contatti - Territorio Scuola
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CONTATTI La vera storia del memoriale Cox Alberto Pian © Alberto Pian, Torino, 2001. Tutti i diritti riservati. Per riprodurlo e diffonderlo chiedere autorizzazione all’autore. Ogni riferimento a fatti, persone, luoghi, situazioni è pura fantasia ma non è fantasia pura. 1 “La patologia è ormai talmente estesa, profonda, caratterizzata dagli aspetti più variegati e dalle combinazioni più stravaganti, che l’unica soluzione possibile e realmente alla nostra portata è di rovesciare semplicemente i termini del problema. Vale a dire di considerare la normalità come la sola patologia”. (Fred Yoshimoto, psichiatra, rettore dell’Università di Tokio e membro del Consiglio Accademico dell’Ecole Supérieure de Paris, Distroplasie mentali, in: “Atti del convegno”, Guernica, 1998) A Stefania, ai miei allievi 2 Uno scienziato, posto di fronte a un problema etico, decide. Una bambina è dilaniata a Sarajevo. Osservatori esterni di un altro mondo cercano segni di umanità in un pianeta che non sembra avere nulla di umano: che cosa fare? Un avvocato ritrova il gusto della vita pochi istanti prima di morire. Chi poteva prevedere che la pubblicazione di un memoriale avrebbe cambiato un intero pianeta, sperduto in un angolo dell’universo? Fantascienza? A voi giudicare. Alberto Pian vive e lavora a Torino, dove insegna Lettere e Storia. 3 Indice Primo contatto? ...................................................... 5 Problemi di riproduzione ............................................ 14 La conferenza ....................................................... 26 Aggressione? ........................................................ 42 La traccia .......................................................... 48 Non chiederci la parola ............................................. 51 Alternativa ......................................................... 56 Nessuna sbavatura ................................................... 58 Rumore di fondo ..................................................... 64 Carta d'identità .................................................... 71 I luoghi della vita ................................................. 80 Equivoci ............................................................ 88 La casa in campagna ................................................ 101 L'accordo .......................................................... 117 Catastrofi 1: lontananzaOsservatorio. .............................. 119 Catastrofi 2: vicinanza ............................................ 131 Eleganza della natura .............................................. 135 L’avvocato ......................................................... 139 Spazio e tempo: quanti ............................................. 152 Spazio e tempo: geiger ............................................. 161 Epilogo ............................................................ 169 Memoriale .......................................................... 175 Un anno dopo ....................................................... 182 4 Primo contatto? (Velivolo di osservazione. Gruppo di studio). Inizia la riunione, con un paio di settimane di ritardo. - Vieni, accomodati qui. - Grazie, ho con me la relazione. - Stavo appunto spiegando che ho cambiato argomento… - Ah, si? - Mi hanno incuriosito una serie di fenomeni legati alla velocità e così… - Ciao a tutti! Allora… hai cambiato argomento? Non sei la sola anch’io alla fine ho lasciato perdere. Ho preferito leggere i classici che avevo appresso, piuttosto che continuare con queste inutili ricerche. - Di cosa avresti dovuto occuparti? - Delle attività produttive. - Un tema vario, mi pare… - Così sembrava anche a me. - Del resto è la base di molte forme di esistenza… 5 - D'accordo, potrebbe essere un tema interessante perché le forme di lavoro sono effettivamente diverse ma, in realtà, a ben guardare, rientrano tutte in una stessa tipologia, sembrano governate da un unico schema. -Vale a dire? - Per esempio: non possono interrompere la loro occupazione quando più lo desiderano o quando sarebbe necessario per il fisico, per la loro salute, oppure da un punto di vista psicologico. Anzi, ho rilevato che gli individui che adottano comportamenti analoghi, sono sistematicamente emarginati, rifiutati. Nel senso più ampio del termine. - Eppure queste stesse regole sociali provocano anche danni enormi… - Precisamente! - Ma questo è valido in tutti i settori? - Si, in tutti, nessuno escluso, infatti… - …ma allora dove passa la motivazione a reiterare questo schema? - Non saprei con precisione. Posso solo avanzare qualche ipotesi. Per esempio sappiamo che ci sono ordini sociali ben distinti, come abbiamo visto anche altrove. Però qui sono molto delineati, impermeabili, attivi, anche se non si presentano come tali, anzi… stando alle apparenze non sembrano esserci reali differenze! 6 - Le vostre osservazioni sono molto interessanti e trovo che si aggancino a questo problema della velocità… - Aspetta un momento. Ci siamo tutti? - mmhh… direi di sì. Tranne la tua compagna, che deve ancora rientrare, ha voluto scendere… - Ha voluto scendere? - Si, per completare delle ricerche. - Sola? - Si sola, perché? Sei preoccupato? - Un po’ si. Non mi sento del tutto al sicuro qui. - - Mmh… - Ok, allora, dicevo… la velocità. La velocità assorbe ogni pensiero. E' un vero e proprio schema di vita ovunque, in tutti i campi dell'attività. Struttura ogni angolo più remoto dell'esistenza. Ho esaminato diversi aspetti della loro vita sociale, privata e lavorativa. Ma ovunque è presente questo bisogno estremo di velocità, di rapidità di esecuzione. Per esempio nelle attività sportive la velocità di una certa azione è tutto ciò che essenzialmente resta dell'azione stessa. Non vi è alcuna competizione intesa a misurare, per esempio, i picchi di lavoro del cervello o che ne metta in gioco davvero e a fondo le sue capacità. Eppure in questo campo sono 7 impegnati tutti gli altri muscoli, anche il più piccolo e il più nascosto. Lo possiamo vedere con le automobili, il calcio, il baseball, il nuoto, l'atletica e molte altre discipline, tutte indistintamente basate su forme di competizione, essenzialmente muscolari o legate alla resistenza. Ma se questi sono i terreni dello svago è ancor più curioso che propongano schemi esattamente identici nei campi sociali e lavorativi in genere. Anche qui la velocità è il meccanismo che accompagna ogni azione, il parassita che ne succhia la linfa vitale, la sua colonna portante, mentre classificherei la resistenza piuttosto come un suo sottogruppo. - Beh… allora, dal canto mio, vi dico che hanno anche bisogno di attivare azioni di recupero, caratterizzate da dinamiche più lente, come per una sorta di compensazione. Mi spiego meglio. Risulta a tutti chiara la necessità di trovare forme di rilassamento e di completo rifiuto del movimento. Per esempio si tratta di dedicare una parte più o meno regolare dell'esistenza a periodi di riposo. Ma allora mi sono chiesto: perché destinare una massa così importante di energia per mettere alla prova i limiti della velocità e della resistenza e poi… occupare periodi interi per ripristinare le condizioni iniziali? Questo è davvero un meccanismo unico, originale, che non abbiamo riscontrato altrove. - Scusate un momento… è importante. Io desidererei cambiare attività e… non vorrei che la prossima ricerca ci spingesse troppo lontano, capite? - Capisco. Vuoi dire che non vale la pena proseguire? 8 - Guardate, francamente… a mio parere no. Davvero: non so cosa ci sia di interessante. Non hanno alcuna forma di coscienza… le loro regole sono nocive, incomprensibili anche a loro stessi. - Ti riferisci anche all'alimentazione? Ti sei occupata di questo, no? - Si, me ne sono occupata e ne abbiamo parlato qualche volta e poi… sentite, ho fatto delle analisi chimiche e i risultati sono davvero impressionanti. Impressionanti: l'83% delle sostanze che ingeriscono volontariamente provocano danni irrimediabili sul loro organismo e per questo hanno un'età media di vita così bassa… Ma non è ancora nulla: il 92% di tutte le loro attività provoca danni profondi, forse irreversibili all'ambiente nel quale loro stessi vivono. E' come se fossero tutti inconsapevolmente governati da un inspiegabile desiderio di autodistruzione collettiva. Anche se in realtà non è realmente così. E' difficile da capire, perché nei fatti risultano pienamente liberi e padroni della loro esistenza… - E i bambini? - Si… certo… me ne sono occupato io. Purtroppo non abbiamo informazioni diverse. Assolutamente. L'infanzia, come al solito, è uno degli indicatori migliori e sotto questo aspetto abbiamo dati impressionanti: non solo i bambini rappresentano la fascia meno protetta, sulla quale ricadono le minori attenzioni e si producono i più ampi effetti mortali, ma l'infanzia stessa è, decisamente e largamente, la fascia più calpestata e sistematicamente violata, ma in un modo tale 9 come non abbiamo mai potuto osservare altrove…. Veramente impressionante, davvero. No, anch'io sono d'accordo… non ci trovo nulla di stimolante, né a continuare queste ricerche né, tanto meno, a indurci ad aprire un rapporto con loro. - E il loro potenziale distruttivo? Anche se un po' arretrato è davvero ragguardevole e poi è sparso un po' ovunque… Ma che lavoro vorresti fare? - Non saprei… sono con voi appena da sei mesi ma vorrei cambiare indirizzo del tutto. Mi occuperei volentieri del gioco: avrei alcune idee che mi piacerebbe sviluppare, soprattutto, sul riso… -Sul riso!? - Si, sul riso e le sue funzioni. Forse ci sono ancora molte cose da dire… - A proposito, ho trovato che ridono così di rado e in modo così insolito… quasi innaturale… - Strano però, che abbiano raggiunto un certo livello… direi soprattutto a salti, se si giudica globalmente. - Si… è giusto… forse dovremmo cercare di rispondere a questo quesito: come è possibile raggiungere un certo livello tecnologico e… contemporaneamente, fermarsi a uno stadio di rapporti così primitivo, se non addirittura regressivo? Forse dovremo occuparci di questo, del resto è anche un aspetto interessante. 10 - Comunque con un profilo sociale così basso, non riusciremmo a comunicare i risultati delle nostre indagini. - Altrimenti, in un modo o nell'altro, se ne sarebbero già occupati da sè. - Il quadro che emerge è desolante proprio perché non abbiamo appigli. Non saprebbero cosa farsene delle nostre osservazioni, quando non sanno neppure impiegare quelle che hanno sottomano e che elaborano per loro conto. Per esempio: è sorprendente che sappiano molto della loro situazione. Hanno costituito organismi che studiano a lungo e tengono sotto controllo ogni aspetto della loro stessa evoluzione e i risultati vengono diffusi dalla stampa, dalle televisioni, dalle radio, dai computer… - A tal punto che difficilmente può esserci qualcuno che li possa ignorare… - Esatto! E' proprio così e per di più questi organismi godono di largo credito... - Si, anch'io lascerei perdere. Rispondere a questo problema, se poi la risposta non è in grado di aiutarli a risolverlo, sarebbe come fare una ricerca fine a se stessa. Lasciamo stare. - Potrebbero arrecare danni ad altre forme viventi nella galassia? - Ah, ah, ma ti pare? - Allora andiamo! Perché non facciamo una capatina laggiù? Osservate: ci avevano segnalato forme di vita… 11 - Ehi, un momento… io sono un po' stufa di queste ricerche, come vi dicevo… - Allora facciamo ritorno. - Per me va bene tutto, non m'importa la direzione: lasciamo pure gli abitanti di questa Terra… che poi mi sembra che amino il loro pianeta e anche quella Luna… - Si, davvero curioso. L'ho notato anch’io. - Perché non ci scrivi un libro? Avrebbe successo: è una bella contraddizione! - Già, non ricordo di aver mai visto nulla di simile, almeno in queste galassie. - No neppure io, ma che dite, a proposito, volete una Lizjk amara? - Che c'entra la Lizjk amara? - Nulla, è che sento il bisogno di distendermi... - Ok, dai, la riunione è sciolta. Nessun contatto possibile, almeno per il momento. Vogliamo fissare la prossima? O combiniamo più avanti? - Vedremo, ma perché intanto non disattivi il concentratore? - OK, ma lasciamo ancora attivo l’Osservatorio… almeno per un periodo, esaminare ancora qualche comportamento potrebbe tornarci utile. - Si, è giusto, lasciamolo in funzione per un po’. - A proposito delle tue letture… non ci dici niente? 12 - Si, ne parlo… ma prima voglio fare un'ultima osservazione. Sai che questi terrestri hanno una vasta produzione letteraria, teatrale, cinematografica e artistica in genere? Il teatro, poi, risale agli albori della loro civiltà e guarda che si tratta di opere geniali, davvero magistrali… - Potremo concludere che su questo pianeta è più interessante ciò che viene scritto di ciò che viene fatto! - Dai, non scherzare, pensa al dramma… -Per loro del tutto inconsapevole... - Non esattamente, direi. - Ne riparleremo… - Mi passi la Lizjk? - Comunque, vi racconto cosa ho letto… 13 Problemi di riproduzione (Un centro NASA, dintorni di Austin. Progetto Saturno. Due scienziati in laboratorio). - No, non ho ancora il referto… si OK, certamente, procediamo come stabilito agganciando il ricevitore e rivolgendosi al collega: - prepariamo la prova del Ch3. - Dì un po', chi hai salutato prima? - Perché? - Così, la trovo carina… - Passami quella provetta… no anche l'altra va bene, si… - un attimo di pausa, poi guarda negli occhi il collega - Allora, ti interessa? - In che senso? Provocatorio - In quel senso… come se non ti conoscessi…Infastidito - Bhè si, mi ha colpito! - E cosa ti ha colpito?… Prova ad aggiungere la soluzione e poi cronometra. - Ho già provato ieri, non varierà di molto, a mio parere… comunque ha un viso luminoso e un sorriso…. - E i seni… pensavo li avessi notati! 14 - Si li ho notati, certo. - E allora non fare tanto il filosofo…- Veniamo al sodo, allora, ah, ah! - Pausa, prepara la miscela, parte il cronometro e si avvia il nebulizzatore: - Ecco, ci siamo, registra lo start… - Fatto! - Comunque mi piacerebbe conoscerla, tu che dici? sarà disponibile? la frequenti? - Hai paura di fare fiasco? - Dai che tu ci hai già combinato qualcosa … - E come fai a dirlo? - Non sono scemo vecchio mio, cosa avete fatto? - Vuoi una descrizione dettagliata? - Che diamine, mica mi privi del gusto di scoprirla da me! Pausa. Suona il campanello del cronometro - Ecco, vedi, il risultato è nullo… - Dobbiamo provare altre soluzioni … - A mio avviso è fatica sprecata: dobbiamo fare a pezzi tutti i tessuti per raggiungere un risultato? - No, ci limitiamo alle prove stabilite. Poi vedremo. 15 I due inseriscono altre tre parti di tessuto in tre provette e continuano la registrazione degli esperimenti. - Comunque siamo stati insieme in auto. - In auto? - Si l'ho accompagnata a casa un pomeriggio, ma siamo finiti in una radura …. - Siamo finiti: ce l'avrai portata! e con quale scusa? - Eh, ma non volevi scoprirlo da te? - E l'avete fatto in macchina! - Non esattamente, era sesso orale. - Sì? E come se la cava? - Ah, e vorresti avere i dettagli? - Una collega ben tornita, laureata e impiegata alla NASA: mica male… - Mica male davvero! te la ricordi quella dottoressa del centro biologico a Denver? - Eh, se la ricordo… - Sospiro. - Ecco, bravo, anche qui non siamo lontani… - Ehi, vacci piano, quella era un mito… ricordi come stava con noi? - … E forse anche con qualcun altro… 16 - … Si, anch'io, pensavo all'ispettore… - … mm… - Vabbé che te ne importa? lo dici in un modo… fa esperienza. Ma questa si lascia andare? - Eh, eh, ha un carattere molto libero e aperto … - Accidenti, avrei voglia di conoscerla! - Stai calmo che te la presento… - prende le provette, scrive sul registro e dice deluso: - Niente da fare, non ci sono reazioni. E non troviamo organi di riproduzione da nessuna parte. - Accidenti a loro, ma si riprodurranno in qualche modo!? - Hai visto il rapporto di ieri? Hanno sezionato la parte centrale senza esito… - Giralo da questo lato… così… alza questo arto… OK, ora introduci la sonda… con cautela, così… - nella sala echeggiano versi molto acuti - maledizione, sapessimo se ci sono e dove sono delle vene, delle condutture… così, bene… - i versi proseguono con intensità crescente, poi cessano appena la sonda viene estratta dal corpo. - Ok, questo soffre, è l'unica cosa sicura… - Abbiamo qualche dato sull'apparato nutritivo, ma non sappiamo neppure dove possa trovarsi il cervello…. 17 - Ammesso che esista… io comincio a essere stanco. Non abbiamo strumenti adatti. - Forse dovremmo riformulare un modello o delle ipotesi, rivedere una linea di condotta. - Sì, ma prima facciamo ancora qualche tentativo… prova a sezionare questa parte, solo in superficie, delimitiamo bene, poi scendiamo di un paio di cm... I versi riprendono e si intensificano mentre il bisturi fa il suo lavoro e poi cessano quando l'apertura viene nuovamente richiusa. La porzione di tessuto così prelevata viene inserita nella TAC. - Dì, lo sai che Hanna è sempre più insistente, non mi lascia in pace un momento? - Davvero? ancora? - Si. Vorrei che la frequentassi un po' tu, magari le passa… - Non dirai sul serio! Quella si farebbe delle illusioni con me… - Perché dici questo? Non penso che andrebbe così, l'aiuterebbe a relativizzare le sue storie di sesso. - Ma tu perché continui a sentirla? - Non sono io a cercarla. E' lei che insiste e alla fine ogni tanto ci incontriamo e mi si struscia addosso… così qualche volta l'accontento…. tutto qui. 18 - Ma te l'ho già detto: se non la pianti finisce che quella viene a casa tua e ti combina qualche casino… - Il problema è che proprio se la mollo temo che pianti qualche casino, magari con mia moglie… - E così vorresti trovarle un altro con cui sfogarsi nei bar di questo paesaccio infame! - Ma non posso sopportarla vita natural durante! E poi mica te la volevo scaricare, vorrei solo che mi dessi una mano a uscire da questa situazione. - Ma cosa dici? Possibile che non ti renda conto che devi darci un taglio? Più vai avanti e più si fa delle illusioni… davvero non capisco come tu faccia a… - Ma no, pensavo che in due la cosa potesse semplicemente attenuarsi, depotenziarsi. Parte il film registrato dalle sonde e i due lo osservano con grande attenzione. - Ecco, vedi queste chiazze? - Si, ferma un momento… torna indietro… ecco! - Ecco! è strano: sono presenti in tutto l'organismo ce ne sono dappertutto e sono sparse ovunque nel corpo quasi a tratti regolari… -E sono collegati da… - Da cosa? impossibile stabilirlo … 19 - Il problema, a mio parere, è che nessuno fino a ora è riuscito a individuare un apparato nutritivo e neppure un sistema vascolare. Se non chiariamo questo punto sarà difficile gettare luce sull'insieme dell'organismo. - In ogni caso non c'è traccia di organi di riproduzione… - Si vede che questi esseri non scopano, ah, ah. - Pensa che sollievo: una vita senza problemi! Potrebbe essere la soluzione anche ai tuoi casi complicati! - Non hanno una vita sessuale? Scusa, passami le TAC… magari non hanno distrazioni del tutto: solo lavoro e sono degli alienati… ah, ah… - Alieni alienati! Immagina che abbiano raggiunto questo livello tecnologico solo perché non perdono tempo con l'altro sesso… ammesso anche che esistano sessi diversi…. - Ehi, saranno tutti gay… - Zitto… ecco… vedi le chiazze? le rileva anche la TAC. - Dovremmo vedere se frequenza, distanza e grandezza sono regolari, costanti, oppure se sono in rapporto tra loro secondo certi parametri. - Ma non possiamo farlo senza sezionare tutto il corpo… - Dai toglilo, di lì: dobbiamo concludere, il nostro tempo è finito e non abbiamo chiarito nulla, assolutamente nulla. Per conto mio potrebbe essere anche l'unico 20 esemplare vivente di tutto l'Universo, a parte noi e avere prodotto da solo la tecnologia che lo ha portato sin qui… - A mio parere ci sono solo due soluzioni: procedere a un esame in sezione dei tessuti, del corpo e degli organi, dopo averlo ibernato, oppure proporre una serie di prove fino a verificarne l'eventuale decesso organico. E' paradossale ma è chiaro che questo essere vivente, al di fuori del suo ambiente e per di più unico esemplare, può darci più informazioni da morto che da vivo. Forse la seconda ipotesi potrebbe rivelarsi scientificamente più interessante… - Io penso che qualunque decisione rifletta la nostra difficoltà di affrontare questo caso. L'ibernazione ci permette di conservare l'integrità dell'organismo e di avere più tempo per formulare delle ipotesi e anche per elaborare metodologie di indagine più idonee per questo caso… mentre proseguire gli esperimenti ci consentirebbe di esaminare le funzioni vitali nel loro stesso processo di esistenza. E' un problema, certo, sono più d'accordo anch'io con la seconda ipotesi. Ma dimmi: come si chiama… ? - Il corpo viene introdotto in una soluzione acida per alcuni istanti e quindi viene reciso un arto, mentre altre pozioni sono sottoposte a sezioni di varia profondità e lunghezza. - La ragazza? Ah, sai che non lo ricordo? Non ci siamo mai chiamati… Passami il coniplex, no, quello… si, ecco, così, bene, piano… piano… ecco, bene, così… dai… perfetto. Dicevo? Ah, si, è curioso, ci siamo accarezzati, baciati, annusati, toccati… tutto quello che vuoi, ma non ci siamo mai chiamati. Dai, hai scritto? A quanto 21 pare abbiamo concluso, tutto è sezionato e pronto per le analisi…Vieni che te la presento… *** Caro Yui, mio caro amore. Penso a te e al nostro destino. Mi chiedo dove sei e cosa stai facendo. Se sei salvo o sei perito. Non ho rimpianti e anche se provo dolore, non sono le mie condizioni a preoccuparmi, non è per il modo brutale con il quale saccheggiano il mio corpo che soffro. Ma è solo per te, per noi, che abbiamo interrotto in questo modo il nostro viaggio. Il tuo ricordo ha la capacità di rendermi estranea a quello che succede intorno a me, dentro e sopra di me. Il tuo ricordo mi rende insensibile all’inaudita e stupida violenza che questi uomini esercitano su di me. Il tuo ricordo fa volare il mio pensiero tra le stelle, nel buio infinito e poi nella nostra terra e questo dolore che mi fa gridare, che penetra così a fondo è come se fosse una cosa lontana, una reazione naturale delle cose, che nulla può di fronte alla forza indicibile del nostro amore e del nostro ricordo, che ora si affievolisce. Mio caro, caro, Yui, amore mio dolce ed eterno. La vita sta scivolando via da me come tante volte abbiamo visto in altri nostri cari, ma il modo è terribile perché nessuno di noi può partecipare a questo momento e renderlo più accettabile e giustificarlo, se mai lo potesse, con la sua presenza, con le sue parole e i suoi pensieri. La vita scivola e basta e non posso avere neppure il conforto di saperti vivo e posso solo sperare che tu lo sia e che continuerai a serbare il ricordo e a coltivare le emozioni della nostra unione. Com'è triste e desolante morire e lasciarsi nella 22 solitudine più completa, quando tutta la nostra esistenza è stata una unione di spiriti liberi e intraprendenti! Caro, caro amore dolce Yui. Ricordi? La prima volta che abbiamo fatto l'amore è stato in quella stanza, su quelle panche vuote, quando i nostri intelletti si sono aperti dando origine a un dialogo profondo. Ci incontrammo attraverso la parola e l'analisi di ciò che ci circondava e dei più remoti spazi e universi. Le parole aprivano i nostri pori e non potevamo trattenere l'essenza che si sprigionava dai nostri corpi che fremevano sempre più, a mano a mano che i discorsi si intrecciavano, che i suoni delle nostre frasi si allacciavano e volteggiavano nell'aria leggera del pomeriggio, fino a che ci abbracciammo e i nostri umori si riversarono l'uno nell'altra rendendo fisico e suggellando per sempre, nell' estasi corporale, il godimento dei nostri intelletti. E quando ci risvegliammo da quella prima unione, avevamo già compreso che essa sarebbe durata a lungo, perché così profondo ci era sembrato il nostro incontro e così varia ci era parsa allora la nostra possibilità di scavo, di scelta, di condotta. Ora provo dolore e freddo. Non so cosa stanno facendo. Intendo appena i loro discorsi. Ma essi non sanno di cosa parlano, non sanno cosa cercano, non possono neppure lontanamente immaginare il nostro modo di amarci e di godere lungamente, ovunque il desiderio si manifesti, ovunque fosse per noi necessario, ma dolcemente, delicatamente. 23 Lontano dalla nostra terra provo nostalgia e pena. Nostalgia per la vita e per la natura che tra poco saranno perse per sempre e pena per queste creature che mi torturano e che si affannano senza un barlume di consapevolezza, prive di un indirizzo. E mi fanno inutilmente soffrire. Parti del mio cervello vengono scheggiate e le mie conoscenze, i miei ricordi, il mio controllo fisico vengono amputati, corrotti. Perdo il controllo a pezzi, a salti, ovunque loro taglino e ovunque affondino i loro arnesi, ledono pozioni del mio intelletto che non può più vivere, ormai, nel contatto permanente e costante con ogni angolo del corpo. E forse è un bene. Forse quel cervello che noi abbiamo variamente e capillarmente dislocato nei tessuti ci permette di godere di ogni più piccolo contatto e allo stesso tempo di elevarlo a piacere generale. Forse questo permette ora di limitare il mio dolore. A ogni affondo, a ogni menomazione, una parte di me è persa per sempre, si perde il bene ma anche il male e il dolore cessa di procurarmi sofferenze. Ricordi quando ne parlavamo? Ecco, io sto morendo così. Lentamente, ogni parte del mio corpo soffre e muore, si scollega dall'organismo, la perdo e smetto di sentirne la presenza. Quando anche l'ultima porzione di me sarà deceduta io stessa non esisterò più. Il tuo ricordo solo mi aiuterà a resistere al continuo dolore. Il tuo solo ricordo verrà preservato e trasmesso da una porzione all'altra del mio intelletto, da una porzione all'altra del mio corpo ancora vivo, finché io non sarò più, senza che loro riescano ad aggiungere briciole di conoscenza ai loro vuoti saperi. 24 Io vorrei che tu fossi vivo. Yui, come lo vorrei. Non posso pensare, ora che ogni legame con la nostra terra è reciso, che anche il tenue filo della speranza nella tua vita sia spezzato. No, sento che tu sei vivo e che nella tua vita incontrerai ancora brandelli della mia esistenza e forse riuscirai ugualmente a trarne piacere, anche se io non ci sarò più. L'abbiamo sentito tante volte, tante volte ci è stato descritto come sia possibile che il ricordo possa sopperire la presenza e ridarci nuove speranze e nuove gioie. Ecco vorrei davvero, proprio nel momento in cui non mi sarà possibile ricevere da te un analogo dono, essere per te ancora fonte di piacere, di gioia e di godimento profondo e sereno … qua e là … frantumi nella tua vita … schegge di desiderio… di incanto… stelle… io… sento che… 25 La conferenza (Velivolo di osservazione. Auditorium) Nella sala c'è un commosso silenzio. Tutti i presenti sono attenti e osservano immobili le immagini che appaiono sulla parete. Ora c'è una bambina riversa sul selciato, un braccio, staccato, è rovesciato a pochi centimetri dalla sua testa e si possono distinguere brandelli di muscoli sfilacciati nel sangue. La sua gamba sinistra è completamente girata, come una marionetta, mentre un foro sulla guancia spappolata è ancora visibile, seppure coperto di sangue. La bimba è appena morta. Ha cinque anni. Ora viene mostrato il film di questa fine orrenda. Si vede la bambina che esce da un portone abbracciando un orsacchiotto. Si guarda intorno perplessa e indecisa. Una voce stridula e acuta grida qualcosa di incomprensibile, la bambina sembra darle quasi ascolto, forse la voce si rivolge proprio a lei. La bimba muove qualche passo, si vede chiaramente che per la strada e sul marciapiede non c'è nessuno. Tutto sembra impolverato, ci sono pietre, forse cocci o sassi, oppure detriti. Si, sembrano detriti. La bimba accenna a una corsa, si vede la sua gamba che si alza più in alto e protende il corpo per imprimere velocità al suo lieve passo. Intanto si sente un frastuono, è il rumore secco e acuto di una serie di colpi, la gamba della bimba non ricade sulla strada per completare il passo e l'altra non si alza nella corsa che aveva appena cominciato. E, invece, la bimba si solleva di 26 qualche centimetro da terra, una forza invisibile la strappa dalla strada. Se prima tutto appariva ordinato e razionale nella sua camminata, ora tutto è scomposto e folle nella sua caduta. Mentre la bimba piomba a terra - chissà perché con il suo orsacchiotto ancora stretto - d'un tratto rivolge lo sguardo alla telecamera che non può vedere e non può neppure immaginare dove sia, né perché sia lì. Da quel suo viso luminoso esce un rivolo, bava di saliva a un angolo della bocca e una smorfia; ed ecco quei suoi occhioni, ora sono stupiti, spalancati, chiedono cosa stia accadendo. E' lì che il piccolo braccino si stacca, le vola sopra le testa e ricade vicino a quel corpo ormai inerme, steso sulla strada, che sprizza sangue come acqua gettata da un secchiello. Forse, mentre il suo corpo a brandelli piomba sul terreno, la bimba non ha barlumi di coscienza e questo è anche ciò che tutti sperano, mentre osservano il filmato senza muovere un muscolo. Tutta la sala precipita con lei nell'abisso. Per qualche secondo è silenzio assoluto, mentre l'immagine orrenda è sempre lì, sulla parete, di fronte a tutti. - Quelle che avete visto - spiega con calma il relatore - sono alcune riprese di una guerra che ora è in corso a Sarajevo: una piccola e antica città. Non è il solo documento di questo genere, ce n'è un'intera collezione a vostra disposizione… e non è neppure l'unica città nella quale le vite dei bambini sono fatte a pezzi, questo capita, in forme diverse, un po' ovunque. Ci sono trentasette conflitti armati in tutto il pianeta… e ha subito appena cinquat'anni prima il più grande massacro dalla sua esistenza. 27 Appare un'altra immagine, enorme. Un grande grattacielo di New York, mostra un terrazzo, sul terrazzo un tavolino, una bottiglia di champagne, una donna molto attraente e un uomo che sembra pronto a mettere alla prova da un istante all'altro la sua sessualità prorompente. - E questa è una reclame di una bevanda… la città è New York. L'azienda che produce questa bevanda è una di quelle implicate nella guerra a Saraievo. Il suo scopo è riciclare il denaro proveniente dal traffico di droga. Come vi ho spiegato la Serbia e gli stati dei Balcani, sono una via privilegiata di questo traffico e forse proprio da quell'azienda proveniva il denaro per il cecchino che ha trucidato quella povera creatura… Bene, io avrei concluso… - Il relatore si siede. E' un po' stanco. Ha parlato sul tema delle guerre del pianeta mostrando documenti inediti per quel pubblico. - Spero che vi siano più chiari i meccanismi di questi conflitti. So che è difficile per voi comprenderli, ma spero che i materiali che vi abbiamo mostrato … Si? prego… - Non potrebbe ritornare sull'economia? Trovo difficile capire proprio il fatto che ci sia questa economia... il denaro… - Bene, molto bene. Ci sono altre osservazioni? - Anch'io ho qualche difficoltà a capire... si, l'economia mi sembra davvero complessa e poi il lavoro… la miseria… 28 Il relatore lancia uno sguardo rapido all'insieme dei presenti e quindi riprende Abbiamo visto che sulla Terra esiste una vasta produzione. E questo avviene anche in tutti i pianeti, sebbene in misura differente, che dipende dalle condizioni ambientali e dalla ricchezza del pianeta. Vi sono pianeti nei quali la natura offre maggiori prodotti e quindi i suoi abitanti non sono molto impegnati nella produzione. Sotto questo aspetto la Terra è uno dei pianeti più sfortunati. Ecco… osservate: la natura, che i terrestri amano così tanto, è in realtà una delle più inospitali tra tutte quelle abitate da forme viventi… i terrestri hanno dovuto lottare sistematicamente contro le condizioni naturali, che ancora adesso… osservate la violenza di questa natura… possono rovinare intere zone del pianeta e ridurre alla fame e alla morte molte persone. Insomma, i terrestri non hanno avuto la vita facile e quindi sono sempre stati sulla difensiva. E anche la pacifica convivenza ne risente. Il relatore fa ancora una pausa, è cosciente di non riuscire ad approfondire tutti gli aspetti e del resto non disporrebbe neppure delle informazioni necessarie. Quindi, rapidamente, decide di limitarsi a riprendere solo alcune delle profonde contraddizioni di questo pianeta. - In poche migliaia di anni - prosegue - queste lotte continue per la sopravvivenza hanno determinato la nascita di quelle che i terrestri chiamano ricchezze. Per i terrestri le ricchezze sono il denaro, oppure l'oro. Per loro la ricchezza non è assolutamente in rapporto a ciò che offre il loro pianeta: quello che per noi è un vocabolo scientifico, per loro è un termine economico. In ogni caso sulla Terra non si può avere nulla senza offrire in cambio del denaro: ogni 29 cosa dev’essere acquistata. Ecco, vedete l'immagine, questo è denaro… e questo è qualcuno che offre del denaro e in cambio riceve… un prodotto… un cespo di ortaggi: effettua un acquisto. Ecco, come vedete, anche i prodotti naturali del pianeta stesso si ottengono con il denaro… Voi dovete semplicemente considerare che avere molto denaro vuol dire poter acquistare molta roba… molti oggetti, ma anche, più semplicemente, mangiare, sopravvivere… l'esistenza stessa, sulla Terra, è legata al denaro e alla quantità posseduta. - Ma come viene determinato questo possesso? - Ecco, questo è il punto. Il denaro viene dato in cambio di lavoro: un terrestre lavora e riceve del denaro. Io capisco che questo meccanismo per voi sia difficile da afferrare. Avrete l'impressione che alla fine questo denaro sia del tutto inutile, una complicazione fastidiosa… e certamente è così, ma non partite dalle conclusioni. - Il relatore non è certo di essere del tutto chiaro - Ecco, cercate di capire questa relazione: prima il lavoro, poi il denaro, quindi gli oggetti e le cose utili… - Però non tutti hanno denaro nella stessa misura… - L'osservazione è giusta. Infatti la questione è proprio che alcuni hanno molto denaro e altri molto poco, oppure ne sono del tutto privi. Allora avanziamo questa ipotesi. Vi avverto che è solo una ipotesi… io qui vi sto esponendo solo alcuni dati ricavati dalle ultime ricerche… non prendeteli per verità assolute. Un'ipotesi, dicevo, è questa: sappiamo che vi sono terrestri ai quali piace avere molto di questo 30 denaro. Ignoriamo esattamente il perché. Sappiamo però che quando questi individui hanno soddisfatto i loro desideri, posseggono ancora una quantità di denaro spaventosamente grande. Maggiore di tutti i prodotti che sarebbe possibile acquistare sul pianeta: ci vorrebbero le risorse di altri pianeti per esaurire questa ricchezza! - E poi, sorridendo, conclude - Ammesso, ovviamente, che altre popolazioni dell'Universo accettino di cedere beni importanti, in cambio di… pezzetti di carta colorata! - Anche la sala sorride, cogliendo il paradosso. - Dove si trova questo denaro? Concretamente, intendo. - Dov'è? Eh, qui è difficile dirlo perché la maggior parte non si vede. I terrestri hanno inventato un gioco molto complesso, che stiamo studiando. Ma… vi assicuro, è veramente difficile capire a fondo… - Il relatore è incerto se approfondire questa tematica, che ha richiesto studi del tutto particolari e risulta ancora piuttosto oscura - Poi, francamente non so quanto sia interessante… Comunque, un gioco, dicevo, nel quale il denaro sparisce per ritornare in quantità molto maggiore o molto minore o nulla del tutto. A New York e anche in altre città, esiste la Borsa, il più grande luogo dove praticare questo gioco. La maggior parte del denaro viene giocata proprio lì. Ma non divaghiamo… vorrei che voi capiste questo: il denaro è la cosa principale sulla Terra, è così importante che alcuni lo usano semplicemente per accumularlo, per dire: ecco qua, è mio! e per questo sono disposti a ottenerlo anche grazie alle guerre, al commercio di armi e di droga, al gioco di borsa… e qui ci ricolleghiamo a ciò che vi avevo spiegato sulla mafia, sui governi, ecc. 31 - Ma come fa ad esistere tutto questo denaro e poi questa grande differenza di vita… la miseria… - Si tratta di una questione centrale. La dimensione di questa contraddizione è molto più vasta di quanto possiate immaginare riferendovi ai documenti che vi ho mostrato. Lasciate che vi fornisca qualche cifra. Si tratta di informazioni provenienti dalla Terra stessa, che i terrestri hanno elaborato e che loro stessi considerano ufficiali, come quelle contenute nel Rapporto Mondiale sullo Sviluppo Umano. Questo rapporto dice che un miliardo e trecento milioni di persone vivono con meno di un dollaro al giorno: con un dollaro si può acquistare una tazzina di caffè a New York! Il caffè è una specie di bevanda come la nostra Lizjk. Tre miliardi di individui, invece, vivono con meno di due dollari al giorno, cioè due Lizjk! Inoltre 225 individui o gruppi, dispongono di una ricchezza pari a quella di due miliardi e mezzo di terrestri, cioè circa la metà della popolazione dell'intero pianeta. E pensate che gli ottantaquattro terrestri più facoltosi del pianeta hanno una ricchezza maggiore della più popolosa nazione della Terra, che è la Cina e che conta un miliardo e duecentomilioni abitanti! E se vi dico che in tutto il pianeta circa un miliardo di persone rischia di morire di fame o di malnutrizione? Oppure che nei paesi più sviluppati e ricchi… si perché c'è anche questo problema di disomogenità… su un pianeta così piccolo… comunque, anche in questi paesi, che sono appena ventinove, non tutti lavorano e quindi non posseggono denaro e questi individui sono 36 milioni? Immaginate cosa potrebbero produrre 36 milioni di 32 persone ogni anno. Ma non si tratta di produzione, infatti: perché rischiare di produrre qualcosa che poi, comunque, non potrebbe essere acquistato? perché, come abbiamo visto, la stragrande maggioranza degli abitanti della Terra non può acquistare quasi nulla!… Mi seguite? Si tratta di un sistema molto contraddittorio… - Mi chiedo se queste ricchezze alla fine non siano un ostacolo… - Vedo che cominciate ad afferrare il problema. Stiamo proprio valutando se l'esistenza di queste ricchezze, cioè soprattutto del denaro, sia un impedimento per lo sviluppo del pianeta. Se sia proprio lì la chiave di tutto. Non saprei… abbiamo diverse ipotesi in merito e certo sarebbe interessante immaginare cosa potrebbe succedere eliminando queste ricchezze, o modificandone la distribuzione. - Il relatore osserva in alto per alcuni istanti, come se si perdesse in fantasiose congetture per poi ritornare nuovamente ai presenti - Comunque questi sono i fatti della tragedia che si sta compiendo sulla Terra. Vedete che questo pianeta davvero non ha eguali nell'Universo e ci sta seriamente mettendo in difficoltà. E dire che siamo abituati a studiare forme di vita molto varie e poi: con quanti sistemi di organizzazione naturale e sociale dell'Universo manteniamo rapporti vivi e stimolanti? Quello terrestre è davvero contorto, complesso e, soprattutto, sembra controproducente. E' questo il punto: che per la prima volta abbiamo incontrato una specie che sembra esaurire le sue energie nel perseguire la propria distruzione e non per favorire la propria conservazione e sopravvivenza. 33 - Mi domandavo che importanza può avere il fatto che tutti siano al corrente di queste cose… - Attenzione: non so se sia esatto dire che tutti i terrestri siano davvero al corrente della situazione e in quale misura. Possiamo dire che le conseguenze di questo stile di vita, chiamiamolo così, siano note, ampiamente. Questo si, certo… Sulla Terra esistono potenti mezzi per diffondere le informazioni… Li avete visti, sotto certi aspetti sono anche interessanti. Vi sembrerà strano e forse confonderà ancor più le vostre idee, ma queste guerre, queste distruzioni, vengono vendute nuovamente. Diventano informazioni che, per esempio, le loro televisioni acquistano grazie al denaro e poi le mostrano a tutti gli uomini che, a loro volta, pagano per vederle… In sostanza, capita che vi siano terrestri che muoiono perché altri desiderano del denaro e vi sono terrestri che offrono del denaro per vedere altri terrestri che muoino a causa del denaro. La televisione, i giornali, insomma il loro sistema informativo, lo abbiamo appurato, contribuisce a provocare questi morti, queste disgrazie immense, perché così ottiene facilmente nuove ricchezze. Sulla Terra la morte produce ricchezza… non c'è nulla da fare, sembra proprio essere così. E allo stesso tempo i loro mezzi di informazione, oltre a vivere di queste disgrazie, diffondono l'abitudine a questo scempio. - Diceva in che misura tutto ciò è risaputo… - Mah! fino a che punto si può dire che sia “risaputo”? Che i terrestri ne sono coscienti? E' un problema che ci siamo posti. Perché è davvero strano che un essere 34 vivente, quando è cosciente di una situazione che lo tiene, diciamo così, in imbarazzo, se non peggio… davvero, se non peggio, non cerchi di agire. Fino a ora, nell'Universo, non ci è mai capitato di osservare un comportamento di natura contraria a questo principio generale. Anzi, proprio la presenza di questa normale reazione per noi è sempre stata la prima base di ogni contatto con le altre forme di vita, nessuna esclusa… veramente nessuna esclusa! Invece non siamo riusciti ancora a stabilire un contatto di alcun tipo con i terrestri. In realtà abbiamo appurato che una reazione esiste, ma questa risposta è del tutto particolare e, soprattutto, non sembra apprezzata, non è adeguatamente sostenuta. Perciò abbiamo dedicato qualche ricerca isu queste forme di ribellione. - Ce ne potrebbe parlare? - Certamente, ma non ho più molto tempo a disposizione. Comunque la ribellione è una unione di esseri viventi che a un certo punto agiscono per cambiare le cose anche in modo violento, per ottenere questi cambiamenti che i terrestri non riescono a produrre in modo naturale. Molto spesso queste ribellioni sono dirette contro i governi. Sono delle reazioni biologiche, come quando un organismo è assalito da agenti esterni e cerca di difendersi mobilitando le sue forze sane. Qui, però, il danno non è esterno. Vi ho già spiegato il sistema politico dei terrestri, i loro stati, governi, leggi, costituzioni, dittature… democrazia, gli accordi con la mafia, i traffici di droga, di armi, ecc. e quindi è chiaro che questi governi non sono tanto predisposti all'ascolto. Davvero… la loro chiusura è tale che spingono gli esseri 35 umani a rivoltarsi, a cercare armi, a radunarsi… ecco, vedete questa immagine… qui non sono armati, ma una città importante era stata divisa in due da un muro: pensate… una città intera e non delle più piccole, divisa da un muro. E così i terrestri lo buttano giù, si riuniscono… vedete che massa enorme di individui… è una reazione biologica… Ecco, qui invece ci sono degli esseri umani di colore nero… sono armati, si sono radunati in una strada perché vogliono cacciare dal potere altri esseri umani che, però… sono colore bianco e si sono impadroniti di questo paese, il Sudafrica, abitato da terrestri di colore nero, perché è ricco di oro e diamanti. Insomma… sempre ricchezze che poi diventano denaro, e così via… Dicevo bianchi e neri. Eh sì, si tratta anche di altri problemi e si apre un capitolo ulteriore… davvero a parlare della Terra non si finisce mai di enumerarne i casi difficili… veramente problematico… comunque ecco, questa è una immagine di uno sciopero negli Stati Uniti, il paese della famosa New York. Sono umani che per protesta hanno smesso di lavorare, è questo lo sciopero, perché sono stati chiamati solo per qualche mese e invece desiderano… ma giustamente, diciamolo… lavorare per sempre, altrimenti come fanno ad avere il denaro per vivere… davvero incredibile… guardate qui la sofferenza… è disarmante… Quando studiamo queste cose, ci chiediamo come abbiano fatto i terrestri a progettare questa organizzazione sul loro pianeta, davvero inconcepibile. Quando parlo della Terra la mia serenità svanisce a poco a poco. E' tutto così evidente e allo stesso tempo inevitabile… sembrano così 36 impotenti… una vera tragedia planetaria. Stiamo assistendo a una tragedia, alla fine di un intero pianeta, senza dubbio… - Scusi vorrei sapere… - No, guardate che non possiamo continuare, per cui direi che rispondo all'ultima osservazione… - Grazie, chiedevo: queste ribellioni non possono cambiare la situazione? - Eh, caro mio, come facciamo a rispondere? In linea di massima possiamo dire che si, certamente, proprio ribellioni, unioni di molti terrestri, hanno determinato cambiamenti importanti. In linea teorica è possibile e direi anche in linea pratica. Il problema, almeno mi pare, è che la situazione è drammatica e quindi c'è una certa urgenza. Difficile rispondere a questa domanda, la possibilità è presente e noi del resto ce lo auguriamo per loro… anche se abbiamo perso una delle nostre ricercatrici e mia cara compagna… non possiamo farne una loro colpa collettiva … davvero ci auguriamo che escano da questo tunnel e che lo facciano in fretta. Segnali positivi ci sono, certamente. - Scusi ancora una domanda… - Davvero l'ultima, però, devo andare, poi continuiamo in un'altra occasione… - Ecco: avete pensato a come possiamo aiutarli? - Questo è davvero un grande problema. Un grandissimo problema. Ce lo stiamo ponendo e penso che questo tema si debba affrontare con tutti, anche con chi non è 37 interessato alle cose del pianeta Terra, perché è un problema molto, molto serio. Non posso affrontarlo esaurientemente, ma vi dirò questo. In altre occasioni abbiamo aiutato altre popolazioni e noi stessi siamo stati aiutati da altre forme viventi. Ricorderò quando J4RT è esploso. Senza aiuti non avremmo potuto cavarcela così a buon mercato. In tutti i casi di reciproco aiuto, oppure di aiuto unilaterale però, si trattava di intervenire su aspetti fisici, relativi pianeta o al suo sistema solare. Anche nel caso di Andaluvia, quando abbiamo deciso di agire senza consultarli… era perché il surriscaldamento del pianeta stava ormai intaccando un nucleo di plutonio e cadmio e quindi abbiamo voluto impedirne l'esplosione imminente. Eppure, se esaminiamo questo caso, che cosa ne ricaviamo? All'epoca abbiamo certamente salvato un pianeta con venti miliardi di esseri viventi, di almeno un centinaio di specie diverse, ma il nostro intervento ha modificato la loro linea evolutiva, ha avuto diverse ripercussioni… non sto a ricordare… lo sapete. C'è poi voluto tempo per chiarire. Sulla Terra la situazione sarebbe ancora peggiore, a mio parere. Qui l'esistenza del loro pianeta è rimessa in causa dai terrestri stessi e non da fenomeni naturali. E questa, in fin dei conti, è una loro scelta. Abbiamo visto che contatti diretti, per il momento, sono da evitare. Sulla Terra esistono organismi che si occupano di identificare oggetti provenienti dallo spazio, ma non c'è davvero interesse scientifico… sono solo mascherate… Non sono attrezzati in alcun modo perché alcuni sono troppo occupati dal loro denaro e gli altri stanno troppo male per agire… sarebbe davvero una situazione difficile. Abbiamo valutato 38 che se eliminassimo circa duecento milioni di terrestri in tutto il pianeta, polverizzeremmo il centro vitale della loro organizzazione e potremmo liberare oltre quattro miliardi di individui da queste sofferenze. Questo lo potremmo fare facilmente. Potremmo anche prelevarli. Per esempio li potremmo condurre li vicino… su Saturno, per discutere con loro, con calma, per conoscerci meglio e vedere insieme cosa succede e cosa fare. Ma, il problema, il grande problema, è immaginare come queste azioni potrebbero essere considerate da parte dell'umanità terrestre tutta intera. Sarebbero bene accolte? Oppure considererebbero che la cagione dei loro mali, in fin dei conti, saremmo noi, i temuti extraterrestri o UFO, come ci chiamano? E se si determinasse una situazione di caos talmente ampia e profonda da provocare nuove guerre e scontri sul pianeta? dall'esito incerto o, peggio, irreversibile? Vedete, questo non è un problema di ordine naturale, ma sociale, economico, politico, psicologico, anche. Come potremmo essere accolti dai loro mezzi di informazione? Guardate che le loro televisioni, i mezzi di stampa, ecc. hanno una certa presa sulle loro coscienze… e per quali fini agiscono? Come presenterebbero la nostra apparizione? No, più ci rifletto e più mi convinco che si debba evitare di intervenire e comunque che si dovranno esplorare le possibilità di contatto ma… allo stato attuale… un contatto direi che debba essere escluso! Certamente per noi questo ha delle conseguenze… Non possiamo ignorare che questa Terra è un anello debole dell'Universo, che noi e molti altri, di molte altre galassie, addirittura, avremmo i mezzi per risollevare la loro situazione, che decidiamo di 39 non farlo e continuiamo tranquillamente a osservarli e cercare di capire e magari assistiamo alla loro fine. Non possiamo neppure scartare la possibilità che altri intervengano in loro aiuto, oppure che decidano di sopprimerli del tutto per acquisire le loro fonti naturali, prima che vadano disperse… anche questa è una scelta possibile… non che il pianeta abbia granché… ma, insomma… neppure questo possiamo sapere: cosa decideranno di fare altri popoli di questo Universo? Alla fine ritengo che dobbiamo limitare il campo a noi stessi e noi siamo mossi da un sentimento a loro favorevole perché pensiamo che l'Universo, globalmente dico, debba potersi espandere e vorremmo anche poter individuare una formula di resistenza al big - crunch, in modo tale che possa sopravvivere qualcosa di materiale o addirittura di vivente, che non appartenga necessariamente alla nostra forma di vita. Per questo noi e molti altri consideriamo con grande interesse e solidarietà ogni forma vivente di questo sterminato insieme di stelle, di galassie e pianeti… Ma alla fine io credo che non possiamo sostituirci a loro e che loro debbano giocarsi il proprio destino, anche se… continuiamo a tenere aperta la strada di un possibile contatto, che ora è assai difficile… Potete continuare da voi le ricerche e utilizzare anche l’Osservatorio, oltre ai documenti che abbiamo accumulato… Ma adesso abbiamo veramente concluso! - Davvero c'è il rischio di una fine inconsapevole, eppure da loro stessi provocata? 40 - Ragazzi… siate sereni - risponde Yui guardandoli teneramente mentre si avvia piano verso l'uscita - la vostra sensibilità è un bel sentimento… L'Universo è grande. Provate a considerare le cose sotto questo aspetto: una piccola e curiosa forma di vita tra le diverse milioni di quelle conosciute, ha popolato un pianeta inospitale, molto difficile e rischioso da abitare. Non si è estinta subito ma, per un certo periodo è ugualmente riuscita a sopravvivere… 41 Aggressione? (Secondo Velivolo in orbita intorno alla Terra. Provenienza ignota) Il comandante deve prendere delle decisioni importanti sulla missione. - Allora, hai i risultati? - Si, certo… - E cosa aspetti a mostrarli? - Subito, ecco! - Molto bene, molto bene, mm… le riserve di manganese non sono poi molte, il cadmio è piuttosto raro… vediamo, questo cos'è? - E' il grafico del berillo… - Il berillo… - Sì, il berillo! - Ce ne sarebbe abbastanza. - Si, ma ne varrebbe la pena? - Comunque vediamo… c'è questo petrolio del tutto inutile e questo metano poi, in gran quantità davvero e guarda, ecco l'uranio, anche se è scarso, sai che diventano matti per questo uranio… Invece trascurano il talco. Ecco, è sfruttato per 42 meno di un millesimo dei suoi giacimenti. Il talco sarebbe abbastanza rilevante ma… vedi? sembra disseminato in molte aree. Per esempio, qui, anche qui, vedi? ecco, si, non sono giacimenti enormi, richiederebbero molte energie… Se penso che i terrestri usano il talco nei prodotti di bellezza… - Però da questo uranio hanno ricavato un bell'arsenale, vedi… osserva questi punti, sono le dislocazioni delle loro armi nucleari. Mi chiedo come abbiano fatto a scoprire e utilizzare la fissione nucleare, e poi anche, veramente questo è forse il punto principale… tutti i problemi di controllo delle radiazioni. Non è strano? Investire risorse formidabili per sottomettere l'uranio e trascurare del tutto il talco… - …se dovessimo impiegare armi all'uranio per impadronirci delle risorse del loro pianeta… non ci resterebbe che qualche meteorite! - Scusate se vi interrompo - rivolto al comandante - ma il problema è serio e urgente. Allo stato attuale abbiamo interessi soltanto per il talco... o forse anche per il berio? - Non saprei se il gioco vale la candela, ci sono alcuni grossi giacimenti sotto queste acque ma, in fin dei conti, il berio lo troviamo ovunque… il problema si riduce essenzialmente al talco, tutto il resto non mi pare degno di attenzione. - Sono d'accordo. Lo pensavo anch'io. Ecco alcune opzioni… - mm… cominciamo dalle nostre ipotesi di attacco. 43 - Partirei dalle condizioni comuni a tutte le opzioni. Sono quattro. Condizione n. 1: nessun attacco centrale con i tubi di xenio che avrebbe come conseguenza il rischio di esplosione del nucleo, dispersione e non concentrazione, come invece era capitato con Beta32, ricordi? Quando l'esplosione del pianeta aveva accelerato il raffreddamento del nucleo e quindi il suo recupero. In secondo luogo nessuna possibilità di utilizzare i segnali ad alta frequenza di emissione verso il blu, perché provocherebbero una reazione con il talco. In terzo luogo dobbiamo fare attenzione all'acqua. Il talco entra in soluzione e quindi nessuna possibilità di impiegare idrogeno liquido per la raccolta… - Come avevamo fatto… ricordi nella galassia del primo atropo? Proprio lì. Era stata una buona soluzione… - Infine, però, mi pare il punto fondamentale, il vero problema a mio avviso, non è tanto la delicatezza chirurgica del nostro intervento, quanto la loro probabile reazione. Il problema è che noi non abbiamo la minima idea del modo con il quale reagiranno. E bisogna tenere conto che, anche se il loro potenziale all'uranio ha aspetti non efficienti, contorti, contraddittori, resta pur sempre il fatto che hanno depositi sufficienti di armi nucleari da far saltare in aria il loro pianeta alcune centinaia di volte. Personalmente mi aspetto una reazione nucleare al nostro attacco, ma non contro di noi. Non hanno né gli strumenti, né l'immaginazione necessaria per individuarci. Io parlo di una reazione al loro interno, di una situazione caotica che potrebbe determinare comportamenti imprevedibili. Capisci? 44 prova a immaginare come potrebbero reagire di fronte a tre o quattro aree messe letteralmente sottosopra… Non hanno mezzi di controllo né militari, né tecnologici, né psicologici. Questo è il punto. - E tu dici che le condizioni vincolanti non ci permettono di impiegare alcuna arma discreta, perché… - … in un modo o nell'altro si ricadrebbe in una delle situazioni che ti ho elencato. Qui si tratta di talco, capisci? Talco, con tutte le sue proprietà e conseguenze! - Un bel problema. Cosa dice il Centro? - A suo parere i rischi di perdere il nostro bene sono troppo elevati. Meglio sapere che su questo pianeta esiste una certa disponibilità di materiale e tornare con una soluzione più efficace, oppure quando la loro evoluzione avrà modificato i termini del problema. - E tu cosa ne pensi? - Eh, cosa ne penso? Io penso che una civiltà basata sulla tecnologia dell'uranio, non avrà molto futuro. Il loro pianeta salterà in aria, prima o poi… - E allora? - E allora? Allora tanto vale rischiare, altrimenti la partita è già persa in partenza. 45 - mm… - Che altre possibilità abbiamo? Non vedo soluzioni. Previsione di perdite: zero assoluto. Per male che vada restiamo senza un pianeta del Sistema Solare, ma francamente non vedo come si possa rinunciare… - E i costi? Dimentichi che questa operazione ha un costo in risorse di talco tale che rischiamo di mettere in causa le nostre missioni. - Si, certo, questo aspetto deve essere preso in considerazione… Facciamo due conti allora… Ecco… ecco il risultato. Il consumo prevedibile di talco nell'operazione è tale da avanzare risorse da garantire, all'incirca, una quarantina di missioni. Se non svolgessimo questo intervento, particolarmente dispendioso, potremmo ancora effettuarne, diciamo… un'altra decina. - E ti sembra un numero sufficiente da garantire un esito certo? A mio parere né quaranta né cinquanta missioni ci offrono un numero sicuro di probabilità di riuscita. - Questo è vero, però tieni conto che abbiamo a disposizione altre risorse… - Che richiedono un dispendio di energie molto ampio, mettendoci seriamente alla prova! - Mi chiedo perché tu debba essere convinto che la missione debba fallire. Davvero non riesco a capire, abbiamo tutta una serie di elementi a favore… 46 - E tu perché sei così convinto del suo successo? Quali sono questi elementi a favore? In realtà abbiamo a che fare con una specie dal comportamento assolutamente irrazionale. Come puoi fare delle previsioni? Bisogna tenere conto dei dati storici della loro evoluzione: se sono riusciti a stabilire questo record di confusione e di insuccessi, come vuoi che l'ipotesi più probabile non sia quella che il caos determinato dalla nostra missione sia per loro e per le nostre risorse, fatale? Tu ragioni soltanto su dati statistici. Questo non è sufficiente, devi prendere in considerazione anche gli elementi storici e psicologici, non puoi soltanto fare una serie di conti… Ma vedo che non sei convinto. - No, non ne sono convinto affatto. Abbiamo tutte le possibilità di… - Ho capito. Riprenderemo il discorso più avanti. Attendiamo il rientro della squadra. Intanto avvia la procedura di ridefinizione della missione. 47 La traccia (Velivolo di osservazione. Osservatorio. Due giovani ricercatori) Frugano a lungo tra i documenti in archivio e utilizzano l’Osservatorio. Sono spinti dall’ansia di una irresistibile sete di sapere. Hanno iniziato perché non credevano fosse possibile che le cose andassero a quel modo. Quel cumulo di miserie, quei resti fumanti di detriti di ogni sorta che Yui aveva mostrato. Una deriva senza fine guidava le vite di quei terrestri? - E’ davvero possibile? - Lei lo chiede con insistenza. Lui non sa cosa dire ma, certo, è possibile, è impossibile, vuole vederci chiaro. Si erano recati all’Osservatorio e avevano chiesto di poter visionare i materiali che Yui aveva messo a disposizione e poi di accedere alla finestra di osservazione che permetteva di osservare direttamente persone e luoghi frugando in ogni angolo della Terra per catturare fatti e stati mentali. Non era tanta roba, ma molti testi, molte parole, forse troppe e dalla finestra di osservazione ricavano molte immagini, quante immagini di gente, voci, suoni! Eppure non trovano nessuna risposta. E ora più il tempo trascorre e più si perdono nel loro intento senza trovare nulla, nulla davvero che abbia una qualche importanza. Vedono spezzoni di quelle videocassette, nelle quali qualcuno mostra immagini e commenta fatti, poi hanno 48 giornali, qualche libro, molte fotografie, molta carta e molto inchiostro e anche dalla finestra è solo un trascorrere di vite senza una meta reale, di successioni mentali, di pensieri, stati emotivi, dialoghi inconsc, gente che lavora, gente che sta in famiglia, gente che piazza il proprio corpo su qualche linea del tempo, ma nulla, sembra non ci sia nulla di veramente umano fra le testimonianze di vita di quei terrestri. - Ma tu, cosa pensi? - dice lei - ma ti pare possibile? Davvero? E lo fissa affinché alla sua domanda sia data una risposta chiara, nel senso da lei voluto. E lui, cosa dovrebbe rispondere? Ne sa ancora meno. Anzi, da lei era stato condotto in questa impresa! No che non lo sa, ma prosegue le indagini, perché con lei avrebbe indagato su ogni cosa, dato che gli ha mostrato una nuova finestra. La finestra era questa, semplicemente: fino a poco tempo prima non aveva prestato grande attenzione né alla sua galassia, né allo spazio infinito esterno, né ad altri universi. Queste cose non lo interessavano molto. Coltivava le sue inclinazioni con devozione e con tranquillità, carezzava il suo animo ed esercitava i suoi sentimenti addestrandoli a cogliere la gamma più ampia possibile di emozioni, senza lasciarsi irretire dalle circostanze. Aveva trascorso una quantità di tempo a esercitare lo spirito, ad annullare il suo corpo fino a confondere i suoi sensi con la natura circostante. Ma non aveva mai rivolto la sua attenzione al di fuori del suo pianeta, mai molto in là, per la verità. Ma grazie a lei ora si accorge di quella strana bellezza, inquietante. Di quella civiltà così lontana non solo nello spazio, ma distante nei 49 suoi stessi meccanismi interni, nei suoi stessi ingranaggi, così agli antipodi dell'esistenza. E poi, dopo quella lunga conferenza di Yui, aveva cominciato a capire, con lei aveva ragionato, infine erano venuti qui. Ma cosa stanno cercando? Non lo sanno con certezza neppure loro, forse una testimonianza, ma di che? Una smentita una chiara smentita perché non credono affatto all'ipotesi di Yui. Come se la loro civiltà, nel momento in cui sembra raggiungere il proprio zenit ora, a contatto con la Terra, si sorprenda a scoprire l'esistenza dell'infelicità più profonda, lì su quel piccolo corpo celeste. E quel che è peggio, a scoprire la completa ignoranza di questa infelicità da parte degli stessi esseri di quel buffo pianeta, perfettamente azzurro. Questa contraddizione dolorosa tra coscienza e incoscienza è davvero una loro caratteristica così forte, così aperta, addirittura evidente? Possibile? 50 Non chiederci la parola (NASA. Dintorni di Austin. Progetto Saturno, laboratorio genetico, ufficio di Frank Petri). Non c'è spazio, non c'è posto, non c'è terra, non c'è luce, non c'è sabbia, non c'è impronta, non c'è segno, non c'è presenza, non c'è assenza, non c'è vuoto, mi chiamano senza nominarmi, mi cercano per sgretolarmi, mi vogliono per allontanarmi, mi danno per privarmi, mi strappano anche l'anima, mi calpestano nella dignità, mi levano il cuore e lo schiacciano sulla terra con i loro piedi puliti, mi opprimono i polmoni e bloccano ogni respiro e poi, quando il respiro flebile cessa del tutto, mi attaccano a una macchina che cava un nuovo alito, mi affamano e mi opprimono, ma mi danno il pane e anche la carne, mi strappano il cervello, cellula per cellula, neurone dopo neurone, interrompono tutte le sinapsi, interrompono tutti i circuiti, penetrano nel profondo del pensiero, scavano nella mia coscienza, ne interrompono il flusso, leggono i pensieri e se ne appropriano, poi li gettano alle ortiche, poi li riprendono, li resuscitano, per massacrarli sotto il fuoco dei loro giornali, mi attaccano ai terminali dei loro computer per lasciarmi tremare alle scariche della loro sedia elettrica digitale, mi cavano gli occhi e mi iniettano nella retina le immagini perdute della loro televisione, mi trascinano all'edicola per intossicarmi fino nell'esofago con il loro inchiostro, mi proiettano sessi umidi sui 51 mattoni della città, mi tolgono il desiderio, quieto e pacato, dell'erba fresca e mi sbattono in un bordello con le troie del terzo reich, mi danno del denaro e mi strappano la vita ogni secondo, mi aumentano lo stipendio e mi adulano per gettare le mie mani discretamente nella diarrea dei palazzi fregiati, mi colpiscono nel fegato come manovra diversiva per portare alla luce tumori fosforescenti sotto i lampioni delle svastiche e delle falci e martelli che pesano tonnellate e incombono dai condomini della città. Non lasciatemi neppure la parola, non ditemi chi sono, perché voi lo sapete meglio di me, non ditemi cosa devo fare perché voi solo sapete cosa devo dare, cosa devo dire, per indurire l'io al vostro sole terrificante. Squadratevi davvero le vostre volte fasulle, guardatevi veramente gli ombrelli di pizzo, schifezze allucinanti uscite dai bidoni dell'immondizia dei vostri cervelli maleodoranti. Non chiederci davvero la parola, non chiederci nulla, non ho parole, non ho più nulla da dire, da esprimere, da analizzare, da criticare, da vagliare, da considerare, da ponderare, da prendere in considerazione, nessuna considerazione per nessuno, nessuna considerazione per queste pietre sbattute nel mondo dai vostri cani del terzo reich e di Mosca che mangiano le budella degli operai, degli impiegati e di chi scrive qualcosa e di chi pensa, di chi fluttua nell'aria e fra bolle trasparenti. Si, mi piace questa poesia: Non chiederci la parola che squadri da ogni lato l'animo nostro informe, e a lettere di fuoco lo dichiari e risplenda come un croco 52 perduto in mezzo a un polveroso prato. Ah l'uomo che se ne va sicuro, agli altri e a se stesso amico, e l'ombra sua non cura che la canicola stampa sopra uno scalcinato muro! Non domandarci la formula che mondi possa aprirti, sì, qualche storta sillaba e secca come un ramo. Codesto solo oggi possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo. Mi piace questa poesia che dice ciò che non voglio essere, ma mi fate essere e contro di voi non voglio proseguire a cercare orizzonti, ma liquidare, se avessi una tanica di benzina grande come la Luna farei saltare il pianeta come un pugno di calce che si sgretola tra le dita, di questa latrina immensa di questa Berlino del nuovo millennio, di questa Stalingrado del futuro altro millennio, già marcito prima ancora di venire alla luce, già morto, nato morto, morto e sepolto, appassito senza fiorire, languire senza amare, queste colonne portanti squadrate come cere di pietra, questi pilastri fondamentali, inossidabili del mausoleo di Lenin, Hitler è morto? Himmler è cibo per i vermi? Gli impiccati di Norimberga, ma io l'impiccato dell'inquisizione, voi continuate con i cappi, i nodi, le corde grosse intrecciate con i legamenti dei nostri muscoli, questa gialla Pechino di mandarini saccenti e sottili torturatori comunisti che seguono e soffocano ogni seme giallo nel suo cotone, questa colorata Avana sfasciata sotto il peso dei peli neri della barba del dittatore ma con i fucili della brillantina che cola dal collo dell'americano di turno salito alla 53 presidenza del bordello del reich di Washington. Vomito per ogni angolo, le budella mi si accartocciano per ogni dove del mio pianeta disalberato e senza mare, il corpo si disfa senza lamento, la fame sottile sale senza rumore, senza farsi sentire si stende come un mattarello sotto il lobo destro e affloscia i polpastrelli. Bastardi, pezzenti incerati, colpite con lo scettro e il pugnale mentre leccate le grinfie taglienti dei pali prussiani, mentre sedete nei parlamenti agitando la falce con la quale vi fate la barba schivando i foruncoli e le riserve del vostro pus intellettuale e il libro della Giustizia per ridurre in poltiglia molecole di cervello. Si, mi piace questa poesia, perché è silenziosa, leggera come una foglia di venti tonnellate, scende lentamente sul vostro pianeta a schiacciarvi come polistirolo, palline che schizzano, bianche bianche, per riempire il foglio della vostra condanna. Definitiva. Io, invece, voglio un foglio di via. Via, via, via… via di qua, via da altrove… via da lontano, solo via, via di qua… Responsabile del laboratorio genetico? Io… con il potere di decidere? Io… Merda! Ma ormai i giochi sono fatti. Chi può tornare indietro? Una porta si apre. Petri richiude il dossier dell’équipe. Attendeva questa visita. Entra un individuo che pare occupare la stanza. E’ il direttore della NASA. 54 Petri non ha avuto molto tempo per riflettere. Si è fatto trascinare dai suoi pensieri. 55 Alternativa (Velivolo di osservazione. Osservatorio. Due giovani ricercatori). - Si definisce per ciò che non è. Per lui la vita è solo un peso. Una foglia di venti tonnellate che prima o poi lo schiaccerà. C'è solo un'espressione autodistruttiva... - Ma no, è rivolta contro la società, non contro se stesso. Certo, non riesce a immaginare nulla di positivo, però resiste. - Non credo che la sua posizione porti molto lontano. Il colloquio non è servito a nulla… - Perché non è ancora pronto per uno scontro… - E se non fosse mai pronto per uno scontro? Se questa fosse anche la ragione dell’impotenza della sua ribellione? - Può darsi che i suoi pensieri si traducano in azioni concrete… - Non se è ripiegato su se stesso, se è schiacciato da tali e tanti ostacoli da non riuscire a venirne fuori. - A meno che non sia l’inizio di un processo, alla fine del quale recupera la sua libertà. Libero di agire e allora avremo un appiglio e potremo intervenire. 56 - Questo è un altro problema: interferire in questo processo, ammesso che vada nella direzione che tu indichi… -Prendi la poesia che stava recitando… - Appunto… - Parla di animo, seppur informe. Sembra alla ricerca di una propria etica. - Oppure l'animo è informe nel senso che non ha nulla da esprimere, nessuna forma alla quale aggrapparsi e tanto meno un’etica. - Non credo, l'animo potrebbe essere informe perché rifiuta di essere marchiato da lettere di fuoco. Cioè di essere modellato, teleguidato. Meglio avere qualche incertezza, qualche contorno più sfumato, qualche forma meno delineata perché solo così potrà assumere dei confini autonomi. Potrebbe rappresentare un desiderio di libertà, il principio di una scelta… - Oppure l’impossibilità di trovare una via d’uscita. Non sappiamo quale peso si porti sulla coscienza. Non sappiamo quale dimensione attribuisca al suo comportamento. Potrebbe soccombere, riavvolgersi su se stesso. - Ma pensate - interviene Yui - se l'instabilità, cioè conflitti di questo genere, costituisse il vero asse portante dell’esistenza di questi individui? Sarebbe una civiltà molto più complessa di come la raffigurate e noi ci sbaglieremmo, perché non saremmo in grado di cogliere questo loro specifico modo di esistere… 57 Nessuna sbavatura (Washington, Casa Bianca). Studio ovale, ufficio del presidente. Sono presenti il direttore della CIA, il direttore della NASA, il segretario di stato, il capo di stato maggiore, il ministro dell’istruzione. Dopo una serie di osservazioni e di precisazioni da parte del segretario di stato, interviene il presidente. - Bene. In questo momento non ci interessa sapere da dove vengano quegli esseri e neppure quali proprietà speciali abbiano. Se avessero voluto distruggerci lo avrebbero già fatto. Dunque le questioni militari sono fuori discussione. Non abbiamo alcun interesse nei confronti degli alieni in generale. La nostra attenzione deve essere rivolta all’opinione pubblica, il rischio di una fuga di notizie è possibile e in ogni caso dobbiamo tenere sotto controllo le reazioni della popolazione. E’ questo il nostro problema, tutto il resto non ci interessa. – Il presidente alza le sopraciglia e si rivolge al direttore della NASA. - Mi accennavi a quel problema, che riguarda qualcuno dei vostri… - Un’attimo di pausa, poi il direttore della NASA dice: – Si tratta di Frank Petri, responsabile del laboratorio genetico e di Arthur Jhon Cox, responsabile del progetto Saturno. - Sono questi i due di cui mi parlavi? 58 - Si. - Non hanno lavorato direttamente sul corpo dell’alieno, vero? - No, loro devono studiare i risultati, i manovali sono quelli dell’équipe. - Quindi sono comunque in possesso di tutte le informazioni… - Si. - Avevano accettato di esaminare le relazioni? Voglio dire, hanno accettato di partecipare al gioco, no? - Si, esattamente. Fino a questo momento stanno assolvendo ai loro incarichi. - Mmh e con gli altri siamo a posto? - Non ci sono problemi. - Anche quelli che hanno lavorato direttamente sul reperto? - Si, assolutamente, puoi stare tranquillo! Il Presidente si raddrizza. Apre una cartellina e legge a voce alta. – Raduni contro la guerra in Vietnam, occupazione di Berckley, contatti con Malcom X… conferenze in Europa, contro le biotecnologie… –, chiude la cartellina, punta nuovamente gli occhi sul direttore della NASA, che era anche un suo vecchio amico. – E allora, spiegami come mai questi due sono finiti proprio da te? – Domanda retorica, senza risposta. Il presidente continua senza mai togliergli gli occhi di dosso. – Li devi tenere sotto controllo. La CIA ti aiuterà e tu farai tutto ciò che ti dirà. – 59 Quindi si rivolge al direttore della CIA. – A te mi raccomando la stampa. Non possiamo lasciare che scrivano cazzate, nemmeno una. Bisogna prevenire, agire prima che la frittata sia fatta. – Quindi si alza e va ad appoggiarsi al tavolo di fronte al ministro dell’istruzione. - Ho convocato anche te, perché abbiamo un piano. Ci occorreranno dei diversivi e le scuole e le università sono i luoghi più adatti. Come dicevo dobbiamo giocare d’anticipo, per questo vogliamo innanzitutto demolire le fughe di notizie prima ancora che si verifichino e poi distrarremo l’opinione pubblica. Vogliamo che tutto ciò che riguarda alieni, extraterrestri e UFO sia talmente discreditato da suscitare nausea in chiunque, anche se dovesse leggere la notizia più vera e sensazionale della sua vita. – Il presidente cerca di capire per un istante se il ministro ha afferrato bene il concetto, prima di riassumere il piano. - Ci vuole una serie di attentati. Per esempio studenti che compiono stragi; altri che si vendicano dei loro insegnanti - aguzzini; altri ancora che prendono in ostaggio dei bambini, insomma dovete programmare un po’ ovunque cose di questo genere, che colpiscano molto la gente e che tengano occupata la stampa. Non si deve parlare d’altro che di questi fatti. Troviamo psicologi, sociologi, massmediologhi, scrittori, che siano pronti a suonarsele di santa ragione in televisione e sui giornali. Ogni questione deve essere allineata su questi eventi. Gli occhietti taglienti del ministro brillano. Sognava da molto tempo di poter esercitare pienamente le sue funzioni. Un ministro dell’istruzione non ha il potere di un generale, questo è chiaro, ma ora avrebbe potuto lo stesso far marciare al suo 60 passo milioni di ragazzi e di famiglie. E lui questo lo avrebbe fatto. Oh cazzo se lo avrebbe fatto! E nessuno lo avrebbe più fermato, ora che giungeva il suo momento. Il presidente continua: - Se ne avremo bisogno collegheremo tra loro questi fatti. Li legheremo a un disegno terrorista generale, come abbiamo fatto in Italia e poi con le Torri Gemelle, quando abbiamo manovrato alcuni fanatici islamici. - Poi si rivolge al capo di stato maggiore, seduto a fianco del ministro. - Allora? Quanti sono? - Sono due velivoli. - Due? Se n’è aggiunto un secondo? - Non proprio, pensiamo che abbiano diversa provenienza. - Pensate o ne siete certi? - Siamo abbastanza sicuri: le emissioni sono completamente diverse e così le frequenze. Anche l’analisi spettrale conferma la differenza di materiali. Potrebbero provenire da luoghi anche molto distanti tra loro, questo spiegherebbe la diversa composizione. - Quindi stiamo ricevendo visite da due forme aliene distinte. Per quanto ne sappiamo, potrebbero avere programmi e obiettivi diametralmente opposti. - Si, è probabile che sia così. Potremmo anche essere finiti dentro un conflitto tra alieni. 61 Il presidente prende una sedia accostata alla parete e si piazza in mezzo al gruppo. Non si rivolge a nessuno in particolare, ma è evidente che vuole essere ben capito da tutti. - Deve essere assolutamente chiaro – dice - questo punto: dobbiamo soprattutto PREVENIRE. Per questo abbiamo bisogno di diversivi. Innanzitutto bisogna approntare notizie di avvistamenti e anche di contatti, fornire dei materiali, montare una campagna sui media, renderla realistica e poi, quando la tensione sarà al culmine, forniremo le prove dell’imbroglio; i circoli UFO e quelli astronomici faranno da capro espiatorio. Gli arresti faranno il resto. La disillusione generale che ne seguirà sarà la protezione più sicura da eventuali fughe di notizie. A questo punto distrarremo definitivamente la popolazione con qualche bella storia di sangue e terrorismo nelle scuole e nelle università. - Ora il presidente parla al direttore della NASA. - Intanto con quei due… dovrai sentirli direttamente. Non ci possiamo fidare in nessun caso, bisogna coinvolgerli a fondo, farli entrare nel club, capisci? Offrigli qualcosa e fai sentire loro tutto il peso del proprio coinvolgimento. Dobbiamo schiacciarli moralmente e poi, appena sarà possibile – si volta verso il direttore della CIA – ci penserai tu! – - Con Petri ho già avuto un colloquio… – dice il direttore della Nasa. - E dunque? - Mi pare in difficoltà, sì, l’ho visto in difficoltà… - Problemi di coscienza? 62 - Evidentemente. E in questi casi è difficile fare pronostici… - E con quell’altro… Cox? - Lo andrò a trovare oggi stesso. Con lui sarà più difficile, temo. – Voi comunque andate avanti con la clonazione, come stabilito. Infine il presidente si alza, fa un mezzo giro per impartire gli ultimi ordini al segretario di stato. – Tu coordini tutta la faccenda. La consegna è di non andare tanto per il sottile. C’è in ballo la presidenza, non manca molto alle elezioni. Conto su di te perché tutto quanto sia integrato e perfetto. Perfetto… vuol dire senza sbavature. 63 Rumore di fondo (Dintorni di Austin. Casa di Frank Petri e paraggi). Frank Petri, lo scienziato, ferma l'auto sul vialetto, in prossimità della sua abitazione. Lancia un'occhiata greve alle finestre illuminate, poi abbassa lo sguardo verso le proprie scarpe. Sono infangate. Ha camminato nei prati e nei fossati intorno al Centro Ricerche, con il mento curvo, il capo chino, le mani ciondoloni, poi in tasca. Ha vagato per ore, dopo il colloquio. Quante? Adesso è quasi a casa. Basterebbe solo un piccolo movimento della mano per aprire la portiera dell'auto, scendere sul marciapiede. Ma resta lì, nell'abitacolo. Dentro casa, sua moglie lo aspetta. Ha telefonato al Centro, ad alcuni amici, agli ospedali. Ma di lui nessuna notizia. Forse avverte che un piccolo passo verso il burrone dell'anima si compirà da qualche parte e questo burrone, lo sente, è vicino. Lei, con i suoi capelli lunghi e mossi, che si scompigliano per un piccolo soffio, ricorda come lui glieli sfiorasse. Quelle sue mani calde, grosse, eppure leggere e lievi. Ora, sotto quelle stelle, le radiazioni dell'Universo trasmettono un senso di malinconica inquietudine. Ha smesso di cercarlo, forse sa che non sarebbe più tornato. Va ancora una volta a coprire il piccolo con le sue lenzuola candide, dalle 64 quali spunta la sua testolina. Ora lei sente che dovrà proteggerlo ancor di più e che la vita sarà dura, sempre più dura. Lo scienziato continua a guardarsi le scarpe infangate, mentre negli interstizi della sua mente ascolta se stesso. - Non si può sopportare questo peso - pensa lo scienziato. Cosa aveva fatto la sua équipe a quell'essere? L'aveva straziato, distrutto, fatto a pezzi, aveva indagato, in nome della scienza. Ma poi è quello il punto? Non è quello, lui non sapeva neppure che funzioni avesse, neppure da che parte guardarlo perché nessuno aveva capito dove fossero quei suoi diavoli di organi. Anzi, sembrava non averne di organi. Lo avevano massacrato. Torturato e massacrato. Aveva forse sollevato delle obiezioni? Nessuna. Si era opposto? Macché. C'era dentro fino al collo. Ma lui era più vigliacco di altri. Quante volte era stato invitato a conferenze universitarie o dell’Unesco, per denunciare l'irrazionalità del sistema? Bravo! ora cosa aveva da insegnare ai suoi figli? A Jhon nulla davvero. Quello aveva capito l'antifona ed era sparito nella notte, come al solito. E all'altro? Otto anni. Va a scuola. Forse gli insegnano a riprodurre gli schemi infangati di questa vita? - Pensalo più forte, lì, mentre ti guardi quelle scarpe incrostate dal fango. – Diceva Petri a se stesso - Quello è il tuo fango, il fango della tua vita sotto le scarpe, sotto le suole, calpestata un po' ogni giorno da te stesso. Te la sei rovinata senza scampo e ora sei in trappola. Con il tuo comportamento è come se avessi torturato la tua vita stessa, è te stesso che hai torturato e ora non sei più nessuno, sei meno di un grammo nell'Universo, sei un essere insignificante che ha distrutto la possibilità 65 di stabilire un contatto e ora rimani senza fiato. Se non puoi esternare la tua rabbia fuori di te, devi rivolgerla contro di te. E' questa l'inevitabile legge dell'umanità. L'inesorabile senso della vita e della morte in ogni istante. Se non riesci a buttare fuori il tuo male, riversalo al tuo interno, rimescolalo con la tua anima, istillalo nelle tue vene dense di sangue, fino a che il suo peso ti ucciderà. E tu sei incapace di buttarlo fuori perché con chi vorresti prendertela, contro chi vorresti riversare le tue colpe? Avanti, prova a dirlo. Prova a dire con chi potresti prendertela! Chi vorresti ammazzare o torturare? Il direttore della NASA? Il Pentagono che impone le sue leggi? I finanziatori del governo? Ma il problema è che sei tu il fallito, perché loro edificano la loro parte di miserie umane, mentre tu non sei stato capace di fare nessuna parte, piccolo scienziato con la sua carta bollata. E la famiglia? La tua donna, fedele compagna. Fedele a cosa? Si, forse lei, solo lei potrebbe aiutarti. Ma tu a lei, non ti puoi presentare e ti guardi le scarpe infangate perché sono lo specchio della tua anima. Sei finito. Hai ceduto nel momento in cui avresti dovuto reagire. Il problema è che esiste solo un istante preciso durante il quale la reazione è possibile. Perso quell'istante, si perde anche il diritto alla reazione. Questo lo sapevi? Lo sapevi o no? Non lo sapevi? Io ti dico che tu hai finto di non sapere, ecco cosa hai fatto, hai finto di non sapere cose che sapevi benissimo, anche se non ti erano mai capitate così, in quella forma. Ricorda quante piccole occasioni hai mancato nella tua vita. Quante volte non hai reagito, quando eri piccolo e imperfetto, prima che la tua coscienza ti facesse perfetto agli occhi tuoi e del tuo vicinato. Hai visto come la 66 gente ti considerava perfetto? Lo scienziato, il dottore, il ricercatore, il luminare. E ci sei stato in Svezia a ritirare il Nobel. Mi fa saltare il cervello solo a pensarci, questa cosa. Tu sei stato a Oslo, vigliacco traditore! Ma te ne rendi conto? O continui ad asfissiarti fra le tue rarefatte nuvolette di scienziato? Dì, parlo con te, te ne rendi conto o continui a spingerti su questa strada senza uscita? Ma io parlo al vento, ma chi cazzo ascolta? E le scarpe: quelle fottute e stramaledette scarpe infangate di quel fango di merda, ma quanto sei ignobile! Devi riscattare questa tua vita che ora vale molto di più da morto che da vivo. Se tu muori si potrà raccontare che ti sei rivoltato contro questo sistema. Se ti togli la vita potrai avere ancora l'affetto dei tuoi figli. Se la tieni avrai un segreto sulla coscienza che non ti farà più vivere. Se ti togli la vita, invece, recuperi questa distanza. La distanza permanente della tua morte diventerà la perpetua comunanza degli altri con il tuo insegnamento. I tuoi sensi di colpa sfrecciano in tutte le direzioni come palline di flipper impazzite. E quindi sei destinato a morire e basta. Senza lasciare neppure una lettera, nemmeno un’indicazione perché, ragiona, lasciare una lettera è un gesto di rivolta, ma allora, perché non rivoltarsi prima, quando era il momento giusto? Ma morire resta comunque l'unica cosa da fare. Non hai alcuna alternativa, per te, per lei, per i tuoi figli. Com'è il cielo, tu che lo osservi dalla finestra? Tu che aspetti tuo marito rientrare e che sai che egli non rientrerà più questa notte e forse, neppure le altre? Tu che lo hai capito fin dall'inizio e che lo ami ancora, davvero, con tutto l'affetto 67 di cui sei capace, tu ora che osservi le stelle lontane e ti chiedi: chissà da dove giungeva quell'essere che l’équipe di tuo marito ha violato? Tu ami ancora tuo marito e se lui non torna tu lo amerai ancora di più, ma non potrai mai più mostrargli i segni di questo amore e, se torna, forse lo amerai ancora, ma il suo silenzio e la sua tragedia vi separeranno ogni giorno un po' di più. Il tuo viso si colora di rosa, sotto la luce bianca delle stelle. Come sei bella. E lui non ti vede. Le tue guance calde, rigate dalle lacrime, piangi, piangi senza sosta, piangi perché sai che ormai non c'è alcun destino diverso per lui, piangi composta perché sai che questo è il suo destino. I tuoi capelli fluenti… i tuoi capelli da accarezzare… Sono sceso qui, sulla collina, di fronte ad Austin. Dalla collina vedo tutta la città con il Centro sullo sfondo. Con una sola occhiata abbraccio l'intera mia esistenza e la raccolgo nella mia anima dolorante. E penso ai suoi capelli. E intanto, da questa collina, posso assumere la distanza necessaria per osservare le cose nella loro giusta dimensione e sentirle più lontane. All'improvviso, questo sguardo sul mondo e sulle sue luci, sulle sue case e sui suoi fumi spettrali, mi consegna la serenità necessaria per capire quanto questa vita ormai sia lontana da me, come io non la possegga più, come, forse, non sia mai davvero stata mia. Ora, su questa collina, dalla quale abbraccio tutto, tranne te, posso riprendermela davvero, farla mia per sempre e quindi offrirla a te e a loro, perché insegni qualcosa ai miei figli e nel vuoto che si creerà possano guardarsi intorno con più attenzione, alla ricerca di qualcosa per riempirlo, se si potrà riempire, oppure combattere e lottare per 68 costruire qualcosa che riempia questo vuoto immenso. E' davvero curioso le volte che ho osservato il cielo dai radiotelescopi. Ora è qui l'infinito, più vasto e più immenso dell'Universo e dei nostri strumenti. Sono salito su questa collina per lasciare la vita proprio qui, dove da ragazzo venivo di notte a puntare il telescopio e immaginavo viaggi e vite multiformi. Estraggo la rivoltella dalla sua custodia e l'appoggio sulla tempia. Intanto osservo quelle case e abbraccio tutto l'orizzonte. Che buffa questa città. Mi sembra un cartone animato, così irreale e plastico. Ma io ci ho già vissuto e ora non è più mia, non è mai stata la mia vera vita. E' questa ora la mia vera vita. Addio a tutti, addio. Ora e solo ora vivo e ne comprendo il senso, benché… Lo sparo echeggia per l'Universo. Forme di vita trattengono il respiro per un istante. Il rumore acuto penetra nel cervello e nel cuore di lei. Nell'organo della ragione e nel muscolo molle e fragile della vita. Lo sapeva e si stringe i polsi. Abbassa lo sguardo dalle stelle al davanzale e china il mento umido sul petto. Poi si reca nella stanzetta per abbracciare suo figlio aspettando che l'altro rientri. Quindi attendono insieme i funzionari. Quando aprono la porta lei dice: - L’équipe che mio marito controlla ha torturato e ucciso, dopo una lunga agonia un essere vivente proveniente dallo spazio. Petri ha eseguito degli ordini che non ha ritenuto giusti e poi si è tolto la vita, benché lui non abbia partecipato direttamente a quello strazio. Non avrebbe potuto vivere con questo peso sulla coscienza e ha voluto indicare a tutti una direzione diversa. Io penso e voglio dire 69 che ci sono dei responsabili: sono il governo degli Stati Uniti e delle altre nazioni complici, la NASA, il Pentagono e le grandi imprese che finanziano questi governi e costruiscono la vita miserevole che noi dobbiamo condurre. Io vi accuso davanti alla memoria del mio compagno e padre dei miei figli, davanti al suo gesto che io condivido profondamente e che mi spinge ad amarlo e a rispettarlo ancor più. Le molecole e le onde di quel messaggio, come liberate da una pressione irresistibile, schizzano ovunque nello spazio, fanno fremere i corpi luminosi dell'Universo e restano come rumore di fondo nelle distanze siderali, veicoli di vita trasmessi da parole pronunciate all'alba, quando, chissà perché, si sparge l'odore della polvere da sparo. 70 Carta d'identità (Secondo Velivolo in orbita intorno alla Terra. Provenienza ignota). Eccomi qui! Sono proprio io. Quello piccolo di corporatura, tarchiato, peloso, occhi profondi marroni, carnagione olivastra, folti peli che traboccano dalla canottiera azzurra con le spalline, anello dello zio con rubino al dito mignolo, rughe profonde sulla fronte, mani callose e nodose, piedi diritti e grossi, pancia pronunciata, collo tozzo, qualche goccia di sudore che illumina le tempie, sopracciglia folte e scure e... sempre pronta in tasca la foto della famiglia al gran completo con la moglie in abito scuro per un lutto che l’ha colpita a 16 anni. Insomma eccomi, sono io, proprio io. Sono proprio quell’essere che non vorreste mai che si segga al vostro fianco in treno e che, comunque, comincerete a odiare non appena lo udirete aprire il cartoccio e sentirete l’odore di salame piccante e formaggio di pecora stagionato pizzicarvi le narici mentre volterete lo sguardo verso la campagna battuta dal convoglio e cercherete di confondere il rumore delle mascelle del vostro compagno di viaggio con il frastuono regolare dell’acciaio delle ruote che inghiotte i binari. Si, si, è inutile che cerchiate di eludere. Sono proprio io. 71 Sono proprio colui che vi ha inzuppato lo scompartimento con i propri sudici stracci: una valigia, quattro scatole di cartone legate con un grosso spago, degli involucri formati da carta di giornale tenuta insieme con nastro adesivo per pacchi, sacchetti di plastica, settimanali di casalinghe insoddisfatte e di attori separati e risposati, qualche schifosissimo pargolo che sguscia qua e là a chiedere i vostri spiccioli. Ho capito che avete già in testa l’immagine, e anche piuttosto precisa, del tale che vi sto descrivendo. Ma dovete portare pazienza affinché tutti i particolari possano prendere il giusto posto nella vostra immaginazione, fino a quando vi pare quasi di toccarlo il vostro uomo, che poi sarei io, proprio io. Mi sentirete stappare il mio liquore, ormai in viaggio da seicento chilometri e ridere a voce alta dopo averne bevuto una sorsata rumorosa proprio mentre il volto vi stava crollando in un nuovo tentativo di appisolarvi contro il vetro del finestrino di questo ammasso fracassone di ferraglia. Eh si, perché sono proprio quel tale che sembra sonnecchiare dietro lo sportello dell’ufficio postale, sulle sue biro mezze rotte e mezze mangiate, che, come dite sempre, è lungo come la fame, in ogni cosa. Ma adesso lungo per voi dormire, rilassarvi, riposarvi, distendervi… Si, si, avete capito. 72 Sono proprio quel tale nel quale potrete imbattervi di sera, a due passi da casa vostra, qualche centinaio di metri prima di varcare la vostra soglia. Vi domanderete: è un mascalzone? Che mi farà? E il cuore accelererà il suo ticchettio mettendovi in lieve agitazione perché, in fin dei conti, vi siete imbattuti, nella sera scura, proprio in quell'individuo, il quale pare sfaccendato, seduto sulla panchina lì appresso in quel mucchietto di verde e sembra che i suoi occhi luccichino, forse ghignino, forse vi scrutino attendendo il momento buono... Eh, si, fatevela sotto perché sono proprio io, quello che si trascina di sera in sera e poi anche di notte e nelle sere estive cerca l’anguria (o la vende, anche), oppure i cartocci di couscous e peperoni verdi e le patatine fritte nell’olio bruciato di una settimana e sputa i semi per strada con gesto rapido e noncurante che non si sa mai a cosa stia pensando e quale potrebbe essere la sua prossima mossa, oppure beve alcool in piedi, fuori da quel bar con le sedie di alluminio e la plastica consumata e le tazzine sporche. Sono io, sono io, sono quel tale. Sono quell'uomo con il viso lungo, il naso grosso e pendulo, le guance secche e scavate, la carnagione nera - olivastra, l'occhio cupo e un po' torvo. Sono quello che avete visto dieci anni fa sulla strada di Pristina, quello che camminava e camminava lungo il terrapieno ferroviario. Sono quello che è venuto a vedere i giochi funambolici delle vostre televisioni, direttamente, sopprimendo il diaframma del vostro schermo di vetro. Sono venuto a vedere se il mio titolo di studio vale quanto il vostro, voi che avete studiato di latino e greco ed io di sanscrito e arabo, 73 di volgare evoluto alla corte di Federico secondo. Come una partita a poker vorrei sapere se il vostro gioco è un bluff oppure se davvero avete le carte in regola. Sono la vostra falsa coscienza e il vostro specchio riflesso in uno specchio. Sono il vostro rimando continuo, il vostro ipertesto vivente, voi che gestite la grande rete e la new economy, ecco, provate a gestire me, io, io qui ora, presso di voi! Salve e salute a tutti! Sono io. Io, certamente, quello con il tappetino. Ecco, ora lo stendo per bene. Dov'è la Mecca? Di là? Grazie per l'informazione. E la vostra Mecca dov'è? Io sono quello che sta fermo e voi quelli che si muovono, ma vi spingete così in fretta verso la vostra Mecca che cambia - sorprendente! - posto a ogni vostro tentativo di congiungervi. Ho visto un vostro film. Camminavate senza sosta su una strada polverosa e all'inizio e alla fine continuavate a camminare senza una meta. Ma dove andate? Si, sono io, quello che voi compatite, un po' esterrefatti, un po' animati di carità cristiana o di pietas civile, un po' sopraffatti dall'incredulità, ma siete troppo colti e ben educati per manifestare disapprovazione o, peggio, disgusto. E se fossi io? Se fossi proprio io? Quello grande e grosso, tutto nero, con il doppiopetto e i pantaloni scuri gessati, la camicia bianca sbottonata sul petto con le lunghe punte del colletto che schizzano all'infuori, i sandali ai piedi scalzi, mezzo stravaccato nella Mercedes che 74 aspetta di sghimbescio sul marciapiede che scenda la notte per poter finalmente vivere. Io, quello con gli occhiali d'oro e quel sorriso stampato sulle carnose labbra nere che osserva i passanti privi di pensieri interessanti. Sono proprio colui il quale piazza le pupille nere sulle gambe della pecorella che vi portate al braccio - e che farebbe certamente bella figura nella stalla della mia vaccheria - e non si limita alle intime estremità inferiori, ma il suo sguardo si insinua tra i seni belli morbidi e curvati e il collo lungo e vi finisce dentro, alla vostra femmina, penetra nei suoi interstizi, quasi a vedere fino le budella, a farle una tac per poi soffermarsi sull'attaccatura delle cosce e lei fa finta di niente mentre una goccia di sangue fresco le corre la schiena e il messaggio erotico si perde a metà strada nell’aria tra lei... ed io, viscido, immondo, schifoso! Ah, ah! mi fate ridere e appena mi passate davanti, con i vostri cuori che battono l'autostrada in corsa, vi piazzo una bella scoreggia che fate un bel salto ma… composto. Ah, ah! ma sì, con una tale scoreggia ho firmato la mia carta di identità: tenetevela pure! - Ma chi è questo? Ma che cosa vuole? - Signore, lo abbiamo preso durante la nostra missione, pensavamo… - Pensavate un cazzo! Ma non vedete che razza di esemplare avete catturato? - Ma signore sono tutti così… 75 - State freschi! Tutti così un corno di un accidente! Questo è un drop out, un disoccupato, un meridionale, un immigrato, un pappa o chissà cos'altro, lo capite o no? Non ascoltate ciò che dice? Non sentite? Non l'avete annusato? - Ma guardi le ripeto che sono davvero così tutti quanti… noi ne abbiamo preso uno… - Ne avete preso uno. Ma io ho a che fare con dei deficienti! Sono attorniato da deficienti. Ma possibile che non riusciate a mettere in moto il vostro cervelletto del cazzo? Non capite che è uno scioperato? Uno scio - per - ra - to? Un lazzarone? Un tanghero? Un emarginato? E allora non avreste potuto acciuffarne uno normale? Riuscite a capire? Nor - ma - le? Ci voleva tanto? - Comandante, per favore si calmi. Noi abbiamo ponderato ogni cosa… - E il risultato è zero assoluto! - Per favore ci ascolti un momento! Noi abbiamo ponderato ogni cosa, abbiamo anche visitato il territorio di questi altri normali, come dice lei, ma… - Ma cosa? Forza, parlate! - E' quello che stiamo cercando di fare… se permette un momento le spieghiamo per bene. - Sono qui che sto aspettando una spiegazione di questo vostro scherzo idiota! 76 - Guardi che siamo… ci siamo andati da loro, non è uno scherzo… Siamo andati. - Ebbene? - Ebbene, li abbiamo visti. Effettivamente sono diversi, precisini, pulitini, asettici, sembravano usciti da una lavastoviglie e poi… - E poi cosa? Devo ascoltare ancora per molto le vostre stupidaggini? - E poi… si bucano tutti! - Come sarebbe… si bucano? - Si fanno di eroina e cocaina e di altra roba, che non conosciamo neppure. Sono tutti fuori di testa, signor comandante! - Come sarebbe? - Sarebbe che è così. Lo fanno per disperazione, sono dei disperati, degli illusi, degli inetti e quindi si sparano in vena ogni cosa… - Cosa diavolo mi vuoi far credere? Mica ci si droga per questo! - Certo che no, signore, per noi è un gioco, per loro una specie di regola di sopravvivenza. - E non potevate guardare in altre zone? No? Questo mica vi è passato per l'anticamera del cervello! - No, cioè, si, abbiamo visto… 77 - E allora? Forza! Devo aspettare molto? Ce l'avete la lingua in quella dannata bocca? - Si, per favore, un momento, non ci lascia neppure il tempo… certo che ci siamo stati. Ma è ancora peggio, un disastro… davvero…. ci deve credere! - Un disastro? E perché? Come sarebbe? - Perché sono le zone degli immigrati di ogni regione. Quelli che dal Messico entrano in California, quelli che dalla Nigeria entrano in Italia, quelli che dalla Turchia entrano in Germania, quelli che dalla Francia entrano a Manhattan… - Ok, ok d’accordo, basta così, ho capito, qui nessuno sta a casa sua, merda! E il risultato? - Il risultato è una mescolanza di corpi, signore. - Niente di meno! Che schifo! Orripiliante! - I risultati non li può neppure immaginare. Miscugli di colori, di aromi personali, di tratti somatici e i bambini che si mischiano nei giochi in quel modo orrendo! E poi c'è la cucina, con quegli intrugli, contaminazioni continue, oltre a ciò che si sparano in vena dovrebbe vedere cosa si calano nello stomaco! - Anche questi si drogano per disperazione? 78 - Molto di più, loro sono consapevoli, è molto peggio, molto peggio… o forse meglio? Comunque anche loro, si bucano per disperazione, anche se è un po' diversa… - Basta, basta, ho capito, qui viene da vomitare anche a me. Fatela finita e andiamocene subito. Ne ho abbastanza! - E di questo che ne facciamo? - Speditelo fuori! - Ma grida come un pollo spennato… - Allora scuoiatelo per davvero, così avrà un motivo per urlare! - Va bene. - Vorrei sapere chi ci ha fatto venire su questo pianeta del cazzo! - E' stata vostra moglie, signore, non ricorda? - Maledettissima vipera, che un buco nero se la inghiotta! Deve dimostrare la sua superiorità con queste forme di vita ignobili! Ah, ma mai più, basta, basta davvero. Mai più! D'ora in poi decido io. E non se ne parli più! Tutto ha un limite, per Giuda! Ehi! l'avete scaraventato fuori o no quello zoticone scorticato vivo? _ Sissignore, signor comandante! - Benissimo. Non resto qui un minuto di più. Per ora la missione è annullata: cercheremo altrove quello che ci serve. E ora, SPARITE! 79 I luoghi della vita (NASA. Dintorni di Austin. Progetto Saturno. Ufficio di Arthur Jhon Cox). Quale luogo è realmente quello della vita? Quale ambiente può mai essere quello nel quale si possono dispiegare le energie vitali della sopravvivenza, verso l'appagamento e la realizzazione? Mi chiedo se davvero esista questo luogo. Se davvero sia possibile trovare un posto che penetri nei nostri pori della pelle e tocchi i reticoli infiniti del nostro cervello, così come i fili sottili del nostro cuore. Così da restare in pace, sospesi, quasi, per bere una quiete semplice e chiara, un’armonia deliziosa che profuma di frutta, di salsedine e iodio, per sentire la musica delle onde che riversano la schiuma nelle corolle buie della sera. Ho visto amici sparire nel nulla, suicidati, arrestati, gettati al pubblico discredito, consumati dalle crisi di coscienza o dalla violenza inaudita dei loro comportamenti. Ma ho visto i luoghi, ciascuno di essi, restare sempre quello, senza mutare. I luoghi sono fermi ed eterni mentre gli individui, attraverso il loro movimento, esprimono la propria immaterialità. Cosa ho visto in questi giorni! Una girandola inaudita di violenza e di falsità. Due grandi chirurghi prestarsi a quest'opera infame di sezionare quel corpo sconosciuto senza mostrare alcun dolore, senza alcuna domanda, senza che un 80 muscolo si muovesse sul loro volto inespressivo. E poi Petri, togliersi la vita così e non lo aveva neppure toccato quel corpo, ma era responsabile del laboratorio, si “sentiva” responsabile. Ed io cosa dovrei fare? Ora mi chiedono di sperimentare una tecnica di clonazione, su quello stesso corpo, per recuperarlo alla vita nella forma di un alter ego, di una imago, di un avatar. Se l'esperimento riuscisse potremmo tentare di avere un rapporto con quell'essere, stabilire un contatto intelligente. Ma cosa significa la clonazione in questo caso? Significa crescita lenta di un organismo? Se è così occorrerà attendere anni prima che l'alieno sia completamente cresciuto e sviluppato. E poi, una volta che sarà cresciuto come farà a parlare la sua stessa lingua, a sapere da dove viene, se è vissuto fuori del suo ambiente? A meno che il loro DNA contenga tutte le informazioni sociali, della loro storia e gli strumenti della loro comunicazione. Oppure potrebbero possedere forme di comunicazione che si preservano nel tempo e anche a lunghe distanze. Ma queste sono solo fantasie. Ho messo un disco che non sentivo più da quando avevo quindici anni. Suona una musica cilena che parla di ninne nanna e di bambini le cui madri sono sgozzate dall'invasore bianco che razziava i villaggi Indios: "Duerme, duerme negrito, que tu mamma esta' nel campo", mentre la mamma è falciata dal macete dell'uomo bianco che quel campo lo desidera più di ogni altra cosa. Mi ricordo le conferenze con Malcom X, quando eravamo tutti convinti che ci saremmo presi il potere che ci spettava. Mi ricordo letture giovanili. Per esempio "Avere o Essere" di 81 Fromm. Non è l'avere che fa l'essere, ma non ci può essere senza avere. Certamente, la mia cultura predilige l'essere, il suo lato oscuro e indecifrabile, quella nota ripetitiva che muove ogni tanto le cose secondo qualche direzione misteriosa. Sentendo questa musica e ascoltando parole che parlano di Indios che lavorano nei campi, di bambini che dormono e non immaginano il macello che si prepara, ritorno alla mia gioventù e ai suoi ideali. Certamente, gli anni hanno sepolto le aspirazioni profonde alla rivolta e al sovvertimento sociale, ma non le hanno soppresse. Ora le riscopro intatte, preservate in qualche incontaminato angolo della mia incoscienza, insieme alle pulsioni più genuine e sane. E forse è bene che mi aggrappi a loro come a una fune che mi possa trascinare fuori da questo luogo. Però dicevamo che non esiste davvero un luogo migliore. O esiste? In ogni caso non posso pensare ad altri luoghi senza pensare a fughe immaginarie prive di sbocchi reali. Mentre il mondo intero discute se clonare un essere umano è legittimo, a me giunge l'ordine di clonare un extraterrestre, di proseguire con le torture. Niente male. In effetti mica è umano un alieno e allora via, all'opera. Ma davvero, mi chiedo, che senso ha questa operazione? - Allora, a che punto siamo? - Punto di che, scusi? - I preparativi per la clonazione. - Ah, vedo che siete decisi a procedere. 82 - Perché, lei forse avrebbe dei dubbi? - Francamente si. - Sentiamo. - Non ho intenzione di procedere ad alcuna clonazione. - Come sarebbe? - Sarebbe, semplicemente, che non ho intenzione di partecipare a questa operazione e neppure di programmarne i piani tecnici. - Lei sta scherzando, suppongo… e per quale motivo? - Non sto affatto scherzando e il motivo è che, pur non avendo alcun tipo di obiezione religiosa ed essendo in linea di principio favorevole alla clonazione, tuttavia esprimo il mio parere contrario a una simile procedura, dopo aver trattato quell'essere vivente come un puro oggetto di studio, senza alcun rispetto. La sua clonazione sarebbe una nuova violazione nei suoi confronti, per questo sono contrario. Anzi, penso che si debba seriamente riflettere sulla leggerezza con la quale abbiamo operato. - I suoi argomenti sono puerili. Lei conosce i motivi di fondo delle nostre scelte e non abbiamo intenzione di fermarci proprio ora. Possiamo procedere a una clonazione che, ne siamo certi, offrirà risultati interessanti. D'altra parte lei è soggetto agli ordini e non può rifiutare di eseguirli. 83 - Si sbaglia. Rifiutare un ordine illegale è un mio diritto imprescrittibile. - Via, ragioni. Perché deve ficcarsi nei pasticci? Ha davanti a sé una carriera che forse nessun altro può neppure lontanamente sperare di percorrere. Responsabile del reparto ricerche biologiche della NASA e ora potrebbe anche assumere l’incarico di quel suo collega che si è suicidato io la passerei alla direzione generale del progetto, come mio vicedirettore personale… - Lei è un farabutto! Mi offre una carriera edificata sulla tragedia di un uomo che avete spinto al suicidio, dopo averlo spremuto per le vostre operazioni indecenti! - Stia bene attento a come si rivolge a me! In ogni caso lei sa benissimo che il suo rifiuto potrebbe costarle la corte marziale… - E la cronaca dei giornali! Così vediamo cosa succede. - Lei sa che il Dipartimento è al corrente delle nostre procedure, vero? -Che cosa vuole dire? - Nulla di più di quel che ho detto: lei è perfettamente al corrente delle procedure interne e delle relazioni con il dipartimento di stato e il Pentagono. Voglio solo ricordarle ciò di cui lei è già al corrente. - Grazie, lo ricordavo da me. Le sue minacce non modificano le mie opinioni e neppure la condotta che ho deciso di sostenere. Non parteciperò in alcun modo a 84 questo progetto. Consideri questa la mia risposta definitiva. E ora la prego di lasciare il mio ufficio. Il direttore della NASA lascia l’ufficio di Cox a passi rapidi. *** - Un incidente d'auto nel week end. - Bene. - Resta un problema. - I documenti? - Esatto. - Non siamo certi che ne abbia. - Potrebbe aver consegnato una memoria. - Abbiamo svolto delle indagini. Non abbiamo trovato nulla. - C'è un suo amico, avvocato a New York… - E quindi? - Ci sono stati contatti telefonici recentemente. - Bene. - E' un indizio sufficiente. - Quest'uomo ha rapporti anche in Svizzera, un notaio e una banca a Zurigo. 85 - Bisogna risolvere il problema alla radice. - Potrebbe essere depositata in due o tre copie. - Occorre concludere l'operazione nello stesso momento. - Le banche sono un problema. - E' una questione di sicurezza nazionale. - Il loro ministro delle finanze è un nostro uomo. - Meno persone sono al corrente dell'operazione e meglio è. - Ci facciamo consegnare i documenti senza accennare a nulla. - Rimangono l’avvocato e il notaio. - Non possiamo perderlo. - In ogni caso si rischia di compromettere l'operazione. - Resta la carta dei parenti e amici. - Hai un piano? - E nessun altro. - Operiamo direttamente presso chi potrebbe custodire i documenti. - Dunque a New York e Zurigo? - Esatto. - Focalizziamoci sullo scienziato. 86 - Lui solo è sufficiente? - No, moglie e fratello sono persone attente. - E quindi? - Saranno insieme per il week end. - Non possiamo procedere come al solito. - No. Ma è previsto brutto tempo. - Va bene. La squadra è pronta? - E' quella di Bogotà. - OK. - Allora fra tre giorni. - Tre giorni. - Ti chiamo domani per i dettagli. - No, ci vediamo all'ufficio di Boston. - OK. 87 Equivoci (Dintorni di Austin. Palazzo postmoderno, studio postmoderno, arredamento postmoderno). Sono quarant'anni che faccio lo psicoterapeuta. Oggi ne compio settanta e questa è stata l'ultima seduta dedicata alla professione che ho amato per tutta la vita. Non ho mai scritto e desidero raccogliere qualche memoria. Più che altro per me, per rievocare i ricordi di questo mio lavoro, un lavoro che non ho mai davvero considerato tale, che mi è sembrato così vario e ricco da non distinguersi con la mia stessa vita. Ho cominciato a fare lo psicoterapeuta il giorno del mio trentesimo compleanno, dopo una laurea in psicologia e un master all’Istituto di Formazione. Conservo ancora oggi il vivo ricordo di un'emozione speciale. A cominciare dal vestito: non sapevo cosa mettermi. A me piacevano le scarpe da tennis e i calzoni larghi con una magliaccia buttata sopra. Ma uno psicoterapeuta si veste a quel modo? Alla Scuola di Trattamenti Mentali erano tutti impeccabili: gli uomini con giacca e cravatta e comunque con le camice ben dentro i calzoni e le scarpe lucide. Sulle scarpe non ci sono problemi, in fin dei conti è una questione di pulizia. 88 Ma mi hanno sempre dato fastidio le convenzioni: è un sintomo mio o della società? Però è giusto ciò che mi hanno insegnato: giacca e cravatta aiutano a stabilire le distanze, a fare in modo che l’ammalato non consideri il suo terapeuta uno sciattone, un miserevole, dando così sfogo a pericolose proiezioni. Comunque, il primo giorno è stato un vero pasticcio, lo ricordo come fosse ora. Ho messo le scarpe da tennis, ma la camicia stava davvero male e non ho osato buttarmi addosso quella magliaccia nera e lisa che a me piaceva tanto e mi ricordava le estati al mare. Comunque non sapevo assolutamente chi sarebbe venuto. Il mio formatore mi aveva fissato un appuntamento con una persona che, probabilmente, si sarebbe aggrappato a me perché lo salvassi. Ma i dubbi si affastellavano nella mia mente: avrei saputo soddisfare quella richiesta? Come avrei potuto mantenere la giusta distanza e osservare tutte le regole del setting che, certamente, avevo imparato per bene? Quel distacco iniziale è davvero una regola così inviolabile? Davvero si gioca tutto nel primo incontro e, addirittura, come spiegava il mio didatta fino alla nausea, tutta l’analisi è in realtà già riassunta in quel primo incontro a tal punto che gli altri aggiungeranno solo trascurabili dettagli? Ero immerso in questi pensieri quando squillò il citofono. Feci un balzo e d'un tratto mi sentii ridicolo con quelle scarpe da tennis. Ma quanto era inopportuno 89 questo leggero disagio, se invece penso che poi ho imparato a svolgere le sedute come meglio credevo: in ciabatte, senza calze, con i sandali infradito (sudo molto ai piedi e quindi preferisco lasciarli all'aria, anche se odorano un po’), con variopinti gilé di raso o di cuoio borchiati, oppure in camicia bianca adornata da fantasiosi papillon. In questo ho innovato davvero lo stile dei miei maestri e senza alcuna conseguenza per il setting. Del resto siamo o non siamo in America, il paese più libero e privo di convenzioni del mondo? E dire che allora, per quell'occasione tutta speciale, avevo anche acquistato un completo grigio in fresco lana, ma non avevo osato indossarlo! In realtà c'era una sola cosa che mi spaventava davvero: ritenevo di non saperne abbastanza di psicoterapia. Eppure avevo studiato bene tutto quanto, comprese le dispense del mio didattico e, soprattutto, avevo discusso in lungo e in largo con lui tutti i dettagli delle sedute. Avevo assimilato la procedura per bene, in tutte le sue varianti. Sarei certamente stato in grado di rispettarla e di metterla in pratica. Come nel gioco degli scacchi nel quale si apprendono numerose aperture e chiusure di partita, io sapevo perfettamente come avviare o chiudere un’analisi. Il problema era tutto quello che ci sarebbe stato in mezzo. Il fatto è che mi piacevano le canzoni. 90 Ogni tanto ne saltava fuori una che mi ronzava in testa. Si trattava certamente di qualche pensiero sostenuto da forze libidiche ben travestite e di nascosto spostate verso aulici terreni. Questo lo sapevo bene. Me lo avevano spiegato tante volte: le emozioni e i sentimenti non sono altro che moti pulsionali repressi e camuffati, alcuni sublimati e altri nevrotizzati. In se stesso l’uomo è incapace di amare, è solo un animale tecnologicamente evoluto. Per questo lo psicoterapeuta deve imparare completamente a dominare le emozioni fino a eliminarle dal suo orizzonte, per uscire definitivamente dal suo stato bruto e poter osservare meglio, da una posizione esterna, i suoi ammalati afflitti da questo penoso travaglio di emozioni e sentimenti. Però questi pensieri a me piacevano e devo confessare che in dieci anni di studi e formazione li avevo difesi con grande cura ritenendo, in fin dei conti, che non avrebbero nociuto alla mia professione. D'altra parte questi pensieri non mi spingevano a rifare il letto venti volte prima di dormire e neppure a provare mal di schiena inesistenti o, peggio, ad aver paura di restare chiuso nell'ascensore. Dunque che male avrebbero potuto farmi? Ma quel giorno… quel giorno, riaffioravano e nel momento meno opportuno. Intanto il paziente saliva con l'ascensore, lo sentivo. Insomma, ero preoccupato per il fatto che alle volte, mentre gli amici parlavano, io mi lasciavo cullare da pensieri, motivetti, brani, sfumature, colori tenui della vita che si riflettevano nella mia mente e nella mia anima. In quell’anima che non ero riuscito completamente a sopprimere, purtroppo. Ora, il problema era questo: sarei stato in grado di applicare 91 quell'attenzione fluttuante che ogni situazione analitica avrebbe richiesto? Improvvisamente, sulla soglia della mia prima seduta da psicoterapeuta, scoprivo che il mio interesse era soprattutto rivolto al versante "fluttuante" più che a quello dell'attenzione. Sarei riuscito ad ascoltare davvero? In quel preciso istante, lo ricordo benissimo, mi sentivo ancora più ridicolo, quasi nutrivo il dubbio di aver sbagliato mestiere. E poi c'erano i soldi. Come avrei fatto a farmi pagare? Fino a quel momento non ero riuscito a ottenere remunerazioni per nessuno, dico nessuno, dei lavori che avevo intrapreso. Non che mi interessasse, a quel tempo ero un idealista, quelli che avevo fatto erano lavori interessanti e questo mi bastava. Però spesso dovevo trovare degli espedienti per tirare a campare e anche per retribuire il mio didattico. Per fortuna a un certo punto mi fece credito. Segnava su un quaderno le sedute che non avrei potuto saldare “Tanto poi, quando sarai psicoterapeuta, ricaverai abbastanza da chiudere i tuoi debiti con me.” E ora? Ora che cominciavo a lavorare? Sarei riuscito a farmi pagare, almeno tanto da estinguere i miei debiti, speravo. E per di più a lavorare da solo, in quella stanza! Facendo lo psicoterapeuta non sarei rimasto solo tutta la vita, io che da bambino piangevo come un vitello quando mia madre usciva per fare la spesa? Io che mi disperavo quando la scuola finiva e non avrei rivisto che dopo due mesi i miei compagni? Ricordo che, a momenti, mi sarei messo a piangere anche 92 quando il mio didattico, con tono molto serio, adatto alla solenne circostanza, ha detto: - Bene, adesso abbiamo concluso la mia istruzione. Non ci vedremo più. Auguri per la sua nuova professione! In effetti a quel tempo mi ero chiesto se una formazione psicoterapeutica potesse essere conclusa in modo definitivo. Ora, a quarant'anni da quel momento, so che quello che si è appreso si è appreso e che i meccanismi sono sempre quelli, in definitiva. Il nostro sapere varia molto in apparenza ma poi, gratta gratta, affiorano sempre gli stessi problemi, uguali e precisi e quindi la formazione si conclude davvero e forse io ne ho fatta anche troppa. Allora, però, vivevo il termine della mia formazione come un vero dramma. Cosa sarebbe iniziato dopo questa fine? Vagavo nel buio della vita senza alcuna certezza, solo e abbandonato da tutti coloro che mi avevano accompagnato per questa strada. Avevo affittato uno studio miserevole al 36° piano di un vecchio grattacielo liberty. Era il prezzo migliore che avessi trovato e poi, soprattutto, non volevano acconti. Io non ero neppure certo di poter pagare un hamburger, figuriamoci dare un anticipo sull’affitto! Ma sentivo che l'ascensore saliva e mi aspettavo da un momento all'altro qualcuno davanti a me. Qualcuno chi? Il mio didattico non mi aveva detto nulla perché, diceva, una bella sorpresa aiuta a creare la distanza iniziale che è la cosa più difficile da stabilire. Ma quale distanza, pensavo io, che sono qui in un buco di tre metri per due, che a momenti stabilisco un nuovo 93 setting, in piedi, alle spalle del paziente pronto ad aggredirlo… opps, che lapsus ho fatto: “aggredirlo.” Vabbé non è un lapsus perché l'ho solo pensato, mica l'ho detto e manco l’ho fatto e quindi non vale, insomma. Certo che… viene su qualcuno o qualcuna di cui non so nulla. E poi c'è anche l'omosessualità di mezzo. Ricordo distintamente che pensavo: se si presenta un omosessuale che faccio? Ho sempre temuto l'omosessualità, non ho mai capito come ci si deve comportare. Qualche volta con il mio didattico facevamo delle prove, lui si fingeva un paziente omosessuale e si avvicinava e mi toccava così… anche nelle parti più delicate, con una gestualità molto studiata, precisa, per rendere più reale la scena… una vera simulazione. Comunque grazie a lui alla fine avevo imparato come fare. Però avevo ugualmente timore, non so di che, quel languore che mi attanagliava proprio in quel momento. Pensavo: e se fosse salita una ragazza isterica che avrebbe cercato di sedurmi? Una di quelle che sembrano perfettamente normali e poi ti mettono in una situazione difficilissima? E se, per di più, fosse stata anche molto graziosa, seducente, addirittura provocante? Anche qui avevo affrontato la questione con il mio istruttore. Qualche volta, per rendere più veritiera la scena, si infilava quelle calze a rete con la giarrettiera, stipava quel cotone sotto il reggiseno di pizzo nero, metteva anche un rossetto viola, poi si tirava i capelli, che portava lunghi, ma sempre ben 94 pettinati, quindi imitava le seduttrici isteriche così bene che ogni volta ci cascavo fino in fondo e poi, per di più, dovevo anche subire i suoi rimbrotti, le sue sgridate per non essere riuscito a mantenere il setting (a quel tempo facevo anche dei lapsus, qualche volta confondevo la “s” con la “p”). Accidenti, questo sarebbe stato un dramma: come resistere al fascino di quelle seduzioni se i miei pazienti le avessero proposte? Certamente questo sarebbe stato un mio punto debole. Non potevo ancora capire che in realtà sarebbe diventato un punto di forza del mio stile terapeutico, un modo nuovo per aiutare gli ammalati. Ma allora pensavo: avrei potuto intraprendere la professione di psicoterapeuta con questa debolezza? Queste erano le domande che mi ponevo, mentre con il tempo ho capito che si trattava solo dei naturali timori di un terapeuta alle prime armi, timori che poi ho ritrovato nei giovani che a mia volta ho istruito per bene. D'altra parte avevo anche imparato a interrompere un'analisi scomoda. Il didattico mi aveva spiegato molti trucchi per chiudere una terapia facendo in modo che la responsabilità ricadesse sul paziente stesso (responsabilità che alla fine era sua dato che suoi erano i sintomi). Questo trucco, è bene dirlo, serviva solo per non creare inutili preoccupazioni nel giro dei malati. Durante la formazione ho imparato che è molto importante selezionare i pazienti fin dal primo momento attraverso il metodo dell'interruzione, così a poco a poco si crea una clientela di persone che hanno più o meno gli stessi sintomi, le stesse difficoltà, addirittura la stessa storia e quindi la terapia è più semplice e il terapeuta si può, in un certo 95 senso, specializzare e, diciamo la verità, arriva a faticare di meno. Con il tempo, ad esempio, ho imparato a creare un'utile banca dati che spulciavo spesso per trovare soluzioni e interpretazioni di casi che, alla fine, si rivelavano molto simili tra loro, se non identici. In cosa mi sarei specializzato? In quel momento sapevo solo di cosa non avrei desiderato occuparmi. In seguito l'esperienza ha mostrato che mi sarei specializzato in sintomatologie allucinatorie con sdoppiamento o anche triplicamento della personalità (non di più perché sarebbe stato troppo complesso). In questi casi eccellevo. Soprattutto riuscivo benissimo a interpretare i sintomi e a trovare le soluzioni più idonee per ciascun malato. L'ultimo caso di questo genere si è chiuso, vedete la coincidenza, proprio oggi, giorno del mio compleanno. Il paziente, quel Cox, o come si chiamava, diceva di essere un ricercatore della NASA. Erano anni che avevamo a che fare con una profonda depressione, stimolata da canzoni e testi che era solito leggere (vedete che c'era già una certa affinità con le mie antiche vocazioni, perché con i pazienti è davvero così: quasi magicamente ci si trova con interessi e inclinazioni simili). E poi cosa scopro? A un certo punto si mette a parlare di marziani e di suicidi, insomma una classica combinazione schizoide-depressiva. Cominciava a manifestarsi anche una doppia personalità. O era forse paranoide? Oppure il prodotto di una identificazione proiettiva? E poi questi dubbi si sono dissolti oggi stesso nel corso di una seduta memorabile, che chiarisce ogni cosa e che, guarda che coincidenza, era anche l'ultima incombenza della mia vita. Oggi infatti il paziente arriva trafelato, agitato, parla di clonazioni di 96 extraterrestri e del suo rifiuto di praticare questa clonazione, di persecuzioni e di agenti segreti. Eccellente. Che enorme quantità di materiale! Ho interpretato questo transfert lì per lì e ho risolto così, in un baleno, cinque anni di difficoltose sedute con quest'uomo. In pratica la spiegazione è questa. Egli desiderava clonare il suo terapeuta per poter distinguere l’imago paterna da quella materna prima riunite in un'unica figura professionale (io stesso, ovviamente). Ma se questa distinzione si fosse davvero realizzata lo avrebbe per sempre legato alla sua intrinseca doppiezza di genere che, grazie alla clonazione, avrebbe potuto trovare anche un riscontro nei fatti (dove i sessi sono effettivamente separati tra loro), rafforzando così il suo meccanismo proiettivo e maniacale. D'altro canto qualcosa di buono in quest'uomo c'era, sulla quale far leva e precisamente quella parte di sè che si opponeva alla clonazione del suo analista, concepito, guardate un po', come un extraterrestre, cioè come un altro da sé e da tutti noi, per meglio identificarlo. Il rifiuto della clonazione era un esplicito invito all'interpretazione, all'analisi del rapporto terapeutico, cosa che, naturalmente, ho immediatamente fatto, anche se ero molto stanco, perché avevo avuto a pranzo alcuni allievi in formazione e avevamo brindato insieme non immaginando certo che quest’uomo, proprio oggi, si presentasse con tutto il fagotto della sua sofferenza. Ecco, alla fine. Cosa gli ho svelato: 97 - Lei crede di aver terminato la sua cura perché riesce a resistere alla tentazione della clonazione, anche a costo di essere tormentato dalla CIA. In realtà questa storia della CIA non è altro che la reazione del suo super-io impersonata dal nonno e dallo zio (i suoi persecutori nelle vesti di agenti del governo), che da piccolo sono subentrati alla tragica scomparsa di suo padre, scomparsa che aveva anche messo fine ai tentativi di seduzione tra lui e sua nipotina, alla quale lei era tanto affezionato. Rifiutando la clonazione lei indica che il padre non può più essere riprodotto e quindi non può neppure riprodurre. Così esce da un meccanismo incestuoso e accetta la realtà per quella che è. A questo punto accetta anche i suoi parenti che, sotto forma di agenti della CIA, le hanno reso la vita difficile fin da piccolo, con tutte quelle scudisciate quando non andava bene a scuola, ma adesso che è adulto non è più disposto ad accettare i loro rimproveri e, soprattutto, non vuole più che le facciano rifare le relazioni in bella scrittura per le sue ricerche. Alla fine tutto ciò indica solo il suo desiderio di terminare la cura con me. Ma terminarla con la giusta soluzione. Impedendo la clonazione impedisce anche la riproduzione di questo meraviglioso rapporto a due che è la psicoterapia. Inoltre indica in modo inequivocabile che non intende più vivere nell'attesa di un padre ed è pronto a proseguire senza il suo genitore accettandone consapevolmente e pienamente la scomparsa, senza per questo voler sposare il suo analista, cosa del resto alquanto difficile, ma senza neppure indirizzarsi su sua moglie (che del resto non ho mai avuto). Come vede è un passo avanti enorme, che la porterà a mangiare 98 anche con più gusto. E direi anche questo: se lei può vivere senza il padre è naturale che possa vivere anche senza di me e gli altri membri della mia famiglia! Dunque siamo davvero arrivati alla fine. Lei non ha bisogno né di padri, né di psicologi e in quanto alla madre, per sua fortuna è ancora viva e vedrà che non la picchierà più dal momento che lei si presenterà in forma nuova, del tutto inedita. Lei non ha bisogno di nessuno perché è perfettamente guarito e vedrà che non soffrirà più di alcuna depressione e stato confusionale come questo. Trascorra tranquillamente il suo week end al quale tiene tanto, dunque e addio! A questo punto la sua reazione è stata delle più classiche. Direi da manuale. Dapprima incredulità tipica di chi si trova "nudo", di chi ha svuotato l'inconscio che da ora in poi sarà solo una bella scatola vuota. Poi tentativo di arrabbiatura per non essere preso sul serio, tipico anche questo, residuo di resistenza dagli ultimi, ben nascosti, meandri dell’Io. Infine, di fronte al mio sorriso tranquillo e sereno e alla placida sicurezza che mostravo come professionista della mente, manifesta euforia completa, dovuta al pieno successo che stava cogliendo egli stesso. Quindi non ha potuto far altro che accettare completamente e senza riserve la verità dei fatti, mi ha salutato teneramente, mi ha stretto la mano con calore ringraziandomi per tutto quello che avevo fatto per lui, ha saldato l'onorario e si è congedato per sempre. Ed eccomi, dunque, alla fine una lunga e interessante carriera, disponendo ora del tempo per scrivere le memorie di un terapeuta che, come potete vedere già da 99 queste righe, promettono un’interessante serie di spunti di riflessione. Come sarebbe contento il mio povero istruttore! Resta solo un dubbio che, purtroppo, è destinato a non aver mai una risposta. Stando le cose così come sono emerse in quest'ultima seduta, posso verosimilmente supporre che anche molti racconti sulla vita del mio paziente, sul suo lavoro alla NASA (!?), erano in realtà semplici invenzioni, elaborate fantasie, come quella, di natura paranoico-introiettiva, dell'extraterrestre, fantasia che alla fine lo ha tradito proprio per la sua enormità, permettendomi così di sgarbugliare tutta la matassa. E’ proprio vero, come diceva il mio insegnante: l’inconscio fa i coperchi ma non le pentole. E poi è davvero curioso: chissà in realtà chi era e cosa faceva questo mio paziente! 100 La casa in campagna (Terra, USA, un bel posto. Davvero un bel posto. Villetta di campagna di Arthur Jhon Cox e dintorni). Scogliere, flutti, vette imbiancate dalla neve immobile, ghiacciai perenni: in mezzo, la mia casa. Resto un momento incantato, prima di entrare. Come sempre questo paesaggio mi rapisce. Contiene tutti gli elementi della natura. Davanti agli occhi si apre uno scenario senza fine. Giro la testa più volte, in cerchio, per contenere tutto, poi socchiudo gli occhi e fisso punti a caso: il mare, le vette, la neve, i boschi. Nelle narici frizza l’aria fresca delle montagne, mescolata al sapore salmastro della marina. Abbasso la maniglia. Dove sono le chiavi? Sono qui, ecco, sento il freddo del metallo sulle dite e il morbido cuoio di cervo nel palmo. Spalanco la porta, che si solleva, come sospinta da un cuscino d’aria. Mi investono effluvi di chiuso e di resina. Faccio qualche passo, percepisco l’odore della carta e quello, che sa di muffa, delle copertine dei libri, mi sembra di respirarne il colore ingiallito. E’ buio, non vedo nulla, ma ho nozione di tutto, sento al tatto, all’olfatto, percepisco le onde magnetiche della vita, imprigionata dall’ultima visita, diverso tempo fa. La finestra è umida. E’ anche un po’ sporca, ci passo le dita. Accarezzo anche la tenda spessa di velluto blu. La tiro da parte, entra la luce potente del sole. Riaccosto il tendone. Sento i piedi, su quel tappeto lavorato a mano, un caro e 101 antico ricordo del bisnonno. - Tieni, prendi il tappeto – aveva detto - conserva il gusto dell’Armenia, l’aveva tessuto mio fratello, quando io partii per l’America. Mi aveva chiamato in disparte: “Prendilo – mi disse - quando vorrai pensare a noi ti ci stenderai sopra con gli occhi chiusi”. Quanti occhi ho serrato, mio caro, per rivedere il mio Paese, nel quale tu non sei mai stato. Ora prendilo tu il tappeto, se ti ci sdraierai e chiuderai gli occhi, raggiungerai l’Armenia, anche tu. Mi chino sul tappeto, piano piano, le rughe della mano accolgono la lana sfilacciata. Mi sdraio e guardo in alto, poi chiudo gli occhi. Un mare di nero mi avvolge e piccole luci brillano tremule. Penso. Vedo. Non vedo l’Armenia però, vedo la lunga barba del bisnonno sotto il naso affilato, le guance scavate e le orecchie diritte, appuntite verso l’alto. Ma dove sei? Come vorrei avere qui la tua mano secca, con le sue ossee dita aguzze, che entrava nella mia, piccola e fragile di bambino e mi davi tanta sicurezza. Ricordo che guardare nei tuoi occhi era come entrare in una stanza senza confini, un ambiente profondo, lontanissimo, come Ulisse che varcava le colonne d'Ercole. “Quanto hai vissuto!” pensavo ogni volta che ti guardavo negli occhi grigi. Quando eri molto, molto vecchio, stavi sempre sulla sedia a dondolo con il cuscino di cotone duro e un libro in mano che leggevi con calma. A ogni riga ti fermavi a pensare. Chissà che libro era? Io arrivavo di corsa dalla scuola, ero passato dal campus, leggevo Marcuse, una volta l’ho anche visto, il filosofo. Correvo da te per provocarti. Ti parlavo della rivoluzione, dell’anarchia, della liberazione totale dalla società opulenta, mettevo su Leo Ferré, Jacques Brél e 102 Woodie Ghutrie per coprire le tue cantilene che correvano nell’aria a inseguire due o tre note soltanto, sopravissute dalle fronde armene fino a lì. Litigavamo, mi sembravi sorpreso, ma forse venivi solo da lontano, semplicemente, replicavi cercando di modulare il tono. Ma non c’era terreno, fra noi. Credevo che tu fossi matto, fuori dal mondo. Pensavo che ti fossi perduto in Armenia, tra i monti e quattro capre infreddolite e spelacchiate, mentre io ero in America, con i piedi ben saldi, incollati sul suolo del più grande e progredito Paese del mondo. Invece cercavi di insegnarmi qualcosa, cose semplici, non principi enunciati, bensì sottofondo dei tuoi discorsi, tesori sepolti nelle tue parole. Così ho scoperto che gli ideali non si consumano come i Corns Flakes, sono sogni da coltivare, da curare, da non disperdere. Le cose che mi hai insegnato, però, non le ho comprese subito. Allora apprendevo in modo strano. Poi, un giorno, tutto si è rimescolato. Ho scelto Fisica solo perché non avevo il coraggio di studiare Filosofia, oppure Letteratura. Ho concluso, ho trovato un buon impiego, mi sono innamorato. Ma dentro di me covavano, in due angoli fra loro opposti, i fermenti giovanili e le tue parole. Mi ricordo quando raccontavi delle barricate nel 1905, delle lotte del 1913 e del 1917, e poi, ogni volta, dopo gli spari, tornavi sempre sui monti. Ecco, questa immagine mi resta chiara: tu che scendevi solo quando il motore del mondo rombava e l'aria era lacerata dal fischio della storia, che strappava alle sue capre la gente come te, anche dalle montagne. 103 A un certo punto le cose si sono confuse tra loro, i due piani si sono incrociati e io sprigionavo una nuova sete di conoscenza e di vita, di rivolta e di azione, una passione, però, come un languore continuo. Era un’altra lotta, un’altra posta in gioco, tutto qui. Le due cose si mescolano. E ora mi chiedo cosa faccio, dove vado. Queste ricerche, il pattume del NASDAQ. Forse ora so dove devo andare. Sento che il sangue circola meglio, che il corpo si tonifica, sento i muscoli diffondere l’adrenalina che ramifica leggera come la via Lattea. E’ un vero Universo. E’ quello che vedo tra le palpebre chiuse, sdraiato sul tappeto. E’ casa mia, qui sono padrone. Sono anche padrone della mia parola. Da qualche tempo. Cinque giorni fa ho preparato i memoriali, ho allegato fotografie e documenti, poi li ho affidati a un corriere per Zurigo e a un’altro per New York… Quel luccicare che frizza negli occhi chiusi si mescola ora ai fantasmi sonori che volteggiano nella stanza… All’improvviso mi chiedo: dove? Dove sono finito? Con uno scatto mi alzo in piedi. Barcollo. Mi gira la testa. Sento il sangue che circola e poi gesti meccanici. Fatica. Dove sono? Ah, si. Sono qui. In questa casa tra il mare e le montagne, tra gli scogli e i ghiacciai, in piedi su questo tappeto armeno, del bisnonno, intessuto con la sua barba vecchia, argentea. Un momento. Che cosa succede? Quei rumori. Sta entrando qualcuno. Ma chi? Dei ladri? Non hanno visto l'auto? E le luci? Ma sono ancora al buio. Vengono qui? Armeggiano alla porta… Il cuore si aggrappa alla gola. Mi nascondo. - Ecco. 104 - Io cerco il telefono. - Ok, do un'occhiata nelle stanze. I due lasciano le luci spente. Hanno le torce in mano. Sono uomini sulla trentina, alti, tarchiati, capelli corti, indossano abiti sportivi, scarpe da footing, maglietta, giubbotto. Si muovono leggeri, sicuri, con grande precisione. Sanno esattamente ciò che devono fare. Sanno dove devono andare. Sono cani lupo che scendono a valle. Il primo si dirige a destra, verso il tavolino, prende la cornetta fra le mani, ne svita il coperchio, toglie il microfono, apre una borsa piccola, nera, in pelle, elegante, prende un minuscolo oggettino rettangolare, scuro, traslucido, come uno scarafaggio, lo fissa al microfono, riavvita la cornetta, picchietta due o tre volte sui tasti, dice: Fatto. L'altro è in piedi su una sedia, ha una lampadina in mano, ha inserito un oggetto analogo a quello del suo compagno all'interno del paralume, riavvita la lampadina, dice: - Fatto. Il primo scende sotto, si sente armeggiare, svitare, smontare. L'altro esegue le stesse operazioni nelle stanze a pian terreno, poi sale sopra, ma ci sta poco, armeggia, svita, rimonta, quindi scende. Il primo sale. Si incontrano. Sento il loro fiato. Il secondo dice: - Ok? E il primo risponde: - Ok. Andiamo. Escono. 105 E' un attimo. Esco anch'io dalla mia tana, rapidamente. Perfettamente consapevole del pericolo. Il cuore è in ogni poro del mio corpo, che si apre e si chiude al ritmo del suo battito frenetico. Cerco di fare piano, ma che importa, è impossibile. Prendo le chiavi, scivolo verso l'ingresso. Qualche secondo appena e sto uscendo anch'io. Sento la loro auto che parte mentre varco la soglia. Spero che non mi vedano, vorrei scomparire, ma non posso stare più a lungo. Sono in giardino, poi sulla strada: quanto tempo è trascorso? Forse trenta - quaranta secondi dalla loro partenza. Sarà sufficiente? Corro verso la mia auto, nel casotto, metto in moto, mi allontano. Sperando che i chip non siano già in funzione, sperando che non abbiano trasmesso i segni della mia presenza, mi allontano senza meta. Poi mi fermo in un punto qualsiasi. Quale punto? Non ricordo nulla. Mi fermo e basta. Vorrei suonare, premere il volante per strillare con la stessa forza selvaggia del mio cuore urlante. Ma mi rovescio all’indietro e finalmente guardo avanti, verso i prati verdi che cominciano dal ciglio della strada. Sono stordito. Perché mi spiano? Cosa devono ancora sapere? Non sanno qual è il momento buono per liquidare la pratica? Quel verde che alla fine dell’orizzonte si mescola con l’azzurro del cielo: sarà laggiù l’Armenia. Qualche capra, il mio vecchio e la sua barba. Mi perdo in quel punto laggiù, in fondo. Una nuvola accartocciata mi passa avanti in fretta e si disperde. Poi torno qui. Non c'è tempo da perdere. E ' una 106 questione di ore. Domani, al massimo. Lunedì sarà già tardi. E con Chris, Marceau e Filippo? Che fare? Vado da Peter… e se anche lui fosse controllato? Chi avranno messo sotto controllo, in questo paese? Maledizione! Improvvisamente mi rendo conto del pericolo. Devo avvertire Krauss e Ronald.Potrei mandare un telegramma. Faranno caso a un telegramma? Metto in moto. Punto dritto sull'ufficio postale. - Vorrei inviare un telegramma senza avviso telefonico: è possibile? - Certo che è possibile, ma il servizio telefonico le permette… - Grazie, non mi interessa… - Sa che paga lo stesso… - Si, lo immagino, mi dia un foglio. Anzi mi dia due fogli. Grazie. Ecco, scrivo il telegramma per Kraus a New York: "Pericolo vita o morte, telefoni controllati, invia memoriale a Washington Post, dott. Remington, altre copie stampa mondiale. Urgente. No telefono." Ma no… non posso scrivere in questo modo. Calma, occorre un po’ di calma! - Signorina, scusi, devo spedire dei telegrammi, ma ho bisogno che il contenuto resti riservato… - Mi spiace, ma non è possibile. Il contenuto dei telegrammi è sempre controllato. Può usare il servizio di posta rapido… 107 - Devono arrivare a Zurigo e New York oggi stesso. - Impossibile, a queste condizioni c'è solo il telegramma. - Grazie, non fa nulla. Non ho alternative. Potrebbero aver già rintracciato Ronald a Zurigo e Kraus a New York? No, perché potrei leggere sui giornali di domattina della loro scomparsa e quindi potrei scappare con altre copie del memoriale. Non possono rischiare. Sono le 11. Devo avvisarli. Ho al massimo otto ore, forse sei. Neppure un aereo arriva a Zurigo. Ma a New York si. E quei due? Se sono venuti qui è perché non mi sorvegliavano. E' chiaro. A meno che non sia una trappola… ma a che scopo? Vogliono il memoriale? E poi mi fanno saltare il cervello. Non sono certi del numero di copie che circolano. Devono controllare, aspettano che ne parli con Chris! Per questo sono venuti! Devo recuperare un memoriale, prima che arrivino fino a Kraus e a Ronald. Arrivare alla copia nascosta in ufficio è impossibile. Devo recuperalo da Kraus, ma non posso avvisarlo del mio arrivo. Non è impossibile. Ho qualche ora per organizzarmi. Riscrivo i telegrammi. Un testo che li metta in allarme, di un cliente inesistente. "Ronald, lavoro chiuso, invia fattura a Peter Hans" "Kraus lavoro chiuso, invia fattura a Jhonny Curzio" - Ecco i telegrammi. 108 - Bene, sono 10 dollari, firmi qui… manca il mittente. - Il mittente? Si, ecco: "Roberta Evans, Rome street 24, Chicago" - Roberta!? - E’ la mia segretaria… - Mi scusi, ma non può mandarli a nome di qualcun altro… - Vede… è necessaria una certa riservatezza. - Con i telegrammi, come sa, non è possibile… - Senta, la prego… ho un grosso problema, molto serio… ma non c'è nulla di illegale! - Di illegale? - Mi ascolti. Mi chiamo Cox, lavoro alla NASA. Devo risolvere un problema senza che io appaia direttamente. Se invio i telegrammi a nome mio chi li riceve può essere in grave pericolo. Davvero, deve ascoltarmi! Non posso inviarli a nome mio, ma è indispensabile che questi telegrammi partano… - Mi sembra così strano… lei mi chiede di fare una cosa che… non sarebbe meglio sentire il direttore? Guardi che… - No. Lasci stare. Senta… questo è il mio tesserino, vede? Questo è il mio documento con l'indirizzo, il telefono e tutto il resto. Ne faccia una fotocopia, ma lasci partire questi telegrammi… la prego. E' tutto legale, le assicuro, ma devo 109 risolvere un problema importante. Lei può decidere di darmi una mano. Questi telegrammi non possono arrivare a nome mio! La posta è controllata. L’unica possibilità è che lei mi aiuti. - E’ un bel pasticcio, lei mi chiede una cosa… ma perché non vuole parlare con il direttore? - Vede, se chiama il direttore lui dovrà seguire delle procedure e alla fine i telegrammi non partirebbero e delle persone sarebbero in pericolo di vita… - Questi messaggi… sono in codice… - Mi dia retta… Se qualcuno risalisse a me dal mittente, allora saprebbe anche che certi documenti, che queste persone custodiscono per conto mio, sono molto importanti, se ne approprierebbe, anche a costo di uccidere. Capisce il problema? Lo riesce a capire? - Si, lo capisco bene… Non mi sembra disonesto, però questi documenti… io davvero… non so cosa fare… - Senta, non può spedire lei stessa i telegrammi? - Ma cosa dice? Sarei complice… - Non sarebbe complice di nulla! Si tratterebbe solo di un favore che potrebbe aiutare delle persone in pericolo. Anche se non abbiamo la garanzia neppure di questo, non siamo certi che questo riesca, è solo un tentativo, l'unico praticabile, forse. Non ho altra scelta che inviare due telegrammi. La prego… mi guardi negli 110 occhi… non le sto mentendo. E' la verità, è una buona causa, lei non può non riconoscerla, non può non avere fiducia. Ho la casa qui vicino, abito al tiglio, laggiù, oggi arriverà mia moglie ma io non ci sarò. Lei potrebbe farmi un altro favore. Incontrare mia moglie, oggi, per strada, non in casa e parlarle del nostro incontro… la prego, faccia questo. Invii i telegrammi e incontri Chris. Di più non posso spiegarle… deve fidarsi, non può dubitare. Tenga, faccia una fotocopia del mio documento e la mostri a Chris. - Ok, va bene. Me lo dia. Devo essere impazzita a darle retta! Invierò i telegrammi a mio nome. Farò ciò che mi chiede, non so cosa mi spinge a fidarmi di lei… e speriamo che sia davvero la cosa giusta. - Andrà anche da Chris? - Ci andrò, stia tranquillo… - Le lascerò un biglietto, così sarà informata del suo arrivo. Ma non parli di questo, in casa, la incontri fuori, le spieghi la nostra conversazione e a chi sono indirizzati i telegrammi, lei capirà. - Benissimo, farò come dice. Le auguro buona fortuna. - Grazie. Se questa vicenda giungerà alla fine senza conseguenze sarà anche per lei, grazie… Ora devo andare, mi farò vivo io. A proposito… come si chiama? - Alexandra Garcia. 111 - Grazie Alexandra, arrivederci. Fuori dall'ufficio postale il sole riversa il suo calore sul marciapiede. A me restano poche ore per organizzare la fuga, la protezione di Chris e recuperare una copia del memoriale. Acquisto quattro telefonini. Uno per tenermi in contatto con Kraus, uno per Ronald, uno lo lascio a Chris e uno per parlare con lei. Avendo numeri diversi ci metteranno un po’ a capire che la fonte è la stessa. Devo sperare che prima di incrociare i ponti radio incrocino i numeri dei telefonini. Del resto avranno tre gruppi di lavoro, uno qui, uno a New York e uno a Zurigo, ci metteranno un po’ a incrociare i dati. In questo momento sono in vantaggio su di loro, per qualche ora, poi si vedrà. Torno a casa. Entro come se vi fossi appena arrivato. Faccio finta di sistemare i bagagli. Do un colpo di telefono a Chris per sapere quando sarebbe giunta; le dico che sarei uscito per fare un po' di spesa, le avrei cercato dei piatti pronti, per festeggiare. Sostengo un tono allegro e un po’ ingenuo. Poso uno dei telefonini sul tavolo e vi accosto una lettera: "Chris, sei in pericolo. Mantieni la calma. La casa è controllata, i telefoni anche, tu sei pedinata. Sono a conoscenza di un segreto molto importante che scredita il laboratorio, la centrale e il governo. K. e R. hanno la copia di un memoriale. Sono in pericolo di vita. Li faranno fuori questa notte, oppure domattina, al più tardi e poi toccherà a noi. Cerco di recuperarlo. Nessuno sa dove mi trovo. Ti chiamo una volta su questo telefonino. Farò due squilli, poi basta. Tu esci di casa con il telefonino e rispondi da 112 fuori. Quando hai risposto distruggi la scheda e buttalo via. Non dire nulla a nessuno. Ti cercherà una donna di nome Alexandra Garcia. Lei potrà fare qualcosa, non è sorvegliata. Ti amo, a te, Marceau e Filippo. Brucia questo biglietto". Prendo la macchina e vado al paese più vicino. Affitto un casella postale. Noleggio un’auto e parto per un aeroporto qualsiasi. Mi resta un'ora per imbarcarmi. Avrei preso un volo per Philadelphia e da lì avrei raggiunto New York in auto. Non sarei sceso a New York, troppo rischioso. Poi si sarebbe visto. Prima di arrivare all’aeroporto faccio due telefonate. I telegrammi dovrebbero già essere stati recapitati. Appiccico dell’adesivo sui due telefonini e ci scrivo su una R e una K. - Pronto, Ronald? - Si? - Sono Peter Hans, capisci? Peter Hans. Per la fattura che hai ricevuto. Devi spedirmela, ti dirò dove - Come? Quale fattura? - La fattura dell'ultimo lavoro, guarda sono in auto, scusa ora, poi ti chiamo più tardi… Cambio telefonino. 113 - Pronto, Kraus? - Chi parla? - Sono io… non posso dirti molto ora perché sono molto di fretta, sto scappando dai clienti. Ma volevo parlarti della fattura che mi devi spedire ti dirò l'indirizzo perché l'ufficio è cambiato… - Come.. cosa…? - Si è cambiato l'ufficio, ora è da Jhonny Curzio, poi oggi ti dico il numero esatto. Dobbiamo sentirci più tardi. Scusa ma sono di fretta, in famiglia tutto bene? - Si, certo… - Ok, allora a dopo. Non potevo sapere se il piano avrebbe funzionato. Non sapevo neppure di avere un piano, veramente. Dovevo recuperare il memoriale e renderlo pubblico. Non c'era altro da fare: riprodurlo, spedirlo a giornali, tv, a qualche giudice e senatore e chiudere la faccenda. Fatto questo io, Chris e i ragazzi saremo stati fuori pericolo e anche Kraus e Ronald. Contavo di utilizzare il memoriale in ufficio, tra qualche giorno. Invece tutto è precipitato. Ho sottovalutato il pericolo e ora devo correre. Avrei voluto parlarne prima con Chris, ma non c’è più tempo. Ora devo recuperare il memoriale e non posso tornare in ufficio. Ma devo recuperarlo. Ho inviato loro un pacco sigillato e per precauzione ho vietato, per iscritto, di aprirlo, lo devono solo conservare. Precauzione forse inutile: che siano o meno a conoscenza del contenuto, 114 quelli non vanno tanto per il sottile. Questo ormai è chiaro. Comunque un’altra copia è in ufficio, nella cassaforte di Rubens, lo spagnolo che lavora là in fondo al corridoio. Se non l’hanno trovata certo ci mancherà poco, ma chissà se quelli l’hanno lasciato stare, Rubens. In quei momenti così concitati aveva aperto la sua larga bocca in un caldo sorriso meridionale, teneva il pacco nelle sue grosse mani e con ogni molecola del suo corpo cercava di infondermi sicurezza. Oh Rubens! Ronald e Kraus avranno ricevuto il pacco da almeno due giorni. Ci sono i telegrammi e dalle telefonate dovrebbero aver capito che il contenuto è esplosivo, o comunque che io sono nei guai. A questo punto dovrebbe essere chiaro che dovranno aspettare ulteriori indicazioni per consegnare il pacco, indicazioni che trasmetterò con altre due telefonate, non appena sarò a New York. Ronald dovrà spedire il pacco alla casella postale che ho affittato o forse a un giornale, vedremo. Kraus me lo consegnerà personalmente, ne farò delle copie e le manderò ai giornali americani ed europei e a qualche senatore e giudice. Poi tutto sarà finito. Dovrei riuscire a fare i duplicati e la spedizione entro questa sera. Poi c’è Alexandra Garcia, lei andrà da Rubens, se riuscirà a recuperare il pacco lo spedirà agli stessi indirizzi. Spiegherò questo a Chris per telefono. Quella a Chris sarà l’ultima telefonata che farò perché non mi avranno visto arrivare e saranno in allarme, a quel punto incroceranno i dati dei ponti radio e quindi leggeranno i tabulati delle conversazioni con Chris e poi con gli altri. Potrei essere a New York verso le 17, incontrare Kraus verso le 18, in quel momento 115 telefonare a Chris e avrò forse un’ora per duplicare il memoriale e spedirne una decina di copie, prima che possano intervenire. Penso a Marceau e a Filippo: ci saremmo più visti? Qualsiasi cosa fosse capitata, sarei andato fino in fondo. Certo, mi avrebbero braccato, quei lupi, ma non sarebbe stato semplice. Avrebbero potuto fare del male a Chris, a Marceau e Filippo? Ero deciso a fargliela pagare. Fino in fondo. Loro avrebbero dovuto sapere questo, sarebbe stata la mia arma, l’unica arma di cui disponevo per proteggere la mia famiglia. Tiro giù il finestrino e l'aria mi accarezza il viso. Davanti a me la strada è libera e lunga. Mentre guido sento allo stesso tempo l'odore salato del mare e il profumo fresco della montagna. Rivolgo lo sguardo intorno, peccato, penso, questo pianeta è un bel pianeta, ma è così difficile da godere. Davvero un peccato. E pigio sull'acceleratore. Finalmente mi sento bene. In quel momento la vita mi corre incontro. Ha la forma dell'asfalto lucido, caldo, nero, infinito. 116 L'accordo (Austin, New York, Zurigo. Linea telefonica). - A che punto siamo? - Tutto a posto. - Avete sistemato gli strumenti? - Si. - Altre notizie non ne ho. - Non è il caso di seguirlo? - No, lui è tranquillo, abbiamo sentito la telefonata alla moglie. - Sta arrivando? - Sembra arrivi in serata. - E a New York? - Aspettiamo domattina, tutto è pronto per le 11, lasciamo fuori i telegiornali di mezzogiorno. - E per l'altro? - Per l'altro si potrebbe fare anche oggi. 117 - E poi? - Poi vedremo, proseguiamo come abbiamo stabilito. - Ok, allora. Chiamo l'ufficio di New York. - Va bene. *** - Pronto? - Ciao. - Come sta andando? - Bene. - Novità? - Nessuna. - Sul telefono? - Il solito. - Bene, allora il vostro turno è per domani alle 11. - Dovunque? - Dovunque. - Ok. - Ok. 118 Catastrofi 1: lontananzaOsservatorio. (Velivolo di osservazione. Alcuni ricercatori con Yui, responsabile del gruppo di studio). All’Osservatorio si è formato un gruppo deciso ad affrontare il problema. - … e quindi questo processo che porta alla formazione di una molecola composta da tre atomi di ossigeno, alla fine è un’altra probabile causa di catastrofe. Così i fattori che possono provocare una catastrofe sono molteplici. E’ difficile stabilire quale sarà l’evento determinante. Quello relativamente più lontano è il big crunch, che ha proprio nella Terra il suo punto omega: difficile ipotizzare soluzioni, in questo caso. Per la scala terrestre si tratta di venticinque miliardi di anni, per la nostra di otto ti. Un evento catastrofico intermedio, che potrebbero controllare trasferendosi su un satellite di Giove, è la trasformazione del sole in una gigante rossa, tra cinque miliardi di anni. Certamente non potranno in nessun caso salvarsi dalla successiva trasformazione del sole in una nana bianca e quindi dal suo completo raffreddamento. Lungo questo arco di tempo può entrare in gioco uno dei fattori di catastrofe che vi ho appena descritto. Ciò che è curioso è che tra le 600 forme di vita che oggi popolano questo universo, quella terrestre sta affrontando il maggior numero di rischi, soprattutto perché una buona parte è creata da loro stessi. 119 - Però dobbiamo considerare anche il livello raggiunto dalla loro comprensione scientifica degli eventi: questo rappresenta una reale controtendenza! - In che senso? - Nel senso che le ipotesi che esponi sono essenzialmente orientate a valutare le probabilità di catastrofe, ma non le tecnologie per evitarle. Anzi, tu collochi nella “morte fredda” il limite che non potranno tecnologicamente superare. Mi sembra un’analisi molto parziale, che tiene conto di una sola tendenza. - Invece a me non pare che sia unilaterale. Se consideri che la loro tecnologia è il frutto di un’evoluzione in corso da due milioni e mezzo di anni… - Anch’o sono d’accordo con te. Occorre però aggiungere che in quest’ultima frazione della loro evoluzione hanno anche prodotto, allo stesso tempo, i mezzi per la propria distruzione. E’ come se perseguissero un equilibrio instabile, come se dovessero compensare con un regresso ogni significativo passo avanti. - Si questo è vero, però la qualità dei loro progressi nella fisica è tale che potrebbe modificare completamente il corso degli eventi. Perché non l’hai presa in considerazione? - Cosa? La fisica dei quanti? - Precisamente. E mi riferisco anche all’ipotesi, per il momento solo teorica, di realizzare dei propulsori di antimateria. 120 - Torno a dire che a mio parere sono acquisizioni trascurabili. Non sottovaluto altre tendenze, ma queste francamente mi sembrano del tutto inconsistenti. - E perché mai? Ammettere in via teorica che sia possibile realizzare il teletrasporto sfruttando le proprietà dell’associazione dei quanti significa, in fin dei conti, aprire la strada alla sua realizzazione pratica… - Ma cosa dici… per i terrestri il teletrasporto equivale alla semplice trasmissione dello stato quantico ad altre particelle e non al loro trasferimento. Non potrebbe essere diversamente. In quanto all’ipotesi teorica di un varco spaziotemporale che sfrutti la curvatura dello spazio è semplicemente inconcepibile: per trasportare un veicolo di 200 metri di lunghezza avrebbero bisogno di una quantità di energia negativa equivalente a 10 miliardi di volte quella del loro universo visibile! E dove la trovano? - A mio parere il problema va impostato diversamente. Non si può considerare lo sviluppo scientifico come una retta sulla quale collocare in ordine logico le tappe di successive conquiste. Dobbiamo tenere ben presenti le particolarità della loro aggregazione sociale. In fin dei conti la loro caratteristica di fondo, che distingue la loro forme di vita da tutte le altre, è proprio il fatto che l’organizzazione sociale condiziona la scienza e la tecnologia, ne determina un quadro invalicabile. Certamente, non nego che in tutta una serie di campi avrebbero le soluzioni a portata di mano, eppure non vedono più in là del loro naso. E’ questo il punto, non 121 il grado raggiunto dallo sviluppo scientifico in sé e neppure dalle sue eventuali possibilità di sviluppo. - Non sono d’accordo. Esiste un limite obiettivo. Basta confrontare la nostra storia con la loro. La nostra tecnologia non ha nulla a che fare con una storia evolutiva, almeno in termini assoluti. Noi la bolla quantistica ce la siamo trovata in casa, i confini tra universi li tocchiamo, letteralmente, l’antimateria è una delle componenti fondamentali della nostra stessa struttura fisica. E’ ovvio che la nostra attenzione sia stata immediatamente indirizzata verso la conoscenza e il dominio di questi fenomeni, concreti, presenti, reali, fenomeni che sulla Terra si possono solo parzialmente immaginare. Potranno scrivere equazioni o supporre eventi fisici dai quali ricavare alcune teorie più o meno corrette, ma senza mai lavorare su dati sperimentali e su fenomeni più interessanti e più utili di qualche formula. In fin dei conti lo sviluppo di ciascuno è stato determinato da eventi direttamente osservabili: noi le bolle quantistiche e l’antimateria, loro la pirite e l’energia nucleare. C’è una bella differenza, eppure siamo entrambi condizionati dalla situazione di partenza, essenzialmente dalle condizioni naturali. La differenza è che per loro queste condizioni si sono rivelate una prigione, una strada senza uscita. Mi pare che sia molto semplice… - Ma resta un’ipotesi. Chi ci dice che non possano trovare una via deduttiva? In fin dei conti il tutto potrebbe essere ricondotto a una questione di tempo, più o meno lungo, entro il quale i terresti potrebbero raggiungere progressi significativi, 122 paragonabili ai nostri partendo da acquisizioni teoriche, anziché da ricerche empiriche… - Il tempo? Hanno addomesticato la tecnologia del fuoco perché la Terra è fuoco e fiamme, la tecnologia elettrica perché gli è piovuta dal cielo, il magnetismo perché nei campi magnetici ci vivono tutti i giorni… una tempesta quantistica la possono solo immaginare, sul loro pianeta non si verificherà mai. Anche se dovesse esistere all’infinito! E non possono neppure riprodurla in laboratorio: dove lo trovano un campo di Q? Senza contare tutto il resto! - Io sono d’accordo. Il suo punto di vista è chiaro e anche il più accettabile. C’è un limite oggettivo al loro sviluppo. - Sono esagerazioni… - Non esagera affatto. Vogliamo considerare le cose su un piano più semplice? In questo preciso istante si occupano di come sfruttare economicamente una rete virtuale di comunicazione, di come ricavare denaro dal tabacco e dalla droga, spendono tempo e risorse nella biologia genetica per il gusto di modificare una delle nature più interessanti e varie di tutto l’universo, si perdono in esperimenti e congetture sull’integrazione tra sabbia e sistema nervoso per vedere cosa succede a trasformare gli individui della loro specie in agglomerati di arti meccanici ed elettronici e, non contenti del cervello che hanno, cercano di rimpiazzarlo con dei circuiti… se questa non è una situazione catastrofica… 123 - Sei cinico! La loro specie è più complessa, ricca e vitale di come la descrivi… - Certamente, però il quadro generale è questo. Credono di ingaggiare una lotta titanica per la vita e poi, a ogni passo, fanno in modo che il morto lambisca il vivo per ripartire da condizioni sempre più difficili… - Condizioni impossibili già in partenza, però… -… ma che le loro attività peggiorano drasticamente! - Perché provi per loro una simpatia così forte? In altre occasioni non ti sei sbilanciata in questo modo… - E’ vero, non so… Forse perché ci vedo un aspetto drammatico. Tutto questo operare frenetico, ma controproducente… l’illusione di aver imboccato la strada giusta e allo stesso tempo questa loro sofferenza… che oltre ad avere un carattere individuale si esprime attraverso aspetti universali, mentre noi disponiamo di tutte le tecnologie per aiutarli… - Ne abbiamo già discusso a lungo, in molte altre occasioni. - No, però ha ragione lei: non diamo per chiusa una discussione come questa. - Vale a dire? - Forse possiamo definire il problema meglio di quanto non abbiamo fatto fino a ora. - Cioè? 124 - Dobbiamo lavorare su due ipotesi di fondo: rispettare le caratteristiche del loro sviluppo e lasciare che forgino loro stessi il proprio cammino, bello o brutto che sia, oppure interferire nei loro affari per aiutarli a conquistare un grado maggiore di consapevolezza che li metta nella condizione di decidere realmente del proprio destino. Nel primo caso valutiamo che sono padroni del loro avvenire, che hanno deciso di complicarselo e l’ipotesi di un nostro intervento rimarrebbe una questione aperta. Nel secondo invece non si tratterebbe di una loro scelta e il nostro intervento sarebbe obbligato, una questione etica. - E’ vero ciò che dite. Sopravvivenza e progresso, nella loro storia, sono fenomeni del tutto casuali e accidentali. In queste circostanze la prospettiva di una catastrofe naturale coincide con i loro sforzi per realizzare al più presto una catastrofe artificiale. Intervenire vorrebbe dire forzare una linea evolutiva che comunque hanno scelto, benché a noi sembri drammatica. Ma il dramma se lo costruiscono da soli. Questa è stata la loro scelta e quindi… … ma fino a che punto è una scelta? Tu parli di scelta: ma fino a che punto questa pretesa scelta non è stata anch’essa, fin dall’inizio, condizionata dal loro ambiente? Avrebbero potuto percorrere un’altra strada? Rispondi a questa domanda. Io non credo. La loro fisica è quella del fuoco e dell’energia nucleare. Non c’è altro. _ Appunto. I loro sforzi tecnologici hanno imboccato una direzione obbligata fin dall’inizio. Esattamente come è stato per noi. La differenza è che siamo stati semplicemente più fortunati. Chi dice, per esempio, che se la loro specie fosse 125 vissuta in condizioni simili alle nostre non avrebbe dominato l’antimateria? Oppure il residuo relativo di dispersione dei buchi neri? - Già, e per che cosa? Per progettare la loro sopravvivenza o per programmare scientificamente la distruzione dell’universo? Alla fine non saremmo qui a discutere se o come aiutarli, ma come difenderci dalla loro tecnologia! - In ogni caso queste sono speculazioni. Atteniamoci alla realtà dei fatti… - E la realtà dei fatti è che parliamo del loro grado di coscienza in generale, ma le cose sono molto diverse se riduciamo il raggio di osservazione a più piccoli agglomerati sociali o anche a singoli componenti della specie. Se globalmente la loro direzione è catastrofica, singolarmente molti assumono comportamenti assai diversi, molto più interessanti. E ne abbiamo le prove. - Ok, allora proviamo a immaginare concretamente un nostro intervento… scendiamo su un terreno pratico. Ammettiamo che abbiate ragione: come prospettate una nostra iniziativa? - Non penso sia difficile. Il primo passo è rendere manifesta e accettabile l’esistenza della nostra forma di vita e su questa base aiutarli a raggiungere nuove conoscenze scientifiche… - … si potrebbe far leva su chi cerca di rendere pubblici i dati della nostra esistenza. Potremmo aiutare quello scienziato, Cox, a raggiungere il suo obiettivo e quindi attendere le conseguenze. 126 - Sarebbe anche un modo, in fin dei conti, per vedere chi ha ragione in questa discussione. La loro reazione sarebbe un buon riflesso della loro volontà… - Ma non ha senso! Come pensate che possano sfruttare la scoperta della nostra esistenza? - Le cose, a mio parere, non sono così semplici. – Dice a questo punto Yui - Prima avete accennato al rapporto che esiste tra la coscienza dei loro limiti materiali e il loro bisogno di concepire l’immortalità, di immaginarsela, di raffigurarsela. Io penso che questo bisogno, nella loro storia, sia tanto più grande in quanto la loro evoluzione è costantemente posta di fronte allo spettro della fine. Attraverso le religioni e i culti trascendenti hanno proiettato al loro esterno il bisogno di vita, di vincere la fine e la sua angoscia, di superare la catastrofe. Innanzitutto le piccole catastrofi della morte di ciascuno. Il fatto di proiettare all’esterno, in quello che definiscono “al di là”, il bisogno di sopravvivere e di esistere, li mette al riparo dal perseguire, concretamente, una linea di sviluppo per la vita. Hanno alienato in un futuro remoto, religioso e ignoto, la necessità di combattere per la loro vita concreta. La loro coscienza così è tranquilla e possono incamminarsi verso la catastrofe più grande. Questo è un fatto qualitativo, che sposta sensibilmente il problema. - Spiega meglio… 127 - Immaginiamo, come dite voi, che la nostra esistenza sia manifesta, cosa pensate che accada? Sarebbe un colpo mortale per le loro credenze. Per esempio, le loro molteplici istituzioni religiose vacillerebbero con lo sgretolarsi della loro coscienza: come reagirebbero? Possiamo supporre che le istituzioni politiche tenderebbero dapprima a nascondere l’evento ma poi a sfruttarlo. Un conto è che qualche scienziato scopra nuove equazioni quantistiche, senza avere mai la possibilità di dominarle sperimentalmente, un altro è essere improvvisamente posti di fronte alla possibilità di superare le leggi fisiche. Le loro istituzioni politiche e religiose ingaggerebbero una guerra a morte contro questa prospettiva e dato che queste istituzioni reggono i tenui fili delle loro coscienze, trascinerebbero l’umanità intera in nuove guerre… - Ma non abbiamo elementi concreti per una simile ipotesi… - Non abbiamo elementi concreti, dici? Sappiamo che le loro chiese hanno prosperato sull’inganno e la malafede e si sono aperte la strada con le armi e il terrore, con la superstizione e la colpa. Semplici eretici, scienziati, intere popolazioni, sono state “convertite” col ferro e col fuoco. Sono d’accordo, questa specie, liberata da questa e da altre forme di oppressione e di sopraffazione, di manipolazione delle coscienze, potrebbe rivelare delle risorse inaspettate. Potrebbe. Da un punto di vista biologico il loro cervello racchiude delle potenzialità evolutive di enorme portata. Lo avevamo valutato con una certa precisione. E tuttavia è tenuto in scacco e ridotto alla pura sopravvivenza, da un involucro di grandi e 128 sottili condizionamenti. In questa situazione io penso che i loro tentativi non saranno indirizzati a combatterci, sarebbe assurdo e ridicolo. Si moltiplicherebbero le azioni di fanatismo, le crociate, ci sarebbero nuovi roghi, nuove cacce alle streghe, nuovi inquisitori: è una costante della loro linea evolutiva. - Però questo può essere vero se ti attieni solo alle loro conoscenze tradizionali. Esistono altre strade, più economiche. Per esempio, grazie all’elettrodinamica quantistica ora sanno che possono occasionalmente emergere dal vuoto assoluto un positone, un elettrone e da qui qualcuno ha cominciato a considerare che l’universo sia una fluttuazione del vuoto. Dunque il passo teorico verso le bolle quantistiche del multiverso è breve, in conseguenza anche il passaggio attraverso l’antimateria… - Lascia perdere. E’ solo un discorso tecnico…. Conosci il progetto del monte Graham? Ne abbiamo anche discusso recentemente del loro tentativo di cercare contatti con forme di vita “extraterrestri”, come le chiamano. Ricorderai che il vicedirettore del progetto, il padre Corbally, è stato anche estremamente chiaro quando dichiarava: “Se dovessimo trovare una civiltà su altri pianeti e se fosse possibile stabilire una comunicazione con i suoi componenti, allora manderemmo anche dei missionari a salvarli”1… - Ricordo perfettamente… 1 Sunday Times, 14 dicembre 1997 129 - Dunque mi pare difficile esprimere, come fai, certezze simili… basate su considerazioni esclusivamente tecnologiche, c’è sempre un margine imponderabile… l’ipotesi, nobile e affascinante, di un nostro intervento deve tenere conto delle conseguenze e non solo della sua correttezza in linea di principio. 130 Catastrofi 2: vicinanza (Terra. Un posto qualunque, gente qualunque. Registrazione casuale realizzata da due giovani ricercatori dal velivolo di osservazione. Osservatorio). Adesso piango. Non guardo Margaret e non la saluto, ecco. Ancora questi sacchetti in auto! Quando partiamo? Uffa, ma perché? Mamma saluta. Ingrid sta zitta. Quando arriviamo? Mamma abbraccia Margaret. Shamir scherza ancora. Parlano sempre, sempre parlano, tutti i giorni. Il papà di Margaret mi gratta il pancino. Ho male qui. E anche qui. Che male mi fa. E’ male di chiuso. Non posso parlare con questo male di chiuso. Non riesco neppure ad alzare la testa. Sono tutti qui. Mi lecco le lacrime. Mi fa proprio male. Ma cosa mi fa male? Non è la malattia. La mia malattia non mi fa mai male. Anch’io prendo il criceto. Prendo il criceto rosso. Ormai lo so pulire. Questa notte arriviamo e domani prendo il criceto. Ieri sera abbiamo mangiato al tavolino. Margaret mi ha dato le medicine. Io volevo mangiare con la mamma e gli altri. Poi siamo stati al tavolino. Shamir ci ha fatto telefonare. Io ho parlato con papà. Adesso andiamo a casa e vedrò papà. Anche i nonni. Ingrid ha telefonato alla mamma. Le medicine le abbiamo dimenticate sul tavolino. Cosa diceva mamma? Che posso perdere nove chili. Però ieri ho mangiato bene. Il risotto. Ah, Ah, che corse abbiamo fatto! Che paura quella casa. C’era un 131 uomo verde dentro la bara. Mamma mia! Ma era uno scherzo? I bambini facevano uno spettacolo. Ma che paura! Perché non potevamo più correre dopo? Ah che bello il fischietto. Deve essere nel sacchetto. Uffa non ho voglia di cercare. Mi fa male qui. E’ la malattia? Ho fame, quand’è che mangeremo? Ingrid chiede cos’è l’autogrill. Deve comperare un regalo per la mamma. Cos’è che vuole sua mamma? Un anello? Però Shamir dice che non lo compera, l’anello, perché lui e la mamma di Ingrid sono separati. Come mio papà. Però se c’è mio papà è meglio. Anche Shamir è simpatico. Anche il papà di Margaret. Guarda che si salutano ancora. Perché non potevamo più correre? Ah, si! Perché c’era il cameriere. Però abbiamo corso tanto, al tavolino, fino all’uomo verde. Mamma mia, che paura. Che ridere, che ridere. Io invece prendo il criceto. Margaret me l’ha fatto prendere in mano. Però con le sacche piene non si può perché se si rompono muore. Fiocchettina. Che bel musetto. C’ha proprio un bel musetto! Se Margaret fosse la mia sorellina, giocheremmo sempre con il criceto. E se Ingrid fosse la mia sorellina, chi sarebbe il mio papà? Quando vado a casa vedo il mio papà. Il criceto lo prendo rosso, poi ci do le carrube. La signora si arrabbia se prendiamo le carrube? Non ho capito mica se si arrabbia. Mica le abbiamo prese tutte. Le abbiamo prese con la scopa. E’ magra Margaret. Ingrid è alta. Anche Margaret può perdere nove chili? Pesa venti chili, io peso trenta chili. Sono cicciotella perché mangio. Uffa, mi fa sempre male di chiuso. Ho dato il bacino alla mamma di Margaret, poi mi ha fatto male qui. Ma loro si fermano ancora tanti giorni, in vacanza. Anch’io voglio fermarmi tanti giorni, ma 132 dobbiamo tornare. Poi, però, ci vediamo ancora. Andiamo a trovarli. Io porto il criceto così fanno amicizia. Adesso partiamo e questa sera arriviamo a casa. Ciao Margaret. Ci vediamo ancora. Io ti penso. Cosa dici mamma? Devo salutare? Ho salutato, prima. Adesso mi fa male, non voglio guardare più. Penso a Margaret. Noi ce ne andiamo, però. Ma non c’è niente mamma! Si mi viene da piangere che andiamo via. Va bene, andremo a trovare Margaret. Si, compriamo il criceto e poi glielo facciamo vedere. Anche il papà di Margaret ha detto che ci scambiamo le foto e ci scriviamo. Si, adesso partiamo ma poi li vediamo ancora. Ecco mamma, sai cosa voglio fare da grande? Voglio aprire un negozio di criceti. Margaret vuole un negozio di scarpe. Io voglio aprire un negozio di criceti. Mamma piangi? Non posso aprire un negozio di criceti da grande? Lo posso aprire? Mamma certe volte ride forte. Shamir la fa ridere. Certe volte piange. Sarà per la malattia? Ma io sono cicciotella, anche se perdo nove chili. Guarda come è magrolina Margaret. Mi viene sonno. E’ grande questa macchina. Stasera quando arriviamo poi domani mi prendo il criceto, poi andiamo a trovare Margaret. *** Olga è allegra, serena, vivace, curiosa, attenta, cicciotella, florida, illuminata da occhi grandi e trasparenti. Quando ride allarga le braccia e guarda in alto. Tutti i giorni prende delle medicine. Tutti i giorni, per tre volte al giorno, è obbligata a fare degli esercizi. Olga ha una fibrosi cistica. La malattia si sveglierà all’improvviso, senza avvisare. Il suo corso sarà rapido e fatale. Qualche volta, quando Olga gioca in 133 cucina con la pasta di sale, sua madre si ferma, silenziosa e la osserva. Allora una nebbia leggera rende tutto più sfumato. Poi arriva Shamir, che la fa ridere. 134 Eleganza della natura (Terra. Arthur Jhon Cox in volo verso Filadelfia). Questo cielo, azzurro e terso, è elegante. Qualche piccola nuvola, all’orizzonte, sembra un ricamo su un abito da sera. La natura è il nostro vestito. Lo indossiamo con leggerezza intorno alle nostre vite. Vestito puro e sottile per i nostri giochi umani. Fendiamo l’aria e attraversiamo lo spazio tra l’azzurro del cielo e quello del mare, poi il giallo e il rosso del deserto, quindi il cupo marrone della terra. Questa natura, che io studio ogni giorno con scrupolo e dedizione, ma che raramente osservo per quello che è, protetto dalle lenti spesse della mia scienza. Natura semplice e infinita, della quale cerchiamo le leggi senza comprendere quale sia la legge che ci sprona ogni istante a indagare. Questa natura, alla quale ci accostiamo con l’occhio della scienza per sfuggire alle sue melodie. Natura che restituisce le musiche dei nostri simboli, mentre noi scriviamo, imperturbabili, i taccuini dei nostri appunti meticolosi. O che innalziamo come un vessillo per evitare di esserne accarezzati come un lenzuolo. La vedo da questo aereo, sospeso in un tempo che non mi appartiene, che resta vuoto. Vuoto di azioni e di scopi, di tappe e percorsi. Ma solo vuoto, tempo vuoto e sospeso. Strano viaggio, verso un destino che farà danzare tante vite. Strano momento, inchiodato su questa poltrona rigida e sintetica, che sembra proiettarmi al di fuori della mia stessa vita. 135 Posso solo guardare, con emozione, ciò che mi circonda e a un tratto la tensione che mi ha sostenuto con forza, fino alla soglia del chek-in, sembra ora dileguarsi nel nulla. Da quanto tempo non osservo serenamente? Non mi lascio cullare da ciò che vedo, senza rintracciare i tasselli per edificare castelli di congetture, di ipotesi, lavagne di schizzi, pezzi congestionati di formule? A che vale questa febbrile ricerca del sapere, che mi porta nel bel mezzo dell’universo solo per rendermi più estraneo alle cose che mi circondano e che mi hanno fatto? Ormai, nel momento in cui un destino qualunque si delinea, il destino stesso, quale esso sia, perde la sua importanza e allora posso cullarmi, sospeso, in questo viaggio nel nulla e capire ugualmente qualcosa senza azionare un microscopio elettronico, né manovrare telescopi orbitali. Sto viaggiando verso il rosso o al polo opposto? Curioso, però, che fra tutte le stelle che conosciamo, neppure una si avvicini a noi. Perfino le stelle ci evitano. Un universo delle grandi distanze, delle inarrestabili lontananze. Come il piccolo mondo che ci siamo costruiti, nel quale le vicinanze sono solo apparenti e cerchiamo le formule per disfarle, così da poter seguire meglio la proiezione dell’allontanamento, scandita dalla regola assoluta dello spazio. Ora che le convenzioni non hanno per me più alcuna importanza, ora che il destino è stabilito, quale che sia, non hanno più alcun peso neppure le linee dello spettro, ma conta solo questa staticità di due ore di volo verso un ignoto esito. Lo sguardo di quel giovane indugia da tempo sul poggiatesta davanti al suo naso: anch’egli si interroga sul senso del tempo sospeso di questo viaggio? 136 Indossa una cravatta gialla, stretta fermamente al collo da un grosso doppio nodo che si accoppia alle punte sottili e pronunciate del bavero della sua giacca, ben disposta sotto i suoi quattro bottoni, che conducono gentilmente l’occhio a posarsi sulle stringhe, impeccabilmente allacciate, delle lucide scarpe nocciola che avvolgono il piede, protetto da una vellutata calza di seta. Ha valutato, soppesato, acquistato, venduto, consigliato, programmato, esaminato le molteplici tendenze di un mercato impalpabile per ricavare la sua giusta ricetta di comportamento, che avrà certamente rafforzato la sua solida immagine. Non avrei voglia di parlare, se mi rivolgesse la parola. Per fortuna sembra impegnato con quel poggiatesta. Forse il ragazzotto mi interessa di più, quello che non sta fermo un momento. Si gratta un braccio, guarda intorno, abbassa e alza lo schienale, annusa l’aria condizionata. Preferisce essere in gommone, per planare sulle onde, di ritorno al tramonto dalla grotta dei pipistrelli, come Marceau a otto anni, alla sua prima, romantica, emozionante, uscita in mare aperto. nell’asciugamano gli umido, con E occhi poi la aperti sera a faceva fissare il fresco punto avvolto lontano dell’orizzonte dove non sai più dov’è il mare e il cielo. A quel ragazzotto non piace stare in questo uccello meccanico, forgiato dall’uomo, preferisce ripescare nella memoria la schiena lucida dei delfini che emergono là di fianco e lo accompagnano nella corsa misteriosa sull’acqua. - Mi scusi. Il giocatore di borsa si rivolge ora proprio a me. 137 - Potrebbe darmi quella rivista là, ecco… quella, c’è un articolo molto curioso su Erza Pound… lo conosce il poeta? Ama la poesia? Si… Anch’io ne sono affascinato, è come una porta aperta tra noi e l’universo che esclude allo stesso tempo noi stessi e ogni interferenza… Come dice? Si, anch’io lo penso… questa condizione di tempo sospeso… Per questo a volte viaggio in pulmann, perché il viaggio duri più a lungo. Si, lo conosco. Nei suoi libri non c’è nulla, assolutamente nulla, nessun personaggio è descritto, vissuto, nessuna psicologia, nessuna azione, solo tempo sospeso, viaggio per procurarsi tempo sospeso… Esatto, la natura è sospensione, sempre uguale nella sua globalità, sempre diversa nei suoi particolari… sospesa, certo… ma ora siamo arrivati… è stato un piacere, si d’accordo, ma mi attende una terribile giornata in borsa… sa, tutte queste azioni fatte di aria fritta… si, lavoro in borsa, certo, vedo che ne è stupito, però la poesia non è aria, è aerea, è diverso, è fatta di materia ma impalpabile, come la natura. Certamente, s’immagini… il piacere è mio. 138 L’avvocato (New York. Studio dell’avvocato Kraus). Kraus è un valido e stimato avvocato di New York. Quando studiava all’università di Berckley si dedicava con passione anche al nuoto, disciplina nella quale aveva ottenuto risultati eccellenti, paragonabili a quelli raggiunti nei suoi brillanti esami universitari. Quando il più importante studio di New York gli propose di accoglierlo per il periodo di praticantato, passò anche le selezioni olimpioniche e avrebbe fatto parte della rappresentativa americana. Per Kraus la scelta non era stata semplice, perché gloria e successo non sarebbero mancati in entrambi i casi, ma sarebbero stati molto diversi tra loro. La sua giovane e attraente fidanzata lo convinse infine ad abbracciare la carriera professionale. Con il tempo sarebbe poi stato chiaro che la prospettiva di ricchi guadagni, il prestigio borghese che sarebbe certo giunto in seguito all’affidamento di importanti cause e non ultima la prospettiva di una vita regolare, sicura e sedentaria in qualche bella villetta della grande mela, erano gli obiettivi delle sue pressioni. In fin dei conti lui non avrebbe disdegnato neppure una vita da atleta e poi forse da allenatore o da direttore di un centro sportivo, che gli appariva imprevedibile, stravangante, caratterizzata da una buona dose di incertezza che non avrebbe certo guastato, fornendogli il giusto stimolo per affrontare le competizioni che lo sport gli avrebbe proposto. 139 Quella strada possibile è ora cristallizzata nelle coppe, nelle targhe montate sul velluto e nelle medaglie appese in bella mostra nella vetrina dello studio che separa la libreria dei codici e delle gazzette da un piccolo, ma sempre utile, archivio che raccoglie i segreti più preziosi della sua folgorante carriera. Kraus aveva tra le mani quel piccolo foglietto, un telegramma che gli era stato recapitato dal postino e che, in un primo momento, gli era sembrato del tutto incomprensibile, pur avendo intuito che sarebbe occorsa una precisa chiave di lettura, che gli era infine giunta con una strana telefonata di Cox, un suo vecchio compagno di squadra che si presentava ora sotto falso nome. Aveva così disposto il pacchetto sulla scrivania di mogano, prodotta da un valente artigiano birmano che aveva una piccola bottega al quartiere italiano, sempre impregnata dall’odore dolciastro di essenze che la sua perizia mescolava pazientemente. Quella scrivania era un pezzo unico tra gli avvocati di New York e soprattutto tra i giovani e spregiudicati rampanti che bazzicavano nel giro a caccia di una porta giusta, che aprisse loro un avvenire di successo. A Kraus piacevano quei piccoli cassettini incastonati nei posti più impensabili, perfettamente mimetizzati dagli intagli che seguivano, senza soluzione di continuità, tutto il perimetro di questo pregiato pezzo interamente scolpito, opera di un solo uomo, che sceglieva personalmente, in Birmania, gli alberi dai quali ricavare la sua materia. Quel pacco chiuso, sigillato con la ceralacca, che conteneva certamente qualche oscuro mistero, non collimava con l’immagine serena, chiara, aperta, che Kraus aveva del buon carattere del suo 140 vecchio amico. In un certo qual modo continuava a rimanere stupito, non riuscendo a ipotizzare la ragione che lo avesse spinto a inviargli quel plico benché, con l’andar del tempo, fosse ormai incline a pensare che l’animo umano nascondesse oscuri e misteriosi aspetti, cosa che aveva lungamente e qualche volta duramente, verificato egli stesso e che ora, forse, quel pacchetto nuovamente confermava. Kraus attendeva le istruzioni che indicassero con precisione che cosa avrebbe dovuto fare, lasciandosi cullare dalla vista dei riflessi luccicanti del sole sui vetri dei grandi grattacieli di Manhattan, che poteva osservare in tutta la loro maestosità e potenza, dall’enorme vetrata del suo studio al 104° piano. Avrebbe dedicato tutto il tempo necessario a questa attesa, come sapeva fare nelle sale d’aspetto, quando i ritardi si accumulavano e lui restava imperturbabile al proprio posto immancabilmente tra i coglieva sospiri, i i discorsi viaggiatori in infervorati quei e frangenti. l’agitazione Kraus che avrebbe semplicemente eseguito le istruzioni rispettandone profondamente il segreto, senza chiedere altre spiegazioni, oltre a quelle strettamente necessarie per l’esecuzione dei compiti, che avrebbe portato a termine con meticolosa precisione. Esattamente come faceva nella sua pratica professionale. E bisogna dire che questa era una delle sue doti più apprezzate, soprattutto in certi ambienti, dove le cause viaggiano appese a un sottilissimo filo che richiede grandi capacità di equilibrio e di riservatezza, di arguzia e intraprendenza, mantenendo in ciò un legame con 141 l’eleganza e lo stile richiesti dal nuoto, del quale aveva invece perso l’irruenza spontanea e la forza istintiva. Quando squillò il telefono era certo che fosse giunto il momento grazie al quale avrebbe chiarito il mistero e si sarebbe senz’altro posto agli ordini del suo vecchio amico, sicuro finalmente di portare il proprio contributo a una causa giusta o, perlomeno, di aiutare un antico e degno compagno, che si trovava evidentemente in una situazione difficile. Si era però sbagliato, non era la telefonata che gli avrebbe permesso di ristabilire i contatti con la parte dimenticata della sua vita, che quel plico sembrava ora poter risvegliare da un lungo sonno. - Buon giorno, parlo con l’avvocato Kraus? - Sono io, buongiorno. - Sono fortunato: non credevo di trovarla il sabato pomeriggio. - Dica… - Ho seguito la causa Hamilton. L’ho cercata per questo. - Di che cosa si tratta? - Mi chiamo Mike Longo, sono il presidente e il titolare della International Transport. La conosce? - Ne ho sentito parlare… 142 - Prima di continuare, vorrei che considerasse questa telefonata nel quadro del nostro rapporto professionale… anche nell’eventualità che non accetti un incarico. - Naturalmente. - Ho un problema con la compagnia di assicurazione della mia società. E’ una di quelle che ha incontrato nella causa Hamilton. - Ricordo... - Bene. Questa compagnia assicura tutti i dipendenti. E’ una clausola imposta dai sindacati, economicamente rilevante. Il contratto prevede che in caso di morte in servizio la rata aumenti secondo certi parametri. Abbiamo 18000 autisti in 46 paesi. Negli ultimi due anni l’azienda ha subito oltre 700 decessi in incidenti stradali… e le rate che dobbiamo sborsare sono triplicate! -Vada avanti… - Stiamo concludendo alcune operazioni che sanciranno la nostra supremazia mondiale. Abbiamo bisogno di liquidità. Ci sarà un incremento di dipendenti e di produttività e quindi dobbiamo rivedere gli accordi. Ora le clausole ci impongono di accantonare una somma per ogni dipendente. In pratica noi anticipiamo i premi. L’assicurazione ci rimborsa solo dopo un certo periodo di tempo. E’ una macchina infernale. Fino ad ora abbiamo scaricato i costi assicurativi sulla manutenzione degli automezzi. Ma meno manutenzione significa più incidenti e 143 quindi maggiori premi assicurativi e così torniamo al punto di partenza. E c’è anche un altro fatto… - Quale? - Tutte le compagnie adottano gli stessi parametri: sono certo che si accordano attraverso un cartello clandestino. E’ una speculazione ai nostri danni. Senza considerare che la clausola sindacale è una vera estorsione. Lei mi capisce, vero? - In un certo senso… - Sono convinto che ci sono le condizioni per portare in giudizio le compagnie e che sia possibile portare con noi anche altre aziende. Lei che ne dice? Sarei onorato se collaborasse con i nostri avvocati. Come suo solito Kraus aveva ascoltato con grande attenzione. Per farsi un quadro preciso, in modo automatico e senza sforzo, rinveniva nella sua memoria eventi, sentenze e disposizioni di varia natura che nell’insieme potevano offrirgli una prima impressione sul rapporto tra le forze in campo. Il momento era propizio, ne conveniva. Negli ultimi tempi le compagnie di assicurazione erano diventate un comodo capro espiatorio per i politici alla ricerca di nuovi consensi e per alcuni magistrati ansiosi di comparire sui giornali. Per anni avevano prosperato sui profitti enormi che provenivano dalle sicure rendite delle assicurazioni auto, garantite dallo stato in persona, dalla protezione incendi e dal numero sterminato di disposizioni ambientali. Una piccola parte di quei profitti era entrata nelle tasche dei politici 144 che continuavano a legiferare a favore delle compagnie, elaborando una serie minuziosa, ininterrotta e asfissiante di procedure, di vincoli, di norme che richiedevano sempre maggiori tutele, se non veri e propri obblighi assicurativi. Una massa estremamente rilevante di questi capitali era reinvestita nelle speculazioni monetarie, nei titoli, nel NASDAQ, contribuendo a determinare, in misura considerevole, il destino di molte aziende, di intere nazioni e di vasti settori di mercato. Nel giro di qualche tempo, però, questi capitali sottratti al ciclo vitale della produzione e del consumo di merci, queste enormi quantità di denaro che asfissiavano l’economia produttiva, avevano cominciato a sollevare le preoccupazioni, poi le rimostranze e infine a scatenare le azioni offensive di molte grandi aziende che producevano merci e per le quali, in una situazione di crisi generalizzata, gli investimenti sottratti al consumo per essere bruciati in borsa significavano una contrazione del loro mercato. Si trovarono così schiere di politici, di giudici e anche diversi giornalisti ben piazzati, tutti quanti pescati indifferentemente nei due partiti repubblicano e democratico, che per qualche dollaro erano disponibili a sollevare il problema e a porre un freno al ruolo delle compagnie assicurative nei mercati finanziari. La corruzione stava semplicemente spostando il suo asse. Così, in effetti, a suon di dollari, il clima stava cambiando e l’opinione pubblica, condizionata da cause, elzeviri e arringhe politiche, guardava ora con rinnovato sospetto e diffidenza il ruolo spropositato giocato dalle compagnie assicuratrici nell’economia mondiale. 145 Eppure quel sole, che filtrava tondo e giallo dalle vetrate del suo studio diritto sul suo collo, gli trasmetteva un certo fastidio che si univa a un curioso senso di distacco da quella voce lontana e inattesa, che interferiva con l’evento al quale si stava preparando con calma e serenità mentale. Forse avrebbe potuto fissare un appuntamento con questo Longo e incaricare i propri collaboratori di svolgere qualche indagine sui contratti assicurativi nel settore dei trasporti e sulle sentenze, in cause analoghe, nei principali paesi. Dopo la recente esperienza non sarebbe neppure stato difficile trovare i giusti appoggi politici e di stampa, come ogni importante processo richiede, pur sapendo che, se l’avesse accettata, sarebbe stata una battaglia complicata e difficile. Kraus sapeva bene, però, che non si sarebbe potuto prescindere dall’orientamento dell’opinione pubblica. Il punto forte era certamente l’ipotesi di un cartello segreto tra le compagnie, che avrebbe risvegliato allarmi sempre pronti a scattare nelle coscienze collettive, così sensibili alle macchinazioni e alle storie di complotti. Se poi la sua esistenza si fosse dimostrata esatta, questo solo fatto avrebbe di per sé messo in cattiva luce qualsiasi clausola, fosse anche la più sacrosanta e corretta del mondo, determinando nei fatti l’esito del processo. Era una situazione complessa ma, a un primo giudizio, praticabile. Del resto, rifletteva, anche una sconfitta non avrebbe potuto essere considerata una specie di vittoria? Il gran trambusto che si sarebbe sollevato non avrebbe certamente lasciato le cose come stavano. Politici, magistrati, gli stessi governi e soprattutto quello USA, 146 avrebbero dovuto intaccare ulteriormente il potere delle compagnie. Anche nel peggiore dei casi si sarebbe comunque annusata una mezza vittoria, con un considerevole aumento del prestigio dello studio e dei suoi spavaldi e coraggiosi avvocati, che accettano cause all’apparenza impossibili. Inoltre Kraus non aveva forse per le mani quel giovane avvocato rampante, argentino, desideroso di aprirsi una strada eclatante proprio nel diritto internazionale? Dare una dimensione internazionale al problema, stando ovviamente bene attenti a una prima conclusione sul suolo americano, non solo non sarebbe stato difficile, dato che Kraus intuiva che doveva esserci di mezzo una nota compagnia londinese, ma avrebbe aperto un fronte ulteriore, probabilmente inaspettato per la difesa, costringendola, se non altro, a prendere tempo. In casi come questo, infatti, le compagnie non amavano tirare troppo per le lunghe delle cause che avrebbero messo in allarme i loro clienti, costringendole, inoltre, a stanziare nuovi fondi in dispendiose campagne pubblicitarie e d’immagine. D’altra parte questo Mike Longo non doveva aver fatto considerazioni troppo distanti dalle sue, se si era spinto a telefonargli intravedendo, forse al di là delle sue contingenti necessità finanziarie, il terreno favorevole che gli si presentava, anche nell’eventualità di una rielaborazione dei patti contrattuali. Oltretutto sarebbe stata anche una buona occasione per cancellare i residui della storica diffidenza dell’opinione pubblica nei confronti dei trasportatori, che in passato avevano rivelato equivoci legami con la mafia. Questo, nell’arena di uno scontro tra giganti, 147 difficilmente avrebbe potuto essere un punto a favore della difesa, anche se non avrebbe mancato di utilizzarlo, in qualche modo. Ma ciò avrebbe avuto tutt’al più il sapore di un vecchio film e alla fine si sarebbe rivelata un’operazione di catarsi che avrebbe finito per giovare all’immagine dei trasportatori. La multinazionale di Longo era una delle più sane e floride, il suo marchio era noto e apprezzato nei cinque continenti e a parte il grande trasporto marittimo e su rotaia, milioni di aziende e di cittadini utilizzavano i suoi servizi di consegna espressa e i suoi TIR. Non c’era dunque dubbio, anche a un esame rapido e sommario come questo, che la battaglia avrebbe riservato molti aspetti positivi, seppure sarebbe stato molto difficile ottenere una vittoria piena e totale, pur senza escludere un simile esito. Questi, dunque, erano i pensieri che affastellavano la mente di Kraus mentre cercava di inquadrare il problema mettendo in moto, come al solito, una buona dose del suo intuito. Alla fine, quella telefonata non sembrava tanto diversa dai molti colloqui e dalle molte pratiche che Kraus aveva avviato nella sua carriera e non sembrava neppure presagire a nulla di diverso dalla preliminare routine alla quale era abituato, che l’avrebbe portato, con ogni probabilità, a concretizzare un nuovo rapporto professionale. Eppure il sole, che continuava a bruciargli sul collo, sembrava richiamarlo a quella misteriosa e importante attesa alla quale si stava preparando prima di essere interrotto e ora si mescolava a un tenue senso di ansia mettendolo in uno stato 148 d’animo per lui inusuale, per lo meno da molto tempo a questa parte. Il pericolo non sembrava più rappresentato dal rischio di perdere un cliente, come mille altre volte era capitato, ma dall’ essere stato distolto da quel contatto così vivo con i ricordi di un tempo, che quel pacchetto sulla sua scrivania birmana materializzava con tanta insistenza. Uno stato d’animo che aveva riacceso nella sua mente il momento culminante del tuffo, che avveniva quasi contemporaneamente allo sparo e che sanciva l’impatto con la vasca, pronta ad accogliere, in una frazione di secondo, l’intera tensione muscolare e spirituale di un uomo che attraversa tutti gli elementi naturali del fuoco, dell’aria e dell’acqua. Quel rituale aveva sempre avuto per Kraus un’importanza quasi magica. Il resto della gara era scandito dalla velocità e dalla regolarità della spinta muscolare, che sospingeva l’intero corpo in perfetto accordo con la sua respirazione, potente, regolare, calibrata. Era come un’enorme macchina che si metteva in moto, imprimendo al suo sforzo una regolarità meccanica, bracciata dopo bracciata. Il tuffo, invece, era diverso. Presentandosi come un rituale serviva a combattere una certa ansia, che corrispondeva al timore di non riuscire a ripetere in modo esatto la precisa articolazione dei gesti più banali, fino all’estraniazione assoluta, che avveniva qualche istante prima dello sparo, preludio allo scatto folgorante che raccoglie ogni milligrammo di energia da ogni più remota cellula, per concentrarlo unicamente sulla spinta che lo proietta in aria e quindi lo scaraventa in acqua. Il tuffo era tutto. Lo choc provato ogni volta dal suo corpo al terribile impatto rimetteva in circolazione una nuova carica di 149 energia, come una batteria giunta al punto massimo di accumulo, che deve scaricare il potenziale senza più attendere. Il tuffo concentrava tutto. Tutto dipendeva dal tuffo. La mirabile e sovraumana magia del tuffo aveva rappresentato per lui lo sprigionarsi della vita stessa e quindi il momento del suo potere assoluto. Per questo le sensazioni di quell’istante erano suggellate per sempre in una sola ed unica sensazione di immane potenza, di sfolgorante coraggio, di temeraria spontaneità, in modo tale che il tuffo rappresentava per lui l’urlo stesso dell’esistenza, il concentrato del suo essere, la sua stessa e misteriosa essenza di uomo. Ma così come il tuffo era entrato nella sua vita sconvolgendone alcuni momenti decisivi, così poi, se n’era andato per sempre, in modo definitivo, rimuovendo persino il ricordo, annullando le sensazioni e le immagini che accompagnavano ogni volta la sua messa in scena: cancellate come neppure un colpo di spugna su una lavagna avrebbe potuto fare. Ora una fessura sembrava riapparire, qualcosa gli pareva di intravedere, una impercettibile tensione sembrava riemergere da misteriose correnti che evocavano in lui tracce confuse. E poi c’erano quei morti, sui quali un nuovo cliente avrebbe voluto edificare una nuova speculazione. Quella domanda, che giunse a un tratto dal suo animo come una fiammella mai del tutto sopita, ravvivata all’improvviso da una nuova combustione, ebbe per Kraus la stessa forza meccanica e ineluttabile del tuffo e, in qualche modo, a quell’istante sembrava richiamarsi. Non ebbe neppure il tempo di rintracciarne 150 l’origine, che era già affiorata dalle sue labbra. La placida armonia che legava quelle parole, era così simile alla coordinata eleganza dei suoi muscoli sospesi, che non poteva più fermarle. Fu così che quelle parole, che all’improvviso interferivano con una pratica professionale consolidata da anni di colloqui, di inchieste, di meticoloso lavoro, si aprirono un varco fluidamente, discretamente, tra le sue corde vocali, imprimendo sulle sue labbra un impercettibile e beffardo sorriso: - Signor Longo, che misure ha pianificato per tutelare la vita dei suoi conducenti? 151 Spazio e tempo: quanti (Velivolo di osservazione. Alcuni ricercatori con Yui, responsabile del gruppo di studio). - Mi sembrano solo bei ragionamenti senza scopo. Io voglio restare su un terreno più pratico e se prima non mi avessi interrotto, avrei potuto esporre la mia idea… - Avanti, prosegui… - E’ molto semplice. Innanzitutto cambiamo punto di osservazione: partiamo da noi e dalle nostre esigenze. Vi chiedo: a che serve possedere delle tecnologie se poi non vengono usate? Possedere delle tecnologie vuol dire impiegarle, impiegarle significa sviluppare la ricerca, stimolare l’interesse, conquistare nuovi traguardi o, almeno, creare un terreno affinché qualcuno, se lo desidera, possa lavorarci su. Il nostro progresso è fatto di un sacco di interrogativi. Ci poniamo delle domande, ne discutiamo a lungo, facciamo delle ricerche, sperimentiamo, riprendiamo la discussione, nel frattempo maturano nuovi interessi che ci fanno prendere altre strade e così via, come un movimento a spirale che sembra sempre ritornare al punto di partenza e invece ne è sempre più distante, perché ogni volta è su un altro piano. L’interesse stimola il nostro progresso. Fondamentalmente è questa la molla del nostro sviluppo. Un interesse casuale, che non è mai stato forzato, che in ogni occasione si è manifestato in modo assolutamente naturale. Bene, e se invece ora 152 cominciassimo a cogliere delle occasioni per stimolare nuove ricerche? Se facessimo ogni tanto dei passi avanti per generare interesse, per suscitarlo, senza aspettare che si formi da sé? Perché non provarci? Alcuni di voi sostengono che un nostro intervento dovrebbe tenere conto di una serie di condizioni, non solo tecniche ma direi etiche, per esempio: fino a che punto è giusto interferire nell’evoluzione altrui? E ancora: la strada imboccata dai terrestri è il risultato di scelte consapevoli? Se fosse così, lasciamoli perdere, dicono alcuni. E se fossero totalmente incoscienti? Allora aiutiamoli! E se invece fossero vittime delle loro stesse condizioni ambientali, che fissano i tragici parametri della loro evoluzione? Ma io dico: e se lasciassimo perdere questa discussione? Se li aiutassimo punto e basta? Se stessimo a vedere cosa succede e solo in quel momento riprendessimo a discuterne? E’ un’idea sbagliata? A me non pare. Da un punto di vista tecnologico possiamo convenire sul fatto che abbracciano la nostra stessa prospettiva: hanno elaborato una fisica quantistica in modo convincente, ipotizzano una serie di soluzioni che, certamente, non potranno mai mettere alla prova, sono perfettamente d’accordo, ma comunque arrivano a concepirle. Qualche loro scienziato sospetta che sotto il livello quantistico ci possa essere un ulteriore terreno, molto più simile alla loro fisica classica e anche questo è esatto. Dunque sono molto più simili a noi di quanto molti di voi non suppongano. Che senso ha stabilire se le loro ipotesi teoriche potranno mai diventare forme sperimentali concrete? Sono di fronte a una serie di catastrofi. E noi siamo di fronte alla possibilità di indirizzare l’attenzione, la ricerca e l’interesse verso un campo 153 completamente nuovo e affascinante come può essere quello di un contatto con questa civiltà del tutto particolare, un contatto che ci permetterebbe di verificare in modo diretto una serie di ipotesi, che ci consentirebbe di mettere alla prova le nostre capacità. Cosa aspettiamo? Chiedo solo questo: cosa aspettiamo? - Se hai delle idee le puoi esporre, sentiamo pure, in fin dei conti non è detto che il tuo approccio sia sbagliato. - Ecco il punto: dobbiamo utilizzare delle soluzioni che siano conformi alle loro stesse conoscenze, niente di più, niente di meno. Intraprendiamo delle azioni che siano in grado di spiegare loro stessi, alla luce delle loro più recenti acquisizioni fisiche e matematiche. In questo modo potranno accedere da soli alla verità, se lo vorranno, poiché ne avranno gli strumenti, oppure chiuderanno gli occhi. - In che modo? - E’ abbastanza facile. Ricorriamo solo a due delle loro formulazioni teoriche: il moto di Poincaré, unito allo spazio di Minkowski e poi l’ipotesi quantistica delle due alternative. Non occorre altro. - Vediamo nel concreto… - Partiamo dalle teorie di Poincoré e Minkowski. In base a queste teorie loro sanno che cosa capita quando un osservatore O, che viaggia alla velocità della luce lungo una traiettoria, invia un segnale dal punto 1 al punto 2 che viaggia su un’altra traiettoria, diciamo fuori dal cono, ed è superiore alla velocità della luce. 154 Sanno perfettamente che per un secondo osservatore O’ questo segnale giunge al punto 2 prima che O abbia raggiunto il punto 1, dal quale lo ha inviato: come se viaggiasse a ritroso nel tempo. In pratica il segnale giungerebbe all’osservatore O’ prima che sia stato inviato da O. Del resto loro sanno che il tempo in termini assoluti non esiste, ma che dipende esclusivamente dal punto di osservazione, dalla velocità degli osservatori e dalla velocità del segnale. In realtà è vero che non hanno alcuna prova tangibile dell’esistenza di questi spazi simultanei, eppure li possono concepire fisicamente e matematicamente. Dunque: che effetto otterremo se riuscissimo a inviare loro il segnale di catastrofe prima che la catastrofe abbia effettivamente luogo? Ciò non precluderebbe affatto il loro tragitto verso la catastrofe, ma li metterebbe nella condizione di poter comprendere il loro futuro e questo senza stabilire un contatto diretto. Continuerebbero tranquillamente a ignorarci pur avendo, a questo punto, la possibilità di immaginare, anche in modo piuttosto preciso, la nostra esistenza. - E’ chiaro, ma è possibile solo inviando il segnale a velocità superiore a quella della luce… - Certo, ma questo segnale da qualche parte esiste come residuo fossile, a noi basta recuperarlo tagliando la curvatura dello spazio e quindi rifletterlo in un’altra direzione… 155 - No, è evidente, non mi riferivo a questo, ma al fatto che un segnale più veloce di quello della luce è per loro un dato incomprensibile. - Non del tutto. Le ipotesi teoriche di Poincaré, Minkowski, Einstein e molti altri prendono in considerazione proprio questa domanda: “Che cosa accadrebbe se un segnale viaggiasse a velocità superiori a quelle della luce”? E offrono tutta una serie di spiegazioni molto pertinente ed esatte… - Ma solo per dimostrare che quello della luce è un limite invalicabile! - E che importanza ha? Ragiona: se riescono a stabilire gli effetti, che importa sapere se l’evento che ne è alla base è possibile o impossibile? Gli effetti sono comunque esatti! In fin dei conti l’unica ipotesi che potrebbero formulare è di trovarsi nella condizione di O’, condizione che tante volte hanno ipotizzato, seppure per dimostrarne l’impossibilità. - D’accordo, ma lascia tutto ciò un momento da parte. C’è un altro problema, relativo al libero arbitrio. Ricevendo un effetto prima della sua stessa causa, potrebbero avere un “anticipo” sul futuro. Potrebbero giungere alla conclusione che sia possibile modificare il anziché agire sul presente: un’assurdità! - Non capisco, che cosa stai dicendo? - Non si tratta di questo. Mi riferisco agli eventi cosmici… - Ma nessuno li modifica. Il segnale di catastrofe esiste già a uno stadio avanzato della traiettoria spazio – temporale, questo è un fatto che resta inevitabile. 156 E’ come dire che un corpo che viaggia a una certa velocità si scontrerà con un altro che viaggia in direzione opposta e contraria ed è prevedibile stabilire il momento esatto dell’impatto. Il segnale di catastrofe è insito nel moto dei due corpi a tal punto che, in certe condizioni, un osservatore può già percepire lo scontro prima che in effetti sia inteso dagli stessi corpi in movimento. Ma essendo collocati su spazi diversi non possono interferire vicendevolmente. Questa resta una legge inviolabile. Si tratta soltanto di offrire loro un diverso punto di osservazione, utilizzando le nostre capacità tecnologiche nel quadro delle loro - confuse certo, ma utili in questo caso - teorie. - Capisco. Vieni all’alternativa quantistica. - E qui entra in gioco la seconda parte del piano. Se loro riescono a comprendere che si tratta di un segnale di catastrofe, potrebbero concludere di essere all’interno di una specie di spazio di Minkowski, come lo chiamano, di guardare le cose da un altro punto di vista, sapranno anche di avere due possibilità. Per le stesse leggi della quantistica, che conoscono perfettamente, solo nel momento in cui osservano si stabilisce anche il comportamento quantistico. Questo loro lo sanno! E noi li mettiamo nella condizione di decidere. - D’accordo, ma se il primo passo è complesso - catturare un segnale di catastrofe che viaggia a velocità superiori a quelle della luce e rifletterlo non è certo semplice anche se rientra in una ipotesi di fattibilità - la tappa successiva, però, 157 sarebbe concepibile solo all’interno di una bolla quantistica, evento che sfugge completamente alla loro comprensione. - E’ la sola eccezione richiesta dal mio piano. - E’ una eccezione rilevante. - Perché? - Dobbiamo modificare il loro spazio fisico… e a una scala così vasta da risultare un intervento tutt’altro che trascurabile. - E’ vero, ma proprio questo è ciò che lo renderebbe accettabile anche ai nostri parametri. - Cioè? - Collocare tutto il loro universo all’interno di una bolla quantistica, o meglio, avvolgerlo da una bolla, è un effetto talmente macroscopico che alla fine non cambierebbe nulla e a loro risulterebbe inosservabile. Solo le piccole mutazioni, per esempio nella loro natura, potrebbero essere rilevate. In altri termini: possono rilevare solo ciò che possono osservare con uno dei loro strumenti. Come potrebbero rilevare una bolla quantistica? Non ne hanno neppure lontanamente immaginato l’esistenza. E’ impossibile! Per questo è un intervento legittimo, un intervento di una tale ampiezza da risultare del tutto insignificante ai loro occhi. - E’ molto interessante. Davvero. In pratica si tratta di collocarli in una dimensione sospesa tra un possibile futuro e il loro presente, offrendogli la 158 possibilità di agire, per il fatto che possono avere un’anticipazione del loro catastrofico futuro. La direzione nella quale decideranno di stabilire le loro osservazioni sarà anche quella che quantisticamente si realizzerà. -Esatto. - Così, se ho ben capito, si potrebbero verificare tre ipotesi. La prima che decidano di continuare come prima. Siccome la loro evoluzione è contraddistinta da alternative completamente contraddittorie, che percorrono simultaneamente, la bolla quantistica svanirebbe riportandoli direttamente allo stato presente, sia in termini di spazio che di tempo. La seconda possibilità è che si apra un conflitto e dunque che la loro storia evolutiva cominci a seguire contemporaneamente le due alternative. In questo caso, di nuovo, si troverebbero in una situazione quantisticamente analoga a quella precedente. Nel terzo caso invece, deciderebbero di darsi gli strumenti per superare la catastrofe. Dovrebbero convertire tutto il loro potenziale in questa direzione, abbandonando ogni altra strada… - E a questo punto potremmo riaprire la discussione sulla possibilità di un contatto diretto! - E’ un’idea decisamente affascinante… - Tecnicamente si… Ma voi continuate a trascurare il loro ambiente sociale. Questo è il punto. Ve l’ho già detto, lo sottostimate, fate riferimento solo alle 159 acquisizioni tecniche, alle capacità teoriche, ma lasciate da parte le loro relazioni sociali. Questo è il vostro errore! - Però, in questo caso, si lascerebbero loro tutte le possibilità… senza un contatto diretto… - Tu credi? E come reagiranno di fronte a un messaggio di catastrofe avvenuta? Ancora una volta: quale sarà la reazione delle loro chiese, delle loro istituzioni, della loro economia, dei diversi popoli e gruppi sociali che abitano il pianeta? Puoi immaginare questo? Puoi escludere che lo sconvolgimento sociale che si determinerà non rappresenti a sua volta un ulteriore fattore di catastrofe? Io vi dico che, a mio parere, è molto probabile: come vi ho già detto, basta osservare la loro reazione di fronte a eventi analoghi, tutto sommato molto meno sconvolgenti, per immaginare quelle possibili in questo caso. Non esiste alcun elemento, alcun elemento di natura contraria, la questione è altrove. Ed è interna alle loro relazioni e alle loro dinamiche sociali: la loro situazione è così tesa tra vita e morte, così pericolosamente contorta e macchinosa, che è indispensabile interrogarsi se anche un semplice avviso di catastrofe non scateni l’avvio di una nuova catastrofe! 160 Spazio e tempo: geiger (Terra. Registrazione casuale realizzata da due giovani ricercatori dal velivolo di osservazione). Affannata. La madre arriva affannata, quasi ogni volta. Possiede un piccolo geiger. Di sua proprietà. Vapori intermittenti. Niente di pericoloso, ma costante, segnali di rischio. Confusione di spazi, di tempi, di punti di osservazione. Perdita della postazione, propria. All’ingresso: “Il ragazzo le deve dire qualcosa”. Silenzio, il ragazzo sguscia via, tra un tavolo e una sedia. Dalla sedia cade il cuscino, al solito. Quando siamo soli afferra il cuscino, lo rigira, lo toglie, non trova la posizione, la trova. Un giorno acchiappa un altro cuscino, ne piazza due sotto, si dondola, cade. Irrequieto. Pausa. Il ragazzo sguscia, la madre lancia occhiate: “Vero, che devi dire qualcosa?”. Allarme. Pericolo di contaminazione: “Se vorrà dire qualcosa lo dirà lui stesso, non si preoccupi, signora”. Attività geiger a livello di rischio: “Vero che devi dire qualcosa?”. Ma lo dirà lei? “Va bene, vedremo, il ragazzo deciderà… allora ci vediamo tra un’ora?”. Attività geiger a livello saturazione, rischio corruzione dati: “Oggi non ha fatto nulla, è stato sgridato a scuola, ha preso una nota e poi non voleva venire qui! E’ vero? E’ questo che dovevi dire!”. Allarme, fermare la procedura, virus in zona protetta, backup dei dati: “Ah, si? Benissimo, noi ci vediamo tra un’ora…”. E non è più un’ora, ormai. Altro giorno, altro giro: “Le maestre hanno 161 detto che non è affatto migliorato!”. Flusso di geiger. Fumo denso, sussulto impetuoso: “Lei cosa ne pensa?”. Il geiger singhiozza, stupore: “Mi sembra migliorato… no? Non so perché non se ne accorgono… non capisco”. Attesa, il geiger attende la risposta, la soluzione definitiva. Ma quale soluzione? “Non saprei il motivo, anche a me pare evidente un certo progresso.” Riconsiderare i dati, come in un problema: “Ecco, questi sono i quaderni, questo l’ha fatto da solo, qui la scrittura è migliorata, vede? Si tratta di progressi, ma la strada è lunga, non ci sono soluzioni immediate, occorre del tempo ”. Il geiger si rilassa, attività a livello di sicurezza. Altro giorno, altro giro: “Hanno detto al ragazzo che dopo le vacanze non sarà più in classe, ci convocano dal direttore, è deciso”. Grave. Inaudito. E’ un bambino. Non era tranquillo? Le insegnanti dicevano: “E’ tranquillo, tutto sommato, non ha voglia di lavorare, divaga, qualche volta disturba, manca di contatti con le insegnanti”. Diagnosi in stato di elaborazione, elementi parziali: deficit di contatti, di relazioni, carenza di rapporti. Deficit. Qual è il termine contrario? Ignoto, vocabolo desueto, non adatto per formulare diagnosi. Cattiva scrittura, scarsa concentrazione. La mano scivola sul quaderno, lettere piccolissime, oppure enormi, allungate, piovono errori, doppie, difficoltà ortografiche. Interferenze. Relazioni interferite, pur sempre relazioni, però, punti di partenza, appigli. Le insegnanti scrivono, sul quaderno: “Non hai fatto nulla”, “Lavoro non finito”, “Tutto sbagliato”, sciarada di osservazioni. Non fare “nulla” è fare qualcosa, nulla, appunto. Non finire è anche iniziare. Sbagliare è anche fare giusto. Diagnosticare, informare, sul suo quaderno. 162 “Idiot”. Senza “savant”, come il tale che non sapeva nulla, tranne la musica di duemila opere, tranne l’enciclopedia musicale a memoria, in nove volumi. Là, idiot savant, qui, solo idiot? Geiger di maestre si parlano: “Non ha fatto nulla”, oppure: “Non ha completato l’esercizio”. Segnali di fumo. Alleggerire la pressione: “E’ proprio così, è verificato, di nuovo”. Impartire consegne. Fare, non fare, completare, ultimare, scrivere, non scrivere, categorie semplici, chiare, comprensibili. Tecnicismo, professionismo: “Siccome non sa scrivere lo mettiamo al computer, vogliamo vedere”. Pietra tombale. Spostamento organizzato. E poi? Rimozione. Procedimento di scrittura in fase di sostituzione. Del resto: è peggio sapere di non saper “fare”. Peggio conoscere i limiti, più frustrante. Meglio rimuovere, procedura di scrittura manuale, soppressione in corso: “Sappiamo che non siete d’accordo, ma vogliamo provare con il computer”. Reinserire i dati, caricare nuovi algoritmi: “Certamente, non sono d’accordo. Il problema è la carta e la penna, la materia. Il computer sposta il problema, non lo risolve”. Silenzio, geiger in fase di accumulo. Verificare nel database. Verbi illegittimi: stimolare, suscitare, provocare, infondere, aiutare, capire. Procedura soppressione verbi completata. Verbi legittimi: insegnare, impartire, verificare, sanzionare, spostare, rimuovere. Procedura approvazione verbi ultimata. Attendere, risposta in fase di elaborazione: “Siamo insegnanti, dunque ci occupiamo di errori. Vediamo se ne fa meno al computer”. Ampliare il database, validare altre procedure, inserire nuovi dati, bypassare il filtro di input: “E’ giusto correggere gli errori, ma il problema è: perché ci sono degli errori? Lo scoglio è la 163 scrittura, l’atto dello scrivere, l’attenzione, la concentrazione, l’azione della mano sulla carta, la stesura di vocaboli, di frasi, lo scrivere, in quanto tale”. Attendere prego, database in fase di compattazione, nuovi input da validare. Analisi ultimata, input non validi, procedura non consentita: “Ma noi dobbiamo occuparci degli errori, siamo insegnanti”. Ok. Sessione terminata. Signori in carrozza, dodici secondi alla chiusura del portello, destinazione: ignota. Dalle tavolette babilonesi, alla grammatica dei geroglifici, dal latino, al volgare, dall’imperialismo anglofono, alla rete virtuale: che altro è la scrittura? Tecnica, evoluzione lenta, fino alla perfezione estetica, codificata ai Lincei, all’École Superierure, a Oxford, a Pechino. Tecnica pura. Come la ruota. Invenzione formidabile. Forma definitiva, estetica, funzionale, fin dal primo istante. Poi, solo materiali, pietra (legno?), Firestone, Goodear, Pirelli. Impulso esplosivo dalla chimica: da un liquido nero, maleodorante, la perfezione sublime. Tecnica per tecnica, restare sul terreno. Ultimo appello. Hal, ti prego, apri il portello, riconsidera le procedure, aggiorna il database, puoi utilizzare gli algoritmi di riserva: “Vede, sarebbe come insegnare a sciare a un individuo che deve imparare a nuotare: in un certo senso alcuni movimenti sono analoghi, ma il problema non sono i singoli movimenti, quanto la materia stessa, l’attività completamente diversa, il contesto nella quale si esercita una capacità…”. Dare consigli? Imporre soluzioni? No, mantenere la sessione. Hal, ti prego, apri il portello, riconsidera i dati, aggiorna il database, ricorda quei vecchi algoritmi, vagamente umani: “Comunque non sta a me stabilire cosa dovete fare, siete voi le insegnanti, è 164 solo un punto di vista”. Comunicazione interrotta. Porta I/O guasta, no input, no output. Azione non conforme ai protocolli stabiliti. Fortuna: non siamo computer. Dispensati dall’apprendere procedure, dispensati dall’essere programmati, non dall’essere. Vantaggio: non apprendere a memoria. Svantaggio: aumento esponenziale di domande. Senza protocolli accumulo di domande, accumulo di interrogativi. Attenzione, i dati immessi hanno esaurito la memoria: chiudere le finestre e riavviare il sistema. Sensi di colpa in arrivo, geiger che tossisce: “Ne parleremo, vedremo, ci vedremo dopo Natale, ci incontreremo”. Hal hai risposto, vedi che i vecchi algoritmi hanno ancora un senso? Insistere, riprovare. Hal, vuoi tempo per aggiornare il database? Tempo accordato: “OK, molto bene, ne parleremo, certamente, a dopo Natale, buone feste, auguri”. Fine, provvisoria, del collegamento. Database in fase di riavvio, tempo di ricarica dei programmi, aggiornamento degli algoritmi, inserimento nuove estensioni. Rivediamo la sessione: “Buon giorno, ho parlato con la madre del ragazzo…”. Errore di input, geiger in ebollizione: “Cosa le ha detto?”. Annullare input precedente, rischio di loop: “Non ha importanza… vorrei sapere come va il ragazzo, cosa ne pensate, quale opinione avete”. Procedura corretta. Risposta in fase di elaborazione: “Tutto male, un disastro, nessuna prospettiva…” Naturalmente. Avvio sessione parallela, insegnanti a madre: “E’ migliorato, ci sono dei progressi, ora vediamo se con il computer si possono consolidare, se si aprono delle possibilità…” Esseri umani scambiano messaggi, contraddittori. Assenza di piano cartesiano, cancellazione punto O. Mondi separati, 165 distanze siderali. Geiger si osservano da vicino. La madre: “Allora, non capisco, a me dicono una cosa a voi un’altra”. Loop. La soluzione? Loop: “Ma lei che ne pensa?”. Non è male, riflettere. Internet, computer, portatili, palmari, telefonini, produttività, dirigenti, week end, subalterni, clienti: il deficit di analisi cresce, al quadrato della velocità, al cubo delle distanze. Prendiamo una pausa. A scuola insegnavano a rileggere i dati, con attenzione. Leggiamoli, soppesiamoli, consideriamoli, colleghiamoli ad altri dati. Conosciamo meglio lo spazio e il tempo. Sapere che esistono, almeno: “E a proposito di quelle frasi: buttare fuori dalla classe?”. Ne stavamo parlando, all’inizio della sessione. Riprendiamo il discorso, rivediamo i tabulati. Le insegnanti dicono così, al ragazzo, davanti ai compagni, alle loro orecchie bene aperte. Fuori da scuola i compagni confermano, davanti ai genitori. Missile nucleare sul geiger della madre. Stato di massima ebollizione, soglia di sicurezza polverizzata, telefonate a ripetizione: “Vado dal direttore”, “Questa è grave.”, “Ma come è possisbile!?”. Reazione chimica, molecolare, naturale. Portare a un piano razionale, invitare a gestire, verificare, considerare nuovi algoritmi: “Certo è un fatto estremamente grave, ma occorre parlarne con le insegnanti… no, non lo faccio io, dovete essere voi a parlarne, riguarda il ragazzo, la famiglia… dovete parlarne… chiedere… no, con calma, senza eccessi… cercare la verità, poi decidere cosa fare… anche andare dal direttore… si, richiedere delle scuse, dipende… occorre chiarire, sempre chiarire, prima, poi decidere…”. 24 ore, nuova sessione, riavvio del sistema: “Scusi, signora, a proposito di quelle frasi, come è andata, con le 166 insegnanti?”. Pausa. Dimenticato? Forse… questione archiviata. Questione archiviata? Curioso. Depotenziare, se il caso, ma archiviare? “Hanno detto proprio così, in effetti…”. Una conferma, allora? Verificare ancora: “Hanno confermato di aver detto quelle cose?”. “Si”. Baco di sistema. “E lei cosa ha fatto?”. Pausa. Il problema è stato archiviato. Il mondo è pieno di archivi, di pratiche archiviate. In ogni ufficio, in ogni casa. Si archiviano bollette, cartelle delle tasse, per cinque anni, si paga, si dimentica, salvo imprevisti. Si archiviano ricordi, matrimoni, si archiviano fatture, incidenti, si archiviano elezioni, decine di milioni di schede, si archiviano guerre, si archiviano famigliari. Una società dedita all’archiviazione, immane, permanente, sistematica, continua, incessante, rigorosa, meticolosa: “Nulla, cosa dovevo fare? Ho sbagliato?”. Attendere prego. Procedura di archiviazione interrotta: salvo, tralascio, annullo? La pratica spuntava per un lembo. Avvio procedura di recupero pratica: “Lei è la madre, le hanno confermato delle frasi molto pesanti, le dicono che avrebbero estromesso suo figlio dalla classe e poi lo isolano al computer: mi chiedo se suo figlio debba fare la parte dell’intruso, del ‘diverso’.” Attendere prego. Nuovi dati in fase di registrazione, recupero archivi avviato: “Avrei dovuto reagire? Si, certo… cosa avrei dovuto fare?… Secondo lei? Forse dovrei parlarne al direttore?”. Il mondo nel quale viviamo è pieno di fili. Una madre chiede cosa fare. Si registrano i seguenti dati di input: terrorismo, gulag, tortura psichica, aggressione, mettere in ridicolo, isolare dai compagni, mortificare. Si elaborano i seguenti dati di output: nessuna reazione. Qui base 2, hanno 167 sganciato il missile, feriti, agonia. Azione conclusa. Pratica archiviata. Cielo sereno, tempo bello. Attendiamo istruzioni. Il peso terribile di una piccola colpa. Mondo senza proporzioni, confusioni di punti di vista, intrecci di relazioni, strumenti di misurazione vaghi, imprecisi, fuori registro. Altro giorno, altro giro. Il ragazzo dice: “Vado a giocare da un amico, mi accompagna mia madre. Conosce i genitori, si… parla con uno”. Parla con uno? Uno chi? Nulla. Messaggio di errore: per portare il game a livello successivo occorre espletare le procedure del livello precedente. Altro giorno, altro giro. La madre cancella un incontro. Complicazioni, con il marito. Strane, complicazioni. Altro giorno altro giro. Il ragazzo dice: “Si mandano messaggi, con il computer. Mia madre ha ricevuto dei messaggi, anche al telefonino, messaggi d’amore da uno sconosciuto”. Sorpresa. Fili che si dipanano, game impazzito, salto di livelli non previsto: “Come lo sai, li hai letti?”. “No, sentivo che ne parlavano a letto, di sera”. “Discutevano?”. “Discutevano, ma mia madre diceva che era uno sconosciuto”. Viviamo in un mondo di sconosciuti. Gente ignota, traslucida, fatta di aria che filtra gli sguardi senza proiettare ombre, un mondo di famigliari, di figli, di madri, di padri, di amici, di insegnanti. Ognuno col suo geiger, in proprietà. E un accesso al database, naturalmente. 168 Epilogo (New York). Sabato 27 gennaio 2001 Cox scende all’aeroporto di Philadelfia, noleggia un’auto, guida lungo una strada libera e scorrevole ed entra a New York intorno alle 17. Per prima cosa telefona a Kraus. Stabilisce un appuntamento poco distante dal suo studio. Quindi chiama anche Zurigo, più volte, ma senza ricevere alcuna risposta. Teme sia accaduto il peggio. Erano già arrivati fino a Ronald? Qualche istante prima di chiamare Chris, quando ormai i giochi erano fatti, aveva telefonato nuovamente a Ronald per lasciare nella sua segreteria un messaggio semplice e chiaro: avrebbe dovuto inviare il memoriale a un certo giornale europeo, che certamente non aveva fama di essere filo-americano e una copia presso una certa casella postale. Si ferma un attimo per osservare i curiosi riflessi della luce pomeridiana che filtra da scorci di cielo. La luce fa giochi strani, quando è poca. Che differenza dagli sterminati spazi che aveva visto in volo. E tuttavia anche in questa enorme metropoli quei pezzetti di puzzle celesti emanano un proprio fascino. Sente un lieve tepore al cuore: chiama Chris. 169 La voce di Chris non sembra calma e tranquilla. E come avrebbe potuto esserlo? - Ho ricevuto posta – le dice Chris per prima cosa. Posta? Non solo la sua voce non è calma e tranquilla, c’è anche qualcosa d’altro, una certa distanza… si, come se volesse fermarlo, come se volesse tenerlo lontano. Si insospettisce e, chissà perché, il suo pensiero va immediatamente ad Alexandra Garcia: è la “posta” a cui si riferisce Chris? Ma non osa chiederle nulla. In una frazione di secondo si sta già domandando perché. Qualcosa non quadra del tutto, ne è sicuro. Allora prende forza e prosegue la telefonata esattamente nel modo in cui l’aveva tante volte immaginata, nel corso di quel viaggio. - Chris, ascolta, ci sono dei segreti di Stato che devono essere divulgati. L’opinione pubblica deve sapere. Petri si è ucciso per questo! Io ho scritto un memoriale e ho preparato un dossier. Se tutto va bene i documenti saranno pubblici in brevissimo tempo, però le nostre vite sono in pericolo… Chirs lo interrompe, sembra concitata. Non vuole che lui si spinga troppo in là? Forse nutre timori eccessivi anche se, in questo caso, è necessario essere molto prudenti? - So tutto… Ho anche incontrato Maria, la moglie di Petri… E’ costantemente sorvegliata, la stampa è stata imbavagliata… tutto è sotto controllo. Ho subito immaginato che il nostro appuntamento avesse a che fare con questa vicenda. Sappi che io sono con te… Arthur… devi proseguire, qualunque cosa accada, non ti devi fermare! Abbiamo qualcosa da spiegare ai nostri figli e se non potremmo 170 spiegare nulla… avranno almeno un esempio sul quale riflettere... vai avanti, Arthur, ti amo… La voce di Chris è rotta dall’emozione, ma è anche calda e protettiva. Arthur non riesce a spiegarsi bene il senso delle sue parole. Cox ha un istante di indecisione. In quell’attimo una voce un po’ isterica, al titanio, si intromette all’altro capo del telefono. - OK mister Cox, il gioco è finito. O rientri con i memoriali o tua moglie e i ragazzi spariranno per sempre, come il tuo amico di Zurigo... Penso che la situazione sia chiara, o no? In quell’istante un liquido caldo attraversa lentamente il corpo dello scienziato, fino alle sue ginocchia, che paiono non poter reggere un peso che perde improvvisamente tutta la sua consistenza, mentre la mente compone incerta i tratti del vecchio Ronald. Anche i suoi polmoni sembrano bloccati, come se il suo corpo non sappia più che cosa farsene dell’aria vaporosa e umida della grande mela. Faticosamente Cox rientra in auto e rimane immobile. Il traffico di New York diventa un frattale di luci e di colori, mentre i rumori si confondono in una specie di melodia lontana e tutto il pianeta gira, ormai, su un altro asse. Trascorrono dei secondi, delle ore, spazi di tempo insondabili. Lo scienziato si accascia sul volante e rimane immobile. E’ dunque finita? Povero Ronald, Intorno alla mente di Cox orbitano le parole di Chris, alle quali cerca di aggrapparsi come all’appiglio di una parete. Il vuoto scava nel suo animo voragini profonde e spaventose, mentre cerca 171 disperatamente di tornare alla luce pomeridiana. Rientrare con i memoriali, pensa a un tratto, equivale a consegnare la vita di tutti, la sua, di Chris, dei ragazzi. Capitolare è morire, dapprima nell’anima, quindi nel corpo. Oppure, si chiede rapidamente Cox, significa salvare le vite che sono ora nelle sue mani? E poi, come avrebbero vissuto? Forse davvero l’unica strada è andare fino in fondo. Cox pensa che i giochi non siano finiti, ne era intimamente convinto. In entrambi i casi, lo sa, non ci sarebbe stata alcuna garanzia e ora non ha nemmeno il tempo di riflettere. Un groppo alla gola, come un macigno, piomba verso l’esofago spezzandogli lo stomaco in un urlo lancinante. Urla, lo scienziato, chiuso nell’abitacolo di quell’auto. Urla a lungo, disperatamente, poi piange forte, singhiozza, per liberarsi di un peso orribile. Infine stringe il volante e si guarda le scarpe, il piede si muove, automaticamente e meccanicamente leva la chiave dal cruscotto, agguanta il soprabito ed esce. Si dirige verso il luogo dell’appuntamento con Krauss, mentre il suo cuore sanguina e nella sua mente prendono forma i contorni dell’ospedale nel quale Chris diede alla luce Filippo. Rivede scene che credeva dimenticate, perdute nell’immensa ridda di ricordi sfumati, dalla quale emergono i particolari più accurati, i dettagli più insignificanti. La pellicola si snoda lungo l’asse del suo cammino, verso l’appuntamento con Kraus. E’ ancora stordito quando ne riconosce la grossa sagoma, laggiù, all’angolo tra la 34° e la 6°. E’ ancora stordito quando vede quel corpo grande e grosso dapprima venirgli incontro con un largo sorriso e la mano levata per accoglierlo e quindi accasciarsi lentamente sul selciato, la bocca 172 contratta da una smorfia di stupore. Non è neppure molto distante quando i suoi occhi si fermano attoniti sul piccolo rivolo rosso che trabocca dal marciapiede per riversarsi sull’asfalto. Ed era ancora stordito quando, uno dopo l’atro, quattro caldi, piccoli e velocissimi oggetti lucidi stroncano per sempre la sua angoscia e i suoi pensieri. Non si rende conto della poca distanza che ancora lo separa da Kraus, non può neppure immaginare a quale breve tratto dal corpo del suo vecchio amico sta crollando anche il suo, inerte. I frattali assorbono tutto, lì intorno, compreso se stesso, la sua mente, i suoi pensieri, il suo respiro e, da ultimo, le belle immagini di lei e dei suoi ragazzi. *** Forse sarà stato il suo sesto senso professionale, forse un semplice istinto di sopravvivenza. Prima di uscire Kraus aveva chiamato quel giovane e promettente avvocato. Sotto i suoi occhi aveva aperto il pacco che teneva sulla scrivania, ne aveva scorso brevemente il contenuto, ne aveva riprodotto qualche fotocopia che aveva rinchiuso nella cassaforte, affidando l’originale al suo giovane e intraprendente collega, affinché lo consegnasse subito e personalmente, al giornale più vicino. Quindi aveva cacciato nella sua borsa di pelle italiana un fascio qualsiasi di giornali ed era infine uscito, lasciando un bigliettino sulla scrivania. Sapeva di compiere la sua ultima azione. *** 173 Chris organizzò per suo marito un funerale sobrio ma significativo. C’era la banda della scuola di Marceau, molti amici e moltissima gente che era giunta da tutti gli Stati americani. Poco per volta la folla si ingrossò, fino a diventare una vera e propria fiumana silenziosa e raccolta. Nessuno parlava. Numerose persone sfilarono per due ore nel piccolo cimitero di Austin, ogni tanto si gettavano un’occhiata l’un con l’altro, mentre i figli e la moglie restavano immobili, di fianco al cippo bianco. Nutrivano la loro anima con gli sguardi carichi di umanità, che ciascun membro di quella strana folla trasmetteva al suo passaggio. Chris e i ragazzi non subirono altre minacce, la loro vita ormai non aveva più importanza, nessuno li avrebbe molestati. Da quel momento l’intero pianeta aveva altro di cui occuparsi. 174 Memoriale (Velivolo di osservazione. Materiale d’archivio). Sabato 27 gennaio alle 20,30 uscì l’edizione speciale che pubblicava tutti i documenti del memoriale con alcuni commenti. La pubblicazione del memoriale fu un colpo terribile per il governo USA e poi per tutti gli altri. I suoi famigerati piani terroristici vennero alla luce. Furono coinvolti tutti i governi del pianeta e le più note istituzioni politiche e sociali (fu anche rinvenuta – ma non si riuscì mai a stabilire la fonte - una videocassetta che conteneva la registrazione di un intervento su un corpo alieno avvenuto qualche giorno prima presso la NASA e quella di una recente riunione che si era tenuta nello studio ovale del presidente degli Stati Uniti). L’opinione pubblica mondiale fu profondamente colpita. Il memoriale era diviso in due parti. La prima conteneva circostanziate descrizioni del progetto Saturno, della sua équipe, delle azioni intraprese, degli esperimenti organizzati, verbali di riunioni, spesso rimandando ai documenti ufficiali che erano allegati. La seconda parte presentava le motivazioni che spinsero lo scienziato a denunciare il progetto e a scrivere questo memoriale. Qui pubblichiamo alcuni stralci di questa seconda parte. 175 (…) “La società attuale si presenta come una immane sovrastruttura. Sovrastruttura che opprime con le sue convenzioni, le sue regole illogiche, la sua pretesa razionalità che trae origine dai più profondi vuoti irrazionali. Sovrastrutture che sono come la nebbia pesante che nasconde alla vista la realtà vivente dei fatti, il senso delle cose più vero e profondo. Sovrastrutture di codici di comunicazione, di protocolli di lavoro, di terreni e quadri comuni artificiali che impediscono a ogni individuo di trovare la sua posizione, di appropriarsi del suo tempo, di negoziare liberamente il suo spazio con gli altri individui, di ogni razza, di ogni nazionalità, qualunque sia la loro cultura, le loro origini, il loro tragitto. La società attuale è composta da una immensa mole di cose e di fatti, con i quali ogni giorno entriamo in relazione, ma con i quali ogni giorno è sempre più difficile stabilire delle relazioni naturali, dato che sono a noi sottratti e rimanipolati per esserci ripresentati sotto forma di informazioni, di eventi, tutti sistematicamente scanditi dalla monotonia incalcolabile del telegiornale e della sua voce artefatta e stridula. La società attuale nasconde le cose, le cambia, ne modifica la natura, costruisce un inganno permanente per le nostre intelligenze, per i nostri sensi. Ciò che noi chiamiamo immagini sono semplicemente icone di questi giochi, proiettati nella più pura astrazione e presentati come i veri, i reali e gli inconfondibili meccanismi che regolano la nostra esistenza sociale e individuale. Io non so cosa sia realmente la realtà, non so neppure cosa occorra per eliminare questa inerzia che tuttavia impedisce di vederla per quello che è. Non so attraverso quale strada si possa 176 cambiare. Ma certo non è più possibile continuare per quella vecchia. L’antica rotta è stata un colossale inganno, disvelato, a volte, ma riprodotto per tutto il resto dell’esistenza. Ora mi si presenta l’occasione di cogliere un senso profondo, se esiste. Voglio almeno sapere se c’è, prima ancora di sapere quale esso sia. Perciò ritengo che l’abbandono, da parte mia, di tutto ciò che nella mia esistenza è servito a tracciare i binari della professione, della ricerca scientifica, dell’isolamento dal mondo, abbia un valore generale anche per altri. Non ho ricette da suggerire, non posseggo prospettive da mostrare. Ma posso dire, con cognizione di causa, che non è più possibile procedere oltre. Occorre fermarsi. Occorre azzerare. Dobbiamo partire da zero per poter ricostruire il pianeta. Occorre azzerare tutto. E’ questo ciò che penso. Chris, per tutta la vita mi ha trasmesso la sua enorme passione per l’arte, mi ha messo in contatto con gli invisibili segreti di Giotto e di Paul Klee, delle icone russe e dei cavalli di Paolo Uccello, Chris, con i suoi occhi color deserto capaci di riflettere, nelle oasi battute dal vento e dal sole, i disegni dei magrebini unti dai couscous che colavano dalle ciotole, Chris mi ha portato nel mondo dei Futuristi che bramavano la guerra per ripulire la crosta terrestre da milioni di anime vuote e senza corde vocali che la plasmavano come fosse argilla (e in quello contrario di Dada che trasformava con i collage la comunicazione ufficiale svelandone l’intima falsità). Io ora posso dire che costoro avevano ragione e torto. Avevano ragione nel voler azzerare, cancellare e ripulire, avevano torto nel cercare la loro strada nel macello dei popoli, dal quale 177 sono usciti indenni, per ben due volte, proprio coloro che avrebbero dovuto portare i segni delle prime e uniche vittime del nettoyage. In ogni caso tutto deve essere azzerato, non c’è nulla da salvare e quel poco di buono che potrebbe perire nell’immensa agonia del male non sarebbe che un elemento trascurabile di fronte all’enorme energia creativa che si sprigionerebbe dall’umanità, finalmente liberata dalle sue catene e dai suoi vincoli. Cambiare non è un verbo che indichi, in queste circostanze, il senso preciso di ciò che penso sia necessario fare. E’ un verbo troppo flebile di fronte ai compiti che si impongono, un verbo insufficiente, inflazionato, corrotto. Rivoluzione è un sostantivo eccessivamente idealista, che vive nei substrati inconsci della memoria dei popoli unito al tradimento che segue la speranza riposta nei cambiamenti radicali. Quali altri termini ci offre il vocabolario? O forse, quale lingua presenta i migliori vocaboli per definire quell’azione meccanica che porta il destino nelle mani dell’umanità? Provvisoriamente propongo di utilizzare il verbo AZZERARE. Azzerare implica una serie di azioni molto drastiche e definitive, per esempio: cancellare, eliminare, sopprimere, distruggere, ma allo stesso tempo le attenua nell’istante stesso in cui offre una prospettiva, riferendosi ad azioni quali: continuare, ripartire, ricominciare, proseguire, progredire. Distruggere sembra forte, forse? Ma cosa è realmente concepibile al di fuori di una distruzione che ci permetta di ricavare dalla cenere nuovi elementi primordiali di costruzione? Da fisico posso dire che la cenere non è altro che una delle forme che assumono i composti nel corso della loro 178 trasformazione. Trasformazione che potrebbe apparire radicale, drastica, ma che in realtà lascia intatti i componenti atomici essenziali della materia, potendo così forse intendere che il trauma è meno lieve, che non si tratta di creare nuove particelle ma di inventare nuovi composti, produrre nuove associazioni. Lo spettacolo immenso della natura che da pochi elementi originari produce gli ammassi stellari che osservo ogni giorno e l’infinitesamente piccolo, al quale ogni volta cerchiamo di arrestarci come davanti a un limite raggiunto, non è altro che ricomposizione, continua ricomposizione e trasformazione della materia, delle sue quantità, delle sue qualità, dei loro rapporti reciproci. Non è dunque la materia che ci manca, non sono neppure le idee perché sfido ogni individuo del pianeta ad affermare che non possiede alcuna idea sulle modifiche urgenti e necessarie da apportare alla sua esistenza. Che cosa manca allora? Questo è il problema. Come facciamo a saperlo? Come possiamo trovare la soluzione, se non sappiamo neppure da quante incognite è composta l’equazione della nostra vita? Per questo occorre innanzitutto azzerare, cancellare, liquidare. Perché dobbiamo poter cercare, senza ostacoli, la strada o, se preferite, le strade, per essere certi che siano le nostre strade, da noi liberamente scelte. Prima ancora di stabilire dove arrivare dobbiamo sapere da dove partire, ma la società attuale ci appare come troppo complessa ai nostri occhi, come troppo aggrovigliata nell’effimero, come un tremendo inganno visuale e sociale dove ciò che realmente è pesante ci viene mostrato come la componente aerea e leggera del composto sociale e ciò che davvero è senza importanza e privo di 179 senso viene posto al centro dell’attenzione planetaria come significativo, determinante e quindi opprimente, nella sua pesantezza. (…) Dunque occorre innanzitutto sgombrare il campo. Come quando ci rendiamo conto di avere svolto una ricerca sbagliata per molti anni, di aver perso tempo inutilmente e allora siamo indecisi e restii ad abbandonare tutto per imboccare un’altra direzione, vorremmo conservare ancora qualche elemento, abbiamo difficoltà a dire che non c’è nulla di buono in ciò che abbiamo fatto, se non altro perché abbiamo ricevuto dei finanziamenti e non sappiamo se ne troveremo altri. Eppure, quando ciò avviene - e io stesso mi sono trovato a volte in questa situazione - la scelta più giusta è sempre stata quella di ripartire da zero, di formulare nuove ipotesi, di sbarazzarmi di quelle vecchie, di intraprendere nuovi tentativi. Chiedo: perché ciò che è valido nella ricerca scientifica, in ciò che io stesso, con la mia esperienza ho provato, non dovrebbe più esserlo su una scala sociale? Perché anche sul piano sociale non possiamo procedere per tentativi, senza timore di sbarazzarci del cammino precedente? Io rivolgo questa domanda a tutti coloro che leggeranno questo memoriale e la fisso nell’inchiostro di queste parole. La mia risposta è che non esiste alcuna ragione importante. Non ci sono giustificazioni. Dobbiamo intraprendere nuovi tentativi, imboccare nuove strade, fare nuovi esperimenti sociali. Perciò non c’è alternativa: occorre azzerare tutto, cancellare, liquidare, per poter di nuovo ripartire. In caso contrario ogni partenza sarà sempre restare al medesimo posto, sarà solo un’illusione, un viaggio immaginario, un nuovo 180 e ulteriore distacco dalla realtà. Che importa se i governi crolleranno, se le economie andranno in pezzi, se le convenzioni e perfino il termine stesso di convenzione, saranno disarticolate e completamente prive di senso? L’umanità tornerà al suo stadio più primitivo? Io penso che, se saranno liberate, le sue energie e le sue potenzialità potranno finalmente manifestarsi alla luce del sole, mettendoci nella condizione di creare qualche cosa di umano. In ogni caso vale la pena correre il rischio, che altro abbiamo da perdere, oltre agli anelli d’acciaio che ci legano a questa società infame e ingiusta? So che forse quello che io stesso ho fatto, ho deciso di fare, può non essere considerato molto e forse non è davvero un grande passo avanti. Ma da quando ho deciso di spezzare un anello, neppure il più importante di questa catena ininterrotta e opprimente, sento di avere a disposizione un’energia creativa del tutto nuova che mi porta a riconoscere facilmente le cose che faccio. Sto generalizzando un’esperienza personale? Sto facendo astrazione? Non lo so, ma intanto è già qualcosa. Ripeto: occorre azzerare il mondo nel quale viviamo, compresa la sua tecnologia e i suoi oggetti. Una immensa opera creativa di design sociale ci attende: si tratta di mettere mano, finalmente, davvero, alla nostra vita.” Arthur Jhon Cox, fisico nucleare, membro dell’équipe del progetto Saturno, responsabile del reparto ricerche biologiche, Austin, Texas, 21 gennaio 2001 181 Un anno dopo (Velivolo di osservazione. Materiale di archivio). “L’irresistibile fascino del memoriale Cox: bilancio di un anno”, New York Times, 27 gennaio 2002, qui proposto in alcune parti, è un articolo particolarmente interessante per il modo con cui affronta, a un anno di distanza dalla morte di Cox, il ruolo avuto dal suo memoriale nelle vicende che scossero il pianeta. “A un anno esatto dalla morte di Cox il suo memoriale sembra la cosa più vitale di questo pianeta. Circola manoscritto, fotocopiato, in versione digitale, tradotto, ormai, in 75 lingue e idiomi. Ovunque se ne parla e se ne discute e ovunque avvengono cambiamenti impensabili. Sembra che agli abitanti dei cinque continenti non interessi altro, siano essi pellegrini in visita alla Mecca, raccoglitori di perle tailandesi, studenti di Harward oppure orologiai svizzeri. E’ come se poco per volta i meccanismi vitali della nostra società saltassero, lentamente ma inesorabilmente, uno alla volta. Il fatto che non ci sia più un presidente negli USA sembra non interessare nessuno, come le riunioni del Congresso, che produce leggi senza che queste vengano neppure lette. Si può stare senza presidente, senza Congresso, senza istituzioni? Anarchia diffusa eppure, sorprendentemente, non 182 caotica. Sono costernato da ciò e un mio bilancio partirebbe necessariamente dalla sorpresa che mi accompagna da un anno a questa parte. Questa completa perdita di fiducia nei confronti dell’Establishment, che non sembra affatto diminuire, ma che ogni giorno produce comportamenti sempre nuovi e inaspettati, non provoca caos. All’inverso, produce una dissoluzione, direi serena e tranquilla, senza che al suo posto sorga alcunché. Intere strutture si disfano. Si disfano e basta. Il “nulla” sembra avanzare senza provocare il più piccolo panico. E’ come se una inconsapevole tranquillità sociale si fosse impadronita della gente comune, in massa. (…) Che aziende come IBM, APPLE, SONY, UNILEVER, MICROSOFT, GENERAL MOTORS, SHELL, ecc. non abbiano più azioni, conti correnti, agenti di borsa, avvocati, siano rimaste praticamente senza uffici, eppure continuino a sfornare prodotti e a distribuirli, può sembrare assurdo ma la realtà dei fatti è questa. La gente si porta a casa il televisore saldato nel cestello di una lavatrice e lo piazza in ingresso. Questo apparecchio della Sony è diventato un oggetto di culto mentre gli schermi a 16:9 si trovano solo nei cassonetti dell’immondizia e i DVD si raccolgono nei prati, utilizzati come i vecchi frisby. Quanto ci ha impiegato la televisione a scomparire dalla scena? Le prime che hanno smesso di parlare del Memoriale Cox sono state anche le prime a essere prese di mira e chiuse, definitivamente. Quando è successo? Forse neppure dopo un paio di settimane dalla morte di Cox stesso. Ci si poteva aspettare una reazione di questo genere? Io stesso devo ammettere che non si 183 sta male senza televisione e lo dice uno come me, per il quale i telegiornali e le agenzie erano il suo pane quotidiano. Non si può evitare di dirlo: forse ci stiamo disintossicando. Forse questi comportamenti sociali, che continuano ad apparire come i più strampalati e irrazionali, in fondo sono solo l’opera di una grande e inconsapevole disintossicazione. Per esempio come avrei potuto immaginare di vivere completamente senza denaro? Entrare in un posto qualunque e prendere ciò che mi occorre e anche ciò che mi piace, è davvero eccitante, divertente. Se prima riflettevo sulla quantità di denaro che guadagnavo e sul modo migliore di spenderla, ora posso concentrarmi sui miei gusti, i miei interessi, le mie necessità. In fin dei conti se il denaro è sparito dalla circolazione non c’è neppure bisogno di beni di consumo sostitutivi. Posso pensare con naturalezza ai miei interessi, ai miei gusti. Questo lo trovo affascinante. (…) Certo, inizialmente mi è spiaciuto che il giornale fosse ridotto al punto in cui è ora. Una volta al mese è un appuntamento molto diluito. Se penso ai ritmi infernali del quotidiano! D’accordo, erano anche molto stimolanti, ma è anche vero che tutto si concludeva nel consumo continuo di eventi, una rincorsa senza fine verso il nuovo accadimento. E poi, se penso che in effetti di tutte quelle pagine non c’era questo gran bisogno… la cosa mi sembra inverosimile! E non riesco neppure realmente ad abituarmi al fatto che la gente ora legga i giornali, li legga per davvero, non solo qualche titolo e sottotitolo. Addirittura che rilegga più volte lo stesso articolo, lo commenti, ne discuta in giro, mi scriva la sua opinione e io ne 184 tenga conto, come sto facendo ora, mentre cerco di impostare il bilancio di un anno del Memoriale Cox. Io stesso devo fare molta più attenzione quando scrivo. Non posso buttare giù gli articoli infarcendoli di trucchi stilistici e semantici, circonlocuzioni, ipotassi, metafore, insomma ricorrendo ai ferri del mestiere. Ora si presta attenzione ai contenuti, soprattutto, al senso. Si, devo dire che questa situazione aumenta l’importanza di ciò che scrivo, valorizza il mio lavoro. (…) Possiamo parlare di arte, per esempio. Di tutti quei voli che da tutto il mondo partono per l’Italia. Ma non è una moda, come in altri tempi. Non saprei come definirla questa esplosione di interesse per l’arte. Probabilmente anche questo è un effetto del Memoriale Cox: chi è Paolo Uccello? Basta prendere un aereo e andarlo a vedere a Firenze o da qualche altra parte. Una gentile signora mi ha scritto che agli Uffizi, anni addietro, aveva fatto una coda di quattro ore che le era parsa insopportabile, snervante. Ora la coda è durata una settimana! E’ dovuta partire da Lastra Signa e piano piano è giunta agli Uffizi. Eppure questa volta la signora era felice, incurante di aver dormito all’aperto, di non essersi lavata, felice, insomma. Perché sta avvenendo questo? Cosa ci sta capitando? Possibile che il memoriale produca questi effetti? (…) Ho combattuto le idee del memoriale fin dall’inizio, pensavo che proteggere il governo degli Stati Uniti fosse più importante che diffondere il memoriale di uno sconosciuto, seppure uno scienziato. Ora sono costretto a constatare che le cose non sono esattamente come credevo in quelle prime settimane. Non so dirvi davvero 185 come siano, certo è che questi cambiamenti non mi dispiacciono del tutto, anzi, devo confessare di non avere critiche importanti da avanzare nei loro confronti. Vorrei solo cercare di capirli. Vorrei sapere cosa c’era dentro la mente umana di miliardi di individui, se poi tutto questo sta avvenendo. Evidentemente covava da tempo qualcosa. Alcuni sostengono che si trattasse semplicemente della natura umana, intrappolata in qualche labirinto mentale che si è infranto alla prima occasione. Può darsi, certo. Ma resta sempre un mistero. Per esempio pensate alla fine, lasciatemi scrivere ingloriosa, davvero ingloriosa e anche ingiusta, profondamente ingiusta, dell’automobile. Un prodotto che ha richiesto decenni di studi, di fatiche impensabili, i sacrifici di milioni di famiglie, un prodotto che ha catalizzato la nostra vita assumendone il ruolo di vero e proprio perno, chiave di volta della società: ora letteralmente scomparso, sparito, dissolto nel nulla! Ho molti amici tra i dirigenti della General Motors e nella mia famiglia ci sono tra i più conosciuti e importanti agenti di borsa della Crysler e della Mercedes americana. Da mesi li trovo a spasso per il Central Park (ormai è diventato il ritrovo dell’ex mondo di Wall Street), stravaccati sotto gli alberi, succhiano le bibite dalle cannucce, chiacchierano. E sapete di cosa parlano? Dei sogni che fanno quando dormono sotto le piante, dei paesi che hanno visto e che vorrebbero vedere, insomma di viaggi, viaggi reali o immaginari, comunque di viaggi. Qualcuno ogni tanto parte e poi torna per raccontare, per confrontarsi con qualcun’altro che ha visto lo stesso identico luogo. Allora inizia un’analisi serrata, minuziosa, nella quale ogni 186 particolare viene esaminato, descritto, rivisitato. Così, per il puro piacere di discutere e di conoscere. Per loro che si esprimevano a gesti nel casino infernale delle quotazioni… Quando assisto a scene come quella che ho appena descritto, mi dico che sarà impossibile tornare come eravamo. Qualcosa è definitivamente saltato e allora mi trovo anch’io a guardare con una certa pena i resti del vecchio mondo che, prima o poi, mi sembra ormai del tutto inevitabile, saranno destinati a scomparire definitivamente. (…) Avete presente la grande Bayern, in Germania, che ha messo a punto una massiccia ristrutturazione del personale e il giorno stesso dell’avvio dell’operazione tutti i dipendenti sono usciti dagli uffici e dai luoghi di produzione e sono spariti, letteralmente. Mai più nessuno si è ripresentato. Ora la Bayern non esiste più e con lei è scomparsa anche l’aspirina. Per noi americani è stato un duro colpo, inizialmente, ma poi abbiamo scoperto altri prodotti più interessanti. Io, per esempio, ho trovato la liquirizia. Ci sono dei bastoncini deliziosi, che assaporo tenendoli tra la guancia e i denti, masticandoli ogni tanto. (…) Sono sempre stato una persona aperta, di grandi orizzonti culturali e tuttavia provavo un senso di fastidio nei confronti di questa continua immigrazione nel nostro paese. Ogni giorno gente che giungeva dal Messico, dall’Europa, tutti in cerca di lavoro, di fortuna e poi i ghetti scoppiavano, mentre era impensabile che l’America riuscisse a garantire le aspettative di tutti quanti. Cosa dovrei dire ora che intere tribù dei villaggi più sperduti, dalla foresta amazzonica alle steppe 187 australiane, dalla savana del Kenya ai più nascosti e misteriosi anfratti del Congo, giungono da noi, o in altre nazioni e ti trovi a camminare fianco a fianco con un gruppo di guerrieri scalzi, tatuati in tutto il corpo, protetti da enormi maschere di ebano scuro? Cosa dire dei suoni delle canzoni dei Beatles che si mescolano alle urla di caccia, stridule e acute, dei pigmei del Borneo e ai rintocchi del Big Bang, per le vie di Londra? O forse è più normale accettare le partenze improvvise di ex ricchi rancheri e petrolieri del Texas per l’equatore e Cylon, per la Siberia e la Patagonia? Rientra più facilmente nella logica del “mollo tutto” che tante volte abbiamo esplorato al rientro dai week end? Eppure non si tratta della stessa cosa. Piuttosto sembrano mettersi in moto richiami atavici, ancestrali. Richiami che ricordano gli occhi socchiusi della leonessa e le orecchie tese della zebra, la sua preda. C’è qualcosa di istintuale che gli assomiglia, qualcosa di noto. Questo qualcosa si è liberato dall’animo del nostro texano, di quel petroliere, dell’agente di borsa stravaccato al Central Park, dell’impiegato, dell’uomo comune, dell’operaio. Un richiamo o un istinto, non saprei, forse una natura, che non sembravano neppure esistere, mentre invece esistevano eccome! Ecco, se dovessi fare un bilancio, direi che fra tutte, questa è la cosa che mi ha più colpito, in questo anno. Scoprire che esiste un richiamo, un istinto del quale non avrei mai sospettato l’esistenza. (…) Non mi colpiscono tanto i cambiamenti. I cambiamenti fanno parte della storia dell’uomo. Non importa che fine abbiano fatto le automobili, le aspirine, i computer, il denaro, o cos’altro ancora. Non è questo il problema. Il punto è come si 188 manifesta questa natura, come ha fatto a emergere e a diffondersi, quanto è radicata, da cosa è determinata. Queste, penso, sono le cose per le quali vorrei trovare delle risposte.” Roberto Scott Fitzgerald, “L’irresistibile fascino del memoriale Cox: bilancio di un anno” New York Times, 27 gennaio 2002 189