QUASIMODO TRADUTTORE DI LEONIDA DI TARANTO Strada di

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QUASIMODO TRADUTTORE DI LEONIDA DI TARANTO Strada di
QUASIMODO TRADUTTORE DI LEONIDA DI TARANTO
Strada di Agrigentum (dalla raccolta Ed è subito sera)
Là dura un vento che ricordo acceso
nelle criniere dei cavalli obliqui
in corsa lungo le pianure, vento
che macchia e rode l'arenaria e il cuore
dei telamoni lugubri, riversi
sopra l'erba. Anima antica, grigia
di rancori, torni a quel vento, annusi
il delicato muschio che riveste
i giganti sospinti giù dal cielo.
Come sola nello spazio che ti resta!
E più t'accori s'odi ancora il suono
che s'allontana verso il mare
dove Espero già striscia mattutino
il marranzano tristemente vibra
nella gola del carraio che risale
il colle nitido di luna, lento
tra il murmure d' ulivi saraceni.
Breve ritratto
“S. Quasimodo (1901-1968) iniziò la sua esperienza poetica aderendo alla scuola ermetica. Il suo
ermetismo si atteggia come totale “volizione della forma”, con forte controllo critico della
creazione poetica. Il costitutivo della poesia viene identificato da Quasimodo nella parola singola,
percepita e fissata, come egli stesso puntualizzò, “nella quantità che le è propria, nella piega della
voce che la pronuncia”. Nel concreto, nella sua poesia “più che l’immagine, più che il verso,
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l’organismo costitutivo, la cellula elementare è la parola, la parola singola musicalmente insistita
nelle sue sillabe. Da Quasimodo il linguaggio poetico è sentito come un valore assoluto e puro, del
tutto disciolto, cioè, dalla funzione ancillare di strumento da adibirsi a veicolare messaggi etici,
ideologici, miti sociali e politici, patetiche confessioni individuali…Per contro la parola è sentita nella sua
capacità demiurgica come creatrice e inventrice di una realtà altra. La parola, insomma, viene considerata
in totale autonomia, nei suoi coaguli di suoni e immagini evocate; è percepita dal poeta come idonea a
creare un alone di suggestioni e di vibrazioni emotive. Ne consegue che il contenuto o tematica del discorso
poetico finiscono per rarefarsi all’estremo limite. La sua poesia si può definire un’avventura atematica…Il
linguaggio del primo Quasimodo è capace di evocare suggestioni e vibrazioni emotive che germinano come
schegge di anima, sospese fuori del tempo e tutt’altro che inscrivibili in una trama di razionalità. La sua
poesia si sdipana lungo questi fili: la solitudine dell’uomo nel mondo; la consunzione e la morte che
involgono tutte le creature, provocando smagamenti e desolata resa; la memoria struggentemente
nostalgica della fanciullezza, dei primi amori, con le immagini assiduamente riemergenti di una Sicilia
mitica, vagheggiata come emblema di serenità incorrotta e di favolosa primitività, attestata anche dalle
vestigia e dalle memorie archeologiche della civiltà greca. Naturalmente, tale Sicilia edenica, sinolo di
un’età storica remota e della mitica fanciullezza del poeta, assiduamente affiorante nella memoria con
ricordi e sensazioni in essa raggrumati, appare destituita di ogni dimensione reale: essa non è che mero
simbolo o categoria dello spirito, vagheggiamento insaziato di uno stato di assolutezza e serenità, cui
l’animo dello sradicato Quasimodo – e dell’uomo esule in universale – perennemente si volge, nel disperato
tentativo di sfuggire al decadimento, di sottrarsi al flusso corrosivo e alle “oscure mutazioni” del tempo. E’
una somma di percezioni che si ritrovano confluenti esemplarmente nella lirica Strada di Agrigentum.
…Dinanzi allo scenario della seconda guerra mondiale interviene una drastica svolta nella poetica di
Quasimodo, con l’acquisizione di una nuova nozione di poesia che Carlo Bo ha definito poetica dell’uomo…
Il poeta avverte l’urgenza di trarre la poesia fuori dall’eliso di una preziosa sensibilità privata e di una
cerchia di iniziati per immetterla nel vivo della vita collettiva, come voce corale di denuncia, come
illuminazione e testimonianza dei più autentici valori umani da salvare e da riedificare nelle coscienze…
Nella produzione di questa nuova stagione trovano uno spazio preminente i temi morali e civili… Inoltre il
richiamo si estendeva dalla guerra anche alle violenze che si continuavano a perpetrare sui più inermi. Una
denuncia cui si accompagnava il patetico richiamo all’umana solidarietà e la fiducia in un pur possibile
riscatto dell’uomo…E di tale dramma e di tale speranza ritorna ancora come simbolo la Sicilia terra
impareggiabile. Anche il linguaggio si fa più accessibile e disteso, a volte quasi epico… Gli esiti più validi di
questa seconda fase poetica emergono nei momenti, non tanto infrequenti, in cui gli eventi della cronaca e
della storia vengono riguardati di là dal loro significato fattuale e dalla istanza polemica, e sono configurati
come emblemi del costitutivo e universale travaglio umano, stemperati in canti di accorata elegia…Alla
personale produzione poetica si integra, in nessi profondi e interattivi, il lavoro di traduttore dei classici: dei
lirici greci, di Virgilio, di Catullo e Ovidio. In effetti si tratta di un’autentica traduzione-creazione, in quanto
gli antichi testi appaiono interpretati quasi con gusto ermetico, cioè come voci di assorta sensibilità sospesa
fuori del tempo, con visibili accenti di un moderno sentimento esistenzialistico dell’umana esperienza.”
(da V. Rosato, L’avventura letteraria del ‘900 italiano, pp. 331-335, Ferraro, Napoli 1998).
Analisi del testo
Per l’analisi della lirica quasimodiana si consiglia la stessa procedura adottata per quella montaliana,
individuando i seguenti livelli:
1) Metrico (endecasillabo sciolto);
2) Ritmico (verso lento, con pause lunghe come silenzi);
3) Fonico-timbrico (es. prevalenza di suoni aspri altenati a sibilanti, la vocale o dominante rende la
chiusura dell’animo);
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4) Semantico (alternanza di termini inerenti al materiale e di termini inerenti l’immaginario, che si
compenetrano perfettamente);
5) Sintattico (sintassi frantumata nei suoi nessi normativi, sintassi dell’anima, di cui la parola singola è
l’unico vero strumento epifanico);
6) Lessicale (lessico fortemente letterario, alto, anche quando si ritrovano lemmi idiomatici come
marranzano, acquisito allo stile sublime).
tenendo in considerazione le diverse peculiarità della lingua poetica di Quasimodo, e il modo diverso di
strutturare le relazioni funzionali fra i diversi livelli, in particolare: la relazione causale (è tutta psicologica),
quella temporale (è un tempo interno che unisce emozioni legate a un lontano passato e a un urgente
presente) e quella spaziale (è simile a quella temporale, e non ha confini la Sicilia sentita e immaginata dal
poeta).
Note preliminari su Leonida di Taranto
Guardare l’antico con l’occhio del moderno. L’antico è stato guardato già dagli antichi (Carandini).
Le composizioni di Leonida di Taranto sono tutte contenute nell’Antologia Palatina, quindi si tratta
di composizioni epigrammatiche. Non sappiamo se egli frequentò altri sottogeneri lirici in voga nel
periodo ellenistico. Sicuramente, però, quelli che ci sono rimasti costituiscono una parte minima di
quelli che realmente scrisse. L’Antologia Palatina è un testo di arrivo di una lunga tradizione
antologica, iniziata dal poeta Meleagro, tradizione che, per essere metodologicamente selettiva,
ha di volta in volta aggiunto e tolto.
In origine l’epigramma era una breve iscrizione ritmica che veniva incisa su stele funebri o ex voto.
Talora anche su doni offerti a persone viventi. La prima traduzione letteraria si attribuisce a
Simonide di Ceo. In età ellenistica l’epigramma amplia notevolmente la gamma delle sue
tematiche fino a diventare la forma letteraria più diffusa e frequentata. E’ improbabile che la sua
recitazione fosse accompagnata da musica, come forse nell’età arcaica.
La critica e la filologia di ispirazione crociana ha sempre negato il valore poetico di questi
componimenti in genere creati intorno a “piccole cose”, ritenendoli per tanto espressione di
personalità mancanti di “alto sentire e profondo pathos”. Gennaro Perrotta illustre grecista di
scuola crociana, infatti, dedica, nella sua Letteratura greca, pochissime note a Leonida come a
tanti altri famosi epigrammisti.
Leonida è un poeta ancora classico nel senso oltre che letterario anche storico, ma si fa
annunciatore di angosciose problematiche esistenziali, che saranno, dopo di lui, al centro di molti
movimenti letterari e filosofici soprattutto del ‘900. Egli è innanzitutto il poeta dell’esilio interiore
oltre che di quello oggettivo, in balia delle spietate leggi della natura e della storia, e tuttavia
esalta la libertà di seguire la vita nel suo percorso casuale, una libertà assoluta persino nella
volontaria ricerca della morte. La natura contribuisce notevolmente, nel suo vario manifestarsi, a
placare le tensioni dell’animo o a turbarlo, come talvolta nell’idillio leopardiano. Il suo linguaggio
quasi di “avanguardia” non è indizio di non poesia (come sostenevano alcuni studiosi germanici ed
italiani), esso invece si identifica fortemente con i contenuti, desanctisianamente parlando: la
disarmonia dei sentimenti diventa disarmonia del verso.
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Egli è il poeta degli umili: passa nei suoi epigrammi un intero mondo di filatrici, flautiste, pescatori,
pastori, contadini, artigiani, il cui travaglio dura per tutta la vita, umbratile, miseranda, intristita
ma senza lamenti. La malinconia è nelle cose e non si traduce in protesta sociale né in dramma, è
una realtà che non si può ignorare ma neppure cambiare. Le ricchezze e il benessere, come la
felicità sono lontani e restano indifferenti ai personaggi di Leonida. Sullo stesso tono sono le
significazioni della morte e della religiosità, ridotte a forme ed eventi che entrano nel quotidiano
senza modificarne la sostanza. In un tal mondo il poeta vive libero e tormentato, compone senza il
condizionamento di modelli e senza cedere, pur nella sua alta letterarietà, all’attrazione
dell’imitazione.
Quasimodo riscrittore di Leonida
Quasimodo cerca in Leonida come in altri antichi poeti le risposte assolute ed eterne ai problemi
esistenziali. Il canto che lui esercita come consolazione e oltranza metafisica non ha tempo. Egli lo
ha raccolto:…da secoli l’erba riposa in me; …in me si fa sera/l’acqua tramonta nelle mie mani
erbose;…così lieve son fatto,/così dentro alle cose che cammino con i cieli.
Ogni sua traduzione è una ricreazione lirica. Quindi la traduzione, come intesa da Quasimodo,
tende a rendere contemporaneo qualsiasi poeta antico.
Quali i temi che fanno sentire Leonida come se stesso? Tanti, ma i fondamentali sono:
1) La vita come solitudine spazio-temporale, che comunque bisogna avere il coraggio e la
forza di vivere, come nell’epigramma di Cleiton VII, 226.
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2) La vita come eterno pagamento di debiti, in quanto la partita dell’esistenza è perduta ab
initio, come nell’epigramma di VII, 446.
3) La vita dell’uomo, compresa fra due ignoti infiniti, è gettata nell’hic et nunc. Egli è costretto
a vivere fuori del luogo-tempo in cui dovrebbe vivere, ma conserva in sé una nostalgia di
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assoluto e di impossibile perfezione, che finisce per massacrarlo, come nell’epigramma
VII,472.
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4) Il canto-mythos come unica forma vera di liberazione per l’uomo: categoria vitale,
catartica, religiosa, come nell’epigramma VII, 715.
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5) La liberazione dalla vita-non vita attraverso il suicidio, come nell’epigramma VII, 731
Un pensiero di Quasimodo su Leonida
Il vecchio suicida che “gettò via la vita e se ne andò verso/la dimora dei più” è il centro del sentimento della
solitudine e della disperazione di Leonida: poeta dell’esilio interiore oltre che reale, abbandonato alle
circostanze della natura e della storia secondo le leggi del Fato. Una sorte che non è surreale o astratta
come vorrebbe la nostra prospettiva di moderni, ma che impone uno dei nuclei creativi di Leonida: la
libertàdi seguire la vita secondo un percorso casuale lungo i paesaggi concreti, ma che è anche libertà
assoluta fino alla ricerca volontaria della morte.
Romualdo Marandino
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