Effetti demografici della Grande Guerra nel breve e nel lungo periodo

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Effetti demografici della Grande Guerra nel breve e nel lungo periodo
Effetti demografici della Grande Guerra nel breve e nel lungo periodo
Antonio Golini*, Elena Grimaccia**
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Introduzione
Lo studio ha lo scopo di presentare, nel centesimo anniversario dello scoppio della Grande guerra in Italia,
un panorama degli effetti demografici del conflitto.
La guerra, oltre alle perdite dirette, produce, infatti, indirettamente danni molto gravi alla popolazione
civile, con la diminuzione della nuzialità e della natalità e con l’aumento della mortalità.
In particolare, la Grande guerra causò una rivoluzione dal punto di vista demografico, con un crollo della
popolazione colmato solo dopo anni, e con una riduzione della consistenza delle generazioni interessate dal
conflitto che si è trascinato per decenni, anche per sua la eco nel lungo periodo sulle mancate nascite.
La principale fonte storica utilizzata è la pubblicazione di Giorgio Mortara che, nel libro «La salute pubblica
in Italia durante e dopo la grande guerra»1, solo 6 anni dopo la fine della guerra, traccia un bilancio
lucidissimo e assai approfondito degli effetti del conflitto mondiale sulla popolazione.
L’Istat non ancora istituito, l’autore utilizza dati della Direzione Generale della Statistica (Atti di stato civile,
Statistiche delle cause di morte) o della Sanità Pubblica e Militare per fornirci informazioni preziose e
analisi dettagliate della demografia al tempo della Grande Guerra, non solo per l’Italia ma anche per i
principali Paesi europei.
Da ricordare anche gli studi di Franco Savorgnan, che sarà presidente dell’Istat dal 1934 al 1943, utilizzati
dallo stesso Mortara2.
1.La prima conseguenza dell’entrata in guerra: il crollo della nuzialità.
Il richiamo sotto le armi di milioni di uomini e il disagio economico causato dalla guerra esercitano una
influenza immediata, nel senso di una diminuzione della nuzialità. Da circa 7 matrimoni ogni mille abitanti,
il tasso di nuzialità crolla a meno di 3. Dopo la fine della guerra si assiste a un forte recupero.
Oggi abbiamo 3,5 matrimoni per 1000 abitanti, quasi pari al picco negativo della prima guerra mondiale e
inferiore ai valori del secondo conflitto mondiale.
Tra gli effetti nel breve periodo, riguardo la nuzialità, il Mortara stima un disavanzo di circa 569mila
matrimoni nel periodo bellico, rispetto al quinquennio precedente. Inoltre, stima in 565mila il recupero
post-bellico. Il disavanzo dei matrimoni tra celibi e nubili rimane negativo (-45mila) mentre il recupero
avviene soprattutto grazie ai matrimoni di vedovi e vedove.
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Laterza, Bari 1925 (593 pagine)
Savorgnan Franco, Demografia di guerra e altri saggi, Zanichelli (Bologna) 1921
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*Università di Roma “La Sapienza”
**Istat
SIS-AISP Giornate di studio sulla popolazione 2015
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Figura 1. Matrimoni - Anni 1901-1960 e 2012 (valori assoluti e per mille abitanti)
Fonte: Istat, serie storiche: Istat, Ricostruzione della popolazione residente e del bilancio demografico
Il Mortara fornisce anche i dati dell’epoca sui matrimoni per età degli sposi. Prendendo in considerazione i
numeri indici dell’età delle spose (fatto pari a 100 la media del periodo 1911-1918) si evince una
diminuzione fortissima della nuzialità nelle età giovanili. Nel 1918, , la nuzialità si riduce a un terzo fino ai 25
anni e alla metà tra i 25 e i 30 anni.
L’autore presenta anche un confronto internazionale, dal quale emerge che il tasso di nuzialità in Italia era
al livello degli altri paesi europei prima del conflitto, è calato di più durante la guerra e la ripresa è stata
molto sostenuta, anche rispetto agli altri paesi.
2. «Tra i danni di natura demografica che la guerra determina, il più grave è quello che colpisce la
natalità»
Nel corso del conflitto, le generazioni si assottigliano: nel 1918 ci sono 500 mila nati in meno rispetto a
prima del conflitto.
Nel complesso – tra il 1915 e il 1919 – nascono 1 milione di bambini in meno rispetto al quinquennio
precedente.
Diversamente dai matrimoni, non si assiste a un recupero, ma solo a un ritorno ai livelli pre-guerra.
In base ai dati dell’epoca forniti dal Mortara, il calo della natalità fu particolarmente forte nelle Regioni di
confine (Piemonte, Lombardia, Veneto) e non venne recuperato negli anni subito successivi al conflitto. Il
recupero negli anni successivi è minimo: 88.882 nati in più tra il 1919 e il 1922. Mortara sottolinea: «La
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quasi mancanza di compenso colpisce maggiormente perché il disavanzo dei 600 mila matrimoni era stato
quasi completamente recuperato nel 1922». Nel complesso, l’autore valuta il disavanzo delle nascite in
1.452.841 nati nel periodo bellico rispetto alla media 1911-13.
Operando un confronto internazionale in base ai dati dell’epoca, emerge che la diminuzione della natalità
durante il conflitto in Italia fu di entità maggiore che in altri paesi. Il numero di nati vivi passò da 31,1 nel
1914 a 18,1 nel 1918. L’Italia, però, partiva da livelli molto elevati di natalità rispetto agli altri paesi europei:
il numero di nati vivi per 1000 abitanti era pari a 26,8 in Germania, 23,8 in Inghilterra e 17,9 in Francia. Si
assistette, dunque, ad un avvicinamento tra l’Italia e gli altri paesi europei rispetto alla natalità.
Figura 2. Natalità in alcuni paesi europei - Anni 1912-1919 (nati vivi per mille abitanti)
Fonte: Giorgio Mortara, La salute pubblica in Italia durante e dopo la guerra, Laterza, Bari 1925
Considerando le conseguenze nel lungo periodo, dopo il brusco arresto degli anni del conflitto, la natalità in
Italia iniziò a declinare: successivamente al ritorno al tasso di natalità ante-guerra (pari a 32 nati vivi ogni
mille abitanti nel 1920), non si assistette a nessun recupero, anzi iniziò una diminuzione che non si è poi più
arrestata fino agli anni Sessanta (ad esclusione dell’interruzione e recupero nel corso della Seconda Guerra
mondiale). A seguito della grande guerra ci fu dunque una modifica del fenomeno nel senso di un
avvicinamento ai valori del fenomeno registrati nell’Europa Centrale e Settentrionale.
Il disavanzo delle nascite rispetto al periodo «normale» ha un effetto «eco» a distanza di 25/30 anni. Tale
effetto, tuttavia, non è del tutto avvertibile perché –proprio in quel periodo - drammaticamente l’Europa
ha provocato la seconda guerra mondiale.
3. Macrotendenze demografiche: la mortalità
Il numero di morti nel primo conflitto mondiale fu enorme, in conseguenza delle trincee e per il
coinvolgimento della popolazione civile. Nel quinquennio si stima ci furono 4 milioni 700 mila morti, 1,2
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milioni in più del quinquennio precedente e 1,5 milioni in più rispetto al quinquennio successivo. Basti
pensare che nel secondo conflitto mondiale il numero «in eccesso» di morti stimato – in un periodo più
lungo – arriva a 700 mila.
Nel periodo precedente il conflitto, si era assistito ad una evidente diminuzione della mortalità: Mortara
sottolinea che «il numero medio annuo di morti per 1000 abitanti, che si aggirava sui 30 all’inizio del
cinquantennio 1864-1913, si era abbassato sotto i 20 intorno al 1911».
Tale tendenza alla riduzione della mortalità registrata negli anni precedenti al conflitto si interrompe,
dunque, bruscamente: nel periodo bellico la speranza di vita si riduce di 10 anni, fino a toccare nel 1918 i
30,5 anni per gli uomini e i 32,1 per le donne (nel 2012, 80 anni per gli uomini e 84 per le donne).
Il comando supremo fornisce anche i dati delle perdite nelle principali operazioni militari. Al 1925, il dato
più attendibile che si possieda - secondo il Mortara – indica 564mila militari morti.
Figura 3. Decessi di militari nelle principali operazioni – Anni 1915-1918
Fonte: Giorgio Mortara, La salute pubblica in Italia durante e dopo la guerra, Laterza, Bari 1925
A questi dati va aggiunto l’aumento delle morti tra i civili a causa della guerra: 600 mila persone nel
quinquennio di belligeranza.
In base alle informazioni disponibili all’epoca, nel periodo precedente la grande guerra, la mortalità italiana
appare poco lontana da quella dei paesi europei più progrediti: inferiore rispetto ad Austria e Spagna e di
poco superiore in confronto a Germania e Svezia.
Nel 1915, la mortalità inizia ad aumentare e tocca un picco negativo nel 1918 (33 morti ogni 1000 abitanti
in Italia). In particolare, «l’eccesso di mortalità del 1918 su quella normale si sia manifestato soprattutto
per le età infantili e senili».
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Le conseguenze dell’enorme riduzione della natalità e del forte aumento della mortalità si ripercuotono
sulla popolazione italiana per decenni: nel 1961, più di 40 anni dopo la fine del conflitto, sono ancora visibili
sulla piramide dell’età gli effetti del calo delle nascite della Grande Guerra, con una riduzione della
popolazione tra i 40 e i 45 anni; nel 1991, gli effetti demografici sono ancora visibili nella distribuzione per
età (tra i 70 e i 75 anni).
E’ intuibile l’effetto «eco» di lungo periodo, che però si sovrappone con le conseguenze in termini
demografici della seconda guerra mondiale.
Figura 4. Popolazione per sesso ed età – Anni 1961 e 1991
Fonte: Istat, serie storiche: Istat, Ricostruzione della popolazione residente e del bilancio demografico
4. Macrotendenze demografiche: le migrazioni
Nell’agosto 1914 viene emanato un decreto che vieta l’emigrazione di tutti i cittadini maschi tra i 19 e i 39
anni. Nel 1915, quindi, si interrompe l’enorme flusso di emigrazione, che aveva toccato il suo massimo nel
1913, con quasi 900 mila emigrati dall’Italia (oggi abbiamo in Italia circa 40mila espatri).
Già negli anni precedenti il conflitto si era iniziata ad attuare una politica che favorisse i rimpatri.
Il conflitto europeo ebbe una ripercussione immediata sul movimento di emigrazione e d’immigrazione
(rimpatrio degli emigrati, fuoriusciti, profughi, internati, deportati..).
I movimenti di popolazione furono enormi anche all’interno del territorio italiano. La grande guerra fece
scoprire a decine di migliaia di meridionali l’esistenza di un’altra Italia e fu elemento di unificazione: i
soldati del Mezzogiorno, inviati al fronte, attraversarono tutta l’Italia e combatterono in trincea, fianco a
fianco con commilitoni di altre origini.
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5. Conseguenze sociali
La frequenza delle scuole primarie non venne interrotta a causa della guerra. Tuttavia, è evidente – negli
anni 1921-1926 – una forte diminuzione della popolazione scolastica, dovuta alle mancate nascite degli
anni di guerra.
Per anni, la guerra determinò una enorme perdita in termini di capitale umano. Ad esempio, la tendenza
all’aumento degli iscritti alle scuole secondarie registrato fino al 1915, si interrompe durante il conflitto e si
assiste a un calo degli iscritti già nel 1916.
Anche in termini di consistenza della popolazione in età attiva, la perdita di capitale umano, verificatasi tra
il 1911 e il 1921, fu enorme e ancora visibile 40 anni dopo.
Conclusioni
La Grande guerra determinò, anche rispetto ai fenomeni demografici, un “terremoto”: oltre all’enorme
numero di morti militari, dovuto alle modalità di combattimento e alla diffusione della guerra di trincea,
anche le perdite della popolazione civile furono ingenti. All’aumento della mortalità, si associò una drastica
diminuzione della nuzialità (che venne recuperata negli anni subito successivi al conflitto) e ad un crollo
della natalità che non venne, invece, recuperato.
L’analisi nel lungo periodo ci ha consentito di illustrate l’enorme entità dei fenomeni demografici –molto
più intensi che nella seconda guerra mondiale – e di verificare la forte eco demografica che ha avuto
ripercussioni fino a pochi anni fa.
L’utilizzo di fonti dell’epoca ci ha, inoltre, permesso di delineare un ritratto dettagliato delle vicende della
grande guerra.
Bibliografia essenziale
Golini Antonio, Migrazioni interne, distribuzione della popolazione e urbanizzazione in Italia, in AA.VV. Un
secolo di emigrazione in Italia, a cura di Rosoli, Roma, 1978
Istat, L’Italia in 150 anni. Sommario di statistiche storiche 1861-2010, Roma 2011
Mortara Giorgio, La salute pubblica in Italia durante e dopo la guerra, Laterza (Bari) 1925
Savorgnan Franco, La guerra e la popolazione, Zanichelli (Bologna) 1918
Demografia di guerra e altri saggi, Zanichelli (Bologna) 1921
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