- Domenico Paladino
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Nico Paladino L’uomo venuto dall’Abisso Romanzo CAPITOLO PRIMO Una notte di novembre del 2020, mentre infuriava un violento temporale, un furgone uscì dal portone del castello di Ussel, che sorgeva in prossimità di Chatillon, piccolo centro industriale della Valle d’Aosta. All’interno dell’automezzo, che aveva le pareti completamente chiuse, vi erano, oltre all’autista, tre uomini seduti che vegliavano un altro uomo abbastanza giovane, il quale era imbavagliato e aveva le mani ed i piedi legati. Il furgone procedeva a velocità moderata per la limitata visibilità e per la tortuosità della strada. Perciò, arrivò a Torino sul finir della notte e si diresse verso l’aeroporto. Entrò in un capannone e si accostò ad un quadrimotore che era fermo in attesa. Gli uomini dell’automezzo aprirono il furgone e estrassero la barella sulla quale era disteso un giovane legato che mugolava e si dimenava. Nel frattempo, era stato aperto il portellone posteriore dell’aereo e gli uomini del furgone, ad eccezione dell’autista, vi trasportarono la barella con l’uomo legato. Subito dopo, il portellone fu chiuso e, nel contempo, il furgone si mise in moto, si allontanò dall’aereo, uscì dall’aeroporto e si avviò sulla strada del ritorno al castello. Intanto, la pioggia era diminuita e al sorgere dell’alba cominciava a diffondersi un pallido chiarore sul panorama circostante. Il castello di Ussel, a pianta rettangolare, aveva una mole imponente con finestre limate a torricelle. Si ergeva su un’ altura rocciosa dominante la conca del fiume Dora fra Chatillon e Saint-Vincent. Costruito nel 1350 da Ebalo di Challant, costituiva un tipo di transizione fra il castello fortezza e il castello abitazione signorile. Gli ambienti erano distribuiti su tre piani ai quali si accedeva con una scala a chiocciola. I muri interni erano ornati da rozzi affreschi. All’esterno, una rudimentale strada di circa 9 chilometri consentiva di raggiungere Bellecombe, località circondata da castagneti. Il castello apparteneva al duca Ulderico di Garbagna, già alto ufficiale di cavalleria, che aveva combattuto col grado di colonnello in Afganistan. Sennonché, nel maggio 2012, mentre si trovava a bordo di un mezzo corazzato, era saltato in aria su una mina riportando fratture multiple. Dopo un periodo di permanenza in ospedale e in istituti di riabilitazione, era stato dichiarato inabile al servizio e collocato in congedo all’età di 49 anni. Si era, in conseguenza, ritirato nel suo castello dedicandosi all’amministrazione dei propri beni agrari. Viaggiava di tanto in tanto e si incontrava talvolta col Visconte Emanuele Degli Uberti, discendente della famiglia reale dei Valois, il quale abitava in un palazzo ottocentesco nei dintorni di Parigi, a non molta distanza dal corso della Senna. Nelle sue visite, il duca dedicava molta attenzione alla figlia del visconte, Monica. Era, infatti, una giovane che attirava subito l’attenzione degli uomini. Appariva alta, slanciata, ben formata e il suo viso aveva una bellezza delicata. I capelli biondi e ondulati le scendevano armoniosamente sulle spalle. Quando camminava per le strade, accendeva avidi occhi maschili per il suo sguardo di smeraldo, per la linea perfetta delle gambe e la flessuosità della figura. La sua bellezza, visibile per la strada e nei ricevimenti, aveva acceso molti amori ma la vigilanza dei suoi genitori non le aveva consentito incontri e avventure amorose non adeguate. Sebbene i suoi sensi pulsassero, era stata costretta a dedicarsi allo studio e alla musica. Fu iscritta alla facoltà di legge, alla quale si recava accompagnata da una domestica, e iniziò lezioni di piano. Tuttavia, per il suo carattere esuberante e solare, mal sopportava quell’ eccessiva vigilanza. Sennonché, un giorno venne a fare visita al padre il suo compagno d’armi, il duca Ulderico di Garbagna, il quale confessò all’amico che, fin da quando l’aveva conosciuta, si era innamorato di Monica e desiderava sposarla. Per la grande differenza d’età, Monica oppose resistenza anche perché quell’uomo piuttosto autoritario non le piaceva. Ma i genitori furono inflessibili. Lei poteva fuggire ma non aveva mezzi né molti gioielli e non ebbe il coraggio di affrontare l’avventura. Così non le rimase che aderire e, dopo una sontuosa cerimonia, dovette sopportare un odiosa notte di nozze che le presentò l’aspetto più sgradevole dell’amore. Seguì una vita matrimoniale tediosa, alleviata soltanto dall’ispezione delle sue coltivazioni che il generale compiva su una carrozza guidata da un suo uomo. Monica approfittava di quelle assenze per compiere delle cavalcate a cavallo allo scopo di conoscere le proprietà del marito ma soprattutto per ristorarsi nel contatto con la natura. Il suo obbiettivo preferito era un bosco di querce dove le sembrava di sperdersi in un mondo nuovo, misterioso, in cui predominava il silenzio. Era quello per lei un luogo di liberazione. Smontava e si distendeva sui cespugli guardando i frammenti di cielo che si intravedevano fra il fitto fogliame. Un giorno si assopì e, quando si svegliò di soprassalto a causa di un frusciare del fogliame sospinto dal vento, sobbalzò. Sopra di lei, vi era un giovane che la stava osservando. Lei spalancò gli occhi come rapita da un’ allucinazione e quella figura maschile, che mostrava fra stupore e ammirazione, si chinò su di lei e la baciò sulla bocca. Lei non reagì perché non riusciva ancora a rendersi conto se stava sognando o vivendo una splendida realtà. Rimase con gli occhi spalancati e quell’uomo la baciò ancora. Infine, lei cercò di uscire da quello stato sospeso fra sogno e realtà. Perciò, gli disse quasi balbettando: <<Siete vero o un’apparizione?>> <<Sono vero e voi siete bellissima>> <<Ma sono anche una donna sposata. Vi prego, aiutatemi ad alzarmi.>> Il giovane si chinò su di lei e la sollevò agevolmente. Ma poi la trattenne fra le braccia. <<Il vostro abbraccio è piacevole ma io debbo andare>> <<Ditemi che ritornerete>> <<Accompagnatemi al cavallo e intanto ditemi chi siete>> <<Mi chiamo Adriano Lanfranchi e posseggo una proprietà agricola a poca distanza. Quando vi ho visto distesa, ho creduto di essere entrato in un sogno. Vi ho baciata e il mio cuore palpita ancora. Non è casuale quello che ci è accaduto ma un segno del destino. La morbidezza delle vostre labbra e, la luminosità dei vostri occhi, mi hanno incatenato a voi>> <<Anch’io ho vibrato. E vi bacerei ancora. Ma ho un marito che mi aspetta>> <<Oh no! Ecco un segno del destino che ci incatena. Ma non possiamo lasciar passare questo momento fatale. Ditemi che ritornerete.>> <<Si, anch’io desidero rivedervi>> <<Oh, grazie>>E l’abbracciò strettamente. << Permettetemi prima di andarvene di mostrarvi la mia casa>> Recuperarono i cavalli che li attendevano quietamente ma poi lui l’abbracciò e la baciò ancora. <<Questo è il nostro incantesimo. Non dobbiamo lasciarcelo sfuggire>> <<Mi sembra un sogno. Ma tu non sai quanto sarà amaro il risveglio>> <<Non devi essere più infelice ma pensare che ci rincontreremo ancora e, se vorrai, fuggiremo.>> <<Sarebbe magnifico. Ma ora fermati, non farmi scoppiare il cuore. Portami a vedere la tua casa.>> Percorsero un centinaio di metri e uscirono dal bosco. Di fronte a loro, vi era una larga radura su cui si ergeva una casa di stile ottocentesco che non aveva nulla di campestre ma richiamava lo stile cittadino, con colonne e balconate dell’edilizia moderna. Intorno, vi erano degli ondeggianti cipressi. Entrarono e lei rimase stupita dall’abbondanza di marmi e colonne. <<Ma questa non è una casa di campagna.>> <<E’ vero. Aderendo al desiderio dei miei genitori, dovrò estendere il terreno che circonda la casa, creare un viale e una recinzione signorile>> <<Ma i tuoi genitori dove sono?>> <<Pensa, ancora di mezza età, sono morti in un naufragio. Dopo quel tragico evento, io ho affidato ad un amministratore l’azienda agricola che circonda la casa e, per alleviare il mio dolore, ho cominciato a viaggiare. Sono stato in Africa e nei paesi glaciali. Ho visto luoghi di grande bellezza e incontrato popolazioni molto diverse da noi negli usi e nei costumi. Se il destino ci aiuta, continueremo insieme questi viaggi, sempre che ti siano graditi>> <<Certo! Ti seguirò ovunque>> Un quarto d’ora dopo, si baciarono nuovamente e lei ripartì e, durante il viaggio, il suo cuore batteva tumultuosamente al ricordo di quello straordinario incontro. Nel contempo, l’idea di ritardare al castello e rivedere quell’ anziano e burbero marito aumentava i suoi palpiti. Ma, con sollievo, al rientro, le dissero che il marito si era recato al circolo ufficiali di Chatillon. Telefonò allora ad Adriano e prese con lui un appuntamento fra 2 giorni per non destare sospetti. Trascorse quei 2 giorni palpitando nell’attesa di rivederlo. Era la conferma di un amore fatale perché cosi improvviso e sorprendente. Fu perciò col batticuore che il giorno fissato andò col incontrarlo chiedendosi come mai il destino avesse riservato ad entrambi quell’apparizione così improvvisa, quasi inspiegabile, della felicità. Lui l’attendeva fuori dal terrazzo antistante la scalinata esterna e, da quel momento, procedettero abbracciati baciandosi avidamente. Giunsero in camera da letto, si spogliarono frettolosamente e si gettarono l’uno nelle braccia dell’altro. Erano pazzi d’amore e, quando furono uniti in una carne sola, si rotolarono sul letto fra soffocate invocazioni e grida appena represse di piacere. Fu un impeto di passione sorprendente che fini per esaurirli. Si addormentarono abbracciati e, quando si svegliarono, lei s’accorse che era tardi per il rientro e si rivestì con apprensione. Ma più tardi, in carrozza, un pensiero aggredì la sua mente. Pensò che a quella gioia scatenata e improvvisa avrebbe fatto seguito il dolore. Fu soltanto qualche attimo che bastò per gelare il suo cuore ed era solo l’inizio di un capovolgimento del destino. Giunse infatti al castello notizia che una banda di malfattori si era soffermata nelle vicine campagne depredando alcune famiglie di contadini. In conseguenza, il duca proibì a Monica di uscire fino a quando la banda si sarebbe allontanata. Lei, allora, sull’ansia di rivedere Adriano, lo invitò a recarsi di sera al castello. A quel punto, dovette rivelare il suo segreto alla sua cameriera più fedele che era venuta con lei al castello di Ussel dalla casa paterna in Francia. Con lei ideò di far entrare Adriano da una piccola porta sita sul lato posteriore del castello, ubicata a pianterreno. Ad Adriano indicò come entrare nel giardino e giungere alla piccola porta dove lo avrebbe atteso quella cameriera, che si chiamava Maddalena. Infine, stabilirono che l’ incontro avrebbe avuto luogo fra due giorni, in un pomeriggio in cui il duca giocava a scacchi con alcuni compagni d’armi. Due giorni dopo, Adriano giunse al tramonto nei pressi del castello, lasciò il cavallo a debita distanza e poi, attenendosi alle istruzioni ricevute, entrò nella porticina, accolto dalla cameriera. Insieme, percorsero i corridoi che conducevano alla cappella. Sennonché, una porta si aprì improvvisamente nel corridoio al loro passaggio e ne uscì un uomo alto e robusto nel quale Maddalena riconobbe uno degli uomini di fiducia del duca. <<Chi è questo straniero, Maddalena?>> <<E’ un mio amico che è venuto a farmi visita>> <<Tu sai che il duca esige di essere informato di ogni visita di estranei>> <<Hai ragione, Sebastiano, ma questa è una mia visita intima. Volevo tenerla riservata>> <<Mi spiace per te ma dovrò informare il duca>> <<Va bene, mi giustificherò>> L’uomo, a quel punto, si ritirò e Maddalena proseguì verso la cappella. Monica, che attendeva impaziente, abbracciò spasmodicamente Adriano ma, quando apprese dell’incontro con lo sbirro del duca, si agitò e disse ansiosamente: <<Purtroppo, è andata male Adriano. Ti prego, ritorna subito verso l’uscita.>> Lo baciò con disperazione e lo spinse ad andare insieme a Maddalena. Poi risalì nella sua stanza e si gettò piangendo sul letto. Avvertì con amarezza che il destino, dopo aver esaltato la loro gioia, li spingeva ora verso cadute di imprevedibili sviluppi. <<Il demonio! Il demonio>>gridò<<Ha preso il sopravvento>>. Attese invano il ritorno della sua donna di servizio e comprese disperatamente che era stata trattenuta dagli sbirri del duca. Con un filo di speranza telefonò allora ad Adriano. Ma, dalla sua casa, gli risposero che non era rientrato. Comprese con disperazione che quella breve visita da lei organizzata si era tramutata in una tragedia. CAPITOLO SECONDO Il capo degli sbirri, Marco, si era recato, dopo la cattura di Adriano, a riferire al duca lo sviluppo degli avvertimenti. Gli disse che aveva visto in distanza la domestica Maddalena accompagnare lo straniero nella cappella dove si era incontrato con la duchessa. Ma il loro colloquio era durato soltanto pochi minuti perché, evidentemente, la sua comparsa aveva sconvolto i loro piani. Così, lo straniero, accompagnato da Maddalena, era uscito subito. Ma lui Marco, con altri membri, lo avevano catturato e rinchiuso in una delle antiche prigioni del castello. Poi, aveva costretto la cameriera, sotto tortura, a rivelare che l’uomo aveva incontrato nella cappella la duchessa e che i due si erano baciati. <<Quindi>>concluse il duca<<Aveva una relazione. Torturate l’uomo per sapere questa tresca da quanto dura.>> Il giorno dopo Marco gli riferì: <<Lo straniero risponde al nome di Adriano e abita nelle vicinanze di Chatillon. Sottoposto a tortura per sapere da quanto durava quella relazione l’uomo ha risposto spontaneamente che si erano incontrati soltanto due volte. Sottoposto nuovamente a tortura per sapere se fra loro fossero intercorsi rapporti intimi, si limitò a dire che si erano soltanto abbracciati. Poi, sebbene ancora sotto tortura, si limitò a confermare la sua dichiarazione. E non fu possibile, nonostante la sofferenza, avere di lui altre notizie>>. <<Quindi>>concluse il duca<<Una relazione esisteva e stava sviluppandosi. Ma non voglio uccidere quest’uomo. Non intendo avere sulla coscienza la sua vita. Nel frattempo, mi è venuta un’idea divertente. Datemi due ore di tempo e poi vi fornirò le istruzioni necessarie.>> Due ore dopo, il capo degli sbirri, Marco, ritornò e il duca, che nel frattempo aveva fatto diverse telefonate, gli disse: <<Legate strettamente quello straniero poi sistematelo in un furgone e portatelo all’aeroporto di Torino. Li vi attenderà un quadrimotore che lo trasporterà in America. Due di voi partiranno con lui e lo accompagneranno in un luogo che io ho segnato in questa lettera. Eccovi del denaro che ritengo sufficiente per questa operazione>> Dopo che i suoi collaboratori se ne furono andati, Ulderico si soffermò a pensare agli avvenimenti che avevano capovolto una giornata iniziata serenamente. Ed ora questa novità veniva a sconvolgere la sua vita; si prese la testa fra le mani mentre fuori si era scatenato un violento temporale. Infine, si alzò e salì nella sua camera da letto dove trovò Monica seduta su una sponda del letto col viso contratto. <<Cosa hai fatto di quel giovane che era venuto a salutarmi?>> <<Del tuo amante, vuoi dire?>> <<Non è il mio amante. Ci siamo visti soltanto due volte.>> E mentre pronunciava quelle parole corse verso il marito, seduto sull’altra sponda del letto, gli abbracciò le gambe e lo supplicò: <<Fai di me la tua schiava ma liberalo. Ti giuro che non lo vedrò mai più.>> <<Troppo tardi. Questa notte partirà per le Americhe. Non lo vedrai mai più. Né potrai rimanere qui, con me. Domani, lascia il castello e scegliti un altro destino.>> Monica non immaginava che quell’uomo fosse così crudele e insensibile. Si alzò di scatto e, senza guardarlo, uscì e andò a rifugiarsi in una delle camere degli ospiti. Ma non riuscì a chiudere occhio: insieme, umiliazione, rabbia, dolore si sommarono insieme, facendola rigirare sul letto finché sopravenne un pianto liberatorio che la condusse, dopo ore, ad un sonno di sfinimento. La svegliò la domestica Maddalena. Era in ginocchio vicino al letto e piangeva. <<E’ stata tutta colpa mia, duchessa, ho dovuto dire che voi avete baciato quell’ospite, dopo continue torture. Mi hanno spogliata nuda e mi hanno tormentata per ore finché ho ceduto>> <<Povera Maddalena. Perdonami perché la colpa è soltanto mia. Ora, per favore, aiutami a fare un piccolo bagaglio e poi ordina una macchina perché debbo lasciare per sempre il castello>> <<Oh Dio mio! Che disastro!>> <<Si, la mia vita è precipitata in un baratro. Ora dovrò cercare Adriano. Ma dove?>> <<Calmatevi, non disperate. Questi uomini parlano fra di loro. Spero di carpire qualche notizia.>> <<Grazie, sei per me l’unica speranza.>> E si abbracciarono. Poi, prima di lasciare il castello, Monica le consegnò una consistente somma di risarcimento. Quella stessa mattina, dopo uno scambio di telefonate, Monica fu accolta affettuosamente dalla Madre superiora del convento della Madonna di Fatima, posto alla periferia di Aosta. CAPITOLO TERZO La decisione del duca di trasportare il povero Adriano in America era collegata al suo malvagio proposito di sottoporlo all’ibernazione, cioè alla sottoposizione del suo corpo ad una temperatura di meno 195 gradi centigradi. Questa pratica di dubbio esito era attuata a scopo di studio dalla “Alcorlife Exstension foundation” che aveva sede in Arizona. Un idea pazzesca che probabilmente avrebbe condotto ugualmente alla morte il povero Adriano ma che faceva parte di una corrente di studio medica. All’arrivo del quadrimotore a Phoenix, la capitale dell’Arizona, alcuni incaricati della “A.E.F.” si affrettarono a prelevare la barella su di cui era legato Adriano e lo consegnarono ai medici incaricati di eseguire l’ibernazione. Il povero giovane si dibatteva disperatamente ma era saldamente legato. In quelle condizioni, fu sistemato in una specie di bara. Appena chiusa, da apposite valvole cominciò ad essere emessa un’aria sempre più fredda che abbassò la temperatura della bara a meno 195 gradi centigradi. Soffrendo orribilmente Adriano perse i sensi e giacque in una situazione che era in bilico fra la vita e la morte. Tuttavia, secondo le teorie che riguardano l’ibernazione, quel corpo era in grado, in quelle condizioni, di evitare la perdita irreversibile delle informazioni conservate nel cervello e di preservare le strutture biologiche dalla morte. La sua bara fu sistemata in una grande sala dove erano allineate molte altre analoghe strutture, con pazienti morti e conservati a quella terribile temperatura di meno 195 gradi, con la speranza di un operazione risolutrice e di un risveglio alla vita. Per tutti quelli sventurati, era cioè viva l’attesa della scoperta di cure efficaci, oggi inesistenti, capaci di guarire il male che li aveva portati alla morte. Alcuni mesi dopo il loro arrivo, fu nominato un nuovo direttore che si chiamava Helen Russel. Si trattava di una dottoressa di circa 30 anni che aveva compiuto negli Stati Uniti studi specializzati proprio sull’ibernazione. Era una donna miliardaria, erede di uno dei più grandi petrolieri dell’Arizona, la quale, in seguito alla morte di sua madre per un insidioso tumore, l’aveva fatta ibernare ed ora voleva tentare di farla tornare in vita. Appariva alta, bella, slanciata, statuaria, con capelli rossi di tintura ondulati che le scendevano sulle spalle. laureata in medicina, si era dedicata all’approfondimento del settore che si occupava appunto dell’ibernazione e di tutti i tentativi ad essa relativi effettuati da anni. Già dai primi giorni, dimostrò che la sua competenza era notevole. La sua figura stimolava intensamente il desiderio maschile. Però quando indossava il camice bianco e cominciava a impartire ordini perentori, la splendida donna cedeva il posto alla autoritaria direttrice. Nel quadro dei provvedimenti che impartì fin dall’inizio, il più importante fu il graduale esame delle bare, attraverso una serie di accorgimenti che erano all’avanguardia della medicina e che consentivano l’esame del corpo ibernato e, per ciascun degente, la situazione radioscopica degli organi che avevano provocato la morte e che, appena possibile, avrebbero dovuto essere ripristinati. Man mano che procedeva in quegli esami, Helen si andava rendendo conto dell’ enorme difficoltà che l’ibernazione comportava nel tentativo di riportare in vita, guarita, ogni persona giacente in quelle bare. E sebbene fosse una donna piena di coraggio e di intraprendenza, era oppressa dal dubbio di un generale insuccesso. Si impose perciò di esaminare nel dettaglio ogni caso per ricercare le vie più idonee della cura. Con il suo seguito, giunse infine alla bara che conteneva il corpo di Adriano. Al pari di tutte le altre bare, il coperchio non era in legno ma in cristallo e consentiva la visione completa del corpo ibernato. Helen ebbe un sussulto perché quell’uomo era giovane e bellissimo e gli occhi azzurri socchiusi avevano un’espressione di dolcezza. <<Che malattia ha quest’ uomo?>>chiese d’impulso ai medici che l’accompagnavano. <<Dalla sua cartella risulta che è deceduto per infarto>> <<Il suo aspetto non mi convince. Visitatelo.>> Attraverso uno sportello, il medico più anziano si accinse, anzitutto alla visita cardiaca sobbalzò esclamando: <<Ma quest’uomo è vivo>> <<Avevo avuto questa sensazione>> esclamò Helen e si rivolse al medico che portava il registro dei ricoveri. <<Chi lo ha portato qui?>> <<Due uomini che provenivano dall’Europa>> <<E al momento del ricovero è stato visitato?>> <<Dal registro risulta di si e che vi fu una diagnosi di morte per infarto>> <<E’ improbabile che sia risuscitato. Forse è stato visitato male oppure era vivo e qualcuno voleva disfarsene. Domani, interesserò il capo della polizia di Phoenix per svolgere un indagine. Sono convinta che questo giovane è vittima di una violenza ai suoi danni. Ora, attendo subito la procedura per la graduale normalizzazione della temperatura e per rimetterlo in normali condizioni di vita.>> Helen sembrava presa da una febbre. Voleva recuperare quell’uomo e conoscere il suo mistero. In verità, le procedure per riportare alla normalità un ibernato non erano state ancora sufficientemente approfondite e mai, salvo questo caso, era stato possibile giungere ad un ricupero. Helen andò ogni giorno a visitare lo straniero e notò i suoi sforzi per muoversi e parlare finché ebbe un idea stimolata dalla curiosità e dal desiderio. Dette ordine che lo trasportassero a casa sua dove lo sistemarono al secondo piano in un’elegante mansarda. Lei abitava al primo piano di quello stesso palazzo, costruito decenni addietro nel quadrilatero del centro di Phoenix, fra Madison Street, Buren steet e la 7th Avenue. Realizzato in stile liberty, l’edificio era stato poi circondato da superbi grattacieli. Helen dormiva al primo piano col marito che aveva vent’ anni più di lei e, per il suo lavoro di dirigente industriale, viaggiava in continuazione. Lei quindi godeva di una notevole libertà che implicava nel suo lavoro relazioni sociali ad alto livello e qualche viaggio, in località turistiche in compagnia di qualche giovane amico, in occasione di brevi e spesso insipidi incontri d’amore dopo feste da ballo e in luoghi di villeggiatura Era quindi nel complesso, una donna vulcanica e disinibita, di grande fascino e dal desiderio di godersi la vita negli spazi che il suo impegnativo lavoro le lasciava. Ora, tutta la sua attenzione era dedicata a quel giovane emerso da una situazione mortale. Lo aveva fatto stendere nudo su un letto a due piazze, coperto da un solo lenzuolo e, quando il marito era assente, dormiva con lui e lo copriva di carezze e di baci per osservarne le reazioni. Le parve che, sia pure molto lentamente, riprendesse i movimenti. Perciò, dette ordine che fosse massaggiato in tutto il corpo almeno quattro volte al giorno per riattivare la circolazione del sangue. E quella sua iniziativa ebbe successo perché lo sconosciuto cominciò muovere la testa e le dita delle mani, poi gradualmente, riuscì a stendere le gambe. Helen era al colmo della gioia. Proseguendo con quelle frizioni, pensò, avrebbe riattivato tutta la circolazione corporea. Aumentò il numero dei massaggi e personalmente provvide a stimolare l’organo sessuale. Era felice perché sentiva che quell’ uomo era tutto suo e, un giorno, sarebbe riuscito ad amarla. Intanto, man mano che quei tentativi procedevano, sentiva il suo cuore vibrare per lui. Fin dal primo momento in cui lo aveva visto in quella bara con gli occhi azzurri socchiusi e diretti verso di lei, fin dal quel momento lo aveva amato ed era impaziente che fosse in grado di stringerselo al petto. Ogni giorno, trascorreva alcune ore con lui, che la colmavano di una soffusa ebbrezza. Intanto, l’infermo faceva progressi e un giorno stese un braccio e l’attrasse a se guardandola intensamente e con voce stentata le disse: <<Mio angelo>>. Lei scoppiò a piangere e lo baciò con forza. E, con gioia, sentì che anche lui ora la stava baciando e la guardava con i suoi inconfondibili occhi azzurri anch’essi pieni di lacrime. Un mese dopo, riuscì a dirle il proprio nome: <<Mi chiamo Adriano e vengo dall’Italia.>>Poi, stentamente aggiunse: <<Resta così come sei ora. Il mio angelo.>> Contemporaneamente, Adriano veniva sottoposto a iniezioni rinforzanti. Lei gli fece confezionare dei vestiti e un pomeriggio uscirono insieme in una macchina guidata dal un autista. E mentre il viaggio proseguiva, loro due, abbracciati, si baciavano con gli occhi umidi. Intanto, fuori, la campagna scorreva mostrando un volto dell’Arizona diverso da quello delle grandi città. Il paesaggio, cioè, dei ranch, dei paesini western, dei cavalli e delle mandrie. Arrivarono, infine, in una zona panoramica che consentiva di ammirare le Arcosant Mountaines, a ridosso delle quali si sviluppava un’ antica pista battuta un tempo dalle diligenze. Ritornarono stanchi a tarda sera. Le passeggiate lungo il percorso per guardare da lontano il grand Canyon, Flagstel e altre località, ricche di storia, sembrava avessero rianimato Adriano. Così, nonostante la stanchezza, fecero ugualmente all’amore. Lui si stese sulla schiena e lei gli salì a cavalcioni e si fece a lungo penetrare. E mentre si amavano, si guardarono intensamente. Alla fine, dopo un lungo scambio di baci, lui le disse: <<Ti debbo la vita. Questo mi legherà a te per sempre.>> Ma, nella notte, si svegliò e improvvisamente venne assalito dal ricordo di Monica. Le tenebre del suo cervello andavano evidentemente dissipandosi e, miracolosamente, la sua memoria ritornava col suo carico di travagli. Così, dolorosamente, il dolce viso di Monica, le sue amorevoli parole, il ricordo di quel suo delicato amore, gli provocarono una sensazione di angoscia. Si sentì come un uomo diviso a metà Qualche giorno dopo, Helen, nella sua qualità di direttrice della fondazione “Alcor Life Exthension” spedì al capo della magistratura della città un rapporto sulla forzata ibernazione di Adriano da parte del duca Ulderigo di Guardagna, residente in Italia, e di due suoi uomini che avevano trovato la complicità di due infermieri dell’istituto Alcor. Nei due giorni seguenti, i due infermieri furono tratti in arresto. Il procuratore di Phoenix provvide inoltre, tramite internet, ad informare la magistratura italiana per i suoi interventi di competenza nei riguardi del duca di Guardagna. Qualche giorno dopo, Helen, disse ad Adriano: <<Io sto provvedendo a tutte le tue necessità: ti ho comprato vestiti, biancheria, scarpe. Ma tu non ricordi chi eri al tuo paese, se hai in quel posto un lavoro, delle disponibilità finanziarie, una donna?>> <<Ricordo una palazzina in una zona campestre, delle coltivazioni. Mi sforzo di ricordare quale sia la mia banca per farmi inviare del denaro>> <<Se ti riesce di recuperare questi ricordi, potresti ritornare nel luogo dove vivevi e dove forse avevi una famiglia>> <<Spero, con le cure che tu mi fai praticare, di ricordare gradualmente la mia vita precedente>> <<Forse, hai una donna che si dispera per te, una vita che potresti riprendere>> <<Se questo avvenisse, mi faresti partire, ritornare alla mia vita precedente?>> <<Io ti amo, ma mi rendo conto che questa nostra unione è sospesa nella incertezza. Confido che la tua memoria esca dalla nebbia che ora l’avvolge.>> <<Si, mi dispero in questo sforzo di ritornare alla normalità: il fatto di sentirmi come un malato di fronte a te e di fronte alla gente, mi rende infelice.>>A quel punto, lei lo abbracciò. <<La tua vita è stata sospesa. Ma, per la volontà divina io l’ho riattivata. Da allora, sto facendo ogni sforzo per farti ritornare alla normalità: considerami il tuo baluardo.>> Adriano, l’abbracciò, poi si inginocchiò davanti a lei e la strinse alle ginocchia. Helen gli accarezzò il capo e senti che lui piangeva silenziosamente. <<Hai fatto grandi progressi. Sono certo che ritornerai presto alla normalità.>> Trascorsero altre settimane e Adriano sentiva un graduale chiarimento della sua mente. Una notte si svegliò e vide con chiarezza il viso di Monica. Si, ora ricordava, rivedeva quel loro romantico incontro. E poi, continuando a sforzare la memoria, la rivide abbracciata a lui in quella loro unica congiunzione d’amore, così rosea, levigata, con quei suoi occhi di cielo. Si, ricordò che lui, in un passato indefinibile, l’amava intensamente e, ora, quell’amore ritornava dolorosamente, come una nebbia che si stesse improvvisamente dissolvendo. Si rese conto che stava verificandosi in lui uno scompiglio che non riguardava soltanto la sua mente ma anche la sua anima, riportandolo verso quel passato che si era oscurato. Perciò, fu lieto quando, alcuni giorni dopo, Helen gli annunciò che doveva recarsi in Australia con una commissione di esperti perché la fondazione ”Alcor” voleva fondare un altro istituto di ibernazione avvalendosi dei progressi che quel ramo della medicina aveva compiuto nel grande ovest. Trascorsero altri giorni, fino a che Helen gli disse che l’indomani sarebbe partita. Quella sera non potevano però dormire insieme perché suo marito malauguratamente era presente. L’indomani mattina, Adriano scese nella sala delle riunioni dove era in corso la cerimonia di saluto dei partenti. Quando giunse l’ultimo momento, quello del commiato fra lui e quella donna che lo aveva salvato e protetto, fu colto da uno smarrimento. Si inginocchiò davanti a lei e le abbracciò le ginocchia. Senza il suo aiuto costante e amorevole, si sarebbe subito sperduto e smarrito. Lei era imbarazzata ma soprattutto commossa. Lo aiutò ad alzarsi, lo abbracciò nonostante la sala fosse piena di gente e gli disse: <<Ti telefonerò ogni giorno ma non sentirti solo. Qui tutti ti sono vicini e ti daranno il loro appoggio.>> Tuttavia, lui sentiva che, con la partenza di quella donna miracolosa, era precipitato in un immensa solitudine. Perché, non soltanto l’amava profondamente e l’ammirava ma, con il suo allontanamento, gli veniva a mancare la colonna che sosteneva la sua vita. Ritornò nella mansarda, si distese e visse due giorni inerti, soltanto sostenuto dalle notizie che Helen gli comunicava due volte al giorno per telefono. Non gli rimaneva che fare una breve passeggiata ogni giorno sostenendosi ad un bastone. Spesso ricordava Monica ed i momenti trascorsi con lei. E si accorse che cresceva in lui l’ansia di sapere dov’era. Riuscì a procurarsi, tramite internet, il numero di telefono della propria azienda agricola. Telefonò e riuscì a parlare al direttore che sobbalzò al sentirlo e lo assalì di domande. <<Quello che vi dirò deve rimanere segreto>> <<Certo, vi assicuro che non ne parlerò con nessuno.>> <<Mi trovo in America, in Arizona. Se riusciremo ad incontrarci, vi racconterò la mia storia. Ma, ora, quello che mi preme sapere è dove vive la contessa Monica. <<Dopo la sua sparizione, sig. Adriano, ho condotto lunghe, affannose ricerche che ho esteso alla contessa Monica perché ritenevo foste fuggiti insieme. Invece lei era ospite di un convento. Da allora, non so più niente di lei>> <<Vi ringrazio, caro direttore, e vi darò altre mie notizie. Se mi sarà possibile, verrò a rivedere voi e, possibilmente, la contessa.>> <<Bene, allora Vi attendo con gioia>> Lo stesso giorno, Adriano, sebbene avesse confusione nella testa e dolori nelle articolazioni, telefonò ad Helen e le comunicò la sua intenzione di recarsi a Torino. <<Vuoi ritrovare la tua donna di allora?>>gli rispose con una voce alquanto irrigidita. <<Si, soprattutto per placare la mia ansia. Cosi come è successo a me, anche lei avrà subito la sua punizione. Tuttavia secondo quanto mi è stato detto, sembra si trovi ora in un convento>> <<Ma tu te la senti di viaggiare?>> <<Spero di riuscire a fare il viaggio in aereo. Poi, a Torino, sarò atteso e assistito da persone che conosco>> <<Ti rivedrò?>> <<Come potrò fare a meno di te?>> <<Diciamoci addio con la speranza di ritrovarci>> * * * Sette giorni dopo, Adriano giunse a Torino, dolorante in tutto. Era ad attenderlo, Carlo Zoffi, il suo primo collaboratore ma anche amico. Adriano avrebbe dovuto portare con sé un bastone, ma si vergognava. Perciò, si appoggiò al braccio di Zoffi e con un taxi raggiunse con lui un albergo. Il giorno stesso, dopo un innumerevole susseguirsi di telefonate, apprese che Monica insegnava da alcuni mesi nell’ istituto salesiano Maria Ausiliatrice. La signora che aveva risposto precisò che la stessa Monica era in partenza per la Francia. Perciò aggiunse: <<Se volete incontrala, venite subito>> Sconvolto, Adriano, accompagnato dal suo dipendente, si recò immediatamente all’istituto Salesiano e chiese di vedere Monica. Fu fatto accomodare in un salotto mentre il suo accompagnatore rimase nella sala di attesa comune. Adriano si sedette su un divano emozionato. Dopo 4-5 minuti, la porta di fronte si aprì e gli apparve una donna vestita di scuro nella quale riconobbe a malapena Monica perché la bellissima donna di un tempo era adesso pallida e dimagrita. Lui si alzò e si andarono incontro. Si guardarono con occhi spauriti finché lei chiese: <<Ma io non vi conosco. Voi chi siete?>> <<Sono Adriano. Anni fa ci siamo amati>> <<Adriano!>>Esclamò lei con un filo di voce. Protese le mani verso di lui ma riuscì soltanto ad appoggiarsi al suo petto, poi i suoi occhi si chiusero e lei scivolò svenuta verso terra. Lui la sostenne e l’adagiò sul divano. Volle evitare l’intervento di estranei e si limitò a baciarle il viso, a chiamarla teneramente. Dopo qualche minuto, lei aprì gli occhi e lo guardò spaventata. <<Adriano>> <<Si, sono io, mia adorata>> <<Non potevi avvertirmi della tua venuta? Stavi per spezzarmi il cuore>> <<Si, perdonami, ma l’ansia di rivederti non mi ha consentito di riflettere>> <<Ma da quale inferno vieni?>> <<Puoi ben dirlo. Tuo marito è stato crudele. Pensa, mi ha fatto trasportare con un aereo in Arizona dove sono stato ibernato>> <<Che significa?>> <<Sono stato immerso in una bara di un istituto di ibernazione, alla temperatura di meno 195 gradi. Ovviamente sono svenuto ma non sono morto. Poi, per una casualità, nel corso di una verifica, i dottori di quell’istituto si sono accorti che ero ancora vivo e mi hanno estratto. Da allora, sono lentamente ritornato alla vita. Ma non sono più l’uomo di prima.>> <<Cosa farai ora?>> <<Cercherò di guarire completamente>> <<Tutto questo è orribile, cosi come struggente è stata la mia attesa fino a quando mi sono rassegnata all’idea che eri morto. Le ricerche della polizia sono state frettolose ed io mi ero intanto rifugiata in un convento perché mio marito mi ha letteralmente cacciato dal castello. Poi sono riuscita ad essere accolta in questo istituto dove ho alleviato il mio dolore con l’insegnamento ai giovani. Ma il destino è beffardo. Tu arrivi proprio il giorno in cui mi congedo da questo posto per ritornare dai miei genitori perché, in una mia precedente visita, essi mi hanno presentato un giovane ufficiale che, vedendomi, si è innamorato di me. E la prossima settimana, mi fidanzerò con lui.>> <<Ma tu lo ami?>> <<L’amore è un sentimento fatale e difficile. No, non lo amo come ho amato te, ma è simpatico, educato e benestante. Poiché tu eri uscito dalla mia vita, ho accettato la sua offerta d’amore>> <<Giusto>>rispose Adriano a voce bassa <<Vuoi che io mi sciolga di questo impegno?>> <<Sei generosa. Ma è bene che tu prosegua su questa strada lineare e serena. Io non offro più alcun affidamento. Ti auguro perciò ogni bene.>> La baciò lievemente, l’aiutò ad alzarsi dal divano, l’ abbracciò con una espressione disperata, poi uscì dalla stanza. Anni addietro, l’incontro con Monica era stato breve ma poetico, soave. Ora invece, sentì che il suo cuore era sprofondato nella tristezza. In albergo pensò al futuro che gli veniva incontro. Poteva ritornare alla sua azienda agricola, ai boschi, agli allevamenti o alle coltivazioni. Ma, in alternativa, vi era il ritorno in Arizona non soltanto per continuare le sue cure ma soprattutto per rivedere la magnifica, vitale Helen. Quella donna, con la sua carica di vita, con la sua iniziativa, gli diffondeva gioia e speranza e avrebbe continuato a preoccuparsi della sua guarigione. Mentre si torturava sulla via da intraprendere, ricevette una telefonata che illuminò il suo cuore: <<Sono Monica, sono ancora tormentata dal ricordo del nostro incontro. Non ero preparata ad un emozione cosi intensa e non posso rassegnarmi ad una nuova separazione>> <<Grazie di queste parole perché sono uscito dal nostro incontro distrutto, disperato, incapace di pensarti fra le braccia di un altro.>> <<Io sono troppo controllata. Puoi venire tu a Torino? Trova un posto dove incontrarci e poi avvertimi>> Turbato, Adriano chiese al suo dipendente di accompagnarlo . Partirono all’alba e già alle nove del mattino lui poté telefonare a Monica e dirle: <<Sono nell’albergo che è ad un isolato dalla tua casa. Puoi venire?>> <<Vengo subito.>> Si incontrarono mezz’ora dopo nel salone dell’albergo e il loro abbraccio fu gioioso e disperato insieme. Salirono nella camera che lui aveva prenotato e si baciarono senza limiti. Poi, spontaneamente si spogliarono si abbracciarono pazzamente baciandosi tutto il corpo con desiderio e adorazione. Quando finalmente lui si accinse a penetrarla, lei cominciò a spasimare e con voce alterata gli disse: <<Sei diventato più grosso, più energico>> <<Dopo l’ibernazione>>rispose lui con voce soffocata<< Il mio corpo, inspiegabilmente, si è potenziato>> <<Mi stai dando un grande godimento>> <<E tu mi inebri con la tua grazia, con la delicatezza dei tuoi occhi di cielo che si aggiunge al godimento dei sensi. E’ questo un momento memorabile che vorrei non finisse. Siamo ora una carne sola>> <<Una carne sola. Lo sento anch’io. Come potrò distaccarmi da te?>> <<Ricominciamo allora uniti, segui il mio destino>> Lei fermò il suo movimento d’amore e lo guardò turbata. <<E qual è il tuo destino? Ritornare in Arizona?>> <<Andremo dove tu vorrai>> Seguirono alcuni momenti di silenzio poi lei disse: <<Ti confesso che sono spaventata>> <<Capisco. Si tratta di rivoluzionare la tua vita>> <<Ho bisogno di pensare. Fin dal principio, ogni minuto passato vicino a te è stato magnifico. Ma ora mi trovo di fronte ad una decisione che mi affascina ma che mi fa paura>> Adriano si avvicinò a lei, l’abbracciò, la baciò e poi le disse: <<Pensaci e poi fammi sapere la tua decisione. Ma se sei impaurita rinuncia. Io capirò>> La baciò ancora, poi, insieme, lasciarono quella stanza che era stata testimone della loro felicità. Scesero al pianterreno e chiamarono un taxi. Con il cuore contratto, lui l’accompagnò alla vettura e l’aiutò ad entrare. Lei era pallida, seria, turbata. Lui, con sforzo,le sorrise e la salutò con una mano mentre la vettura si allontanava. Trascorsero alcuni giorni, poi lei telefonò: <<Perdonami, Adriano>>gli disse con voce soffocata<<Ma debbo rinunciare al nostro progetto perché rivoluzionerei la mia casa e farei soffrire i miei genitori che sono abituati all’ordine e alla correttezza. Poi, mancherei di parola verso quel giovane e composto ufficiale e, ai loro occhi, diventerei una persona scorretta e amorale. In sostanza, questa felicità mi verrebbe a costare troppo cara. Debbo rinunciare, perciò al nostro amore e rassegnarmi ad essere infelice per il resto della mia vita.>> Adriano rimase in silenzio per alcuni minuti, poi disse con voce tremante: <<Per alcuni giorni, ho vissuto nella speranza di esaltare la mia vita e avere accanto a me un angelo. Ma sarebbe stato troppo bello. Cercherò un'altra strada ma ti porterò nel cuore con una tremenda ferita. CAPITOLO QUARTO Innanzi a lui vi era, ormai, una duplice prospettiva: quella di riprendere la sua vita nell’ azienda agricola e di ritornare in Arizona con la speranza che un giorno Helen sarebbe ritornata. Alla fine, decise di ripartire. Prenotò una cabina su un transatlantico diretto alle Americhe, consegnò al suo direttore la gestione dell’azienda con la certezza di affidarsi ad un galantuomo, e partì per Genova. Appena arrivato, prese alloggio in un albergo in attesa di partire l’indomani. Sennonché, mentre era immerso in un vortice di pensieri, sobbalzò allo squillare del telefono. Alzò il ricevitore e udì con emozione la voce di Monica: <<Adriano, ho abbandonato tutto. Sto arrivando perché non posso vivere senza di te. Sei ancora in casa?>> <<No>> rispose lui con voce tremante<<Sono a Genova per ripartire per le Americhe>> <<Mi vuoi con te?>> <<Sono stordito e felice. Vieni all’albergo Miramare.>> Al suo arrivo, si abbracciarono e si baciarono freneticamente. Il ricordo di quei primi baci nel bosco era rimasto incancellabile e aveva incantato il loro cuore e incatenato le loro vite Tuttavia, Adriano dovette imporsi di riflettere: <<Non potremo tornare a Phoenix dove io vivevo perché, dopo il processo al duca di Guardagna, quella mia residenza è nota ai tuoi genitori. Ed è certo che manderebbero degli uomini appositamente assoldati per riprenderti. Io mi fermerei a New york>> <<Mi rimetto a tutte le tue decisioni>> Così, fra baci e carezze, giunsero a New York e, tre giorni dopo, si sistemarono in periferia, in un piccolo paese chiamato Pocantico hill, nella valle del fiume Hudson. Speravano di occultarsi in quella località e, per vari mesi, la loro vita trascorse in piena tranquillità, sostenuta da un amore che li univa teneramente e che evitava qualsiasi dissidio fra loro. Avevano entrambi un carattere docile, arrendevole, desideroso di evitare fra loro qualsiasi controversia. Lei badava alla casa e lui aveva trovato un lavoro di controllo presso una ditta di trasporti. Inoltre, col danaro fornitogli alla partenza dal direttore della sua azienda agricola, Adriano aveva comprato un auto che consentiva loro di fare gite nei dintorni. Così, visitarono diversi villaggi disposti lungo il corso dell’Hudson. Ma un giorno festivo, bussarono alla porta. Adriano andò ad aprire e si trovò di fronte un uomo alto e torvo che gli si lanciò contro e lo trafisse al torace con un affilato coltello. Monica cominciò ad urlare ma quell’aggressore l’aggredì e, con l’aiuto di altri due uomini sopraggiunti, le legò le mani e la portò di peso fuori dalla casa. Lei continuava a gridare e dimenarsi e piangeva con disperazione guardando Adriano disteso per terra. Ma quegli uomini la deposero sul sedile posteriore di un’auto in attesa, salirono a loro volta e partirono. A questo punto, io autore chiedo al lettore di stendere sul racconto un grande silenzio. La bontà, la rettitudine, l’amore verso i fratelli sono stati sopraffatti dalla malvagità, dall’ egoismo. La scena del mondo e del prossimo appare oscurata dal male, l’aspirazione al bene e alla pace calpestati. Con il cuore dolente, mi accingo a proseguire questo scabroso racconto. Una donna, passando, scorse attraverso la porta rimasta aperta il corpo di Adriano e dette l’allarme. Il poveretto venne trasportato nel maggiore ospedale di Staten Island dove gli riscontrarono una lunga ferita al polmone che sfiorava il cuore. Aveva perso molto sangue e rischiava di morire. Perciò fu sottoposto alle cure d’urgenza e poi trasferito in un centro cardiologico di New York. Vi rimase sette mesi e fu trattato con affettuosa premura soprattutto da una giovane dottoressa che provava per lui una particolare attrazione. Quando fu dimesso, nel maggio, provò una sensazione di smarrimento: non sapeva dove andare, se ritornare alla sua azienda, se andare a vendicarsi o se ritornare in Arizona. Dopo giorni di inerzia, decise di ritornare nel mondo dell’ibernazione dove aveva acquistato amicizie e professionalità Nel frattempo, Monica era stata trasferita in aereo in Italia e condotta a casa sua sotto gli occhi soddisfatti del padre e quelli dolenti della madre. Ma, con loro amara sorpresa, lei non li riconobbe, i suoi occhi vagavano nel vuoto e pronunciava parole sconnesse. Furono chiamati dei medici i quali diagnosticarono una manifestazione di pazzia. Per questo, venne disposto il suo trasferimento in un ospedale psichiatrico mentre la madre si scagliava urlando contro il marito, l’ideatore dell’agguato. CAPITOLO QUINTO Adriano ritornò così nell’Alcor Life Extension” dove fu accolto affettuosamente da tutto il personale. Si rimise al lavoro ma la sua salute era sofferente. Oltre alle trafitture che provava nel costato, la situazione del suo corpo non gli dava pace fin dall’inizio: una forma di insofferenza e la sensazione che andava modificandosi. Aveva provato a misurarsi la statura ed aveva constatato di essere cresciuto di due centimetri. Ne parlò con la vice direttrice, la dottoressa che sostituiva Helen in questa sua lunga assenza. Il suo nome era Elisabetta Conforti, aveva 48 anni ed era una delle fondatrici, nel 1972, della “Alcor life Exstension”. In questa iniziativa, aveva seguito e collaborato col defunto marito, un docente studioso della scienza dell’ ibernazione. Elisabetta era abbastanza alta, con i capelli raccolti sulla nuca e sostituiva efficacemente Helen anche se non aveva la sua carica di vitalità, né la sua bellezza. In compenso era calma e equilibrata e desiderosa di approfondire quella materia ancora sospesa fra realtà e speranza. Nutriva ancora seri dubbi sulla possibilità di resuscitare una persona ibernata perché su quei tentativi gravavano i misteri ancora irrisolti della scienza ed il mistero della Creazione, fra il funzionamento dei nostri innumerevoli organi interni, dei molti organismi e il loro decadimento dopo la morte. Il suo dubbio maggiore era che, nonostante la bassissima temperatura, i vasi, le arterie, gli organismi ritrovassero la loro funzionalità, anche dopo la restaurazione dell’organo che, cessando di funzionare, aveva provocato la morte. Ad esempio, se per un deceduto da infarto cardiaco e ibernato, la sostituzione del cuore riuscirebbe a rimettere in funzione tutti gli altri organi. Il caso di Adriano era diverso, perchè lui era rimasto vivo e tutti i suoi organi avevano mantenuto anche una pur minima funzionalità. Elisabetta aveva molta simpatia per Adriano anzitutto perché era bello e ben fatto ed anche perché era sempre calmo, amabile e disponibile. Per lei, era un collaboratore ideale e, quando suo marito era morto per un tumore allo stomaco, lei si sentì sostenuta e confortata da Adriano al punto di abbandonarsi e stringersi a lui con abbracci straripanti di affetto. Lui l’aiutò in tutte le incombenze funerarie e, nel pomeriggio, stava seduto insieme a lei su un divano tenendola abbracciata. Lei, per riconoscenza, lo abbracciava a sua volta e, di tanto in tanto, lo baciava sulla guancia. Era evidente che fra i due si era instaurata una complicità piena di affetto. Adriano, intanto continuava collaborare alle ricerche dei dottori dell’istituto, rivolte a stabilire le conseguenze di una lunga immersione sull’ organismo. Evidentemente, come nel suo caso, le cellule avevano subito una graduale modifica che richiedeva ininterrotti studi. Lui continuava a frequentare la dott. Elisabetta e con lei consumava la colazione nel refettorio dell'istituto. Un giorno lei gli chiese: <<Adriano, dove abiti?>> <<In un piccolo appartamento nella zona>> <<Ma sei solo oppure hai una compagna?>> <<Avevo un'affettuosa amicizia con la dottoressa Helen. Ma, dopo la sua partenza per l'Australia, non ci siamo più visti e, gradualmente, la frequenza delle nostre telefonate è andata diminuendo>> <<Ma eravate amanti?>> <<Si, avevamo rapporti intimi ma sopratutto, lei era la mia protettrice e mi aveva assicurato un posto di lavoro qui da noi>> <<Adesso, vivi solo?>> <<Si, ho preso in affitto un appartamento di due stanze nelle vicinanze del museo della scienza e della tecnica, fra la quinta e la settima strada. Una donna viene giornalmente a fare le pulizie. È poiché consumo i pasti alla grande mensa del nostro istituto, risiedo in casa soltanto nelle ore della sera fino al mattino successivo>> <<Io abito invece nella 7^ Avenue, al 5 piano di un palazzo che ha al pianterreno un centro commerciale. È un appartamento elegante e spazioso che ho ereditato da mio padre. Dovresti venire a vederlo. Anzi, poiché sei solo , perché non vieni a vivere con me? Anch'io sono sola. Potremmo farci compagnia>> Adriano, rimase sorpreso. Andare ad abitare con lei comportava certo l'inizio di una relazione amorosa. Pensò perciò a Helen. Fra loro vi era stato tanto amore ma, nell'anno trascorso della sua partenza, le sue telefonate erano andate sempre più diradandosi e, gradualmente, lei aveva cessato di chiamarlo amore. Dolorosamente, lui si era accorto di quel progressivo allontanamento ma non le aveva chiesto spiegazioni. Provava per lei amore, adorazione, riconoscenza ma si rendeva conto che, nel nuovo mondo in cui si era trapiantata, bella e vistosa com'era, non poteva essere rimasta immune da passioni amorose. Già prima della sua partenza, si era reso conto che, prima o poi, l'avrebbe perduta. Nella solitudine della sua casa, fatalmente, la previsione della sua perdita aveva reso tormentose le sue notti. E, intanto, Elisabetta attendeva una risposta. Adriano ammirava la sua compostezza, la sua serietà ma non ne era innamorato anche perché la sua maggiore età aveva fatto sparire in parte le sue attrattive femminili. Nell'incertezza, trovò una scusa: <<Sarò felicissimo di venire. Ma concedimi qualche giorno perché debbo parlare col padrone dell'appartamento col quale ho un contratto di affitto.>> Elisabetta rimase silenziosa. Si attendeva una risposta entusiastica. Comunque, si impose un contegno e disse: <<Fai pure>> Adriano era imbarazzatissimo. Ma la sorte gli venne incontro. Il giorno dopo ricevette una telefonata proprio da Helen che gli disse: <<Il mio ritorno ritarderà per il tempo che mi occorre ancora per avviare il nuovo stabilimento. Qui questa materia è quasi sconosciuta ed è arduo trovare dei direttori che possano impostare un piano di studi e di ricerche. Ti ricordo con l'attaccamento di sempre ma tu puoi capire che non potevo vivere sola in questa città sconosciuta. Perciò, ho allacciato una relazione con un industriale che ho incontrato durante un ricevimento. Spero mi comprenderai e mi perdonerai. Ti bacio.>> L'aveva perduta. E sebbene fosse preparato, non poté fare a meno di abbandonarsi ad un pianto dirotto che si protrasse ad intervalli fra una veglia agitata e pesanti dormiveglia. La mattina dopo, in ufficio, si recò da Elisabetta e le disse: <<Ho concordato col proprietario la disdetta del mio appartamento. Posso quindi, con gioia, venire da te purché tu mi consenta di partecipare alle spese.>> Elisabetta sorrise, andò verso di lui e l'abbracciò: <<Sia tu il benvenuto non soltanto nella mia casa e nella mia solitudine ma anche nel mio cuore>> Così, nel pomeriggio, Adriano giunse con una valigia nella bella e spaziosa casa di Elisabetta. Lei lo accolse con occhi pieni di lacrime: <<Perché?>>Chiese lui dolcemente <<Perché tu vieni a cambiare la mia vita. Dimentichiamo l'ufficio. Io qui sarò la tua schiava. So che sei un uomo sensibile. Accetta quindi non soltanto la mia ospitalità ma il mio cuore, anche se sono più anziana di te. Non farmi soffrire, sarai il mio signore ed io la tua serva>> <<No, non dire queste parole perché io vengo qui umilmente secondo il mio carattere, per essere il tuo compagno, il tuo aiuto, il tuo sostegno, per vivere nella concordia, nell'amore e nella pace.>> Si abbracciarono strettamente e lui senti in quel momento che, forse anche a causa della sua maggiore età e della sua maturità, lei gli avrebbe offerto di più di Monica e di Helen. E lui le avrebbe dato una tenerezza non soltanto carnale ma anche aderente al suo cuore. La sera, andarono nella camera da letto e, ciascuno per suo conto, nel proprio lato, si spogliò. Poi, prima di coricarsi, lui andò verso di lei e si trovarono di fronte: <<Non ti nascondo che sono emozionata forse, quando mi toglierò la camicia da notte, rimarrai deluso>> <<Quando ti toglierai la camicia, sarai la mia donna>> Lei non disse altro e si sfilò quell'indumento. Così, rimase completamente nuda di fronte a lui. Certo, la sua carnagione non era più rigida, tesa, lucida come una ventenne ma non aveva peraltro pieghe e afflosciamenti. I seni erano ancora gonfi, con un capezzolo lungo e teso. <<Sei molto bella e desiderabile. Faremo all'amore ogni notte e rifiorirai.>> E nel dire quelle parole, si spogliò a sua volta. Elisabetta vide un corpo statuario e imponente che avanzò di alcuni passi, la strinse fra le sue braccia e poi si precipitò con lei sul letto. Elisabetta, che aveva avuto un marito anziano, sentì tutta la forza di quel nuovo compagno. Lui le baciò a lungo la bocca, poi il collo ed i seni suggendo i fiori delle sue mammelle e facendola spasimare, poi fu infaticabile nel baciarle il resto del corpo. Giunse infine al momento sacrale della loro congiunzione in un corpo solo. E lei, nel subire quell'imponente introduzione, emise una serie di grida di dolore e di piacere. Fu una notte di rinascita per entrambi, l'inizio di una vita nuova. I loro caratteri erano combacianti e lei aderiva sempre alle richieste proposte che Adriano le indirizzava. Lavoravano 8 ore al giorno, poi rimanevano in casa abbracciati su un divano. Altre sere uscivano per andare al teatro oppure in un locale notturno. Trascorsero alcuni mesi e, in quel l'arco di tempo, non vi fu mai alcun dissidio o discussione perché lui era sempre garbato e delicato e lei aderente ad ogni sua richiesta. Nel frattempo, seppero che il duca era stato condannato a tre anni di detenzione ma non era mai andato in prigione perché aveva fruito del domicilio coatto. Adriano seppe anche che Monica si era sposata e aveva seguito il marito, ufficiale dell' esercito dislocato in Africa. Helen conviveva col nuovo compagno e talvolta lo seguiva in qualche viaggio. Si era giunti all'anno 2030. Adriano ed Elisabetta vivevano insieme ormai, felici, da due anni. Sembrava che il destino o, forse meglio, la Divina Provvidenza, avesse disteso su di loro un manto di benessere e di fortuna. Ma la vita non si smentisce mai. Le nostre fortune, i momenti di felicità e di fortuna sono prima o poi sopraffatti da eventi amari e deludenti. Una sera, infatti, Elisabetta ritornò a casa estremamente turbata e disse all'adorato Adriano che non stava bene e andava a stendersi sul letto. Preoccupato, lui si astenne dal cenare. Andò verso di lei che piangeva e si voltava e rivoltava continuamente. <<Puoi dirmi dove soffri? È una sofferenza fisica che richiede un medico, oppure è una brutta notizia?>> Poco dopo, lei gli rispose: <<Si, è necessario che io mi sfoghi. Ma preparati a quello che ti dirò, perché turberà la nostra vita e la felicità che il cielo ci ha donato finora>> <<Cosa è successo?>> <<Venti anni fa, ero una giovane impiegata in uno stabilimento industriale. Uno dei dirigenti mi adocchiò e mi invitò alla cena che prevede solitamente il letto. Quell'uomo era piuttosto burbero e di modi scostanti anche se con me esibiva un affettata cortesia. La verità è che mi voleva portare a letto e, quando mi invitò in camera sua, io non ebbi la forza di carattere di rifiutare. Subii passivamente quella notte e a lui piacqui. Così, chiese di dormire ancora con me. Poi, addirittura mi rivolse la richiesta strabiliante di sposarlo. Io, che vivevo con una zia tirchia e collerica, non seppi trovare una scusa e non riuscì a rifiutare. Così, due mesi dopo, ci sposammo ma non vi era tenerezza ed educazione da parte sua. Mi sentivo la sua serva, la femmina per il letto. E, in ogni occasione, il suo comportamento per me era privo di ogni delicatezza. Finché, un giorno, mi disse che, per ordine dei suoi superiori, doveva intraprendere una serie di viaggi. Eravamo nel 2032. Si degnò di darmi un rapido bacio e poi sparì e non mi dette più alcuna sua notizia. Sono passati 6 anni da allora ed io mi sono sentita libera da ogni impegno. Denunciai alla polizia questa sua scomparsa e fui consigliata di farla ufficializzare dall' autorità giudiziaria. Così, mi sentii libera e poiché avevo terminato i miei studi, riuscì ad essere assunta dall'Alcor per il suo nuovo incarico. Inizialmente, quel lavoro mi era odioso ma gradualmente cominciai ad appassionarmi e riuscì a capire il suo vero scopo scientifico. Ero sola ma libera e in casa non mi sentivo più una serva. Ricordo con un brivido di rabbia la parte della mia vita spesa per quell'uomo inqualificabile e mi sentivo ormai una docente. Ma, poi, anni dopo, giungesti tu. Era il novembre del 2020>> Adriano l'aveva ascoltata esterrefatto e con voce smorta le disse: <<Perché me ne parli soltanto adesso?>> <<Perché vivo di paura e anche perché mi sono resa conto che sono stata sleale con te. Avrei dovuto parlartene all’ inizio della nostra relazione>> <<Infatti, avresti dovuto dirmi tutto prima di iniziare la nostra convivenza. Ora, la nostra situazione è irregolare, non solo, ma da un momento all'altro, questo energumeno potrebbe piombarti addosso e pretendere i suoi diritti. Lui è pur sempre legato a te da un matrimonio e la vertenza che deriverebbe da un suo eventuale ritorno, sarebbe un pasticcio. Il nostro momento di felicità è finito e d'ora in poi dovremo vivere nella paura.>> Lei rimase vicina a lui in silenzio, poi si alzò e si allontanò verso la camera da letto. Adriano la raggiunse poco dopo e s'accorse che piangeva. <<Ormai, piangere non serve>>disse. L'abbracciò e la baciò. Poi, aggiunse: <<Proseguiamo la nostra vita e teniamoci pronti a ogni sorpresa>> Trascorsero tre mesi in cui convissero serenamente. Ma, inesorabilmente, vi erano avvenimenti che si svolgevano a loro insaputa e che un giorno piombarono loro addosso. Mentre era al lavoro nello stabilimento, Elisabetta ricevette una raccomandata dal Brasile che le provocò pianto e batticuore. Si chiuse nel suo ufficio e cominciò a concentrarsi con disperazione: in quella lettera, suo marito le scriveva che aveva trascorso 4 anni in una prigione brasiliana ma che ora aveva scontato la sua pena e sarebbe tornato a casa. <<Fin dal principio>>disse Adriano quando Elisabetta, con gli occhi colmi di lacrime, gli riferì il contenuto di quella lettera <<Ho avuto la sensazione che quell'uomo fosse un delinquente. E, infatti, i 4 anni di galera lo confermano. Ti conviene domani prendere contatto con l'avvocato e iniziare una pratica di divorzio. Io ti accompagnerò. Ma non basta: tu non puoi rimanere in questa casa. Dobbiamo chiuderla e trasferirci altrove >> <<Ma neanche questo basterà. Lui verrà a trovarmi nel mio posto di lavoro>> Avevano appena finito di parlare quando giunse un inserviente dell'istituto per riferire che suo marito si trovava già a Phoenix e si era fatto trasferire in ospedale per forti dolori al petto.Lei chiese il nome dell’ospedale e si rese conto che era vicino all'istituto "Alcor". <<Spero che non sia un trucco>>disse Adriano<<Andiamo insieme.>> Si recarono nell'ospedale che era stato loro indicato. Venne poco dopo un medico il quale disse: <<Suo marito soffre da tempo di un tumore al polmone. Per queste ragioni, è stato dimesso dal carcere e trasportato in ospedale con un aereo. Aveva il suo indirizzo, signora, e ora spera di vederla >> Adriano temeva si trattasse di una simulazione. Tuttavia, le disse: <<Questo è proprio un colpo di fulmine. Vai pure a visitarlo. Io ti aspetto qui nella sala d'aspetto.>> Si sentivano entrambi molto emozionati ma Adriano era anche sospettoso. Dopo mezz'ora, Elisabetta uscì dalla stanza e si accasciò su una panchina della sala d'attesa. Nel pomeriggio, ritornò a visitarlo e la sera abbracciò Adriano ma subito dopo si gettò sul letto. Quando lui la raggiunse, le chiese: <<Tu detestavi quest'uomo. Come mai, ora, sei così addolorata?>> <<Al rientro, e' stato molto affettuoso con me e mi ha ripetutamente chiesto perdono. Sono sconvolta>> <<Io, da parte mia, sono sorpreso. Tu detestavi e disprezzavi quest'uomo. Adesso, lo curi con affetto e premura>> <<Mi ha chiesto perdono ripetutamente e mi ha detto parole che mi hanno commosso>> Adriano era sorpreso di quel cambiamento e intimamente irritato. I suoi rapporti con lei erano rimasti affettuosi ma non più con l'ardore di un tempo. Fini col convincersi che lei gli aveva in parte mentito quando aveva disprezzato il comportamento brutale di quell'uomo. Forse, un tempo aveva subito la sua mancanza di affetto e di buone maniere soffrendo intimamente, ma in effetti gli voleva bene o addirittura lo amava. Poi, conversando con la donna di servizio seppe casualmente che, durante la sua prigionia, i due si erano scambiati una saltuaria corrispondenza. Quindi, perché voleva bene a quell'uomo o addirittura lo amava, lei non gli aveva detto la verità. Adriano non apri bocca ma i suoi sentimenti per lei ne risentirono. Come se ciò non bastasse, una settimana dopo, Elisabetta fece installare nella camera del malato un altro letto per dormire con lui e assisterlo in ogni suo bisogno. In conseguenza, Adriano rimase solo in casa. Amareggiato, sistemò la sua valigia, e, a metà' del pomeriggio, telefonò a Elisabetta per dirle che lasciava la casa. Lei sobbalzò, lo pregò di rimanere ma lui rispose che la situazione era diventata tale da rendere necessaria quella partenza. Elisabetta non reagì con durezza ma con voce di pianto e lui la rassicurò. Le voleva bene e avrebbe atteso che quella situazione si normalizzasse. Così, ora, al termine del lavoro, la vita di Adriano affondava nella solitudine. Un pomeriggio, passando dinanzi ad una chiesa, istintivamente vi entrò. Vi era un silenzio profondo che lo indusse ad una lunga riflessione dolorosa. Rievocò le vicende della sua vita e, pensando, sentii sgorgare abbondanti lacrime. Aveva amato Monica, Helen ed Elisabetta, forse era stato da loro riamato, ma ora affondava nel silenzio, nella solitudine. Era sotto un quadro della Santa Vergine Maria, circondato da lampade. E alzando gli occhi, sentì il cuore sussultare: dagli occhi della Vergine sporgevano delle lacrime. Una cadde sulla sua mano. Quel contatto provocò in lui una sensazione profonda che gli fece perdere i sensi. Ma nessuno se ne accorse perché era su un altare appartato. Perciò, rinvenne con una profonda gioia, guardò ancora in alto, ripeté una preghiera, e barcollando, uscì dalla chiesa. A casa, si distese sul letto contorcendosi al pensiero di quella divina manifestazione. Trascorsero alcuni giorni, poi un fulmine cadde sulla sua vita. Un messaggio proveniente dall’Australia recava una notizia terribile. La macchina che, trasportava Helen ed il suo compagno, di ritorno da un ricevimento, per scansare un autobus che proveniva nel senso inverso, era uscita di strada precipitando nel vuoto. I soccorsi erano stati immediati ed i due passeggeri trasportati immediatamente nel vicino ospedale. Purtroppo, il compagno di Helen era morto, lei era moribonda. Adriano partì immediatamente e arrivò con la speranza di un miracolo. Ma si trovò di fronte ad una tragedia. Il cuore di Helen era lesionato e la sua morte appariva irrimediabile. Allora, Adriano chiamò il capo chirurgo e gli disse: <<Questo é un caso che riguarda proprio il nostro istituto. Ve la sentite, professore, di estrarmi il cuore e trapiantarlo nel petto di Helen per consentirle di vivere. Se non mi sbaglio, é una nostra delle ipotesi terapeutiche.>> Il medico chirurgo lo guardò con gli occhi sbarrati. <<E' un operazione fattibile ma per voi significa la morte>> <<Ho molto amato questa donna. Se per lei é possibile sopravvivere, vi prego, professore, non perdete altro tempo, trapiantate in lei il mio cuore>> <<E sia. Firmatemi una dichiarazione e poi procederemo>> Adriano firmò la sua disponibilità per quell’intervento. Il medico lo abbracciò e poi lo invitò a passare in sala operatoria. <<Addio Adriano>>gli disse con voce rotta e gli praticò una anestesia, quindi, con i suoi assistenti recise una parte delle sue arterie cardiache e le saldò al cuore di Helen che, nel frattempo, era stata trasportata accanto alla lettiga di Adriano in sala operatoria. Così, gradualmente, i vasi e le arterie furono collegate al cuore della donna e staccate da quello di Adriano. Seguirono ulteriori trapassi del circolo sanguigno dall'uomo alla donna e mentre lui moriva lei aveva ora un cuore funzionante. Era stata una operazione difficilissima, complicata e di lunga durata. I medici erano stremati e speravano che quel trapasso del cuore da un corpo all'altro facesse vivere Helen. Adriano venne immerso in una bara a - 195 gradi, così come era arrivato alcuni anni prima. Helen era collegata al quadro elettrico che, nei suoi vari elettrodi, registrava in lei il graduale ritorno della vita. Mentre quella magnifica donna riprendeva stentatamente il suo cammino, Adriano viveva invece ormai solo nello spirito il ricordo del travagliato percorso della sua vita. Si era distaccato ormai dalla sua tormentosa vicenda terrena ed aveva intrapreso con gioiosa aspettativa un viaggio colmo di luminose attese. Si, nella luce, stava elevandosi verso un'immensa distesa azzurra che lo avvicinava alla pace, alla gioia e ad un’ immensa e prodiga divinità. Dopo quella terribile operazione, la vita di Helen riprese lentamente: dopo una lunga convalescenza, ritornò al suo lavoro, ma sentiva di non essere più la stessa. La sua esuberanza, la sua vitalità, la sua forza di carattere, avevano subito una perdita di energia. E così pure il suo entusiasmo. Anche a causa dell’ ambiente, meno ottimistico australiano, cominciò a dubitare delle possibilità di successo dell’ ibernazione come scienza rivoluzionaria della sopravvivenza umana. Ora, viveva col cuore di Adriano e doveva convincersi che aveva in parte acquisito i suoi sentimenti, la sua sensibilità. Era perciò, in parte, smarrita. Una notte d’estate, si sedette su una panchina del giardino, attorniata dal fruscio delle foglie. All’improvviso, ebbe la percezione di una presenza accanto a lei. Cominciò a tremare e poi il tremito si tramutò in pianto. Alzò gli occhi verso il cielo incredibilmente affollato di stelle e invocò: <<Adriano, dove sei?>>. Vi era un gran silenzio intorno a lei, rotto soltanto dallo stormire carezzevole delle foglie. Chinò il capo sul petto e un pensiero venne a rasserenarla. No, non era sola. Fine