1 Corpi in forma. Fitness e palestra Roberta Sassatelli Come luogo

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1 Corpi in forma. Fitness e palestra Roberta Sassatelli Come luogo
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Corpi in forma. Fitness e palestra
Roberta Sassatelli
Come luogo per l’esercizio del corpo la palestra ha una lunga storia che
affonda le radici nei gimnasia della cultura greco-romana. Tuttavia, a partire
dagli anni Ottanta del Novecento, si è registrata una forte crescita di palestre
commerciali che presentano se stesse in veste nuova. Oggi, nei manuali di
ginnastica e tra gli operatori del settore, il termine palestra viene sempre più
spesso associato al termine fitness e in alcuni casi persino sostituito da
neologismi come "centro fitness" o "club fitness". Certo, le palestre riservate
solo ad attività competitive, al pugilato, alle arti marziali o al culturismo,
esistono ancora. Esse sono però sempre più marginali rispetto alla grande
diffusione di palestre che trovano nell'idea del fitness il proprio denominatore
comune. Il fitness sembra segnato dall’incontro di due importanti codici culturali
della modernità: la razionalizzazione e l’ascetismo, da un lato; la ricerca di
autenticità e l’edonismo, dall’altro. Nell’Ottocento, le forme di ginnastica che si
sviluppano sia in Europa che negli Stati Uniti sono tese all’efficienza del corpo
nel tentativo di temprare la morale pubblica e di forgiare "cittadini" migliori. La
ginnastica, organizzata direttamente dallo Stato o da élite filantropiche come
una forma di educazione, era quindi l'espressione delle finalità biopolitiche degli
stati nazionali, del loro bisogno di governare le proprie popolazioni come una
risorsa economica, politica e persino militare, preparando gli individui a
prendere il proprio posto nell'ordine sociale (Defrance 1976; Bourdieu 1978;
Vigarello 1978; Elias e Dunning 1986; Hargreaves 1986). Questa tendenza
trova il suo culmine nei regimi totalitari della prima metà del Novecento, incluso
il fascismo in Italia, che hanno spesso fatto ricorso alla ginnastica per
promuovere le proprie ideologie. Con il secondo dopoguerra il forte legame
simbolico che si era creato tra ginnastica e nazione lascia un vuoto intorno alle
forme tradizionali di ginnastica, ma anche ampi spazi per lo sviluppo di attività
fisico-ricreative individualistiche e salutistiche non organizzate, come il jogging,
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che vengono gradualmente catalizzate dalle nascenti palestre commerciali. In
molte nazioni europee del resto, già a partire dai primi anni del Novecento,
accanto all'educazione fisica e alle feste ginniche organizzate direttamente
dallo Stato, si sviluppano forme di esercizio svincolate dal controllo politico.
Nascono palestre che non hanno come obiettivo la salute pubblica, bensì che
stimolano e sfruttano il desiderio individuale di muoversi, divertirsi e migliorarsi.
Un primo esempio in questa direzione è il precoce sviluppo di palestre per il
culturismo, che si connota come una pratica maschile popolaresca di
fortificazione del corpo tesa a ottenere uno sviluppo estetico delle masse
muscolari mediante l'uso di pesi e attrezzi. Più tardi, negli anni Settanta, nasce
negli Stati Uniti l'aerobica, una forma di attività ginnica accompagnata da
musica, inizialmente riservata alle donne e volta a ottenere un aspetto fisico
slanciato e armonico, mescolando cultura pop, danza ed educazione fisica. La
ginnastica ricreativa viene dunque depoliticizzata. Se prima le attività fisiche
ricreative e sportive erano connesse a valori sociali come la fede nel progresso
o la fedeltà a una nazione, ora le motivazioni personali diventano l'unica verità.
La legittimità delle pratiche fisico-ricreative e sportive viene a essere fondata
direttamente sui bisogni e sui desideri di chi le pratica (Green 1986;
Hargreaves 1986; Grover 1989) e questo si accompagna al processo di
commercializzazione, che vincola il fitness alla legge della domanda e
dell'offerta. Rivolgendosi a soggetti che pagano e che possono sempre
decidere di non avere più bisogno della palestra, il fitness mira a qualificarsi
come espressione della volontà del soggetto. Il significato di un corpo più docile
e utile viene cioè ancorato al soggetto come individuo, come unità sovrana e
sacra da cui hanno origine i desideri e le scelte, e non come suddito, cittadino o
lavoratore. Ecco che la palestra per il fitness non deve solo fare bene al corpo,
ma deve anche essere un momento di espressione autentica del soggetto, e
soprattutto un modo per divertirsi, svagarsi, distrarsi, rigenerarsi.
Lo sviluppo moderno delle palestre di fitness si è ormai lasciato alle spalle
l'educazione fisica promossa dagli stati nazionali nell'Ottocento e, poi, la
nascita delle palestre popolari agli albori del secolo scorso che ospitavano le
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prime forme di culturismo, e, in certo qual modo, persino le ambizioni estetiche
delle prime fan dell'aerobica. Le palestre di oggi hanno almeno tre
caratteristiche peculiari (Sassatelli 2000). Innanzi tutto si tratta sempre più di
veri e propri centri integrati per l'esercizio fisico. Uno dei loro tratti salienti è
infatti la possibilità di allenarsi seguendo tecniche ormai tradizionali come
l'aerobica e il body building, fare un'attività più blanda e generica come lo
stretching, sudare in compagnia in ambienti unisex con il circuit training o lo
spinning, provare sempre nuove combinazioni di ginnastica e danza, yoga o
arti marziali, sino ad arrivare a tecniche miste sportive di fitness, come il kick
boxing. In secondo luogo, il riferimento alla varietà dei bisogni individuali e la
varietà stessa delle tecniche di esercizio a disposizione, non implicano
l'assenza di un minino comune denominatore, che si incarna piuttosto nella
duplice valenza del termine fitness. Con il termine fitness si indica infatti sia
l'allenamento in palestra, sia lo stato fisico che tale allenamento è volto a
produrre: il corpo in forma. Infine, la piacevolezza dell'attività fisica viene
presentata come un aspetto fondamentale del fitness: più che sulla fatica e
sullo sforzo fisico l'accento cade sul piacere e sulla soddisfazione. Gli
allenatori, i personal trainer e gli esperti di fitness, nei sempre più numerosi
manuali o durante gli allenamenti, sottolineano sempre che andare in palestra è
bello, piacevole, un diversivo, dove ciascuno può trovare un proprio percorso,
non solo di fatica ma anche di svago, piacere, divertimento. Così, il tempo
speso in palestra viene presentato dagli allenatori e vissuto dagli appassionati
come un "tempo per sé". Il centro fitness cerca di essere un luogo dove ci si
può rigenerare, migliorando il proprio corpo senza piegarsi a esigenze
agonistiche o proporsi traguardi imperiosi e, anzi, riuscendo perfino a divertirsi.
Il successo del fenomeno fitness va indubbiamente posto sullo sfondo di alcune
tendenze di medio lungo periodo che segnalano un mutamento di rapporto col
corpo e di stile di vita, nel quale sono stati inseriti anche altri fenomeni. In primo
luogo, il successo del fitness si inserisce nel quadro della progressiva crescita,
durante gli ultimi due decenni, del consumo di tutti i beni e servizi legati al
miglioramento e alla trasformazione del corpo, sia in Europa che negli Stati
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Uniti. In secondo luogo, nel secondo dopoguerra, anche per effetto
dell'aumento del tempo libero, un numero crescente di persone, in Europa e in
Italia, si sono avvicinate all’attività sportiva. Ma fitness e sport non sono solo
sinergici: la domanda di sport sembra essersi frenata nel corso degli anni
Novanta, almeno in Italia, laddove l’attività fisica generica, e il fitness in
particolare, sembrano in forte incremento a partire proprio da questo periodo
(Sassatelli 2000). E se per le attività sportive tradizionali si registra ancora una
marcata differenza tra uomini e donne per quanto riguarda l'attività fisicoricreativa, i tassi di partecipazione maschile e femminile sono molto simili: il
fitness è sempre di più un fenomeno che interessa entrambi i generi, oltre che
generazioni diverse, anche se rimane differenziato al suo interno (le donne
sono ancora le principali destinatarie dei corsi di aerobica, mentre i pesi liberi
sono territorio tipicamente maschile). Sono cambiate anche le motivazioni che
spingono alla pratica sportiva, in parte in relazione alla accresciuta età media
della popolazione che incentiva una domanda più volta al benessere fisico e al
mantenimento della funzionalità corporea che non all'agonismo. La cura del
corpo e la ricerca del benessere psicofisico sono motivazioni assai importanti
per gli sportivi che hanno superato i 30 anni: in questo caso, l'attività sportiva
sembra configurarsi come un investimento per il futuro e si scelgono spesso le
attività che promettono il massimo dei benefici nel minor tempo possibile
(Sassatelli 2000 e 2003). Per esempio, tra tutti coloro che praticano sport in
Italia, oltre i due terzi ne sottolineano l'aspetto ludico e di svago, mentre più
della metà sostiene di fare attività anche o solo per mantenersi in forma e per
motivi terapeutici.
Con queste premesse le attività di fitness e le palestre commerciali, in cui gran
parte di esse hanno luogo, sembrano destinate ad assumere un ruolo sempre
più rilevante nel tempo libero. Forse anche per questo, il fenomeno del fitness è
stato oggetto di diagnosi contrastanti. L'esplosione del fitness è stata celebrata
come una forma di democratizzazione dello sport che ha abbracciato segmenti
di popolazione, per esempio le donne, tradizionalmente esclusi dal fenomeno
sportivo-ricreativo; o è stata denigrata come il trionfo del narcisismo
consumistico e la spia dell'avanzare dell'edonismo postmoderno. Il successo
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dei video di aerobica di Jane Fonda, per esempio, è stato interpretato dal
pensiero femminista come la riprova che le donne sono vittime, ancora oggi, di
un regime patriarcale che le obbliga a preoccuparsi in modo eccessivo del
proprio aspetto esteriore (Dinnerstein e Weitz 1998). Altri lavori femministi
hanno variamente sottolineato che la preoccupazione per il grasso connessa
all'aerobica è analoga alle ossessioni delle donne che soffrono di disturbi
alimentari, che la continua autosorveglianza durante gli esercizi non libera la
vita delle donne ma rende loro più difficile accettare il proprio corpo, che lo
sviluppo dell'aerobica rafforza gli standard normativi della femminilità e tende a
segregare ancora una volta le attività sportive femminili (Lloyd 1996; Maguire e
Mansfield 1998). Il bodybuilding, come attività fisica competitiva, sia a livello
amatoriale che professionale, è stato invece messo in relazione alla creazione
di circoli subculturali dove viene riprodotta una femminilità complessa e in parte
sovversiva, o una mascolinità tradizionale ma spesso ambigua. Il lavoro di Alan
Klein sui bodybuilder californiani mostra, da un lato, che lo sviluppo muscolare
si associa al tentativo tipicamente maschile di compensare, coi muscoli,
carenze fisiche, culturali o economiche, dall'altro illustra le contraddizioni
economiche, sessuali e personali dei bodybuilder e l'incompletezza della loro
ricerca della mascolinità (Klein 1993; cfr. anche Gillett e White 1992).
L'etnografia di Maria Lowe ci offre invece una panoramica del mondo delle
donne bodybuilder e delle sue contraddizioni. Se, per esempio, attraverso una
deliberata crescita delle proprie masse muscolari queste donne sembrano
sfidare le distinzioni di genere, durante le competizioni esse si ritrovano a dover
dimostrare la propria femminilità attraverso ornamenti e posture iperfemminili
(Lowe 1998; cfr. anche St. Martin e Gavey 1996). Questi lavori ci segnalano
temi importanti, eppure, per capire attraverso quali meccanismi la pratica del
fitness diventi importante per coloro che vi si dedicano, occorre superare una
troppa facile equazione tra cura del corpo e superficialità o manipolazione dei
desideri, ed entrare davvero nel mondo della palestra, esplorando
l'organizzazione dell'ambiente e dell'esercizio fisico e domandandosi come
questa istituzione possa rispondere a una pluralità di domande complesse e
persino contrastanti tra loro.
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La palestra di fitness è un ambiente particolare. Attraversata la porta d'ingresso,
mentre il rumore della strada sfuma, ci si trova immersi in un ambiente separato e
protetto. Servendosi di differenti soluzioni architettoniche ogni palestra definisce
in modo originale i propri confini e caratterizza il proprio stile e la propria
atmosfera. Nonostante le loro diversità, le palestre sono immancabilmente
costruite, mediante opportuni segnali di passaggio, come spazi specializzati.
Esse si configurano cioè come delle realtà relativamente separate che esistono,
in certa misura, in se stesse e per se stesse; dei piccoli mondi a parte,
funzionalmente ritagliati dal più vasto ambiente sociale e collegati a esso tramite
classificazioni proprie. Per comprendere che cosa avviene dentro la palestra,
occorre quindi prendere sul serio le risorse locali che essa organizza (spazi,
tempi, codici emotivi, atteggiamenti relazionali). Nelle palestre per il fitness gli
allenatori chiedono ai singoli di concentrarsi sul proprio corpo in allenamento e
promuovono un atteggiamento di cortesia che favorisce l'interazione senza
distrarre da quei compiti d'esercizio che sono ufficialmente prescritti. L'impegno
nell'esecuzione degli esercizi è anche favorito dalla gestione spazio-temporale
dell'ambiente. Le pratiche del corpo vengono smistate all'interno dei centri fitness
in aree funzionalmente differenziate: accanto ad aree per gli esercizi, diverse a
seconda delle attività che vi si svolgono, si trovano spogliatoi – dove i clienti si
preparano per gli esercizi e per ritornare alla realtà esterna dopo la ginnastica –,
saune, sale massaggi, e, nei centri più grandi, piscine e altri servizi di cura del
corpo. Le divisioni spaziali vengono tipicamente articolate in una particolare
sequenza temporale all'interno della quale l'esercizio fisico emerge come il
momento centrale, un tempo che è pensato per essere completamente utile, e la
cui qualità è garantita da margini organizzati e relativamente rigidi.
Soprattutto grazie al continuo lavorio degli allenatori – che stimolano, controllano,
orientano – la palestra per il fitness combina individualismo e universalismo:
promette di rivolgersi a tutti come individui, ai singoli come parte di un universo di
clienti illimitato, a tutti i bisogni, in quanto bisogni individuali. Individualismo e
universalismo permettono di gestire ampi numeri di clienti all'interno di uno spazio
relativamente ristretto con effetti di economia di scala. La commistione di queste
due esigenze istituzionali è affidata agli allenatori, la cui figura è universalmente
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riconosciuta come fondamentale: si tratta di veri e propri mediatori tra il mondo
del fitness e la vita ordinaria, impegnati, anche se non sempre con successo, a
facilitare l’ingresso dei clienti nel giusto spirito per allenarsi (Maguire 2002).
L'allenatore, da un lato, deve poter presentare le attività fisiche come pratiche
significative, e tenderà quindi a modularne procedure e significati in base alla
specificità di quanti vi prendono parte, e, dall'altro, deve promuovere e rispettare
l'apertura del servizio al pubblico. Così, a meno di non giovarsi di un personal
trainer (figura professionale peraltro in forte ascesa), la personalizzazione
dell'esercizio avviene sempre nell'ambito di una struttura che deve perlomeno
tentare di salvare la percezione di una propria vocazione universalistica,
continuando a gestire simultaneamente un pubblico composito (Sassatelli 2000).
Quando questo non avviene o avviene troppo poco, la palestra rischia di
scoraggiare i nuovi clienti o di formare troppo palesi gerarchie tra di loro,
escludendo e marginalizzando i clienti meno coinvolti e, nel tempo, inducendoli
all’abbandono.
Andare in palestra è certo un atto volontario. Tuttavia, una volta entrati, i clienti
si trovano in un ambiente che, per così dire, li obbliga a esercitarsi: un mondo
con regole proprie, volte a facilitare una concentrazione relativamente stabile
ed esclusiva nell'esecuzione delle attività fisiche prescritte. Chi fa fitness in
palestra apprezza questo ambito perché "spinge" a fare esercizio anche
quando non se ne ha voglia (Sassatelli 1999). Gli ideali del corpo a cui aspira
colui che fa fitness, sono importanti, ma non bastano, perché ben pochi
sembrano capaci di raccogliere le proprie forze e fare ginnastica da soli a casa
propria, e invece sanno che, una volta entrati in palestra, riusciranno a
impegnarsi. È la chiarezza e la limitatezza quasi surreale dell'interazione a far sì
che i clienti possano sentirsi coinvolti nell'esecuzione dell'attività fisica prescelta.
Per essere coinvolgente, l'attività fisica deve portare i clienti a dimenticarsi,
almeno in parte, delle proprie identità esterne e persino delle proprie
aspirazioni e frustrazioni estetiche: in una tipica scena d'esercizio, i clienti si
allenano insieme, ciascuno concentrato sul proprio corpo, i corpi vicini
diventano, in qualche modo, neutri e innocui, utili e rilevanti solo per esercitarsi.
Ciò avviene innanzi tutto mediante alcune regole che prescrivono il modo in cui
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i partecipanti devono mostrare il proprio coinvolgimento nell'azione. Con una
miriade di segnali corporei (l'atteggiamento, la posizione, l'espressione facciale,
gli sguardi, e così via) e con alcuni brevi scambi verbali, i partecipanti
dimostrano concretamente e continuamente che ciò che essi stanno facendo è
solo e unicamente esercitarsi e che solo alcune caratteristiche dei loro corpi
devono essere prese in considerazione. Impegnarsi nello svolgere
correttamente l'attività fisica, sia da soli con le macchine o allenandosi in
gruppo, chiede inoltre ai partecipanti di mettere tra parentesi i propri e gli altrui
progetti sul corpo. Chi fa fitness deve poter imparare a svolgere gli esercizi nel
modo migliore, indipendentemente dalle prestazioni di chi gli sta attorno o dai
risultati che otterrà. Per riuscire a vivere l'esercizio fisico come un presente
significativo, i clienti devono cioè imparare a trasformare, almeno
momentaneamente, le proprie motivazioni di lungo periodo nel desiderio di
impegnarsi nell’esercizio.
Imparare a osservare i corpi che si esercitano con discrezione, e cioè in
relazione all'esecuzione degli esercizi, e riuscire a sottolineare l'impegno, e
cioè mostrare che i risultati e le prestazioni sono meno importanti dei propri
sforzi, sono entrambi atteggiamenti fondamentali durante l'attività fisica. Si
tratta di modi di porsi tanto più importanti quanto più l'allenamento viene
presentato e giustificato come un'attività strumentale, e quindi potenzialmente
priva di significato intrinseco, capace solo di offrire una gratificazione differita
legata al conseguimento di un corpo migliore. Il fitness è, in questo senso,
assai diverso dalla maggiore parte delle attività sportive contemporanee
individuali o di squadra. La maggior parte delle attività sportive contemporanee
– anche molto diverse tra loro come la maratona, il calcio o il nuoto
sincronizzato – non vengono presentate come sforzi strumentali, bensì come
pratiche fini a se stesse o comunque organizzate secondo logiche
esclusivamente interne, almeno formalmente. Pur ottenendo effetti sul corpo,
queste pratiche mirano a dotare il singolo di capacità altamente specifiche da
liberare in tutta la loro potenza in alcune occasioni che hanno valore innanzi
tutto all'interno del mondo sportivo. Le possibilità di trasformazione del corpo
connesse all'allenamento sportivo sono subordinate allo stile dell'esecuzione, al
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gesto atletico, alla prestazione eccezionale. Le attività sportive contemporanee
infatti si ispirano tipicamente all'atletismo, uno stile sportivo che si è
sedimentato nel corso della modernità (in opposizione agli stili della festa e
della guerra, cfr. Garrigou 1987) e che trova cioè la propria giustificazione al
suo interno, nella soddisfazione che i partecipanti provano per le proprie
prestazioni o nell'affermazione di una competenza specializzata che astrae da
ogni altro codice sociale (Bourdieu 1978; Guttmann 1978; Heikkala 1993).
L'atleta si esercita in vista della gara e l'organizzazione dell'allenamento
prevede che l'esercizio quotidiano si avvicini progressivamente all'esercizio
ideale da offrire al pubblico. I miglioramenti del corpo sono dunque subordinati
all'esecuzione di uno specifico esercizio. Nell'allenamento di fitness, invece, sia
la sequenza dei movimenti che i singoli movimenti non sono importanti in sé,
perché, ripetuti all'infinito, dovranno poi essere riprodotti e rappresentati in una
occasione specifica. Il fitness, infatti, mira a sviluppare qualità incorporate che
vanno oltre la perfetta esecuzione degli esercizi. Lo stile e la prestazione
locale, per quanto importanti, hanno un valore unicamente strumentale. La
possibilità di modellare il proprio corpo domina l'esercizio. Tale possibilità
plastica non è più lo strumento di un fine ulteriore; diviene, piuttosto, una meta
in se stessa. Agli occhi di molti clienti, proprio questa enfasi sulla
trasformazione del corpo qualifica positivamente il fitness rispetto agli sport
atletici che non farebbero davvero bene al corpo, che non servirebbero, allo
stesso modo, per rigenerarsi, che tendono a essere troppo competitivi anziché
spingere i soggetti a concentrarsi unicamente su se stessi, per saggiare i propri
limiti in modo controllato, come invece pretende di fare il fitness (Sassatelli
2000). Numerosi manuali di fitness consigliano di evitare le gare con gli altri
frequentatori della palestra perché tanto non ci sarà nessun premio per chi
diventerà alto, magro, snello prima degli altri. Anche Callan Pinckney (1995,
26), una famosa istruttrice americana, invita coloro che vogliono seguire i suoi
programmi a non "commettere l'errore di pensare che tutti gli altri siano 'perfetti'
e voi no. Lavorate con quello che avete. C'è sempre la possibilità di migliorare".
Nonostante questi richiami, coloro che seguono programmi di fitness – dai più
esperti ai novizi, dagli entusiasti ai marginali – non hanno dubbi nell’indicare
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l’attività di palestra come un modo per migliorare il proprio corpo. Per quanto
sempre in evoluzione, vi sono in effetti alcuni ideali di corpo caratteristici del
fitness e che svolgono una funzione egemonica nel mondo delle palestre
(Markula 1995; Sassatelli 2003). Il discorso esperto, gli allenatori e chi pratica
fitness in modo regolare, finiscono per definire come "normale" un particolare
ideale del corpo che pone al centro la nozione di “forma”. Tale nozione si
impernia sull’idea di energia, insieme ad altri fattori quali la forza, la resistenza,
l'agilità, l'elasticità, la capacità vascolare, il fiato e così via. La forma raccoglie un
insieme di aspirazioni relative al corpo come strumento da usare nella vita
quotidiana. Come profondità, la forma è contrapposta alla superficie delle forme,
che deve essere tonica, elastica, definita per sottolineare la funzionalità, energia e
forza del corpo in forma. Forme in forma dunque, che a loro volta sono un segno
di salute, intesa come giovinezza, capacità e prestazione. A chi fa fitness si
chiede dunque di riconoscere che non si ottengono forme adeguate senza il
conseguimento di una buona forma e che la forma è il migliore sintomo di una
buona salute. Solo un corpo in forma incarna propriamente il fitness. L'evoluzione
della stessa nozione di fitness spinge in questa direzione. Se, come spiega
Roberta Park (1994, 61-62), i "vittoriani pensavano al fitness in termini di
adattabilità biologica", e da ciò "derivavano una serie di presupposti sulle
differenze razziali, sessuali, e così via" tanto che gli "atleti erano spesso dipinti
come maschi biologicamente superiori", "oggi i fitness viene spesso equiparata
con la muscolosità, il contorno del corpo, e/o l'abilità di sostenere una sessione di
esercizio di trenta minuti".
Il fitness dunque lega indissolubilmente un ideale di corpo ben preciso e le attività
fisiche che sono tese a ottenerlo: nel discorso esperto e nelle testimonianze dei
clienti abituali il movimento razionalizzato dei muscoli e l'efficienza muscolare si
sovrappongono, così come l'efficienza muscolare e la maggiore forma fisica. Un
corpo in forma è il prodotto di un'attività fisica ben organizzata e strumentale.
Durante l'attività il corpo si configura come uno strumento da usare più che una
fonte di valore da preservare, e viene lavorato a livello di forze più che a livello di
segni. Il prodotto di tale lavoro corrisponde, a sua volta, a una visione strumentale
del corpo, e cioè all'idea che il corpo debba essere tenuto attivo come riserva di
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energia da sfruttare nella vita quotidiana. La doppia strumentalità del fitness, la
strumentalità del lavoro sul corpo che si svolge in palestra e la strumentalità del
corpo che viene così prodotto, diventa quindi un valore, per così dire, primario ed
egemonico. Il fitness si esprime così anche esteticamente in un modello di
tonicità, compattezza e definizione dei contorni che rimanda all'energia
muscolare. Se il grasso è brutto, è innanzi tutto perché non serve, non è docile e
funzionale come i muscoli, ma è il segno più evidente di quanto il proprio corpo
sia indisciplinato. In questo senso, funzionalità ed estetica sembrano incontrarsi:
l’estetica della funzionalità a cui si ispira il fitness vuole che il corpo non sia
grosso, quanto forte, scattante e agile, un ideale androgino e giovanilistico che
vuole muscoli potenziati, sodi e allungati più che gonfi e prominenti (Sassatelli
2000).
L’energia del corpo in forma traspare dal corpo e diviene essa stessa, non solo
uno strumento, ma anche un prezioso indicatore del valore del soggetto. Se,
come sostiene Foucault, nell’età del movimento razionalizzato "il corpo
disciplinato è il sostegno di un gesto efficace", se “la sola cerimonia veramente
importante è quella dell'esercizio" (Foucault 1975, trad. it., 149 e 166), un corpo
che ha visibilmente incorporato l'esercizio può riacquistare proprietà cerimoniali.
Un corpo in forma, parla del soggetto in un certo modo: allude a un soggetto forte
e vitale, un soggetto che vuole mostrarsi padrone di se stesso e che per farlo
sfrutta innanzi tutto le proprie “autentiche” capacità, guadagnandosi
“naturalmente”, con il proprio lavoro, miglioramenti e trasformazioni. La
strumentalità della forma e la naturalità dell’allenamento di fitness si inseriscono
dunque in un più ampio quadro di significati. Presentato come un correttivo alla
vita sedentaria e stressante delle metropoli, il fitness viene indicato come un
modo di porre in equilibrio corpo e mente, legato a una possibilità di "genuinità"
irrinunciabile. La cura esclusiva del corpo e l'attenzione ai suoi bisogni, entrambe
promesse dalla palestra, non trasformano però il corpo in un fine. Per quanto vi
siano limiti al controllo riflessivo che si può ottenere con l’esercizio, anche tra
coloro che attribuiscono importanza all’armonia tra mente e corpo, la palestra
sembra piuttosto volta a ottenere un maggior controllo sul corpo, a sapere, per
esempio, fin dove arriva il fiato per potere sfruttare il corpo al massimo (Sassatelli
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2000; cfr. anche White et al. 1995; e Crossley 2005). In palestra, come in altri
ambiti contemporanei di cura del corpo, dare spazio al corpo vuole dire non tanto
superare il dualismo corpo-sé, quanto aderire a nuove forme di governo del corpo
che possano aumentarne energia e capacità. I discorsi che gli esperti e i clienti
elaborano per attribuire significato alla palestra si inseriscono, in effetti, in un
processo di lungo periodo che ha visto lentamente trasformarsi le pratiche fisicoricreative. Nell’Ottocento pratiche di ricreazione e di cura del corpo trovavano
espressione in attività fisiche contenitive, come le cure termali, e restavano così
all'interno di una logica puritana di governo negativo del corpo. Già a partire dal
Novecento si è invece fatto strada un governo positivo del corpo che implica
produrre energia piuttosto che trattenerla, stimolare il corpo piuttosto che inibirlo.
Come George Vigarello (1978) ha mostrato, insieme alla concezione del corpo
come un punto di incontro dell'inconscio che esso esprime e delle domande
esterne che lo reprimono, si sono fatte strada tecniche tese a far riscoprire il
corpo in tutti i suoi aspetti. In quest’ottica, il dualismo corpo-sé non è solo una
cattiva abitudine del pensiero occidentale, esso è piuttosto un meccanismo
culturale produttivo di discorsi e pratiche di trascendenza che, circolarmente, tali
discorsi e pratiche non fanno altro che confermare. È proprio la concezione di una
separazione e di una opposizione tra sé/mente e corpo a rendere possibile la
perpetua attribuzione di straordinario valore a quegli spazi specializzati, che come
la palestra, si propongono come fonte della sua possibile ricomposizione. Il
dualismo corpo/sé è inoltre produttivo di un certo tipo di soggetto. Certo, in
palestra non si fa filosofia, le tecniche del dettaglio e della scomposizione si
applicano al corpo come dato fisico. Tuttavia, il significato ultimo della palestra si
sposta dal corpo al soggetto. La nozione del corpo come strumento docile del
soggetto nel mondo enfatizza l'idea del sé. L'allenamento in palestra – sottolinea
il discorso esperto – serve non solo a migliorare la linea del corpo ma anche ad
acquisire sicurezza e fiducia in se stessi. Il soggetto – così vuole il discorso
esperto sul fitness – non è più alla mercé di un ambiente ostile, non scarica più
sul corpo le proprie insoddisfazioni, bensì diviene un solido amministratore delle
proprie risorse che gestisce in modo razionale. La stessa idea di un sé non
riducibile ai ruoli che il soggetto occupa nella vita sociale, e neppure
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semplicemente ricavato per sottrazione da questi, bensì autentico nucleo della
persona, viene evocata dall'immagine del corpo come puro strumento ordinario.
Più il corpo viene concepito come mezzo universale, utilità pura e non già
indirizzata, più esso allude a un sé che non è contenuto nei ruoli e nelle richieste
della vita quotidiana bensì li governa, governando se stesso attraverso il corpo.
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