L`Italia e l`oscurantismo videoludico

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L'Italia e l'oscurantismo videoludico
Come sono visti i videogiochi dall'opinione pubblica, dalla politica e
da chi fa le leggi?
Scritto da Daniele "Jabberwocky" Spelta
@jabberwocky_VGN
il 21 ottobre 2015
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dove vi è quel Maeltrsom chiamato Expo che tutto inghiotte - si terrà l’edizione 2015 della
parola a me
Milano Gamesweek che, nel bene (tutte le prossime uscite) o nel male (gli youtuber),
sconosciuta.
rappresenta uno fra gli appuntamenti più importanti che si tengono in Italia per quel che
Episodio II:
riguarda il panorama videoludico. La fiera milanese, pur non potendo di certo esser
la legge
paragonata ad un E3 di Los Angeles o ad una Gamescom di Colonia, è forse uno dei
colpisce
ancora
Al ballo
pochi momenti in cui i videogiochi e tutto quelle che vi ruota attorno ricevono le attenzione
anche da parte dei media tradizionali, come la televisione, e dei siti internet generalisti
mascherato
(Favij su Repubblica.it non conta), spesso del tutto disinteressati a questo fenomeno
della
culturale, sempre più in crescita anche in Italia. Dato l’interesse attorno all’evento milanese
celebrità
Un raggio di
sole in una
e constatata l’inconsueta attenzione a 360 gradi, ci sembra giusto e doveroso fare il punto
sulla situazione dei videogiochi sul suolo italico. Ma specifichiamo un attimo. Il nostro
giornata
articolo non è volto ad analizzare la presenza, piuttosto che l’assenza, di software house o publisher nel nostro paese, né tanto meno a
oscura
giudicare i gusti dei videogiocatori italiani, bensì, il focus della nostra analisi è molto più spinoso e cerca di andare a fondo nel rapporto tra
politica, vox populi, opinione pubblica e videogame. Nel caso in cui non ci abbiate fatto caso, ma ultimamente era pressoché impossibile, negli
scorsi mesi, sempre più spesso, sia in salotti televisivi, sia fra le aule della politica ed anche sulla “carta virtuale”, sono emersi svariati
attacchi diretti verso i videogiochi ed i videogiocatori da parte di alcune personalità appartenenti legati ai mondi della politica
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PEGI: questa
Fra pochi giorni, a Milano in quel di FieraMilanoCity - fortunatamente non a Rho-Pero
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oppure circoli più o meno intellettuali. Purtroppo però, se questi ultimi potrebbero – il condizionale è d’obbligo – dir la loro sulle specifiche
materia di propria competenza, certamente sono apparsi del tutto inappropriati nell’esprimere una voce autorevole sulle
problematiche legate al nostro passatempo preferito.
Abbiamo dunque deciso di cogliere al balzo il momento di fama dettato dalla Milano Gamesweek 2015 per fare fare il punto sulla
situazione, andando a ritroso per capire da dove è partita la vicenda, cosa ha sollevato tutto questo polverone mediatico e quali potrebbero
essere i risvolti futuri.
PEGI: questa parola a me sconosciuta.
Come tutte le storie, anche la nostra ha un inizio ben preciso ed è datata 22 dicembre 2014, giorno di quasi dieci mesi fa, nel quale appare
sulle pagine online del Corriere della Sera, all’interno del blog chiamato la 27esima ora, un lungo post firmato da Sabrina Salvadori, una
ignara pediatra che, a causa della richiesta del figlio di acquistargli una copia di Grad Theft Auto V, scopre il disumano mondo dei
videogiochi. Se siete interessati all’intera analisi della dottoressa Salvadori, vi rimandiamo al link della pagina del blog del Corriere della Sera
mentre noi ci soffermeremo solo su alcuni passaggi per lo meno contradditori. La Salvadori infatti scrive: “Qualche tempo fa mi ha chiesto di
comprargli un nuovo gioco per la Play Station: «mamma ti prego, è un gioco bellissimo, ce l’hanno tutti, adesso è appena uscita la nuova
versione, mamma ti prego, si chiama GTA V, ti prego mamma me lo compri?». Ho chiesto che tipo di gioco fosse e lui mi ha risposto: «È un
gioco di corse di macchine e di inseguimenti, è bellissimo, mamma ti prego»”. Ed eccoci già al primo banale errore. GTA V, è difficile negarlo,
non è adatto ad un bambino di 11 anni, ma è appunto in casi come questi che un genitore dovrebbe informarsi sull’acquisto che sta
facendo e, dopo aver notato il PEGI riportato in modo evidente sulla copertina, avrebbe dovuto spiegare al figlio che forse sarebbe meglio
comprare un altro gioco. Purtroppo però l’indicazione presente sulla cover e che, tramite numeri e icone, chiarisce l’età adatta per
giocare al videogioco ed i contenuti in essi presenti non viene quasi mai letta ed anzi, spesso non si è nemmeno a conoscenza della sua
esistenza. Non bisogna però esser degli esperti in materia per capire che, come nel caso del sopra citato GTA V, una copertina riportante
indicazioni sulla presenza di violenza, linguaggio scurrile e consigliato solo ai maggiorenni potrebbe non essere un regalo adatto per un figlio
undicenne. Senza dilungarci troppo, la lettera prosegue poi con altre mirabolanti affermazioni, che definire superficiali e frutto
esclusivamente di pregiudizi sarebbe anche riduttivo: “Sono stata ad un soffio dal regalare a mio figlio un’arma letale di cui non conoscevo la
pericolosità, lo stavo per rovinare io stessa, che angoscia.”. Non vogliamo scendere nei dettagli, ma pensiamo proprio che definire GTA V
un’arma letale e un mezzo per la rovina del proprio figlio sia la negazione più completa dei veri problemi che ci possono essere nella
vita di un undicenne e, soprattutto, sia la negazione dell’esistenza di altre e più invadenti forme di trasmissione di violenza verso i
minori. Il frutto di questa indignazione materna è stata una lettera scritta dalla dottoressa Salvadori verso Ilaria Capua, deputata della
Camera, per sollevare in parlamento un dibattito sul controllo e la distribuzione dei videogiochi violenti. Questa è il secondo episodio della
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Episodio II: la legge colpisce ancora
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nostra storia. VGNETWORK.IT (WEB)
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Sollecitata dalla solerte e premurosa Sabrina Salvadori, l’onorevole Ilaria Capua, Vicepresidente della VII Commissione Cultura, Scienza ed
Istruzione ha preso la palla al balzo per scrivere di suo pugno una lettera - datata fine gennaio 2015 - direttamente al Presidente del
Consiglio Matteo Renzi, sempre in merito alla vendita non controllata di videogiochi “pericolosi” a target di età non adeguati. Come nel
caso precedente, vi rimandiamo al seguente link per gustarvi interamente l’esposto e, come nel caso precedente, anche il testo scritto
dalla Capua è un insieme di inesattezze, pregiudizi e colpe non ammesse. Nello specifico, non può non saltare all’occhio la frase : “Il
problema affonda le sue radici nel digital divide fra genitori e figli, a causa del quale i genitori non sono a conoscenza dei contenuti violenti di
alcuni di questi prodotti, pertanto non vigilano sulle tipologie di giochi utilizzati dai propri figli, che in alcuni casi possono essere del tutto
inadatti all’età adolescenziale o pre-adolescenziale e possono, quindi, avere delle ricadute negative sullo sviluppo psicologico del minore.”
Non ci vuole molto a capire che, il problema sollevato dalla Capua suona più come una ammissione di colpe, le quali, non
riconosciute, generano una richiesta di vigilanza restrittiva sulla distribuzione (creazione?) di materiale videoludico. Ammettere che vi è un
netto divario tecnologico fra figli e genitori non è infatti una buona scusa per fregarsene dei consumi 2.0 dei propri figli e
suona quasi di più come una presa di distanza da tutto ciò che non si è in grado o non si vuole capire, sperando che intervenga la lunga
mano del legislatore per fermare la vendita e la distribuzione di certi titoli.
Va però reso almeno il merito alla Onorevole Capua di aver concluso la propria esposizione con una proposta intelligente: “Per
questo, Le sottoponiamo l’esigenza urgente che il Governo avvii una campagna di sensibilizzazione sul tema rivolta ai genitori diretta in
particolare a diffondere la consapevolezza circa la necessità che i genitori acquisiscano, anche attraverso l’utilizzo di piattaforme informatiche
già presenti nel panorama europeo, informazioni sui videogiochi che i propri figli intendono utilizzare, che comprendano, oltre all’età minima di
utilizzo, anche la presenza nei contenuti di scene che generano paura, linguaggio volgare, presenza di scene violente, scene di nudi o di atti
sessuali, il riferimento o l’uso di droghe, scene che contengono discriminazione o che possono incoraggiarla e scene in cui si gioca d’azzardo
oppure si insegna a giocare d’azzardo.” Codice abbonamento:
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Al ballo mascherato della celebrità
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Nonostante questa apertura finale al dialogo e ad un auspicato “corso formativo” per genitori ed adulti, Ilaria Capua ci è però quasi
immediatamente ricascata. Dove? Ma dove se non nei salotti buoni dell’intrattenimento televisivo italiano, quei favolosi luoghi dove si
può ascoltare ogni storia, dal salvataggio di una talpa accidentalmente finita in un tombino, fino al matrimonio di Belen e dove ovviamente
trovano spazio argute disamine sulla pericolosità e immoralità dei videogiochi. Proprio l’onorevole Capua, ospite d’eccezione della
trasmissione Geo&Geo, si è lanciata in pindarici voli per descrivere la dannosità dei videogiochi e non si è risparmiata di certo nei paragoni,
definendo i videogiochi violenti una sorta di malattia, dalla quale fortunatamente si può guarire.
Naturalmente in questo circo mediatico degli orrori, non poteva non finire il baluardo di noi videogiocatori italiani, Lorenzo Ostuni,
conosciuto anche con lo pseudonimo di Favij. Non è certamente questo il luogo adatto per discutere del personaggio e non è nemmeno il
centro della nostra analisi, ma il povero Favij non ha certamente fatto una brillante figura quando, invitato ad Uno Mattina, si è trovato faccia
a faccia (virtualmente) con la Dacia Maraini, la quale, per descrivere il citatissimo Grand Theft Auto V ha affermato che è: “Il gioco in cui
si vince investendo le persone”. Quello in realtà si chiama Carmageddon, ma qua stiamo veramente scendendo troppo nei dettagli.
Insomma, quello che si evince da questi pochi passaggi riassunti nel nostro articolo, la situazione in Italia non è proprio delle più rosee e da
molti fronti sono giunti e giungono tutt’ora attacchi diretti verso quello che in realtà è un fenomeno culturale. Affermare che non ci debbano
essere regolamentazioni su cosa sia adatto o meno ad un certo tipo di pubblico sarebbe un grave errore, come è però un grave errore
quello di cercare ad ogni costo una relazione tra il consumo di videogiochi violenti e l’effettiva attuazione di comportamenti
lesivi verso altrui. Non basta infatti qualche affermazione e qualche pregiudizio per rendere la vera la tesi portata avanti dalla Salvadori o
dalla Capua, bensì sarebbero necessarie esperimenti di laboratorio portati avanti con scientificità e, nei casi in cui questi ultimi sono stati
effettuati, è stato dimostrato come non sussista nessuna correlazione, nè tanto meno un nesso di causa-effetto tra videogiochi e
comportamenti violenti. Codice abbonamento:
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Un raggio di sole in una giornata oscura
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Dopo questi poco edificanti attacchi diretti verso i videogiochi, spesso senza interpellare nemmeno una figura autorevole e a conoscenza
della materia, ecco che si è giunti al capitolo finale della nostra vicenda. Qualche settimana fa, verso la fine di settembre, è stata infatti
presentata alla Camera, da parte degli onorevoli Cesaro, Vezzali (sì, proprio lei), Palladino, Affinita (direttore generale del Moige) e
Giannini una proposta di legge atta a vietare del tutto la vendita di prodotti PEGI 18+ ai minori. Secondo Antimo Cesaro: “Occorre
disciplinare una materia così delicata, prevedendo l’obbligo di un’informazione adeguata per i potenziali acquirenti (soprattutto se minori) e
sanzioni congrue per i trasgressori.” Prosegue il medesimo: “Certo non si può continuare con l’attuale far west normativo, né lasciare alla
‘buona volontà’ e all’autodeterminazione dei produttori la regolamentazione di prodotti in grado di incidere sul l’educazione e i comportamenti
dei nostri figli.” Stando infatti ad un ricerca condotta dallo stesso Moige (Movimento Italiano Genitori), emerge una larga diffusione di
prodotti PEGI 18+ anche al di sotto della soglia critica di età ma soprattutto: “Il dato più preoccupante riguarda la permissività dei genitori:
seppur “sempre” al corrente dell’uso di questi prodotti da parte degli adolescenti (in 7 casi su 10), essi non impongono divieti al 70% degli
studenti di scuola superiore e al 35% di quelli di scuola media.” Insomma siamo un po’ alle solite: laddove non arriva la cultura in materia
digitale e l’informazione dei genitori e degli adulti, occorre calare la mannaia della legge per correggere una stortura imputabile solo a quelli
che richiedono poi questa mannaia. Un altro tema spinoso è poi su chi debbano ricadere i tanto acclamati provvedimenti disciplinari
e le sanzioni: sui genitori? Pressoché impossibile. Sui figli? Altrettanto difficile. Sui rivenditori? Molto probabilmente. Ma se il preordine
online è effettuato da un minorenne che utilizza i dati dei propri genitori, su chi ricade la colpa? Insomma, tutto è poco chiaro ed altrettanto
dubbia è l’efficacia di un certo provvedimento, perché in fin dei conti - ed anche il Barone Birra ce lo insegna – il proibizionismo non è mai
stata la soluzione a nessun problema. L’unica voce fuori dal coro, probabilmente anche quella con più competenze sull’argomento, proviene dall’AESVI, il quale in un esposto
risponde alla proposta di legge ““Norme a tutela dei minori in materia di diffusione e vendita di videogiochi violenti e/o pornografici”. In una
nota illuminante all’interno di questo oscurantismo digitale, appaiono davvero condivisibili i passaggi su una auspicata collaborazione
tra industria, istituzioni, famiglie e scuole per far conoscere i videogiochi senza demonizzarli, sull’importanza del PEGI che: “non è il frutto di
una mera autoregolamentazione, come si desume dalla proposta di legge, ma è al contrario un sistema di classificazione nato su impulso
della Commissione Europea e che gode di supporto regolamentare da parte di molti Governi degli Stati Membri.” ed è inoltre supervisionato
da due enti superiori ed indipendenti come il NICAM (Netherlands Institute for the Classification of Audiovisual Media) e il VSC (Video
Standard Council). Infine, come già da noi sottolineato, la punizione nei confronti dei soli rivenditori fisici è, oltre che errata, un sintomo della
scarsa conoscenza dei tempi da parti dei legislatori, i quali presumibilmente ignorano che oramai buona parte del mercato è in formato
digitale.
Tirando le somme, speriamo che anche in Italia prenda sempre più piede la cultura del videogioco, nelle forme corrette ed adeguate, utili a
far capire anche a chi non ne mastica molto che si tratta di una forma culturale contemporanea e dunque ci auguriamo che eventi come la
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Milano Gamesweek possano veicolare i molti contenuti positivi che il medium videoludico ha.