CineforumFEST 2011 2012 LA PELLE CHE ABITO

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CineforumFEST 2011 2012 LA PELLE CHE ABITO
CineforumFEST
2011 2012
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martedì
13 dicembre 2011
Trama: Il chirurgo estetico Robert Ledgard ha perso
la moglie in un incidente d'auto che l'ha
completamente carbonizzata. Da allora, ha messo
tutto il suo impegno di scienziato per costruire una
pelle sostitutiva, leggermente più resistente di quella
umana e perfettamente compatibile. Perfezionata
l'invenzione, Robert ha avuto bisogno di una cavia e
non ha esitato a sequestrare il ragazzo che ha tentato
di stuprargli la figlia, a privarlo dell'organo più esteso
del suo corpo e ad obbligarlo a (soprav)vivere in
un'altra pelle, che non gli appartiene.
Regia: Pedro Almodovar
Cast: Antonio Banderas, Elena Anaya, Marisa
Paredes, Eduard Fernández, Fernando Cayo, Bárbara
Lennie, Blanca Suárez
Durata: 120’
Nazionalità: Spagna (2011)
Genere: Drammatico, Thriller
Filmografia di Pedro Almodovar
La pelle che abito (2011)
Gli abbracci spezzati (2009)
Volver (2008)
La mala education (2004)
Parla con lei (2002)
Tutto su mia madre (1999)
Carne tremula (1997)
Il fiore del mio segreto (1995)
Kika – un corpo in prestito (1993)
Tacchi a spillo (1991)
Legami (1990)
Donne sull’orlo di una crisi di nervi (1988)
La legge del desiderio (1986)
Matador (1986)
Che ho fatto io per meritare questo? (1984)
L’indiscreto fascino del peccato (1983)
(…)
Special event
LA PELLE CHE ABITO
Quando il film si apre su una bella ragazza con
un'attillatissima tutina color carne, che fa yoga
come fosse una ballerina di Pina Bausch e crea
sculture ispirate a quelle di Louise Bourgeois, ci
appare
immediatamente
chiaro
dove ci
troviamo: di fronte ad un Pedro Almodovar al
cento per cento, tutt'altro che transgenico,
piuttosto ormai manierista. Il resto del film si
occuperà di confermare senza sosta questa
prima impressione.
La scrittura, come in quasi tutti gli ultimi titoli
del regista, è anche qui un meccanismo
perfetto, rotondo, nel quale i dialoghi servono
spesso ad alleggerire una trama ritagliata con
chirurgica perizia, come fosse fatta di pezzi di
un puzzle (Gli abbracci spezzati) o di lembi di
pelle da far combaciare senza che si noti la
cicatrice. Battute come “Mi chiamo Vera. Vera
Cruz”, solleticano la risata in pubblici diversi e
stratificati,
strizzando
l'occhio
tanto
ad
un'epoca (gli anni Cinquanta) e ad un cinema di
genere fatto di continui colpi di scena, quanto,
fuori dallo schermo, alla rinuncia dell'attrice
feticcio di Almodovar, Penelope, che era stata
pensata per il ruolo finito poi in sorte a Elena
Anaya (e la mancanza della Cruz qui non si
sente, poiché la sua “seconda pelle” se la cava
benissimo).
A
livello
estetico,
accade
esattamente la stessa cosa: dentro un impianto
visivo algido ed elegante, irrompe -volutamente
grottescoun
uomo
vestito
da
tigre.
Almodovar, dunque, rifà se stesso: insieme
kitsch e affascinante, artista matur(at)o ed
énfant prodige birichino. E poi telecamere
nascoste, primi piani congelanti, scambi di
sesso ma non di identità, madri con segreti mai
confessati, figli/fratelli ignari l'uno dell'altro.
Il mito di Frankenstein -espressione da sempre
della paura nei confronti dei progressi della
tecnologia e della scienza, e mito gotico per
eccellenza-, più che oggetto di un'indagine o di
una riflessione sembra servire ad Almodovar
come un semplice contenitore, un involucro
funzionale e intonato nel colore, resistente e
compatibile con la celebrazione di sé e del
proprio gusto.
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