Pdf Opera - Penne Matte
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IL TIRANNO D'ORIENTE Giovanni Giuseppe Pintore Il Tiranno d'Oriente - Capitolo VI - Efialte 1 Lodd Fantasy Factory 2 Caro lettore, Questo racconto segue ed amplia le vicende narrate nel racconto “L'Erede di Eracle”. Questo capitolo segue la trama de “Il Tiranno d'Oriente”. Se stai scoprendo ora questa storia, voglio invitarti ad iniziare dal principio: Leggi “L'Erede di Eracle” Leggi il Capitolo I de “Il Tiranno D'oriente” Giovanni Giuseppe Pintore 3 4 - Capitolo VI - Efialte L'Immortale discese fiero sin sotto la scoscesa altura, dove la pista che stava seguendo andava ingarbugliandosi giù per lo stretto pendio. Una manciata di ciuffi d'erba appiattiti, messi in risalto dal flebile bagliore della torcia, rivelavano a malapena le tracce del recente passaggio di qualcuno; ma Orachis aveva volutamente preferito ignorarle, proseguendo impassibile. Faceva appello al percorso impresso fedelmente nella sua mente, sostenendo che le tenebre avrebbero potuto fuorviarlo. Per di più, Goripide era stato abbastanza scaltro da disseminare falsi indizi ovunque. Seguendoli, avrebbero vagato per ore, rimanendo con nient'altro che un pugno di mosche. 5 La corazza dorata di Serse era sporca di sangue. Un paio di densi schizzi ne imbrattavano le preziose rifiniture, privando quell'oggetto protettivo della sua prestigiosa funzione cerimoniale, oltre che dell'intrinseco valore. Era un evento raro, pur per i guerrieri dell'intera Ellade, andare in guerra con un'armatura più ornamentale che militarmente efficace. Nonostante ciò, le macchie avrebbero potuto illudere un ignaro nemico che egli padroneggiasse notevoli capacità combattive. Solo gli Dei erano soliti esibirsi in pompa magna, proprio per esternare la superiorità che li poneva al di sopra dei mortali. Serse non disdegnava ostentare una tale grandezza. In realtà, il tiranno era sporco del sangue versato dagli inermi schiavi di Goripide. Dopo aver compreso la sciagurata sorte nella quale il loro proprietario sarebbe incappato, avevano tentato la fuga. La sfortuna aveva voluto che l'acinace del sovrano calasse su di loro, proprio al bivio fra la libertà e la morte. Orachis apriva la fila con movenze feline, tanto che il suo passo era impercettibile addi6 rittura ai suoi stessi compagni, nonostante il terreno accidentato. Demarato era rimasto colpito ancora una volta dalle straordinarie capacità del soldato, che reputava quasi ultraterrene. In un altra vita, avrebbe tratto di certo grande soddisfazione dal mettere a confronto le loro lame. Sarebbe stato uno scontro spettacolare, certamente epico. Assorto nei propri pensieri, lo spartano era rimasto appena più arretrato, a chiudere il gruppo, seguendo il suo signore più per abitudine, che per effettiva volontà. I suoi sensi erano come assopiti, intrappolati nella fitta ragnatela di pensieri che gli rabbuiavano la mente. Man mano che si avvicinavano allo scontro finale, i dubbi del greco stavano maturando in vere e proprie impellenti ossessioni. Cominciava a chiedersi come sarebbe stato ricordato, quali storie avrebbero narrato sul suo conto. Poi, oltre un muro di rovi, i tre scorsero il baluginio di una luce. Era l'ingresso di una grotta, segnalato da una torcia. «Non è stata accesa da molto» rivelò Orachis, prima d'impugnarla. Stava per addentrarsi 7 nella ristretta breccia nella roccia, quando Serse prese parola: «Acqua di rose... È vicina». Quel profumo aveva la capacità di evocare la figura della donna nella sua mente, dopo tutti i racconti che aveva udito sul suo conto da Goripide. Gli aveva narrato che si trattasse di una creatura di rara bellezza, tanto da far invidia agli stessi Dei. Demarato aveva ribattuto alle descrizioni dello storpio con le tragedie della mitologia greca, che narravano di Dee e loro pari piuttosto vendicative nei confronti di donne fin troppo avvenenti, per i mortali. Inoltre, una femmina non poteva dirsi tanto affascinante, se non aveva ricevuto almeno una volta la visita di Zeus. Il lucido cinismo dello spartano era parso poco gradito al nano, ma aveva piuttosto divertito il sovrano. Le discrepanze religiose erano tematiche che affascinavano Serse, il quale si era mostrato sempre propenso a garantire a chiunque il diritto di professare qualsiasi credo nel proprio impero, a patto che non intaccasse il quieto prosperare dell'impero. 8 Apprezzava la diversità, e credeva ciecamente che essa costituisse il fulcro di una società florida e rivoluzionaria. Non si poteva dire che avesse fatto a meno di sfruttare quella stessa opinione per elevare la sua stessa figura al pari di quella di un Dio, agli occhi del proprio popolo. Serse prese coraggio, e superò Orachis. Si mosse lesto fra i cunicoli, ancor prima che la luce fosse in grado di mostrargli i pericoli della grotta. Dava l'impressione di conoscere quel luogo, o perlomeno la giusta direzione. Lo guidava una mesta forza attrattiva, che si presentava come un flusso di energia al cui potere non poteva rifuggire. Demarato, invece, accusò una dilaniante fiacchezza; cresceva in lui, debilitandolo sempre più man mano che si avventurava nelle tenebre. Il freddo si era fatto tutto a un tratto secco, intenso. La testa divenne pesante ed il respiro corto. Contrasse istintivamente i muscoli, come prima di una battaglia. Non avrebbe mai ceduto al terrore, o all'illusione. «Lascia che ti preceda, Shahanshah. Non ho 9 visto personalmente la donna, e non escluderei che possa sempre trattarsi di una misera trappola» lo esortò Orachis, affrettando il passo. «Per quanto odioso, dubito che quello sciocco storpio fosse in combutta con gli elleni» precisò Serse, fermandosi. «E, per rispondere alla domanda che non hai ancora pronunciato, Demarato... Sì. Ho ucciso un prezioso alleato per soddisfare un puro capriccio. Ha osato sfidarmi, quel verme. Ha creduto di potermi addomesticare come un'ombra. Altresì la sua signora. Sono il re dei re, e nessuno può ardire di farsi beffa di me!». Il greco annuì. Avrebbe voluto dire la sua, ma avvertiva la bocca asciutta ed una terribile emicrania. Fece leva sul pomolo della daga, per sostenersi. Orachis lo sorpassò, mentre lo spartano permase al suo fianco per qualche secondo ancora, ricambiando il suo sguardo. In quel breve istante, i due furono come avversari. Poi, Demarato parlò: «Certi uomini hanno la presunzione di cre10 dere di conoscere ogni risposta. Essi sono tutti destinati all'oblio. Ti seguo, mio Khsassa». Gli fece cenno di proseguire. Intanto, la luce della fiaccola dell'Immortale era quasi svanita sul fondo del cunicolo. Quando infine si fermarono, davanti a loro videro aprirsi un ampio anfratto. Un debole ruscello sgorgava sul fondo, mentre il centro era occupato da un rudimentale altare di roccia. Esattamente sopra di esso, nel soffitto, vi era un foro, ma era impossibile intuire ove portasse, o dopo quanto si chiudesse. La nuda schiena di una donna emerse dalla penombra, mentre Orachis agitava la fiaccola per vedere meglio. Lei se ne stava immobile, impassibile, avvolta in un'aderente veste color turchino. Una lunga treccia d'ebano spaccava a metà il sensuale scorcio. «Si narra che, invero, Grecia e Persia discendano dalla medesima cultura» esordì la donna. La sua voce era calda, e intrisa di una travolgente carica erotica. Proseguì senza voltarsi: «Secondo le leggende, il nome che ora rappresenta il tuo popolo discende da nientedimeno 11 che il celebre Perse, figlio dell'eroe ellenico Perseo. Suppongo tu abbia già notato l'affinità fra il suo nome ed il tuo». «Tutto molto interessante, devo ammetterlo... ma sono venuto per ottenere informazioni sul mio avversario, non per udire farneticanti aneddoti storici. Annovero colte personalità fra i miei consiglieri e, se avessi voluto una lezione antropologica, mi sarei rivolto a loro. Mi hai trascinato in questo angusto angolo del mondo. Mi auguro per te con qualcosa di concreto» puntualizzò, spazientito. Al movimento della donna, però, i tre vennero investiti da un'ondata di caldo ed inebriante profumo, tanto intenso da riuscire a stordirli. Avvertirono il sangue pulsare incessante nelle tempie, ed i pensieri farsi ora lucidi, ora offuscati. Dal baratro dei ricordi si rianimarono episodi dimenticati, ed altri che credettero di non aver mai vissuto. «Colui che è impaziente ed incapace di ascoltare la storia, non è degno di costruire il futuro» dichiarò la donna, voltandosi. I suoi occhi ammalianti indagarono i cuori dei presenti 12 come fossero libri aperti. Si mosse sinuosa verso i tre, facendo scivolare sensuali le proprie mani sui seni, sino al vallo del pube. Le labbra carnose guarnivano un sorriso disarmante, spezzato talvolta da un piccola e rosea lingua; giocava a stuzzicarsi i canini. «Non esiste alcuna scelta che compiamo, in realtà, che non dipenda dal passato. Esso è ciclico, tanto quanto il futuro; pertanto, è prevedibile. La storia dell'umanità è insita nei nostri ricordi molto più di quanto potremmo mai immaginare. Essere consapevoli di ciò, e fluttuare lucidi attraverso quel che è stato, costituisce il primo passo verso la grandezza». «Parla, dunque, mia signora...» disse Serse, oramai succube del suo fascino, ed intrappolato dall'inebriante profumo. Faticava a seguire il filo della discussione, poiché tormentato da ricordi che custodiva gelosamente. Rivide suo padre Dario, e rievocò il giorno della sua dipartita. Poi, rivide la propria lama scontrarsi con quella di suo fratello Achemene, nel momento in cui venne decretato chi sarebbe salito al trono. Il profilo di sua moglie, però, gli apparve 13 come un'ombra indefinita. «Hai privato il mio messo della sua libertà, credendo di far cosa saggia e giusta. Egli, nonostante ciò, ha adempiuto al suo destino. Spesso, però, distruggere è la soluzione errata. Un tributo dovrà essere pagato per rimediare alla tua colpa...». Serse riuscì d'un tratto a sfuggire dallo status di ipnosi in cui era sprofondato. Si guardò attorno, attonito: Demarato ed Orachis erano perfettamente immobili, con gli occhi rivoltati. Boccheggiavano come pesci fuor d'acqua. «Cosa hai fatto loro? Cosa vuoi da me? Perché intendi aiutarmi?» pronunciò le domande una di fila all'altra, senza darle il tempo di rispondere. La vide farsi vicina con un guizzo felino, ed avvertì il gelido ma erotico tocco della sua liscia pelle sul proprio collo. «Perché non puoi vincere questa guerra da solo. Qui, al passo delle Termopili, ti attendono trecento fra i migliori opliti spartani. Compongono la scorta privata di un re coraggioso: Leonida» sentenziò. «E non sono i soli ad opporsi 14 alla tua avanzata». «È proprio per questo motivo che mi sono portato dietro un esercito sterminato. Il suo cranio si aggiungerà alla schiera di teschi reali che ho collezionato. Ho sempre trovato Lacedemone assai patetica: due regnanti per una sola regione... Cosa sono mai, in confronto a me, re dei re e signore dell'Impero Persiano?» le confidò. «Cosa hai fatto loro? Liberali!» ordinò poi, sforzandosi di rimanere lucido. «Non sarà una carica di cui tu stesso ti sei investito, oppure il complesso di combattenti che hai adunato al tuo servizio, a garantirti la vittoria. Qui il numero non conta: sono ad ora tutti destinati a fallire. Così tanto freddo in apparenza, ma inesorabilmente legato ai tuoi uomini più fidati. Sai di essere perduto, senza di loro. Questo... ti rende umano, dopotutto». «Osi sfidarmi, donna? Chi sei per profetizzare la mia disfatta?» nonostante la collera che sentiva ardere nel petto, il sovrano fece fatica ad esprimersi, e parlò con estranea e risoluta calma. La donna lo stava plagiando a poco a poco, e la sua gelida mano si era all'improvviso 15 infiammata, quando aveva afferrato il membro del tiranno da sotto il gonnellino dell'armatura. «Tu mi desideri, o Grande Re. Posseduta o morta che sia. Sei restio a credere alle mie parole, ma fra meno di due giorni ti rincrescerai per non avermi prestato ascolto, e tornerai a farmi visita. Cercherai nelle tenebre la mia voce, e chiamerai disperato il mio nome» disse, mentre faceva oscillare lenta la mano dall'alto verso il basso, strappando un gemito di piacere al suo interlocutore. Poi, sfiorò le sue labbra con le proprie, e proferì in poco più che un sussurrò eccitato: «So tutto ciò perché io sono Efialte, la messaggera dell'Oracolo». Poi, si defilò nel nulla come se fosse composta di tenebra, abbandonando Serse ad una sconsiderata eccitazione. Il tiranno cadde in un profondo sonno. Il rullo dei tamburi risuonò come un eco di morte. Il fottio di soldati, radunati all'ingresso dell'accampamento persiano, era unito in un morboso riverbero di disperazione. Nell'ultimo giorno, le truppe dell'impero erano state pe16 santemente dilaniante dall'ormai celebre muro di scudi greco, e dalla disfatta marina inferta dalla flotta di Euribiade a Capo Artemisio. Il tributo pagato a Poseidone era stato vanificato da una seconda tempesta che, in aggiunta all'abilità navale del generale ateniese Temistocle, aveva provveduto a spazzare via metà delle forze persiane. Serse, ormai su tutte le furie, aveva ordinato allo stesso Demarato di guidare l'ennesimo assalto allo schieramento posto a difesa delle Termopili. Molte erano le voci che attorniavano il campo di battaglia, ed i soldati dell'impero tremavano al solo pensiero di unirsi alla lunga lista di cadaveri che già marcivano sotto il cocente sole d'agosto. Il malumore e lo sconforto erano due nemici difficili da contrastare, anche per il re dei re. Il crepuscolo era vicino. Demarato si fece largo fra le truppe, seguito dall'élite di guerrieri da lui scelti, vestiti per l'occasione come gli Immortali. Attirò l'attenzione dei ranghi che avrebbero composto il suo esercito, l'indoma17 ni, battendo la lancia contro lo scudo. «Aprite bene le orecchie, branco di invertebrati!» tuonò. «Piantatela con questa cagnara e, per una volta nelle vostre miserabili vite, decidevi a comportarvi come uomini!». Ebbe subito gli occhi di tutti su di sé. Era sicuro che, fra i generali dell'impero, lui fosse quello più rispettato dai soldati comuni. Infilzò la lancia a terra, e scrutò inflessibile coloro che stavano in prima linea. «Non m'importa di cosa avete udito sul conto dello schieramento greco, o del tanfo di letame che m'invade le narici quando vi passo accanto. Quello che so con certezza, però, è che domani porterò le vostre flatulenti natiche davanti al nemico, e non ho la minima intenzione di battere in ritirata, benché meno di morire. Perciò, esigo che i più codardi fra di voi affoghino nell'alcol, o si strozzino col loro ultimo pasto, questa notte. Ciò che domani voglio vedere, invero, è un esercito di soldati pronti ad elargire morte, desiderosi di abbracciare ancora la vita. In caso contrario, non avrete bisogno di raggiungere il campo di battaglia per morire, perché vi ucciderò io stesso, con le 18 mie mani! Lucidate le vostre armi, e godetevi questa notte... perché domani marceremo contro quel muro di scudi, e lo sfonderemo!». La sua voce risuonò come il rombo di un corno da battaglia. Le lame dei soldati si sollevarono verso la volta celeste imperlata di stelle, all'unisono con un urlo di guerra che rinvigorì il coraggio delle truppe. Demarato abbozzò un ghigno soddisfatto: nonostante l'età, non aveva di certo perso la sua capacità di infiammare le folle. Avrebbe dovuto mantenere il morale alto, per affrontare il glorioso e fatidico scontro per il quale aveva lavorato per tutti quei mesi. Era certo che l'indomani sarebbe morto, ma l'avrebbe fatto a modo suo. La brezza notturna carezzava i nudi e roventi corpi, concedendo loro un rapido sollievo dalla calura estiva, raffreddando le bollenti gocce di sudore che scivolavano sulla pelle come lacrime di rugiada. Si erano amati in segreto da tempo immemore, maestro ed allievo, ma mai come in quella calda notte, aggrovigliati come 19 il sole e la luna durante un'eclissi. La natura di quel rapporto era stata obbligata al silenzio dalla legge che vigeva fra gli Immortali, che impediva ai suoi componenti di stringere legami intimi fra i camerati. Era il cinismo a rendere quell'élite di diecimila guerrieri una letale armata. Eppure, colui che era stato insignito del grado di Generale, nonché guardia del corpo di Serse, aveva ceduto ad un sentimento più forte del rispetto che nutriva per il proprio re: l'amore. Orachis baciò ancora una volta il compagno, tirandolo a sé per il collo, quando si sentì completamente soddisfatto. Si lasciò ricadere sulla branda, sfinito. Le lenzuola umide gli provocarono un brivido di piacere, che lo fece tremare. Sentì le forti braccia di Idarne stringersi attorno al suo petto. Le scansò di riflesso, in un moto di stizza, rotolando fuori dal giaciglio. «Dal che ricordi, non mi hai mai amato tanto focosamente come oggi. Perché rifuggi al mio abbraccio? Cosa ti turba?» chiese Idarne, mentre stava sdraiato di lato, con la testa riccioluta sostenuta dal palmo della mano sinistra. Aveva 20 imparato a conoscerlo bene, nonostante egli fosse sempre stato sfuggente come una stella cadente. «Perché sarebbe più difficile lasciarmi andare, quando giungerà il momento» ammise. «Capisco... la situazione di questa guerra ti preoccupa. Gli elleni sono caparbi avversari, ma si arrenderanno. L'ascesa di Serse non si fermerà davanti all'ellade. Vedremo questo mondo risorgere sotto la sua raggiante guida. Ora, torna qui... dovremmo godere di ogni singolo istante che ci resta prima dell'alba» disse mettendosi a sedere, allungando le mani verso il compagno. Orachis chinò il capo. «Non si arrenderanno... non di loro spontanea volontà, perlomeno. Sono supportati dai loro Dei». Si lasciò poi trascinare da Idarne sino al letto, e sussultò per il calore delle labbra del giovane sul suo ventre. Gli strinse energicamente gli scuri riccioli, e tirò la sua testa indietro con dolcezza. «Voglio che tu mi prometta che servirai lo Shahanshah, quando verrà il tuo momento; e che lo farai meglio di quanto io stesso ho potuto. 21 Promettilo!». Idarne abbozzò un sorriso, ma si fece presto serio in volto. Gli afferrò la mano che premeva sui suoi capelli, ed annuì. «Lo prometto, possa il mio corpo marcire per l'eternità, se mento. Ma non posso giurare che sarò alla tua altezza, perché altrimenti non avrei mai saputo amarti». Poi, lasciò scorrere la sua mano sul viso, e gli morse voglioso le dita. «Scaccia queste ombre dalla tua mente... porta male parlare di un futuro ingrato». «Debbo abbandonarti. Ma sappi che non lo farei, se sapessi dell'esistenza di un altro modo» rivelò, sfuggendo alla sua stretta. Si rivestì. «Dove stai andando? Cosa mi nascondi?» chiese il giovane, avvinghiandosi alle sue spalle, per cercare di trattenerlo. «A compiere il mio destino. Vinceremo questa battaglia... organizza gli Immortali poco prima del mezzodì, e tieniti pronto. Serse ti chiamerà per compiere il tuo fato» disse afferrandogli il viso, per scoccargli un lungo ed intenso bacio. Poi, si affrettò verso l'esterno della ten22 da, lasciandosi sfuggire dalle labbra un flebile ma freddo: «Addio». Serse attendeva Orachis all'ingresso della grotta. Il suo viso era contratto in una ruga di espressione che simboleggiava il peso della terribile sconfitta che logorava i suoi pensieri. I due sgusciarono lesti all'interno dei cunicoli che li avrebbero condotti sino alla sala con l'altare. Efialte li attendeva immobile, seduta sullo stesso, con le gambe incrociate. Sorrise. «Come sapevi che sarebbe accaduto?» chiese Serse, saltando gli inutili convenevoli. «L'oracolo. Come ti dissi, avresti dovuto pagare un tributo per aver ucciso Goripide. Un banale capriccio ti è costato migliaia di uomini. Presumo tu sia qui per conoscere quel che ho da offrirti, giusto?». «Perché poni inutili domande, se conosci già le risposte? Parla, piuttosto, e senza più giochi di parole» ringhiò Orachis. Ora che le stava davanti, ripensò a quel che aveva veduto l'ultima volta che l'aveva incontrata. Ogni singolo respiro replicava le immagini che aveva scorto nella 23 sua visione. Non poteva più sfuggire al suo destino, né lo voleva. «Re Leonida ha terrorizzato il tuo esercito. Ma ciò che non sai, è che il suo ha timore della palude di cadaveri a cui loro stessi hanno dato vita. La morte è un'incognita che inquieta gli uomini; ma essa è pur sempre dotata di grandi potenzialità. Vuoi porre fine a questa battaglia, e vorresti poterlo fare sul campo. Ti concederò questo privilegio» annunciò la donna, scendendo dall'altare. «Come? A quale prezzo?» chiese Serse. Era titubante sul prestare ascolto agli apparenti vaneggi di Efialte. Ma lei aveva predetto la sua disfatta, ed era pronto a qualsiasi patto per evitare che il suo nome venisse infangato dall'imperitura ombra del fallimento. «Sai bene a cosa mi riferisco. Dovrai cedere coloro che più ti son devoti, immolarli alla causa. Il sacrificio del loro sangue rinvigorirà le truppe persiane, rendendole implacabili. Immortali. Inoltre, ti mostrerò una breccia che aggira il passo delle Termopili. In qualsiasi caso, Re Leonida non avrà scampo» rivelò con 24 un ghigno divertito. «Ma avrò bisogno anche del tuo sangue, oltre che del tuo seme, re dei re». Serse sgranò gli occhi. Scrutò Orachis che, con un mesto sorriso, annuì. «Sono pronto, Khsassa. Ho votato la mia vita alla tua causa. Sono felice di poterti consegnare le chiavi della vittoria». Il tono dell'Immortale era freddo, ma sincero. S'inchinò al cospetto del suo sovrano. «Il mio seme... il mio sangue. Perché hai bisogno di ciò?» chiese il tiranno, facendosi più vicino. «Entrambi avete discendenze divine, tu e Leonida. Per quanto possa apparire impossibile, le vostre dinastie sono irrimediabilmente legate. Discendete da Perseo. Ade, il signore dell'oltretomba, veglia sul tuo cammino; pertanto, come egli, sei destinato a risorgere sotto una nuova luce. Ma, in cambio, desidera il sangue di chi, nelle ere, ha saputo tenergli testa». Efialte annodò le dita dietro la nuca del sovrano, e lo tirò a sé sino all'altare. Orachis li seguì senza fiatare. 25 «Sei stato un caro generale, un ottimo consigliere. Un sincero amico. C'incontreremo dall'altra parte, quando giungerà il mio tempo» gli rivelò, vedendolo sdraiarsi sull'ara. «Dovrò attendere molto, dunque. Ho addestrato Idarne affinché ti sia devoto. Sarà degno del tuo rispetto, mio Khsassa. Al tuo ritorno troverai diecimila Immortali pronti a dar battaglia». Queste furono le ultime parole della letale guardia del corpo, prima che Serse, armato di un coltello da cerimonia, gli recidesse i polsi, ed infine la gola. Il sangue prese a scorrere copioso. Spirò lentamente; ma, consapevole della propria imminente fine, lo fece con la consueta freddezza. Efialte denudò il tiranno, spingendolo sopra il corpo morente di Orachis. Gli montò cavalcioni, baciandolo affamata della sua ardente passione, mentre s'imbrattavano della linfa vitale del sottoposto. Il sovrano si lasciò andare ai reconditi appetiti dell'animo umano, rafforzati dal sacrifico appena compiuto. Sentiva il cuore dell'Immor26 tale ridurre il proprio battito contro la sua nuda schiena, mentre quello di Elfialte, in sincronia col suo, galoppava spedito verso l'estasi. Le afferrò i seni, e si sentì d'un tratto come un infante fra le braccia della madre, per poi risalire sino alla soffice bocca della donna, bagnata di sangue. La baciò avidamente. Ebbe l'impressione di star fluttuando nell'etere, e che ogni dettaglio fosse lucido nella sua mente. Scorse le fila greche cadere sotto l'avanzata del suo esercito, sepolte sotto una nera pioggia di frecce. Poi, vide Efialte vagare lontano, dispersa fra i meandri del tempo, da qualche parte nel territorio macedone. Le parve invecchiata. Avrebbe avuto un figlio: Magnus. Non seppe dire quanto ciò corrispondesse a realtà o finzione. Ma fu certo di scorgere il radioso sole far capolino oltre il condotto sopra la sua testa, per pochi istanti, prima della caduta delle tenebre profonde. Il corpo di Orachis, ancora sotto di sé, era divenuto gelido. Serse si risvegliò. 27 Ti è piaciuto il racconto? 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