- Domenico Paladino

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- Domenico Paladino
Nico Paladino
L’uomo venuto
dall’Abisso
Romanzo
CAPITOLO PRIMO
Una notte di novembre del 2020, mentre infuriava un violento temporale, un
furgone uscì dal portone del castello di Ussel, che sorgeva in prossimità di
Chatillon, piccolo centro industriale della Valle d’Aosta. All’interno
dell’automezzo, che aveva le pareti completamente chiuse, vi erano, oltre
all’autista, tre uomini seduti che vegliavano un altro uomo abbastanza giovane,
il quale era imbavagliato e aveva le mani ed i piedi legati. Il furgone procedeva
a velocità moderata per la limitata visibilità e per la tortuosità della strada.
Perciò, arrivò a Torino sul finir della notte e si diresse verso l’aeroporto. Entrò in
un capannone e si accostò ad un quadrimotore che era fermo in attesa. Gli
uomini dell’automezzo aprirono il furgone e estrassero la barella sulla quale
era disteso un giovane legato che mugolava e si dimenava.
Nel frattempo, era stato aperto il portellone posteriore dell’aereo e gli uomini del
furgone, ad eccezione dell’autista, vi trasportarono la barella con l’uomo
legato. Subito dopo, il portellone fu chiuso e, nel contempo, il furgone si mise
in moto, si allontanò dall’aereo, uscì dall’aeroporto e si avviò sulla strada del
ritorno al castello. Intanto, la pioggia era diminuita e al sorgere dell’alba
cominciava a diffondersi un pallido chiarore sul panorama circostante.
Il castello di Ussel, a pianta rettangolare, aveva una mole imponente con finestre
limate a torricelle. Si ergeva su un’ altura rocciosa dominante la conca del
fiume Dora fra Chatillon e Saint-Vincent. Costruito nel 1350 da Ebalo di
Challant, costituiva un tipo di transizione fra il castello fortezza e il castello
abitazione signorile. Gli ambienti erano distribuiti su tre piani ai quali si
accedeva con una scala a chiocciola. I muri interni erano ornati da rozzi
affreschi.
All’esterno, una rudimentale strada di circa 9 chilometri consentiva di
raggiungere Bellecombe, località circondata da castagneti. Il castello
apparteneva al duca Ulderico di Garbagna, già alto ufficiale di cavalleria, che
aveva combattuto col grado di colonnello in Afganistan.
Sennonché, nel maggio 2012, mentre si trovava a bordo di un mezzo corazzato,
era saltato in aria su una mina riportando fratture multiple.
Dopo un periodo di permanenza in ospedale e in istituti di riabilitazione, era
stato dichiarato inabile al servizio e collocato in congedo all’età di 49 anni. Si
era, in conseguenza, ritirato nel suo castello dedicandosi all’amministrazione
dei propri beni agrari. Viaggiava di tanto in tanto e si incontrava talvolta col
Visconte Emanuele Degli Uberti, discendente della famiglia reale dei Valois, il
quale abitava in un palazzo ottocentesco nei dintorni di Parigi, a non molta
distanza dal corso della Senna.
Nelle sue visite, il duca dedicava molta attenzione alla figlia del visconte,
Monica. Era, infatti, una giovane che attirava subito l’attenzione degli uomini.
Appariva alta, slanciata, ben formata e il suo viso aveva una bellezza delicata. I
capelli biondi e ondulati le scendevano armoniosamente sulle spalle.
Quando camminava per le strade, accendeva avidi occhi maschili per il suo
sguardo di smeraldo, per la linea perfetta delle gambe e la flessuosità della
figura. La sua bellezza, visibile per la strada e nei ricevimenti, aveva acceso
molti amori ma la vigilanza dei suoi genitori non le aveva consentito incontri e
avventure amorose non adeguate. Sebbene i suoi sensi pulsassero, era stata
costretta a dedicarsi allo studio e alla musica. Fu iscritta alla facoltà di legge,
alla quale si recava accompagnata da una domestica, e iniziò lezioni di piano.
Tuttavia, per il suo carattere esuberante e solare, mal sopportava quell’
eccessiva vigilanza. Sennonché, un giorno venne a fare visita al padre il suo
compagno d’armi, il duca Ulderico di Garbagna, il quale confessò all’amico
che, fin da quando l’aveva conosciuta, si era innamorato di Monica e
desiderava sposarla.
Per la grande differenza d’età, Monica oppose resistenza anche perché
quell’uomo piuttosto autoritario non le piaceva.
Ma i genitori furono inflessibili. Lei poteva fuggire ma non aveva mezzi né molti
gioielli e non ebbe il coraggio di affrontare l’avventura. Così non le rimase che
aderire e, dopo una sontuosa cerimonia, dovette sopportare un odiosa notte di
nozze che le presentò l’aspetto più sgradevole dell’amore. Seguì una vita
matrimoniale tediosa, alleviata soltanto dall’ispezione delle sue coltivazioni che
il generale compiva su una carrozza guidata da un suo uomo. Monica
approfittava di quelle assenze per compiere delle cavalcate a cavallo allo scopo
di conoscere le proprietà del marito ma soprattutto per ristorarsi nel contatto con
la natura. Il suo obbiettivo preferito era un bosco di querce dove le sembrava di
sperdersi in un mondo nuovo, misterioso, in cui predominava il silenzio. Era
quello per lei un luogo di liberazione. Smontava e si distendeva sui cespugli
guardando i frammenti di cielo che si intravedevano fra il fitto fogliame.
Un giorno si assopì e, quando si svegliò di soprassalto a causa di un frusciare del
fogliame sospinto dal vento, sobbalzò.
Sopra di lei, vi era un giovane che la stava osservando. Lei spalancò gli occhi
come rapita da un’ allucinazione e quella figura maschile, che mostrava fra
stupore e ammirazione, si chinò su di lei e la baciò sulla bocca. Lei non reagì
perché non riusciva ancora a rendersi conto se stava sognando o vivendo una
splendida realtà. Rimase con gli occhi spalancati e quell’uomo la baciò ancora.
Infine, lei cercò di uscire da quello stato sospeso fra sogno e realtà. Perciò, gli
disse quasi balbettando:
<<Siete vero o un’apparizione?>>
<<Sono vero e voi siete bellissima>>
<<Ma sono anche una donna sposata. Vi prego, aiutatemi ad alzarmi.>>
Il giovane si chinò su di lei e la sollevò agevolmente. Ma poi la trattenne fra le
braccia.
<<Il vostro abbraccio è piacevole ma io debbo andare>>
<<Ditemi che ritornerete>>
<<Accompagnatemi al cavallo e intanto ditemi chi siete>>
<<Mi chiamo Adriano Lanfranchi e posseggo una proprietà agricola a poca
distanza. Quando vi ho visto distesa, ho creduto di essere entrato in un sogno. Vi
ho baciata e il mio cuore palpita ancora. Non è casuale quello che ci è accaduto
ma un segno del destino. La morbidezza delle vostre labbra e, la luminosità dei
vostri occhi, mi hanno incatenato a voi>>
<<Anch’io ho vibrato. E vi bacerei ancora. Ma ho un marito che mi aspetta>>
<<Oh no! Ecco un segno del destino che ci incatena. Ma non possiamo lasciar
passare questo momento fatale. Ditemi che ritornerete.>>
<<Si, anch’io desidero rivedervi>>
<<Oh, grazie>>E l’abbracciò strettamente.
<< Permettetemi prima di andarvene di mostrarvi la mia casa>>
Recuperarono i cavalli che li attendevano quietamente ma poi lui l’abbracciò e la
baciò ancora.
<<Questo è il nostro incantesimo. Non dobbiamo lasciarcelo sfuggire>>
<<Mi sembra un sogno. Ma tu non sai quanto sarà amaro il risveglio>>
<<Non devi essere più infelice ma pensare che ci rincontreremo ancora e, se
vorrai, fuggiremo.>>
<<Sarebbe magnifico. Ma ora fermati, non farmi scoppiare il cuore. Portami a
vedere la tua casa.>>
Percorsero un centinaio di metri e uscirono dal bosco. Di fronte a loro, vi era una
larga radura su cui si ergeva una casa di stile ottocentesco che non aveva nulla di
campestre ma richiamava lo stile cittadino, con colonne e balconate dell’edilizia
moderna. Intorno, vi erano degli ondeggianti cipressi. Entrarono e lei rimase
stupita dall’abbondanza di marmi e colonne.
<<Ma questa non è una casa di campagna.>>
<<E’ vero. Aderendo al desiderio dei miei genitori, dovrò estendere il terreno che
circonda la casa, creare un viale e una recinzione signorile>>
<<Ma i tuoi genitori dove sono?>>
<<Pensa, ancora di mezza età, sono morti in un naufragio. Dopo quel tragico
evento, io ho affidato ad un amministratore l’azienda agricola che circonda la
casa e, per alleviare il mio dolore, ho cominciato a viaggiare. Sono stato in
Africa e nei paesi glaciali. Ho visto luoghi di grande bellezza e incontrato
popolazioni molto diverse da noi negli usi e nei costumi. Se il destino ci aiuta,
continueremo insieme questi viaggi, sempre che ti siano graditi>>
<<Certo! Ti seguirò ovunque>>
Un quarto d’ora dopo, si baciarono nuovamente e lei ripartì e, durante il viaggio,
il suo cuore batteva tumultuosamente al ricordo di quello straordinario incontro.
Nel contempo, l’idea di ritardare al castello e rivedere quell’ anziano e burbero
marito aumentava i suoi palpiti. Ma, con sollievo, al rientro, le dissero che il
marito si era recato al circolo ufficiali di Chatillon.
Telefonò allora ad Adriano e prese con lui un appuntamento fra 2 giorni per non
destare sospetti. Trascorse quei 2 giorni palpitando nell’attesa di rivederlo. Era la
conferma di un amore fatale perché cosi improvviso e sorprendente. Fu perciò
col batticuore che il giorno fissato andò col incontrarlo chiedendosi come mai il
destino avesse riservato ad entrambi quell’apparizione così improvvisa, quasi
inspiegabile, della felicità.
Lui l’attendeva fuori dal terrazzo antistante la scalinata esterna e, da quel
momento, procedettero abbracciati baciandosi avidamente. Giunsero in camera
da letto, si spogliarono frettolosamente e si gettarono l’uno nelle braccia
dell’altro. Erano pazzi d’amore e, quando furono uniti in una carne sola, si
rotolarono sul letto fra soffocate invocazioni e grida appena represse di piacere.
Fu un impeto di passione sorprendente che fini per esaurirli. Si addormentarono
abbracciati e, quando si svegliarono, lei s’accorse che era tardi per il rientro e si
rivestì con apprensione. Ma più tardi, in carrozza, un pensiero aggredì la sua
mente. Pensò che a quella gioia scatenata e improvvisa avrebbe fatto seguito il
dolore. Fu soltanto qualche attimo che bastò per gelare il suo cuore ed era solo
l’inizio di un capovolgimento del destino. Giunse infatti al castello notizia che
una banda di malfattori si era soffermata nelle vicine campagne depredando
alcune famiglie di contadini. In conseguenza, il duca proibì a Monica di uscire
fino a quando la banda si sarebbe allontanata. Lei, allora, sull’ansia di rivedere
Adriano, lo invitò a recarsi di sera al castello. A quel punto, dovette rivelare il
suo segreto alla sua cameriera più fedele che era venuta con lei al castello di
Ussel dalla casa paterna in Francia. Con lei ideò di far entrare Adriano da una
piccola porta sita sul lato posteriore del castello, ubicata a pianterreno. Ad
Adriano indicò come entrare nel giardino e giungere alla piccola porta dove lo
avrebbe atteso quella cameriera, che si chiamava Maddalena. Infine, stabilirono
che l’ incontro avrebbe avuto luogo fra due giorni, in un pomeriggio in cui il
duca giocava a scacchi con alcuni compagni d’armi.
Due giorni dopo, Adriano giunse al tramonto nei pressi del castello, lasciò il
cavallo a debita distanza e poi, attenendosi alle istruzioni ricevute, entrò nella
porticina, accolto dalla cameriera. Insieme, percorsero i corridoi che
conducevano alla cappella. Sennonché, una porta si aprì improvvisamente nel
corridoio al loro passaggio e ne uscì un uomo alto e robusto nel quale
Maddalena riconobbe uno degli uomini di fiducia del duca.
<<Chi è questo straniero, Maddalena?>>
<<E’ un mio amico che è venuto a farmi visita>>
<<Tu sai che il duca esige di essere informato di ogni visita di estranei>>
<<Hai ragione, Sebastiano, ma questa è una mia visita intima. Volevo tenerla
riservata>>
<<Mi spiace per te ma dovrò informare il duca>>
<<Va bene, mi giustificherò>>
L’uomo, a quel punto, si ritirò e Maddalena proseguì verso la cappella. Monica,
che attendeva impaziente, abbracciò spasmodicamente Adriano ma, quando
apprese dell’incontro con lo sbirro del duca, si agitò e disse ansiosamente:
<<Purtroppo, è andata male Adriano. Ti prego, ritorna subito verso l’uscita.>>
Lo baciò con disperazione e lo spinse ad andare insieme a Maddalena. Poi risalì
nella sua stanza e si gettò piangendo sul letto. Avvertì con amarezza che il
destino, dopo aver esaltato la loro gioia, li spingeva ora verso cadute di
imprevedibili sviluppi.
<<Il demonio! Il demonio>>gridò<<Ha preso il sopravvento>>.
Attese invano il ritorno della sua donna di servizio e comprese disperatamente che
era stata trattenuta dagli sbirri del duca.
Con un filo di speranza telefonò allora ad Adriano. Ma, dalla sua casa, gli
risposero che non era rientrato. Comprese con disperazione che quella breve
visita da lei organizzata si era tramutata in una tragedia.
CAPITOLO SECONDO
Il capo degli sbirri, Marco, si era recato, dopo la cattura di Adriano, a riferire al
duca lo sviluppo degli avvertimenti. Gli disse che aveva visto in distanza la
domestica Maddalena accompagnare lo straniero nella cappella dove si era
incontrato con la duchessa. Ma il loro colloquio era durato soltanto pochi minuti
perché, evidentemente, la sua comparsa aveva sconvolto i loro piani. Così, lo
straniero, accompagnato da Maddalena, era uscito subito. Ma lui Marco, con
altri membri, lo avevano catturato e rinchiuso in una delle antiche prigioni del
castello.
Poi, aveva costretto la cameriera, sotto tortura, a rivelare che l’uomo aveva
incontrato nella cappella la duchessa e che i due si erano baciati.
<<Quindi>>concluse il duca<<Aveva una relazione. Torturate l’uomo per sapere
questa tresca da quanto dura.>>
Il giorno dopo Marco gli riferì:
<<Lo straniero risponde al nome di Adriano e abita nelle vicinanze di Chatillon.
Sottoposto a tortura per sapere da quanto durava quella relazione l’uomo ha
risposto spontaneamente che si erano incontrati soltanto due volte. Sottoposto
nuovamente a tortura per sapere se fra loro fossero intercorsi rapporti intimi, si
limitò a dire che si erano soltanto abbracciati. Poi, sebbene ancora sotto tortura,
si limitò a confermare la sua dichiarazione. E non fu possibile, nonostante la
sofferenza, avere di lui altre notizie>>.
<<Quindi>>concluse il duca<<Una relazione esisteva e stava sviluppandosi. Ma
non voglio uccidere quest’uomo. Non intendo avere sulla coscienza la sua vita.
Nel frattempo, mi è venuta un’idea divertente. Datemi due ore di tempo e poi vi
fornirò le istruzioni necessarie.>>
Due ore dopo, il capo degli sbirri, Marco, ritornò e il duca, che nel frattempo
aveva fatto diverse telefonate, gli disse:
<<Legate strettamente quello straniero poi sistematelo in un furgone e portatelo
all’aeroporto di Torino. Li vi attenderà un quadrimotore che lo trasporterà in
America. Due di voi partiranno con lui e lo accompagneranno in un luogo che io
ho segnato in questa lettera. Eccovi del denaro che ritengo sufficiente per questa
operazione>>
Dopo che i suoi collaboratori se ne furono andati, Ulderico si soffermò a pensare
agli avvenimenti che avevano capovolto una giornata iniziata serenamente. Ed
ora questa novità veniva a sconvolgere la sua vita; si prese la testa fra le mani
mentre fuori si era scatenato un violento temporale. Infine, si alzò e salì nella sua
camera da letto dove trovò Monica seduta su una sponda del letto col viso
contratto.
<<Cosa hai fatto di quel giovane che era venuto a salutarmi?>>
<<Del tuo amante, vuoi dire?>>
<<Non è il mio amante. Ci siamo visti soltanto due volte.>>
E mentre pronunciava quelle parole corse verso il marito, seduto sull’altra sponda
del letto, gli abbracciò le gambe e lo supplicò:
<<Fai di me la tua schiava ma liberalo. Ti giuro che non lo vedrò mai più.>>
<<Troppo tardi. Questa notte partirà per le Americhe. Non lo vedrai mai più. Né
potrai rimanere qui, con me. Domani, lascia il castello e scegliti un altro
destino.>>
Monica non immaginava che quell’uomo fosse così crudele e insensibile. Si alzò
di scatto e, senza guardarlo, uscì e andò a rifugiarsi in una delle camere degli
ospiti. Ma non riuscì a chiudere occhio: insieme, umiliazione, rabbia, dolore si
sommarono insieme, facendola rigirare sul letto finché sopravenne un pianto
liberatorio che la condusse, dopo ore, ad un sonno di sfinimento. La svegliò la
domestica Maddalena. Era in ginocchio vicino al letto e piangeva.
<<E’ stata tutta colpa mia, duchessa, ho dovuto dire che voi avete baciato
quell’ospite, dopo continue torture. Mi hanno spogliata nuda e mi hanno
tormentata per ore finché ho ceduto>>
<<Povera Maddalena. Perdonami perché la colpa è soltanto mia. Ora, per favore,
aiutami a fare un piccolo bagaglio e poi ordina una macchina perché debbo
lasciare per sempre il castello>>
<<Oh Dio mio! Che disastro!>>
<<Si, la mia vita è precipitata in un baratro. Ora dovrò cercare Adriano. Ma
dove?>>
<<Calmatevi, non disperate. Questi uomini parlano fra di loro. Spero di carpire
qualche notizia.>>
<<Grazie, sei per me l’unica speranza.>> E si abbracciarono. Poi, prima di
lasciare il castello, Monica le consegnò una consistente somma di risarcimento.
Quella stessa mattina, dopo uno scambio di telefonate, Monica fu accolta
affettuosamente dalla Madre superiora del convento della Madonna di Fatima,
posto alla periferia di Aosta.
CAPITOLO TERZO
La decisione del duca di trasportare il povero Adriano in America era collegata al
suo malvagio proposito di sottoporlo all’ibernazione, cioè alla sottoposizione del
suo corpo ad una temperatura di meno 195 gradi centigradi.
Questa pratica di dubbio esito era attuata a scopo di studio dalla “Alcorlife
Exstension foundation” che aveva sede in Arizona. Un idea pazzesca che
probabilmente avrebbe condotto ugualmente alla morte il povero Adriano ma
che faceva parte di una corrente di studio medica. All’arrivo del quadrimotore a
Phoenix, la capitale dell’Arizona, alcuni incaricati della “A.E.F.” si affrettarono
a prelevare la barella su di cui era legato Adriano e lo consegnarono ai medici
incaricati di eseguire l’ibernazione. Il povero giovane si dibatteva
disperatamente ma era saldamente legato. In quelle condizioni, fu sistemato in
una specie di bara. Appena chiusa, da apposite valvole cominciò ad essere
emessa un’aria sempre più fredda che abbassò la temperatura della bara a meno
195 gradi centigradi. Soffrendo orribilmente Adriano perse i sensi e giacque in
una situazione che era in bilico fra la vita e la morte. Tuttavia, secondo le teorie
che riguardano l’ibernazione, quel corpo era in grado, in quelle condizioni, di
evitare la perdita irreversibile delle informazioni conservate nel cervello e di
preservare le strutture biologiche dalla morte.
La sua bara fu sistemata in una grande sala dove erano allineate molte altre
analoghe strutture, con pazienti morti e conservati a quella terribile temperatura
di meno 195 gradi, con la speranza di un operazione risolutrice e di un risveglio
alla vita.
Per tutti quelli sventurati, era cioè viva l’attesa della scoperta di cure efficaci, oggi
inesistenti, capaci di guarire il male che li aveva portati alla morte.
Alcuni mesi dopo il loro arrivo, fu nominato un nuovo direttore che si chiamava
Helen Russel. Si trattava di una dottoressa di circa 30 anni che aveva compiuto
negli Stati Uniti studi specializzati proprio sull’ibernazione. Era una donna
miliardaria, erede di uno dei più grandi petrolieri dell’Arizona, la quale, in
seguito alla morte di sua madre per un insidioso tumore, l’aveva fatta ibernare ed
ora voleva tentare di farla tornare in vita.
Appariva alta, bella, slanciata, statuaria, con capelli rossi di tintura ondulati che le
scendevano sulle spalle. laureata in medicina, si era dedicata
all’approfondimento del settore che si occupava appunto dell’ibernazione e di
tutti i tentativi ad essa relativi effettuati da anni. Già dai primi giorni, dimostrò
che la sua competenza era notevole. La sua figura stimolava intensamente il
desiderio maschile. Però quando indossava il camice bianco e cominciava a
impartire ordini perentori, la splendida donna cedeva il posto alla autoritaria
direttrice.
Nel quadro dei provvedimenti che impartì fin dall’inizio, il più importante fu il
graduale esame delle bare, attraverso una serie di accorgimenti che erano
all’avanguardia della medicina e che consentivano l’esame del corpo ibernato e,
per ciascun degente, la situazione radioscopica degli organi che avevano
provocato la morte e che, appena possibile, avrebbero dovuto essere ripristinati.
Man mano che procedeva in quegli esami, Helen si andava rendendo conto dell’
enorme difficoltà che l’ibernazione comportava nel tentativo di riportare in vita,
guarita, ogni persona giacente in quelle bare. E sebbene fosse una donna piena di
coraggio e di intraprendenza, era oppressa dal dubbio di un generale insuccesso.
Si impose perciò di esaminare nel dettaglio ogni caso per ricercare le vie più
idonee della cura. Con il suo seguito, giunse infine alla bara che conteneva il
corpo di Adriano.
Al pari di tutte le altre bare, il coperchio non era in legno ma in cristallo e
consentiva la visione completa del corpo ibernato. Helen ebbe un sussulto
perché quell’uomo era giovane e bellissimo e gli occhi azzurri socchiusi avevano
un’espressione di dolcezza.
<<Che malattia ha quest’ uomo?>>chiese d’impulso ai medici che
l’accompagnavano.
<<Dalla sua cartella risulta che è deceduto per infarto>>
<<Il suo aspetto non mi convince. Visitatelo.>>
Attraverso uno sportello, il medico più anziano si accinse, anzitutto alla visita
cardiaca sobbalzò esclamando:
<<Ma quest’uomo è vivo>>
<<Avevo avuto questa sensazione>> esclamò Helen e si rivolse al medico che
portava il registro dei ricoveri.
<<Chi lo ha portato qui?>>
<<Due uomini che provenivano dall’Europa>>
<<E al momento del ricovero è stato visitato?>>
<<Dal registro risulta di si e che vi fu una diagnosi di morte per infarto>>
<<E’ improbabile che sia risuscitato. Forse è stato visitato male oppure era vivo e
qualcuno voleva disfarsene. Domani, interesserò il capo della polizia di Phoenix
per svolgere un indagine. Sono convinta che questo giovane è vittima di una
violenza ai suoi danni. Ora, attendo subito la procedura per la graduale
normalizzazione della temperatura e per rimetterlo in normali condizioni di
vita.>>
Helen sembrava presa da una febbre. Voleva recuperare quell’uomo e conoscere il
suo mistero. In verità, le procedure per riportare alla normalità un ibernato non
erano state ancora sufficientemente approfondite e mai, salvo questo caso, era
stato possibile giungere ad un ricupero. Helen andò ogni giorno a visitare lo
straniero e notò i suoi sforzi per muoversi e parlare finché ebbe un idea stimolata
dalla curiosità e dal desiderio.
Dette ordine che lo trasportassero a casa sua dove lo sistemarono al secondo piano
in un’elegante mansarda. Lei abitava al primo piano di quello stesso palazzo,
costruito decenni addietro nel quadrilatero del centro di Phoenix, fra Madison
Street, Buren steet e la 7th Avenue. Realizzato in stile liberty, l’edificio era stato
poi circondato da superbi grattacieli.
Helen dormiva al primo piano col marito che aveva vent’ anni più di lei e, per il
suo lavoro di dirigente industriale, viaggiava in continuazione. Lei quindi
godeva di una notevole libertà che implicava nel suo lavoro relazioni sociali ad
alto livello e qualche viaggio, in località turistiche in compagnia di qualche
giovane amico, in occasione di brevi e spesso insipidi incontri d’amore dopo
feste da ballo e in luoghi di villeggiatura
Era quindi nel complesso, una donna vulcanica e disinibita, di grande fascino e
dal desiderio di godersi la vita negli spazi che il suo impegnativo lavoro le
lasciava. Ora, tutta la sua attenzione era dedicata a quel giovane emerso da una
situazione mortale. Lo aveva fatto stendere nudo su un letto a due piazze,
coperto da un solo lenzuolo e, quando il marito era assente, dormiva con lui e lo
copriva di carezze e di baci per osservarne le reazioni. Le parve che, sia pure
molto lentamente, riprendesse i movimenti. Perciò, dette ordine che fosse
massaggiato in tutto il corpo almeno quattro volte al giorno per riattivare la
circolazione del sangue. E quella sua iniziativa ebbe successo perché lo
sconosciuto cominciò muovere la testa e le dita delle mani, poi gradualmente,
riuscì a stendere le gambe. Helen era al colmo della gioia.
Proseguendo con quelle frizioni, pensò, avrebbe riattivato tutta la circolazione
corporea. Aumentò il numero dei massaggi e personalmente provvide a
stimolare l’organo sessuale. Era felice perché sentiva che quell’ uomo era tutto
suo e, un giorno, sarebbe riuscito ad amarla. Intanto, man mano che quei
tentativi procedevano, sentiva il suo cuore vibrare per lui.
Fin dal primo momento in cui lo aveva visto in quella bara con gli occhi azzurri
socchiusi e diretti verso di lei, fin dal quel momento lo aveva amato ed era
impaziente che fosse in grado di stringerselo al petto.
Ogni giorno, trascorreva alcune ore con lui, che la colmavano di una soffusa
ebbrezza. Intanto, l’infermo faceva progressi e un giorno stese un braccio e
l’attrasse a se guardandola intensamente e con voce stentata le disse:
<<Mio angelo>>.
Lei scoppiò a piangere e lo baciò con forza. E, con gioia, sentì che anche lui ora la
stava baciando e la guardava con i suoi inconfondibili occhi azzurri anch’essi
pieni di lacrime.
Un mese dopo, riuscì a dirle il proprio nome:
<<Mi chiamo Adriano e vengo dall’Italia.>>Poi, stentamente aggiunse:
<<Resta così come sei ora. Il mio angelo.>>
Contemporaneamente, Adriano veniva sottoposto a iniezioni rinforzanti. Lei gli
fece confezionare dei vestiti e un pomeriggio uscirono insieme in una macchina
guidata dal un autista.
E mentre il viaggio proseguiva, loro due, abbracciati, si baciavano con gli occhi
umidi. Intanto, fuori, la campagna scorreva mostrando un volto dell’Arizona
diverso da quello delle grandi città. Il paesaggio, cioè, dei ranch, dei paesini
western, dei cavalli e delle mandrie. Arrivarono, infine, in una zona panoramica
che consentiva di ammirare le Arcosant Mountaines, a ridosso delle quali si
sviluppava un’ antica pista battuta un tempo dalle diligenze.
Ritornarono stanchi a tarda sera. Le passeggiate lungo il percorso per guardare da
lontano il grand Canyon, Flagstel e altre località, ricche di storia, sembrava
avessero rianimato Adriano.
Così, nonostante la stanchezza, fecero ugualmente all’amore. Lui si stese sulla
schiena e lei gli salì a cavalcioni e si fece a lungo penetrare. E mentre si
amavano, si guardarono intensamente. Alla fine, dopo un lungo scambio di baci,
lui le disse:
<<Ti debbo la vita. Questo mi legherà a te per sempre.>>
Ma, nella notte, si svegliò e improvvisamente venne assalito dal ricordo di
Monica. Le tenebre del suo cervello andavano evidentemente dissipandosi e,
miracolosamente, la sua memoria ritornava col suo carico di travagli. Così,
dolorosamente, il dolce viso di Monica, le sue amorevoli parole, il ricordo di
quel suo delicato amore, gli provocarono una sensazione di angoscia. Si sentì
come un uomo diviso a metà
Qualche giorno dopo, Helen, nella sua qualità di direttrice della fondazione “Alcor
Life Exthension” spedì al capo della magistratura della città un rapporto sulla
forzata ibernazione di Adriano da parte del duca Ulderigo di Guardagna,
residente in Italia, e di due suoi uomini che avevano trovato la complicità di due
infermieri dell’istituto Alcor. Nei due giorni seguenti, i due infermieri furono
tratti in arresto. Il procuratore di Phoenix provvide inoltre, tramite internet, ad
informare la magistratura italiana per i suoi interventi di competenza nei riguardi
del duca di Guardagna. Qualche giorno dopo, Helen, disse ad Adriano:
<<Io sto provvedendo a tutte le tue necessità: ti ho comprato vestiti, biancheria,
scarpe. Ma tu non ricordi chi eri al tuo paese, se hai in quel posto un lavoro,
delle disponibilità finanziarie, una donna?>>
<<Ricordo una palazzina in una zona campestre, delle coltivazioni. Mi sforzo di
ricordare quale sia la mia banca per farmi inviare del denaro>>
<<Se ti riesce di recuperare questi ricordi, potresti ritornare nel luogo dove vivevi
e dove forse avevi una famiglia>>
<<Spero, con le cure che tu mi fai praticare, di ricordare gradualmente la mia vita
precedente>>
<<Forse, hai una donna che si dispera per te, una vita che potresti riprendere>>
<<Se questo avvenisse, mi faresti partire, ritornare alla mia vita precedente?>>
<<Io ti amo, ma mi rendo conto che questa nostra unione è sospesa nella
incertezza. Confido che la tua memoria esca dalla nebbia che ora l’avvolge.>>
<<Si, mi dispero in questo sforzo di ritornare alla normalità: il fatto di sentirmi
come un malato di fronte a te e di fronte alla gente, mi rende infelice.>>A quel
punto, lei lo abbracciò.
<<La tua vita è stata sospesa. Ma, per la volontà divina io l’ho riattivata. Da
allora, sto facendo ogni sforzo per farti ritornare alla normalità: considerami il
tuo baluardo.>>
Adriano, l’abbracciò, poi si inginocchiò davanti a lei e la strinse alle ginocchia.
Helen gli accarezzò il capo e senti che lui piangeva silenziosamente.
<<Hai fatto grandi progressi. Sono certo che ritornerai presto alla normalità.>>
Trascorsero altre settimane e Adriano sentiva un graduale chiarimento della sua
mente. Una notte si svegliò e vide con chiarezza il viso di Monica. Si, ora
ricordava, rivedeva quel loro romantico incontro. E poi, continuando a sforzare
la memoria, la rivide abbracciata a lui in quella loro unica congiunzione
d’amore, così rosea, levigata, con quei suoi occhi di cielo. Si, ricordò che lui, in
un passato indefinibile, l’amava intensamente e, ora, quell’amore ritornava
dolorosamente, come una nebbia che si stesse improvvisamente dissolvendo. Si
rese conto che stava verificandosi in lui uno scompiglio che non riguardava
soltanto la sua mente ma anche la sua anima, riportandolo verso quel passato
che si era oscurato. Perciò, fu lieto quando, alcuni giorni dopo, Helen gli
annunciò che doveva recarsi in Australia con una commissione di esperti perché
la fondazione ”Alcor” voleva fondare un altro istituto di ibernazione avvalendosi
dei progressi che quel ramo della medicina aveva compiuto nel grande ovest.
Trascorsero altri giorni, fino a che Helen gli disse che l’indomani sarebbe partita.
Quella sera non potevano però dormire insieme perché suo marito
malauguratamente era presente.
L’indomani mattina, Adriano scese nella sala delle riunioni dove era in corso la
cerimonia di saluto dei partenti.
Quando giunse l’ultimo momento, quello del commiato fra lui e quella donna che
lo aveva salvato e protetto, fu colto da uno smarrimento. Si inginocchiò davanti
a lei e le abbracciò le ginocchia. Senza il suo aiuto costante e amorevole, si
sarebbe subito sperduto e smarrito. Lei era imbarazzata ma soprattutto
commossa. Lo aiutò ad alzarsi, lo abbracciò nonostante la sala fosse piena di
gente e gli disse:
<<Ti telefonerò ogni giorno ma non sentirti solo. Qui tutti ti sono vicini e ti
daranno il loro appoggio.>>
Tuttavia, lui sentiva che, con la partenza di quella donna miracolosa, era
precipitato in un immensa solitudine. Perché, non soltanto l’amava
profondamente e l’ammirava ma, con il suo allontanamento, gli veniva a
mancare la colonna che sosteneva la sua vita. Ritornò nella mansarda, si distese
e visse due giorni inerti, soltanto sostenuto dalle notizie che Helen gli
comunicava due volte al giorno per telefono.
Non gli rimaneva che fare una breve passeggiata ogni giorno sostenendosi ad un
bastone. Spesso ricordava Monica ed i momenti trascorsi con lei. E si accorse
che cresceva in lui l’ansia di sapere dov’era. Riuscì a procurarsi, tramite internet,
il numero di telefono della propria azienda agricola. Telefonò e riuscì a parlare al
direttore che sobbalzò al sentirlo e lo assalì di domande.
<<Quello che vi dirò deve rimanere segreto>>
<<Certo, vi assicuro che non ne parlerò con nessuno.>>
<<Mi trovo in America, in Arizona. Se riusciremo ad incontrarci, vi racconterò la
mia storia. Ma, ora, quello che mi preme sapere è dove vive la contessa Monica.
<<Dopo la sua sparizione, sig. Adriano, ho condotto lunghe, affannose ricerche
che ho esteso alla contessa Monica perché ritenevo foste fuggiti insieme. Invece
lei era ospite di un convento. Da allora, non so più niente di lei>>
<<Vi ringrazio, caro direttore, e vi darò altre mie notizie. Se mi sarà possibile,
verrò a rivedere voi e, possibilmente, la contessa.>>
<<Bene, allora Vi attendo con gioia>>
Lo stesso giorno, Adriano, sebbene avesse confusione nella testa e dolori nelle
articolazioni, telefonò ad Helen e le comunicò la sua intenzione di recarsi a
Torino.
<<Vuoi ritrovare la tua donna di allora?>>gli rispose con una voce alquanto
irrigidita.
<<Si, soprattutto per placare la mia ansia. Cosi come è successo a me, anche lei
avrà subito la sua punizione. Tuttavia secondo quanto mi è stato detto, sembra si
trovi ora in un convento>>
<<Ma tu te la senti di viaggiare?>>
<<Spero di riuscire a fare il viaggio in aereo. Poi, a Torino, sarò atteso e assistito
da persone che conosco>>
<<Ti rivedrò?>>
<<Come potrò fare a meno di te?>>
<<Diciamoci addio con la speranza di ritrovarci>>
*
*
*
Sette giorni dopo, Adriano giunse a Torino, dolorante in tutto. Era ad attenderlo,
Carlo Zoffi, il suo primo collaboratore ma anche amico. Adriano avrebbe dovuto
portare con sé un bastone, ma si vergognava. Perciò, si appoggiò al braccio di
Zoffi e con un taxi raggiunse con lui un albergo. Il giorno stesso, dopo un
innumerevole susseguirsi di telefonate, apprese che Monica insegnava da alcuni
mesi nell’ istituto salesiano Maria Ausiliatrice. La signora che aveva risposto
precisò che la stessa Monica era in partenza per la Francia. Perciò aggiunse:
<<Se volete incontrala, venite subito>>
Sconvolto, Adriano, accompagnato dal suo dipendente, si recò immediatamente
all’istituto Salesiano e chiese di vedere Monica. Fu fatto accomodare in un
salotto mentre il suo accompagnatore rimase nella sala di attesa comune.
Adriano si sedette su un divano emozionato. Dopo 4-5 minuti, la porta di fronte
si aprì e gli apparve una donna vestita di scuro nella quale riconobbe a malapena
Monica perché la bellissima donna di un tempo era adesso pallida e dimagrita.
Lui si alzò e si andarono incontro. Si guardarono con occhi spauriti finché lei
chiese:
<<Ma io non vi conosco. Voi chi siete?>>
<<Sono Adriano. Anni fa ci siamo amati>>
<<Adriano!>>Esclamò lei con un filo di voce. Protese le mani verso di lui ma
riuscì soltanto ad appoggiarsi al suo petto, poi i suoi occhi si chiusero e lei
scivolò svenuta verso terra. Lui la sostenne e l’adagiò sul divano. Volle evitare
l’intervento di estranei e si limitò a baciarle il viso, a chiamarla teneramente.
Dopo qualche minuto, lei aprì gli occhi e lo guardò spaventata.
<<Adriano>>
<<Si, sono io, mia adorata>>
<<Non potevi avvertirmi della tua venuta? Stavi per spezzarmi il cuore>>
<<Si, perdonami, ma l’ansia di rivederti non mi ha consentito di riflettere>>
<<Ma da quale inferno vieni?>>
<<Puoi ben dirlo. Tuo marito è stato crudele. Pensa, mi ha fatto trasportare con un
aereo in Arizona dove sono stato ibernato>>
<<Che significa?>>
<<Sono stato immerso in una bara di un istituto di ibernazione, alla temperatura di
meno 195 gradi. Ovviamente sono svenuto ma non sono morto. Poi, per una
casualità, nel corso di una verifica, i dottori di quell’istituto si sono accorti che
ero ancora vivo e mi hanno estratto. Da allora, sono lentamente ritornato alla
vita. Ma non sono più l’uomo di prima.>>
<<Cosa farai ora?>>
<<Cercherò di guarire completamente>>
<<Tutto questo è orribile, cosi come struggente è stata la mia attesa fino a quando
mi sono rassegnata all’idea che eri morto. Le ricerche della polizia sono state
frettolose ed io mi ero intanto rifugiata in un convento perché mio marito mi ha
letteralmente cacciato dal castello. Poi sono riuscita ad essere accolta in questo
istituto dove ho alleviato il mio dolore con l’insegnamento ai giovani. Ma il
destino è beffardo. Tu arrivi proprio il giorno in cui mi congedo da questo posto
per ritornare dai miei genitori perché, in una mia precedente visita, essi mi hanno
presentato un giovane ufficiale che, vedendomi, si è innamorato di me. E la
prossima settimana, mi fidanzerò con lui.>>
<<Ma tu lo ami?>>
<<L’amore è un sentimento fatale e difficile. No, non lo amo come ho amato te,
ma è simpatico, educato e benestante. Poiché tu eri uscito dalla mia vita, ho
accettato la sua offerta d’amore>>
<<Giusto>>rispose Adriano a voce bassa
<<Vuoi che io mi sciolga di questo impegno?>>
<<Sei generosa. Ma è bene che tu prosegua su questa strada lineare e serena. Io
non offro più alcun affidamento. Ti auguro perciò ogni bene.>>
La baciò lievemente, l’aiutò ad alzarsi dal divano, l’ abbracciò con una
espressione disperata, poi uscì dalla stanza. Anni addietro, l’incontro con
Monica era stato breve ma poetico, soave. Ora invece, sentì che il suo cuore era
sprofondato nella tristezza.
In albergo pensò al futuro che gli veniva incontro. Poteva ritornare alla sua
azienda agricola, ai boschi, agli allevamenti o alle coltivazioni. Ma, in
alternativa, vi era il ritorno in Arizona non soltanto per continuare le sue cure ma
soprattutto per rivedere la magnifica, vitale Helen. Quella donna, con la sua
carica di vita, con la sua iniziativa, gli diffondeva gioia e speranza e avrebbe
continuato a preoccuparsi della sua guarigione.
Mentre si torturava sulla via da intraprendere, ricevette una telefonata che
illuminò il suo cuore:
<<Sono Monica, sono ancora tormentata dal ricordo del nostro incontro. Non ero
preparata ad un emozione cosi intensa e non posso rassegnarmi ad una nuova
separazione>>
<<Grazie di queste parole perché sono uscito dal nostro incontro distrutto,
disperato, incapace di pensarti fra le braccia di un altro.>>
<<Io sono troppo controllata. Puoi venire tu a Torino? Trova un posto dove
incontrarci e poi avvertimi>>
Turbato, Adriano chiese al suo dipendente di accompagnarlo . Partirono all’alba e
già alle nove del mattino lui poté telefonare a Monica e dirle:
<<Sono nell’albergo che è ad un isolato dalla tua casa. Puoi venire?>>
<<Vengo subito.>>
Si incontrarono mezz’ora dopo nel salone dell’albergo e il loro abbraccio fu
gioioso e disperato insieme. Salirono nella camera che lui aveva prenotato e si
baciarono senza limiti. Poi, spontaneamente si spogliarono si abbracciarono
pazzamente baciandosi tutto il corpo con desiderio e adorazione. Quando
finalmente lui si accinse a penetrarla, lei cominciò a spasimare e con voce
alterata gli disse:
<<Sei diventato più grosso, più energico>>
<<Dopo l’ibernazione>>rispose lui con voce soffocata<< Il mio corpo,
inspiegabilmente, si è potenziato>>
<<Mi stai dando un grande godimento>>
<<E tu mi inebri con la tua grazia, con la delicatezza dei tuoi occhi di cielo che si
aggiunge al godimento dei sensi. E’ questo un momento memorabile che vorrei
non finisse. Siamo ora una carne sola>>
<<Una carne sola. Lo sento anch’io. Come potrò distaccarmi da te?>>
<<Ricominciamo allora uniti, segui il mio destino>>
Lei fermò il suo movimento d’amore e lo guardò turbata.
<<E qual è il tuo destino? Ritornare in Arizona?>>
<<Andremo dove tu vorrai>>
Seguirono alcuni momenti di silenzio poi lei disse:
<<Ti confesso che sono spaventata>>
<<Capisco. Si tratta di rivoluzionare la tua vita>>
<<Ho bisogno di pensare. Fin dal principio, ogni minuto passato vicino a te è stato
magnifico. Ma ora mi trovo di fronte ad una decisione che mi affascina ma che
mi fa paura>>
Adriano si avvicinò a lei, l’abbracciò, la baciò e poi le disse:
<<Pensaci e poi fammi sapere la tua decisione. Ma se sei impaurita rinuncia. Io
capirò>>
La baciò ancora, poi, insieme, lasciarono quella stanza che era stata testimone
della loro felicità. Scesero al pianterreno e chiamarono un taxi. Con il cuore
contratto, lui l’accompagnò alla vettura e l’aiutò ad entrare. Lei era pallida, seria,
turbata. Lui, con sforzo,le sorrise e la salutò con una mano mentre la vettura si
allontanava.
Trascorsero alcuni giorni, poi lei telefonò:
<<Perdonami, Adriano>>gli disse con voce soffocata<<Ma debbo rinunciare al
nostro progetto perché rivoluzionerei la mia casa e farei soffrire i miei genitori
che sono abituati all’ordine e alla correttezza. Poi, mancherei di parola verso
quel giovane e composto ufficiale e, ai loro occhi, diventerei una persona
scorretta e amorale. In sostanza, questa felicità mi verrebbe a costare troppo
cara. Debbo rinunciare, perciò al nostro amore e rassegnarmi ad essere infelice
per il resto della mia vita.>>
Adriano rimase in silenzio per alcuni minuti, poi disse con voce tremante:
<<Per alcuni giorni, ho vissuto nella speranza di esaltare la mia vita e avere
accanto a me un angelo. Ma sarebbe stato troppo bello. Cercherò un'altra strada
ma ti porterò nel cuore con una tremenda ferita.
CAPITOLO QUARTO
Innanzi a lui vi era, ormai, una duplice prospettiva: quella di riprendere la sua vita
nell’ azienda agricola e di ritornare in Arizona con la speranza che un giorno
Helen sarebbe ritornata.
Alla fine, decise di ripartire. Prenotò una cabina su un transatlantico diretto alle
Americhe, consegnò al suo direttore la gestione dell’azienda con la certezza di
affidarsi ad un galantuomo, e partì per Genova. Appena arrivato, prese alloggio
in un albergo in attesa di partire l’indomani. Sennonché, mentre era immerso in
un vortice di pensieri, sobbalzò allo squillare del telefono. Alzò il ricevitore e
udì con emozione la voce di Monica:
<<Adriano, ho abbandonato tutto. Sto arrivando perché non posso vivere senza di
te. Sei ancora in casa?>>
<<No>> rispose lui con voce tremante<<Sono a Genova per ripartire per le
Americhe>>
<<Mi vuoi con te?>>
<<Sono stordito e felice. Vieni all’albergo Miramare.>>
Al suo arrivo, si abbracciarono e si baciarono freneticamente. Il ricordo di quei
primi baci nel bosco era rimasto incancellabile e aveva incantato il loro cuore e
incatenato le loro vite
Tuttavia, Adriano dovette imporsi di riflettere:
<<Non potremo tornare a Phoenix dove io vivevo perché, dopo il processo al duca
di Guardagna, quella mia residenza è nota ai tuoi genitori. Ed è certo che
manderebbero degli uomini appositamente assoldati per riprenderti. Io mi
fermerei a New york>>
<<Mi rimetto a tutte le tue decisioni>>
Così, fra baci e carezze, giunsero a New York e, tre giorni dopo, si sistemarono in
periferia, in un piccolo paese chiamato Pocantico hill, nella valle del fiume
Hudson. Speravano di occultarsi in quella località e, per vari mesi, la loro vita
trascorse in piena tranquillità, sostenuta da un amore che li univa teneramente e
che evitava qualsiasi dissidio fra loro. Avevano entrambi un carattere docile,
arrendevole, desideroso di evitare fra loro qualsiasi controversia. Lei badava alla
casa e lui aveva trovato un lavoro di controllo presso una ditta di trasporti.
Inoltre, col danaro fornitogli alla partenza dal direttore della sua azienda
agricola, Adriano aveva comprato un auto che consentiva loro di fare gite nei
dintorni. Così, visitarono diversi villaggi disposti lungo il corso dell’Hudson.
Ma un giorno festivo, bussarono alla porta. Adriano andò ad aprire e si trovò di
fronte un uomo alto e torvo che gli si lanciò contro e lo trafisse al torace con un
affilato coltello. Monica cominciò ad urlare ma quell’aggressore l’aggredì e, con
l’aiuto di altri due uomini sopraggiunti, le legò le mani e la portò di peso fuori
dalla casa. Lei continuava a gridare e dimenarsi e piangeva con disperazione
guardando Adriano disteso per terra.
Ma quegli uomini la deposero sul sedile posteriore di un’auto in attesa, salirono a
loro volta e partirono.
A questo punto, io autore chiedo al lettore di stendere sul racconto un grande
silenzio. La bontà, la rettitudine, l’amore verso i fratelli sono stati sopraffatti
dalla malvagità, dall’ egoismo. La scena del mondo e del prossimo appare
oscurata dal male, l’aspirazione al bene e alla pace calpestati.
Con il cuore dolente, mi accingo a proseguire questo scabroso racconto.
Una donna, passando, scorse attraverso la porta rimasta aperta il corpo di Adriano
e dette l’allarme. Il poveretto venne trasportato nel maggiore ospedale di Staten
Island dove gli riscontrarono una lunga ferita al polmone che sfiorava il cuore.
Aveva perso molto sangue e rischiava di morire. Perciò fu sottoposto alle cure
d’urgenza e poi trasferito in un centro cardiologico di New York. Vi rimase sette
mesi e fu trattato con affettuosa premura soprattutto da una giovane dottoressa
che provava per lui una particolare attrazione.
Quando fu dimesso, nel maggio, provò una sensazione di smarrimento: non
sapeva dove andare, se ritornare alla sua azienda, se andare a vendicarsi o se
ritornare in Arizona. Dopo giorni di inerzia, decise di ritornare nel mondo
dell’ibernazione dove aveva acquistato amicizie e professionalità
Nel frattempo, Monica era stata trasferita in aereo in Italia e condotta a casa sua
sotto gli occhi soddisfatti del padre e quelli dolenti della madre. Ma, con loro
amara sorpresa, lei non li riconobbe, i suoi occhi vagavano nel vuoto e
pronunciava parole sconnesse. Furono chiamati dei medici i quali
diagnosticarono una manifestazione di pazzia. Per questo, venne disposto il suo
trasferimento in un ospedale psichiatrico mentre la madre si scagliava urlando
contro il marito, l’ideatore dell’agguato.
CAPITOLO QUINTO
Adriano ritornò così nell’Alcor Life Extension” dove fu accolto affettuosamente
da tutto il personale. Si rimise al lavoro ma la sua salute era sofferente. Oltre alle
trafitture che provava nel costato, la situazione del suo corpo non gli dava pace
fin dall’inizio: una forma di insofferenza e la sensazione che andava
modificandosi. Aveva provato a misurarsi la statura ed aveva constatato di
essere cresciuto di due centimetri. Ne parlò con la vice direttrice, la dottoressa
che sostituiva Helen in questa sua lunga assenza. Il suo nome era Elisabetta
Conforti, aveva 48 anni ed era una delle fondatrici, nel 1972, della “Alcor life
Exstension”. In questa iniziativa, aveva seguito e collaborato col defunto marito,
un docente studioso della scienza dell’ ibernazione. Elisabetta era abbastanza
alta, con i capelli raccolti sulla nuca e sostituiva efficacemente Helen anche se
non aveva la sua carica di vitalità, né la sua bellezza. In compenso era calma e
equilibrata e desiderosa di approfondire quella materia ancora sospesa fra realtà
e speranza. Nutriva ancora seri dubbi sulla possibilità di resuscitare una persona
ibernata perché su quei tentativi gravavano i misteri ancora irrisolti della scienza
ed il mistero della Creazione, fra il funzionamento dei nostri innumerevoli
organi interni, dei molti organismi e il loro decadimento dopo la morte. Il suo
dubbio maggiore era che, nonostante la bassissima temperatura, i vasi, le arterie,
gli organismi ritrovassero la loro funzionalità, anche dopo la restaurazione
dell’organo che, cessando di funzionare, aveva provocato la morte. Ad esempio,
se per un deceduto da infarto cardiaco e ibernato, la sostituzione del cuore
riuscirebbe a rimettere in funzione tutti gli altri organi. Il caso di Adriano era
diverso, perchè lui era rimasto vivo e tutti i suoi organi avevano mantenuto
anche una pur minima funzionalità.
Elisabetta aveva molta simpatia per Adriano anzitutto perché era bello e ben fatto
ed anche perché era sempre calmo, amabile e disponibile. Per lei, era un
collaboratore ideale e, quando suo marito era morto per un tumore allo stomaco,
lei si sentì sostenuta e confortata da Adriano al punto di abbandonarsi e
stringersi a lui con abbracci straripanti di affetto. Lui l’aiutò in tutte le
incombenze funerarie e, nel pomeriggio, stava seduto insieme a lei su un divano
tenendola abbracciata.
Lei, per riconoscenza, lo abbracciava a sua volta e, di tanto in tanto, lo baciava
sulla guancia. Era evidente che fra i due si era instaurata una complicità piena di
affetto. Adriano, intanto continuava collaborare alle ricerche dei dottori
dell’istituto, rivolte a stabilire le conseguenze di una lunga immersione sull’
organismo. Evidentemente, come nel suo caso, le cellule avevano subito una
graduale modifica che richiedeva ininterrotti studi.
Lui continuava a frequentare la dott. Elisabetta e con lei consumava la colazione
nel refettorio dell'istituto. Un giorno lei gli chiese:
<<Adriano, dove abiti?>>
<<In un piccolo appartamento nella zona>>
<<Ma sei solo oppure hai una compagna?>>
<<Avevo un'affettuosa amicizia con la dottoressa Helen. Ma, dopo la sua partenza
per l'Australia, non ci siamo più visti e, gradualmente, la frequenza delle nostre
telefonate è andata diminuendo>>
<<Ma eravate amanti?>>
<<Si, avevamo rapporti intimi ma sopratutto, lei era la mia protettrice e mi aveva
assicurato un posto di lavoro qui da noi>>
<<Adesso, vivi solo?>>
<<Si, ho preso in affitto un appartamento di due stanze nelle vicinanze del museo
della scienza e della tecnica, fra la quinta e la settima strada. Una donna viene
giornalmente a fare le pulizie. È poiché consumo i pasti alla grande mensa del
nostro istituto, risiedo in casa soltanto nelle ore della sera fino al mattino
successivo>>
<<Io abito invece nella 7^ Avenue, al 5 piano di un palazzo che ha al pianterreno
un centro commerciale. È un appartamento elegante e spazioso che ho ereditato
da mio padre. Dovresti venire a vederlo. Anzi, poiché sei solo , perché non vieni
a vivere con me? Anch'io sono sola. Potremmo farci compagnia>>
Adriano, rimase sorpreso. Andare ad abitare con lei comportava certo l'inizio di
una relazione amorosa. Pensò perciò a Helen. Fra loro vi era stato tanto amore
ma, nell'anno trascorso della sua partenza, le sue telefonate erano andate sempre
più diradandosi e, gradualmente, lei aveva cessato di chiamarlo amore.
Dolorosamente, lui si era accorto di quel progressivo allontanamento ma non le
aveva chiesto spiegazioni. Provava per lei amore, adorazione, riconoscenza ma
si rendeva conto che, nel nuovo mondo in cui si era trapiantata, bella e vistosa
com'era, non poteva essere rimasta immune da passioni amorose. Già prima
della sua partenza, si era reso conto che, prima o poi, l'avrebbe perduta. Nella
solitudine della sua casa, fatalmente, la previsione della sua perdita aveva reso
tormentose le sue notti. E, intanto, Elisabetta attendeva una risposta.
Adriano ammirava la sua compostezza, la sua serietà ma non ne era innamorato
anche perché la sua maggiore età aveva fatto sparire in parte le sue attrattive
femminili. Nell'incertezza, trovò una scusa:
<<Sarò felicissimo di venire. Ma concedimi qualche giorno perché debbo parlare
col padrone dell'appartamento col quale ho un contratto di affitto.>>
Elisabetta rimase silenziosa. Si attendeva una risposta entusiastica. Comunque, si
impose un contegno e disse:
<<Fai pure>>
Adriano era imbarazzatissimo. Ma la sorte gli venne incontro. Il giorno dopo
ricevette una telefonata proprio da Helen che gli disse:
<<Il mio ritorno ritarderà per il tempo che mi occorre ancora per avviare il nuovo
stabilimento. Qui questa materia è quasi sconosciuta ed è arduo trovare dei
direttori che possano impostare un piano di studi e di ricerche. Ti ricordo con
l'attaccamento di sempre ma tu puoi capire che non potevo vivere sola in questa
città sconosciuta. Perciò, ho allacciato una relazione con un industriale che ho
incontrato durante un ricevimento. Spero mi comprenderai e mi perdonerai. Ti
bacio.>>
L'aveva perduta. E sebbene fosse preparato, non poté fare a meno di abbandonarsi
ad un pianto dirotto che si protrasse ad intervalli fra una veglia agitata e pesanti
dormiveglia. La mattina dopo, in ufficio, si recò da Elisabetta e le disse:
<<Ho concordato col proprietario la disdetta del mio appartamento. Posso quindi,
con gioia, venire da te purché tu mi consenta di partecipare alle spese.>>
Elisabetta sorrise, andò verso di lui e l'abbracciò:
<<Sia tu il benvenuto non soltanto nella mia casa e nella mia solitudine ma anche
nel mio cuore>>
Così, nel pomeriggio, Adriano giunse con una valigia nella bella e spaziosa casa
di Elisabetta. Lei lo accolse con occhi pieni di lacrime:
<<Perché?>>Chiese lui dolcemente
<<Perché tu vieni a cambiare la mia vita. Dimentichiamo l'ufficio. Io qui sarò la
tua schiava. So che sei un uomo sensibile. Accetta quindi non soltanto la mia
ospitalità ma il mio cuore, anche se sono più anziana di te. Non farmi soffrire,
sarai il mio signore ed io la tua serva>>
<<No, non dire queste parole perché io vengo qui umilmente secondo il mio
carattere, per essere il tuo compagno, il tuo aiuto, il tuo sostegno, per vivere
nella concordia, nell'amore e nella pace.>>
Si abbracciarono strettamente e lui senti in quel momento che, forse anche a causa
della sua maggiore età e della sua maturità, lei gli avrebbe offerto di più di
Monica e di Helen. E lui le avrebbe dato una tenerezza non soltanto carnale ma
anche aderente al suo cuore. La sera, andarono nella camera da letto e, ciascuno
per suo conto, nel proprio lato, si spogliò. Poi, prima di coricarsi, lui andò verso
di lei e si trovarono di fronte:
<<Non ti nascondo che sono emozionata forse, quando mi toglierò la camicia da
notte, rimarrai deluso>>
<<Quando ti toglierai la camicia, sarai la mia donna>>
Lei non disse altro e si sfilò quell'indumento. Così, rimase completamente nuda di
fronte a lui. Certo, la sua carnagione non era più rigida, tesa, lucida come una
ventenne ma non aveva peraltro pieghe e afflosciamenti. I seni erano ancora
gonfi, con un capezzolo lungo e teso.
<<Sei molto bella e desiderabile. Faremo all'amore ogni notte e rifiorirai.>>
E nel dire quelle parole, si spogliò a sua volta. Elisabetta vide un corpo statuario e
imponente che avanzò di alcuni passi, la strinse fra le sue braccia e poi si
precipitò con lei sul letto.
Elisabetta, che aveva avuto un marito anziano, sentì tutta la forza di quel nuovo
compagno. Lui le baciò a lungo la bocca, poi il collo ed i seni suggendo i fiori
delle sue mammelle e facendola spasimare, poi fu infaticabile nel baciarle il
resto del corpo. Giunse infine al momento sacrale della loro congiunzione in un
corpo solo. E lei, nel subire quell'imponente introduzione, emise una serie di
grida di dolore e di piacere.
Fu una notte di rinascita per entrambi, l'inizio di una vita nuova. I loro caratteri
erano combacianti e lei aderiva sempre alle richieste proposte che Adriano le
indirizzava.
Lavoravano 8 ore al giorno, poi rimanevano in casa abbracciati su un divano.
Altre sere uscivano per andare al teatro oppure in un locale notturno. Trascorsero
alcuni mesi e, in quel l'arco di tempo, non vi fu mai alcun dissidio o discussione
perché lui era sempre garbato e delicato e lei aderente ad ogni sua richiesta.
Nel frattempo, seppero che il duca era stato condannato a tre anni di detenzione
ma non era mai andato in prigione perché aveva fruito del domicilio coatto.
Adriano seppe anche che Monica si era sposata e aveva seguito il marito, ufficiale
dell' esercito dislocato in Africa. Helen conviveva col nuovo compagno e
talvolta lo seguiva in qualche viaggio. Si era giunti all'anno 2030. Adriano ed
Elisabetta vivevano insieme ormai, felici, da due anni. Sembrava che il destino
o, forse meglio, la Divina
Provvidenza, avesse disteso su di loro un manto di benessere e di fortuna. Ma la
vita non si smentisce mai.
Le nostre fortune, i momenti di felicità e di fortuna sono prima o poi sopraffatti da
eventi amari e deludenti.
Una sera, infatti, Elisabetta ritornò a casa estremamente turbata e disse all'adorato
Adriano che non stava bene e andava a stendersi sul letto. Preoccupato, lui si
astenne dal cenare. Andò verso di lei che piangeva e si voltava e rivoltava
continuamente.
<<Puoi dirmi dove soffri? È una sofferenza fisica che richiede un medico, oppure
è una brutta notizia?>>
Poco dopo, lei gli rispose:
<<Si, è necessario che io mi sfoghi. Ma preparati a quello che ti dirò, perché
turberà la nostra vita e la felicità che il cielo ci ha donato finora>>
<<Cosa è successo?>>
<<Venti anni fa, ero una giovane impiegata in uno stabilimento industriale. Uno
dei dirigenti mi adocchiò e mi invitò alla cena che prevede solitamente il letto.
Quell'uomo era piuttosto burbero e di modi scostanti anche se con me esibiva un
affettata cortesia. La verità è che mi voleva portare a letto e, quando mi invitò in
camera sua, io non ebbi la forza di carattere di rifiutare. Subii passivamente
quella notte e a lui piacqui. Così, chiese di dormire ancora con me. Poi,
addirittura mi rivolse la richiesta strabiliante di sposarlo. Io, che vivevo con una
zia tirchia e collerica, non seppi trovare una scusa e non riuscì a rifiutare. Così,
due mesi dopo, ci sposammo ma non vi era tenerezza ed educazione da parte
sua. Mi sentivo la sua serva, la femmina per il letto. E, in ogni occasione, il suo
comportamento per me era privo di ogni delicatezza. Finché, un giorno, mi disse
che, per ordine dei suoi superiori, doveva intraprendere una serie di viaggi.
Eravamo nel 2032. Si degnò di darmi un rapido bacio e poi sparì e non mi dette
più alcuna sua notizia. Sono passati 6 anni da allora ed io mi sono sentita libera
da ogni impegno. Denunciai alla polizia questa sua scomparsa e fui consigliata
di farla ufficializzare dall' autorità giudiziaria. Così, mi sentii libera e poiché
avevo terminato i miei studi, riuscì ad essere assunta dall'Alcor per il suo nuovo
incarico. Inizialmente, quel lavoro mi era odioso ma gradualmente cominciai ad
appassionarmi e riuscì a capire il suo vero scopo scientifico. Ero sola ma libera e
in casa non mi sentivo più una serva. Ricordo con un brivido di rabbia la parte
della mia vita spesa per quell'uomo inqualificabile e mi sentivo ormai una
docente. Ma, poi, anni dopo, giungesti tu. Era il novembre del 2020>>
Adriano l'aveva ascoltata esterrefatto e con voce smorta le disse:
<<Perché me ne parli soltanto adesso?>>
<<Perché vivo di paura e anche perché mi sono resa conto che sono stata sleale
con te. Avrei dovuto parlartene all’ inizio della nostra relazione>>
<<Infatti, avresti dovuto dirmi tutto prima di iniziare la nostra convivenza. Ora, la
nostra situazione è irregolare, non solo, ma da un momento all'altro, questo
energumeno potrebbe piombarti addosso e pretendere i suoi diritti. Lui è pur
sempre legato a te da un matrimonio e la vertenza che deriverebbe da un suo
eventuale ritorno, sarebbe un pasticcio. Il nostro momento di felicità è finito e
d'ora in poi dovremo vivere nella paura.>>
Lei rimase vicina a lui in silenzio, poi si alzò e si allontanò verso la camera da
letto. Adriano la raggiunse poco dopo e s'accorse che piangeva.
<<Ormai, piangere non serve>>disse. L'abbracciò e la baciò. Poi, aggiunse:
<<Proseguiamo la nostra vita e teniamoci pronti a ogni sorpresa>>
Trascorsero tre mesi in cui convissero serenamente. Ma, inesorabilmente, vi erano
avvenimenti che si svolgevano a loro insaputa e che un giorno piombarono loro
addosso. Mentre era al lavoro nello stabilimento, Elisabetta ricevette una
raccomandata dal Brasile che le provocò pianto e batticuore. Si chiuse nel suo
ufficio e cominciò a concentrarsi con disperazione: in quella lettera, suo marito
le scriveva che aveva trascorso 4 anni in una prigione brasiliana ma che ora
aveva scontato la sua pena e sarebbe tornato a casa.
<<Fin dal principio>>disse Adriano quando Elisabetta, con gli occhi colmi di
lacrime, gli riferì il contenuto di quella lettera
<<Ho avuto la sensazione che quell'uomo fosse un delinquente. E, infatti, i 4 anni
di galera lo confermano. Ti conviene domani prendere contatto con l'avvocato e
iniziare una pratica di divorzio. Io ti accompagnerò. Ma non basta: tu non puoi
rimanere in questa casa. Dobbiamo chiuderla e trasferirci altrove >>
<<Ma neanche questo basterà. Lui verrà a trovarmi nel mio posto di lavoro>>
Avevano appena finito di parlare quando giunse un inserviente dell'istituto per
riferire che suo marito si trovava già a Phoenix e si era fatto trasferire in
ospedale per forti dolori al petto.Lei chiese il nome dell’ospedale e si rese conto
che era vicino all'istituto "Alcor".
<<Spero che non sia un trucco>>disse Adriano<<Andiamo insieme.>>
Si recarono nell'ospedale che era stato loro indicato. Venne poco dopo un medico
il quale disse:
<<Suo marito soffre da tempo di un tumore al polmone. Per queste ragioni, è stato
dimesso dal carcere e trasportato in ospedale con un aereo. Aveva il suo
indirizzo, signora, e ora spera di vederla >>
Adriano temeva si trattasse di una simulazione. Tuttavia, le disse: <<Questo è
proprio un colpo di fulmine. Vai pure a visitarlo. Io ti aspetto qui nella sala
d'aspetto.>>
Si sentivano entrambi molto emozionati ma Adriano era anche sospettoso. Dopo
mezz'ora, Elisabetta uscì dalla stanza e si accasciò su una panchina della sala
d'attesa. Nel pomeriggio, ritornò a visitarlo e la sera abbracciò Adriano ma
subito dopo si gettò sul letto. Quando lui la raggiunse, le chiese:
<<Tu detestavi quest'uomo. Come mai, ora, sei così addolorata?>>
<<Al rientro, e' stato molto affettuoso con me e mi ha ripetutamente chiesto
perdono. Sono sconvolta>>
<<Io, da parte mia, sono sorpreso. Tu detestavi e disprezzavi quest'uomo. Adesso,
lo curi con affetto e premura>>
<<Mi ha chiesto perdono ripetutamente e mi ha detto parole che mi hanno
commosso>>
Adriano era sorpreso di quel cambiamento e intimamente irritato. I suoi rapporti
con lei erano rimasti affettuosi ma non più con l'ardore di un tempo. Fini col
convincersi che lei gli aveva in parte mentito quando aveva disprezzato il
comportamento brutale di quell'uomo. Forse, un tempo aveva subito la sua
mancanza di affetto e di buone maniere soffrendo intimamente, ma in effetti gli
voleva bene o addirittura lo amava.
Poi, conversando con la donna di servizio seppe casualmente che, durante la sua
prigionia, i due si erano scambiati una saltuaria corrispondenza. Quindi, perché
voleva bene a quell'uomo o addirittura lo amava, lei non gli aveva detto la verità.
Adriano non apri bocca ma i suoi sentimenti per lei ne risentirono. Come se ciò
non bastasse, una settimana dopo, Elisabetta fece installare nella camera del
malato un altro letto per dormire con lui e assisterlo in ogni suo bisogno. In
conseguenza, Adriano rimase solo in casa. Amareggiato, sistemò la sua valigia,
e, a metà' del pomeriggio, telefonò a Elisabetta per dirle che lasciava la casa. Lei
sobbalzò, lo pregò di rimanere ma lui rispose che la situazione era diventata tale
da rendere necessaria quella partenza. Elisabetta non reagì con durezza ma con
voce di pianto e lui la rassicurò. Le voleva bene e avrebbe atteso che quella
situazione si normalizzasse.
Così, ora, al termine del lavoro, la vita di Adriano affondava nella solitudine. Un
pomeriggio, passando dinanzi ad una chiesa, istintivamente vi entrò. Vi era un
silenzio profondo che lo indusse ad una lunga riflessione dolorosa. Rievocò le
vicende della sua vita e, pensando, sentii sgorgare abbondanti lacrime. Aveva
amato Monica, Helen ed Elisabetta, forse era stato da loro riamato, ma ora
affondava nel silenzio, nella solitudine. Era sotto un quadro della Santa Vergine
Maria, circondato da lampade. E alzando gli occhi, sentì il cuore sussultare:
dagli occhi della Vergine sporgevano delle lacrime. Una cadde sulla sua mano.
Quel contatto provocò in lui una sensazione profonda che gli fece perdere i
sensi. Ma nessuno se ne accorse perché era su un altare appartato. Perciò,
rinvenne con una profonda gioia, guardò ancora in alto, ripeté una preghiera, e
barcollando, uscì dalla chiesa. A casa, si distese sul letto contorcendosi al
pensiero di quella divina manifestazione.
Trascorsero alcuni giorni, poi un fulmine cadde sulla sua vita. Un messaggio
proveniente dall’Australia recava una notizia terribile. La macchina che,
trasportava Helen ed il suo compagno, di ritorno da un ricevimento, per scansare
un autobus che proveniva nel senso inverso, era uscita di strada precipitando nel
vuoto. I soccorsi erano stati immediati ed i due passeggeri trasportati
immediatamente nel vicino ospedale.
Purtroppo, il compagno di Helen era morto, lei era moribonda. Adriano partì
immediatamente e arrivò con la speranza di un miracolo. Ma si trovò di fronte ad
una tragedia. Il cuore di Helen era lesionato e la sua morte appariva
irrimediabile. Allora, Adriano chiamò il capo chirurgo e gli disse:
<<Questo é un caso che riguarda proprio il nostro istituto. Ve la sentite,
professore, di estrarmi il cuore e trapiantarlo nel petto di Helen per consentirle di
vivere. Se non mi sbaglio, é una nostra delle ipotesi terapeutiche.>>
Il medico chirurgo lo guardò con gli occhi sbarrati.
<<E' un operazione fattibile ma per voi significa la morte>>
<<Ho molto amato questa donna. Se per lei é possibile sopravvivere, vi prego,
professore, non perdete altro tempo, trapiantate in lei il mio cuore>>
<<E sia. Firmatemi una dichiarazione e poi procederemo>>
Adriano firmò la sua disponibilità per quell’intervento. Il medico lo abbracciò e
poi lo invitò a passare in sala operatoria.
<<Addio Adriano>>gli disse con voce rotta e gli praticò una anestesia, quindi, con
i suoi assistenti recise una parte delle sue arterie cardiache e le saldò al cuore di
Helen che, nel frattempo, era stata trasportata accanto alla lettiga di Adriano in
sala operatoria. Così, gradualmente, i vasi e le arterie furono collegate al cuore
della donna e staccate da quello di Adriano. Seguirono ulteriori trapassi del
circolo sanguigno dall'uomo alla donna e mentre lui moriva lei aveva ora un
cuore funzionante.
Era stata una operazione difficilissima, complicata e di lunga durata. I medici
erano stremati e speravano che quel trapasso del cuore da un corpo all'altro
facesse vivere Helen. Adriano venne immerso in una bara a - 195 gradi, così
come era arrivato alcuni anni prima. Helen era collegata al quadro elettrico che,
nei suoi vari elettrodi, registrava in lei il graduale ritorno della vita. Mentre
quella magnifica donna riprendeva stentatamente il suo cammino, Adriano
viveva invece ormai solo nello spirito il ricordo del travagliato percorso della
sua vita. Si era distaccato ormai dalla sua tormentosa vicenda terrena ed aveva
intrapreso con gioiosa aspettativa un viaggio colmo di luminose attese. Si, nella
luce, stava elevandosi verso un'immensa distesa azzurra che lo avvicinava alla
pace, alla gioia e ad un’ immensa e prodiga divinità.
Dopo quella terribile operazione, la vita di Helen riprese lentamente: dopo una
lunga convalescenza, ritornò al suo lavoro, ma sentiva di non essere più la
stessa. La sua esuberanza, la sua vitalità, la sua forza di carattere, avevano subito
una perdita di energia. E così pure il suo entusiasmo. Anche a causa dell’
ambiente, meno ottimistico australiano, cominciò a dubitare delle possibilità di
successo dell’ ibernazione come scienza rivoluzionaria della sopravvivenza
umana.
Ora, viveva col cuore di Adriano e doveva convincersi che aveva in parte acquisito
i suoi sentimenti, la sua sensibilità. Era perciò, in parte, smarrita.
Una notte d’estate, si sedette su una panchina del giardino, attorniata dal fruscio
delle foglie. All’improvviso, ebbe la percezione di una presenza accanto a lei.
Cominciò a tremare e poi il tremito si tramutò in pianto. Alzò gli occhi verso il
cielo incredibilmente affollato di stelle e invocò:
<<Adriano, dove sei?>>.
Vi era un gran silenzio intorno a lei, rotto soltanto dallo stormire carezzevole delle
foglie. Chinò il capo sul petto e un pensiero venne a rasserenarla. No, non era
sola.
Fine