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CINEFORUM F.I.C. e MOVIEPIU’ presentano 2° RASSEGNA 23° EDIZIONE 2016-2017 Proiezioni presso la Multisala Movie planet BELLINZAGO NOVARESE Viale della libertà 231 Inizio delle proiezioni alle ore 21,15 giovedì 12 gennaio 2017 La ragazza senza nome di Luc e Pierre Dardenne Con Adele Haenel, Jérémie Renier, Olivier Gourmet, Fabrizio Rongione, Thomas Doret. Christelle Cornil Titolo originale La fille inconnue. Drammatico, durata 113 min. Belgio 2016. - Bim Distribuzione Jenny Davin è una giovane dottoressa molto stimata al punto che un importante ospedale ha deciso di offrirle un incarico di rilievo. Intanto conduce il suo ambulatorio di medico condotto dove va a fare pratica Julien, uno studente in medicina. Una sera, un'ora dopo la chiusura, qualcuno suona al campanello e Jenny decide di non aprire. Il giorno dopo la polizia chiede di vedere la registrazione del video di sorveglianza dello studio perché una giovane donna è stata trovata morta nelle vicinanze. Si tratta di colei a cui Jenny non ha aperto la porta. Sul corpo non sono stati trovati documenti. I fratelli Dardenne si sperimentano sul terreno della detection tanto che inizialmente avevano pensato di avere come protagonista un poliziotto. Abbandonando l'idea hanno ampliato notevolmente il campo di indagine soprattutto sul personaggio, a partire dal titolo. Perché se la dottoressa cerca di scoprire chi sia la ragazza sconosciuta, quasi dovesse risarcirla, offrendole un'identità, per quella porta non aperta, anche lo spettatore si trova davanti a una persona sconosciuta. Di Jenny non conosciamo nulla se non quello che vediamo, non ci viene fornito il benché minimo elemento che ci consenta di conoscere qualcosa del suo passato o del suo privato al di là di quanto attiene alla sua professione e alla sua ricerca.– combattiva, tenace e instancabile come sempre le donne dei Dardenne – nel suo percorso di riscatto e risarcimento: sapere chi era la ragazza, conoscere le ragioni della sua morte, provare a darle un nome e una degna sepoltura. Per assolvere al compito è necessario incontrare e parlare con varie persone, dai suoi pazienti ai loro familiari. Ed è qui, non nella soluzione dell’enigma, che sta il cuore del film: l’assortito repertorio di fragilità individuali che i Dardenne, cineasti umanitari per eccellenza, sanno raccontare così bene, senza mai forzare i toni, senza mai un filo di musica lasciando che la semplicità dei gesti e delle parole faccia il suo corso, un tassello dopo l’altro. E un acciacco dopo l’altro: il film ne è pieno come un lazzaretto, i malesseri fisici diventano l’emblema psicosomatico di una condizione diffusa di prostrazione morale. Il cinemastetoscopio dei Dardenne ascolta, registra e diagnostica un’umanità sorda alla solidarietà, distratta e immersa nei propri problemi personali. Morale ma non moralista. Il cinema non è un farmaco, ma, se ci si crede, può essere una radiografia. 19 gennaio 2017 Io Daniel Blake di Ken Loach Con Dave Johns, Hayley Squires, Dylan McKiernan, Briana Shann, Kate Runner. Sharon Percy, Kema Sikazwe, Natalie Ann Jamieson, Micky McGregor, Colin Coombs, Bryn Jones, Mick Laffey, John Sumner durata 100 min. - Gran Bretagna, Francia 2016 Daniel Blake è sulla soglia dei sessant'anni e, dopo aver lavorato per tutta la vita, ora per la prima volta ha bisogno, in seguito a un attacco cardiaco, dell'assistenza dello Stato. Fa quindi richiesta del riconoscimento dell'invalidità con il relativo sussidio ma questa viene respinta. Nel frattempo Daniel ha conosciuto una giovane donna, Daisy, madre di due figli che, senza lavoro, ha dovuto accettare l'offerta di un piccolo appartamento dovendo però lasciare Londra e trovandosi così in un ambiente e una città sconosciuti. Tra i due scatta una reciproca solidarietà che deve però fare i conti con delle scelte politiche che di sociale non hanno nulla. Loach è ritornato, insieme al fido Paul Laverty, per documentarsi, nella sua città natale, Nuneaton, in cui partecipa all'attività di sostegno di chi si trova in difficoltà. Già dal titolo ritorna alla necessità inderogabile di non cancellare la forza dell'identità individuale della nuova classe sociale dei diseredati. I nomi di persona hanno segnato alcuni dei suoi film più importanti (La canzone di Carla, My Name is Joe, Il mio amico Eric e il precedente Jimmy's Hall). Perché è la dignità della persona quella che si vuole annullare grazie a un sistema in cui dominano i 'tagli' alla spesa sociale. Daniel e Daisy conoscono il senso della solidarietà e non intendono farlo dissolvere per colpa di chi ne ha volutamente smarrito qualsiasi traccia. La scena più intimamente toccante, in un film che provoca commozione senza però utilizzare alcun artificio, si svolge non a caso in un Banco alimentare. Si tratta di quelle realtà che un tempo si sarebbero definite caritatevoli e che oggi prendono il posto che dovrebbe spettare a uno Stato degno di questo nome, con tutta la precarietà che deriva dal volontariato. Il numero di coloro che non sono extracomunitari aumenta ogni giorno. Allora in questo mondo libero Ken Loach continua a proporci le esistenze di persone qualunque con la forza di chi non descrive ma partecipa attivamente al dolore di chi subisce una delle umiliazioni più profonde (la perdita o l'impossibilità del lavoro). Daniel, Daisy e i suoi due figli si aggiungono alla galleria di persone di cui Loach ci ha mostrato una tranche de vie con la forza e la sensibilità di chi non ha alcuna intenzione di arrendersi alla logica del liberismo selvaggio 26 gennaio 2017 giornata della memoria Il figlio di Saul di Lazlo Nemes Con Géza Röhrig, Levente Molnar, Urs Rechn, Todd Charmont, Sandor Zsoter. Marcin Czarnik, Jerzy Walczak, Uwe Lauer, Christian Harting, Kamil Dobrowlski, Amitai Kedar, István Pion, durata 107 min. Ungheria 2015. – Teodora Ottobre 1944 Saul Auslander è un ebreo ungherese deportato ad Auschwitz-Birkenau. Reclutato come sonderkommando, Saul è costretto ad assistere allo sterminio della sua gente che 'accompagna' nell'ultimo viaggio. Isolati dal resto del campo i sonderkommando sono assoldati per rimuovere i corpi dalle camere a gas e poi cremarli. László Nemes, regista ungherese al suo esordio, prova a rispondere prendendosi il rischio e la responsabilità formale e morale attraverso un film che sceglie il 4:3 come luogo di composizione e di 'ricomposizione' di un corpo. Perché al centro di Son of Saul c'è il cadavere di un ragazzino che un padre vuole sottrarre alla voracità dei forni crematori, un corpo morto tra milioni di corpi morti che Nemes lascia sullo sfondo sfocato e infuocato dalla furia nazista. Le proporzioni del formato, che limitano lo sguardo e fugano la spettacolarità delle immagini, rimarcano il punto di vista del protagonista. Ma Saul è anche il bersaglio per il fucile delle SS e per la macchina da presa. Sulla giacca che indossa è verniciata una ics rossa che lo rende immediatamente distinguibile e vulnerabile dentro l'inferno della soluzione finale. A un passo dalla rivolta armata messa in atto dai sonderkommando ad Auschwitz nel 1944, la macchina da presa converge sullo sguardo di Saul che ha scelto un'altra forma di resistenza: preservare l'integrità e la sacralità del corpo di suo figlio. L'ossessione con cui Saul persegue quella volontà lo tiene ostinatamente in vita e colma istericamente il trauma di cui è stato complice obbligato e incolpevole. In un clima di isteria e assuefazione collettiva, che il regista restituisce con la sfocatura, emerge Saul che perso a se stesso non ha ancora perso tutto. Dal fondo in cui giacciono uomini ridotti a 'pezzi' dalla fabbrica della morte, Nemes separa e mette a fuoco Saul, ricostruendo con lui e attraverso i suoi spostamenti all'interno del campo un luogo al di fuori di ogni senso di affinità umana. Son of Saul è un incubo a occhi aperti in cui un padre ha perso la battaglia con la vita ma vuole vincere quella con la morte, ricomponendola con l'assistenza di un rabbino. 2 febbraio 2017 Il piano di Maggie di Rebecca Miller Con Greta Gerwig, Julianne Moore, Ethan Hawke, Bill Hader, Maya Rudolph. Travis Fimmel, Wallace Shawn, Alex Morf, durata 98 min. USA 2015. - Adler Entertainment Il padre è Arthur Miller, la madre una nota fotografa austriaca, il marito si chiama Daniel Day Lewis: ecco a voi Rebecca Miller, poliedrica artista trasmigrata dalla pittura alla letteratura e al cinema, senza tuttavia disperdere il suo talento grazie a un mondo poetico coerentemente centrato su un tema: un’idea di donna, in quanto individuo con una sua personalità, che non teme di avventurarsi nell’esplorazione di se stessa e degli altri, cercando di fare la cosa giusta anche se può comportare un costo. La novità è che al quinto film, basato su un romanzo inedito di Karen Rinaldi, la Miller ha virato su un più deciso registro di commedia: Il piano di Maggie è una sofisticata pochade ambientata nella New York intellettuale del Greenwich Village, dove ci si parla volentieri addosso, disquisendo di massimi sistemi e dimenticando di andare a prendere i figli a scuola. Partita con il piano di concepire un figlio in provetta tramite lo sperma di un impacciato produttore di cetriolini, la giovane Maggie cambia strada quando si scopre invaghita di un prof di antropologia e scrittore frustrato, infelicemente sposato a un’universitaria di fama internazionale. Ma la convivenza a lungo andare incrina il rapporto, cosicché il (secondo) piano di Maggie diventa quello di rimettere le cose al loro posto. Ci riuscirà? Ed è sensato pensare di dare una spinta al destino quando è in gioco l’imprevedibile variante degli affetti? Per la sua vocazione a manipolare le questioni di cuore, Maggie potrebbe somigliare un po’ alla Emma di Jane Austen, non fosse che in lei non c’è alcuna traccia di pervicace sicumera. Sempre gentile d’animo, Maggie è un bizzarro cocktail di serenità e malinconia, ingenuità e saggezza, vaghezza e determinazione, semplicità e intuizione; e Greta Gerwig se ne rivela l’interprete ideale per la naturalezza con la quale ne metabolizza le tante contraddizioni. Facendo slittare i propri personaggi su un analogo, sfumato scivolo di ribaltamenti e ripensamenti, Ethan Hawke e Julianne Moore completano felicemente l’insolito triangolo; e la Miller gioca questo (molto contemporaneo) girotondo di confusione esistenziale con un’ironia e una leggerezza che lasciano trasparire un tessuto non banale di sentimenti. 9 febbraio 2017 Neruda di Pablo Larraine Con Luis Gnecco, Gael García Bernal, Mercedes Morán, Diego Muñoz, Pablo Derqui. Michael Silva, Jaime Vadell, Alfredo Castro, Marcelo Alonso, Francisco Reyes, Alejandro Goic, Antonia Zegers, durata 107 min. - Argentina, Cile, Spagna, Francia 2016. - Good Films Che Neruda non voglia essere un’agiografia, lo si capisce fin dalla prima scena. Il poeta, ospite a una qualche serata di gala, entra in bagno e – mentre piscia – discute con alcuni politici che gli danno del traditore. Li manda a quel paese e con grande serenità esce dalla toilette. È l’inizio della fine. Pablo Neruda alla fine degli anni Quaranta è senatore della Repubblica cilena sotto il governo di Gabriel González Videla (qui interpretato daAlfredo Castro) di cui è fervente sostenitore. La repentina svolta autoritaria della politica del Presidente porta però il poeta – esponente di spicco del partito comunista – a diventare uno dei più accaniti oppositori del governo finendo per convincere Videla a ordinarne l’arresto. Larraín parte da qui per mostrare la fine dell’utopia politica di Neruda, poeta civile, intellettuale, politico appassionato ma soprattutto comunista viscerale, avversario scomodo della destra cilena: prima latitante e poi esiliato. Parte da qui perché il film, che è tutt’altro che un biopic, non racconta la vita, non la poesia e nemmeno l’ideale politico di Neruda. Ma, ancora una volta, usa il personaggio principale come un mezzo. Un mezzo per parlare della Storia cilena e del suo rapporto incestuoso con il potere, con il dispotismo e la dittatura. Con la differenza che qui, attraverso la figura di Neruda, il regista individua l’arte come materia per approcciarsi al racconto, riuscendo a costruire un film dove la finzione e la realtà si mischiano a tal punto da non consentire alcun punto di riferimento allo spettatore. Nella seconda parte, quando il poeta inizia la sua fuga e il film diventa (probabilmente) quello che Larraín davvero vuole che sia, l’astrazione si compie in maniera totale. Neruda e Peluchonneau, il poliziotto che gli dà la caccia (un Gael García Bernal strepitoso), si rincorrono per tutto il Cile dialogando a distanza e costruendo un rapporto che va non soltanto oltre l’impianto biografico e oltre il realismo, ma anche oltre qualsiasi possibilità di raccontare la Storia secondo fatti ordinati o come processo uniforme. Nel rapporto fra questi due uomini intravediamo la storia del Cile, ma anche la storia di ogni paese che cerca la strada della democrazia passando attraverso la dittatura. L’arte tenta di dare forma alla vita. Peluchonneau (voce narrante del film), che credeva di esistere per annientare Neruda, capisce di essere un personaggio secondario e di esistere solo perché esiste Neruda stesso. Ma questo non gli basta e alla fine – quando Larraín tramuta il film in un western, con i personaggi che si inseguono a cavallo fra le valli andine coperte di neve – chiede idealmente al poeta di riconoscergli un’identità, di dire il suo nome, di rendere la sua esistenza degna di memoria. 16 febbraio 2017 in collaborazione con Assopace di Novara Tangerines (Mandarini) Un film di Zaza Urushadze Con Misha Meskhi, Giorgi Nakashidze, Elmo Nüganen, Raivo Trass, Lembit Ulfsak . Drammatico, durata 87 min. - Estonia 2014. - P.F.A. Film Nel 1990 in Abcasia Ivo e Margus provano a resistere sulla loro terra, ambita dai georgiani e difesa dagli abcasi. Ivo, esiliato estone, costruisce cassette per i mandarini di Margus, vicino di casa compatriota che sogna un ultimo raccolto prima di abbandonare il villaggio. Ivo invece non ha mai pensato di andarsene perché in quei luoghi 'riposa' il suo bene più prezioso. Vecchio e saggio Ivo è suo malgrado travolto dagli eventi. Uno scontro tra georgiani e mercenari ceceni, in cui sopravvivono soltanto due soldati, lo costringe a intervenire e a soccorrere nella propria casa e coi propri mezzi i feriti. Di parte avversa, i due ospiti provano a convivere sotto lo stesso tetto e sotto lo sguardo rigoroso di Ivo che converte il loro odio ottuso in un sentimento nobile e complesso. "La guerra è sempre stupida", scriveva Giuseppe Ungaretti ma ci sono guerre, "particolarmente stupide" come il conflitto georgiano-abcaso esploso all'indomani della dissoluzione dell'Unione Sovietica. In quel teatro di guerra, ficcato tra le montagne e il Mar Nero, Zaza Urushadze cerca, scava e trova le parole (e le immagini) per dire dell'irragionevolezza delle contese e della fermezza di due uomini che scelgono di non disertare la loro terra e la loro vita. Selezionato come miglior film straniero agli Oscar e ai Golden Globe, Mandarini non è un film di guerra abitato da supereroi che cuciono punti di sutura al fronte, è piuttosto la storia di una breccia, di una linea spazio-temporale tesa tra due fronti e una sola assurda carneficina. Costretti dalle ferite in una zona franca, i due militari, uno georgiano e l'altro ceceno, diventano attori di un dramma più teatrale che cinematografico, che elude la prevedibilità con un paio di scarti narrativi e un cast di attori rari, capaci di muoversi tra sopraffazione e compassione. Su tutti il 'padrone di casa' di Lembit Ulfsak, che abita una sede pacifica di poesia e incarna l'onore e la necessità di comunanza nella sofferenza. Sentire gli uomini come fratelli per il suo personaggio non è solo questione di natura ma, in guerra, diventa ragione e verità. Resistente tra la morte e i morti, Ivo sceglie parole, pochissime parole, decise e assolute perché sa che non c'è tempo. Una scarica improvvisa di fuoco può abbattere un uomo che un altro ha appena rimesso in piedi, bruciare un raccolto che un contadino ha coltivato con le stagioni, inficiare la generosità e il coraggio di un gesto in un momento in cui violenza e disperazione sembrano le uniche vie d'uscita 23 febbraio 2017 in collaborazione con Assopace di Novara Enclave di Goran Radovanović, Con Milena Jaksic, Filip Subaric, Nenad Stanojkovic, Milan Sekulic, Miodrag Krivokapic. Denis Muric, Qun Lajçi, Nebojsa Glogovac, Meto Jovanovski, Rastko Jankovic, Danilo Mihajlovic, Igor Damnjanovic, Bojan Stojcetovic, Anica Dobra, Ana Rusmir, Nenad Jezdic, Gorjana Janjic, Jovan Osmajlic, Bubulina Lajçi, Goran Radakovic, Lazar Cukvas, Nenad Vulevic, Milica Vucurovic, Milic Jovanovic, Ankica Milenkovic, Anna Stieblich, Ilija Jovicic, Radomir Nikolic, durata 92 min. - Serbia, Germania 2015. - Lab 80 Film Racconto della vita di una enclave serba in un villaggio albanese del Kosovo post-bellico. Storia di un matrimonio e un funerale in due comunità divise dall’odio e del rapporto tra due bimbi, Nenad e Bashkim, come specchio del conflitto e unico luogo in cui può nascere il cambiamento. Il film, vincitore di Bergamo Film Meeting 2016, esce nelle sale italiane distribuito da Lab 80 film. Protagonista è Nenad, un bambino serbo che vive a Vrelo, villaggio albanese nel Kosovo post-bellico. Il piccolo abita in una frazione isolata con il padre e il nonno, gravemente malato, a cui il bambino è molto affezionato. Ogni mattina va a scuola viaggiando in un blindato delle Nazioni Unite, che lo protegge dalle possibili aggressioni, e nella sua aula segue le lezioni da solo con la maestra. Tutti gli altri bambini del villaggio sono albanesi e uno di loro, Bashkim, è carico d’odio nei confronti di tutti i serbi, che ritiene responsabili della morte del padre. Un giorno, mentre la comunità albanese celebra un matrimonio, il nonno di Nenad muore e il bambino arriva ad attraversare le linee nemiche pur di riuscire ad avvisare il prete. Mentre sulle strade del villaggio matrimonio e funerale si incrociano come due universi paralleli incapaci di dialogo, Nenad si trova improvvisamente faccia a faccia con Bashkim: nelle mani dei due bambini la possibilità di riprodurre odio e divisione oppure di dare un piccolo, nuovo corso alla storia. «Con questo film ho voluto indagare il nodo centrale della disputa serbo-albanese - ha detto il regista, Goran Radovanović -, che quindici anni fa ha portato a guerra, crimini e distruzione. Io intendo far nascere questa domanda: è possibile la coesistenza di queste comunità, in una realtà segnata dalla presenza di enclave, isole abitate da minoranze cristiane circondate da un mare di maggioranza musulmana? La mia risposta è di una chiarezza cristallina: l’odio, basato sulla paura del diverso, permane ancora fra le due comunità. La paura è l’assenza di amore. Per questo l’eroe di questa storia è un ragazzo di dieci anni che osa fare qualcosa di inimmaginabile per cristiani e musulmani del Kosovo: cercare un amico nell’altra comunità. Ho voluto fare un film pacifista, basato su una storia di perdono e amore». 2 marzo 2017 mese dedicato a film sulle donne Fiore di Claudio Giovannesi Con Daphne Scoccia, Josciua Algeri, Laura Vasiliu, Aniello Arena, Gessica Giulianelli. Klea Marku, Francesca Riso, Valerio Mastandrea Drammatico, durata 110 min. Italia, Francia 2016. - Bim Distribuzione Dafne si trova in riformatorio per aver cercato di rubare un telefonino nella stazione in cui dormiva, sdraiata sopra una panchina. La ragazza è un gatto selvatico con alcuni precedenti alle spalle, una madre assente e un padre amorevole ma inadeguato che ha conosciuto da vicino la galera. Dafne vive alla giornata, e anche in riformatorio afferma la sua indole ribelle. Ma è anche una creatura profondamente sensibile, capace di profonda compassione e di quella solidarietà umana che nei suoi confronti è quasi sempre mancata. Dopo Alì ha gli occhi azzurri, Claudio Giovannesi torna a raccontare gli ultimi concentrandosi in particolare sui più giovani e scansando la retorica e il buonismo grazie alla forza documentaria della sua regia agile e mai edulcorata. La storia di Fiore poggia sulle spalle esili (solo fisicamente) del personaggio femminile che la regge con la grazia inconsapevole di un papavero di campo: il debutto di Daphne Scoccia è davvero notevole per immediatezza e carisma, e assai credibile è anche Josciua Algeri, con il suo accento che mescola hinterland milanese e radici meridionali con dolcezza e tracotanza. Ne emerge il ritratto di una vitalità insopprimibile come quelli dei fiori che crescono in mezzo al letame, o nelle fessure dei marciapiedi. Il pregio di Giovannesi è soprattutto lo sguardo pulito che scansa istintivamente gli autocompiacimenti di molti altri autori cinematografici. Il difetto è l'esilità di una trama già vista, soprattutto nel cinema francofono: il personaggio di Dafne, senza tetto né legge, ha già avuto mille incarnazioni precedenti, da Bresson a Truffaut, da Agnès Varda ai Dardenne. Più originali la figura del padre, cui presta la consueta mestizia Valerio Mastandrea, e della matrigna rumena, né strega né fata benefica. Daphne Scoccia sconta purtroppo la somiglianza fisica con Astrid Berges-Frisbey, protagonista del più coraggioso e innovativo Alaska, anch'esso assai legato all'estetica cinematografica (e alla coproduzione) francese. Auguriamo a Giovannesi di spingersi oltre le sue conoscenze filmiche pregresse e di buttare la cinepresa (e il cuore) oltre l'ostacolo per trovare la propria cifra originale, possibilmente radicata nel suo essere un regista italiano, oltre che un cittadino del mondo. 9 marzo 2017 Suffragette Un film di Sarah Gavron Con , Helena Bonham Carter, Brendan Gleeson, Anne-Marie Duff, Ben Whishaw. Meryl Streep, Romola Garai, Samuel West, Geoff Bell, Natalie Press, Adrian Schiller, Morgan Watkins, Lorraine Stanley, durata 106 min. - USA 2015. Bim Distribuzione Londra 1912 Mauds Watts è una giovane donna occupata nella lavanderia industriale di Mr. Taylor, un uomo senza scrupoli che abusa quotidianamente delle sue operaie. Alcune di loro combattono da anni a fianco di Emmeline Pankhurst, fondatrice carismatica e ricercata della Women's Social and Political Union. Solidali e militanti, le suffragette combattono per i loro diritti e per il loro diritto al voto. Ignorate dai giornali, che temono gli strali della censura governativa, e dai politici, che le ritengono instabili e inette fuori dai confini concessi, decidono unite di passare alle maniere forti. A lungo e ingenuamente le abbiamo immaginate come nel film Mary Poppins, un pugno di borghesi gentili che bevono tè e sfilano gioiose dentro le loro camicette bianche impreziosite con fiori freschi e fasce di seta sul petto. Sarah Gavron le rivela invece per quello che le suffragette furono davvero, un piccolo esercito armato di operaie pronte a sabotare le loro città, a infrangere vetrine a colpi di pietra e a collocare bombe. Questa secondo la regista inglese è la vera storia delle suffragette, quella che la stampa dell'epoca si guardò bene dal raccontare, quella che ancora ci si guarda bene dal raccontare nelle scuole. Suffragette non brilla per la sua forma, il film è più scritto che messo in scena, nondimeno Sarah Gravon e Abi Morgan hanno il merito di far conoscere questa versione dei fatti, celebrando la lotta per l'uguaglianza, contro le molestie sessuali e la disparità salariale che scosse l'opinione pubblica all'inizio del secolo. Morte sotto i colpi della polizia, arrestate, alimentate con forza a causa dello sciopero della fame, dopo quarant'anni di campagne pacifiche, che ottengono soltanto promesse infrante, le suffragette abbandonano la compostezza indulgente e decidono per la disubbidienza civile, senza esitare a ricorrere ad azioni radicali e violente. Ma sono donne e non lo fanno con leggerezza, diversamente dai terroristi che uccidono innocenti, colpiranno soltanto sedi vuote ma distinte per attirare l'attenzione sul movimento e la causa. Quanto a sapere se questa violenza valesse la pena o se tanta violenza abbia infine permesso di ottenere il diritto al voto, a riguardo gli storici hanno discordi opinioni. 16 marzo 2107 7 minuti di Michele Placido Con Ambra Angiolini, Cristiana Capotondi, Fiorella Mannoia, Maria Nazionale, Violante Placido.Clémence Poésy, Sabine Timoteo, Ottavia Piccolo, Anne Consigny, durata 92 min. - Italia, Francia, Svizzera 2016. - Koch Media L’azienda tessile Varazzi è in procinto di siglare l'accordo che la salverà dalla chiusura immediata. I partner francesi sono pronti a concludere, ma all'ultimo momento consegnano alle undici componenti del consiglio di fabbrica una lettera che chiede loro di sacrificare sette minuti di intervallo al giorno. Il consiglio è composto da nove operaie e un'impiegata, più una rappresentante sindacale, Bianca, dipendente della Varazzi da decenni. Le componenti del consiglio sono uno spaccato della forza lavoro femminile contemporanea nel nostro Paese: c'è la ventenne neoassunta e la veterana con figlia incinta; c'è l'immigrata africana, quella albanese concupita dal proprietario della fabbrica, quella che prende botte dal marito e la semitossica. Anche l'impiegata è un'ex operaia trasferita in ufficio da quando un incidente sul lavoro l'ha lasciata su una sedia a rotelle. Questa galleria di personaggi denuncia la matrice teatrale di 7 minuti, testo scritto da Stefano Massini che cerca di concentrare in quel pungo di figure femminili quasi tutte le problematiche che affliggono le donne in Italia. La costruzione drammaturgica segue la falsariga de La parola ai giurati, classico del '57 firmato (per la televisione) da Sidney Lumet di cui è stato realizzato un remake nel 2007 da Nikita Mikhalkov, 12. A Ottavia Piccolo, nei panni di Bianca, tocca il ruolo che fu di Henry Fonda, ovvero la voce della ragione che sa penetrare le coscienze di chi, reagendo di pancia, cerca invece la soluzione più immediata, come Angela, l'operaia napoletana con quattro figli cui dà la presenza "pesciarola" Maria Nazionale: ed è una scelta di casting azzeccata affidare quel ruolo a una cantante, perché la potente voce di Angela sembra voler costantemente sopraffare quella pacata di Bianca. L'altra cantante del cast è Fiorella Mannoia nei panni di Ornella, coetanea di Bianca e memore di un tempo in cui i diritti degli operai erano tutelati: la sua prova di attrice è notevole e inaspettata. Ambra Angiolini presta la sua incazzatura alla combattiva Greta e Violante Placido è un'insolita contabile dall'aspetto dimesso. 7 minuti è ispirato ad una storia vera così come lo era Due giorni, una notte, anche se entrambe le vicende accadevano oltralpe. CINEFORUM F.IC Moviepiù presentano 2° RASSEGNA 23° EDIZIONE 2016-17 Multisala Movie Planet BELLINZAGO NOVARESE Inizio proiezioni ore 21,15 Ingresso soci 4,00 € tessera valida per 20 film 5,00 € 12 gennaio 2107 19 gennaio 2017 26 gennaio 2017 2 febbraio 2017 9 febbraio 2017 16 febbraio 2017 23 febbraio 2017 2 marzo 2017 9 marzo 2017 16 marzo 2107 La ragazza senza nome di Luc e Pierre Dardenne Io Daniel Blake di Ken Loach Il figlio di Saul di Lazlo Nemes MEMORIA Il piano di Maggie di Rebecca Miller Neruda di Pablo Larraine Tangerines di Zaza Urushadze ASSOPACE Enclave di Goran Radovanović, “ Fiore di Claudio Giovannesi DONNE Suffragette di Sarah Gavron “ 7 minuti di Michele Placido “ Approfondimenti su www.cineforumilpostodellefragole.it Contatti telefonare al 3405273720 e mail : [email protected]