detti e contraddetti 2001 – 1° semestre

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detti e contraddetti 2001 – 1° semestre
DETTI E CONTRADDETTI 2001 – 1° SEMESTRE
Rubrica settimanale tenuta sul Giornale di Brescia
4 gennaio 2001.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Le maniere semplici. È curioso vedere che quasi tutti gli uomini
che valgono molto hanno le maniere semplici, e che quasi sempre le maniere semplici sono prese
per indizio di poco valore (G. Leopardi). La ragione profonda della nostra tragedia oggi. Quando la
vita non dimora più in un tutto originario e concluso non ha più un centro di valori. È un orlo
sbrecciato che circoscrive il vuoto (Robert Musil, L’uomo senza qualità, trad. it. Einaudi). Gli
"onori" e l'onore. Come non marcare il contrasto esilarante fra gli onori che i sedicenti grandi
uomini richiedono per sé e l’onore che spetta solo a Dio? Occorre ridersela dell’incombere pesante
e goffo dei primattori, o presunti tali, e non solo nel teatro della politica. Provate a fare il loro
elenco, a cominciare da quelli della propria parte, come fa ogni persona per bene. Ma non senza una
punta di pietà per così grandi disgraziati (Levi Appulo).
ITALIANI ANALFABETI. Tullio De Mauro ha di recente comunicato che nell’Italia d’oggi
l’analfabetismo ha registrato un aumento spaventoso: nel nostro Paese un italiano su tre sarebbe
analfabeta. Si tratta soprattutto di analfabetismo di ritorno, proprio di chi negli anni di scuola non è
stato messo in grado di leggere un libro per proprio conto e di informarsi direttamente almeno su
quei problemi che riguardano i suoi interessi ed il lavoro. E c’è una differenza, in peggio, rispetto al
passato: gli analfabeti di oggi non si vergognano affatto di esserlo, soprattutto se hanno trovato il
modo di far comunque soldi. Questa è, infatti, l’Italia in cui imperversa l’ossessione del telefonino e
che riserva un successo strepitoso a quelli del «Grande Fratello», una trasmissione tra le più
immonde e squallide che mai ci siano state. A tal proposito una notizia di cronaca, letta il 3
dicembre 2000, merita forse di essere ricordata: l’invio di una cesta di libri da parte del ministro
Giovanna Meandri a quelli della casa del «Grande Fratello».
DI TANTO IN TANTO SORGE UN'ANIMA CHE SEMBRA TRIONFARE SULLA
COMPLICAZIONE. La storia della filosofia ci fa soprattutto assistere allo sforzo senza sosta
rinnovato di una riflessione che lavora per attenuare le difficoltà, risolvere le contraddizioni,
misurare con un’approssimazione crescente una realtà incommensurabile col nostro pensiero. Ma di
tanto in tanto sorge un’anima che sembra trionfare sulla complicazione a forza di semplicità, anima
di artista o di poeta, che non ha tradito la sua origine e che proprio per questo è in grado di
riconciliare, in un’armonia sensibile al cuore, termini forse inconciliabili per l’intelligenza.
La lingua che quell’anima parla, quando imposta la voce della filosofia, non è tuttavia compresa da
tutti. Gli uni la giudicano vaga, laddove essa è ciò che esprime. Altri la sentono precisa, perché
sperimentano ciò che essa suggerisce. Per molti non è che l’eco di un passato scomparso; ma altri vi
intendono già, come in un sogno, il canto gioioso dell’avvenire (Henri Bergson, Pensiero e
movimento, trad. it. Bompiani, Milano 2000, p. 241).
LA DIFFERENZA FRA L'UOMO COLTO E COLUI CHE VUOL SEMPRE IMPARTIRE
LEZIONI. Se ti capita di cenare con un uomo che ha passato la vita a farsi una cultura - tipo raro di
questi tempi, lo ammetto, ma ogni tanto qualcuno se ne trova - ti alzerai da tavola arricchito e
consapevole del fatto che per un istante un alto ideale ha sfiorato e santificato le tue giornate. Ma
sedere accanto a qualcuno che ha passato la vita avendo solo la pretesa di istruire gli altri è
un’esperienza ben diversa. Com’è spaventosa, infatti, l’ignoranza inevitabilmente prodotta in lui
dalla fatale consuetudine d’impartire sempre lezioni agli altri e come si dimostra limitata ed angusta
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la sua mente! Una persona del genere non può che annoiarci e dovrebbe pure annoiarsi con le sue
infinite ripetizioni, non essendovi in lei alcun elemento di crescita intellettuale (Oscar Wilde).
POESIA EUROPEA DEL NOVECENTO. La voce. Era una voce che faceva male / ma insegnava. /
Scopriva / a stento il suo timbro si udiva / nel silenzio che ascoltava. / Paradisi, non c’erano. /
Purgatori, non mostrava. / Limbi, sì, diceva / che li sentiva / pesanti di viltà / lì nella terra dove
abitava. / E abitava in questo mondo / quella voce. / Abitava proprio nel fondo / del pozzo ch’è
dentro di noi (Miguel Torga, poeta portoghese, 1907-1995).
11 gennaio 2001.
LINEA RECTA BREVISSIMA. La fede, se non è pensata, è nulla. Chiunque crede pensa e
credendo pensa, e pensando crede… La fede, se non è pensata, è nulla (Sant’Agostino, De
praedestinatione sanctorum 2,5).
Woody Allen si è scelto questa parte. Nell’era dell’angoscia egli vuol rappresentare l’eroe perdente.
Avrà, perciò, sempre il rimpianto di non essere qualcun altro; e in tal modo incarna una disposizione
d’animo quanto mai diffusa. È il segreto del suo successo (Levi Appulo).
Perché certi farabutti fanno carriera. Le ragioni sono tante, ovviamente. Le principali, però, mi
sembrano tre: la viltà di chi li ha giudicati per quel che sono, ma non ne ha contrastato l’ascesa,
com’era suo dovere; la credulità imbecille di chi non chiede di meglio che di essere imbonito e di
servire; infine la miopia di chi pensava di utilizzare il loro arrogante cinismo per opporli ai propri
avversari (Levi Appulo).
GRAZIA E BELLEZZA. Se consideriamo le cose della natura, ciò che vi troviamo di più
sorprendente è la loro bellezza, bellezza che va del resto accentuandosi nella misura in cui la natura
si eleva dall’inorganico all’organico, dalla pianta all’animale, dall’animale all’uomo. Dunque, più il
lavoro della natura è intenso, più l’opera prodotta è bella. È come dire che, se la bellezza ci rivelasse
il suo segreto, noi penetreremmo per suo tramite nell’intimità del lavoro della natura.
Ma quel segreto la natura lo libererà per noi? Forse sì, se consideriamo che essa è, in quanto tale, un
effetto, e ne risaliamo la causa. La bellezza appartiene alle forme e ogni forma ha origine in un
movimento che la traccia: la forma non è altro che un movimento registrato.
Ora, se ci chiediamo quali sono i movimenti che descrivono forme belle, troviamo che sono i
movimenti graziosi: la bellezza è la grazia fissata, diceva Leonardo da Vinci. La questione allora è
di sapere in che consiste la grazia. Ma questo problema è più difficile da risolvere perché in tutto ciò
che è grazioso noi vediamo, sentiamo, indoviniamo una specie di abbandono, quasi un
accondiscendere.
Per colui che contempla l’universo con occhi d’artista, è la grazia che si legge attraverso la bellezza
ed è la bontà che traspare attraverso la grazia. Ogni cosa manifesta, nel movimento che la sua forma
registra, la generosità infinita di un principio che si offre. Non a torto si chiama con lo stesso nome
il fascino che si vede nel movimento e l’atto di liberalità che è proprio della bontà divina: i due
sensi della parola grazia fanno tutt’uno (Henri Bergson, Pensiero e movimento, trad. it. Bompiani,
Milano 2000, pp. 232-233).
POESIA DEL NOVECENTO. Gli occhi. Il più vasto mare sono gli occhi umani: / tutto il mondo
sostengono / tutto il mondo, in mille navi, naviga sul loro specchio: / stelle, fiori, uccelli, città,
fabbriche, genti / tutto quello che fu, tutto quello che è, / tutto quel che sarà.
Vidi cose felici e leggiadre, / che per loro tenuità non affondano mai. / Vidi stelle e fiori, vidi uccelli
/ nell’inverno volare ai paesi del sud, / navi con lieve carico, agile fianco, collo di cigno / che
sempre liete entravano nello specchio degli occhi e liete ne uscivano....
Conosco anche le cose pesanti, le più pesanti / che vanamente s’avviarono lungo la strada dei cieli; /
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conosco ospedali e sobborghi, gente senza speranza, / navi di piombo che fanno naufragio. /
Conosco nocchieri che non sorridono, / prigioni e galere / che per il peso del carico si squarciano in
due / e negli occhi entrano solo per affondare. / Il più profondo mare sono gli occhi umani / e il loro
fondo tocca nell’intimo il cuore (Jiri Wolker, poeta ceco, 1900-1924).
L'ANGOLO DELLA PREGHIERA. Perché anch'io sono caduta. Poi che anch'io sono caduta,
Signore, / dinnanzi a una soglia - / come il pellegrino / che ha finito il suo pane, la sua acqua, i suoi
sandali / e gli occhi si oscurano / e il respiro gli strugge / l'estrema vita / e la strada lo vuole / lì
disteso / lì morto / prima che abbia toccato la pietra del Sepolcro - / poi che anch'io sono caduta
Signore, / e sto qui infitta / sulla mia strada / come sulla croce, / oh, concedimi Tu / questa sera / dal
fondo della Tua / immensità notturna, - / come al cadavere del pellegrino, - / la pietra delle stelle
(Antonia Pozzi, poetessa milanese 1912 - 1938).
18 gennaio 2001.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Un grande guadagno. La parsimonia, il non amare gli acquisti, è un
grande guadagno (Cicerone, Paradoxa Stoicorum VI, 49 - 52). Non aspettare il viale del tramonto.
Regola dell'uomo avveduto è abbandonare le cose che lo abbandonano (Baltasar Graciàn). Un uomo
e il suo abito. Coloro che fanno del vestito una parte principale di sé finiscono, quasi sempre, per
non valere più dei loro abiti (William Hazlitt). Le donne mezze nude. Ma questo va a vantaggio der
peccato / perché er lavoro de la fantasia / se riduce a uno spazio limitato (Trilussa). Dunque esisto.
Cartesio colse il valore decisivo dell'autocoscienza e ce ne dette l'espressione più folgorante: cogito
ergo sum, «penso dunque sono». Il teologo Karl Barth ce ne ha dato il completamento, scrivendo: a
Deo cogitor, ergo sum, «sono pensato da Dio, dunque sono» (Levi Appulo). Direttamente
proporzionale. Più si dono il proprio cuore, meno ci si impoverisce (Vladimir Ghika).
IL GRANDE TRANELLO. Qualche osservazione sul "fenomeno televisivo" di fine 2000. Primo.
«Il Grande Fratello? Non riesco a resistere alla noia per più di un minuto e mezzo. Mi preoccupa,
però, sapere che dall'altra parte di quella bella scatolina che è la Tv c'è un sacco di gente che invece
se ne interessa (Lina Wertmüller, regista, in una conversazione tenuta a Brescia). Secondo. Il
Servizio Ricerche e Sviluppo di Mediaset spiega il tranello. «In principio c'è lo scandalo.
Ipertrofico. È il primo, evidente e immancabile effetto di Grande Fratello. È qui che si innesca la
geniale capacità di autopromozione del format: il successo di scandalo a priori». Terzo.
«Finalmente è finita anche se ci saranno code più o meno pecorecce. L'orgia di immagini dei dieci
ragazzi ripresi in diretta in un appartamento, in seminudo casalingo, l'orgia di parolacce in libertà, di
vuoto di idee, di comportamenti eticamente riprovevoli, finzioni smerciate per real life non si
ripeterà. Non perché manchino le tentazioni o che il circo dei partecipanti sia saturo, ma perché s'è
toccato veramente il fondo. Ma ciò che conta per Mediaset è il successo commerciale
dell'operazione, che è stato pienamente conseguito, avendo conquistato milioni di telespettatori. La
Grande Madre dei Consumi e dell'Audience è veramente la madre legittima di questo Grande
Fratello» (Francesco Anfossi in Famiglia Cristiana del 17.12.2000).
ELOGIO DELLO SMEMORATO. Certe cose nessuno le rammenta meglio di chi ha fama di
smemorato. E questo, come dicono tutti quelli che conoscono i trucchi per memorizzare, succede
perché gli smemorati di solito fissano intensamente la loro attenzione su quelle cose che sfuggono
di più. Noi smemorati ci concentriamo sull'odore, sui colori dei vestiti, su un suono, sul moto
improvviso di antipatia o attrazione che una cosa provoca in noi; o siamo turbati profondamente da
qualcosa di cruciale che molti trovano insignificante. Dimenticare è un'arte, una delle arti più utili e
peggio praticate che si conoscano Nel bene e nel male, tutti dimentichiamo, ma ciascuno a modo
suo. Siamo capaci di dimenticare la morte, il dolore e quelli che ce l'hanno provocato. Perdoniamo
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non per generosità, ma per smemoratezza, senza rendercene conto. Per questo dobbiamo benedire la
dimenticanza come si benedice il pane quotidiano. Grazie al nostro dimenticare noi torniamo a
inciampare sullo stesso sasso, i nostri genitori sono riusciti a vivere insieme, i nostri fratelli ci
vogliono bene e quelli a cui abbiamo fatto un favore ci scansano. Grazie alla dimenticanza
continuiamo ad accumulare libri, come se avessimo dinanzi a noi molte vite per leggerli. Un giorno,
pensiamo, arriverò a sfogliarli uno per uno, e ci dimentichiamo che un giorno mi verrà l'epatite, o
un'altra di quelle lunghe malattie durante le quali tutto si può fare tranne che leggere (Angeles
Mistretta).
L'ANGOLO DELLA PREGHIERA. Tendere verso quella bella armonia. Mio Dio, ti ringrazio
perché mi hai creata così come sono. Ti ringrazio perché talvolta posso essere così colma di vastità,
di quella vastità che poi non è nient'altro che il mio essere ricolma di te. Ti prometto che tutta la mia
vita sarà un tendere verso quella bella armonia, e anche verso quell'umiltà e vero amore di cui, nei
momento migliori, mi sento capace (Etty Hillesum, Diario 1942 - 1943, Adelphi 1990, p. 87).
25 gennaio 2001.
LINEA RECTA BREVISSIMA. La Pentecoste al contrario. Stiamo vivendo una sorta di
rovesciamento della Pentecoste, una specie di Pentecoste infernale. Lo spirito non discende più su di
noi per regalarci la portentosa capacità di parlare altre lingue, ma per costringerci a un unico idioma
incomprensibile, la lingua della confusione in cui viviamo (Aldo Grasso, Che aria tira - I paradossi
della comunicazione, Edizioni Paoline). I verbi poveri di Gesù. Ciò che Gesù dice è illuminato da
verbi poveri: prendete, ascoltate, venite, partite, ricevete, date, andate. Egli ignora quelle parole
mezzo velate, la cui oscurità permette ai potenti di consolidare la loro prepotenza (Christian Bobin,
L'uomo che cammina, Edizioni Qiqajon, 1998). La volgarità nel nostro tempo. Quello che
caratterizza la nostra epoca è la volgarità, non solo nelle maniere e nel linguaggio, ma anche nel
modo con cui essa intende offrire agli altri la sua immagine. Oggi la volgarità non si nasconde ed è
anzi ben felice di esibirsi (Julien Green, scrittore francese, morto alla soglia dei novantasette anni
nell'agosto 1998).
L'INCOMPETENZA PROFESSIONALE. L'incompetenza professionale oggi viene compensata almeno secondo quelli che la incarnano - dalla simpatia, dalla gentilezza, dalla sincerità. «Lei si
chiama Francesco Pontiggia, vero?», mi dice prima dell'intervista il giovane della televisione locale.
«No, Giuseppe. C'è sulla copertina». «Sì, mi scusi», mi rassicura premuroso. Aggiunge: «Può dirmi
qualcosa sul contenuto del libro? Glielo confesso, non ho fatto in tempo a leggerlo». Rispondo:
«Non importa. Può basarsi sul risvolto di copertina». «Mi scusi, ma io non l'ho letto». Mi fissa con
fermo smarrimento. Gli dico: «Può leggerlo ora». «Non faccio in tempo. La trasmissione comincia
fra trenta secondi». «Mi faccia qualche domanda precisa», rispondo inquieto. «Quando ho scritto il
libro, perché ho scelto questo titolo. Si basi sulle mie risposte per andare avanti». «La ringrazio
tanto», mi risponde. «Lei è molto gentile». Nell'intervista ho avuto più volte l'impressione che io
parlassi di un libro e lui di un altro e che io rispondessi a domande che lui faceva a un altro.
«Ottimo, non le pare?», mi ha detto alla fine dell'intervista. «Ha notato che improvvisando riesce
meglio? Io credo all'ispirazione». «Anch'io», ho detto. «Mi mette una dedica sul libro? Me l'ha
regalato la libraia». Me lo porge aperto sul frontespizio. «Qual è il suo nome?», ho chiesto «No,
scriva Miriam», ha risposto. «È il nome della mia ragazza. Io intervisto gli autori, ma è lei che ha la
passione di leggere» (Giuseppe Pontiggia, Il Sole - 24 ore del 3.12.2000).
DUE CERTEZZE PER I NOSTRI FIGLI. Non c'è niente che sia irresolubile come gli occhi di un
bambino rivolti verso di noi. Non lasceremo in eredità ai nostri figli né la certezza né la chimera di
un mondo felice. Nasciamo in un mondo ingiusto, contrassegnato dalla disuguaglianza e dall'abuso,
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un mondo che sembra a volte impossibile cambiare. Sapere che al mondo esistono l'infamia e la
sventura non ci dispensa, però, dall'obbligo quotidiano di cercare di renderlo migliore. Questa è la
certezza che dobbiamo trasmettere ai nostri figli, forse prima di qualsiasi altra. Se non avessimo
questa convinzione, non avremmo risposte da dare ai loro continui interrogativi... Possiamo non
trovare risposte alle mille domande dei nostri figli, ma quello che non possiamo dimenticare, ed è
nostro dovere comunicare è che quando abbiamo deciso di condividere con loro l'esistenza, abbiamo
riconosciuto innanzi tutto che la vita è un tesoro degno della nostra pena e della nostra gioia e, in
secondo luogo, che il mondo per quanto ci appaia pieno di soprusi e sofferenze, merita lo sforzo
quotidiano di chi crede sia possibile cambiarlo (Angeles Mastretta, scrittrice messicana vivente).
POESIA EUROPEA DEL NOVECENTO. La finestra e, nel mezzo, un cipresso. Di fronte sta la
finestra; in fondo / il cielo, tutto cielo, e null'altro; / e nel mezzo, fisso sul firmamento, / slanciato un
cipresso; e null'altro.
E sia sereno il cielo o abbuiato, / nella gioia dell'azzurro, nel tumulto della bufera, / sempre uguale
oscilla il cipresso lentamente, / tranquillo, bello. (Kostìs Palamàs, poeta greco, 1859 - 1943).
1 febbraio 2001.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Senza affanno. A ogni giorno basta la sua pena - Sufficit diei
malitia sua (Vangelo di Matteo 6, 34). La raccomandazione di Noè. Noè diceva spesso a sua
moglie, quando si sedeva a tavola: «Non m'importa dove va l'acqua, purché non vada nel vino»
(Gilbert K. Chesterton). Quelli che son dolci per interesse. Non vi sono persone più acide di quelle
che sono dolci per interesse (Luc de Vauvernagues).
La maschera e il volto. Spesso una maschera ci dice più cose dello stesso volto (Oscar Wilde). Solo
le persone superficiali non giudicano le apparenze (O. Wilde). Passione e oblio. Il fiore scarlatto
della passione sembra crescere nello stesso prato dei papaveri dell'oblio (O. Wilde). La sincerità
non basta. Il valore di un'idea non ha nulla a che fare con la sincerità dell'uomo che la esprime (O.
Wilde). Che cos'è l'esperienza? Esperienza è il nome che si dà ai propri errori (O: Wilde).
A VENT'ANNI DALLA STAGIONE DELLE STRAGI E DEL TERRORISMO. Sono passati
vent'anni dalla conclusione dell'era delle stragi e del terrorismo in Italia e il nostro Paese si trova a
vivere una situazione che è difficile dire se è più assurda o tragica: il mancato raggiungimento di
una verità accettabile su quei fatti. Più il tempo passa, anzi, più la verità sembra allontanarsi. La
vicenda del rapimento e dell'assassinio di Aldo Moro ne è l'esempio più clamoroso, ma non certo
unico. Rivelazioni a puntate e ad hoc, ostinati silenzi di fronte all'evidente inconsistenza delle
ricostruzioni ufficiali e delle prove che le fondano, colpevoli inerzie e omissioni di fronte ad atti
dovuti, inspiegabili reticenze dei protagonisti: ecco gli ingredienti principali della situazione, del
resto ampiamente documentati dal lavoro della Commissione parlamentare sulle stragi presieduta
dal senatore Pellegrino. Il nostro Paese, così, si trova a dover costruire il suo futuro senza aver
chiuso davvero i conti con il suo passato. E il passato continua a tornare come un fantasma
avvelenando la vita pubblica. In Sudafrica, una nazione che siamo abituati a considerare meno civile
e meno matura della nostra, all'indomani della fine dell'apartheid e del dominio dei bianchi è stata
attivata una Commissione per la riconciliazione nazionale allo scopo di fare verità sul passato. Tutti
i responsabili di atti illegali, compresi i fatti di sangue, compiuti dalle due parti che li riferivano alla
Commissione, assumendosene la responsabilità, non erano più penalmente perseguibili. L'effetto del
lavoro della Commissione è stato positivo. Oggi il Sudafrica si trova a misurarsi con i terribili
problemi del suo presente e del suo futuro, ma non più con quelli del suo passato. È inutile negarlo,
la logica della Commissione sudafricana era cinica anche se saggia: rinunciare alla giustizia
facendone materia di scambio con la verità. Pur conoscendo bene il dolore delle vittime di quei
reati, mi domando se il nostro Paese non dovrebbe fare un'operazione analoga ottenendo finalmente
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una verità credibile e condivisa sulla stagione del terrorismo e delle stragi per poter costruire più
serenamente il proprio futuro. Altre volte ci siamo occupati di questo problema e abbiamo avanzato
la stessa proposta in questa nostra rubrica. Il brano riportato acquista, però, un particolare
significato perché scritto da Giovanni Moro, il figlio dello statista pugliese ucciso dalle Brigate
rosse. Apparve su La Stampa del 28 ottobre 2000.
CI VOGLIONO NOVE MESI. «Per fare il pane ci vogliono nove mesi», disse il padre. «A
novembre il grano è seminato, a luglio mietuto e trebbiato». Il vecchio contò i mesi: «Novembre,
dicembre, gennaio, febbraio, marzo, aprile, maggio, giugno, luglio. Fanno giusto nove mesi. Per
maturare l'uva ci vogliono anche nove mesi, da marzo a novembre». «Nove mesi?», domandò la
madre. Non ci aveva mai pensato. Ci vuole lo stesso tempo par fare un uomo (Ignazio Silone, Vino e
pane, 1936).
POESIA EUROPEA DEL NOVECENTO. L'unica parola senza travestimento. Mi hanno dato il
silenzio come una parola impossibile, / nuda e chiara come il fulgore di una lama invincibile, /
perché custodissi dentro di me / l'unica parola senza travestimento: / la Parola che mai si proferisce
(Adolfo Casais Monteiro, poeta portoghese, 1908 - 1972).
8 febbraio 2001.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Le cose da ammirare. Negli uomini le cose da ammirare sono più
di quelle da apprezzare (Albert Camus in La peste). Nel nemico l'amico da scoprire. Se è vero che
in ogni amico v'è un amico che sonnecchia, non potrebbe darsi che in ogni nemico vi sia un amico
che aspetta l'ora sua? (Giovanni Papini in Amici e nemici). Allora ci sentiamo colpiti al cuore. Ci
vogliono il tuo nemico e il tuo amico insieme per colpirti al cuore: il primo per calunniarti, il
secondo per venirtelo a dire (Mark Twain in Seguendo l'equatore). Un po' meno e un po' più. Si
hanno un po' meno amici di quanto si suppone, ma un po' più di quanti ne conosciamo (Hugo von
Hofmannsthal). Non possiamo farne a meno. Senza amici nessuno sceglierebbe di vivere, anche se
avesse tutti gli altri beni (Aristotele nell'Etica nicomachea). Insieme, nella stessa direzione. Amare
non è guardarsi l'un l'altro, è guardare insieme nella stessa direzione (Antoine de Saint-Exupèry in
Terra degli uomini).
IL GIUSTO CONVERSARE. Io vengo da un tempo molto umano, e sempre più remoto, in cui il
conversare era considerato un dono, un privilegio, l'usanza più lodevole. Non ci sono formalità da
sbrigare, non servono credenziali o registri per essere buoni conversatori. L'unico segno distintivo è
la facilità con cui essi accorciano le distanze e scoprono le proprie emozioni, i propri dubbi crucci e
progetti, come se sgranassero un rosario. Per un conversatore nessuno è più spregevole di un
pettegolo, anche se per sua sfortuna nessuno più di lui cammina vicino all'orlo di quel baratro.
Piuttosto che nuotare, mangiare, dormire o darsi ad analoghi piaceri, i conversatori preferiscono
scambiarsi parole. Soltanto i baci e ciò che ne consegue sono per loro piacevoli quanto le parole.
Forse perché i baci sono imparentati con le parole e l'amore può essere una conversazione perfetta.
COME GLI ALBERI, COSÌ ANCHE GLI UOMINI. Il grande albero, giunto dalla Carinzia e
montato in piazza San Pietro per il Natale dell'anno 2000, era alto più di trentacinque metri.
Giovanni Paolo lo ha accolto con queste parole: «Già nella mia patria, quand'ero fanciullo, imparai
ad amare gli alberi. Quando li si guarda, gli alberi cominciano a parlare. Il loro è un messaggio
profondo: non predicano dottrine, ma annunciano la legge fondamentale della vita... Come gli
alberi, così anche gli uomini hanno bisogno di radici ancorate nel profondo. Soltanto chi è radicato
in terra fertile è fermo, è forte. Può spingersi in alto ad accogliere la luce del sole e del pari
resistere al vento intorno a lui».
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L'ANGOLO DELLA PREGHIERA. Mandaci, o Dio, i folli di cui abbiamo bisogno. Mandaci, o
Dio, dei folli: quelli che s'impegnano a fondo, che sanno obliarsi, che amano sinceramente e non
solo a parole, che veramente sanno sacrificarsi fino alla fine. Abbiamo bisogno di entusiasti, di
creature capaci di salti nell'incerto, nell'ignoto sempre più vasto della povertà: che accettino, gli uni
di perdersi tra la massa anonima senza alcun desiderio di farsene un trampolino di lancio, gli altri di
servirsi della superiorità acquisita unicamente al servizio di essa. Non sempre però questo salto
consiste nel rompere i ponti col proprio ambiente e col proprio sistema di vita, ma è piuttosto una
rottura fors'anche più profonda con quell'intimo egocentrismo del proprio io, che fino a questo
momento ha dominato incontrastato. Abbiamo bisogno di folli del nostro tempo, amanti di una vita
semplice, difensori delle classi più umili, alieni da ogni compromesso, decisi a non mai tradire,
sprezzanti della loro stessa vita, pronti ad una abnegazione totale, capaci di accettare qualsiasi
compito, di partire per obbedienza verso qualsiasi destinazione, liberi e sottomessi al tempo stesso,
spontanei e tenaci, dolci e forti (Fr. Louis Joseph Lebret o.p.).
POESIA EUROPEA DEL NOVECENTO. Crepuscolo. Soffia la brezza con impeto lieve / e fa
agitare lentamente i fiori; / nei cuori e in tutto il creato regna / il vespero rosato, ora piena di
profumi. Dorato momento del giorno che suscita memori sogni, / in cui l'animo è presago del
sereno, dell'eterno riposo e contempla / come per l'ultima volta ogni / indimenticabile esperienza: /
bionde dal collo di giglio, amori, occhi / azzurri, teneri, ormai spenti e baci e fremiti / e lacrime:
vani doni invidiati / della vita che lentamente si spegne e finisce / come il viola cupo di questo
tramonto che si tinge sempre di più (Lorenzo Mavilis, poeta greco, 1860 - 1912).
15 febbraio 2001.
LINEA RECTA BREVISSIMA. La frenesia degli "instancabili". C'è stato un dittatore che vegliava
su di noi. Forse era meglio che dormisse. A tutti gli instancabili della penisola vorremmo estendere
questo appello: riposatevi. Non siete insostituibili, soprattutto se divenite instancabili. La gente, a
quel punto, è già stanca di voi. Voi non potete neanche immaginare come il riposo sia favorevole al
pensiero (Giuseppe Pontiggia).
A chi vuol essere troppo moderno. Non c'è niente di più pericoloso che essere troppo moderni: si
corre il rischio di passare di moda da un giorno all'altro (Oscar Wilde). Il culto del superfluo. Nella
vita moderna il superfluo è tutto (O. Wilde).
Nella mappa del mondo il paese di Utopia. Una mappa del mondo che non includesse il paese di
Utopia non meriterebbe neppure uno sguardo, perché escluderebbe il paese al quale l'umanità è
sempre approdata: e quando vi approda, subito si guarda intorno e di nuovo parte per un paese
migliore. Il progresso non è altro che la realizzazione di Utopia (O. Wilde).
GRANDEZZA STORICA O GRANDEZZA DIABOLICA? Alla domanda che di tanto in tanto torna
circa la grandezza storica di Hitler, uno dei dominatori della scena del mondo nel secolo XX, che
cosa si può rispondere? Le considerazioni più oneste e rigorose sull'argomento mi sembrano quelle
svolte da uno storico tedesco, Karl Dierich Erdmann.
«Si può attribuire una grandezza ad un uomo che considerava la coscienza una invenzione degli
ebrei? Hegel era convinto che la personalità storica mondiale non potesse essere valutata con i
criteri normali, e Burckhardt stabilì per la grande personalità storica una dispensa dalla legge
etica comune. Ma entrambi non contemplavano certo la possibilità del crimine puro che Hitler
esercitò nei confronti degli ebrei, nei confronti degli altri popoli e, non ultimo, nei confronti dello
stesso popolo tedesco. Questa affermazione naturalmente non deve impedirci di vedere che quel
primo attributo con il quale Burckhardt definisce la grandezza storica, l'attributo cioè del
movimento mondiale concentrato in singoli individui, in Hitler non c'è. La grandezza di Hitler, che
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disorientò le menti per poi mettere il mondo a ferro e fuoco pochi anni dopo l'ascesa vertiginosa al
potere, trascinando il suo popolo nella rovina più totale, è solo diabolica».
BISOGNA PURIFICARE IN NOI IL DESIDERIO DI GRANDEZZA. La prima radice Simone
Weil, spentasi nell'agosto del 1943, quando la Seconda Guerra mondiale era in pieno svolgimento,
aveva affrontato lo stesso problema, prefigurandosi col solito acume la suggestione che avrebbe
potuto esercitare fra venti, cinquanta, cento o duecento anni su un adolescente sognatore e solitario,
tedesco o no, la raffigurazione di Hitler come un essere che ha avuto un destino grandioso. E se
quell'adolescente arriva a desiderare con tutta l'anima un uguale destino, c'è da temere molto. Scrive
Simone Weil: «La sola punizione capace di ridurre Hitler a quello che realmente è, e di distogliere
dal suo esempio gli adolescenti affamati di grandezza che vivranno nei secoli a venire, è una così
completa trasformazione del senso della grandezza, che necessariamente lo esclude. (...) E per
contribuire a quella trasformazione bisogna averla compiuta in noi stessi: In quello stesso momento
ciascuno di noi può dare inizio alla punizione di Hitler nell'interno dell'anima propria, modificando
profondamente il sentimento di grandezza». Finché il senso di grandezza, «il desiderio di passare
alla storia» è dominante nelle aspirazioni e nelle azioni umane, non si riuscirà a mettere
effettivamente al bando della coscienza umana la tirannide e l'oppressione e i grandi criminali
continueranno a proporsi come modelli.
Ho ritrovato con vero piacere questo testo di Simone Weil in un'opera appassionata e profonda,
illuminante come poche altre, uscita proprio in questi giorni presso la Morcelliana di Brescia: La
politica e il male di Michele Nicoletti.
POESIA CINESE. Perché sono così contento? Di buon mattino appena alzato canto, / come uccello
sull'albero; / il mio canto è così lieto, / manifesta una sola gioia senza pari... / Perché sono così
contento, / canto e canto e non mi so fermare? / Non v'è che una ragione: / ho un amico che arriva
da lontano (Ai Qing, 1910 - 1996. Dalla raccolta di poesie cinesi Ho un amico che arriva da
lontano, pubblicata dall'Editrice Flaminia di Pesaro).
22 febbraio 2001.
LINEA RECTA BREVISSIMA. L'abisso che attira Dio. L'anima umana è come un abisso che attira
Dio, e Dio vi si getta (Julien Green). Amore e amor proprio. Non l'amore bisognava dipingere cieco,
ma l'amor proprio (Voltaire, Lettera a Damilaville, 11 maggio 1764). Amore e speranza. Una grande
speranza è prova di un grande amore (Honoré de Balzac). Ci vuole immaginazione. In amore non c'è
disastro più spaventoso che la morte dell'immaginazione (George Meredith). La tenerezza non ha
nulla a che fare con il dolciastro. L'amore non sa di zucchero (Hugo von Hofmannsthal ne L'uomo
difficile). Chi fa problema. Amore è tutto ciò che aumenta, allarga, arricchisce la nostra vita verso
tutte le altezze e tutte le profondità. L'amore non è un problema, come non lo è un veicolo;
problematici sono soltanto il conducente, i viaggiatori e la strada (Franz Kafka in Conversazioni con
Gustav Janouch).
JOHAN HUIZINGA, GRANDE STORICO E GRANDE EUROPEO. Nel 1940, quando le armate
hitleriane occuparono l'Olanda, Johan Huizinga aveva sessantotto anni. Lo storico, autore di libri
memorabili come L'autunno del Medioevo e La crisi della civiltà, fu internato in campo di prigionia
e anche lì continuò la sua lotta «contro la morte di ogni libertà». Ammalatosi nel '43, affrontò la
prova col solito coraggio, ma si spense il 1° febbraio del '45, mentre guizzavano gli ultimi bagliori
della guerra, con il presagio sicuro della liberazione imminente del suo Paese e con la speranza in
un ritorno all'umana, civile convivenza tra i popoli.
Qualche anno prima fu chiamato a tenere a Vienna una conferenza sul tema che domina tutta la sua
ricerca storica. La conferenza, che aveva per titolo L'uomo e la cultura, venne fissata per il maggio
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del '38, ma non fu mai tenuta perché l'Anschluss lo impedì. Quella conferenza, pubblicata in italiano
nel '47 e poi nel '48, è come il testamento spirituale di Huizinga e meriterebbe di essere conosciuta
anche dai giovani di oggi. Di essa mi è caro proporre qualche riflessione.
UNA FERITA NEL CORPO DELLA NOSTRA CULTURA. «È una vecchia dottrina quella dello
Stato amorale: Machiavelli e Hobbes credettero di leggerla nella realtà e la maggior parte degli
uomini politici operano secondo essa, anche senza riconoscervisi del tutto. Per lungo tempo
l'amoralità politica trovò un contrappeso nell'idea cristiana. Quanto più forti furono i mezzi di
dominio e la giurisdizione dell'attività dello Stato, tanto più pericolosa fu quella dottrina. Lo Stato
che si eleva a norma di tutte le cose e nello stesso tempo proclama il carattere amorale della sua
politica è il meno indicato alla guida etica di un popolo. Quando lo Stato pretende di essere al dei
sopra della morale dichiara l'ambito della sua azione come fonte del male e formalmente attira lo
scatenarsi della malvagità umana, sempre uguale a se stessa. È mia intima convinzione che la
dottrina dello Stato amorale costituisce una ferita aperta nel corpo della nostra cultura. Una ferita
che fa incancrenire il corpo».
... E LA VIA DEL RISANAMENTO. «Se il risanamento morale della cultura non possiamo
attenderlo dallo Stato come tale, di dove potrebbe venire? Potrebbe evidentemente avere inizio dalla
diffusione di una genuina, profonda fede, da una pura e viva fede. Da lì potrebbe prender le mosse
la semplificazione della cultura, che ci sembra sempre più indispensabile, e il suo radicarsi
consapevolmente nei fondamenti della nostra via spirituale.
Per l'Occidente questa fede non potrebbe essere che quella cristiana. La nostra cultura, nonostante
ogni apostasia e ogni rinnegamento, è cultura cristiana. La concezione cristiana del mondo rimane
l'atmosfera di vita di tutti i popoli dell'Occidente. Coloro che, senza un'appartenenza confessionale o
un'esplicita concezione filosofica del mondo e della vita, percorsero per un tratto più di una via del
pensiero, trovarono, alla fine dei loro percorsi, che la più adeguata espressione del rapporto umano
con la realtà sta nell'etica cristiana e nei fondamentali concetti religiosi della grazia e della
redenzione. E, se anche ciò fosse per alcuni soltanto un presentimento e una speranza, ciò
basterebbe a conferire alla loro vita dignità e valore».
1 marzo 2001.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Finita la festa. Finita la festa / sai cosa resta: / qualche carta per
terra / portata dal vento... / Nel cuore della gente / una grande nostalgia / per chi se ne va via
(Riccardo Regosa). Un'incredibile idiozia. Secondo una certa Tradizione la Regalità si trasmette
jure sanguinis: solamente chi appartiene a una Stirpe Reale può legittimamente regnare. Il fluido
misterioso contenuto nel sangue reale è dato dalla grazia dello Spirito Santo insita ab origine nel
sangue di ogni Dinastia Reale. (Queste affermazioni si leggono nel volume La regalità: miti,
simboli e riti, Oggero Editore, Carmagnola 1998).
L'eredità del Novecento. Quella dei cent'anni appena trascorsi è stata una realtà così profondamente
difforme nelle sue luci e nelle sue ombre, da annoverare il meglio e il peggio che si potesse
immaginare: imprese mirabili e tragedie terribili, stupefacenti progressi e drammi epocali. E le sue
propaggini, i suoi lasciti, non si prestano a prognosi univoche (Valerio Castronovo nel suo librobilancio sul secolo appena concluso, edito da Einaudi).
UNA NUOVA METAFISICA FONDATA SULLA REALTÀ DELLA LEGGE MORALE. Per Kant
la legge morale è dotata di un'intrinseca certezza, non sfiorata e tanto meno incrinata dal dubbio che
ci può cogliere in sede teoretica dinanzi ai più ardui problemi del pensiero speculativo. Kant, che
pure conosceva molto bene le istanze scettiche di Hume e le esigenze libertarie di Rousseau, scopre
che la legge morale, scaturiente dall'intimo della natura razionale dell'uomo, è il più certo
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documento della libertà umana e la premessa di ogni vita sociale, che riequilibri l'insocievole
socievolezza dell'uomo in giusti rapporti in cui si rispetti la dignità di fine che spetta ad ogni
persona. La legge morale costituisce per il filosofo di Koenigsberg il pungolo sempre vivo ed attuale
a costruire una metafisica di tipo nuovo, che non è una pia illusione, ma poggia su una realtà che
l'uomo scopre in se stesso: una metafisica che Kant non si limita a pensare e ad affermare
genericamente, dando invece ad essa una consistenza ed un corpo dottrinale, una giustificazione
esauriente, anche se non completa sotto tutti gli aspetti.
«DOVERE! NOME SUBLIME E GRANDE... ». Ha veramente onorato l'umanità e la filosofia chi
ha potuto scrivere nella Critica della Ragion pratica, e confermare con tutta una vita nobile ed
austera, una pagina così insolitamente vibrante di pathos come la seguente: «Dovere! Nome sublime
e grande, che non implichi nessun oggetto di amore sensibile che possa attrarre con lusinghe, ma
chiedi sommessa obbedienza. Per muovere la volontà tu non minacci qualcosa che susciti
nell'animo ripugnanza e timore, ma esprimi soltanto una legge, che trova spontaneo adito
nell'animo umano e, anche se il volere recalcitra, si acquista rispetto ancorché non sempre sia
praticata: una legge dinanzi alla quale tutte le inclinazioni tacciono, benché occultamente vi
contrastino. Qual è l'origine degna di te e dove si trova la radice del tuo nobile linguaggio, che
esclude ogni affinità con le tendenze istintive, e dalla quale dipende la condizione necessaria del
valore che solo gli uomini possono attribuirsi? Non può essere nulla di meno di ciò che eleva
l'uomo al di sopra di se stesso, come parte del mondo sensibile, e lo inserisce in un ordine di realtà
che solo l'intelletto può pensare».
I COCKTAIL. Per incontrare quanta più gente possibile nel giro delle stesse tre ore, si radunano in
piedi molte persone che girano cominciando conversazioni senza futuro con gli uni e becchettando
gli altri con un saluto, un complimento, un addio, un «ci vediamo» che quasi sempre non ha seguito.
Poche altre invenzioni sono altrettanto aberranti e faticose. In pochi altri luoghi le parole diventano
tanto banali e inascoltate. Eppure, partecipare ad un cocktail non è mai considerato una perdita di
tempo (Angeles Mistretta).
POESIA EUROPEA DEL NOVECENTO. Il ramoscello di follia di noi poeti. Tutti insieme ci
muoviamo, in massa, / andando in cerca di una rima. / Una così nobile ambizione / è diventata lo
scopo della nostra vita.
Mutiamo con suoni e sillabe / i sentimenti nei nostri cuori di carta, / pubblichiamo le nostre poesie, /
per farci chiamare poeti.
Lasciamo i capelli al vento / e la cravatta. Prendiamo pose. / Giudichiamo insopportabile, prosastica
/ la compagnia degli uomini semplici.
Solamente per noi esistono / le creature di Dio e, certamente, tutta la natura. / Per mandare
corrispondenze alla terra, / siamo saliti sulle stelle del cielo (Kostas Kariotakis, poeta greco, 1896 1928).
15 marzo 2001.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Chi non ha nulla. Chi non dà nulla, non ha nulla. La disgrazia più
grande non è non essere amati, ma non amare (Albert Camus, Taccuini, III vol.). Che cosa cambia
con Cristo. Con Cristo finisce la morte, che cominciò con Adamo (A. Camus, ibid.).
Per ascoltare il cuore. La bocca custodisce il silenzio per ascoltare il cuore che parla (Alfred de
Musset). Una parola non è la stessa. Una parola non è la stessa in uno scrittore o in un altro. Uno se
la strappa dalle viscere, l'altro la tira fuori dalla tasca del soprabito (Charles Péguy). Come in teatro,
così nella vita. Non esistono parti piccole o grandi, ma piccoli o grandi attori (Konstantin S.
Alekseev, regista e teorico russo dell'arte teatrale, 1863 - 1938).
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LE TRE FAMOSE DOMANDE DI KANT. Kant pone al termine della Critica della ragion pura tre
famose domande: «Che cosa posso conoscere? Che cosa debbo fare? Che cosa mi è concesso
sperare?». La prima domanda investe il problema della conoscenza. Il termine usato da Kant è
wissen, la conoscenza rigorosa, universale e necessaria. L'oggetto reale dell'interrogazione non
riguarda il contenuto della conoscenza, ma la determinazione dei suoi limiti. Va da sé che un
discorso sui limiti entro i quali possiamo conoscere diventa un discorso sulla condizione umana
colta in un atteggiamento fondamentale, quello dell'uomo che misura le sue possibilità di conoscere
il vero.
La seconda interrogazione si riferisce all'attività pratica, all'azione che cosa debbo fare? In questa
domanda il verbo usato da Kant ha un suo rilievo particolare: non müssen ma sollen, non una
necessità che costringa in forma deterministica, ma il dovere liberamente seguito di far esistere ciò
che la ragione comanda. E il presupposto del dovere è la libertà in cui la persona trova la sua
consistenza.
La terza domanda si pone lungo l'ardua frontiera tra conoscenza e moralità da un lato e salvezza
dall'altro, tra filosofia e religione. Anche in questo caso va richiamata l'attenzione sul verbo usato da
Kant: dürfen, nel senso di mi è concesso, mi è permesso. Tale verbo è unito a hoffen che significa
sperare, aprire un orizzonte. Entro i limiti di una conoscenza interrotta e nell'impegno di una libertà
così pura da presentarsi di tanto difficile esercizio, che cosa mi è lecito sperare? La speranza è come
un ponte lanciato oltre il confine del conoscere e l'efficacia dell'azione. Lanciato verso dove? Verso
una ulteriorità che oltrepassa il conoscere rigoroso e la disciplina del dovere per situarsi nel contesto
di un'esperienza religiosa (A. Rigobello, Perché la filosofia, Editrice La Scuola, Brescia, pp. 23 25).
Una ricerca che non tenti di rispondere con rigore a ognuna di quelle tre domande non può dirsi
propriamente filosofica. La filosofia è, infatti, individuata nella sua specificità proprio da quei tre
interrogativi. Se così non fosse, non varrebbe una sola ora di pena.
«NON DICO PIÙ: NON M'IMPORTA PIÙ NIENTE». «Ci si abbandonava smodatamente alle
proprie tristezze, sino all'autodistruzione»: è diventata una frase leggendaria. Ora non succede più.
Anche nei giorni di grande stanchezza e tristezza non mi lascio più cadere così in basso. La vita
rimane una corrente ininterrotta, forse in certi giorni un po' più lenta e ostacolata, ma continua
tuttavia a scorrere. Non dico più: sono così infelice, non so più che fare, non m'importa più niente.
Una volta, avevo ogni tanto la pretesa di essere la persona più infelice di questa terra... (Etty
Hillesum, Diario 1941 - 1943, Adelphi 1990, pp. 112 - 113 - 18 maggio 1942).
L'ANGOLO DELLA POESIA. Il girasole. Ho accanto un fiore / nello studiolo antico / che sempre i
petali / volge alla luce; / ho un bel girarlo come a me piace: / non mi ubbidisce il fiore; / e se lo
volto ancora verso me, / lui sempre cerca i raggi del sole. / Ah, se fossi come quel fiore / in tutto il
mio agire, nei timori e nelle afflizioni, / dentro casa e fuori...
Buio e tristezza sovente / m'avvolgono: mali antichi / e nuovi, ferendomi l'anima, / mi abbattono: /
ma alla fine, o Dio, la mia oscurità / volgendosi a Te ritrova la luce, / i miei occhi chiusi Ti vedono, /
nuovamente respiro alla chiarità del sole (Guido Gezelle, poeta fiammingo, 1830 - 1899. Di lui si
possono leggere Poesie scelte nelle edizioni Mobydick di Faenza).
22 marzo 2001.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Le radici, il futuro. Se dimentichi le tue radici , perdi il tuo futuro
(Lino Ertani). A chi non piace il vino. A chi non piace il vino, il Signore faccia mancare anche
l'acqua (Da Il grande libro dei proverbi e dei detti popolari di Annalisa Strada, Piemme). Il reale e il
possibile. Il reale è circondato da un mare di possibilità, da cui di continuo sale una nuova realtà
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(Ernst Bloch).
La bellezza. 1. È meglio godere della bellezza di una rosa che studiarla al microscopio (Oscar
Wilde). 2. Il guardare una cosa è ben diverso dal vederla. Non si vede una cosa finché non se ne
vede la bellezza (O. Wilde).
In ogni epoca vi sono nuove forme di bellezza. Talora nelle nostre valutazioni ci dimentichiamo che
non esistono canoni fissi del bello e la perenne novità della poesia, come di qualsiasi arte, trova in
ogni epoca - e dunque anche nella nostra - nuove vie per offrire agli uomini il suo dono. Il Bello,
quello naturale così come quello artistico, non è solo ciò che piace. Oltre ad essere una festa per gli
occhi, esso nutre lo spirito e lo illumina, pone tutto l'uomo nella condizione di sentire il mondo
come luogo di segrete corrispondenze e di irradiamento del divino (Levi Appulo).
L'EROE TRAGICO DEL NOVECENTO: «L'UOMO CHE SI LAVA LE MANI». Il capolavoro di
Michail Bulgakov (1891 - 1940), Il Maestro e Margherita, non è affatto un romanzo su Cristo, ma
su Pilato. Solo Pilato corrisponde qui all'immagine che emerge dalle scarne testimonianze del
Vangelo. A Bulgakov interessava innanzi tutto un tema. «L'uomo che si lava le mani». Questo è il
tema immenso e tragico di tutto il XX secolo. Anche il Maestro è, a modo suo, una sorta di Pilato. E
Bulgakov, identificandosi con lui, cerca se non di giustificare il lavarsi le mani, almeno di mettere in
luce la tragicità di quel gesto e i tormenti che dilaniano quanti lo compiono. Pilato e il Maestro è
come se si trovassero con le spalle al muro: in questa situazione come non cercare indulgenza per
loro?
Bulgakov vuol leggere nel profondo dell'anima di queste persone e, nello stesso tempo, essere
misericordioso nei loro confronti. Si tratta di una combinazione assai sottile di smascheramento e di
comprensione. Il Maestro è completamente distrutto dalla patologia del terrore: un abito mentale
tipico dei «figli degli anni terribili della Russia». Sarebbe, dunque, disumano dirgli: «Smettila di
comportarti come Pilato».
Queste riflessioni su una delle più grandi opere letterarie del Novecento sono riprese da una lettera
del 1971 in cui il sacerdote ortodosso Aleksandr Men' analizza i contenuti religiosi de Il Maestro e
Margherita. Il testo della lettera si può leggere integralmente nel fascicolo del marzo 2000 della
rivista «La Nuova Europa». Nei «Meridiani» Mondadori è apparso il corposo volume Romanzi e
racconti di Bulgakov, introdotto da Marietta Cudakova e annotato, con eccezionale competenza e
finezza, da Adriano Dell'Asta.
«SII PURE TRISTE, MA NON COSTRUIRCI SOPRA DEI DRAMMI». Veditela con te stessa, non
trattare gli altri mettendo tutto sul piano della suscettibilità. Non farti prendere da un'atmosfera, da
un momento per di più di indolenza, ma tieni presente le grandi linee e le grandi direzioni. Sii pure
triste, semplicemente e sinceramente triste, ma non costruirci sopra dei drammi. La persona deve
essere semplice anche nella sua tristezza, altrimenti la sua è soltanto isteria. Dovresti rinchiuderti in
una cella spoglia, e startene sola con te stessa, finché non ti sia posta nuovamente in chiaro con te
stessa, e tutte le isterie non ti siano passate (Etty Hillesum, Diario 1941 - 1943, Adelphi 1990, p.
124 - giugno 1942).
«RITROVO ME STESSA E LA MIA UNITÀ». Le minacce e il terrore crescono di giorno in giorno.
M'innalzo intorno la preghiera come un muro oscuro che offra riparo, mi ritiro nella preghiera come
nella cella di un convento, ne esco fuori più "raccolta", concentrata e forte. Questo ritirarmi nella
chiusa cella della preghiera diventa per me una realtà sempre più grande, e anche un fatto sempre
più oggettivo. La concentrazione interiore costruisce alti muri fra cui ritrovo me stessa e la mia
unità, lontana da tutte le distrazioni. E potrei immaginarmi un tempo in cui starò inginocchiata per
giorni e giorni - sin quando non sentirò di avere intorno questi muri, che m'impediranno di
sfasciarmi, perdermi e rovinarmi (Etty Hillesum, ibid. pag. 111 - 12 maggio 1942).
12
29 marzo 2001.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Buon segno, se ti ripugna. La ripugnanza a compiere un'azione
buona è segno che essa è veramente buona (Simone Weil).
Tre persone in un unico "io". In ciascuno di noi ci sono tre persone: quella che vedono gli altri;
quella che vediamo noi; quella che vede Dio (Miguel de Unamuno).
Risalire alla sorgente. Il senso del mondo deve essere fuori di esso (Ludwig Wittgenstein, Tractatus
logico-philosophicus, 1921).
PAVEL FLORENSKIJ, IL LEONARDO RUSSO. DAL GULAG STALINIANO LETTERA A UNA
FIGLIA CHE NON FA BENE A SCUOLA. «12 novembre 1933. Cara Olecka (diminutivo della
figlia maggiore Olga), innanzi tutto non preoccuparti per i tuoi insuccessi a scuola: tutto andrà bene
e si aggiusterà nel modo migliore. Studia con tranquillità, momento per momento, ciò che ti è
accessibile; cresci, completa il tuo sviluppo e sii sicura che tutto quello che accumulerai con il tuo
lavoro oggi, che sei giovane, un giorno ti servirà; succederà anzi che ti occorrerà proprio questo
sapere che ora può sembrarti insignificante. Te lo dico sulla base di una lunga esperienza di vita.
Che devi fare allora? Per prima cosa bisogna acquisire certe nozioni che sono necessarie
indipendentemente dal mestiere che farai in seguito: lingue, letteratura, matematica, fisica e scienze
naturali, almeno un po' di disegno, ma anche pittura e musica. Queste cose sono indispensabili in
qualunque situazione di vita e qualsiasi attività si svolga. Impara ad esporre i pensieri, i tuoi e quelli
degli altri, impara a descrivere; acquista l'abitudine ad un atteggiamento attento verso la parola, lo
stile, la costruzione del discorso. È bene che tu abbia cominciato a studiare il tedesco in modo serio;
non dimenticare però di studiare anche il francese: per questo leggi ogni giorno almeno una pagina,
ma assolutamente a voce alta, e cerca le parole sconosciute nel vocabolario. Non è male anche
leggere in francese avendo la traduzione russa del testo anche per cogliere i pregi e i difetti.
In generale cerca di far sì che le lingue, quella russa come quelle straniere, siano per te un suono
vivo e non solo segni sulla carta. Ricorda pertanto di leggere ad alta voce anche gli scritti russi,
almeno una parte, per cogliere la perfezione del suono e il ritmo sia dal punto di vista sonoro, sia da
quello contenutistico ed espressivo. Leggi immancabilmente a voce alta le poesie belle, soprattutto
quelle di Puskin e di Tjutcev; anche gli altri ascoltino, per imparare e riposarsi (...).
Per la matematica, cerca non solo di ricordare cosa e come fare, ma anche di capirlo e di
apprenderlo come si apprende un brano musicale. La matematica non deve essere nella mente come
un peso portato dall'esterno, ma un'abitudine del pensiero: bisogna imparare a vedere i rapporti
geometrici in tutta la realtà e a individuare le formule di tutti i fenomeni (...).
Un bacio forte a te, cara Olecka, e bacia la tua mammina. Vivi con forza e allegria, lavora e sii sana.
Tuo papà».
«NON DIMENTICATEMI». La stupenda lettera che qui ho riportato è tratta da uno dei documenti
più alti che solo dall'ottobre scorso sono entrati a far parte del nostro patrimonio spirituale. Parlo del
volume: Pavel Florenskij, Non dimenticatemi, pubblicato da Mondadori. Il libro raccoglie le lettere
alla moglie e ai figli che il grande matematico, filosofo e sacerdote russo, scrisse durante gli anni
della prigionia e la sua detenzione alle isole Solovski, uno dei più terribili luoghi della repressione
staliniana, tra il maggio 1933 e il giugno 1937. Arrestato in base ad accuse del tutto inventate,
Florenskij divenne per tutti i carcerati che ebbero la ventura di conoscerlo un sostegno e una luce.
Persino alle Solovski continuò ad applicare la sua straordinaria intelligenza scientifica e tecnica
scoprendo, tra le altre cose, un liquido anticongelante e il modo di estrarre lo iodio dalle alghe
marine. Benché le lettere che gli permettevano di inviare ai familiari, una la mese, fossero
sottoposte a rigorosa censura e in esse non comparisse mai la parola «Dio», l'epistolario di padre
Florenskij ha un rilievo esistenziale di grande eccezionalità, paragonabile a Resistenza e resa di
Dietrich Bonhoeffer o ai Diari di Etty Hillesum.
La data e le modalità della morte di Florenskij sono rimaste sconosciute fino a poco tempo fa. Solo
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ora sappiamo che il suo nome fu incluso il 25 novembre 1937 in una lista di condannati a morte al
numero 190. Il massacro fu eseguito l'8 dicembre dello stesso anno.
5 aprile 2001.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Si celebra ogni giorno. Voglio dirvi un gran segreto, mio caro: non
aspettate il giudizio finale, perché si celebra ogni giorno (Albert Camus, La caduta). L'ammirazione
per gli sciocchi. Uno sciocco trova sempre uno più sciocco che l'ammiri (Nicolas Boileau, Arte
poetica, 1676). La fede messa a dura prova. La predica è utile perché spesso mette a dura prova la
fede di chi l'ascolta (Julien Green). Ciò che veramente illumina la conoscenza. Non è la conoscenza
che illumina il mistero; è il mistero che illumina la conoscenza (Pavel Evdokimov, teologo
ortodosso del Novecento).
PROFESSIONE DI FEDE NELLA VITA. Ogni tanto è inevitabile che ci si senta tristi e abbattuti
per quel che ci fanno, è umano e comprensibile che sia così. E tuttavia siamo soprattutto noi stessi a
derubarci da soli. Trovo bella la vita e mi sento libera. I cieli si stendono dietro di me come sopra
me. Credo in Dio e negli uomini e oso dirlo senza falso pudore. La vita è difficile, ma non
insopportabile. Dobbiamo cominciare a prendere sul serio il nostro lato serio, il resto verrà allora da
sé: e «lavorare a se stessi» non è proprio una forma di individualismo malaticcio. Una pace futura
potrà essere veramente tale solo se prima sarà stata trovata da ognuno in se stesso - se ogni uomo si
sarà liberato dall'odio contro il prossimo, di qualunque razza o popolo, se avrà superato quest'odio e
l'avrà trasformato in qualcosa di diverso, forse alla lunga in amore se non è chiedere troppo. È
l'unica soluzione possibile. E così potrei continuare per pagine e pagine. Quel pezzetto d'eternità che
ci portiamo dentro può essere espresso in una parola come in dieci volumoni. Sono una persona
felice e lodo questa vita, la lodo proprio, nell'anno del Signore 1942, l'ennesimo anno di guerra (Etty
Hillesum, Diario 1941 - 1943, Adelphi, 1990, p. 127 - 20 giugno 1942).
«DILLO AI FIGLI, COME POTRAI». 18 marzo 1934 - Le due di notte - Skovorodino. Cara Annulja
(vezzeggiativo di Anna), se voi poteste sentire e capire quanto amo tutti voi e quanto soffro per voi,
sareste più sollevati. Ma non so come aiutarvi e non so neppure come esprimere il mio amore.
Sappiate comunque che siete per me più cari della vita e che sarei pronto a sacrificare tutto per voi,
purché foste un po' sollevati e steste bene... Più volte al giorno immagino e accarezzo, come posso,
ciascuno di voi nella mia mente, e per ciascuno il cuore mi duole in modo particolare. Dillo ai figli,
come potrai. Non posso scrivere loro, sono ancora piccoli e non capirebbero le mie parole: un
giorno le capiranno, quando cresceranno. Un bacio forte a te, cara; abbia cura di te stessa e dei figli.
La sera guarda le stelle. Io ogni giorno, quando da noi sono le dieci, le dodici, guardo la Fascia di
Orione. A volte la guardo all'una di notte. Ti bacio ancora una volta (Pavel Florenskij, Non
dimenticatemi - Dal gulag staliniano le lettere alla moglie e ai figli, trad. it. Mondadori, Milano
2000, pp. 103 - 105 passim).
SE SI FA UN BILANCIO... Le dittature sono regimi di emergenza e possono anche rendere buoni
servigi finché dura l'emergenza. Poi il dittatore, a furia di specchiarsi negli occhi e nelle parole dei
piaggiatori di cui regolarmente si circonda (Mussolini non volle altri intorno a sé), finisce per
perdere il senso della realtà. «È diventato il monumento di se stesso» diceva Bottai. E Balbo, più
drasticamente: «Crede di essere Giulio Cesare, e invece è soltanto Cola di Rienzo, di cui dovremmo
fargli fare la fine». Purtroppo, se si fa un bilancio di quello che all'Italia il fascismo ha reso e di
quello che le è costato, bisogna convenire che il conto non è in pareggio, e tanto meno in attivo
(Indro Montanelli in «La stanza» sul Corriere della Sera del 4 novembre 1999).
SULLA PASQUA. Quarta stazione. La quarta stazione è Maria che ha tutto accettato. / Anche lei è
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all'angolo della strada che attende / il bene di tutti i Poveri... /.I suoi occhi sono senza lacrime, / la
sua bocca non ha saliva. / Non dice una parola e guarda, guarda Gesù che viene. / Accetta. Accetta
ancora una volta. Il grido / spasima trattenuto, nel cuore fermo e contratto. / La madre guarda il suo
Figlio, la chiesa il suo Redentore. / Non una fibra nel cuore trafitto che non accetti e non acconsenta.
/ Come il suo Dio che è là, essa è tutta presente. / Accetta e guarda quel Figlio formato nel suo
grembo. / Non dice una parola: guarda, guarda il Santo dei Santi (Paul Claudel).
12 aprile 2001.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Se l'antipatia è violenta... Le antipatie violente sono sempre
sospette e tradiscono una segreta affinità (William Hazlitt). Di solito si detesta chi ci assomiglia e i
nostri stessi difetti, visti dal di fuori, ci esasperano (Marcel Proust). Che l'apparenza diventi realtà.
Sii quello che sembri (Lewis Carrol in Alice nel paese delle meraviglie). L'approvazione, uno
stimolante ed una tentazione. L'approvazione degli altri è uno stimolante, del quale però è bene
diffidare talvolta (Paul Cézanne nella Lettera a Louis Aurenche, 21 gennaio 1906). Paesaggio e
architettura. Una casa non deve mai essere su una collina o su qualsiasi altra cosa. Deve essere
della collina, appartenerle in modo tale che collina e casa possano vivere insieme, ciascuna delle
due più felice per merito dell'altra (Frank Lloyd Wright nella sua Autobiografia). Aggiungere
qualcosa di bello alla creazione. La volontà e ogni umile segreto gesto dell'uomo teso all'amore del
bene e del bello, per la sua inestimabile ed esclusiva facoltà di aggiungere liberamente un qualcosa
in più, altrimenti assente, all'incessante divenire dell'universo; è sempre un atto che vale di per sé
(Giulio Onofri).
«ECCO QUELLO CHE NON POSSO NON SCRIVERVI». 1. Abbiate per ognuno il rispetto dovuto,
non adulate nessuno. Miei cari, in questo difficile periodo, gli amici e i conoscenti ci hanno molto
aiutato, e senza il loro aiuto non saremmo sopravissuti. Molti hanno manifestato una bontà e
un'attenzione che noi non abbiamo meritato. Anche voi, miei cari, siate sempre nella vita buoni e
attenti verso le persone. Non dovete mettervi a sperperare i beni, o le carezze e i consigli. Non
occorre la beneficenza. Cercate piuttosto di essere vigilanti e tempestivi nel soccorrere
concretamente tutti i bisogni d'aiuto che Dio vi farà incontrare. Siate buoni e generosi... Abbiate per
ognuno il rispetto dovuto, non adulate nessuno e non umiliatevi, ma non giudicate le questioni che
non vi sono state affidate. Occupatevi dell'opera vostra, cercate di compierla nel migliore dei modi,
e tutto ciò che fate, fatelo non per gli altri, ma per voi stessi, cercando di trarre da tutto vantaggio,
conoscenza, alimento per l'anima, perché neppure un solo istante della vostra vita scorra accanto a
voi senza che abbia senso o contenuto (3 giugno 1920).
2. Non vivere come capita. Amati figlioletti, il mio cuore si strugge per voi. Quando sarete grandi,
capirete quanto si strugga il cuore di un padre o di una madre per i figli. Mi vengono tanti pensieri e
sentimenti, ma non ho né il tempo né le forze di scriverli. Ecco, però, quello che non posso non
scrivervi: «Abituatevi, educate voi stessi a fare perfettamente, con cura e precisione tutto ciò che
fate. Il vostro agire non abbia niente di impreciso, non fate niente senza provarvi gusto, in modo
grossolano. Ricordatevi che nel pressappochismo si può perdere il senso della vita, mentre nel
compiere e al giusto ritmo anche le cose che sembrano di secondaria importanza si possono scoprire
molti aspetti che per voi potranno essere, in seguito, fonte profondissima di un nuovo atto creativo»
(Notte tra sabato 19 e domenica 20 marzo 1921).
3. Guardate le stelle o l'azzurro del cielo. È da tanto che voglio scrivere: osservate più spesso le
stelle. Quando avrete un peso nell'animo, guardate le stelle o l'azzurro del cielo. Quando vi sentirete
tristi, quando vi offenderanno, quando qualcosa non vi riuscirà, quando la tempesta si scatenerà
dentro di voi, uscite all'aria aperta e intrattenetevi da soli col cielo. Allora la vostra anima troverà la
quiete (14 agosto 1922).
Questi brani sono tratti dalle note testamentarie che Pavel Florenskij redasse nel corso di alcuni
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anni, tra l'aprile 1917 e il marzo 1923, quando la situazione divenne in Russia sempre più
insostenibile per i credenti e la loro persecuzione fu sistematicamente messa in atto. I testi sono
riportati in appendice al volume Non dimenticatemi di Florenskij, Mondadori, Milano 2000.
FRAMMENTO PER LA PASQUA. Nell'Orto degli Ulivi il terrore e l'angoscia / il sudore di sangue
/ il bacio in cui nell'ombra si confondono / la vittima e il carnefice. Ma ora tra le mura del Giardino /
erompe l'alba, rovescia la pietra tombale / e dalle bende si spande odore di gelsomino. / Al tocco di
una mano / una donna che piange volge il capo / e nel velo di lacrime non sa / scorgere il Santo
Volto. / Ma il suo cuore in un tremito / ne riconosce la voce, ne grida il nome / e, spaventata, fugge
sulla strada / tra deliri d'angoscia e di speranza. (Giovanni Cristini).
19 aprile 2001.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Il sogno di ogni epoca. Ogni epoca sogna quella dopo (Jules
Michelet, storico). Fedeli alla realtà della vita. Essere fedeli alla realtà delle cose, nel bene e nel
male, implica un amore integrale per la verità e una gratitudine totale per il fatto stesso di essere nati
(Hannah Arendt). Per molti purtroppo è così. La religione degli italiani è disancorata dal concetto di
verità (Lorenzo Chiarinelli, presidente della Commissione episcopale per la dottrina della fede e la
catechesi).
D'accordo con Mozart. Ho ascoltato i comizi di certi nostri politici, spacciatori di impossibili
felicità, e mi è venuta in mente l'osservazione che fece Mozart guardando un arciduca d'Austria: «La
stupidità gli cola dagli occhi» (Enzo Biagi sul Corriere della Sera dell'8 giugno 2000).
I FUNERALI DI BORIS PASTERNAK. Il 30 maggio del 1960 morì Boris Pasternàk. Morì escluso
dell'Unione degli scrittori e in grave disgrazia presso i governanti del suo Paese, insultato sui
giornali e tutto perché aveva ricevuto un Premio Nobel per la letteratura non gradito dalle autorità
sovietiche. Per questo motivo i giornali non avevano neppure comunicato dove e quando si
sarebbero svolti i funerali del poeta: il Governo aveva tenuto la cosa nel più rigoroso segreto.
Pasternàk, che viveva allora a Peredelkino, un piccolo centro vicino a Mosca, aveva lasciato
disposizione che lo seppellissero nel piccolo cimitero locale, un cimitero molto pittoresco, disposto
su una collina, che si vede dalle finestre della dacia di Pasternàk. Però nonostante tutto la gente
venne a sapere la data e il luogo delle esequie di Pasternàk e lo venne a sapere principalmente dalle
radio straniere.
Attorno alla casa di Pasternàk si raccolse una grande folla. Gli scrittori noti erano pochi, perché di
norma essi sono prudenti e temono sempre di dispiacere alle autorità; ma c'erano molti giovani,
molta gente comune e anche molti agenti della polizia segreta. Le autorità avevano escogitato un
espediente per rendere più sbrigativo il funerale: avevano cioè disposto che un furgone andasse a
prelevare la salma, benché ciò non sia affatto richiesto nei funerali russi. Infatti la gente ignorò
completamente la presenza del furgone e la bara di Pasternàk venne trasportata a braccia, attraverso
il bosco, fino al cimitero sulla collina. E questo assunse persino un carattere simbolico: il nostro
dolore era frammisto a uno slancio interiore, a una nuova consapevolezza. E poiché il cimitero si
trovava su una collina, a noi che portavamo e accompagnavamo la bara di Pasternàk sembrava non
di calare il poeta sotto terra, ma di innalzarlo verso il cielo. E benché gli agenti ci incalzassero
dicendo «Svelti, spicciatevi, sotterratelo!», direi che quello fu un momento di vera esaltazione.
Dopo la sepoltura molti dei convenuti non si decidevano ad allontanarsi dal cimitero,
incominciarono anzi a leggere versi del poeta, e questo continuò fino a notte fonda.
Questa bellissima, commovente testimonianza è stata resa da Andrej Sinjavskij a Brescia, quando il
16 ottobre 1986 lo invitai a tenere al Vanvitelliano una conferenza su «Libertà della cultura e diritti
dell'uomo». Sinjavskij, che aveva sfidato fino all'incoscienza il potere e i suoi segugi con lo
pseudonimo di Abram Terz, fu arrestato l'8 settembre 1965 e condannato il 12 febbraio 1966 per
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«delitto letterario». L'accademico Viktor Vinogradov, specialista di Gogol, aveva proposto al
giudice di definire il crimine di Sinjavskij «diversione stilistica antisovietica». Sinjavskij fu internato
in campo di concentramento e, dopo aver scontato la pena, emigrò in Francia nel 1974. Egli è forse
il più grande scrittore russo della seconda metà del Novecento. Il suo capolavoro in assoluto è
Buonanotte, tradotto in italiano da Garzanti.
POESIE SULLA PASQUA. Cristo in croce. Cristo in croce. I piedi toccano terra. / Le tre croci sono
di uguale altezza. / La nera barba pende sopra il petto. / Il suo volto non è quello dei pittori. /
L'uomo martirizzato soffre e tace. / La corona di spine lo tormenta. / Non lo tocca il dileggio della
plebe / che ha visto tante volte l'agonia. / La sua e di altri...
A lui importa il duro ferro dei suoi chiodi. / A noi ha lasciato splendide metafore / e una dottrina del
perdono tale / da annullare il passato (Jorge Luis Borges).
26 aprile 2001.
LINEA RECTA BREVISSIMA. La vera malattia del nostro Paese. In un Paese nel quale la
magistratura è sottoposta a violente critiche tendenti a delegittimarne la funzione e
l'amministrazione della giustizia, è oggetto di grave insoddisfazione nell'opinione pubblica, la
democrazia è malata e comunque in grave crisi. Questa pare a me l'attuale situazione italiana (Guido
Rossi). Nessuna assoluzione generalizzata, nessun invito all'impunità. Di fronte a chi compie il
male, bisogna tacere, lasciar correre? Assolutamente no, perché equivarrebbe a condividere il male
anzi a premiarlo. L'intervento contro il male, l'ingiustizia e la violenza ci deve essere da parte di
tutti, non solo da parte di chi è ufficialmente costituito per questo (Carlo Maria Martini, Sulla
giustizia, Mondadori 1999).
QUANDO IN NOI UN BRANO MUSICALE DIVENTA UN ISTANTE ETERNO. A tutti è nota
l'opposizione fra un rapporto attivo con il tempo e uno passivo. In modo particolarmente evidente
questo può essere osservato nella musica, perché in essa la coordinata temporale è dominante e, di
conseguenza, la sintesi del tempo nella percezione musicale è tutto. Quando ascoltiamo per la prima
volta un'opera musicale complessa e molto ricca, soprattutto se siamo stanchi, essa ci passa davanti
frase per frase, e persino battuta per battuta, e il pezzo si disgrega nella coscienza in pezzi più o
meno lunghi, ciascuno dei quali esiste in sé senza avere alcun legame con il successivo...
Ma ascoltando una, due, tre volte, il brano si unifica. Con Beethoven questo avviene gradualmente e
ogni nuova volta rinforza la connessione del tutto. Con Mozart invece la comprensione del tutto
arriva all'improvviso: dopo essersi sparpagliata, la forma musicale si fa avanti di colpo. Beethoven
sviluppa delle radici nella coscienza, Mozart si rivela all'improvviso come una cima nevosa quando
si dissipa la nebbia. Quando questa unità in un modo o nell'altro si è stabilita nella coscienza, la
musica cessa di essere soltanto nel tempo e si solleva al di sopra del tempo. I tono musicali, che dal
punto di vista fisico risuonano l'uno dopo l'altro, si fanno allora simultanei nella coscienza, senza
perdere tuttavia il loro ordine...
In un ascolto attivo il tempo dell'opera musicale viene superato e l'opera si trova nella nostra anima
come qualcosa di unitario, istantaneo e insieme eterno, come un istante eterno.
Queste osservazioni, di straordinaria profondità, si leggono nell'opera di Pavell Aleksandrovic
Florenskij Lo spazio e il tempo nell'arte, tradotta in italiano dall'Adelphi, Milano 1995, pp. 155 156. Sarebbe quanto mai interessante confrontare la concezione del tempo attivo e passivo di
Florenskij con l'analisi bergsoniana del tempo vissuto come durata reale e del tempo spazializzato,
che è al centro della sua mirabile «metafisica dell'esperienza». Chi volesse, può ripercorrere
l'itinerario speculativo di Bergson - dalla prima opera, il Saggio sui dati immediati della coscienza,
del 1889, all'ultima, che è del 1932 - nel saggio introduttivo alla mia edizione commentata de Le
due fonti della morale e della religione, La Scuola, Brescia 1996.
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POESIE SULLA PASQUA. Non sai tu che è il mattino di Pasqua? Spezza il vaso e versa il nardo; /
non badare, ora, a spese; / non contare, ora, ciò che non dai al povero; / spendi tutto in onore di
Cristo: / onora questo giorno di Pasqua. / Edifica la sua chiesa e vesti il suo santuario, / dai mano
all'arpa e soffia nel corno: / non sai tu che è il mattino di Pasqua?
Cogli dai cieli il loro gaudio, / prendi lezione dalla terra: / i fiori schiudono gli occhi al cielo, / e
scoprono una gioia primaverile, / la terra si spoglia dei panni invernali, / si acconcia per il giorno di
Pasqua.
Vesti la bellezza in luogo della cenere, / profumati e smetti le vesti di lutto. / Spalanca il tuo cuore,
che esso / lasci entrare la gioia in questo giorno di Pasqua. / Cerca, accompagnandoti a una folla
felice, la casa di Dio; / mescola lodi, preghiere e canti, / cantando alla Trinità. / Fa' che oggi la tua
anima sempre / faccia una Pasqua di ogni mattino (Gerard Manley Hopkins).
3 maggio 2001.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Un saggio appello. Create la consapevolezza, passate all'azione
(create awareness, take action - insegna del Rotary International nell'anno 2000). Complicità. Non
rendere il tuo orecchio complice di una lingua malvagia, né la tua lingua complice di un orecchio
che ama la maldicenza. Rischieresti di escluderti dall'amore divino (Massimo il Confessor, padre
della Chiesa d'Oriente, 580 - 662).
L'incanto della musica. Il canto è la scala di Giacobbe che gli angeli hanno dimenticato sulla terra
(Elise Wiesel). Un canto ogni giorno, un canto per ogni giorno (Abraham Joshua Heschel, Il canto
della libertà, Edizioni Qiqajon, 1999). Se commetteremo ingiustizia, Dio ci lascerà senza musica
(Flavio Cassiodoro, ex ministro di Teodorico il Grande, convertito alla fede cattolica, fondatore del
«monastero umanistico», il Vivarium, presso Squillace).
Se la tua anima è veramente bella... È meglio ingannarsi sul conto dei propri amici che ingannarli.
Tutti sono capaci di condividere le sofferenze di un amico. Ci vuole, invece, un'anima veramente
bella per godere dei successi di un amico (Oscar Wilde).
Per compiere grandi passi. Per compiere grandi passi non dobbiamo solo agire, ma anche sognare,
non solo programmare ma anche credere (Anatole France).
ATENEI DELL'ARROGANZA. LA DIFFERENZA FRA I NOSTRI E QUELLI AMERICANI.
Qualche giorno fa ho dichiarato che gli studenti universitari italiani sono mediamente meglio
preparati dei loro coetanei americani. Sanno cioè mediamente di più non solo di letteratura e storia,
ma anche di analisi matematica e fisiologica generale. Su una cosa, però, i ragazzi d'oltre oceano
sembrano decisamente in vantaggio sui nostri, e me ne rendo conto con particolare vivezza da
quando, nel luglio scorso, dirigo gli scambi internazionali tra l'Università di California e varie
università italiane.
Gli studenti californiani sono abituati ad essere trattati con rispetto, non per paternalistica
concessione ma per una norma elementare di convivenza la cui violazione suscita, prima ancora che
sdegno, autentico stupore. È difficile quindi far loro comprendere l'atteggiamento di docenti che,
pur brillanti ed eruditi, saltano sistematicamente le ore di ricevimento, interrompono una lezione per
rispondere al cellulare o si concedono pesanti commenti personali durante gli esami. La scusa che si
tratti di «differenze culturali» non regge e alle domande perplesse di questi ragazzi non si sa più che
cosa rispondere. La loro impressione è che in Italia gli studenti universitari siano in balia di divinità
imprevedibili e bizzose (Ermanno Bencivenga su La Stampa del 10 febbraio 2001).
QUALCOSA DI PIÙ NECESSARIO DEL PONTE SULLO STRETTO. A proposito della
pluridecennale questione del ponte sullo Stretto riflettevo sul fatto che forse non ha molto senso
ritrovarsi in un batter d'occhio da Villa a Messina, se poi da Messina per raggiungere qualunque
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altra città della Sicilia sono necessari tempi biblici. Non sarebbe il caso di pensare prima a creare
una buona rete autostradale e una decente rete ferroviaria? O cerchiamo ancora di costruire nuove,
costosissime cattedrali nel deserto?
L'interrogativo sollevato dal signor Nunzio Trainito è posto in termini così chiari da contenere in sé
la sola risposta dettata dal buon senso.
POETI BRASILIANI DEL NOVECENTO. L'ala della farfalla. Nel mistero dell'Infinito / oscilla un
pianeta. / E sul pianeta v'è un giardino, / e nel giardino un letto di fiori; / e nel letto di fiori una
viola, / e per tutto il giorno, sulla viola, / tra il pianeta e l'Infinito / l'ala di una farfalla (Cecilia
Meireles, 1901 - 1964).
L'ignoto che mi abita. Come decifrare pittogrammi di diecimila anni fa / se non so decifrare / ciò
che è scritto dentro di me? / Interrogo senza dubbi / e le loro variazioni caleidoscopiche /
osservandoli attimo dopo attimo. / La verità essenziale / è l'ignoto che mi abita / e ogni mattina mi
colpisce con un pugno (Drummond de Andrade, 1902 - 1987).
POESIA ITALIANA DEL NOVECENTO. La pioggia. Nella stanza, nel lampo / che scheggia il
buio senti / la pioggia come l'ala strepitante / della gioia, / della bellezza improvvisa, / furia e
lavacro / sui tetti e sulle strade / sul giardino e sul tronco fulminato / dell'albero che attende - ma
non sa - / il bianco fuoco della primavera (Giovanni Cristiani).
10 maggio 2001.
LINEA RECTA BREVISSIMA. A che serve la psicologia? Il fine della psicologia è darci un'idea
completamente diversa delle cose che conosciamo meglio (Paul Valéry). "dio sa contare fino a
uno": la sua categoria è il singolo. Credo che il Dio cristiano sappia contare fino a uno: Si interessa
solo delle persone singole, in carne e ossa. Lavora dietro le quinte, e si comunica in silenzio, a tu
per tu. C'è una storia che tutti vediamo: una storia di sangue, di rumore e di furore. E ce n'è una
segreta, invisibile, che solo ogni tanto ci capita di incrociare: è la storia della carità, dell'amore di
Dio per l'uomo e dell'amore dell'uomo per Dio e per i fratelli. È questa la dimensione profonda della
storia (André Frossard).
PERCHÉ POI MERAVIGLIARSI SE I FIGLI... Se vogliamo davvero farci carico e prendere cura
dei figli, partiamo dai genitori. Il primo vero, grande problema oggi è per gli adulti quello di
recuperare in cittadinanza e in partecipazione. Cittadini sono gli uomini e le donne che
appartengono ad una comunità, la vivono e la rispettano, concorrono a determinarne gli obiettivi da
raggiungere e le regole e i mezzi per conseguirle. Cittadini sono coloro che accettano di unirsi in
gruppi e di confrontarsi dialetticamente per mettere a punto strumenti capaci di correggere quello
che non va e di migliorare le condizioni di vita. Cittadini sono quelle persone le quali sanno che il
bene di ciascuno è il bene di tutti e che nella propria interiorità sanno cogliere le ragioni degli altri.
L'esatto contrario dell'essere cittadino è chi pensa solo a guadagnare, a fare acquisti e a consumare;
è lo spettatore passivo, il tifoso, il tipo che assiste e s'illude di partecipare e invece delega ad altri
ogni responsabilità pur di continuare a fare ciò che vuole, a non uscire dal privato, sempre pronto ad
assolversi dalle proprie insufficienze e a proiettare le cause dei mali su qualcun altro.
Abbiamo invece sempre più bisogno di esempi positivi, di senso civico, di quotidiana assunzione di
responsabilità nel prendere e mantenere impegni che vadano oltre la stretta cerchia degl'interessi
individuali, familiari o aziendali. Se non ci riscopriamo cittadini, concretamente preoccupati del
bene comune, noi genitori cadiamo a poco a poco nell'indifferenza per le cose che contano e finiamo
per diventare insignificanti, forse anche indegni di stima, agli occhi dei nostri figli.
«È difficile essere adulti oggi», ha scritto con grande verità Marco Garzonio in una nota sul Corriere
della Sera del 30 marzo 2001, in cui ci ricorda che il perbenismo asociale produce frutti amarissimi.
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La strada della delega e della fuga nel privato rende, infatti, i genitori, sia pure senza volerlo,
«cattivi maestri» dei figli. Perché poi meravigliarsi se manca il dialogo con loro? Se capita che
questi comincino a drogarsi, se si rifugiano in assordanti discoteche, giocano con la morte in
macchina, o danno agghiacciante esecuzione a fantasie distruttive perfino nei confronti degli stessi
genitori?
TRE BRANI DAL DIARIO DI ETTY HILLESUM. 1. So già tutto, eppure... Le ultime notizie
dicono che tutti gli ebrei saranno deportati dall'Olanda in Polonia. Secondo la radio inglese,
dall'aprile 1941 sono morti 700.000 ebrei, in Germania e nei territori occupati. Se rimarremo vivi,
dovremo portarci dentro per sempre queste ferite. Eppure non riesco a trovare assurda la vita. Dio
non è affatto responsabile verso di noi per le assurdità che noi stessi commettiamo: siamo noi
uomini i responsabili! Sono già morta mille volte in mille campi di concentramento. So tutto quanto
e non mi preoccupo più per quello che mi accadrà: in un modo o nell'altro, so già tutto. Eppure
trovo questa vita bella e ricca di significato. Ogni minuto (29 giugno 1942, Ed. Adelphi, p. 134).
2. Abbiamo tutto in noi stessi... È vero, ci portiamo dentro proprio tutto, Dio e il cielo e l'inferno, la
terra e la vita e la morte e i secoli, tanti secoli. Uno scenario, una rappresentazione mutevole delle
circostanze esteriori. Ma abbiamo tutto in noi stessi e quelle circostanze non possono essere mai
determinanti, perché esisteranno sempre situazioni buone e cattive che dovranno essere accettate,
ma che non possono impedire che uno si dedichi a migliorare quelle cattive. Occorre, però, sapere
per quali motivi si lotta, e si deve cominciare da noi stessi, ogni giorno da capo (3 luglio 1942, p.
139).
3. Un barlume d'eternità... Un barlume d'eternità filtra sempre più nelle mie più piccole azioni e
percezioni quotidiane. Io non sono sola nella mia stanchezza malattia tristezza o paura, ma sono
insieme con milioni di persone, di tanti secoli: anche questo fa parte della vita, che è pur bella e
ricca di significato nella sua assurdità, se la si sente come un'unità indivisibile, un insieme compiuto
(4 luglio 1942, p. 143).
17 maggio 2001.
LINEA RECTA BREVISSIMA. L'arte di donare. Il modo di dare conta più di ciò che si dà (Pierre
Corneille). Debolezze. Tu non ne avevi. / Nessuna. / Io ne avevo una: / amavo (Bertold Brecht).
Quando si è innamorati. Gl'innamorati si comprendono meglio quando tacciono (Anton Cechov nel
racconto Nemici). Maledetta fretta. L'amore con la fretta non s'accorda (Oscar Milosz).
La memoria e il futuro. La memoria, per non divenire nostalgia, deve essere caricata delle domande
presenti, orientata a costruire il futuro. Lungi dall'essere la casa del rimpianto, la memoria, abitata
dal presente e dimorante in esso con le sue sfide e i suoi tesori, è terreno di profezia, apertura
all'avvenire (Heinrich Böll). Fede e poesia, finestre sul mistero. La mancanza di religione è una
mancanza di poesia (Lalla Romano).
I TEMI POLITICI CENTRALI DELLA NOSTRA EPOCA. Noi siamo felici che il totalitarismo sia
stato sconfitto nel continente europeo. Il cittadino è ora protetto contro la tirannia. La democrazia ci
mette al riparo dai soprusi. Ci difende dalla possibilità di essere strumentalizzati, sfruttati, oppressi
da uno Stato in cui l'arbitrio del dittatore o del partito al potere è legge. Questa è la libertà ed è una
grande conquista. Ma la libertà è responsabilità. E la responsabilità non è limitazione della libertà,
bensì la premessa indispensabile affinché non torni ad essere messa in gioco.
La capacità di essere personalmente responsabili nel nostro agire è la condizione della libertà di
tutti. Se invece la libertà serve solo al benessere, se si esaurisce in mercato di beni e servizi che
favorisca la corsa al profitto in un quadro di carenti condizioni morali e sociali; se lasciamo che il
destino degli altri si compia nell'indifferenza; in una parola, se la libertà non sfocia nella solidarietà,
alla lunga morirà anch'essa.
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Oggi non si tratta di chiamare il Moloch totalitario col suo nome, e non è più questione di vita o di
morte; è in gioco, però, la fragilità dei legami sociali che ci separa gli uni dagli altri, quando non ci
mette gli uni contro gli altri. È, invece, di decisiva importanza politica conoscere, volere e
condividere ciò che ci unisce nella nostra democrazia fondata sulla libertà. ognuno è responsabile
per ciò che fa ed è corresponsabile di ciò che lascia fare. Ad ogni generazione si presenta, in modo
sempre nuovo e diverso, il compito di non chiudere gli occhi di fronte all'illegalità, alla violazione
dei diritti, all'ingiustizia. Tutti abbiamo l'obbligo di non diventare indifferenti, di non lasciarci
catturare dalla propaganda, di superare la paura del rischio, di vincere la tentazione del
conformismo e l'accecamento dell'egoistico interesse. Ciascuno deve chiedersi come può servire la
libertà oggi. La ricerca della giustizia, da cui sono partiti i filosofi, non si è esaurita né da noi né nel
mondo. I movimenti migratori internazionali mettono la società di fronte a gravi problemi pratici e
umani. La dignità dell'uomo continua ad essere minacciata. Insieme ai limiti dello sviluppo, sono
questi i temi politici centrali di oggi.
QUESTE RIFLESSIONI RIGUARDANO ANCHE NOI. Le riflessioni qui riportate fanno parte del
celebre discorso pronunciato nel 1993, all'Università di Monaco, dal presidente della Repubblica
Federale Tedesca, Richard von Weizsäcker, nel cinquantesimo del sacrificio dei giovani studenti
antinazisti de «La Rosa Bianca». Si tratta di un testo di alta ispirazione etica e politica, il cui valore
non può sfuggire a quanti, anche nel nostro Paese, hanno a cuore le sorti della democrazia. Oggi,
infatti, la democrazia è sempre più contrassegnata da un rovesciamento delle priorità: il bene
comune, la passione della giustizia, l'elevazione dei diseredati contano sempre meno perché i
cittadini si considerano sempre meno titolari della politica. Sono in molti, infatti, a concepire la
vita politica come un'opportunità decisiva per organizzare i loro interessi, cercando esclusivamente
di farli prevalere su ogni altra considerazione. Se vuol evitare il naufragio a cui la sospinge la
mentalità utilitaristica e «privatistica» - unitamente al consumismo e allo svuotamento spirituale
che l'accompagnano -la nostra democrazia ha bisogno di riscoprire nello Stato di diritto e nella
ricerca appassionata del bene comune le ragioni che fanno di essa la più civile o, se si vuole, la
meno imperfetta tra le forme di governo.
24 maggio 2001.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Angina temporis. Un disgraziato si arrabatta perché non vuole
perdere nemmeno un minuto secondo e non s'accorge che, così facendo, perde una vita (Giovanni
Guareschi). Franchezza di giudizio. Risponderò, come da me si suole, / liberi sensi in semplici
parole (Torquato Tasso).
Ogni vero ricordo. Ogni vero ricordo è ancora un richiamo, una verità che ci lavora nelle ossa, un
febbrile atto di sfida al buio di domani (Giovanni Arpino).
RICOGNIZIONE DEL LIMITE E APERTURA ALLA TRASCENDENZA. Per i greci
«compiutezza» e «misura» sono i coefficienti primari, il costitutivo stesso di una vita umana
razionalmente vissuta e felice. Anche se con accentuazioni diverse in questo convengono Platone e
Aristotele. La vera eudaimonìa degli uomini, cioè la loro vita inseparabilmente buona e felice, si ha
quando il bisogno illimitato di godimento (apeiron) che urge in ognuno di noi è umanizzato dal
limite (peras) che la ragione gli assegna. L'uomo è un composto, comunque questo dato venga
interpretato (e qui le divergenze fra Platone e Aristotele sono incolmabili) e la felicità per l'uomo
sarà pertanto «una vita mista d'intelligenza e di piacere», purché i piaceri siano innocenti e goduti
con moderazione. Questa è la tesi del Filebo platonico puntualmente riproposta da Aristotele
nell'Etica Nicomachea.
Da queste considerazioni uno studioso italiano di filosofia greca ha creduto di poter trarre questa
strana conclusione: la ricerca greca della compiutezza e della misura comporta la «mondanità» come
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orizzonte esclusivo della condotta umana, per cui tutto in essa si dispiega e si conclude entro l'arco
del nascere e del perire. Insomma, l'etica strettamente greca, restituendo l'uomo a se stesso, si pone
come rifiuto della dimensione religiosa.
È francamente impossibile accettare una prospettiva del genere che stravolge da cima a fondo il
messaggio di Socrate, Platone e Aristotele. La prima obiezione a una simile tesi interpretativa è la
seguente: non è lecito dichiarare a priori coincidenti il riconoscimento del limite e la chiusura
all'Assoluto. L'asserita identità delle due posizioni è del tutto estranea e contraria al pensiero dei tre
geni eponimi della filosofia greca. Certo, il vigoroso richiamo alla «misura della ragione» è aspetto
reale non secondario alla saggezza e costituisce un acquisto fatto per sempre e per tutti da Atene.
Ma la forza dinamica della saggezza greca - protesa a vincere di continuo il cattivo infinito, quello
pseudo infinito che è l'illimitato, l'indefinito, il confuso, l'apeiron appunto - non sta forse nel fatto
che essa non si perde nella infinitizzazione del finito ed è proprio per questo costitutivamente
orientata alla ricerca ed all'affermazione dell'Assoluto?
POESIA DEL NOVECENTO. Ma sua figlia, a quattro anni, non ha dubbio... Non è un gigante, e
neanche forte, / ma sua figlia, a quattro anni, non ha dubbio che lo sia. / Lei gli corre incontro, le
braccia spalancate, / e in un attimo con il capo sfiora il cielo.
Cinque volte alla settimana, in un quartiere / di periferia, / lui s'illumina di sole come un albero
maestoso (Roger McGough, poeta e critico inglese).
A un bambino in arrivo. Se è una bambina, / spero che apra le ali / e cresca libera e voli ampio /
come un gabbiano, / e affronti abile i venti, / scivoli rapida sulle correnti, / sappia vivere di tutto ciò
che trova / nel mare tenebroso, / e assecondi le tempeste / che la sospingono a terra, a ritroso.
Spero che scelga con saggezza / se alla fine decide / per un nome, o una terra, o una certezza. / E
abbia lo stesso destino / se invece è un bambino (Janet Shepperson).
La prima poesia è tratta dal volume di Roger McGough, Gattacci, Einaudi; la seconda, di Janet
Shepperson, da Un salto e tocchi il cielo, presso la stessa casa editrice.
L'ANGOLO DELLA PREGHIERA. Liberaci, o Padre. Liberaci, o Padre, dalla paura della morte e
da tutte le paure che rendono sterile e senza slancio la nostra esistenza.
Confermaci nella fede, rendi forte e soave la nostra carità. Aiutaci a fare della nostra vita un evento
pasquale, un passaggio di conversione dallo scetticismo alla fiducia, dalla stanchezza alla speranza,
dall'indifferenza alla solidarietà, dalla tristezza alla gioia operosa.
Rendi tutti noi, Signore, testimoni nel mondo della tua e nostra Resurrezione. Amen, alleluia! (p.
Giulio Cittadini).
31 maggio 2001.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Ce ne dimentichiamo di continuo. Il tempo è breve e il necessario è
poco (Michelangelo, Nuovo piacere e di maggiore stima, nelle Rime). Non chiedermi... Non
chiedermi che cosa ho, mia cara, / chiedimi chi sono (Heinrich Heine in Prime poesie). Quando
l'avversario ci tiene in pugno. Il grande trionfo dell'avversario è farvi credere quello che dice di voi
(Paul Valéry in Cattivi pensieri).
Il desiderio nascosto. Quando entro in un ufficio pubblico io sono sempre estasiato dalla capacità di
chi ci lavora di rispettare le regole e insieme di aggirarle con eleganza (Federico Enriques, direttore
generale dell'editrice Zanichelli). La falsificazione del bene. Satana si maschera da angelo di luce
(San Paolo, 2 Corinzi 11, 14).
La dialettica del profondo. Più si sale verso Dio, più si scende nel nulla di se stessi (Dall'Imitazione
di Cristo). L'assenza e il desiderio. 1. Sempre è pungolo per un desiderio più forte l'assenza delle
persone che amiamo (Properzio, Elegie II, 33, 43). 2. L'assenza attenua le passioni mediocri e
aumenta le grandi, come il vento spegne le candele e ravviva il fuoco (La Rochefaucauld).
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PER I GRECI LA VITA MORALE È «IMITAZIONE DI DIO». Quali che siano le differenze
profonde con la visione cristiana della vita, la saggezza di Socrate, Platone e Aristotele tende a
oltrepassare l'orizzonte terreno, e non per una sortita casuale. Chi non avverte, rileggendo l'opera
prima di Platone, l'Apologia, che la fede razionale in Dio, nelle cui mani è la sorte del giusto,
costituisce il postulato fondamentale della scelta decisiva di Socrate? Bergson, con l'abituale
finezza, ha scritto di Socrate che «la sua missione è di ordine religioso mistico, nel senso in cui
prendiamo queste parole:il suo insegnamento, così perfettamente razionale, è sospeso a qualche
cosa che sembra sorpassare la pura ragione».
In Platone la dimensione teologica non è una fase della sua ricerca, o un'aggiunta posticcia di
interpreti tardivi, ma ciò che anima la trattazione di tutti i problemi. Su questo punto non si può
nemmeno giocare a contrapporre il Platone del Fedone e della Repubblica al Platone del Timeo e
delle Leggi.
È infatti proprio in questi ultimi scritti che Platone rivendica ancora più energicamente la finalità
della natura e la provvidenza del Dio-misura, cioè principio di ordine, di armonia, di equilibrio nel
mondo delle cose e degli uomini. La tesi di fondo è una sola: la condotta dell'uomo è morale se è
«imitazione di Dio» e se l'uomo si fa collaboratore della provvidenza nel finalismo universale. Una
scienza del bene, infatti, non è pensabile senza il Bene: staccata dalla Sorgente prima e dal Valore
assoluto, essa sarebbe meramente formale, incapace di vincere l'utilitarismo, l'edonismo, la
pressione sociomorfica. Fin dal Georgia l'ispirazione religiosa del pensiero platonico appare
nettissima: il Bene non è mezzo per realizzare la felicità, ma fine a se stesso, al quale la felicità è
insieme subordinata ed intimamente congiunta. Nella sua ultima opera Platone, quasi a sigillo di
una delle più straordinarie avventure del pensiero, scrive queste parole rivelatrici: «Chi ignora Dio
non potrà mai scoprire la ragione per cui si vive, né farsi un concetto di ciò che riguarda la felicità e
l'infelicità» (Leggi X, 905 c.).
Aristotele reca un contributo di prim'ordine nell'analisi fenomenologica dell'atto morale e nel
sottolineare il concorso di alcune circostanze favorevoli o sfavorevoli al raggiungimento della
felicità.
Va, però, sottolineata con forza la sua piena adesione alla dottrina socratico-platonica che distingue i
beni esteriori, i beni del corpo e i beni dell'anima. Anche Aristotele conferisce il primato ai beni
dell'anima.
POESIA ITALIANA DEL NOVECENTO. Pudore contadino. Mio padre vendeva frutta e carbone /
e intanto accarezzava un gatto che si chiamava Baruloun... / Quando sono venuto a casa, / dopo un
anno di prigionia in Germania, / mi aspettava sulla porta col sigaro in bocca. / «Hai mangiato?» mi
ha chiesto. E basta (Tonino Guerra).
Ti vedo a ogni occhiata nello specchio. Padre. Così devo chiamarti, nominarti? / Come dimenticare
/ d'essere ormai coetaneo / della tua ultima età. / Ti vedo ad ogni occhiata nello specchio / del mio
corridoio / mentre metto il cappello / e me l'aggiusto un poco / sulle ventitré (Arnaldo Ederle).
7 giugno 2001.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Nella gioia del mio cuore intero. Rabbi, mio maestro, io servirò il
tuo comandamento nella gioia del mio cuore intero (Parole riferite a Maria di Magdala in un
apocrifo copto del IV secolo). La vera icona. L'amore è icona di Dio (Massimo il Confessore).
L'anima nel volto. L'anima di per sé non può essere vista perché è spirito; ma quando una persona si
rivolge a un'altra persona amata, questa riesce a vedere l'anima nel volto che ha di fronte (Levi
Appulo).
Pravda vitezi. La verità vincerà (Jan Huss, riformatore boemo ucciso nel 1415). La forza e le anime.
La forza pietrifica le anime (Simone Weil). Guai ai... vincitori. La verità diserta i vincitori (Simone
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Weil). Perenne disequazione fra essere e dover essere. In senso generale, ogni avvenimento storico
è insieme un fallimento perché non adegua mai l'ideale, che prosegue nel porre le sue esigenze ed
eserciate la sua critica, e, se così non facesse, la storia si arresterebbe (Benedetto Croce nella Storia
d'Europa nel secolo decimonono).
IL COMPITO PIÙ IMPORTANTE E DIFFICILE. In educazione non ci sono esiti predeterminabili;
ci sono però vie, metodi, fini idonei a promuovere l'azione di risveglio spirituale in coloro che ci
sono affidati. L'educazione è sempre la cosa più importante e insieme la più difficile, è il servizio
migliore che si possa rendere ad ogni persona; per questo il mestiere di educare esige testa e cuore e
non può essere concepito, e tanto meno vissuto, se non come risposta ad una vocazione. Una
risposta a cui ci si abilita ogni giorno attraverso un lavoro che è multiforme per le competenze che
richiede, ma che ha la sua prima sorgente nella vita interiore dell'educazione e nel rispetto che egli
porta verso colui che ha bisogno del suo aiuto per poter diventare quello che è.
In quella «via meravigliosa» - così la chiama Platone nella Lettera VII - il giovane che si è destato
all'amore della verità e del bene «unisce i suoi sforzi con quelli della guida e non desiste se prima
non ha raggiunto completamente il fine, o non ha acquistato tanta forza da poter progredire da solo
verso la piena padronanza di se stesso».
IL PIACERE, IL BENE MORALE, LA CONTEMPLAZIONE DI DIO. Aristotele, d'accordo con il
Platone dei dialoghi della revisione del sistema, insiste per una rivalutazione del piacere; ma anche
per lui il piacere più degno dell'uomo è il coronamento di una vita virtuosa, ciò di cui la virtù è
l'antecedente necessario. Se il piacere non è il Bene, è però qualcosa di positivo, che perfeziona
l'esercizio di una facoltà. Non si deve dire che ogni piacere è male, per il fatto che alcuni piaceri
sono ignominiosi; ma se sono ignominiosi, sono poi veramente piaceri per un uomo che sia ancora
umano? Aristotele, con il suo robusto buon senso, non lo ritiene possibile (Etica Nicomachea X,
1173 b). I piaceri differiscono specificamente a seconda delle attività dalle quali derivano e, dunque,
«si potranno dire propriamente piaceri quelli che accompagnano e perfezionano le attività proprie
dell'uomo; gli altri, invece, saranno piaceri solo in via secondaria e in modo del tutto accessorio».
(ibid. X, 1176 a). In ultima analisi, la ricerca della felicità Aristotele non la riduce mai a una
«metretica dei piaceri», non è mai assimilabile all'edonismo raffinato o volgare che sia.
Malgrado le gravi aporie che caratterizzano la concezione aristotelica del rapporto tra Dio e il
mondo e le oscurità persistenti sul destino ultimo dell'uomo, per il filosofo del Liceo la sapienza trae
forza e norma dalla contemplazione intellettiva, dall'atto con cui nel coglierla ci impossessiamo
della verità. E la verità più alta - supremamente disinteressata, e proprio per questo supremamente
necessaria all'uomo - è quella che riguarda Dio. Anche qui Aristotele continua direttamente
l'insegnamento di Platone, tematizzando sul piano metafisico e morale la tangenza contemplativa
con la vita di Dio
Il precetto platonico secondo il quale l'uomo deve quanto più è possibile assimilarsi a Dio acquista
allora un preciso significato: assimilarsi a Dio significa in primo luogo contemplare Dio, la Verità
suprema che è anche il sommo Bene. Nell'ultima pagina dell'Etica Eudemia Aristotele scrive: «Dio
è il fine in vista del quale la saggezza comanda ciò che, per eccesso o per difetto, impedisca di
servire o contemplare Dio, sarà cattiva».
14 giugno 2001.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Per i filosofi che hanno smarrito il buon senso. Voglia Dio
provvedere il filosofo di uno sguardo acuto per vedere ciò che sta davanti agli occhi di tutti (Ludwig
Wittgenstein). Le facce che rappresentano certe idee. Due stupidi sono due stupidi. Diecimila
stupidi sono una forza storica... Non sono le idee che mi spaventano, ma le facce che rappresentano
quelle idee (Leo Longanesi). Diventeremo robot? Il pericolo del passato era che gli uomini
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diventassero schiavi. Il pericolo del futuro è che diventino robot (Erich Fromm, 1900 - 1980,
pensatore e psicologo svizzero). L'ansia d'infinito. Ho indagato i contorni di un'isola; ma ciò che
volevo scoprire erano i confini dell'oceano (L. Wittgenstein nel suo Tractatus logico-philosophicus).
Mai quaggiù qualcuno ha rinunciato abbastanza a sé da non potervi rinunciare ancora di più
(Meister Eckhart).
INTERROGARSI SUL SIGNIFICATO DELL'ARTE CONTEMPORANEA. Il 1919, interrogandosi
sul significato dell'arte contemporanea, Pavel Florenskij scriveva: «L'arte è una questione vera è
creazione di vita, o è un oggetto fabbricato, un sollazzo che ha valore soltanto per l'insufficienza di
impulsi e di interessi autenticamente vitali?». La risposta a un simile interrogativo ci sembra tanto
più significativa quanto più si avvicina all'ispirazione prima delle opere letterarie in cui gli stessi
autori siano i più diretti testimoni. Nelle loro riflessioni sull'arte non è difficile cogliere le
coordinate essenziali in cui è possibile collocare la grande letteratura del Novecento in genere e
quella russa in particolare. Il romanzo russo del Novecento mostra, infatti, attraverso le opere più
rappresentative, la sua forza ineguagliabile proprio nella radicalità con cui i personaggi sono portati
a considerare se stessi e il proprio destino sia nella storia del loro popolo, sia in una prospettiva
metafisica e dunque metastorica. «Il personaggio russo, per quanto tu non gli dia da mangiare e non
gli dia da bere, cerca sempre la giustizia e il bene» dice Muza nel Primo cerchio di Solzenicyn.
Daniele Serretti ha esplorato quattro voci del mondo russo che, negli anni bui dello stalinismo, non
hanno cessato di porsi le «maledette domande» che tormentano le anime di chi si dibatte fra la
disperazione e il riscatto. Il suo volume, Il tempo della tirannia. Nabokov, Bulgakov, Pasternak,
Solzenicyn, è stato pubblicato nelle Edizioni Studium di Roma.
STUDIAMO LA NATURA. Studiando la natura, la cosa più importante è avere impressioni
immediate le quali, se vengono esaminate per quanto possibile in modo imparziale e privo di
preconcetti, pian piano si compongono da sole in un quadro complessivo; dal quadro complessivo
nasce l'intuizione dei tipi di struttura della natura, ed è proprio questa intuizione che fornisce motivi
per conclusioni approfondite. Senza questa intuizione, le conclusioni rimangono sempre e soltanto
schemi convenzionali, che possono anche essere usati in modo arbitrario e persino dannoso, in
quanto impediscono di osservare e notare le cose veramente importanti.
Bisogna poi educarsi al senso del paesaggio, e allora molte cose che, senza questo senso, si
ottengono per via di sforzi meticolosi (una via che facilmente induce in errore), verranno da sé.
Sarebbe per questo molto utile se tu cercassi di formulare i tratti caratteristica dello stile del
paesaggio che hai visto: dapprima con singole linee, con un elenco non sistematico di alcuni
elementi che emergono nella mente, dopo ricongiungendo gradualmente questi elementi in una
descrizione unitaria del tipo. Goethe possedeva in sommo grado questa capacità; bisogna imparare
da Goethe a conoscere la natura (Pavel Florenskij, Non dimenticatemi, Mondadori 2000, pp. 74 -75,
Lettera del 23 novembre 1933 al figlio maggiore Vasilij).
Le lettere che il grande scienziato russo inviò dalla prigionia ai figli offrono riflessioni e consigli
geniali per la loro formazione intellettuale e umana. Egli seppe così trasfondere nei figli il
desiderio appassionato di conoscere la creazione, non per violarne il segreto, ma per contemplarla
nelle sue meraviglie. L'espressione e il risultato di questo sforzo è non solo la conoscenza
scientifica di un fenomeno, ma la certezza che il segreto del mondo non viene affatto tolto di mezzo
e affossato, proprio perché si palesa nella sua più autentica essenza come arcano ed enigma.
21 giugno 2001.
LINEA RECTA BREVISSIMA. L'errore dei troppo intelligenti. Il maggior difetto di certi uomini
intelligenti non è di andare fino in fondo, è di oltrepassarlo (La Rouchefoucauld). Lo potrei, ma non
oso. Nel cuor dubitoso / sento bene una voce che dice: / «Veramente potresti esser felice». / Lo
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potrei, ma non oso (Umberto Saba, 1883 - 1957).
Me la cavo male con i grandi numeri. Quattro miliardi di persone su questa terra, / e la mia
immaginazione è uguale a prima. / Se la cava male con i grandi numeri. / continua a commuoverla
solo la singolarità (Wislawa Szymborska, poetessa polacca, premio Nobel nel 1996).
IL DIGIUNO, LA POLITICA E LA MORALE. In questa primavera sono morti 24 familiari di
detenuti nelle carceri turche; sono morti perché hanno portato sino in fondo lo sciopero della fame,
intrapreso per protestare contro le inumane condizioni carcerarie e per richiamare l'attenzione del
mondo su di esse. Fra la tragica denuncia turca, grido disperato per alleviare una situazione
intollerabile, il digiuno praticato da Gandhi in nome di un pacifismo umanitario e universalistico, e
quello di Bobby Sands - l'irredentista irlandese in cui la ribellione si mescolava
all'ultranazionalismo e al terrorismo - non c'è nulla o quasi nulla in comune.
I martiri, per qualsiasi causa muoiano o rischino la vita - generosa, futile, insensata o malvagia meritano un assoluto rispetto per il coraggio con il quale trascendono l'interesse personale e
accettano consapevolmente la morte, anziché temerla e subirla casualmente, come gli altri. La
capacità di sacrificio del martire non garantisce però necessariamente il valore della sua causa. Ogni
bandiera, sublime o abietta, ha i suoi martiri; ci sono martiri nazisti, partigiani, patrioti, missionari,
rivoluzionari, fanatici di sette omicide e suicide. Il loro sangue rende ancor più nobile una nobile
bandiera, ma non lava una bandiera lurida, se è in essa che hanno creduto.
Se una protesta è legittima, ossia se un diritto è stato violato, bisogna dare soddisfazione a chi
protesta anche se quest'ultimo non digiuna e si rimpinza a quattro palmenti. Se per ottenere quel
diritto iniquamente negato è necessario ricorrere a forme di pressione come lo sciopero della fame,
ciò significa che ci si trova in una situazione in cui il potere viene esercitato senza rispettare le
leggi. Tali situazioni illegali autorizzano, anzi richiedono, forme di protesta e di resistenza anomale,
come accade nella lotta partigiana a un sistema di dominio che non consente forme democratiche di
lotta.
Ma se una richiesta non è legittima o è una pretesa prepotente, è giusto cedere solo perché chi
l'avanza simula di rischiare la vita oppure la rischia veramente o si ammazza se non viene esaudito?
Una vita umana vale più di ogni altra cosa, ma usare - poco importa se con astuzia calcolata o con
esaltata buonafede - la sacralità della vita come un'arma politica o sentimentale può diventare un
violento ricatto (Claudio Magris, Corriere della Sera, 16 maggio 2001).
LE «LORO» IDEE E QUELLE DEGLI ALTRI. C'è tanto, troppo di convenzionale, a mio parere,
nell'ammirazione generalmente esibita verso le «cause radicali». Non giudico le persone, ma i loro
atti pubblici: l'alone di martirio con cui circondano le loro battaglie mi sembra una sopraffazione. Le
loro proposte non possono essere considerate indiscutibili. La pretesa di corsie di informazione
preferenziali, pena l'accusa di essere retrogradi e liberticidi, è francamente eccessiva. A meno che
non sia una tattica politica per farsi largo in tempo di elezioni e accaparrarsi qualche voto in più.
L'eutanasia di Stato, l'eliminazione di ogni vincolo etico nella ricerca scientifica, la libertà
individuale come unico criterio discriminante fra il lecito e l'illecito, la dilatazione della legge
sull'aborto fino ad accogliere la pillola del giorno dopo non sono verità assolute, dogmi di fede laica
che non ammettono contraddittorio, imperativi categorici di una morale superiore, conquiste di
civiltà di cui solo la prepotenza retriva dei bigotti blocca proditoriamente il cammino (Leonardo
Zega, La Stampa, 11 maggio 2001).
28 giugno 2001.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Come Paolo tu, io e chiunque altro. Io mi trovo in questa
condizione: quando voglio fare il bene, il male è accanto a me: Acconsento nel mio intimo alla
legge di Dio, ma nelle mie membra vedo un'altra legge che mi rende schiavo (San Paolo, Lettera ai
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Romani 7, 21 - 24). Siamo nella stessa barca, non solo, e soffriamo tutti il mal di mare (Levi
Appulo). Moltissime leggi, massima illegalità. Le leggi sono moltissime quando lo Stato è
corrottissimo (Tacito negli Annali). Le leggi inutili indeboliscono quelle necessarie (Montesquieu ne
Lo spirito delle leggi).
Se vuoi costruire una nave. Se vuoi costruire una nave, non radunare uomini per raccogliere il legno
e distribuire compiti, ma insegna a loro prima la nostalgia del mare ampio e infinito (Antoine de
Saint-Exupéry).
GENIO PAMPALONI, O LA CIVILTÀ DELLA SCRITTURA. Quest'anno, a gennaio, Geno
Pampaloni ci ha lasciato. Aveva 82 anni. Pochi come lui riuscirono a fare della critica un dialogo tra
uomini, una costante ricerca di equilibrio tra gusto estetico e coscienza morale. Fu un vero maestro
senza cattedra universitaria, e forse anche per questo. Noi amammo di lui in particolare gli scritti
apparsi sulle riviste Comunità, di Adriano Olivetti, e Il Ponte, nella stagione aurea di Piero
Calamandrei.
Nei prossimi mesi vedranno la luce due suoi volumi: gli Scritti letterari, presso Bollati Boringhieri,
e da Nino Aragno gli Scritti etico-civili. Intanto, lui vivo, nelle edizioni Giubbe Rosse è stato
pubblicato il volume Sul ponte tra Novecento e Duemila, in cui sono raccolti studi e divagazioni sui
contemporanei senza dimenticare i due maggiori romanzieri del nostro Ottocento, Manzoni e Nievo.
Traggo da questo volume alcune annotazioni idonee a rivelarci la ricchezza umana di Pampaloni e il
suo modo di intendere la «civiltà della scrittura».
1. L'arte, come si dice, è una cosa seria. È almeno tanto seria quanto la morale o la politica. Ma se
abbiamo il dovere di accostarci a queste ultime con quella modestia che è ricerca di chiarezza carità verso gli altri e durezza per noi - non si vede con che diritto, davanti a una pagina scritta,
dimentichiamo di esser uomini e che un uomo ci parla.
2. In un tempo di insicurezza e di transizione, in un tempo di difficile misura umana il filo che lega
tradizione e avvenire è un filo sottile ma tremendamente importante... Il nostro compito è ascoltare
il passato con l'occhio del presente e interrogare il presente senza dimenticarci del passato.
3. La mia scrittura vorrei che fosse di un'eleganza impervia, inattaccabile, e al tempo stesso
segretamente capace di assorbire il sentimento altrui che intende provocare; autosufficiente e
disponibile, disincarnata e invitante.
LA POTENZA DELL'UNO RICHIEDE LA STUPIDITÀ DEGLI ALTRI. Qualsiasi ostentazione
esteriore di potenza provoca l'istupidimento di una gran parte degli uomini. Sembra, anzi, che si
tratti di una legge socio-psicologica: la potenza dell'uno richiede la stupidità degli altri.
Il processo secondo cui ciò avviene non è tanto quello dell'atrofia o della perdita improvvisa di
determinate facoltà umane, ad esempio quelle intellettuali, ma piuttosto quello per cui, sotto la
schiacciante impressione prodotta dall'ostentazione di potenza, l'uomo viene derubato della sua
indipendenza interiore e rinuncia così, più o meno consapevolmente, ad assumere un atteggiamento
personale davanti alle situazioni che gli si presentano.
Il fatto che lo stupido sia spesso testardo non deve ingannare sulla sua mancanza di indipendenza.
Parlandogli, ci si accorge addirittura che non si ha a che fare direttamente con lui, con una persona,
ma con slogan, motti ecc. da cui egli è dominato. È ammaliato, accecato, vittima di un abuso e di un
trattamento pervertito che coinvolge in primo luogo la sua stessa persona... La stupidità non potrà
mai essere vinta impartendo degli insegnamenti, ma solo da un atto di liberazione.
Ci si dovrà rassegnare al fatto che nella maggioranza dei casi un'autentica liberazione interiore è
possibile solo dopo esser stata preceduta dalla liberazione esteriore (Dietrich Bonhoeffer, Resistenza
e resa, trad. it. Paoline).
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