Untitled - Barz and Hippo

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Untitled - Barz and Hippo
Polanski: vittima o carnefice? La domanda riguarda l'uomo, e resta aperta. L'arte è un'altra cosa. Il
regista dal passato tragico, ma discusso dall'opinione pubblica per aver compiuto nel 1977 uno stupro
ed essersi sottratto alla legge che recentemente (e tardivamente) lo ha poi riacciuffato, pochi giorni
prima dell'arresto stava iniziando a lavorare al suo nuovo film, mirabile e divertente carneficina della
famiglia borghese 'bene'.
scheda tecnica
durata:
79 MINUTI
nazionalità:
FRANCIA, GERMANIA, POLONIA, SPAGNA
anno:
2011
regia:
ROMAN POLANSKI
soggetto:
YASMINA REZA
sceneggiatura:
ROMAN POLANSKI, YASMINA REZA
fotografia:
PAWEL EDELMAN
montaggio:
HERVÉ DE LUZE
costumi:
MILENA CANONERO
musica:
ALEXANDRE DESPLAT
scenografia:
FRANCKIE DIAGO
distribuzione:
MEDUSA
Interpreti:
JODIE FOSTER (Penelope Longstreet), KATE WINSLET (Nancy Cowen),
CHRISTOPH WALTZ (Alan Cowen), JOHN C. REILLY (Michael Longstreet).
Roman Polanski
Figlio di Ryszard Liebling, polacco di discendenza ebraica e Bula Katz, cattolica di origini russe, Roman
nasce nell'agosto 1933, a Parigi. Due anni prima dell'avvento della Seconda Guerra Mondiale, la
famiglia Polanski lascia la Francia, a causa del crescente antisemitismo, per tornare in Polonia. Giunti a
Cracovia, però, i nazisti rinchiudono i Polanski nel ghetto di Varsavia; nel 1941, la madre di Roman,
prelevata dalle SS e deportata ad Auschwitz, viene uccisa nel campo di sterminio.
Dopo aver sofferto terribili angherie, aiutato dal padre, il piccolo Roman, di appena sette anni, riesce a
fuggire. Tra le premurose cure di due genitori adottivi, può finalmente iniziare una nuova vita: si
sviluppa in lui una certa vena artistica, orientata verso il mondo del cinema. Il conflitto è ormai al suo
epilogo e il giovane Polanski ritrova il tanto amato padre, sano e salvo. Nel 1953, ottiene una parte in
un film, come attore.
Dopo la Scuola d'Arte di Cracovia, frequenta la Lodz Film School. A soli 22 anni debutta dietro la
macchina da presa con il cortometraggio Rower. Nel settembre 1959 sposa l'attrice polacca Barbara
Lass, dalla quale divorzierà tre anni dopo. Alle soglie dei trenta, Roman dirige il primo lungometraggio:
il bellissimo Il Coltello Nell'Acqua che tra i vari riconoscimenti si guadagna la nomination all'Oscar come
Miglior Film Straniero.
Nel 1963 si trasferisce in Inghilterra e prosegue a dirigere. Nel 1967, divenuto ormai un regista di fama
internazionale, si invaghisce della modella Sharon Tate, che sposa. Determinato a fare della sua
giovane moglie una star, Roman la lancia nella commedia "vampiresca" Per Favore, Non Mordermi Sul
Collo. Ma la vita coniugale non è tutta rosa e fiori: sul set infatti, Roman la tratta in malo modo, e non lo
si può dire un marito fedele. In quel periodo, Polanski dirige Rosemary's Baby. Reputato il miglior film
horror di tutti i tempi, questo agghiacciante capolavoro dona al suo creatore un successo di proporzioni
enormi. La sera del 9 Agosto 1969, mentre il cineasta si trova in Gran Bretanga per girare il dramma
Macbeth, un drappello di seguaci del noto killer Charles Manson fanno irruzione nella villa del regista, a
Beverly Hills. Nell'abitazione, Sharon, che sta festeggiando con alcuni amici la sua gravidanza, viene
brutalmente uccisa. Gli spietati assassini, oltre alla Tate eliminano anche il resto degli invitati.
Solo nel 1974 Polanski trova nuovamente l'ispirazione e dirige Jack Nicholson e Faye Dunaway nel
meraviglioso noir Chinatown che gli vale ben undici candidature agli Academy Awards. Il 1 febbraio
1978, dopo aver confessato di aver abusato di una modella tredicenne sotto gli effetti di droghe ed aver
ricevuto una condanna da parte di un tribunale americano, Polanski, fugge in Francia. Da allora non ha
mai più messo piede negli Stati Uniti.
Nel 2002 arriva il premio Oscar per la direzione dello splendido film Il Pianista. Attualmente vive con la
moglie Emmanuelle Seigner, sposata il 30 agosto 1989 e con la quale ha due figli.
Filmografia
Il coltello nell'acqua (1962)
Repulsione (1965)
Cul-de-sac (1966)
Per favore non mordermi sul collo! (1967)
Rosemary's Baby (1968)
Macbeth (1971)
Che? (1972)
Chinatown (1974)
L'inquilino del terzo piano (1976)
Tess (1979)
Pirati (1986)
Frantic (1988)
Luna di fiele (1992)
La morte e la fanciulla (1994)
La nona porta (1999)
Il pianista (2002)
Oliver Twist (2005)
L'uomo nell'ombra (2010)
Carnage (2011).
la parola ai protagonisti
Cristoph Waltz
Christoph Waltz non è un attore qualunque. E non ha vinto l’Oscar per caso. Te ne rendi conto mentre
gli parli. È a Ischia, ospite dell’Ischia Global film fest, con le ciabattine da mare, una camicia a maniche
corte, una barba da profeta biblico. Ma, anche se è rilassato e il sole di Ischia gli sta disegnando
l’abbronzatura, non dimentica che la grandezza è questione di dettagli.
Christoph Waltz non ama le domande generiche, quelle a cui puoi rispondere delle banalità. Preferisce
domande precise. Preferisce l’esattezza. È con un lavoro di cesello che questo attore austriaco
cinquantacinquenne, praticamente sconosciuto fino ad allora, ha disegnato il personaggio dell’ufficiale
nazista nel film di Tarantino Bastardi senza gloria, che lo ha portato a vincere l’Oscar.
È con il lavoro preciso sul dettaglio, su un tono della voce, su ogni gesto, che Waltz ha affrontato il
nuovo film di Roman Polanski, Carnage, di cui è protagonista insieme a Kate Winslet, Jodie Foster e
John C. Reilly. Una storia tutta chiusa tra quattro mura: dove si incontrano, e si affrontano, due coppie. I
genitori di due bambini, protagonisti di una innocua rissa di scuola. Poi, tutto cambia, raggiungendo
picchi drammatici inattesi. Il film nasce da una pièce di Yasmina Reza, “Il dio della carneficina”, portata
a teatro in tutto il mondo. Anche in Italia, con Silvio Orlando, Anna Bonaiuto, Alessio Boni, Michela
Cescon. La versione cinematografica, leggermente diversa, sarà l’evento di apertura della prossima
Mostra del cinema di Venezia.
Com'era l’atmosfera, sul set? Polanski era scosso da questa vicenda?
Purtroppo questa situazione non è nuova per Polanski. Sono anni che si porta dietro questo problema.
Ma sul set non c’era tensione, non c’era mai una atmosfera pesante. Certo, immagino che sotto la
facciata dovesse soffrire.
Che cosa si impara, lavorando con Polanski?
A non permettersi mai di imboccare scorciatoie. Io non credo che i grandi musicisti, come Verdi o
Wagner, dicessero mai ‘ma sì, va bene anche così, non ci preoccupiamo’. Erano persone precise,
puntigliose, esigenti. Nessuno, tra gli artisti, è abituato a tirare via.
Come avete preparato il film?
Come se fosse stato un dramma da recitare a teatro. Molte prove, e poi abbiamo girato in ordine
cronologico.
Polanski fa molti ciak?
No, non direi. Orson Welles faceva fino a ottanta ciak: quelli sono molti ciak! Noi, proprio perché
avevamo preparato tutto prima, non superavamo i cinque o sei.
Con Quentin Tarantino, che la ha rivelata in “Bastardi senza gloria”, lavorerà ancora?
Sì, il prossimo novembre. È il suo prossimo film: si chiama Django scatenato, e si ispira a un vecchio
film di Sergio Corbucci, Django, del 1966, con Franco Nero. Io sarò un cacciatore di taglie, e nel cast ci
sarà anche Jamie Foxx. Si girerà in Louisiana e in Messico.
Cosa è cambiato nella sua vita dopo Tarantino?
Tutto. Dopo la proiezione di Cannes, la mia produttrice mi disse: ‘guardati intorno. Questo è l’ultimo
momento della tua vita, così come l’hai sempre conosciuta’. Aveva ragione.
Yasmina Reza, Christopher Waltz, Kate Winslet
Yasmina Reza conosce Polanski da più di vent'anni. Il primo settembre passerà in concorso Carnage, il
film che Polanski ha tratto dalla pièce Il Dio della carneficina di cui è autrice Yasmina, che ebbe
successo anche in Italia. Il tema è: quando la buona borghesia getta la maschera del perbenismo. Un
film con quattro personaggi. Al Lido, salvo Jodie Foster, con l'autrice arriveranno Kate Winslet, John C.
Reilly e Christoph Waltz, che tutti ricordiamo come colonnello nazista in Bastardi senza gloria di
Tarantino, che gli valse l'Oscar come migliore attore non protagonista.
La Reza e Waltz commentano l'arresto di Polanski avvenuto alcuni mesi fa:
Reza: Per ironia della sorte, prima del suo arresto stavamo passando le vacanze nello stesso posto.
Roman mi chiese se i diritti cinematografici erano liberi. Avevo rifiutato altre proposte. A lui dissi sì: per
la sua potenza drammaturgica, per la vena umoristica che non utilizzava da molto tempo.
Proposi di cominciare a lavorare subito alla sceneggiatura per l'adattamento, ma lui rispose che doveva
andare prima a Zurigo per ritirare un premio alla carriera. Non aveva il minimo sospetto di quello che gli
stava per succedere. Io non voglio entrare in aspetti giudiziari, di cui non ho la competenza, ma sono
scioccata dal modo in cui la gente ha giudicato senza sapere nulla, esprimendo una pubblica
condanna. Nessuno è al di sopra della legge, quello che mi sento di dire è che Roman conduce una
vita esemplare. È un'espressione ridicola, ma sento il dovere di oppormi in maniera rigida ai suoi
detrattori. Al momento dell'arresto, la moglie, Emmanuelle Seigner, e i due figli adolescenti hanno
preparato la valigia per il carcere. Non la volevano né troppo piccola, per mettere più cose possibili, né
troppo grande, per non fargli temere una lunga incarcerazione.
Waltz: La mia idea su questa vicenda è che ognuno ha un'opinione ma nessuno sa niente. È il classico
argomento di conversazione a tavola, la borghesia adora parlare di cose imbarazzanti. Ognuno cerca
conferme dei propri convincimenti morali, la gente ha scelto di vedere attraverso il proprio ombelico.
Quali sono le cose certe? Primo, Roman Polanski non ha mai negato quello che ha fatto. Secondo, è
stato punito. Terzo, la faccenda è stata sistemata. L'accordo in tribunale si è svolto in privato, anche se
è stato pubblicizzato. Ed è venuto fuori che l'accusa inseguiva, grazie alla visibilità derivata da questa
storia, personali ambizioni carrieriste. Il crimine, alla fine, non era più il punto.
Il film ha una chiave meno pessimistica della piéce da cui è tratto. Perchè?
Reza.: È stato un desiderio di Roman. La mia piéce aveva un finale molto negativo, completamente
senza speranza. Il finale più ottimistico l'ha voluto Roman, e io ho fatto di tutto per venire incontro al
suo immaginario. Il suo desiderio era quello di dare un segno di speranza soprattutto alle generazioni
future.
Quando così tanti autori dividono lo stesso set, i talenti comunicano o confliggono?
Winslet: se Roman fosse qui direbbe senz'altro che comunicano. Tutti siamo andati d'accordo fin dal
primo giorno di prove. Avevamo ovviamente un salutare timore nei confronti del copione, bellissimo, e
nei confronti del grande Polanski. Diciamo che questa nostra comune paura ha cementato l'unione. Il
lavoro è stato sereno e divertente, ci siamo scambiati tante idee sul film, comportandoci come un
gruppo di amici. Roman ripeteva spesso di non aver mai conosciuto attori così poco competitivi fra loro
su un set.
Waltz: Ognuno ovviamente aveva il suo approccio al ruolo, anche perché i caratteri dei nostri
personaggi erano molto diversi. Abbiamo provato per due settimane, proprio come a teatro, ed è stato
molto utile perché ci ha permesso di fissare gesti, posizioni e atteggiamenti.
È difficile lavorare in un film costruito più sui dialoghi che sull'azione?
Winslet: Non saprei, non ci sono formule. Non credo che questa storia, nonostante fosse basata sul
dialogo, fosse più semplice di altre. Anzi, per me il racconto è molto dettagliato, complesso come lo
sono tutte le dinamiche familiari. La mia principale preoccupazione era quella di risultare più divertente
dell'eccellente attrice che aveva recitato il mio ruolo sul palcoscenico... è stato solo quando ho capito
che la versione cinematografica avrebbe avuto un tono e un ritmo diverso dalla piéce, che mi sono
sbloccata e liberata dall'ansia.
Cosa vi ha attratti in questa storia di dinamiche familiari?
Winslet: Immagino che quando si è genitori e si proviene da una famiglia unita e grande ci si trovi
inconsciamente attratti da questo tipo di storie. Quando Roman mi ha offerto di partecipare alla sua
carneficina familiare, beh, non potevo dire di no. Tra l'altro avevo visto la piéce a teatro e trovavo il
copione straordinario.
Come avete lavorato in spazi così ristretti?
Winslet: Siamo arrivati il primo giorno per le prove e non sapevamo cosa sarebbe successo. Dopo una
settimana Roman ci ha chiesto di memorizzare le battute, e ogni movimento e dettaglio dei nostri
personaggi è stato mappato nell'ambiente. Una stanza molto piccola, piena di gente: è servito del
tempo per abituarci. E poi le riprese sono state fatte in ordine cronologico.
Si è ispirata a qualcuno per il suo ruolo?
Winslet: Non ho cercato di imitare altre mie performance, mi sono concentrata come sempre sul fatto
che i personaggi iniziano in un posto e alla fine del film finiscono altrove, ho pensato al loro viaggio
interiore. Fare tutto questo in una sola stanza e in un'ora e quaranta rendeva il compito naturalmente
più difficile.
Recensioni
Marzia Gandolfi. Mymovies
In un misurato appartamento di Brooklyn due coppie provano a risolvere uno smisurato accidente.
Zachary e Ethan, i loro figli adolescenti, si sono confrontati incivilmente nel parco. Due incisivi rotti
dopo, i rispettivi genitori si incontrano per appianare i conflitti adolescenziali e riconciliarne gli animi.
Ricevuti con le migliori intenzioni dai coniugi Longstreet, genitori della parte lesa, i Cowan, legale col
vizio del BlackBerry lui, broker finanziario debole di stomaco lei, corrispondono proponimenti e
gentilezza. Almeno fino a quando la nausea della signora Cowan non viene rigettata sui preziosi libri
d'arte della signora Longstreet, scrittrice di un solo libro, attivista politica di troppe cause e consorte
imbarazzata di un grossista di maniglie e sciacquoni. L'imprevisto ‘dare di stomaco' sbriglia le rispettive
nature, sospendendo maschere e buone maniere, innescando un'esilarante carneficina dialettica.
Non è la prima volta che Roman Polanski ‘costringe' e isola i suoi protagonisti a bordo di una barca,
dentro un castello, oltre il ghetto di Cracovia, sopra un'isola (in)accessibile. Da sempre nella filmografia
del regista polacco la separazione è necessaria per mettere ordine e avviare un' ‘inchiesta'. Accomodati
tre premi Oscar (Kate Winslet, Jodie Foster, Christoph Waltz) e un candidato eterno non protagonista
(John C. Reilly) in un appartamento di Brooklyn, ambientazione dichiarata dalla prima inquadratura e
trattenuta da due alberi che dietro le fronde rivelano lo skyline ‘alterato' di Manhattan, Polanski
denuncia ancora una volta il riferimento al (suo) maestro inglese. In particolare un capolavoro di
Hitchcock palpita sotto la superficie, un omaggio che dopo molte risate lascia un ‘nodo alla gola'.
Trattenuto in un'unica location e svolto in tempo reale, Carnage è ‘scenograficamente' prossimo al
Rope hitchcockiano che, girato a Los Angeles, apriva le finestre del suo appartamento su una
Manhattan in scala, ricreata attraverso un ciclorama di quattrocento metri quadrati e illuminato da
un'abbondanza di lampadine e insegne al neon. Il richiamo non si limita allo spazio esterno, ma ancora
e di più a quella maniera unica di tradurre un'idea in un movimento, in movimenti invisibili quanto
mirabili di macchina. Versione cinematografica della piéce teatrale di Yasmina Reza, co-sceneggiatrice
con Polanski, Carnage coniuga il piacere della forma al valore della storia, una storia che ancora una
volta suggerisce l'illusione della trasparenza. La maschera linda dei quattro protagonisti insinua presto
un malessere sordo, un orrore che c'è e si vede. Così progressivamente le tempeste dialettiche
restituiscono alla superficie i ‘corpi' nascosti nei bauli dalla stessa vanità e gratuità degli studenti
hitchcockiani.
Polanski, naturalizzato francese ma apolide per vocazione, satura l'inquadratura di uomini e donne che
si sentono ostinatamente migliori dell'ambiente che li circonda, che rimandano a se stessi come gli
specchi dell'appartamento, ubicato fuori dalla finzione a Parigi e dimostrazione della condizione di
“perseguitato” di Polanski. In cattività, congiuntamente ai suoi coniugi (in)stabili e (ir)ragionevoli, il
regista ribadisce l'impraticabilità di introdurre un ordine nella realtà perché basta un conato di bile, un
cellulare annegato, un libro imbrattato, una borsetta rovesciata a disperdere equilibrio e ‘democrazia'.
Città immaginaria e ferocemente reale, New York apre e chiude il dramma da camera di Polanski, che
spacca e fruga, ‘percorrendo' con lo sguardo personaggi già ipocriti e corrotti, strumenti di ferocia
intrappolati in un cul de sac. In barba al politicamente corretto, l'irriducibile e non riconciliato Polanski
ha cominciato a saldare i conti con l'American Dream. Un sogno che non c'è più e forse è solo la più
grande menzogna mai tramandata.
Valerio Caprara. Il Mattino
Ottanta minuti mozzafiato nell’unità di tempo e spazio di un confortevole appartamento di Manhattan.
Quattro attori da urlo e il rimpallo superbo di un dialogo che farà male un po’ a tutti gli spettatori senza
infliggergli le solite prediche a buon mercato. E quello che più conta un film che evoca tematiche alte e
universali con toni allarmanti, sfiguranti, feroci ma imparziali, cioé mai redentoristi o didascalici.
Esattamente il contrario di ciò che serve per trionfare ai festival del cinema e infatti la giuria di Venezia
ne ha appena cancellato qualsiasi traccia nel suo verdetto da manuale farisaico. “Carnage” di Roman
Polanski, tratto dalla piéce “Il dio del massacro” della drammaturga e scrittrice francese Yasmina Reza
(ediz. ital. Adelphi), è un capolavoro che solo i più ingenui possono scambiare per teatro filmato: in
questa resa dei conti tra due coppie, che parte con un cerimoniale da bravi borghesi progressisti e
sfocia in una lotta furibonda da indomabili animali della giungla umana, la sostanza cinematografica è
talmente densa da scomparire del tutto e tramutarsi in partitura drammaturgica blindata.
I coniugi Winslet e Waltz sono già a casa dei coniugi Foster e Reilly. I rispettivi ragazzini hanno appena
litigato e uno ha spaccato il labbro e due denti all’altro. Sono persone civili e per fortuna l’assicurazione
coprirà i danni: è quindi il caso di scambiarsi civili salamelecchi e compunte riflessioni di psicologia
infantile. Basta un solo termine, però, a innescare un crescendo tanto violento quanto esilarante:
l’acrimonia, l’insofferenza, l’ostilità reciproca e l’invidia sociale che covano sotto la cenere del nostro
assennato maxi-salotto occidentale deflagreranno a poco a poco, demolendo le fragili barriere del
“politicamente corretto”, smascherando i rispettivi decori professionali e tirando in ballo anche il conflitto
tra i sessi (in special modo se coniugalmente suggellati). Il “dio del massacro” ha preso il sopravvento e
un genio come Polanski non fa alcuna fatica a recepire e reinventare quanto ci hanno svelato autori
diversissimi tra loro come Peckinpah (“Cane di paglia”), Bunuel (“Il fascino indiscreto della borghesia”),
Richler (“La versione di Barney”) o Houellebecq (“Le particelle elementari”). Senza contare i pittori
maledetti –da Kokoschka a Bacon- esplicitamente citati nella carneficina morale e materiale orchestrata
nei minimi dettagli disturbanti (con la partecipazione speciale di una torta di mele, un mazzo di tulipani
gialli e un cellulare “vivente” più del suo proprietario). Sui quattro attori, poi, c’è poco da dire: se ne
accorgerà lo spettatore e qualsiasi aggettivo risulterebbe da parte critica ingombrante.
Natalia Aspesi. Repubblica
Alla Mostra di Venezia Carnage ha provocato una specie di incantamento: è piaciuto a tutti, pubblico e
critica, e si dava per scontato che il Leone d´oro fosse suo. Poi all´unanimità il premio è andato allo
stupefacente Faust del russo Sokurov, che ha riportato al cinema il senso del capolavoro. Ma Carnage
resta un film perfetto, 79 minuti di puro piacere: per la maestria assoluta del regista, Roman Polanski, la
furibonda bravura dei quattro attori, la trascinante ironia della sceneggiatura quasi identica al testo
teatrale "Il dio del massacro" di Yasmina Reza pubblicato da Adelphi.
Due coppie di genitori più o meno quarantenni si ritrovano in un appartamento di Brooklyn per trovare
un accordo su quanto è accaduto tra i loro due figli undicenni: uno ha rotto due denti all´altro con un
bastone. La casa è quella di Penelope e Michael, lei, Jodie Foster, è una donna colta, terzomondista
che scrive libri sul Darfur; lui, John C. Reilly, commerciante di casalinghi, è un uomo gioviale,
disponibile: hanno comprato i tulipani, in frigo ci sono gli avanzi di una torta per accogliere gli ospiti,
Nancy ed Alan: lei, Kate Winslet, è una elegante consulente patrimoniale, lui, Christoph Waltz, è un
importante avvocato. L´atmosfera è civile, tollerante, guai a lasciarsi sopraffare dall´emotività, o da
quello che l´educazione e l´ipocrisia sanno nascondere. Si offre il caffè, si parla di bambini, di fiori, di
torte, di professioni, con voci flautate che si inaspriscono, con sorrisi che si trasformano in ghigni.
Infatti a poco a poco nascono gli attriti, le provocazioni, lo sperdimento, il disprezzo, la rabbia, la
violenza non solo verbale, in una specie di balletto frenetico in cui i ruoli e i bersagli cambiano
continuamente. È la guerra di una coppia verso l´altra, di due modi di vivere e di pensare, del rancore
delle donne verso gli uomini, del sessismo maschile contro le donne definite "impegnate": è una guerra
all´interno della coppia in cui di colpo scoppiano i dissidi e i rancori da sempre taciuti, è un
riconoscimento del proprio fallimento, del fallimento di un modo di vivere in cui non si è mai creduto. E´
appunto un gioco al massacro, nato dal nulla, che denuda le persone delle loro maschere, che le
obbliga a rivelare la propria infelicità e incapacità a liberarsene. I litigi, le riappacificazioni, la storia di un
criceto, i libri d´arte rovinati dal vomito, i pianti, le crisi isteriche, le botte, il rum, l´ubriachezza, la
borsetta buttata a terra, i tulipani fracassati, sono scanditi dall´uso continuo del cellulare di Alan alle
prese con un cliente nei guai, dalle telefonate della madre di Michael, che, finto bonaccione, finalmente
sbotta "La coppia è la prova più terribile che Dio possa infliggerci, la coppia e la vita di famiglia".
Non era quello il tema dell´incontro, un litigio tra bambini, tema che si è perso nel perdersi delle difese
dell´eleganza borghese. Quel salotto diventato un campo di battaglia del vivere pacifico benestante e
civile, ne ha svelato la miseria, infelicità e solitudine.
Fabio Ferzetti. Il Messaggero
Il tramonto dell’Occidente in un appartamento di New York. L’occasione è banale: due ragazzini hanno
litigato e uno ha spaccato due denti all’altro. Il dramma sarà epocale (ma esilarante). Perché le due
coppie di genitori chiamate a chiudere l’incidente in modo ragionevole, presto abbandonano ogni
parvenza di civiltà e cedono ai peggiori istinti. Incendiando le polveri dell’odio che cova sotto la
superficie delle buone maniere. Per mettere a nudo poco a poco quel misto di sopraffazione, ipocrisia,
malcelato disprezzo per tutto ciò che è appena diverso (oltre che per se stessi probabilmente, ma
questo nessuno lo ammetterà mai), che chiamiamo identità.
Coppia contro coppia dunque, ma anche mariti contro mogli, mogli contro mogli, mariti contro mariti,
cinici contro idealisti, borghesi contro alternativi, e via distinguendo e accusando, in un carosello di
identità parziali e derisorie difese con ogni mezzo. La pièce di Yasmina Reza si chiama Il dio della
carneficina. Polanski e i suoi quattro prodigiosi attori ne fanno uno scintillante saggio di cinema da
camera in cui ogni parola, ogni gesto, ogni impercettibile trasalimento svela e insieme nasconde interi
mondi. Magistrale.
Alessandra de Luca. Avvenire
Sembrerebbe una commedia al vetriolo di Woody Allen, invece l'ha diretta Roman Polanski, assente da
Venezia perché altrimenti verrebbe estradato in America e finirebbe in carcere per un'antica, quanto
orrenda storia di violenza su una minorenne per la quale è stato condannato. Assente (giustamente)
l'uomo, resta alla Mostra il suo film, 'Carnage', passato in concorso ieri. Accolto da risate e applausi. È
l'adattamento per lo schermo del testo teatrale 'Il dio del massacro' di Yasmina Reza (...), Eppure i
quattro personaggi, egregiamente interpretati da attori del calibro di Kate Winslet, Christopher Waltz,
Jodie Foster e John C. Reilly scivolano inesorabilmente, tra un caffè e una fetta di torta, verso uno
scontro che separerà le due coppie, ma anche marito e moglie all'interno di una stessa coppia. Una
divertente, amara, sottilissima resa dei conti insomma, che rivelerà pregiudizi e contraddizioni, miserie
e meschinità dei quattro protagonisti. Fedele al testo originale, Polanski si destreggia con eleganza e in
tempo reale, senza neppure un'ellissi, tra il continuo alternarsi di complicità che ogni minuto sembrano
modificare lo scacchiere delle alleanze tra i personaggi
Federico Pontiggia. Il Fatto Quotidiano
Non c'è il sangue, non c'è il ferro, eppure è una guerra, una 'Carneficina' in piena regola. Due coppie di
borghesi piccoli piccoli - Kate Winslet e Christoph Waltz, Jodie Foster e John C. Reilly - si massacrano
nel salotto di casa. Avrebbero dovuto risolvere la rissa scoppiata tra i rispettivi figli - un bastone, due
denti - ma non è un gioco da ragazzi: risatine, isteria, nevrosi, e il Dio del massacro prende il
sopravvento. Dall'esilio parigino, Roman Polanski prende la pièce di Yasmina Reza e si regala un
divertissement abile, cinico, autobiografico - la reclusione tra quattro mura chissà da dove viene? - e
nostalgico: vi ricordate il suo primo film, 'Il coltello nell'acqua'? E gira da dio, con movimenti di macchina
ariosi quanto costretti: non c'è altro, non c'è tensione sessuale o indagine politica, ma un esercizio di
stile affidato alla bravura degli interpreti. Su tutti, il nostrano Reilly, poi il fichetto Waltz, mentre la
Winslet vomita genuina e la Foster va fuori giri. Perfido e decorativo.
Paolo Meregehetti. Corriere della Sera
Settantanove minuti, una sola scena, nessuna interruzione temporale: sembra una scommessa fuori
dal tempo girare un film così, lontanissimo dalle macchine-spettacolo che oggi vanno per la maggiore.
Eppure Carnage (Massacro) di Polanski è un film totalmente «cinematografico» nonostante la sua
origine teatrale. E una dimostrazione di «messa in scena» come raramente è dato di ammirare.
Pignolescamente fedele all’atto unico scritto da Yasmina Reza (Il dio del massacro, appena pubblicato
in Italia da Adelphi), Polanski si concede solo due piccole libertà, all’inizio e alla fine del film. In apertura
ci mostra, in campo lunghissimo e senza dialogo, il litigio tra due compagni di scuola che innesca la
pièce. Per motivi che non sappiamo (e che nemmeno in seguito scopriremo veramente), un ragazzo
reagisce a quello che gli dice l’altro. E siccome ha in mano un bastone, lo ferisce: due denti e il labbro
rotti. I due, adolescenti di undici/dodici anni, torneranno anche nelle ultimissime scene, sempre in
campo lunghissimo (insieme a un altro «attore» evocato nei dialoghi precedenti) ma a far cosa è meglio
non svelarlo.
Per il resto, per 75 minuti circa, l’unico set è il salotto di una delle due coppie di genitori: padre e madre
di chi è stato ferito ricevono padre e madre dell’aggressore per comporre da persone civili l’incidente.
Nessuna minaccia di ritorsione legale, nessuna accusa di diseducazione: il film si apre veramente
(dopo il prologo «muto» e i titoli di testa) quando tutto sembra definitivamente risolto. I quattro genitori
stanno dando gli ultimi ritocchi a una specie di documento privato che si suppone metterà fine a tutto.
Ma quando gli ospiti stanno per uscire, una battuta un po’ troppo sferzante di uno, una risposta più
puntuta del previsto dell’altra, un tentativo di cortesia («Volete un caffè? Una fetta di torta?») riaprono la
discussione. E il «dio del massacro» comincia a seminare le sue trappole.
Dialogo dopo dialogo, battuta dopo battuta, scopriamo le connotazioni sociali delle due coppie - una
decisamente upper class (siamo a Brooklyn): lui avvocato di multinazionali, lei consulente finanziaria;
l’altra più middle class: lui rivenditore all’ingrosso di articoli da bagno e da cucina, lei collaboratrice
editoriale - e vediamo venire a galla quell’insofferenza, quell’acrimonia, anche quell’invidia (e quel
disprezzo) sociale che le regole della buona creanza avevano il compito di tenere sotto controllo. È un
gioco sottile, fatto di allusioni e di colpi bassi (ben mascherati dall’educazione), di insofferenze e di
punzecchiature che finiscono per confondere gli schieramenti in campo. Perché dopo poco le
«alleanze» si disfano e di ricompongono, non più secondo le regole del matrimonio: sono i due uomini
che si alleano contro le due donne, è l’una o l’altra che parte lancia in resta contro tutti (a cominciare
dal proprio consorte), è un maschio che attacca a testa bassa gli altri tre.
Il solo scontro verbale, però, rischierebbe di accentuare l’atmosfera teatrale e invece Polanski (che non
è nuovo a queste operazioni: ricordate La morte e la fanciulla?) usa la macchina da presa per spezzare
e trasformare l’unità di tempo e di luogo su cui è costruita la pièce. Con un montaggio magistrale (di
Hervé de Luze), sfrutta tutte le possibilità che offrono i cambi di inquadratura, i movimenti di camera, le
entrate e le uscite dal salotto dove è ambientata la storia, moltiplicando gli spazi, ritmando il tempo e
facendo dimenticare allo spettatore di essere seduto in sala. Sembra di essere lì, insieme ai quattro
attori, tanto verrebbe voglia di affacciarsi sulla scena per capire quello che sta succedendo (proprio
come fa Polanski stesso, nella parte di un vicino che apre per un attimo la porta di casa).
Tutto questo però non sarebbe possibile senza la prova più che superlativa dei quattro attori del film.
Non ne ho ancora parlato perché sarei stato costretto a dedicare a loro tutta la recensione: Kate
Winslet e Christoph Waltz nei panni della coppia alto-borghese, Jodie Foster e John C. Reilly in quella
medio-borghese riescono a far vivere sullo schermo i loro personaggi con una intensità, una forza
espressiva e soprattutto una verità che lasciano a bocca aperta. Certo, ci vuole un grande regista per
dare il meglio, ma ci vogliono anche dei grandi attori per dimostrare cosa vale il regista. Non è cinema
«innovativo», è cinema classico, tradizionale, ma alla fine non puoi far altro che alzarti in piedi e
applaudire.
Valerio Cappelli. Corriere della Sera
«Sono contento che mio figlio abbia pestato il vostro, e vaff... ai diritti umani», sbotta Kate Winslet in
Carnage di Roman Polanski. È tornato alla regia dopo la vicenda giudiziaria degli abusi sessuali di 30
anni fa in Usa. Tratto dalla pièce di Yasmina Reza, il film è girato in tempo reale, si recita come a teatro.
Una sola macchina da presa, quattro personaggi rinchiusi in una stanza per 79 minuti. Ma in quello
spazio angusto c'è una visione del mondo che si disvela in maniera inconsapevole.
I protagonisti sono tutti premi Oscar: dal regista a Jodie Foster, Christoph Waltz, la Winslet. E poi c'è
John C. Reilly. Due coppie borghesi cercano di sistemare la lite tra i loro figli in maniera civile. Persone
a modo che perdono le staffe. Il ragazzo di Jodie e John ci ha rimesso due denti. È la miccia che fa
esplodere la bomba nascosta sotto le apparenze del perbenismo. «Roman ha voluto un finale meno
pessimista rispetto alla pièce, con la riconciliazione finale dei due ragazzi - spiega l'autrice - Roman mi
ha detto di non aver mai avuto un cast del genere, nessuna tensione sul set a causa dei suoi guai
giudiziari». «Non ne abbiamo mai parlato - dice Waltz -, a Venezia è assente fisicamente, ma c'è col
suo film».
E Kate Winslet: «Siamo onorati di aver avuto l'opportunità di essere diretti da Roman». Lei interpreta
una mediatrice finanziaria, nel film l'ex ragazza del Titanic ha una fisicità morbida, non sembra più
patire la tendenza a prendere chili. L'Oscar lo tiene in bagno: «Quando ho ospiti in casa lo vorrebbero
toccare e guardare, in questo modo sono più liberi di farlo senza chiedermi il permesso».
In Carnage si ride anche molto, in più riprese. E la cosa sorprende, non ci sono molte tracce comiche
nel cinema di Polanski. Applausi a scena aperta quando Kate vomita nel soggiorno dell'altra coppia,
ormai è saltato il tappo del politically correct : «Ma l'aspetto comico viene dopo - racconta l'attrice -,
Roman lo combina alle dinamiche di ogni matrimonio. Mi capita spesso di interpretare film sulle
famiglie, sarà perché vengo da una molto unita e grande». A un certo punto le due donne sembrano
quasi solidarizzare, quando mettono a nudo la personalità dei propri mariti: Christoph fa l'avvocato di
un'industria farmaceutica senza scrupoli, mentre l'altro, commerciante di pentole, si è sbarazzato senza
un rimorso del criceto di sua figlia.
Kate: «Non vorrei entrare troppo nei dettagli, ma nella scena del vomito anche noi eravamo a testa in
giù dalle risate. È la scena più divertente che mi sia mai capitata, Roman sembrava un bambino; un po'
più di bile qui, sul catalogo di Kokoschka, chiedeva ai tecnici. È stato ribattezzato il giorno del vomito.
Sul set non si parlava d'altro. Avevo la bocca piena di banane schiacciate e avanzi della mensa». «Una
ricetta preparata da Polanski in persona», scherza Waltz. Anche una sua battuta rivolta alla Foster,
autrice di libri «per salvare l'Africa», provoca un lungo applauso durante la proiezione. «L'azione è tutta
concentrata sui dialoghi - riprende la Winslet - con un altro regista sarebbe stato un handicap. Eravamo
in ansia, trepidanti. È stata la paura che ci ha uniti».