Born to be dead - Andreas Pieralli
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Born to be dead - Andreas Pieralli
Born to be dead Non appena nella vecchia buick decappottata cominciarono a suonare le prime note di Born to be alive, la mia canzone preferita, in quell’esatto momento la radio si spense. Proprio mentre stavo entrando in un piccolo paese sperduto nel deserto dell’Arizona. Provai a riaccenderla più volte, giravo la manopola in tutte le direzioni. Niente, non ne voleva sapere. Misteriosamente morta, finita, caput. Lasciai perdere la radio e rallentai. Mi trovavo in un paesello di medie dimensioni, uno dei tanti che avevo attraversato lungo il mio viaggio coast-to-coast, identico in tutto e per tutto agli altri. Arrivai ad un semaforo rosso e mi fermai. Provai ancora una volta a far ripartire la radio, niente da fare, irremovibilmente spenta. Mentre aspettavo che scattasse il verde mi guardai intorno e la prima cosa che mi colpì fu che per le strade non c’era nessuno. Neanche un’anima. Prestai attenzione e mi accorsi che non si sentiva nemmeno nessun rumore, c’era un silenzio tombale, innaturale. In lontananza si sentiva solo il vento che spazzava il deserto, nient’altro. Niente di niente. Ebbi una strana sensazione, non riuscivo a spiegarmi quella desolazione, la città non sembrava abbandonata. Le macchine erano normalmente parcheggiate lungo il ciglio della strada, i marciapiedi erano puliti e non si vedevano porte o finestre sfondate e intonaci scrostati. Piuttosto sembrava che tutti gli abitanti se ne fossero andati via all’improvviso, all’unisono. Cominciai a diventare nervoso, quel vuoto onnipresente non mi faceva sentire a mio agio. Notai che stavo aspettando da troppo tempo che scattasse il rosso, ormai dovevano essere passati almeno cinque minuti buoni. Aspettai ancora. Niente, non scattava. Testardamente fermo sul rosso. Mi guardai intorno per vedere se non c’era una qualche volante della polizia. Speravo quasi di vederla, così tutto si sarebbe spiegato: il mistero altro non era che uno squallido trucco degli sbirri per sparare multe agli automobilisti. Magari era tutta una montatura, oppure era una candid camera. Ma per quanto mi girassi a destra e a sinistra continuavo a non vedere nessuno. Neanche un cane, nessuna forma di vita. Lentamente avviai la macchina e passai con il rosso, proseguii per un altro chilometro a passo d’uomo guardandomi intorno. Tutto sembrava normale, i negozi, le finestre delle case, le auto, i cestini della spazzatura, tutto regolare se non per il fatto che la strada era completamente deserta, non c’era una sola insegna accesa, tutte spente. Era tardo pomeriggio, c’era ancora abbastanza luce, ma di solito a quell’ora a volte i lampioni stradali sono già accesi. Non qui. Tutto spento, ad eccezione di quello strano semaforo fermo sul rosso. Dopo mezzo chilometro rallentai e voltai a destra, cominciai a vagare a caso per le strade di questo paese nella speranza di incontrare un essere umano e chiedergli cosa fosse successe. Non vidi nessuno. Ogni strada, ogni angolo, ogni piazza da cui passai erano vuoti, deserti. L’ansia stava crescendo, eppure vinsi quella crescente sensazione di paura che mi stava cogliendo: fermai la macchina e scesi. Mi sembrava una cosa stupida da fare eppure dovevo sapere cosa fosse successo. Poteva darsi che la città fosse stata evacuata all’improvviso e che, proseguendo per la mia strada, sarei andato incontro a qualche pericolo. Mi avvicinai titubante ad un portone di legno laccato di verde, anche questo era in ordine e non aveva nessun segno di abbandono, anzi, pareva relativamente nuovo. Salii i gradini e suonai un campanello a caso sulla placca di ottone. Il cuore mi batteva forte, non avrei saputo dire se avrei preferito sentire una voce umana oppure no. Attesi qualche secondo, niente. Provai un altro campanello, stesso risultato. Allora mi allontanai e provai un altro portone e poi ancora un altro e un altro ancora. Niente. Sempre e solo silenzio. Provai ad entrare in un negozio di scarpe, chiuso. Feci qualche passo e provai ad aprire l’ingresso di un fast food. Con mia grande sorpresa la porta si aprì, il classico campanello suonò. Rimasi bloccato sull’uscio in attesa degli eventi, ma non accadde nulla. I tavoli erano tutti vuoti, non c’era nessuno. Lentamente, quasi avessi paura di disturbare quel maledetto silenzio onnipresente, andai dietro il bancone, anche se sapevo cosa mi aspettava. Infatti pure la cucina era deserta, gli oggetti erano sparsi sui piani di lavoro, ma non c’era cibo, da nessuna parte. Improvvisamente udii un rumore, trasalii e mi precipitai con il cuore in gola verso la sala principale. Qui mi guardai intorno. Ancora niente, era solo il vento che aveva fatto sbattere la porta. Uscii di corsa come se avessi paura di rimanere intrappolato lì dentro. Ne avevo abbastanza di quel posto. Avrei potuto cercare ancora, provare ad entrare in altri negozi, suonare ad altre porte, ma ormai mi ero convinto che il risultato sarebbe stato sempre lo stesso. La mia mente continuava a rimuginare in cerca di una spiegazione razionale. Nei giorni precedenti avevo regolarmente ascoltato la radio, se ci fosse stato qualche pericolo incombente tale da far evacuare una città intera ne avrebbero sicuramente parlato. Tornai alla mia macchina ormai in preda ad una forte sensazione di angoscia. C’era qualcosa di strano nell’atmosfera di quel paese, un alone quasi spettrale sospeso nell’aria. La totale assenza apparente di vita provocava un’emozione stringente, come di asfissia. Ripartii e in breve mi trovai nuovamente sulla strada principale. Mi venne la curiosità di tornare indietro per vedere il semaforo. Era ancora rosso? Almeno lui dava qualche segno di vita? Feci inversione di marcia. Arrivato al semaforo mi fermai. Rosso, ovviamente. Ero stanco di quel posto e di quella sensazione soffocante, sembrava che qualcosa di molto brutto fosse successo e stesse per accadere ancora, questa volta a me. Decisi di andarmene, e anche in fretta. Pestai sull’acceleratore proseguendo dritto per la mia strada quando in modo automatico diedi un’occhiata allo specchietto retrovisore. Non riuscivo a credere ai miei occhi. Nello specchietto vidi una bambina! Aveva un vestitino rosso e con una mano reggeva una bambola che le penzolava accanto. Fermai di colpo la macchina, mi girai e la vidi. Non era un’allucinazione, era vera! Sembrava piccola, avrà avuto sì e no tre o quattro anni.Rimasi per qualche secondo fermo a fissarla, era a circa cento metri di distanza da me. Anche lei pareva guardarmi, poi improvvisamente si voltò e girò l’angolo. Dovevo raggiungerla! Magari era in pericolo. Pestai sull’acceleratore, le gomme striderono mentre invertivo la marcia. In pochi secondi arrivai all’incrocio dove l’avevo vista, svoltai ma lei non c’era più. Era sparita, vaporizzata. Eppure in questa strada non c’erano né portoni né negozi dove sarebbe potuta entrare. Lungo entrambi i lati si prolungavano per almeno duecento metri i muri di due vecchi magazzini e non poteva essere andata lontano, ci avevo messo solo pochi secondi per raggiungerla. L’angoscia crebbe, ormai ero letteralmente terrorizzato. Mi sentivo in pericolo. Avevo visto realmente quella bambina, non me l’ero sognata. Dove poteva essere sparita? Se un’auto l’avesse portata via in quel silenzio nei avrei sicuramente sentito il motore. In lontananza l’avrei anche vista dato che la strada proseguiva dritta. Mi inoltrai per quella via. Dopo i due magazzini si aprivano dei campi piatti rinsecchiti dal sole, poco più avanti ricominciava il deserto. Girai ancora una volta la macchina e tornai indietro. Poco prima di arrivare all’incrocio notai qualcosa luccicare per terra. Fermai la macchina e scesi. Era la bambola che avevo visto in mano alla bambina. Mi avvicinai lentamente, ormai mi aspettavo che anche questa bambola sarebbe sparita e invece non successe nulla. La presi in mano. Era una normalissima bambola di plastica con dei capelli biondi e un vestitino luccicante. Tornai a guardarmi intorno ma non vidi niente e nessuno. Ancora una volta solo il silenzio e il vento del deserto. Risalii in macchina e tornai sulla mia strada, ben deciso a non fermarmi per nessuna ragione al mondo, qualsiasi altra cosa avessi visto. Non mi stupii più di tanto quando, non appena uscito dal paese, la radio si riaccese. Quello che invece mi sorprese fu che la musica riprese esattamente dal punto in cui si era interrotta. Com’era possibile? Non era una cassetta o un cd che si poteva bloccare e ripartire dallo stesso punto, era la radio! Dopo tutto quel tempo trascorso da quando la radio aveva smesso di funzionare dovevano trasmettere qualcos’altro e non mi sembrava probabile che per l’appunto ritrasmettessero la stessa canzone. Era come se, attraversando quello strano posto abbandonato, fossi entrato e poi uscito in uno spazio vacuo privo del tempo e di vita. Tranne per quella bambina. Ma ero poi così sicura di averla vista davvero?