Qui - Uni Ter Arese

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Qui - Uni Ter Arese
Mausoleo di Ismail il Samanide
LA PERSIA
di Maria Garbini Fustinoni
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La “Grande Persia”, che si estende a ovest dal Caucaso al Golfo Persico, a est dall’India
Settentrionale ai confini della Cina, vive tra il X e il XIV secolo una dei più grandi periodi della sua
storia. In quattro secoli vede l’alternarsi di dinastie, di popoli barbari (Turchi, Mongoli, Turcomanni),
di popolazioni nomadi che si sedentarizzano ed integrano…
Conquistata nel VII secolo dagli Arabi, e da essi islamizzata, si può dire che, in un certo senso,
iranizzi l’Islam, al quale trasmette il suo modo di concepire la sovranità ed il cerimoniale di corte:
Riesce a far sostituire alla semplicità lasciata in eredità da Maometto la concezione tutta iraniana
del sovrano “ombra di Dio sulla terra”. Alla Persia l’Islam deve il modello della “corte”, delle figure
che ruotano intorno al capo supremo (del vizir in particolare).
Nel 642, approfittando della difficile situazione creata nel paese dalle continue lotte con Bisanzio,
le “tribù” arabe occupano la Persia. La nuova religione, l’Islam, si diffonde rapidamente e si
consolida nei secoli VIII e IX.
La lingua araba, veicolo della parola del Profeta, viene imposta nell’amministrazione pubblica,
nella giustizia, nell’esercito. Il “farsi”, la lingua locale, è ormai riservata alla poesia. Ed è proprio un
poeta, Firdusi, il Paradisiaco, Abu ‘l -Qadim Mansur, (932/1020), cantore della Patria, che offrirà al
paese l’occasione per risvegliarsi, riallacciarsi al passato, amalgamando la grande tradizione con
la nuova religione.
Il “Libro dei Re” di Firdusi, dopo tre secoli di occupazione araba e di islamizzazione, dà inizio ad
una letteratura autonoma in “farsi” e diventa documento della volontà di testimoniare un’identità
nazionale in cui sopravvivono e l’eredità preislamica e i valori specifici del popolo iraniano.
Nel “Libro dei Re” viene rievocata l’epopea della nazione persiana: vi si parla degli scontri e delle
lotte sovrumane dei Persiani contro i Turatici, mitico popolo stanziato ai confini meridionale
dell’Asia centrale (il Turkestan). Il tema centrale è accompagnato da canti d’amore e pianti funebri.
Con un linguaggio melodioso e forte Firdusi ci presenta l’Uomo nel suo rapporto con il potere, la
filosofia, la vita. Il suo racconto diventa il fondamento dell’iranicità.
L’Iran islamizzato ha, malgrado tutto, nella sua tradizione la forza che gli permette di esercitare
da parte sua influenza sul mondo islamico. I primi segni si vedono già al tempo dei grandi
Abbasidi, quando modelli sassanidi si possono riconoscere nell’architettura di Bagdad e di Samara
dell’XI secolo.
Al –Mamun, figlio di Harun al Rashid e di una donna persiana, nominato califfo a Bagdad
(813/833), accoglie alla sua corte personalità persiane, che occupano subito posizioni notevoli
nell’amministrazione, usando metodi derivati dai Sassanidi.
Nell’830 crea a Bagdad la “Casa della Saggezza” o della “Scienza”, vi convoca sapienti e letterati
da tutto l’Impero e “i Persiani sono numerosi”. C’è tra loro il matematico Kwarizim, autore di grandi
progressi nel campo dell’algebra (i Kwarizmi), fornisce la soluzione di equazioni sconosciute,
introduce il sistema decimale, fondato sull’uso dello zero.
Il califfo al -Mamun fa edificare per lui un apposito osservatorio astronomico e fonda, inoltre,
biblioteche ricche di opere scientifiche e filosofiche greche.
Nell’820 le province iraniane conquistano una certa autonomia: Al –Mamun nomina governatore
del Khorasan Tahiriz ibn Husayn, che, in breve, si rende indipendente da Bagdad e (pur
riconoscendone l’autorità) fonda la dinastia iraniana dei Tahiridi, destinata a regnare sulla Persia.
Durante la sua dinastia un esponente dell’antica nobiltà terriera fonda la dinastia dei Samanidi
(874/999), che deve il suo nome a Saman Khwdat, zoroastriano convertito all’Islam. Il figlio più
giovane del fondatore provoca la caduta dei Saffaridi, fonda un impero con capitale Bukhara.
Alla corte dei Samanidi si ha un primo rinnovamento della lingua e della poesia persiana, grazie
all’opera di Rudaki. In Architettura viene realizzato il Mausoleo di Ismail, capolavoro di cui si
parlerà in modo approfondito in seguito.
Nella prima metà del X secolo i Samanidi, che riconoscono solo formalmente l’autorità del califfo
abbaside, governano su un territorio sterminato ed esercitano il loro potere in modo autoritario e
dispotico, sostenuti da una polizia segreta e da un servizio di informazioni estremamente
efficiente. Sostenuti da questi mezzi riescono ad ottenere una rapida islamizzazione, realizzata a
spese delle minoranze religiose del paese. Attuano però un’accorta politica di sostegno delle fasce
più deboli e riescono a dare al paese una certa floridezza economica e stabilità politica che
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favoriscono sviluppo in tutti i campi (sviluppo dell’agricoltura, istituzione di scuole gratuite che
permettono l’accesso al sapere di nuove fasce sociali…)
Bukhara, la capitale, diventa uno dei centri più famosi del mondo islamico, favorita anche dalla sua
posizione in prossimità della “via della Seta” (che parte dalla Cina) attraverso la quale non solo
passa la seta, ma arrivano anche porcellane di grande qualità (qualità presto raggiunta e superata
dalle manifatture locali).
Le esportazioni sono in costante crescita, favorite anche dagli scambi commerciali con le
popolazioni nomadi, dominatrici degli infiniti spazi confinanti. E’ fiorente il traffico degli schiavi,
presi dalle tribù nomadi del nord e venduti in tutto il mondo islamico, dove vengono trasformati in
validi soldati.
Da Bukhara si esportano anche la carta, prodotta a Samarcanda (sfruttando un’invenzione
cinese), la bellissima ceramica prodotta a Nishapur (tanto bella da poter rivaleggiare con quella
cinese) e prodotti di lusso in seta e cotone.
Alla corte di Bukhara si incontrano giuristi, scienziati, poeti, letterati, medici, filosofi; si costituisce
una delle più importanti biblioteche dell’epoca; artisti e architetti elaborano nuovi modi di
esprimersi, il pensiero viene trasmesso attraverso la rinnovata lingua persiana, trascritta
nell’alfabeto arabo.
A Bukhara nasce Avicenna (914/943), filosofo, medico, scienziato, autore del “Canone di
medicina”, tradotto in latino nel XII secolo.
Nella prima metà del 900 il regno raggiunge i confini con l’India; i problemi della dinastia abbaside,
cui i Samanidi erano sempre stati legati, favoriscono movimenti insurrezionali: i Buyidi si
impadroniscono delle regioni merdionali; i Ghaznavidi si impadroniscono del Khorosan. I
Mamelucchi turchi (eserciti mercenari) diventano sempre più potenti e riescono addirittura ad
indebolire la dinastia regnante, finché nel 999 i Samanidi perdono ogni potere.
La famiglia dei Buyidi, che ha creato problemi al califfato già nel IX secolo (ne abbiamo parlato al
tempo di Tulun, che in Egitto proclama il primo governatorato indipendente), dopo avere
conquistato importanti città nella Persia occidentale, riesce ad impadronirsi di Bagdad e ad
ottenere il controllo dell’esercito. Mantiene l’autorità spirituale del califfo, che gli serve per
legittimare l’autorità militare ed amministrativa dei sultani, ma crea una sua dinastia, per la quale
sceglie il nome dinastico “al – Dawla”, che significa: “dello Stato” (si ha così un Adud al –Dawla,
ossia Braccio dello Stato; un Fakhr al –Dawla, ossia Orgoglio dello Stato…)
Durante la dinastia Buyide (che copre tutto il X secolo) viene recuperata la tradizione iranica del
governo e dell’etichetta di corte, ma viene mantenuta l’etica islamica, con indirizzo sciita.
Il X secolo è per la Persia un periodo così felice che viene indicato come il “Rinascimento
Islamico”, per lo sviluppo degli studi filosofici e scientifici, favoriti dal mecenatismo dei sovrani.
Il Rinascimento iraniano ha un momento di gloria anche in quello che è l’attuale Afganistan: la
dinastia turca dei Ghaznavidi (999/1151), nata dalla rivolta di un mercenario alla corte dei
Samanidi, controlla Afganistan, Persia, Punjab del Sud. Mahmud riesce a governare un impero
che va dall’Iran occidentale fino a Delhi, in India.
Il periodo in cui questo territorio immenso è dominato da un corpo di guerrieri turchi è l’anticipo di
un periodo durante il quale si imporrà sull’Iran il dominio straniero:
- i Selgiuchidi nell’XI e XII secolo
- i Mongoli nel XIII e XIV secolo
- i Timuridi dal 1370 al 1502.
Importante nella Storia dell’Iran in questo periodo è il ruolo dei Turchi, popolo nomade, le cui tribù
vivono spingendo le loro greggi negli spazi sconfinati dell’Asia centrale.
Nelll’883 il califfo di Bagdad si era appoggiato per protezione sul loro aiuto. Era però stata proprio la
soldatesca turca che aveva assassinato il califfo (ed il potere era precipitato nelle mani della “guardia
pretoriana”.
Quando nel 956 i Turchi si stabiliscono a Bukhara, il loro ruolo cambia: si convertono in massa
all’Islam, diventano difensori del sunnismo, diffondono la loro fede tramite le madrasa. Nelle loro
scuole s’impegnano perché venga mantenuta e diffusa una stretta osservanza della Parola e delle
Leggi musulmane. Nello stesso tempo si appropriano dell’esperienza del pensiero iraniano; si
acculturano velocemente, ottengono sultanati, diventano divulgatori dell’evoluta civiltà dei sedentari.
La forza militare e la raffinatezza artistica contemporanee fanno di loro un fattore essenziale per la
promozione del pensiero persiano.
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Questi “Turchi iranizzati” creano una specie di “Koiné” islamica, la cui espressione migliore sarà
(forse) il sultanato selgiuchide (1032/1186).
I Karakhanidi (990/1140), turchi seminomadi ma islamizzati, estendono il loro potere nell’Asia Centrale
dal deserto del Tarim a Tolas, poi si impadroniscono della Transossania e del Fergana.
Presto si suddividono in due poteri distinti: il Khanato occidentale (che deve accettare l’autorità dei
Selgiuchidi nel 1070) e quello orientale che sarà invaso nel XII secolo dal Karakitai, popolo mongolo
della Cina.
In Afganistan ai Ghaznavidi nel 1151 succedono i Guridi, promotori della fioritura di una cultura
persiana in India: Mohamed di Ghor (1173/1206) fonda il sultanato di Delhi.
ARCHITETTURA
Il livello cui è giunta la speculazione filosofica dell’epoca samanide è determinante nello sviluppo
dell’Architettura contemporanea e la costringe a scelte estetiche che tendono a tradurre in “forme
altamente intellettuali la complessità del mondo illuminato dalla fede, mondo di cui l’uomo poteva
riconoscere alcuni segni, grazie alla forza della sua ragione.”
Il primo importante documento dell’Architettura che incontriamo è il piccolo “Mausoleo di Ismail il
Samanide”, costruito nel 907 a Bukhara, nella lontana Transoxxiana, pietra miliare dal punto di vista
architettonico nelle arti islamiche.
La forma è quella dell’antico chahar tag (struttura architettonica a pianta quadrata, con quattro archi
sui lati e cupola centrale) dei Templi del Fuoco Zoroastriani, che è ora definita dai perfetti rapporti
geometrici di al –Khozemi, di al Fargani, di Ibn Sina, che conferiscono all’opera il sigillo di indiscutibili
verità della conoscenza e dello spirito.
La scelta della forma quadrata con cupola come monumento funerario dell’Islam si può trovare nelle
parole con le quali, nel X secolo, Al –Qummi, nel Tarikh al-Qumm, parla all’eroe che cerca le sorgenti
del Nilo, uno dei quattro fiumi del Paradiso, dove, dopo avere attraversato terre di ferro, di ottone, di
argento, “…arriverai alla terra dell’oro: qui troverai un alto edificio con una cupola, con quattro porte,
tutto d’oro…dalla cupola… l’acqua scorre da quattro aperture… e dove scorre l’acqua c’è il Paradiso”.
Le quattro porte presenti nel chahar tag, che troviamo nel Mausoleo di Ismail, scompaiono nella più
tarda architettura funeraria.
Il piccolo Mausoleo di Ismail può essere indicato come “poesia geometrica”: l’obbedienza alle
inflessibili regole dei rapporti geometrici non “congela l’edificio in uno stretto sistema di segni.” E’
piuttosto un organismo pieno di vita: è morbido, mutevole, grazie alla forza vitale che gli deriva proprio
dall’umile materia di cui è fatto: il fango naturale, vivificato dall’illuminazione divina, che diventa così il
tramite di fiducioso ottimismo, per dimostrare come la caducità terrena può essere superata attraverso
la conoscenza.
- Il corpo di fabbrica, cubico, ricoperto da una cupola, richiama perfettamente il “gunbad”
(l’edificio funerario persiano sormontato da una cupola).
- l’armoniosa perfezione dei rapporti proporzionali
- la luminosità dell’interno che libera la struttura dal peso della materia inerte
fanno di quest’opera un capolavoro non solo dell’Architettura persiana ma dell’Arte di tutti i tempi.
Al contrario di quanto possiamo pensare sull’origine dei mausolei a pianta quadrata, non sono ancora
emersi studi sufficienti a dare un significato agli edifici a pianta circolare.
Un orientamento può essere offerto da quanto si legge nel Tarik –i Bunakati, nel 1330ca:
“E quando la sua vita terminò improvvisamente in città apparve una torre di cristallo. Shamkuni vi
entrò e dormì come un leone. E d’improvviso si vide un lampo a forma di cilindro partire dalla cima
della torre…”
La pianta ottagonale, già utilizzata a Samarra in epoca abbaside nella Qubat al Sulaybiyya, deriva dai
battisteri e dai martyria cristiani. Il numero “otto” è numero del Paradiso:
- Al Paradiso si accede tramite otto gradini con otto porte
- L’ultimo degli Otto Paradisi si trova oltre le stelle fisse e oltre Saturno
- “Se aderirai alla nostra fede, passerai oltre il settimo cielo” (Attar nel suo Haylaj (1193).
Molti edifici nei primi secoli dell’Arte islamica sono crollati per problemi di struttura. Nel Mausoleo di
Ismail anche la tecnica è impeccabile: La spinta della cupola sulla pianta quadrata è supportata dagli
sguanci angolari (quasi un anticipo dei contrafforti gotici).
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Espressività della forma e perfetta esecuzione sono supportate dalla decorazione che ha sfruttato
ogni potenzialità del mattone, al punto che ne sarà influenzata per secoli tutta l’architettura islamica
dell’Asia centrale:
- Le quattro facce sono uguali: simbolo di centralità.
- La forma cubica, simbolo del mondo terreno (ma anche richiamo alla Mecca) è conclusa dalla
calotta della cupola emisferica (simbolo dell’universo infinito).
Caratteri dell’Arte Persiana:
- arco persiano a quattro fuochi
- utilizzo del mattone
- pittoricismo creato attraverso l’inserimento di superfici “ricamate” con l’uso del mattone trattato
secondo forme geometriche
- mausolei, minareti, piccole moschee
- uso della ceramica smaltata.
Il Regno dei Grandi Selgiuchidi
La struttura come bellezza
I Selgiuchidi, originari dell’Asia Centrale, tra il Lago Balhash ed i Monti Altai, appartenevano al clan dei
Turchi Orguz (Orguz = frecce, quindi popolazione armata. Il nome deriva da Selgiuq, grande
condottiero). Avevano una economia pastorale, praticavano la transumanza; la loro religione era lo
sciamanesimo, con qualche traccia di buddismo.
A Char Chad, in Mongolia, è stato riconosciuto su un petroglifo del VI/VII secolo un antico cavaliere
turco, che indossa un’armatura che presenta lamelle di ferro e strisce di cuoio. Ciò fa pensare che
esistesse presso queste popolazioni, oltre alle bande per scorrerie veloci, anche una cavalleria
pesante.
I nomadi Selgiuchidi vengono all’inizio assoldati come mercenari, poi si convertono e li troviamo al
servizio dei Samanidi, intorno a Samarcanda. Qui il disgregarsi del potere centrale va a vantaggio dei
mercenari, sempre meno interessati a difenderlo.
Quando i Samarcanidi sono travolti dai Karakhanidi, i Selgiuchidi passano al servizio dei vincitori.
Quando anche questi vengono sconfitti, i Selgiuchidi si stanziano nel Khorasan e in Afganistan.
Secondo il costume turco, il territorio viene diviso tra le famiglie aristocratiche.
Nel 1055, dopo avere combattuto e vinto gli “eretici” Fatimidi di Bagdad, Tughzil Ben, eroe sunnita,
libera Bagdad dagli sciiti, riceve il titolo di sultano (mano destra del califfo) e di comandante dei fedeli.
Benché turca, la sua dinastia viene subito legittimata.
Il suo successore, Alp Arslam (1063/1072) detto “il leone” (il leone era animale totem della tribù)
estende il regno occupando Azerbaigian, Mesopotamia Settentrionale e Siria. Conquista anche
Gerusalemme (evento che scatenerà le Crociate).
Riporta vittorie anche sull’imperatore bizantino-romano Diogene, aprendo così ai Turchi la strada per
l’Anatolia (dove i Turchi saranno indicati come i Selgiuchidi di Rum).
Gli anni che seguono sono anni felici, caratterizzati da grande sviluppo dell’agricoltura, dell’economia,
della finanza. Sunniti in un paese sciita, i Selgiuchidi s’impegnano a diffondere il loro credo tramite la
fondazione di centinaia di madrasa finanziate dallo stato, vere e proprie università destinate alla
formazione di una classe dirigente religiosa e politica, aderente al sunnismo. Tra gli insegnanti c’è il
grande filosofo al –Ghazzali (1058/1111).
Il periodo di prosperità economica riguarda tutta l’Asia: vengono costruiti palazzi, moschee, madrasa,
ospedali, ospizi, hammam. Strade, ponti, caravanserragli garantiscono velocità dei traffici commerciali
e degli scambi culturali. Nelle città si sviluppa la tecnica della lavorazione dei metalli e della tessitura.
La grande libertà permette lo sviluppo del pensiero e della poesia che culmina nell’XI e nel XII secolo
nelle opere dei persiani Omar Kayyam e Negami Ganjawi.
L’impero è però troppo vasto perché possa durare a lungo.
L’ambiente storico del periodo selgiuchide può sembrare il meno adatto al fiorire dell’Arte, che, invece,
tocca esiti tanto alti da fare sì che questo periodo sia definito come il periodo aureo dell’Arte e
dell’Architettura dell’Asia Centrale.
Caratteri:
- Perizia tecnica
- Suprema armonia realizzata applicando le regole della matematica
- Raffinata decorazione che dialoga con l’elemento strutturale.
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Il linguaggio architettonico non è caratterizzato da brusche soluzioni di continuità tra una dinastia e
l’altra. Per esempio, nella moschea di Pamenar (1068 – Zavareh – Iran) rimangono tracce del passato
(Samarna) nella decorazione, ma il minareto è un ottimo esempio di novità e ci mostra come,
attraverso un motivo semplicissimo, si possano ottenere ottimi effetti cromatici (è sufficiente
distanziare e sfaldare i mattoni lasciando a vista la malta sottostante per ottenere un vibrante e
delicato effetto di ascesa).
La Moschea del Venerdì di Isfahan (iniziata sotto gli Abbasidi tra il IX e il X secolo. Più di mille
colonne costruite con mattoni e con sala secondaria a cinque arcate).
La città di Isfahan, conquistata dai Selgiuchidi nel 1051 e subito dopo elevata a capitale del regno, si
sviluppa intorno alla Moschea, costruita durante il periodo abbaside e ristrutturata in epoca Buyide nel
X secolo.
La Moschea, ingrandita e modificata nel tempo con l’aggiunta di corpi di fabbrica e con il rivestimento
in maiolica, è uno dei maggiori complessi architettonici del mondo, un edificio unico, un capolavoro.
Si entra nell’amplissimo cortile (m.65X75) attraverso vari ingressi, di cui quattro con colossali iwan
affrontati a coppie e sui due assi ortogonali che si incrociano al centro della vasca per le abluzioni (e
che hanno copertura differente).
Il sahn è chiuso su ogni lato da arcate articolate in una galleria a due piani, rivestita all’interno di
mosaici in ceramica su fondo di mattoni.
La Moschea è interamente inglobata nel bazar, per cui da lontano è riconoscibile solo per la presenza
dei minareti e della cupola, gigantesca, severa, magnifica, in laterizi e priva di decorazione (secondo
lo stile selgiuchide).
Attraverso il profondo iwan, decorato con ceramiche di grande qualità (XV e XVI secolo) si entra nella
monumentale sala della preghiera (forse maksura a protezione ed esaltazione del sovrano).
La grande sala ipostila si articola intorno alla cupola centrale impostata su massicci pilastri. E’
suddivisa in piccole campate, concluse da cupolette di disegno vario (alcune a cielo aperto per
permettere l’illuminazione del vasto ambiente).
Alcune colonne-pilastro presentano una decorazione realizzata a mattoni.
Gli sterminati ambienti sono articolati in quasi cinquecento campate.
Dal punto di vista estetico l’elemento più significativo è la cupola settentrionale, “costruita per
l’eternità”, sopravvissuta per oltre cinquecento anni in una terra di terremoti, separata dal corpo
originale della moschea al quale è raccordata tramite navate aggiunte in un secondo tempo
(committente Tajal –Mulk in competizione con il grande Nizam al- Mulk, costruttore della cupola
meridionale).
La cupola è di dimensioni modeste (H. m.20ca, diametro m.12ca). Ogni elemento è stato
minuziosamente studiato ed ordinato come una composizione musicale.
E’ coronata da una stella a cinque punte, uno degli elementi di più complessa simbologia nel sistema
di relazioni geometriche alla base del sistema decorativo islamico.
Si tratta solo di un’ipotesi, priva di qualsiasi documentazione, tuttavia si è pensato che l’ideatore dello
straordinario edificio sia stato Omar Khayyam, il più noto poeta persiano, vissuto a cavallo tra l’XI e il
XII secolo. Di lui si sa poco, molte sono però le leggende fiorite intorno a lui e tra queste c’è un
episodio raccontato dal suo amico Negami Aruzi, morto nel 1174.
La sepoltura
Nell’Arte islamica i mausolei, i luoghi della sepoltura, possono essere a forma circolare o a forma
quadrata, sormontati da una cupola.
Come già abbiamo visto, non sono emersi dagli studi compiuti fino ad ora dati sufficienti a fornire un
esatto significato della tomba a pianta circolare. Rileggiamo, giusto per rinfrescare la memoria,
quanto si legge nel Tarik –Burakati (1330ca): “E quando la sua vita terminò, improvvisamente in città
apparve una torre di cristallo. Shankuni vi entrò e dormì come un leone. E d’improvviso si vide un
lampo a forma di cilindro partire dalla cima della torre…”
La tomba cilindrica sarebbe quindi un evidente tramite tra la terra e il cielo.
Masumzadech di Mehmandust. 1096. Iran.
Il coronamento superiore è andato perduto.
Pianta circolare; dodici coste triangolari rafforzano il senso ascensionale. La cupola aveva
probabilmente profilo ogivale.
La parte inferiore è austera, appena scandita da leggere arcate cieche. In quella superiore la solenne
vibrazione cromatica è ottenuta tramite il variare della posa e della forma dei mattoni.
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La pianta ottagonale, già utilizzata a Samarra in epoca abbaside, nella Qubat al –Sulaybiyya, deriva
dai martyria e dai battisteri cristiani.
Il numero “otto” è numero del Paradiso: il Paradiso presenta otto gradini con otto porte. L’ultimo degli
otto Paradisi si trova oltre le stelle fisse e oltre Saturno: “Se aderirai alla nostra fede, passerai oltre il
settimo cielo” (Attar nel suo Haylaj. 1193)
I Mausolei di Kharraghan: “Oltre il settimo cielo” (1068/1093). Qazvin. Iran. (Gravemente
danneggiati dal terremoto del 2002)
Sono due straordinari mausolei, denominati I e II, costruiti nel 1068 e 1093, a pianta ottagonale, con
costoloni agli angoli, cupola a doppia calotta (la più antica documentata in Iran). La struttura è a
mattoni.
La struttura ottagonale, usata per la prima volta nella Qubbat al Sulabyia a Samarra, la più antica di
epoca Islam, deriva con molta probabilità (come già abbiamo visto) dai martyria e dai battisteri
cristiani.
La Tomba del 1093 ha una decorazione particolarmente ricca e varia: è diversa in ognuno degli otto
lati. In tutti due i mausolei, grazie alla varietà dei motivi ornamentali, la superficie è resa vibrante dalla
luce.
Degna di particolare attenzione è la decorazione del mausoleo del 1093.
I costoloni creano quasi una corona di contrafforti sui quali si libra la cupola, composta da un guscio
interno e da uno esterno.
La decorazione degli edifici diventa sempre più spesso policroma.
La Policromia
La Storia ci insegna che l’architettura si è sempre arricchita di colore. Già gli Egizi ornavano le pareti
delle loro tombe (il primo esempio di decorazione colorata risale forse a Zozer ed alla sua sepoltura a
Saqqara).
A Susa, nel VI secolo a.C. gli Achemenidi immortalarono i membri della Guardia imperiale con opere
in faience smaltata. A Costantinopoli e a Ravenna i Cristiani adornarono le pareti delle loro chiese con
mosaici colorati.
Anche la Moschea di Damasco, in epoca omayyade, fu ornata con mosaici. Ed anche i Selgiuchidi
decorano gli edifici sacri con maioliche colorate.
La ceramica “architettonica” appare sulla scena dell’architettura in epoca abbaside.
Nel 903 lo scrittore ibn Rustah racconta che la cupola della Moschea di Bagdad era del tutto coperta
di mattonelle color lapislazzuli. Abu Yacubi Al Masudi nel suo testo “Praterie d’oro” (metà del X
secolo) ricorda una cupola verde a Bagdad.
Tra la fine del X e l’inizio dell’XI secolo, a Nishapur, a Samarcanda, a Kashan la ceramica
architettonica fa grandi progressi. Sembra che la città di Kashan possedesse un segreto per la
lavorazione e che avesse creato un monopolio per la produzione di mattoni smaltati a scopo di
rivestimento architettonico.
Qualche scrittore racconta che gli artigiani di Kashan erano soliti firmare non solo le piastrelle con le
quali coprivano gli edifici pubblici, ma anche pezzi unici, “degni di grande interesse”.
La tecnica della ceramica a lustro con riflessi metallici, assai ricercata per il rivestimento del mihrab,
fece la sua apparizione alla fine dell’epoca selgiuchide.
L’Arte della ceramica
Attraverso la via della seta i territori iraniani e iranizzati vennero presto a contatto con la Cina dove la
ceramica si era grandemente sviluppata ed aveva creato capolavori.
Già durante il periodo abbaside gli artigiani ceramisti arabi avevano acquisito una tecnica raffinata.
Dapprima si erano accontentati di copiare, poi avevano eguagliato in valore le ceramiche cinesi.
La città di Nashpur, nata su una delle grandi vie del commercio della seta e della ceramica, fu uno dei
più grandi centri della ceramica islamica fino a quando fu distrutta dai Mongoli nel 1221.
Il grande momento della ceramica comincia all’epoca degli abbasidi, grazie ai grandi progressi che
compie la tecnica al tempo. La proibizione della rappresentazione della figura sviluppa il gusto per la
decorazione e porta a creazioni di qualità ammirevole.
Nel X secolo a Nashpur ed a Samarcanda si producono coppe e piatti a ingobbio (copertura
dell’impasto ceramico con un velo di terra liquida, che copre il colore naturale dell’argilla), con fondo
bianco, sui quali è iscritto a raggiera un testo con grandi caratteri di colore nero che, nella loro
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sobrietà, raggiungono valore paragonabile a quello della calligrafia, usata come manifesto estetico e
spirituale.
Verso la fine del periodo selgiuchide coppe e piatti sono ornati con personaggi che ricordano i cinesi
(volti larghi, occhi a mandorla).
La tecnica adottata nella creazione di queste opere è quella detta “minai”: una doppia cottura; la
seconda, “a piccolo fuoco”, fissa il disegno ed i suoi colori.
Tra l’architettura e la ceramica si crea una simbiosi: nella mattonella verniciata e nella faiance
ornamentale si materializza la policromia: tra l’Arte del vasaio e quella del miniaturista si instaura
un’identità stilistica che può allargarsi anche a quella dei tessuti e dei tappeti, così che tra il secolo X
ed il secolo XIII si può parlare della fioritura di uno stile unitario. E’ il periodo d’oro del pensiero e
dell’Arte della Persia, che accompagna sulla scena del paese la comparsa di personalità di genio.
Evoluzione e perfezionamento dell’Arte della ceramica è la tecnica a lustro (già nota in Mesopotamia
intorno all’850 a.C.) che si diffonde in tutto il vasto territorio islamico, a partire dal X secolo.
Questa tecnica, raffinata e preziosa, inizialmente usata su vetro e poi su ceramiche, consiste
nell’applicazione di una sottilissima pellicola di particelle metalliche che, cotte, creano effetti iridescenti
di vario colore, secondo il tipo di metallo usato.
Mihrab della Moschea di Meidan. 1226. Firmata: Al Hassan ibn al Arabshah. Iran (attualmente a
Berlino Kunstgewerbemuseum.)
Capolavoro dell’Arte della ceramica applicata all’Architettura è il mihrab della Moschea di Meidan
(ceramica invetriata e dipinta a lustro). L’opera è in perfetto stato di conservazione.
All’epoca, la tecnica perfetta permette di realizzare un mihrab interamente in ceramica.
La superficie perfettamente lucida può essere arricchita con una pittura raffinata. Si possono ottenere
effetti di tridimensionalità assemblando più pezzi.
In questo caso più nicchie sono incapsulate una sull’altra in ordine decrescente e sono inquadrate da
una cornice rettangolare, fortemente aggettante.
La calligrafia, realizzata in blu scuro, alterna fasce naskhi a scrittura angolare (sufica).
La decorazione consiste nel classico motivo a arabesco floreale.
Le semicolonne, prive di basi, ed i capitelli a vaso non hanno funzioni architettoniche.
Gunbad – Surkh “La Torre rossa” 1148. Maragheh. Iran.
Questo mausoleo, costruito per un principe (forse il migliore esempio noto di costruzione in mattoni),
è un capolavoro dell’Arte Selgiuchide.
E’ decorato con mattonelle invetriate turchesi.
La cupola è andata perduta. L’ingresso è evidenziato da lucenti mattoni invetriati: Luce, acqua, cielo
rappresentano la dimensione paradisiaca.
L’edificio, costruito quando il committente era ancora in vita, ci fa comprendere come sarà la sua
condizione dopo morto e, nel frattempo, testimonia, con la sua magnificenza, il potere in terra del suo
committente.
Come già abbiamo visto, la tradizione islamica vuole che il defunto sia sepolto sotto terra, coperto solo
da un lenzuolo. Dobbiamo quindi pensare che il defunto sia stato sepolto sotto il mausoleo, in una
cripta.
Gunbad- i Kabud. “La Torre blu” 1196 - Maragheh. Iran.
Ha pianta decagonale, con costoloni cilindrici che sorreggono dieci alte arcate, coronate da un
ornamento in muqarnas.
La parte superiore (andata perdura) era probabilmente piramidale.
La parte inferiore, la cripta, di pietra ben levigata, è collocata su uno zoccolo.
Nella zona mediana il disegno ornamentale è complesso: il primo piano è in rilievo e presenta
un’alternanza di mattoni interi e di mattoni sagomati. Il disegno è sovrapposto a un altro disegno,
quasi sfondo del primo, che presenta stelle a cinque e a sei punte.
Sulla superficie superiore possiamo ammirare un ornamento che può essere paragonato a un merletto
di mattoni.
Nella zona delle lunette da una svastica (antico simbolo solare), al culmine dei costoloni, partono gli
archi che alternano semimattoni interi ad altri arrotondati ed accostati in modo da creare giochi di luce.
Tra la cornice e l’arco la trama di mattoni semplici si sovrappone ad una trama di mattoni invetriati, di
color turchese, che suggerisce “l’emergere della luce, quindi della verità, sotto la geometria che ordina
l’universo”.
Anche le iscrizioni cufiche delle ghiere, degli archi, delle mukarnas sono scalpellate su mattonelle
invetriate di colore azzurro.
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Moschea di Ardestan. (Moschea del Venerdì) X-XII secolo. Iran
Da un’opera ricca di decorazione raffinata e policroma, passiamo ad un’opera notevole per il suo
ascetismo di forma e di materia.
La Moschea di Ardestan è una delle poche opere di una certa importanza commissionata da un
personaggio non appartenente alla corte.
L’aspetto esterno, di ascetica purezza, è tutto di mattoni. Privo di elementi decorativi, affida il suo
fascino alla sobria forma architettonica.
Il sahn si apre con quattro ivan (uso che diventa sempre più frequente in Iran). L’origine di questa
scelta sembra derivare dall’architettura delle madrasa, nelle quali i quattro ivan stavano a
rappresentare le quattro scuole giuridiche accettate dai Sunniti.
In questa, come nella maggior parte delle moschee selgiuchidi, è difficile ricostruire l’interno perché gli
elementi originali sono del tutto scomparsi e sono stati sostituiti. (Si pensi ad Isfahan, attualmente tutta
coperta da ceramiche colorate)
Alcuni elementi dei pannelli di stucco, recuperati, dipinti a vivaci colori, fanno pensare all’effetto che
doveva procurare il loro accostamento alla calda tonalità dei mattoni.
La cupola della sala davanti al mihrab è suddivisa in 16 sezioni decorate a losanghe di stucco.
I Minareti Selgiuchidi
L’uso di costruire in mattoni crudi e con sostegni lignei è la causa della quasi totale scomparsa degli
edifici dell’epoca. I minareti sono invece sopravvissuti agli sconvolgimenti politici ed ai terremoti,
grazie alla loro struttura massiccia ed alla scala elicoidale interna, che conferisce loro robustezza ed
elasticità.
I minareti iraniani sono un semplice fusto cilindrico, che va snellendosi verso l’alto e che poggia su un
basamento quadrato.
L’origine della forma cilindrica non è chiara: i minareti di forma quadra dell’epoca omayyade e
abbaside derivano dalle torri antiche; quelli dell’Asia centrale sono caratterizzati dalla forma a stella.
La forma cilindrica, a uno o più livelli, sembra sia creazione dell’XI secolo.
Minareto del Venerdì. XI secolo. Semman. Iran.
Il delicato e prezioso minareto è l’unico monumento d’epoca selgiuchide che qui resta. Il balconcino
ligneo è di restauro.
Minareto di Khosrogird. 1111. Iran.
La decorazione, del tutto in mattoni, è scandita da fasce orizzontali. Due di esse presentano
magnifiche descrizioni in caratteri sufici.
Minareto di Sareban. XII-XIII secolo Isfahan. Iran.
Presenta un doppio balconcino sostenuto da splendide muqarnas. Le iscrizioni monumentali sono in
ceramica.
I Selgiuchidi di Rum: I Selgiuchidi in Anatolia.
Nell’XI secolo l’Anatolia era popolata da popoli diversi, soggetti alla sovranità di Bisanzio. Occupavano
l’Occidente genti di lingua greca; sulle coste del Mar Nero vivevano comunità latine e si erano formate
colonie mercantili genovesi e veneziane; quelle mediterranee dipendevano dai Cavalieri di San
Giovanni, a Rodi.
Le regioni centrali e orientali erano abitate tribù curde e quelle settentrionali da armeni e georgiani,
che si erano creati piccoli regni spesso in contrasto con Costantinopoli.
La crescente potenza dei sovrani armeni impensierì l’imperatore Basilio II (976/1025) che, temendo un
processo di islamizzazione delle popolazioni di frontiera, trasferì oltre 40.000 Armeni dalla zona Nord
Orientale all’Anatolia Centrale, indebolendo così le terre di frontiera, vicine agli aggressivi, pericolosi
Selgiuchidi.
Nel 1071 Arp Aslam, che invece di fermarsi a Bagdad aveva proseguito il cammino verso ovest, dopo
avere conquistato Aleppo, riporta una decisiva vittoria sui Bizantini a Mantziker, sull’altopiano
anatolico. La sua penetrazione nell’Asia Minore non incontra da questo momento alcuna resistenza:
gli invasori turchi occupano il paese dalle rive del Mediterraneo, del Mar Egeo, del Mar di Marmara e
del Mar Nero fino ai confini del continente asiatico.
Arp Aslan fonda la sua dinastia su un territorio circondato per tre parti dal mare, su un territorio che è
per lui quindi una specie di “finis terrae”; si insedia con il suo popolo su una terra che ha conosciuto
grandi culture: quella degli Ittiti, dei Persiani di Dario e di Serse, dei Greci di Alessandro, dei Romani di
Pompeo e Traiano, dei Bizantini…
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Nasce l’Impero selgiuchide dei Rum (1077/1308), dal quale nascerà nel XIV secolo la Turchia degli
Ottomani, poi quella medioevale e moderna, che estenderà il suo potere al vicino Oriente, all’Europa
Orientale, all’Africa del Nord, dall’Egitto all’Atlantico.
L’unità delle diverse tribù turche ha come fondamento il loro linguaggio. La lingua originale è molto
semplice: ha una sintassi che funziona mediante suffissi ed una sola declinazione.
Le prime trascrizioni in lingua turca si basano su caratteri derivati dal sogdian (una combinazione di
caratteri runiformi e nigur). Quando i Turchi si convertono all’Islam utilizzano l’alfabeto arabo, alfabeto
non adatto alla loro lingua, e solo nel 1928, sotto Mustafa Kemal Ataturk, vengono adottati i caratteri
latini. Per molti Turchi questa adozione ha significato una frattura con il passato: molti testi che non
sono stati riscritti con caratteri latini sono ora accessibili solo a pochi eruditi.
Per quanto riguarda la lingua, i Turchi, a differenza di altri popoli conquistati, dopo la conversione
all’Islam non hanno adottato l’Arabo come lingua ufficiale: al contrario gli stessi sultani turchi hanno
imposto la loro lingua al mondo musulmano.
I Selgiuchidi di Rum arrivano in Anatolia come tribù nomadi o seminomadi, guerrieri o pastori. Vivono
in tende di feltro, in case smontabili che hanno come arredi tappeti, tende, cuscini. La loro religione è
sciamanica: i loro sacerdoti, gli sciamani, che entrano in rapporto con le forze soprannaturali e
praticano la divinazione, sono gli unici detentori del sapere e delle tradizioni.
Durante la loro fase di popolazioni nomadi non subiscono l’influenza dei paesi sedentari con i quali
vengono a contatto. Arte ed Architettura sono pressoché sconosciute. Pochissimo acculturati, sono
lenti ad assuefarsi ai costumi urbani, ad apprezzare le arti, a creare uno stile personale.
Invadono l’Anatolia nel 1071; per un lungo periodo sono impegnati a rinsaldare le loro conquiste
combattendo Crociati e Bizantini, Cristiani e truppe musulmane.
Ci vuole un secolo e mezzo prima che Arte e Architettura comincino a fiorire nel loro territorio.
Al loro arrivo, i Selgiuchdi di Rum trovano scarse tracce dell’eredità araba: sono poche Moschee
concepite secondo il piano classico della sala di preghiera rettangolare, secondo il modello della
Grande Moschea di Damasco.
Quella dei Selgiuchidi di Rum è un’Arte che non trae ispirazione dalla grande Arte bizantina, ma che
deriva piuttosto dalla Siria del Nord, dagli Armeni (abili architetti) e dai Siriani (abili tagliapietre, creatori
dei monasteri e delle chiese cristiane a Nord di Aleppo, nelle “città morte”). Nel corso di un centinaio di
anni (XIII/XIV secolo) riescono a costruire un imponente numero di monumenti. S’impegnano subito
nella costruzione di opere pubbliche per:
- diffondere l’Islam (sunnita) tramite la costruzione di madrase
- dotare il paese di vie di comunicazione, che favoriscano il commercio internazionale, vie sicure
grazie alla costruzione di caravanserragli.
Le carovane provenienti dal Nord portano merci preziose (seta, ceramiche, tappeti, spezie, schiavi)
fino alle rive del Mar Nero. Da qui altre carovane le trasportano fino al Mediterraneo. Dai porti del
Mediterraneo flotte commerciali le portano in Egitto; Genovesi e Veneziani le portano invece in
Occidente.
E’ un periodo di grande prosperità, che favorisce l’edilizia civile e religiosa e la realizzazione di grandi
vie di comunicazione.
(Questa situazione continuerà, ed anzi assumerà grandiose proporzioni durante l’Impero degli
Ottomani, sotto i sultani di Istanbul, quando la nazione turca raggiungerà l’apogeo del suo potere. La
politica dei sultani di Nicea, Brousse, Edirne otterrà come risultato quello si sminuire il potere dei
Bizantini, fino a ridurlo alla sola Costantinopoli e ad alcuni possedimenti sulle rive del Mar Nero. Nel
1453 Costantinopoli crollerà sotto l’assalto di Mehmet II, il Conquistatore.)
Tra la conquista dell’Iran e quella dell’Anatolia, passano una trentina di anni; i Selgiuchidi hanno tutto
il tempo per iranizzarsi, ma quando è il momento per i Selgiuchidi Rum di pensare alle grandi
costruzioni, l’Architettura Rum si rivela del tutto diversa da quella iraniana:
- viene usata la pietra da taglio invece del mattone
- la costruzione è sostanzialmente diversa: l’aspetto è possente, mancano i giochi di
luce creati dal diverso disegno dei mattoni
- il cortile aperto con i quattro iwan, dove si può, è sostituito da una copertura piatta, su
colonne, oppure da un sistema di cupole su pilastri
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il numero di pilastri e colonne della sala ipostila diminuisce: sembra aprirsi la strada
verso la ricerca di unità spaziale che sarebbe stata in seguito realizzata dall’Architettura
Ottomana.
In definitiva: l’Architettura in Anatolia è più concreta e di dimensioni più modeste.
Tra le prime creazioni puramente selgiuchidi in Anatolia c’è la Ala ed –din Camie a Nidge, costruita
nel 1233.
Lo stile è già selgiuchide: Sala di preghiera a tre navate; mihrab preceduto da cupola su archi ciechi di
supporto, affiancata da due cupole di dimensioni minori.
Il portale è sormontato da una nicchia a muqarnas.
Le cinque campate sono coperte da volte con nervature a sesto leggermente acuto.
L’illuminazione proviene da un pozzo di luce centrale.
Le volte a botte, leggermente acute, poggiano su corti pilastri che reggono archi ribassati.
La pianta è un rettangolo a tre navate, con cinque campate.
Il sultano Kilic Arslam II (1156/1292) sceglie come capitale Konya (l’antica Iconium) ed inaugura una
tradizione di mecenatismo che continuano i suoi successori, sovrani e grandi del tempo. Questo
mecenatismo attira professionisti e maestranze da tutti i paesi.
Il suo palazzo reale, celebrato per le maioliche splendenti e le travi dipinte, è ridotto a pochi resti.
Così è anche delle mura e delle rocche costruite per fermare le orde dei mongoli. La Moschea è quasi
del tutto ricostruita.
Sopravvive però a Konya una decina di Mescit, sale di preghiera di quartiere, articolate intorno a una
cupola principale, dotate di portico e di iwan.
Importante è la Moschea Buyuk Karatay Medrese .1251. Konya
Facciata: Il grande portale, coperto di motivi geometrici policromi, è affiancato a destra e a sinistra da
una serie di campate che formano un fregio ornamentale realizzato con blocchi bizantini di recupero.
Portale: arco a cunei intrecciati. Nel timpano: motivo di stalattiti.
Lo spazio interno è sormontato da una cupola a oculus (L’oculus per illuminare lo spazio interno
deriva dagli edifici termali romani). Negli angoli, rivestiti in ceramica, triangoli turchi favoriscono il
passaggio dalla pianta quadrata alla base circolare della cupola.
In questa Moschea riposa Rumi (Gialal al–Din Rumi. 1207), forse il più grande poeta mistico
persiano, uno dei più grandi mistici di tutti i tempi. Iranico di stirpe, si trasferisce in Anatolia, dove
muore. A Konya, si racconta, incontra il “sole di Tabruz”, uno dei dervisci del tempo, un “pazzo sacro”
che diventa il suo maestro.
“Il mio luogo è l’oltrespazio, il mio
Segno è senza segno… uno cerco,
uno conosco, uno canto,
uno contemplo”.
“Rendi te stesso estraneo, distruggi
le case, e poi vieni, e, con gli amanti,
dividi le tue case, dividi le tue case.”
Gialal al–Din Rum
Indje Minare Medrese. 1251. Konya
Facciata: Superbo portale (pishtac) con decorazione molto ricca, con fasce epigrafiche che si fondono
con motivi floreali e geometrici. Grande iwan assiale, sala principale quadrata, coperta da cupole su
triangoli turchi, con oculus.
Il minareto, slanciato, ha base quadrata in pietra e fusto cilindrico in mattoni smaltati (la sommità è
caduta durante recenti terremoti).
Nella decorazione del portale si incrociano motivo vegetale e geometrico, fasce floreali e iscrizioni,
parti piane, decorate, e volumi aggettanti.
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