e si confondono con i
sapori del vicolo del borgo. Osmosi di arte,
musica e tradizioni.
“Io mi sento artista dove l’artigianalità e la
manualità mi fa tirare fuori quello che è il pensiero. Quando io penso qualcosa di particolare
non faccio mai prove, da artista penso e da
artigiano realizzo ..io riesco a vedere le cose
prima di iniziarle..”
Siamo andati a trovare Doriano Marcucci nella sua bottega, ci ha accolto con molta simpatia e ci ha rilasciato una lunga ed interessante
intervista.
L’artigiano delle scarpe è un nobile
mestiere. Com’è nata la tua passione
per le calzature? Quando hai iniziato
a fare il calzolaio?
Io ho iniziato a lavorare nel settore delle calzature a partire dal 1980. Terminati gli studi
presso l’Istituto d’Arte a Roma mi sono trasferito a Montegranaro, il paese delle calzature
per eccellenza. Mi sono “tuffato” in pieno in
questo settore, che mi ha preso subito perché
puoi esprimere la fantasia. Si lavora con i pellami, il cuoio, i colori, le cuciture. Nel periodo
tra il 1980 e il 1990 ho lavorato come operaio
presso alcune fabbriche di calzature e poi dagli anni ‘90 ho iniziato a lavorare da solo e ad
apprendere l’arte del “saper fare le scarpe”. In
realtà ho imparato quest’arte nella sua totali-
tà quando ho incontrato il mio Maestro. Io già
conoscevo Basilio Testella ma l’ho iniziato a
frequentare nel 2008 quando era malato; proprio durante la sua malattia è scattato qualcosa tra me e lui, un feeling, e mi ha trasmesso
tutta l’arte del suo sapere di 80 anni di vita.
La mia passione è nata dai colori, diciamo che
i colori sono il mio “forte”! Con il tempo, però,
mi sono reso conto che mi mancava un qualcosa che solo un Maestro, quale Basilio, mi
poteva trasmettere: la lavorazione del fondo
della scarpa. Io sono maggiormente portato a
fare la parte superiore della scarpa, la tomaia.
Basilio con i suoi insegnamenti mi ha portato
a mettermi in discussione, insegnandomi a
perfezionare il fondo. Lui mi ha dato la spinta
per intraprendere questo viaggio che sto portando ancora oggi avanti.
Sei stato l’allievo prediletto di
Basilio Testella vincitore del Premio
Picchio d’oro. Chi era Basilio?
Si sono stato il suo allievo prediletto. Chi era
Basilio non posso dirlo, magari posso dire
chi è ancora. Io quando parlo di lui è come
se vivesse, io rido ancora quando penso alle
sue battute. Lui è stato per me, e credo non
solo per me ma anche per molti altri prima di
me, il più grande calzolaio del mondo. Noi lo
abbiamo avuto nelle Marche! Non c’è nessuno
in un’azienda di Fermo che non sia stato allievo di Basilio. Ha rappresentato non solo un
Maestro di arte ma anche un Maestro di vita.
Lui era malato e sono stato l’unico allievo che
non ha fatto nulla a banchetto, perché stava
talmente male che non riusciva neppure a fare
le scale per scendere in bottega. Io ho imparato tutto semplicemente ascoltandolo parlare.
vanno considerati anche i tempi della consegna. Io la scarpa la faccio stare quasi un mese
in forma, non la consegno subito, ma solo
dopo trenta giorni.
Sei un artigiano e un artista al
contempo. Abbini pellami a forme e
lavorazioni, attento all’innovazione e
alla sperimentazione. Con particolare
attenzione all’uso del colore.
Io mi sono innamorato delle scarpe colorate
quasi 30 anni fa. D allora ho sviluppato un
gusto mio. Come il musicista che ascolta un
genere e gli piace un cantante e un compositore, capisce il genere e fa sua la composizione
musicale, il pezzo, così io faccio con le scarpe.
Io non creo imitazioni, assolutamente. Oggi
purtroppo si imita, non ti inventi niente. Io mi
sono inventato qualcosa! Ho un mio stile, che
può piacere come non può piacere, ma è lo
stile mio! Come nella musica senti la tromba
di Miles Davis e lo riconosci per lo stile, così
una scarpa particolare la riconosci come mia.
Per scarpa particolare intendo una scarpa gioiello o una scarpa con un abbinamento particolare di tessuti, pelli, colori. Capisci che è la
scarpa di Doriano.
Il colore è il tuo forte. In una tua
passata collezione hai abbinato i
colori alla pittura antica. Com’è
nata l’idea?
Poco dopo la morte del Maestro, nel 2010, ho
creato dei colori molto particolari e comple-
tata questa collezione, non sapevo come definirli. Ho trascorso una settimana a ricercare
e a guardare i quadri dei pittori del ‘500 ed ho
trovato sulle loro tele, in ciascuno di loro, i colori che io, in qualche modo, avevo creato. Ho
associato i miei colori alle sfumature di colore
presenti nelle pitture. Ho avuto così l’input per
dare un nome ai miei colori nella loro particolarità. I modelli non li ho chiamati perché gli
puoi dare qualsiasi nome, non ti inventi nulla
di nuovo, li puoi definire con le lettere, con dei
numeri, nomi di città o di persona.
Ciascun paio di scarpe Doriano Marcucci è unico?
Sì, diciamo che si potrebbe trovare una venatura della pelle naturale su una scarpa quindi
il colore viene assorbito proprio in quel punto
diversamente, così devi riuscire a realizzare
questa particolarità anche sull’altra scarpa.
Non è sempre facile. L’abilità consiste nel fare
la destra e la sinistra il più uguale possibile. Per
questo ciascun paio è unico e non è mai perfettamente uguale ad altre paia, questa anche è la
particolarità! A volte il difetto diventa il pregio.
L’utilizzo del filo di rame intrecciato
in una delle tue lavorazioni, sul
modello norvegese, è una delle tue
geniali sperimentazioni. Com’è nata?
C’è una storia dietro l’idea del filo di rame. Un
giorno andai a trovare in casa il mio Maestro,
il quale era seduto sulla sua solita poltrona in
pelle, attorcigliando due fili di rame. Basilio,
Lavorare e creare le scarpe a mano
implica una complessa procedura.
Quanto tempo si impiega per
realizzare un paio di scarpe?
Questa è la domanda che mi mette sempre
in difficoltà ed ora spiego la ragione. Potresti
realizzare tre paia di scarpe al giorno, un paio
al giorno, ma anche un paio ogni tre giorni,
un paio ogni dieci giorni, oppure, come è successo per il paio realizzato per il Re del Marocco, sei mesi,che sono trascorsi da quando
l’ho pensato a quando l’ho portato a termine.
Non posso dire con precisione quanto tempo
si impiega, dipende dalle lavorazioni, dipende
da ciò che si vuole fare sopra, dipende anche
dallo stato d’animo! Sembrerà stupido ma è
cosi! Quando fai delle cose in forma artistica
non è che ti svegli la mattina e le fai, se non
hai lo stato d’animo giusto non le fai, magari
fai le cose più basilari. Io ogni tanto ho questo
campanellino che mi dice di fare cose particolari e impiego tanto tempo per farle. Tecnicamente una scarpa fatta a mano consta
di 52 passaggi, ogni passaggio è un mestiere,
perciò dipende. Un paio di scarpe totalmente
a mano si possono fare anche due giorni, ma
Doriano Marcucci insieme a Pippo Baudo durante un’intervista per la trasmissione televisiva Il Viaggio
aprile 2016 La Rivista - 21
Doriano Marcucci nella sua bottega Vicolo d’Arte di Montegranaro crea calzature da uomo completamente a mano
dopo qualche minuto che ero intento ad osservarlo, mi chiese: “Perché i pomodori miei so’
più buoni degli altri?”. Il motivo era perché lui
l’acqua ramata, come si dice da noi, la faceva
con il rame. Basilio legava sulla pianta questo
filo di rame e con l’acqua piovana o l’acqua
con cui annaffiava, l’acqua diveniva ramata:
in modo naturale e non sintetico. Da questo
episodio mi venne l’idea e gli chiesi: “Non
potremo fare una treccia tutta in rame sulla
scarpa?”. Egli mi rispose che era possibile. Così
osservando la tecnica con cui egli intrecciava
questo filo di rame, il giorno dopo in bottega
presi un cavo della corrente 380 Kw, in modo
da avere due fili un po’ più grandi, li intrecciai
tutti e realizzai la prima scarpa norvegese con
la treccia di rame. È stata un’idea geniale perché successivamente mi ha dato la spinta per
fare la scarpa tutta in oro ed arrivare oggi a
fare le scarpe gioiello.
Questa è una peculiarità degli
artisti-artigiani, non credi?
Oltre al rame, utilizzi e lavori anche
altri metalli per rifinire le tue
scarpe?
La Bottega Vicolo d’Arte è un
“museo”, banchetti, scalpelli,
strumenti da lavoro ereditati dal tuo
Maestro Basilio, antichi macchinari
usurati dal tempo, carrelli vecchi di
legno, materiali e pellami pregiati,
disegni, strumenti musicali. L’arte
di fare scarpe e la musica come si
combinano?
Sì, l’oro. Sono stato il primo italiano nel mondo,
premiato tra le 100 eccellenze italiane, a fare la
scarpa gioiello da uomo. La prima scarpa con la
treccia in oro che ho realizzato, è stata per Benedetto XVI e poi per il Re del Marocco. Non c’è
arrivato nessuno. Non è solo pensarla ma farla!
Ecco, una cosa di cui posso vantarmi senza peccare di presunzione, è che io riesco a vedere le
cose finite prime di iniziarle.
22 - La Rivista aprile 2016
Più degli artisti che degli artigiani. Gli artigiani
hanno una buona manualità, l’artista, invece,
ha più fantasia. Io mi sento tutti e due. Io mi
sento artista, dove l’artigianalità e la manualità mi fa tirare fuori quello che è nel pensiero.
Quando io penso qualcosa di particolare non
faccio mai prove, da artista penso da artigiano
realizzo. Non ho mai fatto una prova e non
ho mai dubitato che avrei potuto sbagliare,
anzi molto spesso, nel percorso ho migliorato
tantissimo perché da un’idea é scaturita un’altra idea. La scarpa del Re del Marocco è stata
un continuo evolversi, ma anche la collezione
portata in Qatar è il risultato di una costante
evoluzione. Ci ho messo non solo la maestria
ma più gioielli lavorati nella scarpa. Materialmente ho creato la scarpa più preziosa che
abbia mai realizzato fino ad oggi.
Con gli anni inizio a credere che qualsiasi
forma d’arte si accosti. Se io, ad esempio,
avessi avuto la pittura quale hobby invece
della musica, mi avrebbe comunque dato
la spinta a fare le scarpe proprio per lo stimolo nell’uso e creazione dei colori. Io non
mi sento un calzolaio, mi sento più artista,
perciò quando vado a banchetto ci vado con
la testa di artista e con un cuore da artista,
non vado con l’obiettivo di fare una scarpa
che devo vendere, ma prima di tutto voglio
fare qualcosa di particolare, qualcosa che mi
stimoli, che mi faccia venire la pelle d’oca.
Che mi emozioni.
Da quanto tempo fai scarpe a
mano? Ogni volta ti emozioni?
Le scarpe realizzate completamente a mano
da 7-8 anni. Si mi emoziono perché il banchetto dà emozioni. Se uno non lo prova non
si rende conto: emoziona anche solo vedere fare le scarpe, figuriamoci se tu le crei. È
qualcosa che ti vedi crescere sotto le mani, si
crea davanti agli occhi, poi man mano che vai
avanti non devi aspettare giorni interi, finito
un passaggio hai finito un mestiere.
Abbini la musica all’arte di fare
le scarpe. Suoni i tuoi strumenti
musicali tra una pausa e l’altra?
Cosa suoni?
Si, solitamente suono quando mi viene lo
stimolo, così come chi necessita di fumarsi
una sigaretta durante il lavoro, a me viene
voglia di suonare mentre lavoro, e suonare mi rilassa e mi ricarica. Non potrei fare
a meno della musica! Io sono un polistrumentista. Il mio strumento principale è la
chitarra brasiliana, canto e suono musica
popolare brasiliana. Suono il trombone a
tiro Coulisse, ho studiato per tre anni musica afro-cubana, suono le Congas, e da alcuni anni mi diletto a suonare il Didjeridoo,
uno strumento aborigeno. Gli strumenti li
ho tutti dentro la bottega.
Le tue creazioni sono state definite
le “Ferrari” delle calzature da Giancarlo Maresca, rappresentante delle firme più prestigiose del lusso a
livello internazionale. Cosa pensi di
questa definizione?
Giancarlo Maresca è un personaggio da
prendere in considerazione in quanto un vero
conoscitore della moda, del lusso, del lusso
vero. Lui conosce bene i tessuti, il peso delle
stoffe, porta scarpe fatte tutte a mano, non
solo realizzate da me ma anche da altri artigiani. Maresca è un intenditore che quando
conosce una cosa la conosce fino in fondo. È
venuto in bottega, lo sento spesso, è un gran
Maestro. Ha definito Ferrari le mie scarpe, e
a me fa piacere, ma io francamente non mi
sento superiore agli altri: mi sento diverso,
mi sento io. Mi entusiasma di più il fatto di
essere me stesso. Chiaramente è dura ma
sono contento perché ho il mio stile, che potrebbe piacere come non potrebbe piacere,
ma è il mio stile e mi identifico con quello
che faccio. Se non ti emozioni il lavoro diventa una sofferenza!
“Il termine lusso si è trasformato
in una sorta di contenitore - ha
detto Maresca – si identifica con
il concetto di possesso, mentre
dovrebbe significare libertà dalle
attività delle quali si possa fare
a meno”. Cos’è il lusso secondo
Doriano Marcucci?
C’è la collezione del lusso. Secondo me, ad
esempio, una scarpa gioiello, che è lusso puro,
la devi portare prima di tutto con la testa, devi
saperla portare. Il lusso deve essere raffinato,
stare nel lusso non significa necessariamente avere soldi, anche se che con i soldi puoi
comprare le cose che vuoi, ma si tratta di una
questione mentale. É un concetto più fine. Io
intendo lusso come qualcosa di particolare,
non comune, bello. Ma soprattutto occorre
saper portare il lusso.
Nel corso degli anni, si è verificata
un’evoluzione del concetto del lusso?
Oggi c’è il lusso sfrenato e c’è tanta povertà.
Chi può permettersi il lusso sfrenato richiede
sempre più lusso, non ha problemi. Non c’è
più la via di mezzo, o il lusso altissimo o non
c’è nulla. Si sono separate ancor di più le categorie, il ricco e il povero, il ceto medio sta
scomparendo.
Nel corso del tua vita professionale
in quale occasione ti sei
maggiormente emozionato?
Un’emozione forte l’ho avuta con la realizzazione della treccia in rame, una più forte
quando ho creato le scarpe di Benedetto XVI,
ma ancora più forte per la scarpa del Re del
Marocco, poi ancora più forte per la collezione
portata in Qatar, e poi ancora ancora più forte
sarà quando farò le cose nuove. Io ho il cuore
sempre aperto.
Se tu hai il cuore aperto ti emozioni sempre! Se tu fai una cosa che per te è vita ti
emozioni! A me emoziona, in qualche modo,
solo tenere le pinze in mano, figuriamoci
a fare un colore, una cucitura, a metterci
l’oro, la fantasia. É un continuo evolversi perciò non si finisce mai! Ma questo fa
parte della natura umana, un po’ è anche
caratteriale. Mai dire mai! É scontata ma è
vero! Per quanto mi riguarda, io non dico
mai questo è il pezzo più bello che ho fatto,
non mi è mai successo. Ho lasciato sempre
la porta aperta! Ripeto, lo stato d’animo
gioca talmente tanti ruoli che tu una cosa
a cui non avevi mai dato peso ti potrebbe
dare emozione più di un’altra che è luccicante: ad esempio ti potrebbe dare emozione l’opaco invece del lucido e fino ad oggi
avevi portato sempre avanti la lucentezza.
Il brillante ti emoziona, ma non è detto! Ti
emoziona anche la scarpa semplice. Dipende dallo stato d’animo in cui ti trovi!
Le tue scarpe si possono acquistare
in Italia a Roma, all’estero a Zurigo
e a New York.
Per essere precisi in Italia non ci sono negozi che vendono le mie scarpe. Io servo un
cliente da molti anni che ha un negozio a
New York anche se è originario di Roma. A
Zurigo, un negozio vende anche le scarpe
Doriano Marcucci, con la possibilità, di ordinarle su misura. Servo i privati che vengono anche in bottega a farmi visita, ho il
mio cerchio di amicizie, non solo clienti, ma
spesso mi capita di instaurare con alcuni di
loro anche un rapporto personale.
Sei molto apprezzato all’estero,
gli Emiri sono molto affascinati,
in particolare dai tuoi modelli più
lussuosi, le scarpe gioiello. Ritieni
che la categoria dell’artigiano,
in generale, nel nostro paese sia
valorizzata ed adeguatamente
tutelata?
In realtà non mi sento tutelato completamente. Non sono solo io, la categoria degli
artigiani. Ci sono moltissime eccellenze nelle
Marche. Si dovrebbe investire di più per la
nostra categoria, l’artigianalità è una grande
risorsa per il nostro Paese e dovremo esserne
fieri. Io ho ricevuto molte proposte dall’estero
per insegnare nelle scuole la mia arte e potrei
far felice le aziende all’estero. Ma io sono legato alla mia regione, le Marche, e alla mia
terra, l’Italia.
Ha mai pensato o pensi che in
futuro potresti trasmettere la
tua preziosa arte e la tua grande
passione a giovani realmente
interessati a imparare l’arte del
calzolaio?
Io ho pensato di trasmettere la mia arte attraverso una scuola, ma una scuola particolare.
La prima cosa che farei è dare me stesso, la
testa e il cuore. Al ragazzo non insegnerei solo
il mestiere ma darei il metodo che adotto per
me, che personalmente credo sia validissimo.
Il ragazzo non si deve annoiare ma deve stare bene. Io so come insegnargli il mestiere e
farlo divertire perché l’ho fatto su me stesso,
altrimenti il lavoro del calzolaio è duro, molto
duro. La scuola mi è stata proposta tantissime volte, soprattutto dall’estero ma la soddisfazione sarebbe una scuola in Italia e nelle
Marche, nella mia terra. Ma la scuola deve
farmi vivere. Non posso far pagare gli allievi, si
dovrebbe sovvenzionare una tale iniziativa. Mi
lascio questa strada per il periodo in cui andrò
in pensione, ora sono molto attivo come artigiano e devi scegliere se fare l’artigiano o fare
la scuola, non si può fare entrambe le cose.
Non ci ho mai creduto! Se scegli la strada
della scuola, quale insegnante hai il compito
di trasmettere la tua fantasia, la tua voglia di
lavorare, e dopo il bravo allievo va avanti con
la sua curiosità. Io non riuscirei a fare l’artigiano e l’insegnante al contempo, poiché quando
io faccio una cosa mi ci butto totalmente e
difficilmente mi sdoppio.
Per me il pensiero della scuola è sempre fisso, ma la mia concezione non è quella di una
scuola all’interno di un’azienda finalizzata
alla formazione di operai specializzati, che
comunque è un’ottima cosa ed è giusto che
ci sia. Il mio concetto è completamente diverso! Il mio compito non è insegnare il mestiere
del calzolaio per fare l’operaio in una fabbrica
specializzata, ma la scoperta dei talenti. Ciò
non esclude la possibilità di svolgere nella vita
un altro mestiere.
Come può accadere ad un musicista al quale
all’inizio piace suonare la batteria e successivamente si rende conto che è più bravo a
suonare il piano, così passa a suonare definitivamente il piano, o magari suona sia la
batteria che il piano per la sua spiccata capacità di suonare gli strumenti musicali; cosi
vale anche quando sei a “banchetto” a fare la
scarpe e mostri facilità a fare le cuciture ma
puoi mostrare maggiore capacità a fare i colori. Questa è una bellissima scoperta ed occorre
sviluppare questo aspetto! Il mio concetto di
scuola è innovativo, non migliore rispetto all’idea degli altri, ma è un concetto diverso come
ritengo di essere io: diverso!
aprile 2016 La Rivista - 23
Donne in carriera:
Pina Amarelli
ll tetto di cristallo non esiste,
di Ingeborg Wedel
L’avevo contattata durate l’Expo, che
si è svolta a Milano lo scorso anno.
È così che l’imprenditrice Pina Amarelli, detta anche “La signora della
liquirizia” mi ha messo a conoscenza
di come nasce e si trasforma in liquerizia l’antica e umile radice che
– ancora oggi – viene raccolta artigianalmente sulla costa jonica della
Calabria.
L’Azienda calabrese Amarelli di Rossano produce la liquirizia dal 1971
e la trasforma anche in ingredienti
per abbinamenti, sempre alla ricerca
di qualche cosa di nuovo per rendere
il prodotto appetibile a chi non gradisce la liquirizia allo stato puro.
Pina Amarelli rappresentava “l’eccellenza femminile dell’Expo per la Calabria” : ha infatti ottenuto la medaglia d’oro per la qualità del prodotto,
proprio per il modo in cui l’Azienda
ha saputo abbinare artigianalità e
modernissima tecnologia.
Per questo motivo nella “sala del
fare” aveva trovato posto anche la
sua statuetta.
Introduciamo ora la nostra protagonista che nel 2015 è stata scelta a
rappresentare la Calabria nel Padiglione Italia “La potenza del saper
fare”, prima di lasciare spazio alle
sue risposte alle nostre consuete domande.
Giuseppina (detta Pina) Amarelli Mengano, è nata a Napoli il 02/02/1945,
coniugata con Francesco Amarelli, due
figli. Nel 1967 si è laureata in Giurisprudenza presso l’Università di Napoli
‘Federico II’ con un rotondo 110 e lode
e plauso della Commissione.
Negli anni fra il1969 e il 2005 ha svolto attività di docenza presso l’Istituto
di Diritto Romano dell’Università Fede-
24 - La Rivista aprile 2016
è solo un’invenzione al femminile
rico II di Napoli, dove nel 1970 aveva
ottenuto l’abilitazione all’esercizio della professione di avvocato.
L’iscrizione nell’albo dei giornalisti
pubblicisti avviene dell’anno 1969
(collaborazioni con Il Gambero Rosso, Il
Corriere del Mezzogiorno supplemento
de Il Corriere della Sera, La Repubblica
- edizione Napoli e Sud e Il Quotidiano
della Calabria).
Nell’azienda di famiglia, inizia a svolgere funzioni di strategia della comunicazione e di responsabile delle relazioni istituzionali e nel 2001 - insieme
agli altri membri della famiglia, ha
voluto fortemente l’inaugurazione del
Museo della liquirizia ‘Giorgio Amarelli’ insignito nello stesso anno del
‘Premio Guggenheim Impresa & Cultura’, in quanto presenta al pubblico una
singolare esperienza imprenditoriale,
nonché la storia di un prodotto unico
del territorio calabrese. In mostra ci
sono preziosi cimeli di famiglia, macchine per la lavorazione della liquirizia,
documenti d’archivio, libri, grafica d’epoca, utensili agricoli e una collezione
di abiti antichi da donna, uomo e bambino a testimoniare l’origine familiare
dell’azienda. Successivamente, ha assunto la funzione di Presidente responsabile del Museo.
Nel 1996 ha rappresentato l’Amarelli presso Les Hénokiens, associazione
internazionale con sede a Parigi (che
raccoglie le aziende familiari almeno
bicentenarie di tutto il mondo), di cui
è stata Presidente, prima ed unica donna, dal 2002 al 2006. Dal 2007 ne è
Vice-Presidente internazionale.
Nel 2004 Poste italiane dedica al Museo
della liquirizia ‘Giorgio Amarelli’ un francobollo emesso in 3.500.000 esemplari.
Nel 2006 è diventata Cavaliere del Lavoro per decreto del Presidente della
Repubblica Giorgio Napolitano per aver
portato l’industria alimentare familiare
al ruolo di leader mondiale nel settore
della liquirizia. Prima ed unica donna insignita di questa onorificenza in
Calabria. È componente del Consiglio
Direttivo del Gruppo Mezzogiorno dei
Cavalieri del Lavoro.
È stata insignita di numerosi premi e
riconoscimenti di carattere economico e/o culturale, per essersi particolarmente distinta nell’imprenditoria
ed aver portato il Made in Italy nel
mondo, tra i quali il Premio Bellisario,
il Premio Minerva, il Premio Unioncamere per la longevità e il successo,
il Premio del Ministero delle Attività
Produttive per l’Imprenditoria femminile, il Premio Firenze Donna, il Premio
Grande Dame Veuve Clicquot, il Premio
Leonardo Qualità Italia, il Premio 100
anni di Confindustria, il Premio Fenice
dell’Università La Sapienza di Roma, il
Premio Anima per i 150 anni dell’Unità d’Italia e Premio Boss Primigenius a
Papasidero.
Le sono stati dedicati diversi volumi e
pubblicazioni di letteratura socio-economica.
Ed ora passiamoall’intervista
Quanto le è servito per sentirsi
accettata nel suo ruolo di
donna manager in un mondo
di uomini?
Quello necessario a farmi apprezzare
perché avevo le competenze giuste, la
consapevolezza della mia capacità e il
coraggio che mi ha permesso di non
aver paura di un mondo declinato al
maschile.
Quali difficoltà ha dovuto
affrontare?
Nessuna in particolare. Mi è bastato
B pensare di possedere le stesse doti,
avendo il buon senso di non far pesare
che talvolta noi donne siamo più complete sia per preparazione che per stile
di condotta.
Quando ha percepito che la
diffidenza nei suoi confronti
era cessata?
Se si riesce ad affermare subito una leadership forte la diffidenza non nasce
neppure.
Quali ostacoli ha dovuto
superare?
Spesso gli ostacoli sono quelli che ci
poniamo da sole: il tetto di cristallo non esiste, è solo un’invenzione al
femminile.
Si è mai sentita svantaggiata,
professionalmente parlando, in
quanto donna?
Non vedo svantaggi nell’essere un donna professionista: sempre che si sappia
costruire un insieme armonico.
Vantaggi ne ha?
Quelli che mi derivano dall’autorevolezza
che irradia una donna realizzata e serena.
Si è soliti ritenere che le
donne siano più intuitive degli
uomini. È d’accordo?
Penso che ognuno, senza differenza di
genere, abbia l’intelligenza e la fantasia per intuire in anticipo. Per essere
imprenditori bisogna avere queste doti
per guardare al futuro.
Quanto può contare per la
donna in carriera l’arte della
seduzione? Anche allo stato
inconscio.
Eviterei di parlare della capacità di
seduzione delle donne, che mi sembra evocare fantasmi di un passato
davvero passato. Se per seduzione
intendiamo capacità di attrazione,
bisogna dire che non è una dote
prettamente femminile; se si parla della sua forma più elevata, che
non va confusa con la civetteria, la
possiedono anche gli uomini ed è la
giusta dose di appeal che agevola le
relazioni.
Qual è la soddisfazione
maggiore per una donna
manager?
La soddisfazione maggiore sono i tra-
guardi raggiunti nella realizzazione del
se dei propri sogni.
Che atteggiamento assume
verso le dipendenti femminili?
Ottimo, c’è una naturale complicità, la
consapevolezza di vivere le medesime
esperienze non solo lavorative, ma anche familiari e si crea un clima di collaborazione fondato sull’autorevolezza
e mai sull’autorità.
A che cosa ha dovuto
rinunciare per affermarsi
professionalmente?
Con la giusta ripartizione dei diversi
impegni si può non rinunciare a niente,
a costo di qualche sacrificio ampiamente ricompensato.
Una donna impegnata come
lei, quale hobby riesce a
coltivare?
Ho sempre mantenuto degli spazi personali per dedicarmi del tempo, per godere della natura, dell’arte, per qualche
interessante viaggio, per gli affetti familiari, marito, due figli e tre splendide
nipotine ovviamente “piccole donne
“da far crescere con valori e ideali.
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95
aprile 2016 La Rivista - 25
Burocratiche
di Manuela Cipollone
Le novità in Gazzetta Ufficiale
Parità di genere e garanzia nei depositi; e poi nuove
nomine e molte conferme nelle stanze ministeriali.
Gazzetta Ufficiale più parca del solito, quella che nel mese appena trascorso ha sancito
l’entrata in vigore di alcuni importanti provvedimenti, legislativi o meno.
Dopo il doppio passaggio in Parlamento è diventato legge in Italia l’equilibrio nella
rappresentanza tra donne e uomini nei consigli regionali.
La legge sancisce che, qualora la legge elettorale regionale preveda l’espressione di
preferenze, in ciascuna lista i candidati dovranno essere presenti in modo tale che
quelli dello stesso sesso non eccedano il 60% del totale e “sia consentita l’espressione
di almeno due preferenze, di cui una riservata a un candidato di sesso diverso, pena
l’annullamento delle preferenze successive alla prima”.
Nel caso, invece, in alcune Regioni siano “previste liste senza espressione di preferenze”, la legge elettorale dispone l’alternanza tra candidati di sesso diverso, in modo
tale che i candidati di un sesso non eccedano il 60%del totale. Stessa cosa nei casi in
cui sono previsti collegi uninominali: la legge elettorale dovrà disporre l’equilibrio tra
uomini e donne in modo tale che i candidati di un sesso non superino il 60%.
Sistemi di garanzia dei depositi
In Gazzetta anche il decreto legislativo che attua la direttiva Ue del Parlamento europeo e del
Consiglio relativa ai sistemi di garanzia dei depositi (Deposit Guarantee Schemes Directive –
DGSD).
Il Decreto conferma in 100.000 euro l’ammontare massimo del rimborso dovuto ai depositanti.
Questo livello di copertura è stato armonizzato dalla direttiva e si applica a tutti i sistemi di garanzia, indipendentemente da dove siano situati i depositi all’interno dell’Unione Europea. Il Decreto di attuazione, inoltre, stabilisce la dotazione finanziaria minima di cui i sistemi di garanzia
nazionale devono disporre, individua in modo puntuale le modalità di intervento di questi ultimi,
armonizza le modalità di rimborso dei depositanti in caso di insolvenza della banca.
Firmati a febbraio, sono stati pubblicati solo in marzo i decreti con le deleghe ai due Sottosegretari al Ministero degli esteri Benedetto Della Vedova e Vincenzo Amendola, e quello che attribuisce titolo e deleghe a Mario Giro che da sottosegretario diventa Vice Ministro.
A Vincenzo Amendola la delega alle politiche per gli italiani nel mondo
Il decreto del Ministero degli esteri attribuisce a Vincenzo Amendola la delega alle politiche relative agli italiani nel mondo; relazioni bilaterali con i Paesi dell’Europa; relazioni bilaterali con
i Paesi del Nord Africa e del Medio Oriente, ivi inclusi i Paesi del Golfo Persico e l’Iran; relazioni
bilaterali con i Paesi del Corno d’Africa (Etiopia, Eritrea, Gibuti e Somalia); relazioni con le Nazioni
Unite e le Agenzie Specializzate, ad eccezione di quanto ricompreso in altre deleghe; relazioni
26 - La Rivista aprile 2016
con l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa; questioni relative alle adozioni
internazionali; temi relativi alle politiche ambientali ed energetiche; ricorsi gerarchici in materia
di passaporti e documenti di viaggio; il raccordo con il Parlamento e le altre amministrazioni dello
Stato nelle materie indicate e in tutti i casi di volta in volta indicati dal Ministro”.
Le deleghe del sottosegretario Della Vedova comprendono “relazioni bilaterali con Canada e Messico; relazioni bilaterali con i Paesi dell’Asia, Oceania e Pacifico; relazioni bilaterali con i Paesi del
Caucaso e dell’Asia centrale; tematiche economiche finanziarie e globali inerenti ai processi G8/
G20; questioni relative all’internazionalizzazione delle imprese; variazioni di bilancio e integrazione dei capitoli di spesa; apposizione di formule esecutive ai sensi dell’art. 299 TFUE; il raccordo con
il Parlamento e le altre Amministrazioni dello Stato nelle materie indicate e in tutti i casi di volta
in volta indicati dal Ministro”.
È firmato dal presidente della Repubblica, il decreto che attribuisce a Mario Giro il titolo di Vice
Ministro.
A lui le deleghe a “questioni relative alla cooperazione allo sviluppo, ai sensi dell’articolo 11, comma 3, della legge 11 agosto 2014, n. 125; relazioni con OCHA (Office for the Coordination of the
Humanitarian Affairs) e UNDP (United Nations Development Programme); relazioni bilaterali con
i Paesi dell’America centrale e meridionale e dei Caraibi; relazioni bilaterali con i Paesi dell’Africa
subsahariana, ad eccezione dei Paesi del Corno d’Africa (Etiopia, Eritrea, Gibuti e Somalia); relazioni con l’Unione Africana; autorizzazione di contributi ai sensi dell’articolo 1, comma 2, della
legge n. 180/1992 a organizzazioni ed enti non governativi non compresi nell’elenco approvato
con decreto di cui alla medesima disposizione; questioni relative alla diffusione della cultura e
della lingua italiana all’estero; relazioni con UNESCO; questioni relative alle attività internazionali
delle regioni e degli enti locali; questioni relative all’Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente, ivi
inclusi i provvedimenti afferenti alla liquidazione del medesimo; il raccordo con il Parlamento e
le altre amministrazioni dello Stato nelle materie indicate e in tutti i casi di volta in volta indicati
dal Ministro”.
Rimanendo sul fronte-nomine, il Prefetto Vittorio Piscitelli è stato confermato, fino al prossimo
30 dicembre, Commissario straordinario del Governo per la gestione del fenomeno delle persone
scomparse.
Persone scomparse
Ogni anno – riporta il Viminale – in Italia scompaiono circa un migliaio di persone. Nonostante la
maggior parte venga ritrovata dopo pochi giorni, il fenomeno genera allarme sociale. La strategia
di contrasto attuata dal Commissario straordinario, che coinvolge Forze dell’ordine e
magistratura, passa per il monitoraggio dei dati e il coordinamento delle attività di
ricerca che ha consentito, dall’istituzione del commissario a oggi, un significativo
calo delle persone ancora da ricercare.
L’Ufficio del Commissario straordinario è composto da dipendenti civili del ministero
dell’Interno e della Polizia di Stato; istituito nel 2007 ha diversi compiti tra cui quello del monitoraggio dei dati del Sistema informativo interforze e delle prefetture;
dell’aggiornamento del Registro nazionale dei cadaveri non identificati; coopera con
enti locali e organismi nazionali anche per il contrasto di reati come lo sfruttamento
o la tratta di esseri umani (in particolare minori stranieri); cura il raccordo con le
istituzioni internazionali e il collegamento con le organizzazioni di volontariato e
del terzo settore.
Infine, segnaliamo che sono stati nominati dai presidenti di Camera e Senato,
Grasso e Boldrini – che firmano i rispettivi decreti - il nuovo Garante per l’infanzia
e l’adolescenza Filomena Albano e il Garante della concorrenza e del mercato
Michele Ainis.
Albano – che rimarrà in carica 4 anni – è giudice del tribunale di Roma;
dal novembre 2009 alla recente nomina è stata membro della Commissione adozioni internazionali in rappresentanza del Ministero della Giustizia.
Ainis – che rimarrà in carica 7
anni – è un costituzionalista; docente universitario, è noto ai più
per i suoi editoriali sul
Corriere della Sera e L’espresso.
aprile 2016 La Rivista - 27
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“Voluntary Disclosure” o “Compulsory Disclosure”
Successo o Insuccesso?
Un sguardo sul rientro degli attivi in Italia
di Alberto Crosti*
A fine dicembre scorso si è chiusa la
prima e travagliata fase della regolarizzazione volontaria degli attivi detenuti
all’estero, meglio nota come voluntary
disclosure (V.D.), da persone fisiche fiscalmente residenti in Italia, a prescindere dalla loro cittadinanza.
La procedura di rientro degli attivi all’estero
non regolarizzati1 si è posta come obbiettivo
quello di fare emergere la loro consistenza
ad una certa data (fine 2013) allo scopo sia
del rispetto degli adempimenti previsti dal
monitoraggio fiscale - che ha nel quadro
R.W. della dichiarazione fiscale il suo strumento operativo (“braccio armato!”) - sia
del recupero di gettito fiscale, in particolare
in termini non solo delle imposte dirette ed
indirette non corrisposte sui redditi sottratti
alla giusta tassazione ma anche in termini di
altre imposte , quali ad esempio quelle sui
beni all’estero (IVIE ed IVAFE).
Una prima discriminazione: il valore
storico per l’attivo immobiliare vs. il valore
corrente per l’ attivo mobiliare finanziario
La normativa sulla V.D. nulla dice circa i
criteri da rispettare per fare emergere l’at-
tivo immobiliare irregolare2: occorre invece fare riferimento alle istruzioni emanate
dall’Amministrazione per trovare i criteri in
questione fissati con il semplice rinvio alle
istruzioni per la redazione del quadro R.W.
A sua volta queste ultime fanno un ulteriore
rinvio ai criteri fissati per la determinazione
della base imponibile dell’IVIE3, che si trovano nella Legge sull’IVIE integrata con le
Circolari dell’ Amministrazione, criteri che
vengono ripresi anche per la redazione del
quadro R.W.4
Si perviene alla conclusione che la procedura di rientro dei capitali ha preteso la
regolarizzazione dell’attivo immobiliare
non sulla base di un ipotetico valore attuale o corrente dell’attivo medesimo,
ma sulla base di criteri di valorizzazione
differenti oscillanti tra il costo storico da
una parte e dall’altra , soddisfatte certe
condizioni, un valore equiparabile ai valori catastali italiani, tentativo quest’ultimo
sostanzialmente “abortito”.
Di fatto i valori immobiliari che emergono
nel contesto della V.D. non hanno nulla a
che vedere con il concetto di patrimonio
posseduto dal contribuente , se non a fron-
1
Il riferimento normativo è alla Legge n. 186 del 2014. Il rientro poteva essere “fisico” o “giuridico, in questo caso lasciando
gli attivi all’ estero. Si stima in 45 miliardi gli attivi fisicamente rimasti all’ estero e “scudati” con il “waiver” , autorizzazione
irrevocabile data al soggetto depositario degli attivi a comunicare all’Amministrazione fiscale italiana le informazioni sul cliente/
contribuente (Fonte: Italia Oggi , Voluntary , il waiver batte il rimpatrio, 14 Gennaio 2016 )
2
Legge n. 186 del 2014
3
La Legge sull’IVIE integrata con le Circolari dell’Amministrazione, fissa i criteri per la determinazione dei valori, criteri che
vengono ripresi anche per la redazione del quadro R.W. La Circolare n. 38/E del 2013, al punto 1.4.2, indica chiaramente che le
indicazioni nel quadro R.W. seguono le regole fissate per l’IVIE L’indicazione del valore degli immobili situati all’estero o di quelli
che si considerano detenuti all’estero deve essere effettuata seguendo le stesse regole utilizzate ai fini dell’IVIE, anche se non
dovuta. Pertanto, il valore dell’immobile è costituito, a seconda dei criteri adottati dal:
- costo risultante dall’atto di acquisto o dai contratti da cui risulta il costo complessivamente sostenuto per l’acquisto di diritti
reali diversi dalla proprietà;
- valore di mercato rilevabile al termine di ciascun anno solare nel luogo in cui è situato l’immobile, in mancanza del costo
d’acquisto o in mancanza della relativa documentazione. Qualora l’immobile non sia più posseduto alla data del 31 dicembre
dell’anno si deve fare riferimento al valore dell’immobile rilevato al termine del periodo di detenzione..
4
L’IVIE vede la sua nascita con l’articolo 19 , commi da 13 a 17, del “Decreto Monti”, D.L. n. 201 del 6 Dicembre 2011. La norma
ha poi subito varie modifiche: Legge n. 214 del 22 Dicembre 2011, articolo 8 comma 16, lettere e, f, g Decreto semplificazioni
fiscali, Decreto Legge “semplificazioni” n. 16 del 2 Marzo 2012 (Legge n. 44 del 26 Aprile 2012) - quindi con l’articolo 1 commi
518 e 519 della “Legge di stabilità”, Legge n. 228 del 24 Dicembre 2012
aprile 2016 La Rivista - 29
te di recenti acquisizioni o passaggi di proprietà a vario titolo.
I valori in questione pur nel pieno rispetto
della Legge possono subire tutta una serie
di “manipolazioni” (in ossequio a legittime
strategie sia fiscali sia di gestione del patrimonio) finalizzate a ridurre o a spalmare il
valore imponibile, e per conseguenza sia il
costo fiscale sia la capacità del quadro R.W.
di fornire informazioni “coerenti” con riferimento alle tipologia di attivi5, tra le quali
ad esempio:
- separazione tra il diritto all’usufrutto ed il
diritto alla nuda proprietà;
- intestazione ad una società semplice di
diritto italiano;
- intestazione ad un soggetto societario:
classico esempio, se come paese di riferimento si guarda alla Francia,l’intestazione
ad una société civile immobilière6
Una seconda discriminazione: la
voluntary disclosure per gli immobili
vs la compulsory disclosure per gli
attivi finanziari
Gli intermediari finanziari hanno giuocato un ruolo determinante nel successo
della procedura di rientro degli attivi, per
lo meno da paesi storicamente attori fondamentali nello spostamento di assets di
residenti in Italia verso l’estero. Proprio il
modo con il quale questi intermediari si
sono posti nei confronti della loro clientela (= contribuente italiano) ha di fatto
trasformato la procedura da voluntary a
compulsory, riqualifica invece che, salvo
cari particolari7, non può essere estesa alla
regolarizzazione degli immobili.
In sostanza il detentore di immobili irregolari non ha subito la pressione (in alcuni
casi enorme e non sempre fair!) da parte di
alcun intermediario finalizzata a regolarizzare la sua posizione: potrebbe quindi avere
optato per un rinvio dell’emersione, lasciando che la stessa avvenga successivamente o
confidando nell’incapacità dell’Amministrazione italiana ad investigare.
A supporto di questo scenario (scarsa adesione ad accedere alla V.D. da parte di titolari
di diritti immobiliari) potremmo citare i dati
sulla provenienza delle regolarizzazioni8, circa
129.0009, stimando in circa 60 miliardi di euro
gli attivi regolarizzati, con un gettito di almeno 4 miliardi per le sole imposte10: ovviamente
dalla Svizzera arriva la grande massa di rientri,
situazione ampiamente prevedibile, quantificabile in circa il 70% 11 .
Alcuni dati statistici sul rientro degli
attivi
Interessante è la mappa delle regioni italiane i cui contribuenti hanno beneficiato della
procedura di regolarizzazione: la Lombardia è
di gran lunga al primo posto (49,1% ), per un
totale di 26,9 miliardi di euro emersi, regione
da cui arriva un terzo delle imposte gestite
dall’Agenzia delle Entrate. È da qui infatti che
proviene quasi la metà delle somme emerse
con l’adesione alla voluntary disclosure. Seguono le altre regioni del Centro-Nord, come
Piemonte, Emilia Romagna, Veneto, Lazio,
Liguria e Toscana, che insieme alla Lom-
5
Per una visione della problematica dell’applicazione dell’IVIE sugli immobili situati in Francia cfr. Alberto CROSTI, L’Ivie sugli
immobili in Francia: le disparità di trattamento emergenti di Alberto Crosti, Il Fisco 29/2015
6
Trattasi di società a preponderanza immobiliare di diritto francese, caratterizzata da una totale trasparenza fiscale secondo i
concetti italiani, e “translucida” secondo i criteri francesi. Cfr. Alberto Crosti, Société civile immobilière di diritto francese: trattamento fiscale in Italia, Fiscalità & Commercio Internazionale, n. 11/2014
7
Si fa riferimento ad esempio al possesso di un immobile e di un conto corrente dal quale emergono movimenti in grado di
evidenziare il possesso dell’immobile: in questo caso, dovendo regolarizzare il conto corrente bancario, si è di fatto obbligati a
regolarizzare anche l’immobile
8
Savino GALLO, La voluntary disclosure “svela” al Fisco attività per quasi 60 miliardi, Eutekne , 10 Dicembre 2015. Inoltre Il Sole
24 Ore del 10 Dicembre 2015 e del 18 Febbraio 2016
9
Fonte: Italia Oggi, 3 marzo 2016
10
Fonte: Alessandro GALIMBERTI, Il Sole 24 Ore del 18 Febbraio 2016
11
Il Paese più gettonato come cassaforte per i soldi sottratti al Fisco è risultata la Svizzera, con un totale di somme emerse
per 41,5 miliardi, pari al 69,6% del totale. E anche questo, secondo gli uffici dell’Agenzia delle entrate, non è un dato che deve
stupire, considerato che tra i migliori clienti italiani delle banche svizzere ci sono proprio i lombardi e che i recenti accordi tra
Roma e Berna hanno reso particolarmente rischiosa la situazione di chi ha un conto nascosto in Svizzera. A seguire, tra le mete
privilegiate dagli evasori ‘ravveduti’, ci sono il Principato di Monaco, con il 7,7% dei capitali emersi, le Bahamas (3,7%), Singapore (2,3%), il Lussemburgo (2,2%), San Marino (1,9%), il Liechtenstein (1,4%).La stessa constatazione può essere ripetuta per
la Francia: anche per la loro emersione degli attivi la Svizzera occupa la prima posizione come paese di provenienza degli attivi Il
fisco francese stima di introitare circa 7 miliardi di euro entro fine 2016 a fronte della procedura di emersione degli attivi. Dalla
Svizzera arriva l’85% circa del rientro, dal Lussemburgo, secondo, il 7% . 45000 sono i dossier aperti dal 2013 e circa 12.000
sono stati già trattati
30 - La Rivista aprile 2016
bardia contribuiscono con il 90% ai capitali
che sono stati dichiarati (54 miliardi sui 60
totali). Quasi ininfluente invece il Sud, con
fanalini di coda il Molise e la Basilicata, dove
sono state presentate rispettivamente 97 e
88 domande, su un totale di 129mila.
Dati che secondo l’Agenzia delle entrate
non sono la conseguenza di un maggiore
successo della procedura di voluntary in alcune regioni rispetto ad altre, ma sono il
risultato di un fenomeno noto: si evade di
più dove si produce e si guadagna di più.
Il numero basso di istanze presentate nelle
regioni meridionali ha poi un’altra causa: i
“soldi” che da qui vengono portati all’estero di solito provengono da attività illecite
legate alla criminalità organizzata, e come
tali sono al di fuori dell’orbita dalla voluntary disclosure, pensata per sanare solo le
somme frutto di evasione.
Dalla Francia non arriva nulla?
Ciò che però lascia perplessi è la mancanza
della Francia nell’elenco degli Stati presso i
quali vi sono attivi regolarizzati significativi
tenendo nel dovuto conto che:
- la massa degli attivi immobiliari di proprietà di italiani in Francia è notoriamente
enorme12
- numerosi italiani hanno sottoscritto polizze vita presso soggetti francesi13, attivo
che deve essere dichiarato nel quadro R.W.
- accanto ai cittadini italiani dobbiamo
anche considerare i cittadini francesi che
hanno in Italia la loro residenza o che
l’hanno avuta nel periodo da regolarizzare
e quindi destinatari della V.D.14
L’assenza della Francia potrebbe essere diversamente interpretata:
- gli attivi ivi localizzati sono in gran parte
già stati regolarizzati rendendo quindi superflua l’adesione alla V.D.
- oppure i medesimi rimangono ancora nascosti agli occhi della nostra Amministrazione
- od ancora sono stati regolarizzati con la
V.D., e questo vale per i beni immobili, a valori storici molto bassi tale da non rilevare
significativamente nella “classifica” citata,
classifica che premia invece la Svizzera, paese che si caratterizza, nei confronti di residenti fiscali in Italia, da un lato per una
bassa presenza di immobili appartenenti
ad italiani, per lo meno se confrontata alla
Francia, dall’ altro da una enorme disponibilità finanziaria dai medesimi detenuta.
Quanto ancora resta nascosto
all’estero?
È interessante valutare l’esito della regolarizzazione: come accennato la procedura avrebbe fatto emergere circa 60 miliardi di euro di
attivi. Al fine di valutarne la portata occorre
comparare il dato con la stima degli attivi
della Banca d’Italia, che indicava in circa 230
miliardi di euro lo “stock” di attivi all’estero15:
il delta (circa 170 miliardi) non regolarizzato
non solo appare molto alto ma difficilmente
spiegabile, sia in senso assoluto, sia anche tenendo presenti i risultati ottenuti dalla manovra similare posta in essere sotto il Ministro
Tremonti, manovra che non aveva goduto del
formidabile e determinante assist delle istituzioni finanziarie estere, in primis quelle svizzere e monegasche16.
Sarebbe facile fare delle affermazioni di facile appeal: i fondi appartengono alla “mafia” , o a strutture ad essa collegate, oppure
a apparati segreti, oppure a …: la fantasia
può farla da padrona! Se ci si limita però
a formulare considerazioni squisitamente
Il Sole - 24 Ore del 17 dicembre 2011 stima il valore del mercato immobiliare all’estero posseduto da residenti in Italia in circa
50 miliardi di euro, di gran lunga superiore ai dati ricavabili dalle dichiarazioni dei redditi (19 miliardi): la Francia, in proporzione
(60% circa dello “stock”) deterrebbe un valore di circa 31,5 miliardi di euro. Recentemente ‘‘Il Sole - 24 Ore’’ del 3 aprile 2015
indica, per l’anno 2013, immobili detenuti all’estero per un valore di circa 23,8 miliardi (come da dichiarazioni) , dato che farebbe
lievitare la stima del 2011 a circa 63 miliardi, allocabili alla Francia per circa 38 miliardi. Cfr. Alberto CROSTI, articolo citato, L’Ivie
sugli immobili in Francia: le disparità di trattamento emergenti
13
Anche con riferimento alle polizze assicurative non si è riscontrato un intervento “invasivo” da parte dell’ intermediario finalizzato alla regolarizzazione dell’attivo
14
Sulla residenza nei rapporti con la V.D. cfr. Alberto CROSTI, I contribuenti italiani iscritti all’AIRE residenti fiscali in Francia e nel
Principato di Monaco: eventuali rischi per la mancata adesione alla voluntary disclosure, “Fiscalità e Commercio Internazionale”
n. 12 del 2015, pag. 41
15
Cfr. Il Sole 24 Ore, 5 Dicembre 2014
16
Gli importi scudati sono ammontati a quasi 100 miliardi di euro, contro i 60 della V.D., il gettito è stato stimato in circa in 7,8
miliardi, contro una stima di circa 4 della V.D. Aggiungasi anche che la V.D. ha accordato ai contribuenti che vi hanno aderito
uno scudo penale estremamente incentivante nel decidere se regolarizzare o meno
12
aprile 2016 La Rivista - 31
tecniche, una possibile ipotesi per lo meno
a parziale giustificazione di questo divario
potrebbe essere legata alla valorizzazione
dei beni immobiliari da parte della Banca
d’Italia sulla base di presunti valori attuali
dei medesimi, e quindi ben diversi dai valori
emersi.
Se questa affermazione, che però ha un
puro valore ipotetico stante il fatto che
non si è a conoscenza dei criteri con
i quali la Banca d’Italia ha stimato gli
attivi immobiliari all’estero , fosse però
corretta, ancora più criticabile sarebbe
l’impalcatura della V.D. stante la palese
discriminazione operata nei confronti dei
soggetti che al classico mattone hanno
preferito investire ad esempio in una polizza vita17.
All’orizzonte una nuova voluntary18?
La validità delle osservazioni formulate in
precedenza in merito all’enorme massa di
attivi ancora giacenti all’estero e non regolarizzati trova conferma nel fatto che nei
corridoi dei competenti Ministeri si vocifera di una possibile seconda fase della V.D.,
che potrebbe vedere l’avvio sulla base della
constatazione che non tutti paesi “paradisi
fiscali” hanno innescato un processo virtuoso di trasparenza bancaria e di scambio di
informazioni.
Al momento una V.D. 2 non è un tema
prioritario nell’agenda del Governo19 ma
potrebbe diventarlo se obiettivi di finanza
pubblica lo dovessero imporre. Di per certo
però l’Amministrazione italiana potrà ini-
ziare a chiedere ai vari Stati le informazioni
di gruppo che avranno come effetto l’ emersione di nuovi contribuenti “evasori”20.
Considerazioni finali
Le considerazioni sviluppate in precedenza
si pongono come obiettivo quello di evidenziare da un lato l’incapacità del quadro
R.W., fondamentale strumento per il monitoraggio fiscale, e dei criteri di redazione
al medesimo sottostanti, di fare emergere
la reale consistenza della ricchezza che è
detenuta all’estero da residenti fiscali in
Italia, dall’altro la palese generalizzata discriminazione che ha caratterizzato la recente procedura di rientro degli attivi, che
nel quadro R.W. ha avuto un preciso punto
di riferimento, privilegiando generalmente
gli immobili rispetto ai beni mobiliari finanziari.
Se si ritiene corretto omogeneizzare i valori
da indicare nel quadro occorre fare emergere i possibili valori dei beni immobili al
fine di trasformare il quadro in una sorta
di mappatura della fortuna detenuta all’estero: i valori attualmente indicati né permettono di intuire quale sia realmente il
patrimonio per lo meno virtuale detenuto
all’ estero, né si avvicinano ai valori catastali domestici ai quali la struttura fiscale
italiana è strettamente ed inspiegabilmente
abbarbicata.
Si è affermato all’inizio del presente articolo
che è terminata la prima fase della procedura: la palla ora è nel campo dell’Amministrazione finanziaria italiana la quale dovrà tra-
La polizza vita è stata regolarizzata sulla base dei seguenti criteri per i periodi di imposta ante 2013 il valore da regolarizzare
corrisponde alla somma dei premi versati dal contribuente , successivamente si adotta come valore di riferimento il medesimo
stabilito per l’ IVAFE , cioè il valore di riscatto: trattasi quindi di un valore stimato. Un esempio permette di rendere il concetto
in modo chiaro: i soggetti che hanno sottoscritto una polizza vita hanno regolarizzato la mancata redazione del quadro R.W. su
valori molto più alti rispetto alla regolarizzazione di un immobile come questo esempio ipotetico dimostra:
- immobile situato in Francia, acquistato nel 1998: € 180.000
• costo per la regolarizzazione: 5 anni allo 0,5% = € 900 x 5 = € 4.500
• valore al 2009: € 350.000
• valore al 2013: € 350.000
- polizza vita sottoscritta nel 2009 – premio unico versato pari ad € 350.000
o costo per la regolarizzazione :
• 2009-2010-2011-2012: € 350.000 x 4 x 0,5% = € 7.000
• 2013 (ipotetico valore di riscatto) : € 420.000 x 1 x 0,5% =2.100
• totale : € 9.100
Il primo contribuente ha sostenuto un costo pari ad € 4.500, mentre per il secondo il costo è stato pari ad € 9.100, quindi superiore a più del 100%: trattasi di una palese discriminazione stante che il patrimonio dei due contribuenti è sostanzialmente al
medesimo livello , rendendo quindi difficile giustificare il diverso trattamento.
18
Fonte: Alessandro GALIMBERTI , Il Sole 24 Ore del 18 Febbraio 2016
19
In effetti il Governo ed il Parlamento sono molti impegnati nel riconoscimento dell’ unioni civili per le coppie omosessuali e per
la “step child adoption” (adozione di figli da parte di copie dello stesso sesso) !
20
Fonte: Marino Longoni, È messo male chi non ha fatto la “voluntary”, Italia oggi, 24 Febbraio 2016
17
32 - La Rivista aprile 2016
sformare in gettito effettivo le circa 129.000
istanze che sono state inviate spontaneamente dai contribuenti21.
Gli italiani e l’evasione fiscale:
un‘attrazione fatale?
Ovvero il “mostro di Lerna” e le sue
cento teste
Infine, vi è un’ultima riflessione che merita
di essere per lo meno esternata. In occasione del consueto discorso di fine anno alla
televisione italiana a reti unificate il Presidente della Repubblica Italiana, Sergio
Mattarella, ha parlato di un’evasione fiscale/contributiva stimata per l’anno 2015 in
circa 122 miliardi di euro22: da un lato quindi una platea di circa 129.000 contribuenti
si autodenuncia a fronte di comportamenti evasivi passati, dall’altra una probabile
platea identica o ben più probabilmente
superiore di soggetti continua a perpetrare dei comportamenti evasivi .Ciò che però
stride e lascia molto perplessi è il violento
e netto contrasto tra l’evasione passata,
attuale e di per certo futura da un lato e
l’invasività burocratica ed amministrativa
dello Stato e della sua Amministrazione,
di scarsa efficacia ma costosa per il contribuente corretto23, a livello di formalità
(obbligo del POS, point of sales elettronico,
scontrini fiscali, ricevute fiscali, dichiarazioni, “spesometro” , black list, lettere di
intenti, istruzioni alle dichiarazioni24, attestati, controlli incrociati, indagini, denunce
in Procura, annunci costanti e ripetitivi di
lotta alla evasione, esaltazione mediatica
dei successi , scambio molto pericoloso di
ruoli tra il Legislatore “teorico” e l Amministrazione , legislatore “di fatto”), dall’altro: è come se fossimo in presenza di un
mostro, il famoso Idra di Lerna, mostro
della mitologia greca, con cento teste che
si rigenera costantemente ed è sempre più
forte e minaccioso di prima25!
Tanto più che il livello di tassazione in Italia
è tra i più alti tra i paesi occidentali26: se da
un lato l’evasione è molto forte, dall’altro
ciò vuole dire che gli onesti pagano anche
per gli evasori, determinando questo una
pressione fiscale che diventa sempre più
insostenibile ed in netto contrasto con una
possibile ripresa dell’economia, condizione
che per l’Italia è assolutamente necessaria,
se non indispensabile.
*Dottore Commercialista e Revisore legale – Milano
21
Il Direttore dell’Agenzia delle Entrate, D.ssa Rossella Orlandi stima in circa 500.000 gli avvisi di accertamento che dovranno
essere notificati ai soggetti che hanno aderito alla V.D. in un lasso di tempo molto stretto (entro fine 2016) al fine di evitare
prescrizioni, accertamenti che permetteranno l’avvio di un contradditorio tra il contribuente e l’Amministrazione al termine
del quale si definisce la posizione e quindi lo Stato potrà incassare in tempi molto veloci le imposte arretrate , integrate dalle
sanzioni e degli interessi.
22
L’importo è frutto di uno studio del Centro Studi della Confindustria (CSC). Di questo importo l’ IVA ammonta a ca. 40 miliardi
di euro, i contributi sociali a 35 miliardi circa , e l’IRPEF (imposta sulle persone fisiche) a 23,5 miliardi (Fonte: Il Sole 24 Ore del
3 Gennaio 2016)
23
È interessante rilevare il “gap” che esiste tra il gettito teorico e quello effettivo in Italia ed in altri paesi europei (anno 2013)
(Fonte: Il Sole 24 Ore del 3 Gennaio 2016): il 33,6% per l’Italia contro una Grecia (34,0%), Spagna (16,5%), Germania (11,2%),
Francia (8,9%). Appare in tutta evidenza che “la macchina da guerra” anti evasione fiscale in Italia ha qualche problema!
24
Le pagine dedicate al recupero delle imposte corrisposte all’estero (quadro CE del modello Unico 2016 per il 2015) vanno dalla
numero 86 alla numero 98! Provare a leggere per rendersi conto dell’invasività dell’Amministrazione
25
Animale mostruoso della mitologia greca, il cui nome significa “serpente d’acqua”. Era figlio di Echidna e viveva nelle paludi di
Lerna che rappresentavano il limitare del regno della morte. Aveva cento teste, una delle quali era immortale: fino a che quella
testa non fosse stata tagliata, le altre, pur mozzate, sarebbero ricresciute immediatamente.
26
Come calcolato dalla Fondazione dei Dottori Commercialisti, la «pressione fiscale effettiva» (quella che non comprende nel Pil
il computo dell’economia sommersa) sarebbe stimabile nel 52,2%, distanziando di oltre 2 punti la seconda, rappresentata dalla
Danimarca ( Marzo 21/07/2015 - 07:00 – Il Giornale.it). Inoltre vi à la denuncia della Corte dei Conti: “In Italia la pressione fiscale
è a livelli intollerabili”: “L’Italia ha “una pressione fiscale difficilmente tollerabile”. È la denuncia di Enrica Laterza, presidente di
Coordinamento delle Sezioni riunite della Corte dei Conti. La pressione fiscale è stata nel 2014 pari al 43,5% del Pil, 1,7 punti in
più sulla media Ue. Ma allo stesso tempo il giudice dice che “l’efficienza degli apparati pubblici non può essere disgiunta da una
maggiore partecipazione dei cittadini alla copertura dei costi di alcuni servizi”.
aprile 2016 La Rivista - 33
Normative
allo specchio
di Carlotta D’Ambrosio
con la collaborazione
di Paola Fuso
Le operazioni messe in atto
dall’Italia per far ripartire l’economia
Anche in Italia, come in Svizzera, è stato compreso che le agevolazioni fiscali sono un utile strumento
per attirare investimenti stranieri. È di questi ultimi giorni, infatti, la notizia di un decreto attuativo del
Ministero dell’Economia e delle Finanze (in corso di pubblicazione) che interverrà nello scenario fiscale
italiano introducendo il meccanismo del diritto di interpello o tax ruling.
L’istituto, molto utilizzato in Svizzera, consiste nella facoltà riconosciuta al contribuente di richiedere all’amministrazione
finanziaria una valutazione sulla disciplina tributaria applicabile concretamente ad un fatto, atto o negozio che il contribuente intenda porre (o abbia già posto) in essere, così da conoscerne, a priori, il giudizio ed evitare, a posteriori, le conseguenze
sfavorevoli derivanti da un comportamento rischioso, in termini di maggiori pretese tributarie o di oneri giudiziari connessi
all’instaurazione di un contenzioso.
Il decreto in questione discende direttamente dalla l. 11 marzo 2014 n. 23 (“Delega fiscale”), dal d.lgs 147 del 14 settembre
2015 (“Disposizioni recanti misure per la crescita e l’internazionalizzazione delle imprese”) ed è stato concepito con l’intento
di rendere l’Italia maggiormente attrattiva e competitiva per le imprese, italiane o straniere, che intendono operarvi. Il motivo
è evidente: da anni si assiste all’internazionalizzazione delle imprese e per certi versi alla conseguente frammentazione dei
processi produttivi. Alla luce di questo fenomeno, che investe l’economia globale, lo sforzo che i governi stanno compiendo è
rendere possibile l’insediamento delle società nei rispettivi Paesi. Gli strumenti sono quanto mai vari, ma la posizione del fisco
rispetto alla decisione di una società di investire in Italia è assolutamente privilegiata.
Infatti, prima di ogni altra considerazione sul sistema giustizia, o sui problemi dati dalla carenza di infrastrutture, ogni dipartimento corporate di una società analizza la normativa sulle imposte. Per questo motivo e sull’onda di quanto avviene non solo
in Svizzera ma anche in altri Stati della Unione Europea, il parlamento italiano ha disciplinato il diritto di interpello sui nuovi
investimenti (art. 2 dlgs 147/2015 e attuato nel decreto ministeriale in dirittura d’arrivo). L’istituto risponde alla finalità di
dare certezza, alle imprese, italiane o estere, che intendono effettuare rilevanti investimenti in Italia, in merito ai profili fiscali
del piano di investimenti e delle operazioni societarie pianificate per metterlo in atto. Fondamentale, a tal fine, è la presentazione da parte dell’investitore di un piano di investimento nel quale debbono necessariamente essere descritti l’ammontare
dell’investimento, i tempi e le modalità di realizzazione dello stesso, l’incremento occupazionale e i riflessi, anche in termini
quantitativi, che l’investimento ha sul sistema fiscale italiano. La risposta – motivata - che l’Amministrazione darà all’interpello
può riguardare ogni profilo di fiscalità di competenza dell’Agenzia delle entrate, legato al suddetto piano di investimento e al
conseguente svolgimento dell’attività economica prevista, ivi inclusi quelli interpretativi, applicativi o relativi alla valutazione
preventiva dell’eventuale abusività o elusività delle operazioni pianificate (il parere può, ad esempio, riguardare il trattamento
IVA applicabile alla particolare attività esercitata dal contribuente).
A questo diritto possono accedere i soggetti che approntano un piano di investimento pari o superiore a 30 milioni di euro e
che abbia significative ricadute occupazionali. All’interpello l’Amministrazione risponderà entro 120 giorni, prorogabili in caso
di supplemento di documentazione. L’Agenzia delle Entrate godrà comunque dei privilegi concessi alla Pubblica Amministrazione: potrà convocare il contribuente per ottenere chiarimenti e compiere accessi in azienda per poter raccogliere ulteriori
elementi utili all’istruttoria.
Cosa accade se l’Amministrazione non rispetterà quanto fissato nella risposta all’interpello data al contribuente? Dati i presupposti
l’Agenzia non potrà di sua iniziativa disconoscere o modificare la risposta originariamente fornita a meno che l’Amministrazione
non provi l’intervento di nuovi fatti o la non corretta applicazione delle indicazioni dettate al contribuente. In tal caso e nonostante l’interpello, l’Agenzia delle Entrate, Dogane e Guardia di Finanza potranno sempre procedere alle loro attività di controllo
nei confronti del nuovo investitore per tutte le questioni diverse da quelle contenute nel parere ottenuto in risposta all’interpello.
La tenuta del tax ruling italiano tuttavia non è un problema di politica interna ma estera. Le accuse di alterare la concorrenza
con altri Stati è dietro l’angolo e il rischio è talmente concreto che all’Ecofin si è giunti a scrivere una normativa che è stata ora
approvata e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale Europea, la direttiva n. 2015/2376/UE, che troverà applicazione dal 1° gennaio
2017, per quanto riguarda lo scambio automatico obbligatorio di informazioni nel settore fiscale: l’obiettivo è migliorare la
trasparenza delle regole fiscali che gli Stati membri forniscono in casi specifici alle imprese in merito alle modalità con cui sarà
trattata la tassazione. La richiesta iniziale della Commissione era di una retroattività di 10 anni, il compromesso raggiunto è
stato di andare indietro di 5. Dunque lo sforzo è duplice: attirare investimenti stranieri senza alimentare la concorrenza sleale.
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34 - La Rivista aprile 2016
Angolo
Fiscale
di Tiziana Marenco
Anche la prestazione pagata
dal conduttore all’inquilino per convincerlo a terminare
anticipatamente il rapporto di locazione costituisce in
Svizzera reddito imponibile
Se è vero che in Svizzera il tasso delle imposte sui redditi è moderato e che gli utili in capitale realizzati su capitale
mobile privato sono esentasse, è pur giusto ricordare che in virtù della clausola generale ancorata sia nel diritto
federale sia in quello cantonale “sottostà all’imposta sul reddito la totalità dei proventi, periodici e unici” (cfr.
art. 16 cpv. 1 Legge federale sull’imposta federale diretta LIFD e il corrispondente articolo della LAID e dei codici
cantonali), salvo che la legge preveda esplicitamente un’eccezione.
Grazie al boom immobiliare degli ultimi decenni e alle disposizioni di legge atte a proteggere l’inquilino dalla
disdetta del conduttore qualora la stessa abbia per l’inquilino conseguenze gravi, si è diffusa in Svizzera la pratica
di pagare all’inquilino (locatore) un indennizzo affinché lasci anticipatamente libero un immobile destinato al
risanamento o alla demolizione invece di chiedere la massima proroga consentita dalla legge, permettendo così al
proprietario di realizzare in tempi brevi progetti più redditizi.
Il Tribunale Federale ha sentenziato recentemente (2C-625/626/2015; 16 febbraio 2016) sulla fattispecie seguente: Una coppia di coniugi contesta la disdetta straordinaria del conduttore ottenendo in via transattiva davanti al
giudice in procedura di conciliazione una proroga unica di due anni sino al 30 giugno 2010, unita alla promessa
di un pagamento di CHF 50’000 se la coppia lascerà l’immobile prima del 31 maggio 2009. Gli inquilini lasciano
poi davvero l’immobile prima del 31 maggio 2009 e ricevono la somma pattuita in due tranche, la prima di CHF
25’000 nel 2009 e la seconda di pari entità nel 2010.
Gli inquilini segnalarono in seguito di aver ricevuto l’indennizzo, ma non lo dichiararono tra gli utili imponibili del
2009 ritenendolo un indennizzo esonerato dall’imposta sui redditi.
Vista la clausola generale di cui all’art. 16 cpv. 1 LIFD sopra citato, il TF doveva tranciare la questione se il pagamento del conduttore costituiva un indennizzo per la rinuncia dell’esercizio di un diritto, imponibile ai sensi della
LIFD (art. 23 lit. d) e dei codici cantonali, come sosteneva tra l’altro l’ufficio tassazione, oppure un indennizzo non
imponibile in qualità di risarcimento per danno subito e che quindi, andando a compensare una perdita, secondo
la teoria dell’accrescimento del patrimonio e proprio in mancanza di tale aumento di sostanza, non poteva costituire elemento di reddito imponibile.
Il TF concludeva che nel caso di una transazione le parti giungono ad un accordo proprio per non correre il rischio
di perdere un diritto il cui riconoscimento davanti ai giudici non è certo. La ricorrente nella fattispecie non aveva
ricevuto un indennizzo perché aveva rinunciato ad un diritto, bensì, dopo essersi visto riconosciuto il diritto ad
una proroga del rapporto di locazione, affinché trovasse motivazione sufficiente per lasciare anticipatamente
l’oggetto della locazione. Non si trattava nemmeno di un risarcimento per danni (da trasloco) e non poteva quindi
che ricadere sotto la clausola generale dell’art. 16 cpv. 1 LIFD, costituendo quindi reddito imponibile.
Il TF costatava inoltre che l’aumento di patrimonio dovuto all’acquisizione di un diritto pecuniario, e quindi il
reddito, non è realizzato solo al momento dell’incasso della pretesa, ma secondo una giurisprudenza costante
già al momento dell’acquisizione certa del diritto, quindi nella fattispecie con la firma dell’accordo e la partenza dell’inquilino intervenuta ancora nel 2009. L’indennizzo era quindi imponibile interamente già nel periodo
fiscale 2009.
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aprile 2016 La Rivista - 35
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NEWS ITALIA APRILE 2016
- Assegnazione agevolata di immobili
Entro il 30.9.2016 le società di capitali / persone devono valutare l’opportunità, introdotta dalla Legge di
Stabilità per il 2016, di assegnare ai soci gli immobili
diversi da quelli strumentali per destinazione, non utilizzati per l’esercizio dell’attività a fronte del pagamento di un’imposta sostitutiva dell’8% (10,5% se società
di comodo) in luogo del 27.5% e dell’eventuale IRAP.
Ulteriori agevolazioni sono previste ai fini delle imposte di registro (riduzione alla metà dell’imposta di
registro se dovuta in misura proporzionale) e ipotecarie e catastali (applicazione dell’imposta ipotecaria e
catastale in misura fissa).
- Imposta di donazione e successione
Sono ripresi i lavori sulla proposta di legge presentata
l’anno scorso che prevede una riduzione della franchigia dall’attuale milione di euro a 500.000 euro per ciascun beneficiario e un aumento dell’imposizione fiscale dal 4 al 7 per cento per il coniuge e i parenti in linea
retta, dal 6 all’8 per cento per i fratelli e le sorelle con
franchigia di 100.000 euro per ciascun beneficiario, dal
6 al 10 per cento su tutto il valore ereditato per i parenti fino al quarto grado e affini in linea retta e dall’8 al
15 per cento su tutto il valore ereditato da altri soggetti. Le stesse modifiche verrebbero apportate alle aliquote relative all’imposizione sulle donazioni.
Inoltre si prevede che per un valore ereditato superiore
a 5 milioni di euro l’imposizione fiscale ordinaria
sia triplicata.
Angolo legale
Svizzera
di Massimo Calderan
La procedura civile e il
sistema giudiziario svizzero
1a parte
Nel 2011 è entrato in vigore il Codice di diritto processuale civile svizzero (CPC). In precedenza, ogni Cantone applicava
il proprio codice. Questo comportava l’applicazione di leggi, procedure e prassi molto diverse nei vari Cantoni e, di conseguenza, ostacolava anche la libera scelta dell’avvocato e la libera circolazione degli avvocati. L’unificazione del diritto
processuale civile a livello federale è avvenuta per sviluppare una giurisprudenza più omogenea, migliorare la certezza del
diritto e l’efficienza, la durata, i costi e la trasparenza delle procedure. La competenza territoriale e il procedimento sono
regolati a livello federale, mentre i Cantoni continuano a regolare in gran parte l’organizzazione giudiziaria e la competenza
per materia dei tribunali e delle autorità di conciliazione. In riferimento all’impugnazione dei provvedimenti, il CPC, però,
definisce il valore del contenzioso e la cognizione dei tribunali superiori. Dopo cinque anni si può costatare che alcune differenze tra i vari Cantoni permangono, anche perché le autorità giudiziarie nell’interpretazione del CPC e laddove lo stesso
CPC concede loro una certa autonomia nel gestire le procedure, spesso fanno riferimento alla prassi cantonale precedente
l’entrata in vigore del CPC. Differenze che, però, anche con l’aiuto del Tribunale Federale, vanno scemando.
Il CPC disciplina la procedura davanti ai tribunali cantonali in ambito civile, in materia di esecuzione e fallimenti,
volontaria giurisdizione e arbitrato. Il CPC prevede diversi tipi di procedure: (i) la procedura ordinaria, (ii) la procedura
semplificata, (iii) la procedura sommaria e (iv) alcune procedure speciali.
Sia per la procedura ordinaria, sia per quella semplificata è previsto un tentativo obbligatorio e preliminare di conciliazione, salvo in casi particolari, quali le cause di divorzio, le cause sullo stato delle persone e azioni previste dalla
legge sull’esecuzione e i fallimenti. La procedura è orale. Le parti devono comparire personalmente; possono farsi
assistere, ma la persona che assiste deve rimanere in secondo piano. La procedura può terminare (i) con una conciliazione, (ii) in caso di insuccesso, con il rilascio dell’autorizzazione ad agire, (iii) con una proposta di giudizio o (iv)
con una decisione in caso di controversie con un valore litigioso fino a CHF 2.000.
La procedura ordinaria è prevista per le controversie patrimoniali di valore superiore a CHF 30.000. Si svolge principalmente per iscritto e le parti devono esporre le motivazioni e produrre le osservazioni e le prove necessarie per la
decisione del giudice.
La procedura semplificata si applica nelle controversie patrimoniali di valore non superiore a CHF 30.000 e nelle
controversie in ambito sociale, ad esempio il diritto del lavoro e di locazione. È caratterizzata da minori formalità e
minori costi, dall’oralità e dalla rapidità. La procedura non è applicabile nelle controversie oggetto di un solo grado
di giudizio o di competenza del tribunale commerciale.
La procedura sommaria non prevede un tentativo di conciliazione e limita i mezzi di prova sostanzialmente ai documenti. La cognizione del giudice è limitata ai fatti evidenti o verosimili e la procedura si svolge in forma scritta
o orale. La procedura si applica per diversi negozi basati sul Codice civile (diritto delle persone, diritto successorio
e diritti reali), sul Codice delle obbligazioni (diritto dei contratti, diritto societario) e sulla Legge sull’esecuzione e
fallimenti, nonché per i provvedimenti cautelari e in materia di volontaria giurisdizione.
Infine il CPC prevede procedure speciali di diritto familiare, come per la tutela dell’unione coniugale, per il divorzio e per
le questioni riguardanti i figli. In parte, il giudice dovrà seguire una procedura inquisitoria, accertando i fatti d’ufficio.
Il CPC prevede vari mezzi di impugnazione: (i) l’appello, di regola laddove il valore del contenzioso superi CHF 10.000;
(ii) il reclamo, per impugnare le decisioni riguardanti cause di natura patrimoniale con un valore litigioso esiguo o
altre decisioni inappellabili, le disposizioni di ordine processuale del
giudice e nei casi di denegata o ritardata giustizia. In entrambi i casi può essere invocata l’applicazione errata del
diritto, mentre l’accertamento errato dei fatti è limitato, solo in caso del reclamo, ai casi manifesti; l’organo competente è il tribunale superiore cantonale, l’impugnazione deve avvenire entro 30 giorni dalla notifica della decisione
impugnata e dev’essere motivata; il termine in caso di procedura semplificata è di 10 giorni; (iii) la revisione di un
giudizio può essere chiesta allo stesso giudice per fatti e mezzi di prova che esistevano all’epoca del processo ma
che, per motivi giustificabili, non avevano potuto essere inoltrati, nel caso in cui la decisione è stata influenzata da
un delitto o per impugnare atti di disposizione di una parte, ad esempio i vizi della volontà.
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aprile 2016 La Rivista - 37
Convenzioni
Internazionali
di Paolo Comuzzi
Il principio di non
discriminazione
La clausola di non discriminazione, contenuta nelle convenzioni firmate dall’Italia, è giunta ad avere una
forte importanza in alcune controversie relative alla deduzione di costi relativi a transazioni con società
che sono residenti in Stati considerati come paradisi fiscali.
Oggi la modifica della normativa interna rende la problematica di minore importanza (non sussiste
più quel generale principio di non deducibilità che tanto sembrava una sanzione impropria1) ma resta
di interesse esaminare questa previsione convenzionale e la sua attuazione e quindi farne una breve
disamina delle sue clausole.
Commento
La norma si divide in (5) commi che andiamo ad analizzare, in modo sintetico, nel seguito del presente contributo.
Se guardiamo al primo comma della norma vediamo che una clausola di non discriminazione, nella sua forma
tipica, comincia con le parole “ … i nazionali di uno stato contraente …” sicché è del tutto evidente che la
clausola stessa non prende in considerazione solo coloro che sono qualificabili come residenti fiscali (che sono
i soggetti che possono usare della convenzione e di alcune specifiche norme previste nella stessa) ma prende
in considerazione i soggetti che sono considerati come possessori della nazionalità di un certo paese e non
della residenza fiscale2.
La norma prosegue sancendo che questi “nazionali” esteri “ … non sono assoggettati nell’altro Stato contraente
ad alcuna imposizione o obbligo ad essa relativo diversi o più onerosi di quelli cui sono o potranno essere assoggettati i nazionali di detto altro Stato che si trovano nella medesima situazione …”.
La conseguenza della norma per quanto concerne questo primo comma appare evidente (al di là delle problematiche definitorie come quella della medesima situazione) ovvero si vuole impedire che il soggetto straniero
si veda caricare balzelli solo per la sua condizione specifica di straniero e quindi la norma vieta sia il balzello a
suo carico che una richiesta procedurale diversa e più onerosa rispetto a quella prevista per i soggetti residenti3.
Sempre questa clausola mi pare anche vietare una qualsiasi norma che riducesse i loro diritti nell’ambito delle
verifiche fiscali e / o del possibile e seguente contenzioso (o che aumentasse i costi dell’adesione o impedisse
il ravvedimento operoso)4.
Il secondo comma della norma prende in considerazione la Stabile Organizzazione ovvero quella entità “fiscale” che collega un contribuente ad un determinato paese in modo così stretto da consentire a questo paese di
tassare i redditi che si producono nello stesso e che possono attribuirsi a questa entità.
La norma dice che la tassazione della stabile organizzazione del soggetto non residente non deve essere meno
favorevole di quella che viene applicata alle imprese residenti che svolgono la stessa attività.
Per essere banali diciamo che questo significa che la aliquota delle imposte non può essere più elevata e che
la determinazione del reddito imponibile deve seguire le stesse regole (si pensi ai principi di inerenza, competenza, determinabilità e certezza previsti nell’ordinamento italiano).
Ma non è solo questo: anche i crediti di imposta che normalmente possono essere usati dalle imprese residenti
devono essere a disposizione della Stabile Organizzazione secondo quelle modalità previste per le imprese
residenti.
Una simile clausola significa anche che la nuova norma in tema di paradisi fiscali (e quindi la correzione della
deduzione come attuata oggi) si applica anche alle stabili organizzazioni di soggetti non residenti.
Sempre nell’ambito del secondo comma viene fatta salva la situazione personale (circostanza di carattere
personale dice la norma) che consente di mantenere deduzioni per carichi di famiglia in favore dei soggetti
residenti e di escludere i nazionali dell’altro Stato.
38 - La Rivista aprile 2016
Il terzo comma della norma è forse quello più conosciuto (anche dalla giurisprudenza di merito e di legittimità) in quanto stabilisce che interessi, royalties e altre spese pagati da una imprese dello Stato (A) al soggetto
nazionale dello Stato (B) sono deducibili alle stesse condizioni previste per la deduzione in caso di pagamento
domestico.
In buona sostanza la deduzione del costo sostenuto verso la impresa estera deve essere garantita alle stesse
condizioni della deduzione domestica e quindi se la deduzione domestica non richiede una determinata condizione (ie il contratto in forma scritta) tale condizione non può essere istituita per impedire la deduzione del
costo pagato alla impresa estera.
Si tratta di un comma che ha consentito ai contribuenti di respingere (in sede contenziosa) alcune contestazioni dell’Agenzia delle Entrate riferite alla deduzione di determinati costi sostenuti anche nei confronti delle
società svizzere a tassazione speciale.
Il quarto comma della norma è rivolto in modo specifico alle imprese e indica che le imprese residenti nello
Stato (A) il cui capitale sia detenuto in tutto o in parte (e non si parla di maggioranza) ed in modo diretto o indiretto da soggetti aventi la nazionalità dello stato (B) non possono essere discriminate ove la discriminazione
significa imposizione diversa e più onerosa, obbligo diverso e più oneroso rispetto a quelli applicati ad imprese
residenti e della stessa natura.
In sostanza la S.p.A. (o S.r.L.) italiana detenuta da una società di nazionalità svizzera non può vedersi applicare
una aliquota diversa (maggiore) o un onere procedurale diverso (e più oneroso).
Interpretata in una ottica di buona fede la clausola dovrebbe avere il significato che la impresa residente non
è diversa in ragione del socio ma solo in ragione della sua attività.
Il quinto comma della norma ha carattere generale sembra teso ad impedire equivoci interpretativi nel momento in cui afferma che la disposizione si applica alle imposte di ogni genere e denominazione.
In buona sostanza siamo in presenza di una clausola che trova in questo comma una chiusura con un riferimento di carattere generale a qualsiasi imposta sia inserita nell’ordinamento giuridico5.
Viene spontaneo chiedersi se possa considerarsi come discriminatorio ai sensi di questa norma una qualsiasi
forma di imposizione che sia relativa ad esempio ai pagamenti a dipendenti e / o lavoratori autonomi (con la
imposizione ad esempio di una ritenuta sui compensi maggiorata per i lavoratori autonomi quando la controparte è una impresa con capitale di nazionali esteri).
In linea generale è certo che una simile norma (che ovviamente porta anche sanzioni diverse per lo stesso
comportamento in quanto le sanzioni sono collegate alla “mancanza”) appare come una norma che mette la
impresa detenuta da nazionali esteri in una condizione detrimente rispetto ad una impresa nazionale ma trattasi di situazione molto incerta come incerta è la norma ed infatti non manca chi afferma che “ … ramifications
are probably more uncertain than those of any other article …”6.
Conclusione
La norma in tema di non discriminazione, almeno nell’ambito dell’ordinamento italiano, ha trovato una applicazione pratica per quanto concerne il comma relativo alla deduzione dei costi mentre non sembra aver trovato
particolari sviluppi per il resto dei commi.
È del tutto evidente che la clausola è molto importante e come ha avuto occasione di dire un maestro della
fiscalità internazionale (Keed Van Raad) “ … given the growing awareness on the side of taxpayers of the rights
they are entitled to under this clauses, it may be fair to assess that in the next decade the focus will shift from
theoretical analysis to courtroom decisions …”.
Resta che parlare di sviluppo del contenzioso fiscale non è certamente una affermazione che lascia soddisfatti
anche se da noi questo è proprio il settore in cui la norma ha trovato la prima applicazione.
DIRE CHE UN COSTO NON SI DEDUCE SALVO CHE IL CONTRIBUENTE NON PROVI ALCUNI ELEMENTI SPECIFICI (SI PENSI ALL’EFFETTIVO INTERESSE ECONOMICO) APPARE COME UNA SANZIONE IMPROPRIA IN QUANTO NON E’ LA AMMINISTRAZIONE CHE
DEVE PROVARE LA ANTIECONOMICITA’ DEL COMPORTAMENTO DEL CONTRIBUENTE E QUINDI CONTESTARE LA DEDUZIONE DEL
COSTO MA E’ IL CONTRIBUENTE CHE DEVE MUOVERSI PER PROVARE CHE L’ONERE HA UN SENSO E CHE SUSSISTE UN INTERESSE
SPECIFICO AD OPERARE CON QUEL FORNITORE SITO IN QUEL PAESE.
2
CHI STUDIA HA EVIDENTE CHE SI TRATTA DI UNA SITUAZIONE STORICA CHE PROVIENE DALLA BIBBIA (LEVITICO 19:34) CHE
RECITA: “ … Lo straniero che risiede fra voi, lo tratterete come colui che è nato fra voi; tu l’amerai come te stesso, poiché anche
voi foste stranieri nel paese d’Egitto. Io sono l’Eterno, il vostro DIO …”. INSOMMA LA CLAUSOLA NON DISCRIMINAZIONE HA UNA
STORIA CHE SUPERA QUELLA FISCALE.
3
SAREBBE CERTAMENTE DISCRIMINATORIA UNA CLAUSOLA CHE VIETASSE AGLI STRANIERI RESIDENTI FISCALI DI FARE USO DEL
RAVVEDIMENTO OPEROSO O CHE IMPONESSE LORO UN ONERE DI PRESENTAZIONE DELLA DICHIARAZIONE DEI REDDITI MEDIANTE UNA PROCEDURA DIVERSA E COMPLESSA RISPETTO A QUELLA PREVISTA NORMALMENTE.
4
SI PENSI AD UNA NORMA CHE INDICHI COME NON NECESSARIO IL CONTRADDITTORIO QUANDO VIENE ACCERTATO UNO STRANIERO O CHE ABOLISCA PER GLI STRANIERI IL TERMINE DI 60 GIORNI PER LA NOTIFICA DI UN ACCERTAMENTO A SEGUITO DI
VERIFICA FISCALE.
5
LA CONSEGUENZA E’ QUELLA PER CUI NON DOVREBBE RITENERSI LECITA UNA PATRIMONIALE SOLO SULLE SOCIETA’ DETENUTE
DA SOGGETTI NON RESIDENTI (O MEGLIO NAZIONALI DELL’ALTRO STATO CONTRAENTE).
6
PATRICK ROBERT J, A COMPARISON OF UNITED STATES AND OECD MODEL INCOME TAX TREATIES, LAW AND POLICY INTERNATIONAL BUSINESS 1978 / 605.
1
aprile 2016 La Rivista - 39
Banchieri svizzeri
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L’elefante
Invisibile1
di Vittoria Cesari Lusso
Differenze generazionali
all’epoca della rivoluzione tecnologica
Una vecchia leggenda indiana narra di un elefante che pur
muovendosi tra la folla con al
sua imponente mole passava
comunque inosservato. Come
se fosse invisibile…
1
Tra i ritagli di giornale che non mi decido a buttare via c’è un articolo del quotidiano La Stampa dell’8 aprile 2014, di
Massimo Gramellini. Il pezzo, che porta il titolo «Le nipoti di Anne», racconta un caso di estremo rifiuto senile delle cosiddette nuove tecnologie.
“ (…) Anne, un’insegnante in pensione di 89 anni, ha posto fine ai suoi giorni in una clinica svizzera che pratica il suicidio
assistito perché non sopportava i ritmi e gli oggetti della vita moderna: davanti alla scelta tra adattarsi all’uso dei telefonini
o morire, avrebbe optato senza esitazioni per la busta numero 2. (…)”
Ormai le frontiere tra generazioni non si esprimono più in funzione dell’età cronologica o dei ruoli, ma sulla base di ere
digitali. Da questo punto di vita l’umanità si divide attualmente in quattro categorie.
I nativi digitali: i figli del terzo millennio. Per loro le nuove tecnologie sono una componente strutturale, anzi costitutiva,
dell’ambiente, come gli alberi, le case, il mare, le montagne. Così come imparano a camminare, e poi a correre e saltare, con
la stessa naturalezza inglobano l’uso dei vari apparecchi. Un mondo senza aggeggi elettronici non è nemmeno immaginabile ai loro occhi. I diversi arnesi li seguono dappertutto. Li usano a letto, allungati per terra, sdraiati su divano, seduti sulle
tazze del WC (pare che il bagno sia uno dei rifugi preferiti dagli adolescenti). Come faranno quando sono tanti in famiglia
e c’è un solo servizio?
C’è poi il gruppo degli immigrati digitali pienamente acculturati: persone che pur essendo nate e cresciute ancora
nell’era cartacea precedente, hanno fatto in tempo a familiarizzarsi con l’universo delle nuove tecnologie e a integrare
profondamente l’esigenza di tenersi continuamente aggiornate. Alcuni di loro fanno addirittura parte dei mitici inventori
degli strumenti tecnologici di cui oggi non possiamo fare a meno.
La terza categoria comprende gli immigrati digitali conservatori: in genere donne e uomini della mia generazione nati
negli anni della guerra e nell’immediato dopoguerra. È la categoria digitale in cui mi ritrovo. Non solo conserviamo bene
impresse nella mente le tracce dell’universo materiale in cui siamo cresciuti, ma il ricordo di certi mitici oggetti ci commuove sempre. Penso al telefono a muro in cucina e alle parole bisbigliate all’innamorato mentre i familiari non solo andavano
e venivano, ma sorridevano maliziosi e ti invitavano a chiudere perché aspettavano un’altra telefonata. Mi viene in mente
la mitica Olivetti lettera 22, facilmente trasportabile. Solo il fatto di possederla e di esibirla mi faceva sentire appartenente
all’Olimpo degli scrittori.
Ho comunque benedetto l’arrivo sulla mia scrivania a metà degli anni ottanta del mio primo MacIntosh 128K. (un magico
scatolino che rimpiango di non aver conservato come cimelio). È stato come ricevere in dono una bacchetta magica. Poter
correggere, cancellare, scrivere e riscrivere una frase con grande facilità non rappresenta per me soltanto un fatto tecnico,
ma una vitamina per la mente, una modalità indispensabile per tentare di far corrispondere a forza di prove e tentativi le
parole al pensiero. Puntualmente ho rimpiazzato il capostipite dei MacIntosh con i modelli successivi.
Perché conservatori? Per la resistenza a cambiare modelli! Per quanto mi riguarda, ogni volta che si rendeva necessario
passare a un nuovo modello esprimevo brontolando tutta la mia contrarietà “Ma come, mi sono appena abituata e adesso
mi tocca cambiare! Accidenti alle invenzioni che richiedono una memoria sempre più potente. Maledizione, perché hanno
modificato questo o quel programma!? Che rottura di scatole! E poi quell’informatico che è venuto, come si fa a capirlo visto
che parla a raffica e usa un gergo astruso?!”. Insomma, su questo piano viene sempre fuori tutta la mia indole conservatrice
e non innovatrice.
Per il telefonino ho resistito fino al nuovo millennio. Poi mi sono decisa e, ammetto, ne ho apprezzato anche la comodità.
Conservo però a lungo lo stesso modello. Quello che uso attualmente è ormai un oggetto da museo e fa vergognare un
po’ mio nipotino.
Inoltre, uso tutti gli strumenti in modo molto elementare. Appena ho capito come metterli al servizio delle mie attività e
necessità, mi accontento e non vado alla ricerca delle funzioni più sofisticate.
Infine c’è la quarta categoria degli esclusi digitali. Non è un’esclusione di tipo socioeconomica ma soprattutto un handicap di immagine e di identità. Concerne quei nonni e bis-nonni che, ad esempio, confessano come se fosse una colpa di
non avere un indirizzo mail. Per fortuna però la maggior parte non vive tale condizione in modo tragico come Anne, ma
rivendica la bellezza di un biglietto scritto a mano con un’elegante penna stilografica, il piacere della lettura di pagine di
carta e non di schermate, la soddisfazione di aver collezionato poetiche lettere d’amore e non frettolosi SMS.
È di moda dire che i nativi digitali possono essere di grande aiuto alle categorie tre e quattro. Temo che sia una bella
favola. Il passaggio dal materiale al virtuale è portatore di una sorta di mutazione genetica (elefante invisibile) che separa
ormai le generazioni. Meno male però che nella maggior parte dei casi l’affetto rimane e unisce. Purché si faccia buon uso
delle nuove tecnologie.
Ma di questo magari parleremo la prossima volta.
aprile 2016 La Rivista - 41
La Svizzera prima della Svizzera
Non si può parlare di Storia della Svizzera senza conoscere gli avvenimenti che
precedettero la formazione del primo nucleo della Confederazione Elvetica, nel
lontano 1291. Bisogna, infatti, avere un quadro, anche se solo per sommi capi, di
quei fatti che furono all’origine del lungo e difficile percorso che, dopo oltre cinque secoli, avrebbe portato all’unità geografica e politica di questo Paese nei suoi
confini attuali.
Storia molto complessa e ancora più affascinante, se si considera che il suo territorio
non ha costituito «mai un’unità né politica né linguistica», né «culturale o economica».
C’è dunque una Storia della Svizzera prima della Svizzera, che bisogna conoscere
per capire a fondo gli avvenimenti che hanno portato poi alla formazione e al
duraturo mantenimento, nei secoli, della Confederazione Elvetica.
Tindaro Gatani, nostro prezioso collaboratore, ricercatore e appassionato studioso dei rapporti italo-svizzeri, ha raccolto l’invito di realizzare una sintesi della
storia di questo Paese dalle origini alla fondazione della Confederazione.
Il risultato di questo lavoro sono le 13 puntate apparse sulla Rivista da gennaio
2012 a febbraio 2014, che, dopo un’attenta revisione, rispondendo anche alla
richiesta di molti lettori, vedono la luce sotto forma di un volume.
Chi fosse interessato può richiedere copia del volume
al prezzo di CHF 25.— (+ costi di spedizione)
inviando una mail a: [email protected]
oppure telefonando allo 044 289 23 19
La Svizzera: da Morgarten (1315)
a Marignano (1515)
Le puntate apparse su «La Rivista», dal marzo 2014 a settembre 2015, sono
state adesso raccolte in un volume curato dallo stesso autore, Tindaro Gatani, con il titolo La Svizzera: da Morgarten (1315) a Marignano (1515), nel
quale si narrano gli avvenimenti di quei duecento anni che videro la Nazione
elvetica diventare la più grande potenza militare europea. La pubblicazione
si aggiunge al primo volume La Svizzera prima della Svizzera, edito sempre
dalla Camera di Commercio Italiana di Zurigo.
Chi fosse interessato può richiedere copia del volume
al prezzo di Fr. 25.— (+ costi di spedizione)
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Giacomo Casanova in Svizzera
Il nostro collaboratore Tindaro Gatani ha pubblicato un interessante volume sulle avventure amorose di Giacomo Casanova in Svizzera, la prima opera in italiano che tratta delle
gesta del grande libertino e avventuriero veneziano in Terra elvetica. Nella premessa, tra
l’altro, l’autore scrive: «Tutte le pubblicazioni sulle avventure di Giacomo Casanova sono
coronate da successo, non sempre, però, per merito dei vari curatori ma, piuttosto, per il
brillante racconto che, nella sua Storia della mia vita o Memorie, ne fa lo stesso avventuriero veneziano, che ha saputo unire l’arte di grande amatore con quella di consumato
affabulatore. Per non appropriarmi della sua forza narrativa ho voluto che fosse lui stesso,
con il suo racconto, a condurre i lettori attraverso la Svizzera del suo tempo. Per questo
mi sono limitato solo a riassumere, a chiosare, a soffermarmi su alcune alte personalità
dell’Ancien Régime elvetico, il periodo storico che precedette la Rivoluzione francese e la
bufera napoleonica che avrebbe, poi, investito, sovvertendola, la vecchia Confederazione.
(…) Da parte mia ho seguito le sue gesta servendomi dell’aiuto di quanti mi hanno preceduto sulle sue orme nello stesso itinerario e, soprattutto, della guida esperta di Pierre
Grellet (1881-1957) che, con Les aventures de Casanova en Suisse, pubblicate a Losanna
nel 1919, ha saputo tracciare con maestria un quadro puntuale e fedele delle sue imprese
in Terra elvetica. (…)».
Chi fosse interessato può richiedere copia del volume
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Per chi
suona il
campanello
di Mirko Formenti
3012, Berna: la polizia s’incazza
Quando degli amici mi buttano là di andare alla Reitschule di Berna a sentire Sophie Hunger che
suona nel Dachstock colgo la palla al balzo per esplorare questo ambiente così discusso e apparentemente discutibile – ma i dubbi vengono subitamente dissipati quando, all’entrata, i ragazzi del
locale ritirano il biglietto e mi stampano sul polso un timbro con scritto “UDC VAFFANCULO” (“figg
di svp”): sono nel posto giusto.
Al di là del fatto che il concerto è grandioso, e rimango impressionato dalla qualità dell’impianto audio e soprattutto
luci (davvero notevole per un locale di quelle dimensioni – e chi, come me, sarà stato così superficiale da aspettarsi
una baracca improvvisata da giovani hippie male in arnese verrà piacevolmente sorpreso dall’assoluta professionalità
dell’attrezzatura e del personale tecnico), percepisco da diversi gruppetti di ragazzi un brusìo che parla di imminente
chiusura, guerriglia urbana e vari scenari apocalittici: mi informo e scopro che dalla mia bolla di sapone non avevo
preso conoscenza di alcuni fattacci recenti.
La settimana precedente, mi dicono, in seguito ad un battibecco tra i responsabili del locale e alcuni rappresentanti
politici (democentristi, ça va sans dire) che da anni inneggiano alla chiusura di quel covo di disgraziati e debosciati e
drogati e sodomiti e delinquenti e invertiti e mine vaganti comun-islam-terror-ecceteristi, una squadra di intervento
della polizia si è presentata allegramente alla Reitschule per un pacifico ed innocente “controllo di routine” (una ventina, con manganelli, scudi, e tutta quanta la scenografia necessaria ad un regolarissimo quanto casuale “controllo”
non-violento e non-provocatorio, si capisce).
Ma ci credete che è partita la rissa? Roba da matti, non se lo sarebbe aspettato nessuno…tant’è che il personale
del centro socio-culturale, vedendo avvicinarsi l’armata della Giustizia ha immediatamente sollecitato la gente nel
piazzale ad entrare (…ripiegare?) all’interno del locale per evitare scontri e tenere la cosa sotto controllo.
Ma tra le migliaia di ragazzi che ogni finesettimana affollano la Reitschule naturalmente c’è sempre quella manica
di imbecilli, non più di una dozzina, che invece ha pensato bene di rispondere alla provocazione – perché non saprei
come altro definirla – salendo sui tetti e tirando pietre alle forze dell’Ordine. La conseguenza è evidente, il caso finisce in municipio, dove si è costretti ad architettare qualche castigo (finanziario) e paventare improponibili chiusure.
Improponibili perché, anche se tra gli utenti la paura si diffonde, sarebbe incredibilmente illogico, stupido e controproducente chiudere la Reitschule, un locale cioè, che, oltre ad essere uno dei pochi centri sociali autogestiti
che funzionano davvero e ad offrire uno spazio unico a tutti quelli a cui altrove non viene concesso alcuno spazio
(stranieri, omo- e transessuali – e gente normalissima che vorrebbe trovare un posto aperto oltre mezzanotte che
non sia una discoteca senza fantasia), cela dietro di sé un giro di affari mica da ridere, perché con le sue cinque (!)
sale per concerti/feste/teatri continua ad essere un polo culturale che attira artisti da tutto il mondo, offrendo un
cartellone di tutto rispetto.
Detto questo, certo, fuori dal cartellone c’è anche lo spaccio, qualche scorcio di teppismo – ma, ahimè, non più
di quanto non si troverebbe davanti a qualsiasi altro locale notturno: se quindi è chiaro che tali fenomeni vanno
combattuti (e gli stessi responsabili della Reitschule sono in prima linea in questo senso), non giustificano di certo
quello che oramai da diversi anni è diventato un vero e proprio accanimento della polizia contro il centro sociale e
culturale. Perché in casi come questo, beh, l’intento provocatorio è evidente: non ci si presenta con scudi e manganelli al venerdì sera in un locale a meno che non si voglia a tutti i costi accendere la miccia – facilmente infiammabile, accidenti a loro – dei soliti incendiari, ai quali la polizia non può che essere grata per la piena riuscita della
loro pedestre manovra: giustamente, la polizia ringrazia (a buon cine-intenditor...). Quindi tutti giù a puntare indici
mediatici sulla nostra povera Reitschule, maltrattata tanto dai suoi locatori quanto dai suoi locatari – o meglio, dai
suoi inquilini abusivi, nel senso che le teste calde in genere passano la serata a ciondolare nel cortile senza prendersi
la briga di pagare l’entrata e varcare la soglia – il che rende peraltro anche molto più complessa la questione della
responsabilità del servizio di sicurezza offerto dalla Reitschule, che tecnicamente non può fare molto per tenere sotto
controllo persone che di fatto nella Reitschule non ci mettono neanche piede.
L’ultima parola sulla faccenda è quella sussurrata da Sophie Hunger dal palco del Dachstock: “quando una donna
tiene una boccetta di veleno nell’armadio e litiga col marito ha due opzioni per punirlo: la prima è avvelenarlo fino a
farlo stare male, la seconda è bere il veleno e poi incolparlo”.
aprile 2016 La Rivista - 43
Dalla Svizzera
degli Stati a
quella federale
Veduta di Zurigo al tempo di Ascanio Marso, particolare della Carta del Canton Zurigo di Jos Murer, incisione in legno
del 1566
di Tindaro Gatani
Tra quanti ci hanno tramandato i fatti
salienti della Confederazione tra il XVI
e il XVIII secolo ci sono anche quattro
italiani, ai quali gli stessi storici svizzeri
attingono spesso per avere notizie particolari e riservate sul loro Paese. La serie
è aperta dal nobile bolognese Ascanio
Marso, rappresentante permanente della
Spagna e del Ducato di Milano presso i
Cantoni dal 1548 al 1558, autore di un
ampio memoriale manoscritto intitolato
Discorso de i sguizzari.
Notizie preziose ci hanno tramandato poi
i due inviati della Serenissima Repubblica
Veneta: Giovanni Battista Padavino, con il
suo Governo e Stato dei Signori Svizzeri
del 1605, e Vendramino Bianchi, che, sotto lo pseudonimo di Arminio Dannebuchi,
compilò la Relazione del paese de’ svizzeri,
e loro alleati, pubblicato per la prima volta, in inglese, a Londra nel 1710.
Il Discorso de i sguizzeri
di Ascanio Marso (1558)
di Sicilia, di Napoli, del Perù e Re consorte d’Inghilterra e d’Irlanda (1554-1558),
per aver sposato, in seconde nozze, Maria I
Tudor, la Cattolica o la Sanguinaria (15161558), i rapporti non erano particolarmente
amichevoli. Solo dopo la morte dello zio,
Filippo II (1527-1598) si sarebbe rappacificato con il ramo tedesco della sua famiglia,
concedendo, in cambio dei titoli di Re di
Germania e d’Italia, quello di Re dei Romani e governatore della stessa Germania al
cugino Massimiliano II d’Asburgo, di cui poi
avrebbe sposato, in quarte nozze, la figlia
Anna d’Austria (1549-1580).
Sul piano internazionale, mentre si andava
sempre più consolidando l’espansione spagnola nell’America latina, donde la Spagna
ricavava immense ricchezze che, tuttavia,
non gli permettevano di appianare i debiti
lasciati dal padre, Filippo II si pose come il
più valido difensore del cattolicesimo, ricorrendo all’Inquisizione, alla tortura, alla
lotta contro il protestantesimo e il calvinismo, e, naturalmente, soprattutto contro
l’Islam.
La sua più grande vittoria fu quella contro i
Turchi nella memorabile battaglia di Lepanto nel 1571, dove la Spagna era intervenuta
alla testa della Lega Santa con una flotta al
comando del suo fratellastro Don Giovanni
d’Austria. Diciassette anni dopo, nel 1588, il
suo il tentativo di sconfiggere i ribelli olandesi, aiutati dall’Inghilterra, finì, però, tragicamente con la disfatta della sua Invincibile
L’entrata in scena dell’Inghilterra
Si deve, ancora, al genovese Giovanni Antonio Pazzaglia la storia, in italiano e in tedesco, Sopra la lodabile Repubblica e città
di Sangallo, uscita ad Augusta (Augsburg)
nel 1710. Dopo che sul trono francese e su
quello spagnolo a Francesco I e a Carlo V
erano successi i loro rispettivi figli, Enrico II
di Valois (nel 1547) e Filippo II il Prudente
(nel 1556), i due nuovi sovrani continuarono la guerra che aveva opposto i loro predecessori per quasi mezzo secolo. Il motivo
del contendere non erano più solo le cause
che avevano portato alle Guerre d’Italia per
la supremazia sulla Penisola, ma riguardavano anche i domini spagnoli di altri territori e soprattutto dei Paesi Bassi. La novità
era che, adesso, la Spagna, non potendo più
contare sull’Impero, sul cui trono a Carlo V
era succeduto il fratello Ferdinando I, si era
alleata con l’Inghilterra.
Tra lo zio imperatore e il nipote che, oltre
a Re di Spagna, era, tra l’altro, anche Re
44 - La Rivista aprile 2016
Veduta di Zurigo al tempo di Ascanio Marso, dalla pianta di Jos Murer, inscisione in legno del 1576
Armada (130 vascelli e 24.000 uomini) nella
battaglia navale di Gravelinga. Ritornando ai
primi anni del suo Regno, Filippo II, avendo
bisogno sia della pace con la Francia che di
quella con il ramo tedesco degli Asburgo,
per affrontare le gravi questioni che riguardavano la politica interna ed estera del suo
Regno, volle porre fine alle annose Guerre
d’Italia.
Ascanio Marso al servizio della
Spagna
All’interno, Filippo II doveva affrontare i forti
malumori dei Catalani (Generalitat de Catalunya); le sollevazioni dei Moriscos musulmani, che si ribellavano alla forzata conversione al cattolicesimo; i forti dissapori con i
territori della Corona di Aragona; le rivolte
degli Olandesi, che avevano abbracciato la
Riforma. Dopo che il suo esercito, agli ordini
di Emanuele Filiberto di Savoia (1528-1580),
il 10 agosto 1557, aveva sbaragliato quello
francese nella battaglia di San Quintino, in
Piccardia, Filippo II non volle approfittare a
pieno della vittoria e, anzi, avviò tutta una
serie di trattative, che avrebbero portato alla
Pace di Cateau-Cambrésis con due trattati:
uno (12 marzo – 2 aprile) tra Enrico II e la
Regina Elisabetta d’Inghilterra, e l’altro (3
aprile) tra e Filippo II e lo stesso Enrico II che,
il 28 ottobre 1533, aveva sposato Caterina
dei Medici (1519-1589), figlia di Lorenzo de’
Medici duca di Urbino (circa 1470-1520), da
non confondere per l’omonimia dei loro nomi
e di quelli dei rispettivi genitori con suo nonno Lorenzo il Magnifico (1449-1492).
In conseguenza di quell’accordo, Enrico II poteva occupare, per otto anni, Calais, ultima
roccaforte inglese sul Continente, con facoltà di restituirla oppure riscattarla per 50.000
scudi; poteva mantenere il possesso di Metz,
Toul e Verdun, ma doveva rinunciare a tutte
le sue pretese in Italia, escluso il Marchesato di Saluzzo; doveva restituire a Emanuele
Filiberto il suo vecchio Stato della Savoia,
riservandosi, tuttavia, il diritto di mantenervi
proprie guarnigioni. La Spagna conservava
così tutti suoi domini in Italia e otteneva anche alcune piazzeforti in Maremma, territori
di piccola entità, ma di grande valore strategico che andarono a costituire il cosiddetto
Stato dei Presidi o Presidii, affidato al viceré
di Napoli.
Il territorio dei Presidii comprendeva il
promontorio dell’Argentario con Orbetello, porto Ercole, porto Santo Stefano
con Talamone e poi anche Porto Longone
(l’odierno Porto Azzurro) sull’isola d’Elba.
A garanzia del patto furono conclusi due
matrimoni: Elisabetta di Valois e Margherita di Francia, rispettivamente sorella
e figlia di Enrico II, dovevano sposare, la
prima lo stesso Filippo II (terze nozze del
Re di Spagna), e la seconda il suo generale
e alleato Emanuele Filiberto di Savoia. A
conclusione di quella che sembrava una
favola si sarebbe potuto scrivere «e vissero
poi tutti felici e contenti».
La storia non è, purtroppo, una favola. Finiva una guerra guerreggiata ma se ne apriva
un’altra più sottile, quella delle carte, delle
spie, dei colpi bassi, che avrebbe interessato
più da vicino la vecchia Confederazione. Il
motivo del contendere tra Francia e Spagna
si era spostato dalla vicina Penisola alle Tre
Leghe grigie e ai loro baliaggi di Valtellina, di
Chiavenna e di Bormio, che, con i loro passi alpini, costituivano la via più celere tra i
domini di Filippo II in Italia e in Germania e
l’unica via di transito tra Venezia e la Francia
senza dover attraversare i domini asburgici.
Prima ancora della pace di Cateau-Cambrésis, Don Ferdinando Gonzaga, principe di
Molfetta e governatore di Milano (dal 1546
al 1555), nel 1549, aveva inviato nei Grigioni, per dissuaderli ad allearsi con la Francia,
Ascanio Marso, uno dei suoi più solerti funzionari, che poi, insieme al collega Giovanni
Angelo Riccio o Rizio, concluse il rinnovo
dell’accordo commerciale tra Spagna e Milano con la Confederazione. Le Tre Leghe grigie, spesso in disaccordo tra loro, rifiutarono
di riconoscere, anche in seguito, quell’accordo, nonostante l’offerta milanese di appianare i tanti contenziosi aperti, attinenti i
confini e gli alpeggi. Con il passare del tempo
nei Grigioni si sarebbero formati due partiti
l’uno all’altro opposto, quello veneto-francese e quello spagnolo che avrebbero portato a
scontri fratricidi.
Ambasciatore presso gli Svizzeri
Ascanio Marso, che, quale inviato speciale
ebbe l’occasione di attraversare la Svizzera in
lungo e in largo e di conoscere usi e costumi
degli abitanti del suo tempo, ci ha lasciato
il quadro più completo della vecchia Confederazione del periodo storico del quale ci
stiamo occupando.
Nato a Bologna nell’anno 1500 circa, figlio
di Melchiorre, che fu podestà di Pavia e commissario di Domodossola e quindi funzionario al servizio di Carlo V, il giovane Ascanio
aveva seguito la famiglia dalla nativa Bologna in Lombardia, dove si addottorò in diritto
a Pavia ed entrò quindi, dal 1537, al servizio
del cardinale Marino Ascanio Caracciolo, governatore spagnolo di Milano (1536-1538)
come «cancelliere del Consiglio segreto» del
Ducato. E quel segreto doveva segnare la sua
carriera per sempre, da quando, l’anno dopo,
le due cariche di governatore e di omandante militare dell’esercito spagnolo in Italia,
per volere di Carlo V, furono accentrate nella
sola persona di Don Alfonso d’Avalos, mar-
Anna d’Austria (1549-1580), quarta moglie di Filippo II di Spagna. Ritratto di Alonso Sánchez Coello
(1532-1588)
aprile 2016 La Rivista - 45
Dieta federale di Baden nel gennaio 1531
chese di Vasto, in carica dal 1538 al 1546,
che, nel quadro del potenziamento della sua
rete spionistica, diede nuovi e sempre più delicati incarichi al Marso. Per le sue attività di
abile agente segreto, il governatore Gonzaga, dopo la ricordata missione nei Grigioni,
lo inviò a Basilea, sotto le mentite spoglie
di mercante, per indagare sugli italiani che,
dopo aver abbracciato la Riforma, si erano
rifugiati in quella e altre città della Svizzera.
Lo stesso Gonzaga, lo avrebbe poi nominato
inviato speciale presso i Cantoni come successore del Riccio o Rizio.
Il 9 settembre 1549, il Marso era già a
Baden per prendere i primi contatti con i
rappresentanti alla Dieta federale, tenendo sempre conto delle raccomandazioni
dell’informazione, che il suo predecessore
gli inviò il successivo 31 ottobre prima di
lasciare Lucerna, sul modo di trattare con
gli Svizzeri. In quella direttiva il Rizio gli ricordava che i negoziati con gli Svizzeri erano «difficili e poco sicuri per la molteplicità
delle persone, con cui nello medesimo tempo si ha da negoziare, perché sono di diverse
opinioni per diversi effetti... Il negoziare con
questi signori consiste in due modi». Poiché
i Cantoni della nuova religione non ammettevano pratiche segrete, con loro si doveva
procedere solo con quelle pubbliche, con i
Cantoni rimasti cattolici si doveva procede-
46 - La Rivista aprile 2016
re, invece, con pratiche pubbliche e segrete.
I singoli delegati alla Dieta di quest’ultimi,
il Rizio non lo dice, ma lo fa intendere, si
potevano convincere meglio con doni e promesse personali. Nel raccomandare al suo
successore di prendere residenza ordinaria
a Lucerna, per essere la principale città dei
Cantoni cattolici, Rizio gli lasciava i nomi
delle persone alle quali si poteva rivolgere
nelle varie città, anche riformate, per avere
informazioni e sostengo e, inoltre, tutto il
suo ricco archivio zeppo di lettere, di corrispondenze ufficiali, di notizie politiche e
geografiche sui singoli Cantoni (HAAS Leonhard, Der Discorso de i sguizzari des Ascanio Marso von 1558, Basilea 1956).
In aggiunta all’archivio lasciatogli da Rizio, il
Marso disponeva anche di una vasta raccolta
di trattati interni e internazionali della Confederazione degli ultimi duecento anni. Appena presa la residenza a Lucerna, Ascanio
Marso si fece raggiungere dalla moglie Livia
e dai suoi due figli e si mise subito al lavoro.
Il 17 giugno 1550 era già alla Dieta di Baden
per trattare con i Cantoni la questione della
tassazione delle merci che lo Stato di Milano
aveva aumentato senza consultarsi con la
Confederazione.
Da spia a spiato
Le trattative si sarebbero protratte per quasi
due anni. Gli Svizzeri chiedevano maggiori
facilitazioni doganali per l’importazione di
frumento, di riso e di sale, lo Stato di Milano, dal canto suo, mirava ad «assicurarsi la
neutralità o quanto meno la minore esposizione possibile dei Cantoni svizzeri a favore
del re di Francia», e, in più, il permesso alle
truppe spagnole di transitare attraverso la
Svizzera in caso di bisogno. L’accordo fu approvato dalla Dieta di Baden del 1552 e poi
ratificato da Carlo V a Milano, il 1° agosto
di quell’anno.
La Confederazione era, tuttavia, riuscita a
rimandare la questione del passaggio delle
truppe sul suo territorio, ottenendo i vantaggi economici richiesti, in cambio solo della
promessa di mantenere al minimo dovuto il
numero dei mercenari al servizio della Francia. Come capita spesso nella storia degli
agenti segreti, le spie diventano spesso spiate
oppure accusati di fare il doppio gioco.
A causa dei suoi continui contatti con i
rifugiati religiosi nella Svizzera riformata,
Ascanio Marso fu prima sospettato di eresia
e, poi, anche accusato di aver mangiato carne nel corso della Quaresima del 1551. La
prima accusa era un’insinuazione dei Lucernesi, che mal sopportavano i suoi interventi
contro la Francia loro stretta alleata. Dalla
seconda, egli si difese dicendo che aveva
mangiato carne su disposizione del medico,
non fu creduto e, quindi, costretto a consumare tutti i pasti in una locanda pubblica
ben sorvegliata.
Un ruolo, nella denuncia dell’infrazione
quaresimale, lo avrebbe svolto anche mons.
Girolamo Franco, inviato papale presso i
Cantoni cattolici (1543-1553), che, dalla
sua residenza di Lucerna, controllava tutta la
Confederazione per conto del Vaticano, che
già sin dai tempi di Matteo Schiner teneva
una propria rappresentanza presso i Cantoni cambiata poi, nel 1579, in nunziatura per
volere del cardinale Carlo Borromeo (vedi La
Rivista nr 3, marzo 2016). Nello stesso anno
1551, Marso fu citato in giudizio per debiti
dal marito della nobile lucernese Elisabeth
Kochlin, che, rimasta poi vedova, avrebbe
sposato un collaboratore dello stesso inviato.
La denuncia era stata un’altra macchinazione dei suoi avversari per liberarsi della sua
insopportabile invadenza.
Non sentendosi più al sicuro nell’esercizio
della sua missione, nel giugno del 1552,
Marso chiese al governatore di Milano di
essere sospeso dal suo incarico e di poter
far ritorno in patria. Colpo di scena: poiché
poteva contare sull’amicizia e l’appoggio di
molte alte personalità nella stessa Lucerna,
come Heinrich Fleckenstein e Niklaus von
Meggen, la Dieta federale, contraddicendo
i suoi accusatori, ne chiese e ne ottenne la
riconferma come inviato ufficiale presso i
Cantoni. Ascanio Marso si sentì onorato di
quel gesto di amicizia e di apprezzamento e
decise quindi di restare, ma spostò la sua residenza da Lucerna ad Altdorf in Canton Uri.
Da lì continuò la sua attività, mantenendo
sempre buoni rapporti con le autorità elvetiche tanto che nel 1556 la Dieta, nonostante le rimostranze di Parigi, che ne chiedeva
l’allontanamento per la sua frenetica attività
contro la leva militare francese, ne sollecitò
la riconferma.
Soltanto nel maggio del 1559, il governatore di Milano Gonzalo Fernández de Córdoba,
duca di Sessa, lo sostituì con Marcantonio
Renward Cysat (1545-1614), lo storico lucernese che tradusse in tedesco la Breve descrizione della
Confederazione fatta da Ascanio Marso. Ritratto d’epoca
Bossi. Ritornato a Milano, Ascanio Marso si
occupò ancora della questione dei Grigioni
e delle manovre per impedire una più stretta collaborazione tra i Cantoni e la Francia
(HAAS Leonhard, op. cit., pp. XV-LXIII / SANSA Renato, in Dizionario Biografico degli
Italiani, volume 71 (2008) online, alla voce
Marso Ascanio).
Dei costumi e ordini degli Svizzeri
Ascanio Marso morì intorno al 1570, senza
scrollarsi mai del tutto il sospetto di aver
fatto il doppio gioco. Poiché, per fare bene il
suo lavoro, come lui stesso scriveva: «Mi conviene star bene con tutti e molte cose finger e
fare che in Italia e specialmente a Milano me
ne guarderei» (CHABOD Federico, Lo Stato e
la vita religiosa a Milano nell’epoca di Carlo
V, Torino 1971, p. 364).
Tra le sue amicizie sospette c’erano quelle
con Pietro Paolo Vergerio (1498-1565) il vescovo di Capodistria, che lui incontrò anche
a Zurigo dopo la sua conversione al protestantesimo; poi, c’erano tutti i suoi cordiali
contatti con alti esponenti della Riforma zurighese come Heinrich Bullinger, successore
di Zwingli, il teologo Konrad Pelikan, il naturalista Josias Simler, l’autore del primo trattato sulle Alpi. La classica goccia che aveva
fatto traboccare il vaso fu, però, quando, nel
1558, mandò i suoi due figli a studiare a Zurigo presso il giurista Martino Muralto, poi
von Muralt, il profugo religioso, già podestà
di Vigevano e di Luino dal 1548 al 1550, che,
convertitosi alla Riforma, era stato cacciato
dalla sua nativa Locarno. Il Muralto, insieme
ad altri suoi concittadini, aveva trovato rifugio sulle rive della Limmat, dove, nel 1555,
aveva acquistato la Casa zum Mohrenkopf al
Neumarkt.
La scelta di mandare i figli a studiare dal Muralto e altre sue attività, indussero, nel 1558,
il nunzio apostolico presso le Tre Leghe grigie
a denunciare il Marso come sospetto eretico all’Inquisizione. Fu prosciolto dall’accusa
anche perché, come sottolinea Renato Sansa
«più che una convinta adesione alle dottrine
dei riformatori, lo muovevano un interesse
e una curiosità intellettuale, sorretti da uno
spirito tollerante e sostanzialmente aperto al
confronto» (SANSA Renato, op. cit.).
Le osservazioni e le notizie storiche che
Ascanio Marso andava raccogliendo sotto il
titolo di Discorso de i sguizzeri, finirono poi in
qualche modo nelle mani del dotto Renward
Cysat (1545-1614), farmacista, storico, geografo, notaio, politico e segretario della città
di Lucerna, che ne fece una traduzione, sotto
il titolo Kurtze Beschrybung der Eydgnoßschafft durch Ascanium Marsum..., conservata
nella sua Collectanea (HAAS Leonhard, op.
cit., p. XIV).
Che uno dei massimi storici svizzeri di quel
tempo traducesse e tramandasse quella
Breve descrizione della Confederazione, fat-
aprile 2016 La Rivista - 47
ta da un italiano, ci dà tutta l’importanza di
quelle note per la conoscenza della Svizzera
e degli Svizzeri di allora. Se non fosse stato per il Cysat quell’opera sarebbe rimasta
sconosciuta per sempre. Partendo dalle sue
indicazioni, lo storico Leonhard Haas, ha
rintracciato, nel 1950, quel manoscritto
originale anonimo nell’Archivo General de
la Corona de Castilla a Simancas e ne predispose un’edizione scientificamente annotata e commentata, uscita a Basilea nel 1956.
Nella prima parte, intitolata De costumi et
ordini de gli Svizzeri, il Marso, rinnova e fa
sue le raccomandazioni del predecessore
Riccio sul modo di trattare con le autorità
locali, consigliando di non dire mai ad alcuno svizzero — nemmeno in segreto — notizie o cose che non siano vere, poiché questi
signori e popoli quando prendono un agente
o un ambasciatore in «mala opinione» non
«gli prestano fede e ciò nonostante ch’essi
parlano liberamente e dicono quello che gli
piace senza alcun rispetto»; perciò, parlando
con loro «è sempre meglio essere sobrio e
breve che altrimenti».
Zurigo città pulita
Il suo Discorso diventò così un breve vademecum per i diplomatici incaricati di trattare con i Confederati. Come Riccio, anche
Marso consiglia di prendere residenza a
Lucerna, perché quel Cantone era «più propinquo, comodo e utile al negoziato», ma
di spostare, di volta in volta, la sede delle
trattative «negli altri Cantoni», trovando
sempre «qualche occasione e scusa per non
generare sospetto». Senza dimenticare,
comunque, mai, «secondo l’importanza dei
negoziati», di invitare a banchetto «sempre tutti i consigli o alcuni dei primi, perché
vogliono sopra tutto essere accarezzati e
onorati».
Nella Svizzera di allora, quelli che volevano essere accarezzati e onorati erano tutta
una schiera di delegati alla Dieta, di governatori, di scoltetti (sindaci), di personalità,
più o meno influenti, nella politica locale,
ai quali, andando in giro per i vari Cantoni,
bisognava «fargli compagnia alla tavola a
spese di chi riceve l’onore», cioè del diplomatico di turno!
Per il Marso, gli Svizzeri sono di «natura feroci e di molta gagliardezza», la cui prudenza
risente «dei costumi corrotti e dalle menti accecate dal proprio interesse che in molti gravi e perniciosi errori li fa cadere». Nelle loro
discussioni sono sempre dubbiosi, ma dopo
aver preso una risoluzione, si mostrano compatti nell’eseguirla.
Dopo aver parlato delle virtù dell’antica Confederazione, Marso addossa «l’avarizia di
questa nazione» ai principi stranieri, «i quali
hanno cominciato a corrompere la semplicità
di questi popoli» e, da quando «questo veleno è entrato nei loro animi, li ha guastati in
tal modo che, per guadagnarsi le pensioni
annuali, cercano in qualsivoglia maniera di
arricchirsi l’uno più dell’altro».
Facendo la breve storia di ogni Cantone e
di ogni grande città, egli ci fornisce notizie
utili sugli usi, sui costumi, sull’economia,
sulla situazione politica e sul credo religioso. Di Zurigo primo Cantone, tra l’altro, scrive: «Le abitazioni sono quasi tutte
fabbricate in pietra e sono molto agiate. Si
vedono bellissime chiese, le quali adesso
sono miserabilmente profanate, dopo che
Zuinglio indusse il popolo ad abbandonare l’antica e vera religione, scacciandone i
sacerdoti, spogliando le chiese, usurpando
le entrate e introducendo l’empia sua dottrina. Il che seguì l’anno 1529 sotto papa
Clemente VII. Le vie pubbliche sono larghe
e diritte e tenute da ogni immondizia bene
purgate».
Sull’ordine e sulla pulizia di Zurigo, Ascanio
Marso confermava quanto scritto venti anni
prima da Benvenuto Cellini, che, 1537, di
passaggio in città, nel corso del suo viaggio
verso Parigi, aveva annotato: «Zurigo, città
meravigliosa, pulita quanto un gioiello».
Come tanti altri viaggiatori italiani, il Marso
nota che, in alcuni luoghi della Svizzera, «uomini e donne sono molti inclinati alle lascivie», dipendenti «dalla troppo domestica libertà e dal riscaldarsi col soverchio bere», «né
tra loro si conosce gelosia... né si puniscono
gli adulteri con quel rigore che converrebbe».
Nonostante tutte le diversità, l’Helvetia è,
comunque «con perpetuo legame d’amicizia
unita, in tredici principali giudisdizioni... che i
Francesi hanno chiamate Cantoni».
Veduta di Lucerna al tempo di Ascanio Marso, dalla Topographia Helvetiae, Rhaetiae, et Valesiae, Francoforte sul Meno 1654, di Matteo Merian il Vecchio
(1593-1650)
48 - La Rivista aprile 2016
Scaffale
Giovanni Floris Eddy Anselmi
La prima regola degli
Pino Frisoli
Shardana
Oscar
Mazzoleni
(Feltrinelli
pp 331 € 18,00)
Il Ticino e il nuovo regionalismo politico
A Prantixedda Inferru, nel cuore dell’Ogliastra, è
un’estate da quarantacinque gradi all’ombra (ma
senza l’ombra) quando Raffaele, Giuseppe e Sandro
arrivano nel paesino con una missione molto improbabile: far rinascere la locale squadra di calcio e
vincere la Coppa Sarda. Problema numero uno: il sindaco corrotto del paese e un milionario senza scrupoli remano contro, e con grande energia. Problema
numero due: uno degli amici forse sta giocando
contro la sua stessa squadra. Problema numero tre:
quale sarà mai la prima regola degli Shardana? In
una trama ricca di colpi di scena, Giovanni Floris sorprende tutti con una nuova declinazione della commedia all’italiana: la commedia alla sarda. Al centro,
quattro personaggi: Giuseppe, il giornalista stanco di
intervistare politici e che sogna il riscatto calcistico;
Raffaele, imprenditore che ha vissuto un’unica stagione da leone e sogna la riscossa; Sandro, il buffone
senza macchia e senza paura che sogna di diventare
come Dario Fo; Michela, la ragazza dagli occhi verdi
decisa a salvare gli amici da se stessi - mentre sogna
Raffaele. E sullo sfondo di una Sardegna al di là di
ogni luogo comune: un Presidente per caso, un Cavaliere furente, un amore contrastato, una squadra
arcobaleno, uno scontro tra mafiosi rom e spacciatori genovesi, un campione del mondo in vacanza,
uno zoppo sulla fascia destra... E l’amicizia. Quella
che lotta per tenere insieme la vita, in campo e fuori.
Questa nostalgia del gruppo giovanile costituisce
un’ossessione nella vena narrativa di Giovanni Floris.
Rappresentata da un esergo che riprende una citazione di David Bowie: «Time may change me, but I
can’t trace time». Il tempo eterno e immobile, che a
Prantixedda Inferru come a Roma, sembra scorrere
troppo in fretta, ma è solo un’illusione superficiale.
Introduzione di Daniela Bongiorno
Rischiatutto
Storia, leggende e protagonisti del
programma che ha cambiato la televisione
Berna è lontana?
(Rai Eri - pp 250 € 17,00)
(Armando Dadò Editore
pp. XIII - 184 CHF 20.--)
Rischiatutto è un omaggio a Mike Bongiorno con tutto l’affetto e la delicatezza possibile. Con tutta l’ammirazione, l’amicizia e la stima da parte di chi, come
me, ha avuto dalla vita la possibilità di condividere
con lui momenti pubblici e privati indimenticabili.”
(Fabio Fazio)
All’inizio degli anni Settanta, un nuovo gioco cambiò
la storia dei quiz televisivi in Italia: Rischiatutto. Il suo
ideatore e conduttore, soprannominato «re dei quiz»,
era uno dei più grandi uomini di spettacolo della sua
generazione, Mike Bongiorno. La squadra, dalla «valletta parlante» Sabina Ciuffini al «signor No» Ludovico Peregrini, si rivelò imbattibile.
In questo libro che esce con il patrocinio della Fondazione Mike in occasione dell’annunciato ritorno su
Rai Tre dello storico programma con la conduzione
di Fabio Fazio, si esplora il grande mondo di Rischiatutto, la sua nascita, i suoi primati, i suoi scandali;
conosceremo profili e stranezze dei supercampioni,
dalla «mitica» signora Longari al «mago» Inardi; ripercorreremo i colpi di scena di 156 puntate. Senza
dimenticare uno sguardo all’Italia dell’epoca, per rivivere in presa diretta ogni attimo di una stagione
indimenticabile, non solo per la Tv.
Una parte dei proventi del libro andranno alla FONDAZIONE MIKE che ha patrocinato l’iniziativa.
Eddy Anselmi (Bologna, 1969) Storico della musica
leggera e del costume, giornalista, social media manager e autore televisivo
Pino Frisoli (Milano, 1969) Storico della televisione e
dello sport, collaboratore di Rai Sport
Daniela Zuccoli Bongiorno, moglie di Mike Bongiorno e madre di Michele, Nicolò e Leonardo, si è occupata di moda, fondando la Maison Daniela Bongiorno
e ha lavorato nel campo delle produzioni televisive.
L’obiettivo del volume è di leggere le trasformazioni delle dinamiche regionali in Svizzera nel contesto del consolidamento e del declino dell’integrazione nazionale.
Nel considerare dimensioni socio-economiche, culturali
e politiche, l’attenzione si concentra sulla mobilitazione regionalista ticinese che ha segnato l’attualità degli
scorsi anni. Come e perché si impone la nuova ondata
di rivendicazioni ticinesi, di durata e intensità senza pari
nella storia di questo cantone svizzero? In che modo e
perché i referendum e le iniziative federali sull’immigrazione e sulla politica estera, oltre ad avere scavato un
solco politico rispetto al resto della Svizzera, sono diventato forma d’espressione del nuovo regionalismo? In che
senso, il nuovo regionalismo catalizza l’euroscetticismo
e le tensioni fra Svizzera e Italia degli scorsi anni? In che
senso, il nuovo regionalismo è plurale e trasversale, e
non si riduce alla voce di un singolo partito? Nel tentare
di rispondere a queste domande, il libro vuole offrire un
contributo scientifico allo studio dei regionalismi politici
in un’epoca post-nazionale, nonché fornire spunti di riflessione su come sta cambiando la Svizzera.
Oscar Mazzoleni (Locarno, 1968), laureato in sociologia e antropologia, ha conseguito un dottorato in storia
contemporanea all’Università di Losanna. Ha svolto
attività di ricerca nelle Università di Torino, Science-Po
Parigi, Istituto universitario europeo di Firenze e insegnato presso la Supsi, le Università di Ginevra, la Sorbona I, Science-Po di Parigi e di Torino. Dal 1998 al 2011
è stato responsabile dell’Osservatorio della vita politica
presso l’Ufficio di statistica del Cantone Ticino. Attualmente, è professore titolare di Scienza politica e dirige
l’Osservatorio della vita politica regionale dell’Università di Losanna. È autore di numerosi studi sulla politica
svizzera e ticinese e dirige la nuova collana «Le sfide
della Svizzera»
aprile 2016 La Rivista - 49
Il libro dell’incontro
Vittime e
responsabili della
lotta armata
a confronto
di Paolo Comuzzi
Sergio Zavoli nel suo volume La notte della repubblica bene descrive quelli che per tutti sono stati i
cd “anni di piombo” e quindi le difficoltà del nostro
paese e le divisioni, pertanto il suo libro dovrebbe essere letto prima di quello che si commenta in
questa sede. In questo libro si narra di un incontro
ovvero del fatto che, guidati da un gruppo di mediatori neutrali, vi sono stati numerosi (e liberi) incontri
tra responsabili e vittime del terrorismo, incontri cui
non è rimasto estraneo una grande personalità milanese come il Cardinale Carlo Maria Martini (che nel
corso del 2009 – precisamente il giorno 14.12 ha
ricevuto il gruppo [vittime e protagonisti] per un pomeriggio di riflessione, conversazione e scambio). Il
tentativo di questo gruppo e dei loro incontri non è
quello di raggiungere una forma di giustizia separata
(e nessuno qui discute e deve discutere la giustizia
dello Stato) ma è quel “fare” di una giustizia ulteriore rispetto a quella che nasce dalla pena del carcere, una giustizia che cerchi di riavvicinare i parenti
della vittime con coloro che hanno causato il dolore.
Si tratta di un cammino lungo, complesso, difficile
ma che merita di essere perseguito per mettere fine
una volta per tutte ad un momento difficile della
Repubblica.
Il sottotitolo di questo libro dice, in poche parole,
moltissimo “vittime e responsabili della lotta armata
a confronto” e fa un preciso riferimento ad un periodo storico della nostra Repubblica bene identificato e
giunto da tempo (oso dire e spero di essere nel giusto)
ad un completo esaurimento (come detto un periodo
storico che bene può essere studiato facendo uso di un
bel libro, ricordato in apertura, di Sergio Zavoli avente
come titolo La notte della Repubblica).
Il libro che qui si commenta raccoglie voci (in gran parte anonime altre identificate) di quanto è stato detto
in questi incontri (liberamente accettati e guidati da
importanti mediatori) che hanno visto come protagonisti le vittime (o meglio i parenti delle vittime) e i
“protagonisti” del terrorismo (termine che usiamo con
qualche scrupolo e che comunque si ritiene più preciso
rispetto a quello di responsabili).
Si tratta di un libro importante sul quale hanno avuto
occasione di discutere anche importanti giuristi (in pri-
50 - La Rivista aprile 2016
mis il Prof Domenico Pulitanò1 e anche Gabriele Della
Morte2) e che vogliamo presentare in questa rivista
proprio in quanto prende in considerazione un insieme
di fatti importanti nella storia della nostra Repubblica
e noi riteniamo che senza memoria sia difficile pensare
di avere un futuro
Il punto dal quale vorrei partire è un’affermazione che
si trova alla pagina 367 del libro in cui Giulia Borelli
(ex dirigente di Prima Linea) afferma che “ … non possedevamo l’idea della intangibilità della vita umana …”.
La cosificazione della persona
In buona sostanza la persona (quella da colpire) viene
ad essere ridotta solo a quello che la stessa rappresenta e questo perché “ … si incasellava ciascuno in un
ruolo …” e come dice Pulitanò abbiamo una “cosificazione” della persona.
In questa logica l’accettazione del colpire fino all’estremo (del dare la morte) non significava uccidere una
persona ma una “funzione” (un ingranaggio) e, almeno
nelle persone che hanno accettato il cammino proposto nel libro questo modo di pensare è venuto meno,
come indicato a pagina 78 – 79 dello stesso, quando
un gruppo di ex militanti scrive “ … riteniamo valore
supremo e inviolabile il riconoscimento della persona e
della vita umana …”.
È chiaro che si passa da un principio negativo (non
esiste la persona ma solo la funzione) ad un principio
diverso per cui posso anche non condividere il modo
in cui la persona esercita la funzione, ma esiste sempre una persona e questa persona deve comunque
essere rispettata e nessuno ha diritto di pensare che
essa non esista.
È certamente una svolta rivoluzionaria questa accettazione della intangibilità della vita umana e cosa abbia
prodotto il primo effetto (la cosificazione della persona) non è dato sapere (tocca agli storici andare alle
radici del fenomeno) mentre si deve supporre che l’effetto della consapevolezza
che dietro alla funzione vi è comunque una
persona (che deve essere sempre rispettata
in quanto persona) sia il risultato del cammino di questo incontro tra responsabili e
vittime (e qui secondo noi emerge anche la
bravura dei parenti delle vittime che hanno
accettato un cammino che esce dall’animosità [sentimento che certamente esiste3] verso l’altro per cercare di trovare un
contatto con chi certamente ha fatto loro
del male).
La consapevolezza di una storia
complessa e dolorosa
Diciamo che la pena del carcere è atta a
risolvere il problema della colpa verso la
società (la persona che ha pesantemente
sbagliato viene “ristretta” e sconta il suo
errore) ma forse per raggiungere una piena
consapevolezza del male compiuto e per
aversi pienamente giustizia serve ritrovare
anche un rapporto con chi (in modo specifico) quel male ha subito4.
Possiamo dire che la condanna al carcere
ristora la società nel suo complesso5 togliendo la possibilità di movimento a chi
potrebbe fare del male, ma non fornisce
un pieno ristoro (una piena giustizia) a
colui che quel dolore lo ha subito in modo
specifico e si tratta di un dolore tanto più
alto quanto più si era vicini alla vittima
del reato e lo stesso vale per il protagonista (come indicato a pagina 130 da un
anonimo che afferma “ … dal punto di vista
giudiziario potrei dire che ho risolto facendo tutta la mia galera. Tuttavia mi sento
ancora nel mio ruolo di reo …”).
Ecco allora la giustizia riparativa che ci
viene raccontata in questo libro e che
non è il risultato di incontri fatti tanto
per vedersi e / o di convenienza ma è il
risultato di un cammino liberamente accettato (non da tutti perché alcuni preferiscono essere dimenticati ed alcuni pre-
feriscono invece [e si può comprendere]
restare chiusi nel loro dolore) appare una
formula di grande interesse e che non
deve essere ignorata.
Il fenomeno vissuto dal nostro paese appare certamente complesso per quelli che
sono i giovani di oggi (sfido chiunque
all’esame di maturità a rispondere ad un
quesito specifico su questa tematica) ma
sono proprio questi libri (come quello di
Zavoli citato in precedenza) che dovrebbero aiutare a prendere coscienza di una storia complessa ed anche molto dolorosa6 e
come disse Carlo Maria Martini “ … la vostra iniziativa dovrebbe poter smuovere la
società. C’è un mistero di speranza ci porta
avanti …” (pagina 197).
(a cura di Guido Bertagna – Adolfo Ceretti
– Claudia Mazzucato)
Il libro dell’incontro
Il Saggiatore – Milano 2015
pp. 466, € 18,70
Il noto giurista ha pubblicato il suo commento nella rivista On Line denominata Diritto Penale Contemporaneo.
Il suo intervento ha per titolo “Quanto è prezioso il mio nemico” e può sempre leggersi nella rivista citata in precedenza.
3
Lo ha spiegato bene il figlio del Maresciallo Bazzega ucciso a Sesto San Giovanni durante una azione di polizia.
4
Anche se il carcere è comunque una tappa fondamentale nel processo di assunzione di responsabilità come ammette Balducchi a pagina 124 del libro.
5
In modo indistinto e senza tenere conto della vicinanza alla vittima.
6
In questo senso le parole di Valerio Onida a pagina 133 del libro.
1
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aprile 2016 La Rivista - 51
Partecipanti al Congresso Nazionale svizzero di Esperanto, svoltosi a Zurigo il 6 ottobre 1929
di Giuseppe
Muscardini
La lingua ausiliaria di
un Dante minore
Ritratto di Dante Bertolini, attivissimo esperantista e non solo: la nascita a Maroggia nel 1911 da madre ticinese e da padre italiano originario di Reggio Emilia,
la formazione scolastica a Locarno, la vocazione per l’insegnamento, le riuscite
prove poetiche, la passione politica e l’amore per la lingua della speranza.
Una sfuocata immagine fotografica a margine di un intervento pubblicato nel 1982 sul
numero di novembre-dicembre di Scuola Ticinese, e un disegno al tratto realizzato da
Sandor Kwiatkowski per la copertina del volume Divagazioni, uscito a Locarno dall’editore
Pedrazzini nel 1991, restituiscono le fattezze e la fisionomia di Dante Bertolini. In attesa
che il Dizionario Storico della Svizzera ne pubblichi la voce, auspichiamo un approfondimento sulla sua attività di divulgatore della cultura esperantista, nonché di autore di testi
per la scuola.
Immagine di copertina del volume di Dante Bertolini, Divagazioni, Locarno, Pedrazzini, 1991,
con ritratto dell’autore realizzato da Sandor
Kwiatkowski
La stima di Giuseppe Lombardo
Radice
Nell’articolo intitolato C’erano una volta i libri di lettura di Dante Bertolini, pubblicato il
5 gennaio 2010 nel Corriere del Ticino, Adolfo Tomasini ha evidenziato anni fa le doti di
Bertolini, sia come autore di libri per la scuo-
52 - La Rivista aprile 2016
la sia come educatore attento alle esigenze
formative degli alunni delle classi elementari.
Il suo romanzo Marco, edito nel 1939 a Locarno da Romerio e destinato ai giovanissimi della terza e quarta elementare su approvazione del Dipartimento della Pubblica
Educazione del Cantone Ticino, godette fin
dalla sua gestazione del consenso del celebre pedagogista Giuseppe Lombardo Radice,
di cui Bertolini fu allievo presso l’Università
di Roma. Il ventiseienne studente di Locarno,
dopo aver frequentato la Scuola Magistrale
ed aver ottenuto nel 1931 e nel 1937 l’abilitazione all’insegnamento nelle Scuole Elementari e nella Scuola Maggiore, meritò una
Borsa di Studio concessa dal Consiglio di Stato, che gli permise di iscriversi alla Facoltà di
Magistero dell’Università di Roma. Qui tenne
amicizia con il noto docente, che non mancò
di incoraggiare quel primo e timido proposito
di dare alle stampe un libro per ragazzi. Un
testo che, per argomento e impianto narrativo, si contrapponeva alla pedagogia fascista dell’epoca, pervasa da trionfalismo e da
maschi ideali di lotta, modelli niente affatto
condivisi dall’intellettuale e docente univer-
sitario, propenso invece a seminare valori più
consoni e più vicini alle priorità dell’infanzia
e dell’adolescenza. Il proficuo legame instauratosi fra docente e allievo è comprovato
dall’affettuosa dedica apposta su un’edizione della Divina Commedia, giunta per posta
nell’agosto 1939 a Dante Bertolini alla vigilia
del suo matrimonio con la figlia di Giovanni
Varesi, stimato medico di Locarno a cui oggi
è dedicata una via, in quegli anni Deputato al
Gran Consiglio. Vi si legge: Alla gentile sposina del mio «Dante» minore con auguri paterni.
Giuseppe Lombardo Radice.
L’incontro con la cultura
esperantista
Oltre alla notorietà acquisita all’interno del
proprio ambito professionale con la nomina
a Ispettore scolastico (nella vita pubblica era
anche membro attivo del Partito Liberale Radicale), Dante Bertolini fu un capace verseggiatore e curatore delle raccolte antologiche
In quest’era omicida e Dal nuovo giardino,
entrambe pubblicate a Locarno dalla Tipografia Pedrazzini rispettivamente nel 1987 e
nel 1979. Il titolo tradotto in esperanto del-
le due sillogi, En ĉi murdepoko ed El la nova
ĝardeno, lascia ben intuire come Bertolini
avesse a cuore la diffusione nei paesi italofoni della lingua cosiddetta “ausiliaria” di cui si
fece studioso e promotore.
I cultori della materia definiscono “antologie simmetriche” le due raccolte date alle
stampe da Dante Bertolini all’epoca del
Congresso locarnese della Lega Internazionale degli Insegnanti
Esperantisti: Dal nuovo giardino - El la nova
ĝardeno contiene la traduzione in italiano
di ventisei liriche prodotte da dieci poeti
esperantisti; mentre In quest’era omicida
- En ĉi murdepoko si configura come opera antologica formata da cinquantacinque
poesie, a cui si aggiungono considerazioni
e commenti sulle principali modalità della
traduzione in lingua. Ma in quello stesso
1979, anno in cui peraltro si svolse a Lucerna il sessantaquattresimo Congresso
Universale della lingua “artificiale” (denominazione ancora in uso), Bertolini puntava a mettere in risalto la potente carica
espressiva dei versi composti all’origine in
esperanto, proponendoli ai lettori di lingua
italiana come autentiche bellezze spirituali.
Una convinzione che Adolf Hitler non avrebbe
mai accolto, visto che disprezzava l’esperanto per essere, a suo giudizio, la lingua usata
dagli ebrei per imporsi con i loro commerci.
L’ottusità intellettuale non consentiva al dittatore nazista di superare l’idea che l’esperanto fosse nato e si fosse sviluppato su impulso
dell’oculista polacco Ludwik Lejzer Zamenhof,
di religione israelita. Un altro israelita, Albert
Einstein, sosteneva per contro che l’esperanto
è la migliore soluzione all’idea di una lingua
internazionale. Ma allontanandoci dalla cupa
era hitleriana, verificheremo che anche Stalin,
così come Saddam Hussein, hanno avuto in
odio gli esperantisti.
Ai dispotici tiranni si contrappone la visione aperta di Dante Bertolini e di tutti gli
uomini di pensiero che in Svizzera si sono
prodigati per divulgare i risultati conseguiti dall’esperanto sul piano grammaticale
e morfologico. Hans Hermann Kürsteiner,
Reto Rossetti, Daniel e Pierre Bovet, Giorgio
Silfer, Edmond Privat, Hans Jakob, Karl Max
Liniger, René de Saussure, Eduard Stettler
e Hector Hodler, figlio del celebre pittore Ferdinand Hodler, formano una nutrita
schiera di entusiasti della lingua ideata da
Zamenhof. Una lingua che non escludeva,
ma al contrario sosteneva, quelle poetiche
espressività su cui Dante Bertolini si soffermò, dimostrando di coglierle pienamente.
Un filo rosso lega Bertolini al fondatore
dell’esperanto: sapendo leggere nelle intenzioni ideologiche di entrambi, e pur nella
consapevolezza della distanza anagrafica tra
i due (alla morte di Zamenhof il nostro Bertolini aveva sei anni di età), i loro propositi
in merito all’evolversi e alle “applicazioni”
dell’esperanto in ambito poetico sembrano
combaciare. Le due raccolte antologiche del
1987 e del 1979 curate da Bertolini conservano l’impianto propedeutico delle pubblicazioni con cui Zamenhof esordì per presentare
i suoi innovativi principi. La nascita dell’esperanto si fa risalire di fatto all’anno di pubblicazione del volume di Zamenhof Unua Libro.
Edita nel 1887 a Varsavia, prima in russo e
successivamente nelle lingue europee più
conosciute, l’opera conteneva le sedici regole
grammaticali per parlare e scrivere in modo
appropriato in esperanto.
Degno erede delle idee di
Zamenhof
Bertolini non deluse le aspettative universali
avanzate da Zamenhof. Non esitò ad includere nelle raccolte antologiche contributi
densi e significativi come quelli del ginevrino
Edmond Privat, Presidente dal 1921 al 1928
della Società Esperantista Svizzera e scomparso nel 1962. Così come nella Ballata circa
le grandi presunte utilità di quest’opera, in
premessa a In quest’era omicida, non esitò
a richiamarsi allo spirito di pace e fratellanza fra i popoli che sta alla base delle idee di
Zamenhof, di cui peraltro ricorre il prossimo
anno il centenario della scomparsa: Quand
les peuples pourront librement se comprendre, ils cesseront de se detester.
Nel solco del pacifismo da sempre proclamato dalla Confederazione, molte furono le iniziative esperantiste in territorio elvetico: dal
secondo Congresso Universale di Esperanto
di Ginevra, inaugurato il 28 agosto 1906, al
IX Congresso Universale di Berna del 24-31
agosto 1913; dal Congresso di Zurigo del 6
ottobre 1929, al 64° Congresso universale di
Lucerna del 21 febbraio 1979.
Nella storia dell’esperanto, si parla, infatti,
di un lungo periodo svizzero caratterizzato
dalla nomina di cinque personalità elvetiche
a Presidente dell’Associazione Universale di
Esperanto,
qui elencate in successione: il ginevrino Hector
Hodler (1919-1920), il bernese Eduard Stettler
(1920-1924, poi rieletto dal 1928 al 1934),
il già citato Edmond Privat (1924-1928), il
bernese Karl Max Liniger (1936-1941) e Hans
Hermann Kürsteiner (1941-1947), nativo di
San Gallo. Ancor prima, e a soli tre anni dalla
pubblicazione del libro di Zamenhof, l’avvocato e stenografo Daniele Marignoni di Crema,
gettava le basi nel 1890 per l’istituzione del
Movimento Esperantista Italiano.
Ritratto fotografico di Ludwik Lejzer Zamenhof,
1912, con firma autografa
aprile 2016 La Rivista - 53
Fino al 19 giugno
al Landesmuseum di Zurigo
«Conrad Gessner
1516–2016»
Dotto universalista e
naturalista dell’età moderna
Lo scorso 16 marzo 2016 ricorreva il
500esimo anniversario della nascita di
Conrad Gessner (1516-1565). Il Museo nazionale svizzero celebra questa
ricorrenza con una mostra dedicata
all’illustre universalista svizzero.
L’esposizione, realizzata in collaborazione con
gli specialisti della Biblioteca centrale di Zurigo, che possiede svariati oggetti appartenuti a
Gessner e tutte le sue oltre 60 pubblicazioni
in varie edizioni, consente di ammirare anche
alcuni disegni riscoperti e attribuitigli solo pochi anni fa. Così, dopo oltre 400 anni, queste
opere fanno ritorno a Zurigo, città natale di
Gessner.
Conrad Gessner fu uno dei più illustri eruditi
non solo della Svizzera, ma di tutta Europa.
Padroneggiava le tre lingue antiche, latino,
greco ed ebraico, e frequentava molte personalità dell’epoca. Sono rimaste conservate
oltre 600 lettere, che tuttavia rappresentano
solo una piccolissima parte dell’intera corrispondenza intrattenuta. I più celebri destinatari delle sue lettere sono stati accertati per
la prima volta proprio in vista della mostra. A
Zurigo, città alla quale rimase fedele per tutta
la vita, Gessner lavorò non solo come linguista, bibliografo e docente, ma successivamente anche come zoologo, botanico e medico
municipale. In quest’ultima veste fece qualcosa di davvero eccezionale: studiò a fondo
le opere dei medici greci Ippocrate e Galeno
e le rivalorizzò curandone e pubblicandone le
riedizioni. Nel 1552 presentò poi anche una
sorta di farmacopea in latino che ottenne una
così grande popolarità da essere tradotta poco
dopo in tedesco, francese, inglese e italiano.
Un nuovo sguardo sulla natura
Gessner studiava la natura fin nei minimi dettagli e riusciva a riprodurla graficamente con
precisione. I disegni botanici da lui realizzati
testimoniano ancora oggi questa sua grande
abilità. Alcuni di questi sono esposti insieme
54 - La Rivista aprile 2016
ai più importanti libri in materia, risalenti agli
inizi del XVI secolo. Gessner è considerato uno
dei pionieri dell’illustrazione scientifica durante il Rinascimento: fu, infatti, uno dei primi scienziati a pubblicare le sue conoscenze
corredandole di disegni appositamente realizzati. Un esempio significativo del suo lavoro
di ricerca, che aprì poi la strada agli altri, è la
prima descrizione del tulipano turco che aveva
visto ad Augusta nel 1559. La notorietà arrivò
con la sua opera in quattro volumi Historiae
animalium, pubblicata a Zurigo tra il 1551 e
il 1558 dal tipografo Christoph Froschauer.
Con questa «storia degli animali» fu il primo
a redigere un inventario di tutti gli esseri viventi allora conosciuti. I suoi libri plasmarono
l’immagine della fauna fino al XVIII secolo,
quando George Louis Leclerc conte di Buffon
(1707–1788) e, dopo di lui, Alfred Edmund
Brehm (1829–1884) pubblicarono nuove enciclopedie in materia. Gessner influenzò anche
gli artisti della sua epoca e delle generazioni
successive, come documentano le immagini,
i disegni, le cartoline e i ricami esposti nella
mostra.
Già nel 1545 era stata pubblicata la prima
opera di ampio respiro di Gessner, la Bibliotheca universalis, ossia il più antico catalogo di
tutti i testi scritti a mano o stampati in ebraico, greco e latino. Gessner faceva stampare i
suoi libri prevalentemente a Zurigo da Christoph Froschauer, a cui è dedicata una sezione della mostra. Tra gli oggetti esposti si può
ammirare la riproduzione di un torchio tipografico del XVI secolo, vera e propria base del
successo pubblicistico di Gessner.
Presentazioni multimediali
La mostra è arricchita e completata da un
nuovo documentario su Gessner realizzato
dall’Università di Zurigo nonché da postazioni
audio, touchscreen, proiezioni di immagini e
uno slideshow che illustra il processo di stampa con un torchio tipografico.
La mostra è accompagnata da un catalogo
pubblicato dalla casa editrice NZZ Libro, in
cui più di una dozzina di esperti nazionali e
internazionali analizzano le opere e i meriti
di Gessner nei vari ambiti della sua poliedrica
attività. I contributi spaziano dalla botanica
alla bibliografia e dall’araldica alla zoologia,
passando per la linguistica e la medicina. Inoltre, per la prima volta vengono presentati a un
ampio pubblico anche i documenti e i disegni
di Gessner solo recentemente scoperti.
Eventi e informazioni: www.gessner500.ch
Ritratto di Conrad Gessner basato sul dipinto
di Tobias Stimmer, disegnatore Grosshans Thomann, intagliatore Ludwig Fryg, 1564. Stampa in foglio unico. © Zentralbibliothek Zürich,
Graphische Sammlung
Benchmark
di Nico Tanzi
Il principio di Pareto,
il tempo produttivo e l’ozio
indispensabile
A volte la nostra vita e il mondo intero sono regolati da leggi che, se guardati sotto la lente
del semplice buon senso, potrebbero apparire poco meno che folli. Ma solo perché siamo abituati a guardare le cose privilegiando gli aspetti razionali, dimenticando tutto ciò che invece
di molto poco razionale vive in noi (e di certo non è poco). Un bell’esempio è il principio di
Pareto, che afferma che «l’80% dei risultati dipende generalmente dal 20% delle cause».
L’economista che lo formulò verso la fine dell’Ottocento, Vilfredo Pareto, studiava in quegli anni la
distribuzione dei redditi in una data regione, e riuscì, sulla base di indagini empiriche, a dimostrare
che di norma la maggior parte della ricchezza è posseduta da un numero ristretto di individui. Per la
precisione, il 20% degli individui detiene l’80% della ricchezza. Appunto.
Un’osservazione di importanza tutto sommato relativa, in sé; ma che si è rivelata, man mano che si
è provato ad applicare il principio 80/20 ai contesti più disparati, una straordinaria chiave di interpretazione dei meccanismi che regolano l’attività umana. Qualche esempio, preso in prestito dal bel
libro di Richard Koch «The 80/20 Principle» (Currency Books/Double-day), potrà rendere meglio l’idea.
In un’azienda, di solito il 20% dei prodotti genera l’80 per cento del fatturato. E il 20% dei clienti
produce l’80% delle entrate. In un gruppo di lavoro (lo so, non è molto politically correct, ma è così)
il più delle volte il 20% delle persone svolge l’80% del lavoro, e vice-versa. L’80% delle informazioni
utili in un documento sono contenute nel 20% delle sue pagine. Il 20% degli allievi di una classe
provoca l’80 per cento dei problemi «disciplinari». E se ci facciamo caso, scopriremo che nella nostra
giornata usiamo il 20% del tempo per ottenere l’80% dei risultati... e viceversa (purtroppo!). Proprio
così: buttiamo via I’80% del tempo per raggiungere il restante misero 20%. E il nostro guardaroba?
Non è forse vero che indossiamo il 20% dei nostri indumenti per l’80% del nostro tempo? Eccetera,
eccetera, eccetera.
Può essere addirittura un gioco divertente, scovare altri esempi. E se anche le percentuali reali in
alcuni casi dovessero essere diverse (75/25, o magari 90/10), la sostanza non cambierebbe: la gran
parte dei risultati si deve a una minima parte delle cause. Il principio di Pareto, appunto.
«Ma perché — scrive Koch — dovrebbe importarci qualcosa del principio 80/20? Che ce ne rendiamo
conto o no, questo principio è applicabile alla nostra vita, al nostro ambiente sociale, al luogo in cui
viviamo. Comprendere il principio 80/20 offre strumenti formidabili per capire cosa sta davvero accadendo intorno a noi». Facile capire di quali strumenti si tratti: prendere coscienza della regola, infatti,
ci permette di concentrare la nostra attenzione sui momenti, sulle attività, sui modi di gestire il
tempo più «produttivi». In ogni senso: non parlo solo di produttività in senso «aziendale»; piuttosto,
del modo migliore di mettere a frutto le nostre risorse creative.
Per citare ancora Koch, «la maggior parte dei risultati che raggiungiamo, sul piano professionale, intellettuale, artistico, culturale o sportivo che dir si voglia, la raggiungiamo in una piccola parte del nostro tempo». Riuscire a focalizzare l’attenzione sul modo in cui svolgiamo la nostra attività significa
potenzialmente trasformare la gran parte delle nostre giornate in tempo «produttivo», abbandonando
o dedicando sempre meno attenzioni a quelle attività o a quelle abitudini che rubano tempo ed energie senza produrre nulla in cambio (se a qualcuno è venuto in mente Facebook, è sulla strada giusta).
Il tutto però, è il caso di aggiungere, conservando gelosamente quella frazione del nostro tempo che
va doverosamente riservata all’ozio, al far niente, addirittura — perché no— alla noia: che, come è
stato ampiamente dimostrato, sono fra i più potenti catalizzatori della umana creatività.
aprile 2016 La Rivista - 55
A San Gallo fino
al 29 maggio
Ricordi e stima:
Fotografia e storia orale
della migrazione italiana
Inaugurata lo scorso 4 marzo nella sale del Museo di
storia ed etnologia di Sangallo la mostra Ricordi e stima
(Fotografia e storia orale della migrazione italiana) potrà
essere visitata fino al prossimo 29 maggio. Il progetto
espositivo è sostenuto dall’associazione «Ricordi e Stima»,
per la realizzazione di progetti storici e culturali degli italiani nella Svizzera orientale. L’associazione è stata fondata da rappresentanti delle associazioni e delle istituzioni
italiane in collaborazione con «Archiv für Frauen-, Geschlechter- und Sozialgeschichte Ostschweiz».
L’esposizione prevede un corollario di iniziative collaterali
con cicli di conferenze, dibattiti, proiezioni e musica.
Venendo in Svizzera con la seconda ondata d’immigrazione dopo la seconda guerra
mondiale, gli immigrati italiani rappresentavano il più grande nucleo di migrazione in
Svizzera. Ancora oggi costituiscono uno dei
più grandi gruppi d’immigrati.
Con la loro presenza, nel corso degli anni,
gli italiani hanno contribuito in modo significativo alla prosperità della Svizzera.
Tuttavia, era piuttosto un fianco a fianco,
collegato a difesa e xenofobia, che caratterizzava la relazione tra svizzeri e italiani nel
dopoguerra fino negli anni ottanta.
I primi italiani emigrati in Svizzera subito
dopo la fine della seconda guerra mondiale
provenivano per lo più dal nord dell’Italia.
Dalla fine degli anni 50, sempre più italiani
del sud scelsero o furono costretti a scegliere la via della migrazione.
Questa mostra fotografica vuol fornire, tra
l’altro, un approccio, attraverso la fotografia e
la storia orale, alla vita quotidiana degli italiani, che dopo la seconda guerra mondiale sono
emigrati per cercare lavoro in Svizzera. Hanno
creato il proprio mondo sociale trasformando
56 - La Rivista aprile 2016
se stessi e la Svizzera. Hanno portato con sé
l’italianità e hanno fatto conoscere agli svizzeri la cultura gastronomica italiana, che oggi
fa parte della cucina svizzera.
Orari di apertura
Martedì a domenica dalle ore 10 alle 17
Visite guidate
• Domenica 17 aprile 2016, ore 11
• Mercoledì 4 maggio 2016, ore 17.30
• Mercoledì 18 maggio 2016, ore 17.30
• Mercoledì 25 maggio 2016 ore 14
(guida bambini dai 6 anni)
Finissage
Domenica 29 maggio 2016 ore 11.00,
Museo di Storia ed Etnologia di San Gallo
Serenat Ezgican, canto e chitarra | Canzoni
di vari paesi sull‘emigrazione e l‘amore
www.ricordi-e-stima.ch | www.frauenarchivostschweiz.ch | www.hmsg.ch
Programma collaterale
◊ CICLO DI CONFERENZE, UNIVERSITÀ DI
SAN GALLO (Conferenze in lingua tedesca)
Giovedì 14 aprile 2016, ore 18.15 a
19.45, Spazio HSG 01-207 Welche Bildung
für sich und ihre Kinder? Italienische Eltern im Dilemma auf dem Hintergrund von
Fremdenfeindlichkeit, unsicherer Aufenthaltsverhältnisse und Rückkehrwünsche |
Marina Widmer, lic. phil. I, Soziologin, Leiterin des Archivs für Frauen-, Geschlechterund Sozialgeschichte Ostschweiz, St.Gallen
Giovedì 21 aprile 2016, ore 18.15 a
19.45, Spazio HSG 01-207 Selbstorganisation der italienischen Migrantinnen und
Migranten am Beispiel der Colonie Libere
Italiane | Toni Ricciardi, Dr. phil., Historiker,
Universität Genf
Giovedì 28 April 2016, ore 18.15 a 19.45,
Spazio HSG 01-207
«Latte macciato» und «Ossobucco». Die
italienische Lebensart im Schweizer Alltag
Renato Martinoni, Prof. Dr. phil., Professor
für italienische Sprache, Literatur- und Kulturgeschichte, Universität St.Gallen
◊ MANIFESTAZIONI NELL‘AMBITO DELLA
«ERFREULICHEN UNIVERSITÄT PALACE» (in
lingua tedesca)
Martedì 10 maggio 2016, ore 20.15,
Palace, San Gallo Marea Granate – das
länderübergreifende Netz von spanischen
Migrantinnen und Migranten | Yolanda
Candela Noguera, David Garcia und Maria
Collado, AktivistInnen des Vereins Marea
Granate Zürich, www.mareagranate.org
Giovedì 19 maggio 2016, ore 20.15, Raum
für Literatur (Hauptpost), St.Leonhardstrasse 40, 3º piano Urban Citizenship, Kämpfe
um Recht auf Teilhabe in der Stadt Sarah
Schilliger, Dr.des., Oberassistentin am Lehrstuhl für Soziale Ungleichheit, Konflikt- und
Kooperationsforschung, Universität Basel
Martedì 24 maggio 2016, 20.15 Uhr, Palace, San Gallo Die Erinnerungen der MigrantInnen müssen in schweizerischen Institutionen und der allgemeinen Geschichte
ihren Platz haben. | Gianni D’Amato, Dr. rer.
pol., Professor of Migration and Citizenship
Studies, Universität Neuenburg
◊ TEATRO, CINEMA E MUSICA
Aprile 2016 Ciclo di film al «Kinok» | Film,
date e orari vedi www.kinok.ch, programma
di aprile
Venerdì 27 maggio 2016, ore 20.00, Pfalzkeller di San Gallo I Pelati Delicati (die Delikat geschälten) con «Finalmente Secondo
– Endlich Zweiter!» Una serata teatro-musicale in italo-tedesco con Andrea Bettini
e Basso Salerno, Regia Christian Vetsch,
www.pelati.ch | Prenotazioni: 071 223 76
93, Biglietti Fr. 25.-/15.-, Cassa serale a
partire dalle ore 19.00
aprile 2016 La Rivista - 57
Dal 19 fino al 26
febbraio Mons, storica
cittadina belga a 65
chilometri da Bruxelles,
ha celebrato l’amore al
cinema con il Festival
international du film
d’amour giunto alla
32a edizione.
L’attore ticinese Teco Celio era in giuria
di Martine
Cristofoli
Il Festival di Mons
ha celebrato l’amore per il cinema
”L’amour, bien sûr, sous toutes ses formes. Et particulièrement, en
cette époque troublée, l’amour comme un cri, comme une réponse
à l’intolérance et à la discrimination » ha detto l’amministratore
delegato André Ceuterick durante la conferenza stampa di presentazione del Festival.
Un centinaio di film in cartellone tra lunghi e corti. Il Concorso internazionale con i suoi 11 lungometraggi provenienti in gran parte
dall’Europa, ma anche dagli Stati uniti e dall’Asia è stato il piatto
forte della manifestazione.
Nel gala d’ouverture, che si è tenuto al Théàtre Royal sur la
Grande Place, sullo schermo è stato proiettato Médecin de
Una scena del film Vecchi pazzi, girato a Locarno
campagne, che filma realisticamente il
conflitto professionale tra Jean-Pierre,
un medico di campagna consacrato
alla sua professione che oltre ai suoi
pazienti deve curarsi da un cancro, e
Nathalie la sua giovane sostituta. In
quello di chiusura, un classico della letteratura sentimentale francese: Madame Bovary di Sophie Barthes, che narra
in modo poco tradizionale il dramma
socio-sentimentale, scritto dal romanziere Gustave Flaubert, ambientato
nella Normandia rurale del diciannovesimo secolo.
Un giuria internazionale presieduta
dall’attore, sceneggiatore e regista
francese Philippe Harel (Le Vélo de
Ghislain Lambert) ha assegnato les
Coeurs de cristal (premi del Festival).
Tra gli 11 giurati figurava anche l’attore leventinese Teco Celio unitamente alle attrici francesi Andréa Ferréol,
Natacha Régnier e al regista italiano
Daniele Lucchetti.
58 - La Rivista aprile 2016
Onore al cinema svizzero
Il cinema svizzero ha avuto una notevole
presenza in questa edizione, in quanto,
oltre alla presenza in giuria del conosciuto e apprezzato attore Teco Celio,
ha proposto tre produzioni: On avait dit
qu’on irait jusqu’en haut di Tizian Büchi
nella competizione internazionale dei
corto metraggi. Storia romantica senza
parole di Anna e Maxime, due giovani innamorati durante una gita in montagna.
Dora oder die sexuellen neurosen unserer eltern di Stina Werenfels ci rende
partecipi della vita sentimentale della
diciottenne Dora affetta da un handicap
mentale.
Il lungometraggio più conosciuto nel
“Focus” sulla cinematografia elvetica è
Vecchi Pazzi di Sabine Boss che mette in
scena con brio, umorismo e partecipazione umana la storia di Vivi Ferrari una
effervescente diva che si rifiuta di invecchiare. Il film, visto recentemente anche
in televisione è stato girato a Locarno.
Nell’ambito del Festival si è svolto un
proficuo incontro tra la “neonata” Ticino Film Commission (TFC), rappresentata dalla Project Manager Cristiana
Giaccardi e la Film Commission BATCH
Hainaut per uno scambio di vedute.
Il cinema italiano a Mons
Sei lungometraggi e tre rappresentanti della cinematografia italiana hanno
partecipato alla 32. edizione. Il regista
Daniele Lucchetti (Il portaborse e Chiamatemi Francesco) e l’attrice di teatro e
di cinema Vanessa Scalera nella giuria
internazionale, l’operatrice culturale e
promotrice del cinema italiano a Bruxelles Mariella Braccialini, nella giuria
Cinéfemme.
Cinque dei sei film (Io e lei di Maria Sole
Tognazzi, Il nome del figlio di Francesca
Archibugi, Arianna di Carlo Lavagna, Per
amor vostro di Giuseppe M.Gaudino, Se
Dio vuole di Eduardo Falcone) portano
allo schermo uno spaccato della società
inizia a lavorare come gobbista in una
fiction di una televisione locale… Per
Amore vostro è ambientato nella Napoli
del degrado ambientale e morale, dove
solo il mare, visto da lontano, conserva i
colori dell’ottimismo.
Il Racconto dei racconti, opus di circa
due ore è l’incontro di due fantasie,
di due creatività: quella dello scrittore seicentesco campano di Giugliano
(Campania), che in un dialetto corposo
turgido e lessicalmente sovrabbondante
ha narrato e fatto vivere in modo favolistico e barocco il mondo parallelo popolato di streghe, mostri, orchi, saltimbanchi e anche di re e regine di “C’era una
volta” e quella del regista di “Reality”
che servendosi di una lingua depurata
e comprensibile a tutte le platee, e soprattutto immagini fastose e lussureggianti, ha tradotto Basile rendendolo
accessibile a tutti.
Lo cunto de li cunti ovvero lo tratteniemento de peccerille fu pubblicato
a Napoli dal 1634 a 1636 dal geniale
scrittore campano capostipite dei più
famosi narratori di fiabe da Perrault
ai Grimm, da Andersen, a Tolkien fino
alla saga di Harry Potter. Basile con la
sua raccolta di fiabe, che restituiscono perfettamente le intonazioni orali
di un dialetto ancestrale rese popolare il genere favolistico. Garrone con
il suo film lo ha rivalorizzato e reso
attuale.
L’ammaliante colonna sonora è di
Alexandre Desplat e la stupefacente fotografia di Peter Suschitzky.
Madame Bovary e i premi per il
gran finale
italiana d’oggi. Il sesto, Il racconto dei
racconti di Matteo Garrone, già presentato con successo all’ultima edizione del
Festival di Cannes permette allo spettatore di scoprire il mondo favolistico di
Gianbattista Basile.
Il film del regista romano Matteo Garrone e quello del napoletano Giuseppe M. Gaudino, presentano affinità di
linguaggio filmico-narrativo. Entrambi
raffigurano la realtà in modo onirico e
surreale. Ma, mentre Garrone lo fa in
modo barocco, Gaudino intreccia realismo e surreale in modo sequenziale con
cambiamenti continui di stile a livello
delle immagini.
L’interpretazione magistrale di Valeria
Golino, che gli è valsa la Coppa Volpi
per la migliore interpretazione femminile, è l’elemento portante di Per
amor vostro, conferendogli la dimensione umana e patetica che ne fa un
film di spessore plastico. Il personaggio
di Anna Ruotolo nelle sue numerose
sfaccettature richiama alla memoria
Anna Magnani, ma anche la rassegnata
e dolente Sofia Loren di Una giornata
particolare.
Per le tristi vicende della vita, Anna da
bambina coraggiosa e intraprendente,
è diventata “ignava” e la sua esistenza
di adulta è un groviglio di problemi irrisolti: i suoi e quelli della sua famiglia.
La sua vita grigia da marionetta, disposta ad aiutare, anche troppo, gli altri,
potrebbe e diventare normale quando
Con un melodrammatico Madame Bovary (Francia, Belgio, Stati Uniti, fuori
concorso) si è conclusa la 32. Edizione
del Festival International du Film d’Amour di Mons che ha visto passare al
Plaza Art, al Théâtre Royal e soprattutto
a Imagix il centinaio di film tra lungometraggi e corti del sostanzioso e soddisfacente programma. Gli spettatori, in
un paese dove, fortunatamente, la gente va ancora al cinema, sono stati più
di 25 mila.
Sophie Barthes, giovane e capace regista
tolosana, ma di orizzonti anglosassoni,
al suo secondo film, si è difesa egregiamente nel corpo a corpo con il capolavoro naturalista di Gustave Flaubert, creando un lungometraggio sontuoso nelle
immagini, ricercato nei costumi, dalla
piacevole colonna sonora e ben ritmato
cinematograficamente. La dolce e determinata Mia Wasikowska, incarna un’inedita Emma Bovary, ingenua sognatrice, desiderosa di vivere e di emanciparsi.
aprile 2016 La Rivista - 59
L’interpretazione magistrale di Valeria Golino, che gli è valsa la Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile, è l’elemento portante di Per amor vostro in competizione a Mons
Pronta a tutto per uscire dal grigiore e
dalla monotonia di Yonville.
Il Grand Prix del Festival è andato a
Virgin Mountain del regista islandese
Dagur Kari, (autore anche del notevole
Noi, Albinoi) che ha filmato con grande sensibilità una storia d’amore, nata
anche di malintesi tra due esseri quasi
emarginati. Virgin Mountain, facendo
man bassa di riconoscimenti si è anche
aggiudicato il premio per la migliore
sceneggiatura e quello per il migliore
interprete maschile con il suo protagonista: Gunnar Jonsson, ineccepibile nei
panni di Fusi, il gigante timido. Hagit,
giovane operaia di una fabrichetta di
carta igienica, persona diversamente abile, portata sullo schermo in The
Wedding Doll, del regista israeliano Nitzan Gilady, con naturalezza dalla bella
e brava Moran Rosenblatt, ha avuto il
premio per la migliore interpretazione
femminile.
Il drammatico e toccante Les Innocentes
si è giustamente aggiudicato le Prix du
Public. La regista francese Anne Fontaine ha filmato con toni e colori appropriati la drammatica vicenda di un
gruppo di suore violentate da soldati
russi e di una giovane dottoressa della
Croce Rossa francese che le aiuta a superare il trauma e ad accettare la prole.
La Giuria CinéFemme ha premiato Dégradé di Tarzan et Arab Nasser, film realista e ben strutturato su un salone
di bellezza nella striscia di Gaza, dove
diversi personaggi femminili narrano la
loro storia. Il film era già stato presen-
60 - La Rivista aprile 2016
tato alla Semain de critique di Cannes
con successo.
Altri film premiati sono Bucarest non
stop del rumeno Dan Chisù, La fille du
patron, commedia leggera ed inconcludente del francese Olivier Loustau e il
drammatico The Here After di Magnus
Von Horn, premio CinéEurope.
L’Italia, come abbiamo visto presente
con sei film nel programma uno dei
quali, Per Amor vostro, nella Competizione Internazionale non ha vinto
nessun premio. I lungometraggi italiani proiettati a Mons erano sì di
buona fattura, trattavano tematiche
attuali con attori validi, ma mancavano tutti di quel tocco di internazionalità per farli apprezzare anche ad
esponenti di altre culture e di altri usi
e costumi.
La 32° edizione del Festival International du Film d’amour di Mons può essere
archiviata come varia ed interessante
per le tematiche dei film in cartellone e
buona qualitativamente.
Il regista islandese Dagur Kari ha vinto il Grand Prix del Festival con Virgin Mountain
Sequenze
di Jean de la Mulière
Room
Mon roi
Belgica
di Lenny Abrahamson
di Maïwenn
(Maïwenn Le Besco)
di Felix Van Groeningen
Jack vive in una stanza. La stanza è la sua
casa. Il lavandino, il lucernario, la lampada
sono i suoi amici. E Ma’ è sempre con lui.
Come ogni buona madre, Ma’ fa di tutto affinché Jack sia felice ed al sicuro, ricoprendolo d’amore e calore e passando il tempo a
giocare e raccontare storie. La notte, quando
irrompe Old Nick per infilarsi nel letto di suo
madre, Jack sta nascosto nell’armadio, ma poi
è di nuovo mattina e tutto va bene. Quando
compie cinque anni, però, la mamma lo sorprende con una rivelazione sconcertante: c’è
un mondo al di là della porta blindata di cui
non conoscono il codice, decidere di superarla
potrebbe metterli però di fronte ad una realtà
ancora più spaventosa: il mondo reale.
Room è un film di spazi interiori, ben più
che esteriori, Un film potente, di una potenza sfaccettata: che può rimare col disagio,
anche estremo, che prende lo spettatore alla
primissima sequenza. Oppure può rimare con
tensione, speranza, paura, gioia immensa o
immenso sollievo.
Brie Larson (Oscar per la miglior attrice) si
conferma una delle attrici che segneranno
pagine importanti del cinema che verrà.
Ma’ è vittima di una delle dimostrazioni di
perfidia più atroci che un uomo può infliggere
a un altro essere umano: costringerlo a confidare nell’assenza di libertà come stampella
emotiva. La sua capacità di interiorizzare il
dramma che sta vivendo è una dimostrazione di rara intensità dell’amore assoluto di una
madre per il proprio figlio; entrambi costruiscono la loro coreografia quotidiana misurando gli spazi di comunicazione e di fuga.
Oltre alla capacità di non perdersi nella tensione emotiva Abrahamson ha il pregio di
adattare il libro di Emma Donoghue - uscito da Mondadori col bel titolo Stanza, letto,
armadio specchio - con rispetto e sensibilità,
senza mai cedere all’eclatante, al morboso.
Ricoverata in un centro per la riabilitazione
a seguito di una brutta caduta sugli sci, Tony
sfrutta le cinque settimane di fisioterapia per
riflettere sul tormentato rapporto che l’ha legata per dieci anni a Georgio, sciupafemmine
fascinoso col quale ha avuto un figlio vivendo
con lui una storia piena di alti e bassi che le
hanno piagato l’anima senza però piegarla
del tutto nell’intimo.
Raccontato in flashback durante la riabilitazione di Tony il film ripercorre la storia di un
amore tormentato. I due protagonisti (sorprendenti sin dal nome: Tony lei e Georgio
(sic!) lui), s’incontrano per caso in un night
club parigino. Lei avvocatessa quarantenne
divorziata, più bruttina quasi stagionata che
attraente bocconcino su cui mettere gli occhi
(e le mani). Lui coetaneo super fascinoso con
quello charme stropicciato che può risultare
pericoloso per ogni donna con le difese sentimentali basse. Naturalmente, è subito colpo
di fulmine. Uomo senza freni, il seducente
Georgio passa dalle vette dell’adorazione
romantica al disinteresse. Lei sacrifica la sua
vita privata e il lavoro, finendo prigioniera dei
comportamenti egoistici del partner. Il sorriso
di lei si trasforma nel volto segnato dal nervosismo costante. La depressione è inevitabile, non lontana da quella suicida dell’ex di lui,
terzo incomodo sempre presente nella loro
quotidianità.
Le montagne russe sono continue, con gli alti
costituiti da poco credibili riavvicinamenti giocosi, infantili castelli di sabbia pronti
a essere spazzati via alla prima occasione
dall’onda implacabile de narcisismo infantile
di Georgio. La nascita di un figlio sarà solo
un’arma in più di ricatto emotivo.
Se non sapessimo che la regia è di una donna
verrebbe di sottolineare in rosso il maschilismo di una storia che presenta una protagonista masochista fino all’eccesso.
Jo e Frank sono fratelli. Jo, il minore, è basso
ed è pieno di problemi. Ha appena aperto il
Belgica, un bar a Gand, spinto dalla passione per la musica. Frank, invece, padre di famiglia e proprietario di una concessionaria
di auto, conduce un’esistenza regolare ma
improvvisamente decide di cambiare vita e
di unirsi al fratello nella gestione del bar.
Jo ha dei grandi progetti per il suo bar, ambizione che si adatta alla mania di grandezza di Frank. Conquistata la fiducia di una
clientela festaiola con spettacoli improvvisati e dj set selvaggi, decidono di ingrandire
il bar e aprire uno spazio per concerti degno
di questo nome nel locale attiguo abbandonato. Entrambi si dedicano anima, corpo
e portafoglio ai lavori, per far diventare il
Belgica il luogo di divertimento dei loro
sogni, dove si mescolano buona musica,
molto alcool, diverse droghe secondo la formula collaudata: sesso, droga e rock’n’roll.
Ovviamente l’eccessività del luogo e delle
loro ambizioni avrà presto la meglio sulla
complicità dei due fratelli. Mentre Jo vede
allontanarsi la prospettiva del locale che sogna, Frank vede che la sua famiglia rischia
di sgretolarsi. Ben presto dovranno affrontare le loro contraddizioni e i loro demoni
interni (ed esterni) per risolvere i conflitti.
Belgica è in qualche modo un film sul mondo della notte, un’ode a questo potere che
ha la notte di sottrarci alla nostra condizione sociale (a volte per risprofondarci
meglio), al nostro quotidiano, questo regno
dove tutto è possibile e dove ciascuno può
vestire i panni di qualcun altro. Belgica
parla della notte come luogo di libertà e di
perdizione, dove si finisce spesso per perdersi sperando di ritrovarsi, il luogo dove a
volte i propri ideali esplodono. La notte in
cui i cammini dei due fratelli s’incrociano e
si allontanano.
aprile 2016 La Rivista - 61
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Diapason
di Luca D’Alessandro
Alessandra
Amoroso
IIl Sogno
Nomadi
Di Due Sedicenni È Diventato Realtà Vivere A Colori
(Nomadi)
(Sony)
Con questo disco, Beppe Carletti, co-fondatore dei Nomadi, ha voluto ricordare il cantante Augusto Deolio, suo caro amico, scomparso nel 1992. Rivisitando 12 brani che, a fianco di tanti altri loro
pezzi, hanno fatto storia e contrassegnato il lungo percorso artistico del gruppo (ricordiamo che I Nomadi hanno prodotto oltre 70
dischi), Carletti fa rivivere gli anni degli esordi e rinascere la voce
di Augusto Deolio. Infatti, tutti e dodici i brani, anche se rivisitati,
sono interpretati dalla voce di Deolio. I temi principali dei Nomadi,
ovvero la denuncia e l’impegno sociale, si ritrovano anche in questa
raccolta: ricordiamo Io Vagabondo, La Bomba, La Deriva. Un lavoro
notevole, quest’ultimo dei Nomadi, che va oltre ad un semplice
Best of e che merita grande apprezzamento.
Sono quattro gli album che Alessandra Amoroso ha pubblicato negli ultimi sei anni di presenza sul palco. Vivere A Colori elenca dei
brani rock-pop, con un tocco di soul, scritti non solo dalla stessa
Amoroso. Figurano tra gli autori rappresentanti illustri del mondo
musicale italiano: Federica Camba, Tiziano Ferro, Elisa, Federico
Zampaglione e Andrea Amati. L’album riscuote successo a livello nazionale sin dal primo giorno della pubblicazione a gennaio.
Secondo un comunicato dell’etichetta stessa, l’album si posiziona
direttamente alla prima posizione su iTunes in Italia e con tre tracce dell’album nella top 3 sempre di iTunes. Raggiunge una buona
posizione anche in Svizzera, mentre impressiona il fatto che risulti
nelle classifiche in Belgio, Messico, Ecudaor e Irlanda.
Zucchero
Black Cat
Stadio
Miss Nostalgia
Sta per uscire un album dal sapore rock-blues: Black Cat, del bluesman
emiliano Zucchero Fornaciari, richiama le atmosfere di Oro, Incenso e
Birra e ha tutti i requisiti per arrivare in vetta alle classifiche. Il nuovo
disco di inediti contiene un brano scritto da Bono degli U2, Streets Of
Surrender (S.O.S.), nato in seguito alla tragedia avvenuta al Bataclan
di Parigi nel novembre del 2015. È un brano di riflessione, un tributo
alla libertà, un messaggio contro l’odio. I brani di quest’ultimo album e
i vecchi successi del passato saranno presentati dal vivo in anteprima
mondiale in dieci concerti all’Arena di Verona a settembre. In Svizzera,
l’artista si esibirà il 31 ottobre all’Hallenstadion di Zurigo e il 2 novembre all’Arena di Ginevra.
Era un loro dovere, la pubblicazione di un nuovo album in seguito alla
loro apparizione e alla loro vittoria al 66° Festival della Canzone con il
brano Un Giorno Mi Dirai. Miss Nostalgia, prodotto da Saverio Grandi, è
il quindicesimo album degli Stadio, la band modenese composta da Gaetano Curreri alla voce, Giovanni Pezzoli alla batteria, Roberto Drovandi al
basso e Andrea Fornili alla chitarra - e la presenza speciale di Vasco Rossi
che canta il ritornello di Tutti Contro Tutti. Un album in cui si oppongono
suoni moderni a testi tradizionali, interpretati dalla voce rauca del leader
Gaetano Curreri. I temi toccano ciascuno di noi: il dialogo tra padre e figlia,
le riflessioni sulla vita, sull’amore, su ciò che si teme e viceversa, su ciò che
può confortare. Un bell’album che va preso in considerazione.
(Universal)
(Universal)
aprile 2016 La Rivista - 63
di Rocco Lettieri
Anteprime dei
vini toscani
La Fortezza da Basso di Firenze, nei giorni 12 e 13 Febbraio scorsi,
ha dato il via alle Anteprime toscane, anticipandole con l’importante manifestazione Buy Wine, dove 190 dei 250 buyer internazionali
di 36 Paesi hanno potuto scambiarsi trattative commerciali che in
breve potrebbero concretizzarsi in contratti di vendita. Dal produttore di Montalcino che ha ceduto le sue ultime 100 bottiglie della
super-annata 2010 a un buyer danese, all’operatore dell’Ontario
in cerca di autoctoni “perché il vino francese è un po’ cosa vecchia”. Sono solo due dei commenti degli oltre 6mila incontri BtoB
realizzati nel corso di Buy Wine, evento organizzato da Toscana
Promozione. In due giorni di contrattazioni sono state avviate 4200
trattative commerciali. La fotografia è stata fornita da “Workshop
Uplink Agenda Matching”, il sistema 2.0 che ha permesso ai buyer
e ai seller di Buy Wine di organizzare e ottimizzare gli appuntamenti
nel corso della borsa oltre a monitorare in tempo reale il grado di
soddisfazione relativo a ciascun incontro di business. Gradimento
che anche per l’edizione 2016 ha superato il 90%.
Anteprima consorzi
Per i giornalisti aderenti e accreditati alle anteprime toscane (114 italiani e ben altri 98 da
tutto il mondo) le degustazioni sono iniziate
la mattina del 13 Febbraio, nelle sale dell’Hotel Michelangelo di Firenze, con la presentazione dei vini dei Consorzi: Morellino di
Scansano, Montecucco, Vini Cortona, Vini di
Carmignano, Valdarno di Sopra Doc, Bianco
di Pitigliano e Sovana, Colline Lucchesi, Maremma Toscana Doc. Libera la scelta di poter degustare con l’assistenza di sommelier
o di degustare ai banchi colloquiando con i
produttori. Anche due importanti momenti
per degustare vini delle annate 2006 e 2008
guidate dal sommelier professionista Luca
Martini. Seguire tutte e otto le denominazioni è impossibile per mancanza di tempo. Lo
scorso anno avevo degustato i vini di Car-
64 - La Rivista aprile 2016
mignano (ancora riconferme delle aziende:
Fabrizio Pratesi, Capezzana, Piaggia, Fattoria
Ambra, Colline San Biagio e Artimino) e ne
avevo parlato da queste pagine. In questa
edizione mi sono dedicato ai vini del Consorzio Cortona.
La presenza della viticoltura nell’area delimitata è precedente all’epoca romana. Di
fondamentale rilievo sono i fattori umani legati al territorio di produzione, che per consolidata tradizione e nuove sperimentazioni
hanno contribuito ad ottenere l’originalità e
l’identità dei vini del cortonese. La data del
riconoscimento Cortona Doc viene istituita
con D.M. del 1 settembre 1999. La DOC è riservata ai vini che rispondono alle condizioni
e requisiti prescritti dal disciplinare di produzione per le seguenti tipologie: Chardonnay,
Grechetto, Sauvignon, Rosso, Cabernet Sau-
vignon, Cabernet Sauvignon Riserva, Merlot, Merlot Riserva, Sangiovese, Sangiovese
Riserva, Syrah, Syrah Riserva, Vin Santo, Vin
Santo Riserva e Vin Santo Occhio di Pernice.
La zona di coltivazione delle uve atte alla
produzione dei vini “Cortona” ricade nella
provincia di Arezzo e comprende i terreni vocati alla qualità del territorio amministrativo
del comune di Cortona. Anche le operazioni
di vinificazione, ivi compresi l’invecchiamento obbligatorio, l’appassimento delle uve,
l’affinamento in bottiglia obbligatorio e le
operazioni d’imbottigliamento devono essere
effettuate nel territorio amministrativo del
comune di Cortona.
Le tipologie “Vin Santo” devono essere ottenute da uve fatte appassire in locali idonei
fino a raggiungere un contenuto zuccherino
del 28% per il vino a denominazione di origi-
ne controllata “Cortona Vin Santo” e “Cortona Vin Santo Riserva” e del 35% per il vino a
denominazione di origine controllata “Cortona Vin Santo Occhio di Pernice”. La DOC Cortona è senza dubbio il fenomeno innovativo
più recente di un territorio della Toscana che
si è saputo inventare uno spazio enologico
fuori del Sangiovese, utilizzando al meglio le
caratteristiche del terroir per avere vini con
uvaggio a bacca rossa internazionali: Merlot,
Syrah ed Cabernet Sauvignon.
Il Consorzio nasce nel 2000, oggi ha circa
una trentina di aziende che producono circa
un milione di bottiglie. Le aziende presenti
con i vini erano 11 con 17 campioni tra le
annate 2014-2013 e 2012. Peccato non aver
avuto nessun Vin Santo da degustare. Questa
zona è riconosciuta come la “Côte du Rhône
d’Italy” per la particolare attenzione nella
coltivazione dell’uva Syrah da cui si stanno ottenendo eccellenti vini rossi speziati e
ricchi di calore e scuri di colore. Ma anche
il Merlot trova spazi per emergere. Tra i migliori assaggi, queste le aziende da suggerire:
Boscarelli (che produce bene anche a Montepulciano), Tenimenti Luigi D’Alessandro,
Stefania Mezzetti, Podere Il Fitto, Fabrizio
Dionisio e pur se non presente suggeriamo
per conoscenze personali i vini di Riccardo e
Silvia Baracchi, anche proprietari del Relais
& Chateaux Il Falconiere, ristorante (stella
Michelin) e SPA di Cortona.
Queste alcune informazioni sulle altre tre
personali degustazioni: Morellino di Scansano, è un vino DOCG la cui produzione è consentita in parte della provincia di Grosseto.
Già DOC dal 1978, l’attuale riconoscimento
superiore è stato conferito dal Decreto Ministeriale del 14 novembre 2006. Presenti 29
aziende con 48 vini. Da segnalare i produtto-
ri: Asintone, Erik Banti, Fattoria Mantellassi,
La Selva, Morisfarms, Roccapesta, Terenzi,
Villa Patrizia.
Montecucco, è un vino rosso che prese la
DOC nel 1998, dal 2011 si può fregiare della
DOCG; la produzione è consentita in alcuni
comuni fra la provincia di Grosseto e di Siena
(soprattutto nei comuni di Cinigiano, Paganico, Campagnatico, Roccalbegna e Castel
del Piano), al confine con la zona vinicola
di Montalcino). 26 aziende con altrettanti
vini. I migliori assaggi sono stati quelli delle
aziende: Tenuta L’Impostino, Peteglia, Salustri, Poggio Mandorlo, Collemassari, Basile e
Perazzeta.
Maremma Toscana DOC, è una delle 39 Denominazioni di Origine Controllata della regione Toscana ed è una delle più importanti
DOC della regione ed occupa tutta la provincia di Grosseto. Esiste dal 1995 con IGT ed
è passata a DOC dal 2011. Un poutpurri di
vitigni bianchi e rossi da cui difficilmente se
ne viene a capo. 28 aziende con 55 vini. Interessanti alcuni vini Pugnitello. Le aziende più
qualificate per i miei assaggi che non hanno
superato i 20 vini: Basile, Podere La Pace, La
Biagiola, Simona Cecchierini, Roccapesta, La
Cura, Rocca di Frassinello, Rocca di Montemassi, Le Mortelle, Val delle Rose e Maremma Vigna mia. Non ho degustato i vini delle
denominazioni: Valdarno di Sopra, Colline
Lucchesi e Bianco di Pitigliano e Sovana.
Chianti lovers
Nell’Ex Manifattura Tabacchi di Firenze, archeologia industriale degli anni Quaranta,
come lo scorso anno, il giorno 14, San Valentino, il Consorzio del Chianti DOCG, ha voluto
far da apripista alle degustazioni invitando
tutti all’Anteprima Chianti Lovers 2016 delle
nuove annate. A essere presentati e degustati il Chianti DOCG 2015 (in anteprima), i
Chianti DOCG 2014, e le Riserva 2013.
“Il 2013 è stata un’annata difficile ma dimostreremo che è possibile fare ottimi vini
lo stesso. L’anno scorso, invece, è stata una
bellissima stagione con un clima favorevole,
caldo e con uve sane. E quando la materia prima è buona è più facile fare un vino buono”
ha commentato Giovanni Busi, presidente
del Consorzio vino Chianti. “Di solito le anteprime sono destinate a trade e giornalisti, noi
invece abbiamo deciso di scommettere ancora una volta su questa formula tra stampa e
pubblico, - ha continuato Busi - in maniera
che tutti possano assaggiare i vini che arriveranno sul mercato, non solo leggere sulle riviste come saranno: è la giusta strada per una
denominazione come il Chianti che vuole far
apprezzare al vasto pubblico un grande vino
fatto di storia, persone e passione”.
Queste le sue considerazioni, non sempre condivise (vedi le varie versioni sulla vendemmia
2014) e sul fatto che dopo le 16, l’incontro
diventa una “sana” platea di bevitori. Per nostra fortuna, gli assaggi dei giornalisti sono
cominciati molto presto (alle 09,30) e si è potuto degustare tranquillamente e ben assistiti
sino alle 16. Si spera che per l’edizione 2017 si
possa ancora migliorare sia la location (fascinosa ma fangosa…. pioveva e c’erano pozze
d’acqua dappertutto) e la giusta divisione tra
professionisti e wine lovers, che anche loro
hanno diritto ai loro spazi in quando paganti
di un biglietto d’entrata di 15 euro.
Nel 2015 furono più di 2.400 i visitatori, 100
le aziende e oltre 400 le tipologie di vino in
mescita presentate. Quest’anno 115 i produttori presenti, dai grandi nomi ai piccoli
vigneti, con solo 183 etichette (96 vini del
aprile 2016 La Rivista - 65
Fra i giornalisti accreditati, 98 erano quelli provenienti dall’estero: nel caso specifico dal Brasile
2015, 29 del 2014 e 58, interessantissime,
Riserve 2013. Tre i consorzi che sono stati selezionati per la degustazione di oggi: il
Consorzio Chianti Colli Fiorentini (nasce nel
1994, 27 aziende associate), e il suo vino
di grande equilibrio, dai pro-fumi freschi e
fruttati, leggermen-te tannico; il Consorzio
Chianti Colli Senesi (fondato nel 1977 ma rinato nel 2001, con 300 soci); il Sangiovese di
queste zone, capace di esprimersi in molteplici forme, a seconda dei terreni e del microclima in cui viene allevato, regala struttura e
profumi e il Chianti Rufìna che viene fondato
nel 1980: 20 le aziende; è la più piccola delle
sette sottozone, e in quest’area, grazie al suo
microclima e al territorio, il vino che si produce è elegante, con una personalità decisa,
caratterizzato da una singolare longevità.
territori delimitati per legge, che si trovano
nelle province di Arezzo, Firenze, Pisa, Pistoia,
Prato e Siena. Questo ambiente è caratterizzato da un sistema collinare a grandi terraz-
Origine del Consorzio
II Consorzio Vino Chianti si è costituito nel
1927 ad opera di un gruppo di viticoltori delle province di Firenze, Siena, Arezzo e Pistoia,
allargando successivamente la sua operatività a tutta la zona di produzione, riconosciuta
dal Disciplinare del 1967, poi recepita nella
Denominazione di Origine Controllata e Garantita riconosciuta nel 1984 e aggiornata,
per ultimo, con decreto del 19 giugno 2009.
Oltre tremilaseicento produttori, che interessano più di 15.500 ettari di vigneto per oltre
800.000 ettolitri di Chianti delle varie zone e
tipologie, che sono tutelati dal Consorzio. La
zona di produzione del Chianti è costituita da
66 - La Rivista aprile 2016
Giovanni Busi, presidente del Consorzio vino Chianti
ze con vallate attraversate da fiumi. La Denominazione “Chianti” può essere integrata
con le menzioni aggiuntive Colli Aretini, Colli
Fiorentini, Colli Senesi, Colline Pisane, Montalbano, Rufina e Montespertoli, corrispondenti, le prime, alle sottozone geografiche,
contemplate dalla prima delimitazione del
territorio stabilita con D.M. 31 luglio 1932,
mentre l’ultima, Montespertoli, è stata riconosciuta con Decreto 8 settembre 1997. In
tali zone specifiche, sono previste per il vino
modalità produttive più restrittive e requisiti
particolari. Interessante notare il recupero
della tipologia “Superiore”, con più alte caratteristiche e che riguarda potenzialmente
tutta la zona dei vini Chianti. Con Decreto
Ministeriale 5 agosto 1996, è stata modificata la precedente normativa con la emanazione di due distinti disciplinari per i vini Chianti
DOCG e per il vino Chianti Classico DOCG (di
cui parleremo sulla prossima edizione della
Rivista). I vitigni fondamentali che concorrono alla formazione del vigneto Chianti DOCG
sono i seguenti: Sangiovese minimo 70%,
complementari fino al 30%, con un massimo
per i vitigni bianchi del 10% e del 15% per i
vitigni Cabernet. La resa massima di uva per
ettaro è di 90 quintali per il Chianti DOCG,
80 quintali per gli altri a DOCG: Colli Aretini,
Colli Fiorentini, Colli Senesi, Colline Pisane,
Montalbano, Rufina e Montespertoli e 75
quintali per il Chianti Superiore DOCG. II vino
ha colore rosso rubino, tendente al granato
con l’invecchiamento, di sapore armonico,
sapido, leggermente tannico, con profumo
intenso, vinoso, anche con sentori di mammola. Può essere consumato, per qualche
tipologia, come vino giovane, fresco e gradevole al palato, ma è ben nota anche, per
alcune zone, la sua vocazione ad un medio e
lungo invecchiamento, dove mette in risalto
colore, profumo e sapore inconfondibili.
La degustazione
Gli assaggi personali della vendemmia 2015
li ho fatti bicchiere alla mano al banco con i
produttori. Non tutti i 96 campioni. Ho saltato da uno all’altro (circa 30 assaggi) e l’annata mi è sembrata molto espressiva e varietale
sia nei profumi floreali che nei sentori fruttati. La freschezza in bocca e l’acidità era ben
presente in tutti i campioni. Anche la struttura non mancava ma di questo si gioverà
il vino che sarà proposto a suo tempo come
Riserva. Tra i migliori assaggi dei Chianti
2015: Az. Agr. Il Ciliegio; Bindi Sergardi; Buccia Nera; Camperchi; Casale dello Sparviero;
Fattoria Casagrande; Fattoria Lavacchio;
Fattoria Uccelliera; Fattoria Varramista; Guidi 1929; Mannucci Droandi; Poggio Bonelli e
Villa Travignoli.
Gli assaggi dei 29 vini della vendemmia 2014
li ho effettuati a tavolino con il servizio dei
bravi sommelier. Vini che hanno messo in
mostra le difficoltà di una vendemmia critica. Molti vini ancora aggressivi e disarmonici con evidenti sentori boisé e speziature
già tendenti al caffeoso. Quei vini che vado
a suggerire hanno davvero avuto attenzioni
particolari da parte dei produttori. Le preferenze sono andate ai vini delle aziende:
Casale dello Spirito; Fattoria Casagrande;
Fattoria di Fiano; Fattoria Il Lago; Fattoria
Lavacchio; Fattoria San Fabiano; Frascole; Le
Torri; Fattoria Le Sorgenti; Selvapiana; Tenuta Tresanti; Usiglian del Vescovo.
Tra le 58 etichette Riserva 2013 a disposizione ho scelto a memoria. Non potendo degustarli tutti, ho preferito farmi servire quelli
a me già abbastanza conosciuti negli anni.
Molti di questi vini però non erano ancora
usciti sul mercato ma comunque erano in
bottiglia già da un po’ di tempo. Ben pochi
vini non superavano gli 88/89 punti. Quelli
che vado a suggerire hanno avuto un mio
punteggio superiore a 90/100. Vini eleganti,
netti nei sentori fruttati di ribes, more, amarene, mirtilli, gelso, con chiusura di buona
speziatura e balsamicità. Sapiente uso del
legno. In bocca molta piacevolezza con setosa trama tannica, avvolgenza ben levigata
e chiusura profonda e aristocratica. Nobili
vini ben promettenti per stare alcuni anni
in cantina. Eccoli i produttori da me prescelti: Az. Agr. La Cignozza; Az. Agr. Il Ciliegio;
Campo del Monte; Fattoria Betti; Fattoria di
Bagnolo; Fattoria di San Michele a Torri; Fattoria I Veroni; Fattoria Il Capitano; Frascole;
Mannucci Droandi; Marchese Gondi-Tenuta
Bossi; Marchesi de’ Frescobaldi; Piandaccoli;
Selvapiana; Trecciano.
Le zone di produzione del Chianti DOCG
aprile 2016 La Rivista - 67
di Rocco Lettieri
Il Vinalies® Internationales 2016,
giunto alla 22a edizione, organizzato dall’Unione degli Enologi di
Francia, si è svolto da Venerdì 26
Febbraio a Martedì 1° marzo 2016,
presso l’Hotel Marriott di Parigi. Il
Concorso rientra a buon diritto tra
i più prestigiosi del mondo del vino.
Nel corso di 5 giorni, i membri della
giuria, tutti esperti di analisi sensoriale, si riuniscono ogni mattina sotto la presidenza di uno specialista di
vino francese, per valutare vini che
provengono da tutti gli angoli del
mondo. Quest’anno sono stati 3413
i campioni ammessi, 1447 campioni
della Francia e altri 1969 provenienti dall’estero: 134 erano gli italiani,
188 gli svizzeri.
38 i Paesi che hanno aderito con
i loro campioni. 137 i degustatori
provenienti da 36 nazionalità diverse (71 francesi), selezionati con
cura per le loro capacità degustative tra enologi, produttori, giornalisti, blogger, master of wine, courtier, agronomi. Il 30% dei vini sono
solitamente medagliati al termine
dello spoglio delle schede delle giurie. 2 sono i tipi di medaglie che
vengono assegnate (Oro e Argento).
Per ogni vino degustato viene compilato un giudizio. 8 Premi vengono
dati per ognuna delle otto categorie
al miglior risultato con il punteggio
più qualificato (medaglia d’Oro):
vins blancs secs; vins rouge secs;
vins rosés; vins effervescents; vins
liquoreux; vins de liqueur; eaux-devie; hors vin.
68 - La Rivista aprile 2016
Vinalies® Internationales
2016 a Parigi
Un concorso ben orchestrato
Un concorso che si svolge nelle migliori
condizioni di comfort e di assistenza tecnica da parte di sommeliers professionisti, nel silenzio necessario, con giurie di
5 o 7 componenti, distribuite in diverse
stanze separate da paratie mobili. Un totale di circa 150 professionisti del settore,
che per 5 giorni, dalle 08,30 di mattina
degustano sino alle 13,30 con una breve
pausa per una bibita, acqua, e/o succo di
frutta, con leggeri appetizer per non appesantire il palato che avrà ancora molto
da degustare.
Il giudizio viene dato in modo imparziale
al vino servito coperto, con le istruzioni
dell’Organizzazione Internazionale della
Vigna e del Vino (OIV) e dell’Unione Internazionale degli Enologi (UIOE). Ogni
membro della giuria annota su foglio predisposto il suo giudizio personale e commenta il campione presentato, segnando quindi su tablet il proprio punteggio
portando ad una media complessiva. Su
ogni campione presentato, si possono fare
commenti, dibattiti e discussioni coordinati dal presidente di giuria. Si degustano
due serie di circa 15/18 vini; poi come si
diceva, breve pausa, e altre due serie di
altrettanti vini che spaziano da bianchi a
rossi e/o rosati, spumanti e vini dolci, passiti, liquorosi ma pure cognac, armagnac,
e distillati diversi. I produttori possono
vestire la loro bottiglia premiata con bollini adesivi riconosciuti in tutto il mondo.
Basandosi sulla reputazione del concorso,
i vini medagliati girano il mondo e sono
molto apprezzati da ristoratori, importatori e dai wine lovers.
Riconosciuto ufficilamente
Il Concorso Vinalies® Internationales è
certificato ISO 9001, già dal 2008, in
conformità alla norma OIV per concorsi
internazionali di vino e bevande spirito-
se di origine vitivinicola, e viene operato
con rigore, coerenza e precisione in tutte le fasi del suo percorso. È anche stato
riconosciuto ufficialmente dal Ministère
de l’Agriculture, de l’Agroalimentaire et
de la Forêt; dal Ministère de l’Enseignement supérieur et de la Recherche; dal
Ministère du Travail, de l’Emploi, de la
Formation professionnelle et du Dialogue
social e dall’Union Internationale des Oenologues.
Vinalies® Internationales si conferma essere un’associazione caratterizzata da:
Passion, è il motore di Vinalies® Internationales durante questi 5 giorni di degustazione a Parigi, dove la giuria si è riunita. Dietro ogni commento, si trova l’analisi appassionata ed emozionante che loro
mettono nel loro lavoro.
Diversité, è la caratteristica del panel di
assaggiatori composto da esperti di analisi di tutto il mondo sensoriale. Quasi 40
nazionalità sono rappresentate nel panel,
una diversità che contribuisce alla unicità
dell’evento.
Confiance, stabilita da oltre 20 anni con
i produttori francesi e internazionali che
ogni anno inviano il loro vino nella speranza di ricevere un “Vinalies” d’oro o
d’argento.
Impartialité, data dal servizio alla cieca di
tutti i campioni, caratteristica primaria di
Vinalies® Internationales.
Professionnalisme, riconosciuto dalla
certificazione ISO 9001, per il rigore, la
coerenza e la precisione in tutta la fase
dell’elaborato programma.
Organisation, orchestrata per oltre 20
anni. Non va dimenticato che questa
competizione non esisterebbe senza il lavoro che c’è dietro un tale evento. Questa
è una squadra compatta e coesa dove ogni
membro porta in essa collaborazione per
ogni esigenza, poiché anche il più piccolo
dettaglio è importante nella funzionalità.
Modalità di degustazione e giurie
Ed è proprio l’articolo 6 a definire i termini per l’organizzazione della degustazione. Infatti, i vini saranno raggruppati e
degustati in base alla loro categoria (origine, tipo, colore), e i campioni saranno
inseriti in una confezione sempre identica
e scura nascondendo così la loro forma e
garantendo l’anonimato. La valutazione
dei vini sarà anche descrittiva e includerà
commenti su:
• caratteristiche visive,
• caratteristiche olfattive,
• impressione palatale,
• impressione generale,
• tipicità del prodotto.
Le giurie saranno composte principalmente da enologi francesi e internazionali. Alla presidenza sempre un enologo
francese, membro della Union des OEnologues de France (UOEF). I giudici non
enologi vengono scelti tra gli specialisti
riconosciuti per le loro competenze nel
campo della degustazione, della produzione, della commercializzazione, del
consumo, della comunicazione, ecc. Il
numero totale dei giudici internazionali
viene deciso in base al numero dei cam-
pioni presentati. Ogni panel è composto
da almeno 5 giudici di cui due terzi devono essere degustatori qualificati: 3 giudici internazionali e 2 giudici francesi, tra
cui almeno un enologo. Gli UOEF adottano misure appropriate in modo che un
concorrente, membro della giuria, non
giudicherà i suoi vini. Gli UOEF devono
raccogliere una dichiarazione sull’onore
da parte dei membri della giuria che indica i loro rapporti diretti o indiretti con
i vini presentati al concorso. Gli UOEF
designano, per ogni panel, il presidente,
che deve gestire il funzionamento della
degustazione, assicurare il funzionamento generale della giuria e riassumere
i commenti di degustazione. L’UOEF deve
prendersi cura del buon funzionamento
del Vinalies® Internationales e designare
un commissario generale indipendente che non partecipa alla gestione del
concorso. Quest’ultimo ha il compito di
verificare il rispetto delle regole, la preparazione dei campioni, l’organizzazione
e lo svolgimento della degustazione e
del suo giudizio, sino alla pubblicazione
dei risultati. L’ UOEF si riserva il diritto
esclusivo di controllare l’uso commercia-
le dei premi. L’utilizzo non autorizzato
e la riproduzione del logo e dei premi
sono severamente vietati. I risultati del
concorso saranno ampiamente trasmesse con ogni possibile mezzo utilizzando
ogni strumento di comunicazione (televisione, radio, riviste specializzate, riviste
alimentari, ecc).
Vinalies® Internationales –
Le Medaglie d’Oro e d’Argento
In totale su 3413 campioni di vino di 38
Paesi, sono state assegnate 253 Medaglie
d’Oro e 779 Medaglie d’Argento per un
totale di 1032. La Francia primeggia con
1447 campioni presentati (83 Oro, 343
Argento); a seguire il Portogallo con 261
campioni (34 Oro e 61 Argento); quindi la
Spagna con 256 campioni (31 Oro e 59
Agento); la Slovacchia con 192 campioni
(18 Oro e 37 Argento); la Svizzera con 188
campioni (7 Oro e 42 Argento) e l’Italia
con 134 campioni (6 Oro e 30 Argento).
Subito sotto i 100 campioni il Cile con
98 (13 Oro e 30 Argento). Risultati che
fanno davvero pensare che molti piccoli
stati stanno facendo passi da giganti nella qualità.
Le vin snob
Durante la manifestazione è stato anche presentato
il nuovo volume di Jacques Orhon: LE VIN SNOB, una
piacevole lettura che ci trascina nelle sue scorribande
di quatto decenni nel mondo del vino. Tutti capitoli
ricchi della sua verve, con un tocco di derisione e una
buona dose di umorismo.
Un mondo che è diventato, per alcuni aspetti, un modo
intimidatorio che spaventa a distanza gli enofili prima
ancora di sperimentare il nettare divino.
Un Master Sommelier che racconta i vini stellati e
la speculazione che c’è dietro, che attacca anche le
tendenze della moda, del marketing e dei gadget. Un
occhio acuto e critico sulle tante sfaccettature del vino.
Un libro che è per gli amanti del vino, un appello
colorato e vivace per quello che dovrebbe essere
prima di tutto: un piacere condiviso in un’atmosfera
amichevole. Jacques Orhon è sommelier e fondatore
dell’Associazione
canadese
dei
Sommelier
professionisti. Reale globetrotter, ha viaggiato per 40
anni tra i vigneti di tutto il mondo. Docente, professore
ed esperto assaggiatore, ha pubblicato molti libri,
è assiduo collaboratore di programmi televisivi e di
riviste.
In Italia ha ricevuto il prestigioso premio “Masi” della
Civiltà del vino.
aprile 2016 La Rivista - 69
Apertura del
nuovo Molino
ad Affoltern am
Albis
Protagonista all’interno del locale è sicuramente il forno-pizza, il cui rivestimento realizzato in ottone attira l’attenzione
di tutta la sala © Vera Hartmann
Fresco in tavola:
il ristorante Molino si presenta con
una veste totalmente rinnovata
La località di Affoltern am Albis si arricchisce di un nuovo indirizzo culinario: si è svolta il 12 marzo la giornata di
inaugurazione della Pizzeria Ristorante Molino, situata sulla
Obstgartenstrasse 5, a soli 5 minuti a piedi dalla stazione
ferroviaria. Il ristorante è provvisto di 135 coperti. Inoltre,
160 posti saranno disponibili nella terrazza esterna. Si tratta del primo Molino che sorge in Svizzera dopo il restyling
applicato ad un concetto di design completamente nuovo.
Il motto – autentica italianità per tutti – lanciato da Molino ha segnato la storia di 28 anni di successi del ristorante. Ma sono gli interni
a rappresentare la vera novità. L’arredamento libero e aperto e i preLegno in abbondanza, pelle, marmo ed elementi in ottone costituiscono lo
scenario perfetto per un ristorante semplice e allegro © Vera Hartmann
giati materiali naturali accuratamente scelti
dall’architetta d’interni Ushi Tamborriello rispecchiano l’identità del locale, offrendo una
ventata di freschezza allo stile classico della
pizzeria. Ciò nonostante, la pizza rimane la
specialità per eccellenza di Molino. “Con la
nuova apertura poniamo le basi per il futuro”,
così ha affermato Nicole Thurnherr, responsabile Product Management e membro della direzione del gruppo Ospena, gestore di Molino.
Il nuovo design sarà adottato gradualmente
sia nei locali esistenti sia in quelli nuovi.
Cucina italiana genuina combinata
ad un’atmosfera informale
Italianità: basta solo questo termine per risvegliare i sensi. Ricette autentiche e cuochi
altamente qualificati hanno reso il Molino un
punto di riferimento per gli appassionati della cucina italiana. Tra le eccellenze non può
non esserci la pizza DOC. La pasta, realizzata
da una ricetta casalinga, viene lasciata a fermentare per 48 ore – una garanzia per una
pizza sana e leggera. In seguito, la pasta viene
coperta con prodotti freschi di prima scelta.
In aggiunta alla tradizionale pizza il ristorante
70 - La Rivista aprile 2016
offre antipasti fatti in casa, diverse varietà di
pasta, minestre, risotti, una variegata scelta
di pesce e carne, dolci squisiti, così come una
pregiata scelta di vini locali e mediterranei.
Materiali naturali di alta qualità
Il rinomato atelier Ushi Tamborriello, che si è
affermato in Svizzera grazie alla progettazione di hotel e ristoranti così come di piscine,
da sempre investe nella scelta di elementi
ornamentali quali i materiali naturali di alta
qualità. Legno in abbondanza, pelle, marmo ed
elementi in ottone costituiscono lo scenario
perfetto per un ristorante semplice e allegro,
che rappresenta il perfetto connubio tra lo
stare insieme e la buona cucina.
A fare da protagonista all’interno del locale è
sicuramente il forno-pizza, il cui rivestimento
realizzato in ottone attira l’attenzione di tutta
la sala. Gli stucchi alle pareti rivelano le tracce
della loro storia, un segno di autenticità, proprio
come i prodotti che vengono esposti nell’antica
credenza in legno. La credenza che rievoca i tradizionali manufatti italiani, induce gli ospiti ad
accostarsi alla cucina e alle pietanze che vengono preparate con cura. “È come un’opera d’arte
che accompagna l’immaginazione dell’ospite
nel luogo da dove provengono queste prelibatezze, ossia l’Italia”, affema Ushi Tamborriello.
La soleggiata terrazza esterna cattura all’istante l’attenzione, rievocando i tradizionali
bar e trattorie italiane. I rivestimenti in marmo rappresentano un omaggio alla tecnica di
costruzione mediterranea ed alle famose cave
di Carrara. L’illuminazione raffinata conferisce
all’ambiente un’atmosfera unica ed elegante.
E così gli ospiti prendono posto, si raccolgono
nella lounge, prendono un veloce caffè con un
dolce, seduti all’ampio tavolo di legno, mentre
altri festeggiano con famiglia e amici intorno
al tavolo: scene di vita quotidiana italiana.
Aperta 365 giorni l’anno
La Pizzeria Ristorante Molino ad Affoltern am
Albis è aperta sette giorni su sette con i seguenti orari: dal lunedì al sabato dalle 8 alle
24 e la domenica dalle 9 alle 23. La cucina è
aperta ad orario continuato. Lo staff di Molino
e il gestore Miroslav Nedeljkovic saranno lieti
di accogliere le prenotazioni telefonicamente
al numero 044 762 40 30 oppure per e-mail
all’indirizzo [email protected].
Convivio
di Domenico Cosentino
Ma gli spaghetti si mangiano
col cucchiaio o no?
Parla come mangi
solo con la forchetta…
“Spoon or not to spoon”, Cucchiaio sì o cucchiaio no?
È la domanda che ha posto la cronista americana del Daily News, Janette Settembre durante un dibattito su come mangiare gli spaghetti,
al convegno inaugurale del Festival del giornalismo alimentare, che si
è tenuto nell’aula magna dell’università cavalleria reale a Torino dal 25
al 27 febbraio 2016. Tre giorni intensi di lavoro, ai quali il viaggiatore
ha partecipato, in cui il cibo non è stato soltanto mangiato, ma anche assaporato e analizzato in ogni minimo dettaglio attraverso tavole
rotonde, workshop, show cooking, degustazioni, press-trip e iniziative
ludico didattiche.
A raccontare e a raccontarsi sono stati personaggi noti e meno noti
provenienti da realtà e paesi differenti, con esperienze di vita analoghe
o completamente opposte con idee e progetti spesso discordanti, ma
uniti tutti dalla medesima grande passione: “Come difendere il cibo
della grande Cucina delle regioni italiane”, in un momento in cui è
stato destrutturato, trasformato in una “religione” dai rituali con nomi
strani e da mode, dove la liturgia prevede immancabilmente anche la
descrizione esatta del piatto: “Servito nel suo letto di…”, impedendo
così al commensale di cominciare a mangiare, non prima che l’orazione
venga conclusa, ostentando concentrazione mistica per non innervosire
i “sacerdoti” della “gastroreligione”, e i Sommelier (ex camerieri). A
tale proposito, il critico gastronomico inglese Tom Parker-Bowles ha
di recente inserito il “salmo” tra le caratteristiche che rendono insopportabili questi Templi della ristorazione: “frigidi luoghi dove la conversazione viene costantemente interrotta da uno stremante flusso di
spiegazioni riguardo al menù”.
A Torino, però, a questo primo festival giornalistico internazionale del
cibo e dell’alimentazione, sotto lo slogan: “ L’Italia che comunica il
cibo”, oltre che delle mode e della trasformazione del cibo, si è parlato
anche di tante altre cose: dell’’acqua pubblica, che è “buona e sicura”;
di come cucinare senza sprechi; di come la ricerca alimentare possa
fare notizia; dei reati alimentari; della sicurezza alimentare; di come
comunicare il vino ai giovani, tra spinte al proibizionismo e cultura
del bere; delle regole del Galateo: come stare a tavola e in che modo
mangiare (in particolar modo gli spaghetti) e, infine, del linguaggio
del giornalismo alimentare: “Parla come mangi. Viaggio tra le parole in
cucina” è stato il dibattito più partecipato e interessante del festival.
Sul linguaggio de giornalismo alimentare e sulle regole di come stare
a tavola, si sono concentrati e confrontati linguisti, scrittrici, blogger
e scrittori italiani. Ospite e moderatrice della giornata: la cronista del
New York Daily News, Janette Settembre che, nel bel mezzo del dibattito, ha posto la domanda ai linguisti e giornalisti italiani: “Ma in Italia
gli spaghetti al pomodoro li mangiate con forchetta e cucchiaio?
Dubbio amletico
Stando a quanto ha raccontato la cronista americana, sembra che In
USA, la questione “cucchiaio sì cucchiaio no” sia tutt’altro che chiusa. Il
dibattito è molto acceso, tanto più dopo l’uscita del film Brooklyn di John
Crowly (film che consiglio di andare a vedere), in cui una tipica famiglia
italo-americana mangia gli spaghetti con forchetta e cucchiaio. Nel film
di Crowley – storia ambientata negli anni ’50, Ellis, una giovane irlandese,
… anche con il cucchiaio?
aprile 2016 La Rivista - 71
no tutti gli Italiani, ma non vuol dire che non puoi usare anche il cucchiaio
per aiutarti a mangiare la pasta lunga e riuscire, col tempo, ad arrotolare
intorno ai rebbi della forchetta la matassina giusta. In Italia, dunque si
usano entrambi i metodi. Più un terzo, aggiungo io: quello di mangiare
gli “spaghetti con le dita”. Come in quella celebre scena del film Miseria e
Nobiltà in cui Totò e compagnia bella afferrano gli spaghetti con le mani
e li portano alla bocca. ma lì più che l’etichetta poteva la fame arretrata.
Metodo brutto e poco civile
Sordi in una scena di Un americano a Roma…
divisa tra due vite sulle sponde opposte dell’Atlantico, si innamora di Tony,
un ragazzo di origini italiane. Quando viene invitata a cena dalla famiglia
di lui, per fare bella figura, la ragazza si fa dare lezioni di “spaghetti eating”
da un’amica italiana. Che le insegna come mangiare gli spaghetti “properly” cioè correttamente, con forchetta e cucchiaio! I genitori e fratelli
rimangono sbalorditi e ben impressionati da come la timida straniera sappia arrotolare gli spaghetti alla perfezione. Visto che anche loro da sempre
hanno usato, per mangiare gli spaghetti (al pomodoro, alla amatriciana
o alla carbonara) , forchetta e cucchiaio. Da qui il legittimo dubbio degli
americani: “To spoon or not to spoon?”, con o senza il cucchiaio.
Indagando tra i ristoranti di
New York
Il problema se l’è posto anche la cronista americana del New York Daily
News, Janette Settembre, che prima di porre la domanda ai linguisti
e giornalisti italiani presenti a Torino, giustamente per avere risposte
autorevoli era andata in giro a domandare fra alcuni ristoranti italiani
che operano a New York, senza avere, purtroppo, risposte incoraggianti. Secondo lo chef Vittorio Asoli, proprietario della Trattoria Romana a
Staten Island, non ci sono dubbi: “la pasta lunga si mangia con la sola
forchetta, perché così hanno sempre fatto e fanno ancora oggi a casa
dei suoi genitori”. Di tutt’altro avviso, lo chef Pasquino Vitello, comproprietario col fratello del Queen Italian restaurant di Brooklyn, che assicura: “Gli spaghetti si mangiano con forchetta e cucchiaio”, facendo
vedere in video come farlo alla perfezione!
Se questa è l’opinione (rispettabile!) di due chef italiani che vivono e lavorano in America, ascoltando la cronista del New York Daily, al viaggiatore
goloso è sorta spontanea una domanda: “Ma quanto hanno di davvero
italiano i molti ristoranti italiani in USA e in generale nel mondo?” In ogni
caso, per quanto riguarda la diatriba negli Stati Uniti, l’aveva già risolta nei
primi anni ottanta Miss Manners, pseudonimo della giornalista esperta di
etichetta Judith Martin, che nella sua Guida al comportamento estremamente corretto (Guide to Excruciatingly Correct Behavior, 1982) alla voce
spaghetti scriveva: “La forchetta è l’unico strumento consentito per mangiare gli spaghetti se c’è qualcuno che vi sta guardando”.
In Italia è dato per scontato
A differenza degli Stati Uniti d’America, il problema “cucchiaio si cucchiaio
no”, in Italia, non si è mai posto e non ha mai suscitato dibattiti. O, per
quanto io ne sappia, nessuno si è mai veramente interrogato sul corretto
modo di mangiare gli spaghetti, semplicemente perché è dato per scontato: “Per mangiare gli spaghetti, occorre e basta la forchetta”. Questo lo san-
72 - La Rivista aprile 2016
In casa di mia madre io e mia nonna eravamo gli unici a mangiare gli
spaghetti anche con il cucchiaio. Tutti gli altri componenti della famiglia –
mia madre in primis – ripudiavano il cucchiaio: si era educati a tavola solo
quando eri bravo a piantare la forchetta nel piatto e arrotolare (senza l’aiuto del cucchiaio) gli spaghetti intorno ai denti della forchetta. Ma io non
ne ero capace! E allora pretendevo che accanto al mio piatto di spaghetti
fumanti ci fosse sempre il cucchiaio insieme un pezzo di pane, per fare la
“scarpetta” e una formaggiera colma di pecorino grattugiato. Il formaggio
macinato mi serviva per dare all’insieme più consistenza e quindi un controllo maggiore della presa. Solo così e con l’aiuto del cucchiaio riuscivo a
portare il “gomitolo” ben arrotolato alla bocca in una sola volta. Anche se,
a volte, non tutto andava a buon fine: qualche filo di vermicelli, penzolava
restando fuori dal boccane. In questo caso, con calma sapevo cosa fare:
non risputavo lo spaghetto sul piatto, ma stringevo le labbra e iniziavo ad
inspirare succhiando all’in su finché il “vermicello” spariva in bocca, tra lo
stupore e i rimbrotti di mia madre, la quale sosteneva che il mio metodo di
mangiare gli spaghetti fosse brutto e poco civile.
Chi sa, forse mia madre aveva letto la Guida di Miss Manners che doveva avere un odio tremendo per il cucchiaio. Ecco cosa rispose ad
una lettrice che le aveva sottoposto il quesito: ”Nel mondo civile, nel
quale vengono inclusi gli Stati Uniti e l’Italia, non è corretto mangiare
gli spaghetti con un cucchiaio. La definizione di “civile” – ripeteva - è
una società che non considera corretto mangiare gli spaghetti con il
cucchiaio”. Personalmente spero che mangiare gli spaghetti con forchetta e cucchiaio non significhi essere “incivili”, perché giunto a questo punto, il viaggiatore goloso continuerà fino agli ultimi giorni della
sua vita a mangiare gli spaghetti sempre con forchetta e cucchiaio.
… e Totò in miseria e nobiltà non si ponevano il problema. Per loro l’importante era magiare
LA GASTRONOMIA ITALIANA IN SVIZZERA
(anche se potremmo farne a meno!)
Viva la cucina italiana!
Da noi vi offriamo le vere specialità italiane. Lasciatevi incantare
dal nostro ambiente mediterraneo, dalle nostre eccellenti pizze
con il marchio « vera pizza napoletana DOC », dalle tipiche pietanze
a base di carne o di pesce, nonché dalla nostra prelibata pasta
fresca e dai succulenti dolci. Il tutto accompagnato da una vasta
selezione di vini provenienti da tutte le regioni d’Italia.
Buon appetito!
I nostri 18 ristoranti pizzerie in Svizzera vi accolgono
7 giorni su 7, 365 giorni all’anno. Inoltre, offriamo a tutti
i membri su presentazione della tessera della Camera di
Commercio Italiana per la Svizzera uno sconto del
10% su tutte le consumazioni!
“Due” spaghetti al pomodoro
li sanno fare tutti gli Italiani.
Ma io ci provo:
Ingredienti per 4 persone:
7 dl. di passata di pomodoro,
uno spicchio d’aglio,
40 gr di olio d’oliva extravergine,
foglie di basilico,
sale e formaggio (a piacere) parmigiano o pecorino
Come li preparo:
In una padella con l’olio d’oliva, faccio rosolare lo spicchio d’aglio,
aggiungo la passata di pomodoro e faccio cuocere per 15 minuti. Aggiusto di sale. A parte faccio cuocere gli spaghetti. Li scolo ancora al
dente e li verso nella padella col pomodoro. Amalgamo, spolvero con il
formaggio, aggiungo le foglie di basilico spezzettato, porto a tavola e
li mangio con la mia forchetta e il mio cucchiaio.
Il vino:
va da sé, italiano, rosso, giovane e fruttato!
Molino Basilea
Steinenvorstadt 71
4051 Basilea
T 061 273 80 80
Molino Montreux
Place du Marché 6
1820 Montreux
T 021 965 13 34
Molino Berna
Waisenhausplatz 13
3011 Berna
T 031 311 21 71
Molino Thônex
Rue de Genève 106
1226 Thônex
T 022 860 88 88
Molino Crans-Montana
Rue de Pas-de-l’Ours 6
3963 Crans-Montana
T 027 481 90 90
Molino Uster
Poststrasse 20
8610 Uster
T 044 940 18 48
Molino Dietikon
Badenerstrasse 21
8953 Dietikon
T 044 740 14 18
Molino Vevey
Rue du Simplon 45
1800 Vevey
T 021 925 95 45
Molino Friborgo
93, rue de Lausanne
1700 Friborgo
T 026 322 30 65
Molino Winterthur
Marktgasse 45
8400 Winterthur
T 052 213 02 27
Molino Molard, Ginevra
Place du Molard 7
1204 Ginevra
T 022 310 99 88
Molino Zermatt
Bahnhofstrasse 52
3920 Zermatt
T 027 966 81 81
Molino La Praille, Ginevra
Centre Commercial La Praille
1227 Carouge
T 022 307 84 44
Molino Select, Zurigo
Limmatquai 16
8001 Zurigo
T 044 261 01 17
Molino Glattzentrum
Einkaufszentrum Glatt
8301 Glattzentrum
T 044 830 65 36
Molino Stauffacher, Zurigo
Stauffacherstrasse 31
8004 Zurigo
T 044 240 20 40
Le Lacustre, Ginevra
Quai Général-Guisan 5
1204 Ginevra
T 022 317 40 00
Frascati, Zurigo
Bellerivestrasse 2
8008 Zurigo
T 043 443 06 06
aprile 2016 La Rivista - 73
www.molino.ch
Studia e fai le scale e ti
mantieni giovane (di testa)
Vuoi un cervello più giovane? La ricetta è semplice: continua a studiare e fai
le scale a piedi. In uno studio pubblicato sulla rivista Neurobiology of Aging, i
ricercatori guidati da Jason Steffener della Concordia University di Montreal
mostrano che più rampe di scale si fanno a piedi, e più anni di scuola si
hanno alle spalle, più il cervello appare fisicamente giovane. Nei dettagli i
ricercatori hanno scoperto che l’età del cervello si riduce di 0,95 anni per
ogni anno di istruzione, e di 0,58 anni per ogni piano di scale al giorno.
«Esistono già campagne per “scegliere le scale” negli uffici», dice Steffener.
«Questo studio dimostra che simili campagne dovrebbero essere ampliate
anche agli anziani, in modo che possano fare qualcosa per mantenere il loro
cervello giovane». Nello studio, i ricercatori hanno utilizzato la risonanza
magnetica per un esame non invasivo del cervello di 331 adulti sani dai
19 ai 79 anni. Gli scienziati hanno misurato il volume di materia grigia dei
partecipanti perché il suo declino, causato dal restringimento neurale e dalla
perdita neuronale, è una parte molto visibile del processo di invecchiamento
cronologico.
Poi gli studiosi hanno confrontato il volume del cervello con i piani di scale saliti a piedi quotidianamente da ogni soggetto e con gli anni di studio
accumulati. I risultati sono stati chiari: i più rampe e più anni di scuola corrispondono a un cervello più giovane. «Questo studio dimostra che l’istruzione e l’attività fisica influenzano la differenza tra una previsione fisiologica
dell’invecchiamento e l’età cronologica, e che le persone sono in grado di fare
qualcosa di concreto per aiutare il loro cervello a rimanere giovane», dice
lo studioso. «In confronto a molte altre forme di attività fisica, fare le scale
è qualcosa che la maggior parte degli anziani può fare almeno una volta al
giorno», dice Steffener.
«Questo è incoraggiante perché dimostra che una cosa semplice come salire
le scale ha un grande potenziale come strumento di intervento per promuovere la salute del cervello»
74 - La Rivista aprile 2016
Il dolore si combatte con
l’ormone dell’amore
Il dolore potrebbe essere combattuto con l’ossitocina, il cosiddetto «ormone dell’amore».
Nota per il ruolo che svolge tra l’altro favorendo le contrazione dell’utero,
e dunque il parto, e stimolando la produzione del latte materno, l’ossitocina si è ora scoperto essere coinvolta anche nella percezione del dolore
infiammatorio. A rilevarlo una ricerca frutto della collaborazione tra ricercatori di diverse nazioni, alla quale ha partecipato l’Istituto di neuroscienze
del Consiglio nazionale delle ricerche (In-Cnr) di Milano. I risultati sono
stati pubblicati sulla rivista Neuron.
«La nostra ricerca ha permesso per la prima volta di identificare i neuroni
responsabili del rilascio dell’ossitocina da cui dipende la regolazione della
percezione del dolore a livello del midollo spinale», ha spiegato Bice Chini
dell’In-Cnr e dell’Irccs Istituto clinico Humanitas.
«In modelli sperimentali, si è visto che si tratta di circa 30 neuroni, situati in
una regione del cervello, l’ipotalamo, dal quale inviano i loro prolungamenti
fino alle sezioni più lontane del midollo spinale. Ed è qui che rilasciano questo ormone, che agisce regolando gli input dolorifici provenienti dalle aree
periferiche del corpo».
Inoltre, i neuroni ipotalamici identificati riescono a provocare il rilascio anche nel sangue, attraverso un circuito collaterale. «Lo studio ha evidenziato
che anche l’ossitocina presente a livello ematico contrasta il dolore, legandosi a recettori neuronali presenti nei gangli (raggruppamenti di neuroni
disposti lungo il decorso dei nervi) spinali», ha proseguito la ricercatrice.
«L’azione anti-dolorifica è quindi duplice, sia a livello midollare sia dei neuroni gangliari», ha aggiunto. «Va precisato che l’azione rilevata non è ad
ampio spettro: riguarda solo alcuni tipi di dolore, in particolare quello infiammatorio. È proprio nelle malattie infiammatorie, dunque, che si potrà
utilizzare l’ossitocina come analgesico», ha concluso.
Adolescenti italiani più
obesi e pigri dei coetanei
europei
Gli adolescenti italiani sono più pigri e obesi rispetto a quelli del resto
d’Europa, hanno più difficoltà a relazionarsi con gli adulti ma sono meno
violenti e praticano e subiscono meno il bullismo. Lo afferma il recente
rapporto sulla salute e il benessere dei giovani pubblicato dall’ufficio
europeo dell’Oms, secondo cui in generale tra i teen ager del continente
stanno diminuendo fumo e alcol.
Stando al rapporto, che contiene dati raccolti nel 2013-2014 su ragazze
e ragazzi di 11, 13 e 15 anni, più del 30% degli undicenni e dei tredicenni
maschi è sovrappeso o obeso, un dato che diminuisce, ma rimane sopra
il 25% per i quindicenni. Numeri ancora più preoccupanti si trovano per
i tassi di attività fisica, che vedono gli italiani ultimi assoluti sia a 11 che
a 13 anni, mentre sono superati solo dailoro coetanei d’Israele a 15. A
questa età appena il 5% delle ragazze e l’11% dei ragazzi fa almeno
un’ora al giorno di esercizio moderato o vigoroso.
«Obesità e inattività sono fattori indipendenti - afferma Franco Cavallo,
ordinario di epidemiologia dell’Università di Torino e curatore della parte
italiana - i fattori su cui bisognerebbe agire sono certo l’attività fisica, ma
non solo, anche i modelli alimentari, con quello mediterraneo che ormai
è stato “contaminato”.
Un altro capitolo su cui i ragazzi italiani vanno male è la relazione con la
famiglia, e la percezione della scuola, sembra che abbiano meno dimestichezza e meno capacità di relazionarsi con gli adulti. Tra i lati positivi
invece si segnala il bullismo, su cui siamo molto bassi in classifica contrariamente a quello che si potrebbe pensare».
All’età di 15 anni, conferma il rapporto, il 2% delle ragazze e il 3% dei
ragazzi italiani riporta di aver subito atti di bullismo, un numero superiore solo a quello di Islanda e Armenia e un decimo di quello della Lituania.
L’inquinamento atmosferico
danneggia i capelli
L’inquinamento atmosferico e lo smog possono danneggiare i capelli,
provocandone addirittura la perdita. Lo sostiene in un’intervista Fabio Rinaldi, dermatologo e Presidente dell’International Hair Research
Foundation e docente alla Sorbona di Parigi che sul tema sta conducendo delle ricerche. «Il fusto dei capelli - spiega - è come una spugna, che
assorbe tutto quel che c’è nell’atmosfera attraverso la cuticola esterna,
compresi odori, fumo di sigaretta, polveri sottili, metalli pesanti, gas di
scarico e quant’altro ammorba l’aria delle nostre città».
Le sostanze nocive si depositano sui capelli e vengono assorbite, rendendoli più brutti e più opachi. «Osservandoli al microscopio - spiega
il dermatologo - si vede bene che sono destrutturati». E la situazione
peggiora in inverno, quando ozono, PM10 e monossido di carbonio sono
alle stelle. «Nel 38% delle persone che abbiamo visitato - dice Rinaldi
- abbiamo riscontrato a livello del cuoio capelluto le presenza di una
dermatite irritativa, assente durante il periodo estivo, quando il tasso di
inquinamento dell’aria è decisamente inferiore».
Inoltre, gli specialisti si sono accorti che il grado maggiore di irritazione
si osserva proprio nei giorni in cui i livelli degli inquinanti toccano le
punte massime. Le parti esposte del corpo sono continuamente sottoposte al danno dell’inquinamento e quindi, a soffrire di più sono la pelle
del cuoio capelluto, del viso e delle mani. Bisogna quindi «prima di tutto,
lavare spesso i capelli». «Specie per chi abita in una grande città, è assolutamente consigliabile lavarli al massimo ogni 3 giorni. Che i lavaggi
troppo frequenti danneggino i capelli, infatti, è un falso mito, da sfatare».
Altra buona regola è quella di proteggere la testa con un cappellino.
aprile 2016 La Rivista - 75
La dieta
Rivista
di Tatiana Gaudimonte
Occhio agli sgarri!
(Ma anche no)
Tra le domande che più spesso mi sento rivolgere figurano: “Dottoressa, ma adesso come faccio se mi
invitano a cena?” Oppure: “Con la Pasqua, tutti questi dolci che arrivano…come si fa?” E ancora: “Io
vorrei resistere al richiamo del frigo alle dieci di sera…devo mettere un lucchetto?”. Sorrido sempre sotto
i baffi quando sento infilare l’appellativo “Dottoressa” a inizio o in mezzo a una di queste domande,
perché tradisce l’estrema ansia con cui mi vengono rivolte.
Insomma, chi inizia un percorso per modificare le proprie abitudini alimentari è spesso frenato, a volte
addirittura spaventato, dalla prospettiva di dover rinunciare a uno dei piccoli piaceri della vita: il cosiddetto “sgarro”.
Quindi è con un misto di incredulità (e forse masochistica delusione?) che vengo guardata quando rispondo
che, udite udite, lo sgarro è concesso.
Ma come? Con tutte le liste di cibi proibiti che si leggono a destra e a manca, con illustri luminari che
addirittura predicano l’astensione dal cibo come via alla salvezza, io oso permettere le patatine fritte, il
cioccolatino e il bicchiere di vino in più?
Ebbene, sì. Potrei circostanziare la mia risposta su queste righe, illustrando lavori scientifici e citando dati
e cifre, ma già vi sento fare “zzzz!” mentre inumidite l’indice per girare pagina, quindi soprassiedo e mi
limito a farvi una domanda: perché compare, spesso a tradimento, quella “non fame, ma voglia di qualcosa
di buono”? La risposta è piuttosto semplice: perché non siete sazi. Grazie tante! Direte voi. Eppure, come
sempre, dietro una risposta semplice si cela un mondo. Fame e sazietà sono stimoli modulati dall’ipotalamo,
che a sua volta riceve una serie di segnali da tutto l’organismo (bocca, stomaco, intestino, sangue, surreni e
perfino tessuti adiposi). Non dipende quindi solo dalla dimensione della porzione che vi siete serviti a tavola,
ma dalla qualità dei cibi con cui avete riempito il piatto, da come li avete ripartiti tra loro, da quanto a lungo
avete masticato, dall’orario dei pasti, da quanto siete stressati e così via.
Che succede, per esempio, quando ci mettiamo “a dieta”? Il solo fatto di iniziare a dover pesare il cibo e/o
di avere una lista di divieti ci sottopone a un carico di stress non indifferente. La diretta conseguenza è una
risposta ormonale con rilascio (mi limito a dirne uno solo!) di cortisolo che, tra i vari effetti sull’organismo,
aumenta il senso di fame. Risultato: un frustrante circolo vizioso di fame perpetua, sgarri, sensi di colpa,
nuova restrizione sul cibo e così via. Visto che ci siete, aggiungete anche un bel cilicio e una cintura di
castità e siete a posto!
Naturalmente, se l’obiettivo è quello di perdere il grasso in eccesso (e non il peso, attenzione!), non possiamo certo continuare a mangiare nel modo in cui quel grasso l’abbiamo accumulato: “È da folli fare le
stesse cose pretendendo risultati diversi”, diceva il buon Albert. Ma non è certo demonizzando la lasagna
della nonna, la fetta di torta per il compleanno di vostro figlio o l’occasionale aperitivo con i colleghi che
vivrete meglio, anzi.
È solo imparando a dare, nella quotidianità, i corretti segnali al nostro caro vecchio “cervello rettiliano” che,
gradualmente, si rompe il circolo vizioso di cui sopra e si ottiene il risultato di sentirsi piacevolmente sazi,
oltre che più attivi. In queste condizioni, che si raggiungono gradualmente e non con improvvisi divieti o
stravolgimenti delle abitudini alimentari, il bisogno di concedersi uno snack fuori orario si sente sempre con
meno urgenza. Non solo: imparando a mangiare tutti i giorni in modo più corretto (e quindi non “facendo
la dieta”, che come ho già detto non serve a un fico secco), anche negli occasionali accessi di fame fuori
orario, i nostri appetiti si rivolgeranno naturalmente verso cibi realmente nutrienti e sempre meno verso il
prodotto industriale, vuoto di sostanze preziose ma ricco di calorie, che a poco a poco inizieremo a percepire
istintivamente come “nemico”. E magari i vostri pensieri “peccaminosi” si concentreranno altrove ;)
[email protected]
76 - La Rivista aprile 2016
Motori
di Graziano Guerra
Ford Grand C-Max
Family car efficiente e connessa che vede i cartelli stradali
Lo Smart Activity Vehicle propone la doppia soluzione a 5 e 7 posti,
con porte scorrevoli e portellone con apertura e chiusura automatica
senza mani. Consente di vedere meglio quando la visibilità è scarsa,
o essere avvisati di possibili situazioni di rischio. Ha comandi intuitivi
da usare, con più funzioni e meno pulsanti. È stata oggetto delle
nostre attenzioni in versione Grand C-Max nell’allestimento top di
gamma Titanium, 2.0 da 170 CV. Il sette posti in prova disponeva di
una gamma di tecnologie all’avanguardia, e si è dimostrata affidabile
e spaziosa. Si vive bene a bordo di questa macchina lussuosa dal
prezzo abbordabile. Le rifiniture creano un look moderno e pulito. La
console centrale ha un bracciolo scorrevole integrato, e giocattoli,
libri e gadget possono trovare posto in uno dei 20 vani portaoggetti ricavati all’interno. Permette di viaggiare comodi e rilassati
grazie a una serie di dotazioni per il confort e la sicurezza. Come la
frenata automatica in città, attiva fino a 50 km/h, con assistenza
pre-collisione, il controllo adattivo della velocità di crociera, i fari
HID Bi-Xenon e la nuova versione di connettività con comandi vocali
avanzati SYNC 2. Il confort aumenta anche grazie al parcheggio semiautomatico, parallelo e perpendicolare, all’isolamento acustico con
cristalli laterali più spessi, guarnizioni migliori al portellone posteriore
e agli specchietti, e ai fonoassorbenti del vano motore. Esteticamente
non è particolarmente emozionante, all’inizio quel tanto che basta
per richiamare l’attenzione, poi sfodera un fascino irresistibile che
entra piano per radicarsi a fondo. Il compatto SAV del segmento C si
distingue anche per l’efficienza del motore Euro 6, per il quale sono
dichiarati consumi molto contenuti. Superati leggermente durante la
prova … il vostro è andato giù pesante di piede. In ogni caso, con circa 6 litri si superano abbondatemene i cento chilometri. Il Duratorq
da 170 CV, con Start&Stop di serie, è brillante, il cambio a 6 rapporti
con doppia frizione automatico è silenzioso e lineare. Dalla guida intuitiva, Grand C-Max si rivela stabile e preciso grazie alla particolare
taratura di servosterzo - elettronico - sospensioni e ammortizzatori
che aiutano a conservare l’agilità e a ridurre la rumorosità, anche su
fondi stradali meno regolari.
C-Max è disponibile negli allestimenti Trend e Titanium con prezzi
che partono da CHF 21’500, il modello Grand C-Max in test è in listino da CHF 35’150, sono previsti diversi pacchetti opzionali.
Sempre connessi con il SYNC 2
Il nuovo sistema di connettività con schermo touch da 8” permette di
utilizzare comandi vocali semplici e naturali per la navigazione, l’intrattenimento e le funzioni di bordo. Dire semplicemente “ho fame”
attiva la visualizzazione immediata dell’elenco dei ristoranti presenti
nelle vicinanze.
Sicurezza e confort delle famiglie
A bordo troviamo gli agganci per seggiolini di nuova generazione
I-Size, compatibili con la più recente versione di dispositivi ISOFiX,
che permettono una maggiore protezione frontale e laterale, di testa
e collo. I genitori potranno controllare i bambini grazie a uno specchio grandangolare e a sensori di avviso cintura non allacciata.
aprile 2016 La Rivista - 77
Cars and Coffee 2016
La nuova stagione tricolore del fenomeno mondiale
Cars and Coffee è un evento automobilistico nato nel 2006 negli
Stati Uniti, che in breve tempo si è spontaneamente diffuso in tutti
i continenti, rivelandosi un successo, basato sulla condivisione di
una passione comune. Nel 2012 il debutto in Italia mantenendo il
concetto di esposizione delle automobili, ma sostituendo il caffè
con un pranzo riservato ai soli possessori di supercar e auto storiche di prestigio; a seguire un breve tour verso una nuova location
per l’esposizione al grande pubblico in una sorta di concorso d’eleganza itinerante.
In scena vetture uniche al mondo: dalle Pagani Zonda e Huayra
alla Bugatti EB110GT, le Ferrari F40, F50, Enzo, fino a LaFerrari,
dalla Porsche Carrera GT alla Mercedes-Benz 300 SL “Gullwing”,
dall’Alpine A110 alla Alfa Romeo 4C Club Italia, fino alla storica
Lamborghini Miura e alla Huracan.
Cars and Coffee si prepara a un 2016 nel segno della tradizione
e al tempo stesso dell’innovazione. La stagione inizia a Brescia il
10 aprile, con un gran numero di fuoriserie provenienti da tutta
Europa. Dal 13 al 15 maggio sarà organizzato il primo Cars and
Coffee Rally che porterà le supercars in Toscana e Emilia Romagna.
L’8 giugno, grazie alla collaborazione con il Salone dell’Auto di Torino Parco Valentino, si terrà un Cars and Coffee Meeting nel corso
della prima serata della prestigiosa kermesse piemontese. Tornerà
a Torino il 24 settembre per vivere un altro indimenticabile main
event, fino al traguardo conclusivo di Caserta l’8 ottobre.
(Foto Mikael Masoero)
Sette sorelle per Jeep e
Mopar a Moab
All’edizione più importante di sempre del Jeep Safari di Moab,
sono state mostrate per la prima volta sette nuove show car Jeep
dalle grandi prestazioni equipaggiate con dotazioni firmate Mopar e Jeep Performance Parts. I modelli sono andati alla conquista
degli impegnativi tracciati che partono dalla città di Moab nello
Utah (USA). L’evento annuale per appassionati di fuoristrada più
famoso del mondo stelle a strisce, quest’anno è giunto al 50°
anniversario che è coinciso con il 75° di Jeep. I sette concept Jeep
- Crew Chief 715, Shortcut, Renegade Commander, Comanche,
FC 150, Trailcat (nella foto) e Trailstorm - sono stati creati da un
gruppo di appassionati ingegneri, progettisti e produttori che dal
2002 si dedicano alla personalizzazione di veicoli di produzione,
e che finora hanno realizzato più di 50 prototipi per il mitico
Easter Jeep Safari.
JEEP
Con settantacinque anni di storia leggendaria, Jeep è l’autentico
SUV in grado di garantire capacità di riferimento, qualità costruttiva e straordinaria versatilità a chi cerca avventure straordinarie.
MOPAR
Nato dalla contrazione delle parole MOtor e PARts - depositato nel
1937 – MOPAR è oggi il marchio di FCA di assistenza clienti che distribuisce più di 500.000 fra ricambi e accessori in tutto il mondo.
EASTER JEEP SAFARI
Dura nove giorni con escursioni off-road che partono da Moab nello Utah (USA). Si è svolto per la prima volta nel 1967. L’evento clou
è da sempre il “Big Saturday” che si celebra il sabato di Pasqua.
78 - La Rivista aprile 2016
“La Macchina del tempo”
Brabham BT45-Alfa Romeo
Avvincente capitolo della storia Alfa Romeo
La BT45 di proprietà del Museo Storico Alfa Romeo
di Arese è stata la regina del Concorso di Eleganza
di Amelia Island 2016 in Florida, Usa. L’esemplare
esposto, denominato “La macchina del tempo”, è
analogo a quello guidato nel 1977 dal pilota tedesco
Stuck. In mostra anche le nuove Giulia Quadrifoglio,
4C Spider e 4C Coupé.
L’affascinante storia della BT45 comincia dopo il Titolo
Mondiale Marche vinto dalla “33 TT 12” nel 1975, con
la fornitura da parte del reparto corse Alfa Romeo Autodelta, del 12 cilindri boxer da 500 CV della stessa “33” al
team Brabham per la F1. In realtà, Alfa Romeo aveva già
motorizzato una March nel 1971, esperienza subito congelata. Il 1976 quindi diventa l’anno “buono” con la cosiddetta “Brabham-Alfa” che mantiene la livrea “Martini
Racing” ma il colore di base, in virtù dei motori della Casa
italiana, passa dal bianco al rosso. Tutta l’operazione è
orchestrata dall’ingegnere Carlo Chiti, patron dell’Autodelta, e da Bernie Ecclestone, allora proprietario del team
Brabham. Gordon Murray è il progettista della vettura
costruita attorno al motore “piatto” dell’Alfa Romeo, e
caratterizzata da due periscopi laterali per l’alimentazione dei dodici cilindri. Nel 1976 i piloti ufficiali della
“BT45” sono Carlos Reutemann (ARG) e l’astro-nascente
Carlos Pace (BRA), Larry Perkins (AUS) e Rolf Stommelen (GER) corrono solo alcune gare. La prima stagione è
di “preparazione”: i tre quarti posti conquistati, due da
Pace e uno da Reutemann, sono i risultati migliori. La
“BT45-B”, evoluzione per la stagione 1977, comincia nel
migliore dei modi: nel GP d’esordio in Argentina, Carlos
Pace arriva secondo, mentre John Watson (GBR) occupa
per una decina di giri la testa della corsa. Pace ha una
prestazione brillante anche nel GP del Brasile, quello di
casa, anche se poi è costretto al ritiro. A marzo il team
Brabham è scosso dalla scomparsa di Carlos in un incidente aereo. La squadra decide di ingaggiare il pilota
tedesco Hans-Joachim Stuck, che conquista due terzi
posti, a Hockenheim (GER) e a Zeltweg (OST). Stuck, in
un’intervista, dice di essere emozionato di poter correre su una vettura dotata di motore Alfa Romeo: sono
proprio quelle vetture contro le quali suo padre si era
battuto correndo con l’Auto Union negli anni Trenta. A
Monza, nelle qualifiche del Gran Premio d’Italia, nell’abitacolo della rossa monoposto inglese si accomoda anche
Giorgio Francia, pilota-collaudatore della Casa Milanese.
John Watson chiude la stagione con il secondo posto al
GP di Francia (Digione) come miglior risultato. Il propulsore troverà posto sulle vetture inglesi fino al 1979, con
altre architetture e con alterne fortune (2 gran premi
vinti nel ’78) e con la sperimentazione di soluzioni tecniche innovative (come la BT46 “fan-car” del G.P. di Svezia
del 1978). Sul finire degli anni Settanta si conclude la
collaborazione tra il marchio italiano e la casa inglese:
l’Alfa Romeo decide di realizzare una monoposto di F.1
tutta in proprio, la cosiddetta “Alfa-Alfa”.
aprile 2016 La Rivista - 79
Motocicletta
che passione
SWM Gran Milano
La moto che vorresti nel tuo garage
… pronta a partire con te
La motocicletta è un prodotto che esprime libertà, sempre pronta a dare
emozioni per un giro al lago o in montagna, oppure per andare a prendere
un aperitivo con gli amici. Nei padiglioni della Fiera di Zurigo a Swiss-Moto
- erano presenti più di 400 marche internazionali, con una forte presenza
italiana - abbiamo scoperto la SWM di Biandronno, Varese, che produce fra
l’altro un accattivante modello di moto stradale dal nome importante: Gran
Milano. Semplice, affidabile e di moda è subito piaciuta. Classica con grande personalità, unisce ottimi contenuti tecnici uniti a un prezzo accessibile a
molti. Omologata per due passeggeri, è in listino con sella monoposto, ma una
biposto, per chi la volesse sostituire a quella montata è compresa nel prezzo.
L’inconfondibile design svela immediatamente la sua indole “cafe racer”, moto
di tutti i giorni per gli spostamenti urbani, per chi vuole distinguersi in sella a
un veicolo pratico, godibile e al tempo stesso dotato di forte carisma.
Dati tecnici SWM Gran Milano
Motore: monocilindrico, 4 tempi, raffreddamento aria-olio
Cilindrata: 445,3 cc
Cambio: 5 marce
Alimentazione a iniezione elettronica
Avviamento elettrico
Interasse: 1410
Altezza sella: 809
Pneumatici: anteriore 120/70-17”, posteriore 150/60-17”
Peso in ordine di marcia, senza carburante: Kg 145
Capacità serbatoio carburante: 22.5 litri
Virginie Germond si affida
all’italiano Airoh
È molto carina la 26enne ginevrina, ma è per le doti sportive che ha
ottenuto il sostegno del rinomato marchio italiano di caschi Airoh.
Virginie corre dal 2010 e nel mondiale 2015 ha concluso in ottava
posizione. È l’indiscussa numero 1 nel motocross femminile svizzero
vincendo le ultime due Coppe di federazione FMS. È spesso ospite d’onore in competizioni maschili. Dal 2016 sarà testimonial Airoh. Annata
questa molto importante per il motocross elvetico, infatti, dopo molti
anni il mondiale MXGP torna in quel di Frauenfeld (6-8 agosto). La
rinomata Casa italiana Airoh produce caschi per motociclisti e scooteristi da oltre 15 anni, sponsorizza campioni internazionali del calibro di
pluricampioni mondiali come Antonio Cairoli e Jeffrey Herlings oltre a
quali star Jeremy van Horebeek, Jordi Tixier , Marvin Musquin.
Un giubbotto per chi va in moto da 18’000 euro!
Vuoi una giacca davvero speciale? Con 18.000 euro puoi comprarti questa haute couture in pelle di coccodrillo, prodotta dalla iXS Motorcycles
Fashion di Sursee, specializzata in abbigliamento per motociclisti. La
giacca si chiama ARVO, è ovviamente dotata di protettori e di dettagli
pensati per chi va in moto. È di coccodrillo, ideale per le rockstar ma
anche per motociclisti, sempre che siano amanti del fascino esotico. La
struttura originale e il look cangiante fanno del capo artigianale un’autentica opera d’arte. La pelle con cui è realizzata proviene da allevamenti
di Paesi dove i coccodrilli fanno parte della fauna locale. Gli allevamenti
guadagnano, oltre che con la vendita delle pelli, anche con l’attrazione
turistica. Fare la differenza costa. Proprio come ognuno di noi ha carat-
80 - La Rivista aprile 2016
teristiche solo sue, anche ARVO - un vero
capolavoro dell’arte della pelletteria - possiede qualità peculiari
e distintive in grado di farne
un pezzo unico che diventa
compagno di vita. Può essere ordinata presso www.
ixs.com, come pezzo unico esclusivo e su misura
al prezzo di 18’000
Euro.
Mondo in Camera
I tesori della collezione
“zum Römerholz” in italiano!
GO-ITALY RIMINI LIFE STYLE 2016
L’architetto Flavio Manzoni ospite
della CCIS a Ginevra
L’incontro con il mito
Go-Italy@Manor Food
Emmen Center dal 4 al 16
aprile 2016
A Ginevra il “Taste of Italy –
food edition: il meglio del cibo
italiano in svizzera”
Osterie d’Italia 2016
Contatti commerciali
Benvenuto ai nuovi soci
Servizi camerali
aprile 2016 La Rivista - 81
I tesori
della collezione
“Am Römerholz” in italiano!
La Collezione “Am Römerholz” si contraddistingue per l’elevata concentrazione di capolavori degli impressionisti francesi e dei loro più
noti precursori. Questo nucleo centrale della
raccolta è integrato con opere altrettanto pregevoli di maestri antichi. Custodita nella residenza storica di Oskar Reinhart (Winterthur
1885-1965), la collezione propone un affascinante e selezionato percorso attraverso l’arte
europea dal XIV secolo agli inizi del Novecento.
La signorile dimora, immersa in un suggestivo
parco, costituisce un luogo d’eccezione. La sua
storia e i suoi tesori sono resi ora più fruibili
al pubblico grazie a un nuovo servizio di audioguida in lingua italiana. È l’occasione per
festeggiare questo piccolo ma significativo
traguardo insieme ai nostri amici italofoni con
una serata all’insegna dell’italianità.
Programma
PRIMA PROPOSTA Visita guidata in italia-
no e aperitivo: dalle ore 17 alle 19. Prezzo
fr. 30 a persona SECONDA PROPOSTA Visita guidata in italiano, aperitivo e cena:
dalle ore 18 alle 22 circa. Prezzo fr. 85 a
persona
Menù
Aperitivo
Prosciutto di Pratomagno; Finocchiona di
Scarpaccia; Salame toscano; Soprassata
Selezione di pecorini di Paugnano; Crostini
misti fiorentini
Cena
Pappa al pomodoro; Crespelle gratinate alla
fiorentina; Peposo all’imprunetana con fagioli zolfini all’olio nuovo; Millefoglie Caffè
alla moca con sfogliatelle
Vini
Prosecco Superiore DOCG extra dry millesimato; Ciodet Fiano d’Avellino DOCG; Conca
d’oro Barbera d’Asti DOCG, Amerio
La Collezione Oskar Reinhart «Am Römerholz» e la Camera di commercio italiana per la Svizzera ringraziano i Vini
Barletta, Spreitenbach (www.vini-barletta.ch) per le bevande generosamente
offerte e il ristorante toscano 4 Leoni a
Zurigo per le sue arti culinarie, in piena sintonia con lo spirito, tutto italiano,
della serata.
Prenotazione
Posti limitati, prenotazione obbligatoria; si
prega di specificare l’opzione per la prima
o la seconda proposta: [email protected]
Collezione Oskar Reinhart «Am Römerholz»,
Haldenstrasse 95, 8400 Winterthur www.
roemerholz.ch
Nel corso della serata ci sarà l’opportunità
di conoscere l’offerta formativa dell’Istituto
sul Rosenberg di San Gallo
Go-Italy@Manor Food
Emmen Center dal 4 al 16 aprile 2016
Se avete voglia di immergervi nella cultura enogastronomica italiana è arrivata
l’occasione giusta per voi!
82 - La Rivista aprile 2016
Per due settimane, dal 4 al 16 aprile
2016, il centro commerciale Emmen Center (Lucerna) dedicherà un’ampia isola
all’insegna dell’italianità alimentare.
L’esposizione, organizzata da Manor
Food e Emmen Center in collaborazione con la Camera di Commercio Italiana per la Svizzera (CCIS), sarà aperta a
tutti i visitatori del centro commerciale,
che avranno la possibilità di degustare e
acquistare prodotti rigorosamente Made
in Italy.
Ventisei aziende italiane presenteranno i
loro prodotti tipici: si andrà da quelli più
tradizionali come pasta fresca e ravioli,
riso, olio extra-vergine di oliva, salumi e
formaggi, pesto alla genovese, caffè, gelato, a quelli più particolari come pistilli
di zafferano, tartufo, aceto balsamico,
conserve, confetture, amaretti e cannoli
siciliani.
Il visitatore, tra l’acquisto di un capo di
abbigliamento e l’altro, potrà trovare
rifugio nel mondo gastronomico italiano, lasciandosi accompagnare direttamente dal produttore nella degustazione della merce.
Se vi abbiamo fatto venire l’acquolina in
bocca, passate a trovarci! Sapori unici e
artigianali vi aspettano!
Emmen Center
Stauffacherstrasse 1
6020 Emmenbrücke
www.emmencenter.ch
Orari
Lun/Mar/Gio 09.00 - 18.30
Merc/Ven 09.00 - 21.00
Sab 08.00 - 16.00
GO-ITALY
RIMINI LIFE STYLE 2016
Food, moda e turismo sulla “east coast”
italiana:un’occasione per 8 operatori svizzeri CCIS invita importatori alimentari,
importatori di moda e accessori e Tour
operator svizzeri a partecipare a due giorni di incontri di affari e visite sul territorio
a Rimini e provincia. Il programma prevede
incontri con produttori di food e di moda e
visite a strutture turistiche romagnole.
Domenica 29 Maggio: arrivo a Rimini
Lunedì 30 Maggio:
-Incontri B2B per i buyer dell’agroalimen-
tare e della moda
(con
possibilità
di
degustazioni
o esposizione dei
capi di abbigliamento),
- visite per i Tour
Operator
Martedì 31 maggio: educational tour (Rimini e dintorni con degustazioni) per tutta
la delegazione.
Mercoledì 1 giugno: ritorno in Svizzera
Tutti i costi di viaggio e soggiorno saranno a carico di CCIS
Per pre-iscrizione: mandare una mail a
[email protected] con oggetto Go-Italy- Rimini
Life style 2016
A Ginevra il “Taste of Italy
food edition: il meglio del cibo italiano in svizzera”
Da gennaio ad ottobre 2015 un record importante è stato segnato per le importazioni
di prodotti agroalimentari italiani in Svizzera, registrando un valore di circa 912 milioni di euro. A fronte di un calo dei consumi
generalizzato, i dati mostrano una crescita
delle esportazioni agroalimentari italiane in
Svizzera. Con l’obiettivo di sfruttare il potenziale del mercato elvetico, la Camera di
Commercio Italiana per la Svizzera (CCIS) organizza un evento interamente dedicato alla
promozione delle eccellenze agroalimentari
italiane e rivolto ad un pubblico selezionato di professionisti (ristoratori, importatori,
dettaglianti, stampa) e di consumatori finali
relativamente indifferenti al prezzo a fronte
della qualità dei prodotti italiani. Ginevra,
infatti, è nota per essere la capitale delle Organizzazioni Internazionali, delle multinazionali, della finanza elvetica e del lusso
Quando? Lunedì 30 maggio 2016
Dove? Le Richemond, l’hotel 5 stelle nel cen-
tro di Ginevra sulle rive del lago Lemano
Come? La CCIS garantirà una presenza qualificata sia di operatori BtoB che di BtoC, con
la possibilità di usufruire di ogni altro servizio
su richiesta (interpretariato, sistemazione in
albergo, ecc)
Programma
Dalle ore 14.30 alle 17.30: incontri BtoB (ristoratori, importatori, dettaglianti, stampa)
Dalle ore 17.30 alle 20.30: apertura ad un
pubblico selezionato con possibilità di vendita dei prodotti.
Condizioni di partecipazione
Il costo di partecipazione è di 880 Euro /
azienda
2- L’azienda dovrà sostenere i costi di: viaggio, pernottamento e spedizione della merce
3- Ogni azienda dovrà essere rappresentata
direttamente dal titolare o da una persona
delegata a condurre trattative commerciali
Il termine ultimo di presentazione della domanda è fissato al 29/04/2016.
Per maggiori informazioni:
CCIS - Ufficio Ginevra,
Lysiane Bennato
Email: [email protected]
Tel. +41 (0)22 906 85 95
aprile 2016 La Rivista - 83
L’architetto Flavio Manzoni ospite della CCIS a Ginevra
L’incontro con il mito
L’architetto Flavio Manzoni capo del Centro stile
Ferrrari
Folto e molto attento il pubblico che lo scorso 3 marzo nella ball room dell’Hotel Richmond,
è convenuto per ascoltare l’architetto Flavio Manzoni che guida il Centro Stile Ferrari.
L’architetto ha esordito con un interrogativo: quali sono i processi mentali che presiedono alla creazione di una vettura che non
può permettersi il lusso di passare di moda?
L’eccellenza è d‘obbligo, quando ci si confronta con un mito.
Impensabile rincorrere o accontentarsi di
rivisitare in una sorta di perpetuo remake il
design, che ha caratterizzato i successi del
passato: sarebbe un po’ come manifestare
una paura del futuro. Oppure esprimere una
forma di nostalgia, che è sintomo di mancanza di coraggio. D’altronde, è la stessa
filosofia estetica del marchio che impedisce
di limitarsi a perpetuare il passato.
Il design non è stile è cultura del progetto,
che presuppone il coraggio della visione,
condizione primaria dell’innovazione.
Molta attenzione va posta all’interpretazione dei codici comunicativi che sono propri
del marchio, che lo rendono riconoscibile,
senza per questo costeggiare il rischio di
apparire ripetitivi. L’ispirazione va cercata
fuori dall’ambito di riferimento settoriale.
La sfida consiste nell’essere innovativi e originali pur rimanendo nel solco della tradizione di un marchio che non ha pari.
Tutto ciò fa sì che non sia per nulla facile
disegnare una Ferrari. C’è una serie infinita
di vincoli che vanno rispettati.
Ogni volta, per ogni modello, si tratta di
vestire un motore. Tra l’altro, impresa non
banale, vincendo il confronto con i principi dell’aereodinamica, per evitare che
un’auto che viaggia a 350 l’ora decolli. Ma
quale confezione si adatta ad un motore
che ha la grinta dello sportivo e un patrimonio tecnologico impareggiabile, coniugata con l’indubbia eleganza che reclama
l’abito da sera?
La presenza scenica e le qualità scultoree
diventano obiettivi irrinunciabili, per chi sa
e vuole fondere la tecnica con l’arte, coltivando il lusso non borghese di declinare l’artigianato con la tecnologia. Perché
84 - La Rivista aprile 2016
quella che alla fine si realizza è una vera
opera d’arte.
E gli interni? D’obbligo tener conto degli
aspetti ergonomici, e poi integrare il volante, lo schermo touch, e tutti gli altri
componenti, ciascuno dei quali è una piccola icona.
Come lavora un centro stile?
Chi lavora in Ferrari sa che in ogni settore deve riuscire a trasferire formalmente la
sperimentazione tecnologica dalla F1 alla
strada. A tal fine, c’è un’interazione costante e puntuale con tutti i protagonisti, piloti
compresi. Un’opportunità, ma al contempo
una grande sfida.
Lo stesso vale per chi opera al Centro stile.
Qui vige il principio incontestabile del fare
e rifare, puntando al perfezionismo. In tal
senso, importante è il supporto virtuale nella concezione dei modelli, con una certezza:
il computer accelera, ma non sostituisce la
mano dell’uomo, che resta fondamentale.
Creare in casa il team di creativi, un centro stile appunto, che sappia incarnare al
meglio la filosofia del marchio, comporta
che alla fine risulti superato il ruolo dei
carrozzieri (Pininfarina ad esempio). Per lo
meno nel modo in cui si è fin qui esplicitato. Oggi, tecnica ed estetica, non viaggiano,
come hanno fatto fino a qualche tempo fa,
temporaneamente separati, ma procedono
di pari passo.
Modello di hypercar rappresentativo dell’eccellenza del marchio. la Ferrari nasce fin da subito unendo
ricerca formale ed aerodinamica, venendo concepita “insieme all’aria”, senza la successiva aggiunta di
appendici: la forma non è solo ricavata dal pieno, ma i flussi d’aria ne sono parte costitutiva.
Slow Food Editore
Osterie d’ Italia 2016/17
Über 1.700 Adressen, ausgewählt und empfohlen
von SLOW FOOD
ca. 928 Seiten, Format 12 x 21,5 cm
Integralbindung mit Lesebändchen
22 Übersichtskarten
Preis 29,90 € (D)/30,80 € (A)
Unverzichtbar für
jeden Italienreisenden:
Der Osterie-Führer 2016/17 von Slow Food ist da!
Seit einem viertel Jahrhundert begleitet der
Osterie d’Italia von Slow Food Editore nun
schon Urlauber und Geschäftsreisende, die
auch kulinarisch voll auf ihre Kosten kommen möchten. Denn wer auf seinem Trip quer
durch Italien weder im teuren Spitzenrestaurant noch in einer überteuerten Touristenfalle seinen Hunger stillen möchte, der findet
in diesem Guide wunderbare Alternativen:
Ob im Aostatal oder in Kalabrien, auf Sardinien oder Sizilien, überall im Land haben sich
Osterien, Trattorien und Enotecen, Bars und
Konditoreien der originären regionalen Küche,
ursprünglicher Gastlichkeit und sinnlichem
Genuss verschrieben, von denen SLOW FOOD
hier die besten empfiehlt.
Der bei Hallwag erschienene Osterie d’ Italia 2015/16 von Slow Food Editore hält über
1.700 Adressen bereit, die von den Redaktionsmitarbeitern übers Jahr getestet, gemäß der
Slow-Food-Philosophie ausgewählt und in
diesem Guide empfohlen werden. Darüber hinaus geben die unterhaltsamen Portraits der
einzelnen Lokale und Essays über regionale
Besonderheiten lebendige Einblicke in die die
echte italienische Regionalküche und kulinarische Lebensart des Landes.
Der Osterie d’Italia ist nach Regionen geordnet. Die dazugehörigen Karten verschaffen einen schnellen Überblick über die Lage
der ausgewählten Osterien. Neueinträge im
Vergleich zur letztjährigen Ausgabe sind ausdrücklich benannt. Lokale mit herausragenden Angeboten an Wein oder Käse sind mit
einem eigenen Symbol gekennzeichnet. Ebenso weist der Guide auch jene Osterien aus, die
in ihrer Küche Produkte aus eigenem Anbau
verarbeiten, und solche, die vegetarische
Menüs oder glutenfreie Gerichte anbieten.
Ein umfangreiches kulinarisches Lexikon hilft
beim Einkauf oder im Restaurant.
ARTE-VIDEO-GRAFICA
Studio Ouroboros di Migliore Danio
Competenze: video arte, videoclips musicali, video animazione
(stop-motion), video documentari, video pubblicitari aziendali, video
installazioni, scenografia, illustrazione, grafica digitale, pittura,
pittura murale, decorazione, scultura, ritrattistica e fisiognomica.
Diplomato presso la prestigiosa Accademia di Belle Arti di
Brera a Milano, svolge da qualche anno la sua attività artistica
a Zurigo. Dopo aver preso parte a diverse mostre collettive
a Milano, nell’Agosto del 2013 realizza una sua personale a
Luino dal titolo Logos mania. Nell’Aprile del 2014 presenta a
Zurigo un’altra personale Der fahrende Ritter, col patrocinio
dell’Istituto Italiano di Cultura. Sempre a Zurigo, nel 2015 ha
realizzato una scenografia teatrale per la Kantonsschulen
Freudenberg und Enge. Ha collaborato come videomaker con un
gruppo teatrale del Maxim Theater di Zurigo. Ha realizzato vari
videoclips musicali: per i MantaRey, una giovane band punk-rock
emergente di Zurigo e per Aeteria, band rock-metal siciliana. È
stato invitato a presentare lo scorso Settembre 2015 il suo lavoro
artistico al Montagsgespräche in der Sektion del Goetheanum,
Basel, sede universale della Società Antroposofica. Sempre in
ambito antroposofico, per la rivista Artemedica, ed Novalis, ha
pubblicato due articoli: “L’esperienza del sovrasensibile nella
fenomenologia goethiana” e “Il divenire della forma”. Per il
settimanale La Pagina, ha pubblicato “Il Microcephalus” racconto
in cinque puntate. Ha collaborato come libero professionista con
alcuni importanti studi d’arte e architettura in Italia.
Dubsstrasse 35
CH-8003 ZURIGO
TEL +41 (0)76 763 36 55
www.daniomigliore.com
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aprile 2016 La Rivista - 85
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86 - La Rivista aprile 2016
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Fax 0039/ 0331 254465
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Via per Solbiate 43
I – 21040 Oggiona con Santo Stefano (VA)
Tel. 0039 0331712011
E-mail: [email protected]
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Via genova 9
I – 21040 Oggiona con Santo Stefano (VA)
Tel. 0039 3403393639
Fax 0039/0331 215024
E-mail: [email protected]
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Complementi di arredo urbano
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I – 41019 Soliera MO
Tel. 0039/059 566612
Fax 0039/059 566999
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Arti grafiche
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I – 20149 Milano
Tel. 0039/02 24127.1
Fax 0039/02 24127130
E-mail: [email protected]
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Specialità alimentari altoatesine
Knodus srl
Via San Giovanni 8
I – 39030 Valle Aurina BZ
Tel. 0039/0474 402096
Fax 0039/0474 401984
E-mail: [email protected]
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Industria cartotecnica
Nuovo Scatolificio Valtenna srl
Contrada Girola Valtenna 43
I – 63900 Fermo FM
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• Azienda altoatesina leader nella produzione
di facciate e balconi da oltre 30 anni propone
soluzioni innovative e il personale altamente
qualificato, caratterizzato da affidabilità e precisione, è in grado di offrire un servizio completo di consulenza, progettazione, studio dei materiali e realizzazione. L’utilizzo di materiali di
alta qualità, la continua innovazione e il miglioramento dei prodotti e dei servizi rappresentano i principali punti di forza che differenziano
l’azienda dalle altre. Per realizzare facciate,
balconi e recinzioni vengono utilizzati materiali diversi, spesso anche in combinazione tra
loro, quali i pannelli HPL, vetro, alluminio, legno,
inox. In particolare i pannelli Hpl, realizzati con
il 70% di cellulosa e il 30% di resine sintetiche,
rappresentano una delle soluzioni piú avanzate
presenti sul mercato per uso esterno. L’azienda
colpisce per la sua versatilità: oltre 100 colori e
motivi decorativi con durezze diverse e 3 diversi
sistemi di fissaggio.
• Azienda italiana leader nella lavorazione di
materiali plastici, progettazione e produzione
di stampi per svariati settori (elettrico, nautico,
aerospaziale, automotive, ferroviario, stradale)
è alla ricerca di potenziali clienti in Svizzera, per
ampliare la propria rete commerciale estera.
• Vulcano Food Gourmet SRL con sede a Napoli, è specializzata nella produzione di pizze
napoletane fatte a mano e secondo la ricetta
tradizionale di ottima qualità ed esportate in
tutto il modo. Il prodotto principale dell’azienda italiana è la pizza surgelata che mantiene
inalterati i propri valori nutritivi e le proprie
qualità ed il suo gusto come le pizze napoletane appena fresche di forno. La produzione
varia in quattro formati: Pizza Margherita,
Pizza Primavera, Pizza Bufalina und Pizza Vegetariana. Vulcano Food Gourmet SRL vorrebbe ampliare il proprio mercato e intraprendere
nuovi rapporti commerciali con rivenditori e
grossisti interessati a distribuire prodotti di
sicuro valore sul mercato elvetico.
BENVENUTO AI NUOVI SOCI
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Italiana per la Svizzera
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Tel. 044/289 23 23
Fax 044/201 53 57
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Cessione attività aziendale
Nell’ottica di un cambiamento generazionale
all’interno di una società di diritto elvetico abbiamo l’opportunità di occuparci della vendita
di una azienda di verniciatura, presente sul territorio da circa 20 anni, si trova a circa 40KM
da Zurigo. L’attività principale svolta é quella
della verniciatura del legno in tutte le sue componenti attraverso l’utilizzo delle tecnologie
più avanzate. Oltre alla produzione nell’azienda
stessa vi è un negozio di vendita al dettaglio
diretta al pubblico. Le richieste di informazioni
sui dettagli della vendita sono da rivolgere alle
seguenti coordinate di contatto: Fides Consulta
GmbH, Seestrasse 112, 8806 Bäch;
Email: [email protected];
Tel: +41447848844.
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IT-20863 CONCOREZZO (MB)
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TEL. +41 (0)22 320 17 25
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TEL. +41 (0)44 567 88 88
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CH-2552 ORPUND
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aprile 2016 La Rivista - 87
Sede Lugano
Via Nassa 5CH-6900 Lugano
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Fax: +41 (0)91 924 02 33
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Sede Zurigo
Seestrasse 123CH-8027 Zurich
Tel: +41 (0)44 289 23 23
Fax: +41 (0)44 201 53 57
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Camerali
Sede Ginevra
12-14 rue du Cendrier CH-1211 Ginevra 1
Tel: +41 (0)22 906 85 95
Fax: +41 (0)22 906 85 99
E-Mail: [email protected]
La CCIS (Camera di Commercio Italiana per la Svizzera) è l’hub di riferimento in Svizzera per imprese medie
e piccole, grandi aziende e marchi del Made in Italy, consorzi, associazioni di categoria ed enti pubblici che
abbiano l’obiettivo di accrescere la presenza economica italiana in Svizzera. Fondata nel 1909 la Camera
appartiene alla rete delle Camere di Commercio Italiane all’Estero, riconosciute dal Governo italiano quali
strumenti di promozione del Made in Italy nel Mondo e suscitatrici di opportunità e investimenti delle imprese
dei paesi in cui operano verso il mercato italiano.
La CCIS assiste con i suoi servizi tutti i soggetti
svizzeri e italiani coinvolti negli scambi economici tra
Italia, Svizzera e Liechtenstein.
La gamma dei suoi servizi è ampia e strategicamente
strutturata in aree tematiche:
Esportazioni
- Ricerca buyers/clienti
- Consulenza fiscale (rappresentanza fiscale e
recupero dell’iva italiana, svizzera e tedesca)
- Consulenza di natura commerciale e doganale
- Export & Investment Desk - Dalla Svizzera nel
mondo
- Informazioni finanziarie e legate alla solvibilità dei
partner (visure, rapporti commerciali, ecc.)
- Organizzazione di degustazioni, workshops ed
eventi
- Realizzazione di delegazioni ed export strikes
(visite presso buyers svizzeri)
- Organizzazione ed accompagnamento di espositori
italiani a fiere svizzere e di visitatori elvetici a fiere
italiane
- Organizzazione di seminari ed incontri di affari
- Focus settoriali
88 - La Rivista aprile 2016
Investimenti
- Apertura di un’attività
- Investire nella ristorazione
- Appalti pubblici in Svizzera
- Attività di M&A e di Corporate Finance
Comunicazione e promozione turistica
La Rivista, magazine mensile in lingua italiana, e
www.go-italy.ch, portale bilingue, in italiano tedesco,
per l’italianità in movimento
Corsi
- Corsi per professionisti e semplici appassionati
- Corsi per sommelier in lingua italiana
Altro
- Recupero Crediti
- Ricerca di dati statistici
- Traduzioni ed interpretariato
- Agevolazioni speciali per i soci
I settori di punta
Agroalimentare, Industria elettromeccanica, Sistema
Casa, Sistema Moda, Innovazione tecnologica e
Start-up, Turismo, Pubblicità e Comunicazione
La Rivista Anno 107 - n.4 - Aprile 2016
Anno 107 - n. 4 - Aprile 2016
Come valorizzare
all'estero la cucina
italiana di qualità
“Voluntary Disclosure” o
“Compulsory Disclosure”
Successo o Insuccesso?