scarica la prima trentina di pagine - Diana Est was here!

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di Enrico Panzi – versione 2.0 ● http://dianaest.altervista.org
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Verso l'epilogo severo e inevitabile.
Capitolo 1: non sempre i lunedi andrebbero iniziati.
Capitolo 2: una testa non è mai completamente vuota.
Capitolo 3: di solito, morire è l'ultima cosa che si fa.
Verso l'epilogo severo e inevitabile:
prima confutazione delle apparenze collettive.
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Capitolo 4: l'anno, una serie di trecentosessantacinque delusioni.
Capitolo 5: Tenax.
Capitolo 6: l'amore esiste perché serviva una stupida rima.
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Capitolo 7: l'intelligenza ha meno applicazioni di quanto si creda.
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Capitolo 8: eppure, magari qualcuno è pure stato felice.
Capitolo 9: cadi dal 30° piano e per i primi 29 andrà tutto bene.
Capitolo 10: nessuno uccide mai lo stesso uomo.
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Capitolo 11: la salma è la virtù dei morti.
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Capitolo 12: chi non muore è già morto.
Capitolo 13: la vita è la principale causa dei decessi.
Capitolo 14: estinti saluti.
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Capitolo 15: in girum imus nocte et consumimur igni.
Capitolo 16: l'ombra non dà dolore.
Capitolo 17: essere soli non è la compagnia peggiore.
Verso l'epilogo severo e inevitabile:
In Excelsis.
Verso l'epilogo severo e inevitabile:
seconda confutazione delle apparenze collettive.
Verso l'epilogo severo e inevitabile:
punto di vista laterale sulle libertà.
Verso l'epilogo severo e inevitabile:
argomentazione del 95%.
Verso l'epilogo severo e inevitabile:
Ouroboros.
Epilogo severo ma inevitabile.
Capitolo 18: donne, è arrivato l'arrotino!
Capitolo 19: nulla è più veloce del buio.
Bonus-track.
Autorizzo l'uso dei miei dati personali ai sensi della L. 196/03.
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Verso l'epilogo severo e inevitabile.
Mi chiamano prepotente, crudele e cinico. Poi ho anche dei difetti, come tutti.
Dicono che sono noioso, solitario e mentitore. Balle! Non sono un mentitore.
Io sono l'unico che non lo è, in questo pianeta di bugiardi. Bugiardi talmente
disabituati alla verità che morirebbero se qualcuno gliela raccontasse.
La somma di tutte le verità è un valore costante nel tempo, e la popolazione è
in continuo aumento.
Sì, le modalità delle sparizioni comprendono circostanze di singolare atrocità.
La sofferenza è una scorciatoia verso l'Assoluto, è vero o non è vero? No che
non è vero – è solo una delle cento frasi senza senso che si scrivono per
apparire torbidi e sinistri, comunque migliori di quello che si è – ma non può
essere nient'altro. Un atto necessario, splendente di una bellezza antica e
feroce; un atto misericordioso, ché la morte si sconta vivendo e solo gli stolti
deplorano l'interruzione di una pena; un atto benemerente, perché ogni
epigrafe tombale dimostra come le virtù acquisite col decesso abbiano effetto
retroattivo.
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Capitolo 1:
non sempre i lunedi andrebbero iniziati.
"errore di lettura. carta non valida, o carta non inserita.
inserire una carta valida".
Sempre brillante l'intelligenza dei lettori automatici. Chi ha programmato i
messaggi di errore non si preoccupa mica di fare valutazioni approssimative:
me lo immagino ai fornelli con la moglie che gli chiede quanto ci vuole ancora
per la pasta, e lui risponde "spaghetti non pronti, o spaghetti non presenti".
Lei la prenderebbe bene.
La carta è inserita a regola d'arte, è in corso abbondante di validità e il gesto è
lo stesso che faccio ogni mattina da anni. Forse mi rimbalza indietro per la
foto. Se si fosse davvero come nella foto del badge aziendale oppure come in
quella del passaporto non dovremmo essere lì - dovunque sia "lì" – ma si
dovrebbe essere in clinica provvedendo agli accertamenti del caso. Ed è logico
che la foto sul badge sopra alla scritta Ing. Luca Pacioli non faccia eccezione.
Arriva sempre un momento in cui la tecnologia va sostituita con qualcosa che
funzioni davvero: l'azione richiede una liturgia precisa, per cui giro e rigiro la
card con plastica gestualità prima di strusciarla sullo chassis del dispositivo,
come negli anni 70 quando si sfregavano le cento lire con ritualità ieratica
prima d'avviare il compianto flipper Gottlieb; poi rimane da sacramentare
l'intero pantheon che le culture umane hanno sviluppato per casi simili, e
finalmente si può reinserire il manufatto con sicurezza e decisione nella
posizione corretta.
"errore di lettura. carta non valida, o carta non inserita
ecc."
Tecnicamente esiste un unico modo per inserire una card a banda magnetica
in un lettore di card a banda magnetica: ciò nonostante, il modo giusto può
impredicibilmente coincidere con uno qualsiasi dei quattro che la geometria
consente. E' una fortuna che la vasta pluralità dei culti metta a disposizione un
così ampio campionario di divinità su cui rivalersi quando occorre. Omaggiati
a dovere cieli uranici ed empìreo – senza dimenticare eventuali potenze
ctoniche ché non si può mai sapere - brandisco l'artefatto e lo reinserisco al
contrario.
"errore di lettura. carta non "
Per ampiezza di scelta, le religioni politeiste sono di gran lunga da preferirsi.
"errore di "
Messaggio gratuito: la divinità da lei invocata non è al momento raggiungibile.
Agile estrazione, veloce rotazione lungo l'asse maggiore di simmetria, e
caccio di nuovo dentro.
"errore "
Un corollario della Legge di Murphy prevede che se esiste un'unica maniera
corretta per far funzionare qualcosa su N possibili, essa non verrà mai
individuata prima dell'N-esimo tentativo: quindi non me la prendo più di tanto
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e ricaccio dentro il plasticone nell'altro verso.
"err "
Forse ho sbagliato azienda, o città, o nazione, o pianeta. Forse il lunedi
mattina appartiene a un continuum spazio-temporale del tutto separato.
Eppure riconosco la sbarra, riconosco logo e insegna, riconosco le auto dei
colleghi laggiù in fondo nel parcheggio, riconosco le inutili telecamere della
sorveglianza e riconosco il pulsante dell'assistenza. Le probabilità di trovarmi
nel posto giusto sono piuttosto a favore.
Finalmente mi abbagliano da dietro. Stavo in pensiero.
Toh, il bel tomo del Commerciale arriva già a quest'ora. Per uno che fa la vita
che dice di fare mi sembra un po' prestino. Gli dedico il minimo sindacale di
sguardo nel retrovisore, mentre lo specchietto mi rimanda una parata di
vetture nervose e assonnate. Qualcuno aggiunge la colonna sonora: ben fatto,
i lunedi vanno iniziati con una sana e bendisponente strombazzata di clacson.
Ora con un riflesso pavloviano la sbarra si alza impigrita, come quei cani ai
cancelli che si stiracchiano annoiati quando capiscono che sei innocuo. Il tizio
della vigilanza dev'essere un tipo pratico: sbarra aperta uguale fine del casino.
A modo suo è il mediocre Cerbero che tutti qui in coda sappiamo di meritarci.
L'Azienda. Le linee e i volumi della sede centrale rimandano a forme laconiche
da centro direzionale, ibridate dai gravami luminosi e iconografici dell'estetica
web e di una certa sguaiata figaccerìa new-media: grossolani apporti barocchi
che testimoniano di un'incompiuta new-economy, o di quel che ne rimane.
Il Viaggio. Si guida attraverso un'area manufatturiera, sezionata equamente da
un lungo nastro di bitume infiocchettato nel suo cantiere perenne. Una zona a
cui il ribollente sviluppo degli anni sessanta e gli investimenti a credito
d'imposta vi sovrapposero una texture brutale e forse inevitabile. Branchi di
pachidermi a quattro assali ritmano di un cupo surround questo scorcio di
territorio, minacciano una pista ciclabile fatta di dieci pezzi non collegati,
ricolmano le mille rotatorie pret-a-porter che hanno estinto gli incroci a raso,
secondo i dettami più trendy in tema di lavori pubblici. Entro il perimetro della
rotonda, le mani pietose di chissà quale cooperativa sociale hanno deposto
dolenti ulivi bonsaizzati.
La Tecnologia. Uno sfortunato progetto di cablatura si è accanito sul manto
stradale, povere frattaglie di fibre ottiche giacciono ricomposte ai lati dello
sfregio atroce e necrotico, pensionati dello stesso tono di grigio osservano
esperti lo sbudellamento e scuotono la testa. Il reticolo d'asfalto circoscrive
aree di stoccaggio che ospitano monocromi capannoni prefabbricati, austeri e
severi come chiese romaniche, modulo base di uno schema moltiplicato fino
all'orizzonte, repliche infinite come le tessere mute dei mosaici di Escher.
Il Cielo. Su qualche sfondo a favore di luce, poche ciminiere mute frugano
nella foschia in bassa quota, abbandonate alla loro solitudine da una
deindustrializzazione archeologica. Il business si muove e non rimane mai
uguale a se stesso: e come un leviatano che non si è adattato all'evoluzione,
un edificio ciclopico si erge paralizzato e incompiuto, descritto dalle colonne
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portanti e dalle travature ripetute di ogni piano nel silenzio cieco di pareti
assenti, lo scheletro vuoto e drammatico di un investimento fallito, requiem a
un'attività che non è mai cominciata.
L'Anima. Metastasi diffuse e coperte di eternit punteggiano i comparti della
suburbia. Una trama di modernità intessuta di degrado e decorata di abusi: il
fatturato come misura di un territorio straziato, la piana come un immenso
squarcio di Fontana, ovunque una topografia teratomorfa immaginata da
geometri pazzi. Al crepuscolo, le insensate architetture lovecraftiane celano
inconcepibili deità gorgoglianti, nelle ombre degli insediamenti produttivi
abbandonati, abitati nell'ora più buia solo dai magri gaunt della notte...
La Morte. Attiguo a una trattoria per autostrasportatori, un ettaro di cemento
adibito a parcheggio non è sopravvissuto alla scorsa estate ribollente, quando
ha gridato stupito prima di schiantarsi in una ragnatela di crepe.
« Io ne ho viste più di voi e quindi ve lo ridico: si può fare con le noccioline e
con le scimmie ammaestrate! Stesso risultato però si risparmia il Maalox. »
Il vocione da Barry White alterato invade i pochi metri cubi dell'ascensore,
mentre le porte shiftano e mi aprono i molti metri cubi dell'interno aziendale.
Due voci più tenui provano a contrastare la voce solista, che non sembra
riscuotere il consenso totale che va cercando sulle proprie argomentazioni.
« Ah sì? E allora perché io sono anni che spendo di più in gastriti che in
puttane? Vi pare normale, eh? Forza, ditemelo se vi pare normale! »
Mentre le porte si richiudono si sente solo il vocione che sovrasta le due voci
più tenui – che evidentemente hanno dato la risposta sbagliata. Gastriti,
addirittura. Sempre belle le mattine post-posticipo in pay-tv. L'ascensore si
apre nell'area distributori automatici & macchinette, la zona ristoromatica
dove adulti golosi possono finalmente sbafarsi quelle merendine che madri
accorte un tempo razionavano, e quindi innaffiarle con bevande di sintesi
all'improbabile gusto di caffè. Sappiamo tutti che questo caffè sta al caffè
come una Prinz verde sta ad una Bmw, eppure io - come tutti - ne ingoio a
litri: dopo anni di parcheggio/ascensore/macchinette, lingua e palato sono
ormai felicemente simbionti di quel bicchierino di pece liquida con la
consistenza della melassa. Ci metto l'extrazucchero e poi al bar prendo
l'aspartame per darmi un tono. L'ambiente forgia specie e condizioni sociali:
la vecchia lezione di Darwin e Marx rimane valida anche nel minimalismo della
tecnologia di consumo. E dopo lo strombazzamento alla sbarra d'accesso mi
merito una botta di vita e mi seleziono pure il macchiato, all'impareggiabile
gusto Bayer + Procter & Gamble.
Il guiderdone virtuale esce dalla mia chiavetta e ingrassa il chip del
robocaffettaro, e intanto ogni sbadiglio dà un po' più di consistenza alle
ombre di quest'azienza: c'è quel vecchio gagà dell'Ufficio Contratti, i capelli
come il casco di Lord Fener; quel tizio del reparto Comunicazione che non mi
ricordo come si chiama né voglio saperlo, che se gli gratti via la patina da
snowboardista ci trovi un quarantenne che fa "aiuto, fatemi uscire di qui"; il
vicecapo delle Risorse Umane, detto Pestìcciacravatte per la statura fisica e
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morale non proprio da watusso – difatti dicono che la testa gli puzzi di piedi.
L'azzeccagarbugli del Legale, che da quando si è dato ai villaggi all-inclusive
ha messo su trenta chili e adesso sembra uno che s'è mangiato quello di
prima: gli accappatoi bianchi a nido d'ape che ruba in ogni albergo hanno
sempre le taglie crescenti. Meno male che all'ultimo sbadiglio appare quella
topolona della Sales Accounter, sventola anticoncorrenza che la dà in giro
chirurgicamente, e che mi fa completare il setting della messa a fuoco.
Il calcio è pretesto eccellente per appiattirsi l'encefalogramma quando più ce
n'è bisogno, e io adoro lanciarmi allo sbaraglio nelle discussioni sul posticipo.
« Salve a tutti e tre. Ai nostri bisognerebbe fargli fare un paio di giri dello
stadio a pedate, giusto? E quella palla sotto porta l'avrebbe cacciata dentro
anche Mister Magoo, secondo me. E poi dare una stecca sulle tibie quando
serve, ma dico pareva così brutto? »
Di solito sono una persona corretta e di principi complessivamente passabili,
ma una partita è una partita, o sbaglio? Ora che sono intervenuto a piedi uniti
nel braintrust, ascolterò la replica di repertorio e dopo la butterò giù dura
sull'allenatore e infine straparlerò a capocchia di moduli e sostituzioni, nella
più completa indistinguibilità da una media trasmissione sportiva. Come tutti,
mi piace apparire più competente di quello che sono e avere l'ultima parola una qualsiasi ultima parola - prima di varcare la soglia dell'ufficio.
Le due voci tenui mi salutano coperte dalla vociona che sbràca.
« Luca ma di che cosa chiacchieri? Qui si parla del mio stomaco, lo capisci o ti
serve un disegno? Ah, prendi nota: cravatta da vomito, bravo. »
Rufus Cantalamessa, maschio alfa del branco, è un buon diavolo e pure bravo
nel suo lavoro. Peccato per il carattere, che gli estimatori non esiterebbero a
definire “di merda”. Poi mi fa rabbia quando butta lì una frase e non la motiva,
quando insieme al suo mezzotoscano spento biascica arroganti asserzioni
come fossero verità universali. D'altronde l'unica maniera che gli ingegneri
possiedono per suscitare attesa e interesse nell'interlocutore è il favellare
criptico e asseverativo, mica la brillantezza sociale o l'adesione alle ultime
tendenze: tutto ciò che sta intorno alle formule – si tratti di chiacchiere o
vestiti - è soltanto fuffa. Vanno molto le camicine azzurrine a mezzemaniche
e le biro nel taschino, calzoni antracite sformati e calzino corto abbinato, nella
scelta biancastro o pervinca. Prendiamo l'analista software Bombardini
Andrea: sono più che sicuro che prima di uscire di casa si è pure infilato il
gileino beige di lana pettinata, ma poi ha deciso che aveva caldo e non perché
sentisse caldo, ma perché ha letto la temperatura sul termostato ambiente che
garantisce la precisione adeguata. Il programmatore senior che completa il
tris ovverossia Tagliasacchi ingegner Eugenio, poi, deve essere rimasto l'unico
semicalvo che invece di radersi del tutto opta per il riportone selvaggio e
phonato. Almeno io ho ancora tutti i miei capelli, e sulla camicina azzurrina a
mezzemaniche ci piazzo una nota di colore che secondo me non sta male.
« Va là Rufus, che le tue cravatte le usano gli ottici per il rinnovo della patente.
E poi cos'è che non avrei capito? Sei soddisfatto della partita di ieri sera? »
« La partita...? O-oh, c'è qualcuno in casa? Qui si parla della riunione di
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venerdi pomeriggio, e quindi del mio stomaco e quindi del Maalox. »
Nel caos stocastico di quest'azienda, una regola fissa emerge dal disordine e
si staglia sul rumore di fondo: prenditi un giorno di ferie e al rientro niente
sarà come prima. Correlazione statistica o nesso causale? Boh, però tutti
sanno che per far arrivare il tuo autobus basta accendersi una sigaretta. Mi
pare che fosse convocata una riunione dell'area tecnica nella sala accanto al
gineceo – cioè il call center interno, e già la scelta tradiva la tipica malizia da
nerd in ambasce tardopuberali - su un lavoro che seguo di sguincio. Dunque
mi dovevo essere perso qualcosa di notevole. Attendo il seguito della frase ma
Rufus come di consueto la lascia lì, appesa a mezz'aria, agganciata
dondolante al suo punto interrogativo. Riunione di venerdi e quindi?
« Riunione di venerdi e quindi? »
« E quindi non ti sei ancora letto la posta? Vuoi riposarti, Luca? No, non
disturbarti a leggerla: te la stampo io, te la impagino e te la porto. Anzi ti
sottolineo pure le parti più importanti, massì, guarda, ci passo sopra con
l'evidenziatore giallo, vai a sdraiarti un momento e poi sistemo tutto nel tuo
ufficio. Ti ci porto insieme anche due paste alla crema, ti va? Sì dai, facciamo
così, cosa ne dici? »
Rufus è la Pagina della Sfinge della Settimana Enigmistica, anzi no: è il Quesito
con la Susi dei programmatori. Anzi no: unite i puntini, che cosa apparirà?
Uno stronzo, ecco cosa apparirà.
« Senti Rufus, ho appena passato il badge e mi hai appena visto uscire
dall'ascensore: da dove l'avrei letta la posta, dal gabbiolo della vigilanza? »
« Figurati se con la gastrite devo pure stare attento a chi esce dall'ascensore.
Comunque venerdi c'erano anche quelli del Marketing e del Commerciale. »
Commerciale e Marketing da una parte, sviluppatori software e programmatori
dall'altra, il suono di un carillon musicato da Ennio Morricone nell'aria rovente,
e da qualche parte i responsabili di progetto a completare il triello. Si tratta di
reparti preda di atavica e rancorosa incomunicabilità, radicata forse dai tempi
della prima Rivoluzione Industriale, e deve essere scorso del sangue. Rimango
con la bocca tonda che fa l'unico suono possibile. « Oh » faccio.
« Eeh » risponde.
« Dev'essere stato un pomeriggio meraviglioso. »
« Eggià. Con gente meravigliosa che in testa ha l'acqua dei pesci. »
« E quindi meglio le scimmie ammaestrate. »
« Eggià. »
Non che il lunedi mattina sia nefasto di per sé: sconta la quantità oscena di
assurdità manageriali sparse in tutti gli altri giorni. E venerdi deve essere stato
messo un altro tassello storto nella costruzione del mostruoso progettone,
che crollerà grandiosamente nella catastrofe finale.
Adesso connetterò il mio notebook alla rete aziendale, leggerò finalmente la
maledetta posta, scanserò le consuete camionate di spam accumulatesi nel
weekend, e aggiornerò il mio blog di opinioni opinabili su cui scrivo in orario
di lavoro e connessione veloce a sbafo, come gesto esemplare di ribellione al
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sistema. Allons enfants, presto, a me berretto frigio e coccarda! Danton in
confronto era Santa Maria Goretti. Titolo del post: Nessuno si salverà, o
Dell'idiozia del management.
Ci metto un po' ad accorgermi che la postazione del collega Ettore Pizzaballa
è accesa senza che lui ci sia. Dopo mezz'ora l'incompleta configurazione non
è cambiata. Termino il mio salace intervento, controllo mesto contatore degli
accessi e numero di commenti, e risollevo la fronte per un ultimo colpo
d'occhio certificatorio: Pizzaballa prosegue nel suo numero di sparizione.
« Michelone, » chiedo infine al mio massiccio collega di stanza, « ma tu hai
idea di dov'è finito Ettore? »
Michele Chimenti tira su il suo vasto capoccione e mi guarda con l'entusiasmo
con cui si accolgono i Testimoni di Geova in casa.
« Io dico solo che quell'aggeggio prima o poi ci ammazzerà tutti! »
Il deumidificatore col fancoil è stato staccato, come ogni mattina.
« Certo Michele, moriremo in modo atroce. Però riguardo Ettore... »
« Quell'arnese può ucciderci. Ci troveranno domattina con la lingua di fuori. »
« Lo dici di continuo e poi ogni mattina sei sempre vivo. »
Stavolta sembra gli abbiano proposto direttamente di abbonarsi alla Torre di
Guardia, scampanellando la domenica sul presto.
« Io non respiro. Quella macchina succhia tutto quello che c'è nell'aria. »
Tanto lo so che un giorno smetterà di respirare pur di avere ragione.
« Michele ho un'idea grandiosa: perché non facciamo una colletta e ci
compriamo un'altra finestra? »
Chimenti ci mette un po' a capire la surrealtà della proposta, si asciuga la
fronte sudatissima con un fazzolettone a quadrettoni cifrato MC, si allarga il
colletto fradicio della camicia e sbuffa un rantolo di fastidio.
« Non s'è visto » esala sofferente. « Venerdi è stato al telefono coi Sistemi
Informativi tutto il pomeriggio. Me ne sono andato che era sempre lì. »
Ah, ecco. Allora arriverà. Non basta mica un weekend intero per riprendersi
dalle telefonate coi Sistemi Informativi. Serve anche una fetta di lunedi.
« Oh, bene. Era giusto per sapere che è vivo. »
Vivo e fastidioso, ogni volta che avvia la sua monumentale collezione di DivX
dei Boney M e di mp3 degli anni 70, con Daddy Cool sparata a tutta cassa e
gigabyte di podcast funky. Ettore non è il tipo di persona che ci si aspetta di
trovare nei reparti progettazione software. Mai visto con camicine azzurrine a
mezzemaniche – il nostro corredo tipico per le quaranta ore a settimana più
gli straordinari – indossate su capello a riga laterale interpolato con gel
edilizio a pronta presa. Il mio collega non lo si vede mai così. Lui si coltiva
basette e capelli come i fratelli Van De Kerkhof della vecchia nazionale
olandese, e deambula in una bolla temporale gonfiatasi in piena decade
seventies che contiene pantaloni scampanati stretti alla coscia e compressi
alla patta, borsello di pelle con tracolla, camicie attillate in tessuto stretch e
dotate di un pericoloso collettone inamidato e appuntito. Nel suo armadio
tempoinvariante non può mancare il corto giubbottino di pelle di Starsky e
Hutch, abbinabile alle calzature in nerolucido col tacco quadro o magari alle
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temibili scarpe sportive Mecap garantite intraspiranti, da non riporre mai al
chiuso ma da sistemare prudentemente sul balcone. Tra miasmi azzurrini di
Alfa senza filtro o letali Nazionali Esportazione, Ettore si aggira nei nostri
giorni pensoso e diacronico, zavorrato da un vecchio Bulova da chincagliere al
polso destro e protetto dietro ai Rayban Aviator specchiati con parasudore. Mi
sono fatto l'idea che questo repertorio gli dia forza per muoversi cauto nel
decennio sbagliato, in una sua rivisitazione difensiva di quell'estetica anni 70
che ha vissuto solo di striscio, per quanto gli consente l'anagrafe. Certo che se
non avesse la sua tonnellata di fissazioni Ettore Pizzaballa sarebbe pure
simpatico. Anche la sua discomusic non è poi così male, se evitasse di aprirla
a manetta mentre la gente prova a scrivere pezzi delicati di software. Ed è
chiaro che le sue sigarette sarebbero da vietare per legge, specie quando ti
accorgi che qui ormai puzzano di fumo anche i potos. Comunque di recente
mi è parso rompesse meno i maroni, anzi mi sembrava avvilito come una
vacca in un fosso.
« Senti Michele, dato che qui con Ettore si va per le lunghe volevo vedere se gli
è già arrivato in posta quell'invito, per quel workshop sulle pubblicità nei
social network. Mi piacerebbe imbucarmici. Ti ricordi la sua password? »
« Quell'arnese si aspirerà la nostra aria e ci ritroveranno soffocati. »
« Ma ciao-ciao-ciao a tutti! Ah, ma ne manca uno. Allora ciao-ciao a tutti. »
Certi lunedi mattina sembrano costruiti apposta per non farti dimenticare che
è lunedi mattina. Si può prendere solo il pacchetto completo, lei compresa.
Avere le nostre stanze così vicine alla zona ristoromatica è un bel guaio, con
le porte che vanno tenute aperte perché secondo i guru del pensiero laterale
favorirebbe la creatività - di cosa non si sa: certo non di quello che ci serve – e
troppo spesso il guaio ha la faccia insipida di Suellen Capitone, appoggiata
all'armadio dei router, pronta a darci qualche consiglio fondamentale.
« Addio Suellen. Chimenti sta per schiattare, dai, non è carino restare qui. »
« Aspetta aspetta! Me ne sono accorta che tu clicchi-clicchi e non succede
nulla! Tu-tiseipèr-so-unabè-lla-pà-ssword, vero? Tu-tiseipèr-so-unabè... »
Cosa c'è di meglio di una filastrocca scema canticchiata in tono perculatorio
da una ragazzotta sovrappeso che si crede irresistibile, col microtop anche a
novembre per far vedere il piercing disperso su una scamorza molle e bianca,
i capelli piastrati e sbiondati con la ricrescita di tre centimetri, e l'eyeliner
sobrio della nonna di Tutankhamon? E iscritta ai gruppi Facebook più fessi?
« Ti sbagli, io non cliccavo un bel niente, e ora se ci vuoi scusare... »
« No-no-no, tu cliccavi eccome, ti ho visto! Tu cliccavi ma non ti si apre nulla
perché tu-seisèn-za-pà-ssword! Ora ti faccio vedere come si fa! »
« Come si fa a fare che? »
« A forzare la password! Forzià-mo-lapà-ssword! E' facile, ti faccio vedere. »
Suellen Capitone lavora alla Contabilità di Magazzino, ma siccome si
rintontisce con le serie di Fox Crime pensa che le manchi un niente per fare la
squinzia che sganzéggia. Adesso dev'essere nella fase hacker.
« Ah, benone. E con cosa la forzeresti, con una bolla di consegna? »
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« Ma se è facilissimo! Fa-a-cilìssimo! Fa-a-cilìssimo! » e batte pure le mani a
tempo tipo coro da curva, « e voi ve la tirate tanto coi computer e fate i fighi
ma poi se non arrivo io non li accendete neanche, » tutto in apnea, « nonliaccendé-te-neàaan-che! » e batte pure le mani, batte.
Che sciocchezza aver vietato l'uso delle mazze ferrate, quando sarebbero utili
in un sacco di occasioni. Comunque che ci provi: non caverà un ragno dal
buco e dopo la figura di guano non si farà vedere per un po'.
« Va bene, Capitone. Qual è la tua tattica? »
« Ragazzi ma siete proprio fuori dal mondo. Gli ingegneri! Siete proprio fuori.
Ma non ci arrivate? Questo qui è il computer di Pizzaballa, basta avere qualche
suo dato personale e il gioco è fatto! La gente fuori di melone usa sempre
password che si ricordano bene. Ieri sera ho visto ripulire un conto online
trovando la chiave giusta in cinque tentativi. »
« A parte il fatto che se su un conto online sbagli password d'accesso per tre
volte ti congelano l'account finché non fornisci spiegazioni convincenti e un
PIN valido. Chimenti, tu che dici? Ce la farà la nostra piratessa? »
Michele si allarga il colletto della camicia e continua a passarsi il fazzolettone
cifrato sulla fronte e sul collo.
« Non c'è la minima possibilità. E' tutto inutile. »
« Sentito, Capitone? E' una sentenza. »
« Ragazzi come siete ottusi e senza iniziativa. E perché non lo accendete quel
deumidificatore? Via, fatemi lavorare. Voglià-mo-lapà-ssword! Pàppa-pappà!
Non ci vuole niente, ve lo dico io. Nome e cognome non li provo che sarebbe
troppo banale. Però magari li provo. Non va, beh per forza! Scommetto che è
qualcosa con la data di nascita. Prendiamola dal suo profilo Facebook e
vediamo. Uhm. Moglie o fidanzate o figli zero assoluto. Forse usa la targa
dell'auto, ce l'ho qui sull'applicazione dello smartphone. Combiniamola in tutti
i modi. Mmmh... animali domestici li avrà? No, secondo me no. Infatti niente
foto sul profilo. Come farebbero con quella puzza di sigaretta? Allora... ma
certo! Programmatore, computer, numeri, troppe cose da tenere in testa,
serve un numero che ha sempre con sé... il suo numero di matricola
aziendale! Pà-ssword! Pà-ssword! Ta-tta-ttàa, ta-tta-ttàa, premo invio... »
Certo che se Ettore si è davvero scelto come password il numero di matricola,
e questa svampita mi fa fare una figura da cioccolataio che la metà basta,
giuro che appena si ripresenta in ufficio lo spalmo sulle pareti. Poi tutta quella
roba che mostra orgoglioso su eBay gliela distruggo: il miracoloso dolceforno
Harbert, il proiettore Festacolor, la Kodak Instamatic... E naturalmente la
stordita la dovrò uccidere, lei e Michelone, non posso mica lasciare testimoni,
una tale scena da peracottaro non può diventare di dominio pubblico.
Chiunque si comporterebbe in questo modo e ogni giudice lo assolverebbe.
« Acci. Non va nemmeno il numero di matricola. »
Bene bene, posso fare a meno di eliminarli. Vai cocca, schioda. Magari stai
pensando che la realtà ha una pessima sceneggiatura ma fattene una ragione.
« Acci. Uhmmm... Sono sicura che mi manca tanto così alla soluzione... ma
certo, sarà una di quelle canzoni dance stravecchie che Pizzaballa si guarda su
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YouTube! Guardiamo cosa ha taggato sul suo canale: Daddy Cool... no, allora
Rasputin... allora Belfast... niente, allora Ma Baker... uhm... com'è quell'altra,
Rivers of Babylon... »
Meno male che non funzionano manco i singoli dei Boney M perché mi stavo
cominciando a preoccupare. Bene bene bene, l'hackeraggio-fai-da-te lascia
sul campo un solo vincitore: il sottoscritto. Fa rabbia avere sempre ragione.
Vai cocca, schioda. E ora ti prendi la giusta punizione, il mio trionfo.
« Milady, ora ti darò una traccia su come funziona il mondo reale. Queste
password sono lunghe da 8 a 20 caratteri, i quali possono essere le 26 lettere
dell'alfabeto inglese maiuscole o minuscole, più le 10 cifre... »
Un trionfo odiosissimo per chi ascolta e meraviglioso per chi spiega, fatto di
cartesiana razionalità: 26 + 26 lettere + 10 cifre, più una quindicina di segni
d'interpunzione validi per un totale di 80 simboli fra cui scegliere 20 caratteri,
perciò le possibilità di azzeccare la password per tentativi casuali sono una su
80 elevato alla ventesima potenza, cioè circa 1 seguito da 38 zeri – ti piace
questo massacro Suellen Capitone? 1 seguito da 38 zeri, è un numero che
solo per esprimerlo in lettere devi prenderti ferie, capito? Questo vuol dire che
se si provasse una combinazione al secondo si impiegherebbero 3690 miliardi
di miliardi di miliardi di anni; e se ci fosse un software che tenta un miliardo
di combinazioni al secondo, si toglie semplicemente un "di miliardi" alla cifra
precedente e rimane ancora un tempo 200 miliardi di volte più lungo della
durata dell'attuale universo. Serve un tempo 200 miliardi di volte più lungo
della durata dell'attuale universo per crackare un computer con il tuo metodo
Fox Crime, capito milady? Te la sei cercata.
« Uh! Ba-sta, ba-a-sta! Com'è noiosa questa roba. Che ufficio barboso. »
« Vai Suellen, grazie del prezioso aiuto, è stato un piacere. »
Passata la strizza posso anche permettermi di fare il gradasso. E' chiaro che
non la tratterei così se fosse sexy e/o gnocca, invece non è niente di che –
anzi c'ha pure il culone e assomiglia a Miss Piggy dei Muppets – e io, come
ogni maschio ancorché laureato, reagisco in maniera primitiva all'assenza di
feromoni. Tutto considerato sono una persona piuttosto elementare.
« Visto Michele? Il nemico ha risalito le valli e la sua armata è in rotta. »
« Non poteva farcela. Nessuno può farcela. Qui non si respira. »
Intanto l'utente Ettore Pizzaballa non è al momento raggiungibile o potrebbe
avere il cellulare spento. I messaggi di errore della rete mobile li ha
programmati lo stesso tizio del lettore di badge. Forse il lieto possessore della
gommosa Ball Chair e della melliflua poltrona-sacco e del prototennis Pong a
manopole da collegare al televisore, magari a una di quelle tv Brionvega che ti
guardavano dal basso verso l'altro come un grato cagnolino, ebbene, forse
costui stacca il telefonino appena può perché quell'oggetto non è fasato col
suo piccolo mondo antico.
Poi vedo un post-it spillato come un coleottero sulla lavagna di sughero, con
sopra scritto 2#0DC;C_94-FD;&7 . Prima ancora di provare so già cos'è. E' un
deficiente di sviluppatore senior che si fa le password complicate e poi se le
spilla in mezzo all'ufficio. Ettore Pizzaballa è un bravo ex ragazzo ma
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inaffidabile e pieno di errori come tutti i programmi che gli fanno scrivere.
E difatti qui deve avere combinato qualcosa: inserisco la password, clic su OK
col tasto sinistro del mouse, e nel suo computer finalmente sbloccato non
trovo il suo software di posta. Infatti il desktop ha solo la configurazione di
fabbrica con tre icone in croce e la scheda video impostata a 16 colori, senza
la poderosa playlist funky e progressive.
Nelle comunità tecnologiche, ogni idea balzana del management crea un'onda
di pressione che si scarica sul livello gerarchico inferiore dell'organigramma.
Gli ambienti informatici sono i più esposti a questo fenomeno per la natura
essenzialmente immateriale del software, il cui costo di sviluppo non viene
percepito perché non esiste il classico processo industriale di prodotto
ottenuto trasformando materie prime. Così è frequente la richiesta di
aggiungere nuove caratteristiche a programmi già in avanzata fase di sviluppo
e test, nell'errata convinzione che si possano accrescere valore commerciale e
vantaggio competitivo con un supposto costo zero. Ma i pasti gratis non
esistono: l'incremento di funzionalità in assenza di obiettivi e scopi definiti
porta solamente...
Porta solamente a un bel casino. Il cattivo management non si risolve di certo
con un blog di testi stucchevoli, ampollosi e giudicati incomprensibili dai più benché a me piacciano, ma è un problema mio. Però non riesco a non pensare
alla riunione di venerdi scorso con Rufus e soci. Ne ho viste a pacchi e le cose
vanno sempre così: dall'area software arrivano con la documentazione
completa sullo stato dell'arte, risme di fogli A4 che grondano sudate ore di
straordinario; gli abbronzati bei tomi della divisione commerciale e i sodali del
Marketing quella roba non se la filano di striscio, e mentre osservano bovini le
rigorose slides che scorrono sul proiettore scuotono la testa e chiedono
perché il prodotto non ha ancora quella certa pulciosissima funzionalità che
pare vada per la maggiore e che il mercato richiede a gran voce, anche se tutti
sanno trattarsi di un'ideona dell'imberbe e microcefalo rampollo
frettolosamente cooptato nel board aziendale per evitare che combini danni
maggiori nella finanziaria di famiglia; a questo punto volerebbero offese
mortali se non intervenisse il mutuo riconoscimento dei ruoli, che per fortuna
– per fortuna? - evita il bagno di sangue ma non nuovi ritardi nello sviluppo
del prodotto, nuove passività contabili che la partita doppia non potrà
spiegare, e nuovissima bile tra i tecnici di pari inquadramento, mentre all'altro
lato del tavolo lo staff manageriale si bea dei privilegi d'intoccabilità di casta,
antropologicamente distante dai disastri incombenti e brandizzato da facce a
cui Lombroso avrebbe dedicato più d'una pagina. E pensare che un bel po' di
questa gente ha il curriculum come la celebre capoarea della Comunicazione
che, quand'era segretaria, ampliava a dismisura la cella A1 del foglio
elettronico e scriveva lì dentro le lettere commerciali. Anche la signora può
avere saltuariamente intercettato una mansione alla sua portata durante la
propria carriera, ché la nostra azienda non è mica peggiore di tante altre, ma
come tante altre illustra a meraviglia il Principio di Peter della Promozione al
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Livello di Incompetenza: chi sa fare bene una certa cosa lo si promuove a
farne un'altra, e via così finché raggiunge il livello di ciò che non sa fare – e lì
rimane.
Una gracchiante versione dei Carmina Burana mi scuote polifonicamente dalle
riflessioni degne di miglior causa.
« Ciao Gas. »
« Luca! Finalmente lo hai acceso quel telefono. Io veramente non capisco
come puoi stare col telefono staccato il fine settimana. Che poi la gente ha
bisogno di parlarti e non ti trova. Veramente non lo capisco Luca. »
Il mio commercialista, Federico Gastaldi in arte Gas. Ci conosciamo da
quando, piccolini e coi calzoni sbregati, rubavamo le albicocche del contadino
accanto casa, al tempo che c'erano ancora i frutteti in mezzo ai vecchi lotti
residenziali che tenevano a bada la città montante: faceva arrampicare me
perché diceva che ero più agile ma poi, quando il contadino arrivava, lui se la
batteva e io venivo preso per le orecchie. Già prudente allora, Gas, o
comunque più furbo di me – o io più fesso di lui, che queste cose sono
sempre relative. Certo che quella delle orecchie era una roba che un genitore
di oggi chiamerebbe subito l'avvocato, mentre i miei si scusavano e al
contadino dicevano pure che aveva fatto bene. Adesso Gas non gioca neanche
più a calcetto in quella squadraccia di raccattàti, I Resti del Mondo. Adesso
Gas alla prudenza ha aggiunto la sicurezza di un matrimonio più calcolato che
appassionato, la gioia temeraria di una prole vivace, e la nevrosi tipica di chi
affronta la normativa alienata di questo Paese.
« Cosa succede di così urgente? »
« Per prima cosa vedo che non hai ancora pagato il secondo acconto Irpef su
quelle collaborazioni... »
« Ma sono pochi spiccioli e poi c'è tempo fino alla fine del mese e... »
« No Luca, veramente non ti capisco. Il mandato di pagamento in banca lo
porti subito e metti la valuta a fine mese, e tutto va veramente a posto così. E
ti raccomando di chiamarmi quando hai fatto. E' tutto veramente molto
semplice ma ti prego di andare a firmare il mandato prima possibile e con
valuta fine mese. »
Io non so in quanti Paesi al mondo le tasse sono così complicate che bisogna
pagare qualcuno per pagarle – d'altronde sono i privilegi della cittadinanza –
però non è giusto che la persona che paghi per pagare le tasse ti dia di resto
la sua ansia.
« Va bene va bene per carità, considera che sia già fatto e... »
« Poi c'è l'altra cosa di quei titoli. Ho calcolato sul Nasdaq i margini della
media mobile a duecento giorni e ora la resistenza è diventata un supporto,
quindi gli scivoloni verrebbero stoppati da questa soglia. »
Un raggio di sole in un autunno cupo e senza scampo come certi racconti di
Bradbury. Stai a vedere che il prudente Gas adesso mi consiglia di azzardare
l'investimento azionario di rischio.
« Sembra una buona notizia, giusto? »
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« Veramente la notizia è molto buona Luca, veramente molto buona, e poi
siccome l'analisi tecnica non è proprio immediata il titolo non si è ancora
mosso e così si può comprarlo bene. Perciò tu Luca ora te ne vai in banca,
firmi il mandato di pagamento del secondo acconto Irpef, mi raccomando la
telefonata per dirmi che l'hai fatto e la valuta fine mese, poi smobiliti quei
fondi bilanciati difensivi e la liquidità la metti subito su quelle azioni senza
perdere tempo. Veramente Luca è un bel colpo di fortuna. »
Oddìo mi viene imposta una decisione da prendere, e per bizzarria della sorte
dal sempre prudente Gas, ché da lui non me l'aspettavo e non sono neanche
attrezzato con le contromisure. Di lunedi, poi. Una decisione vuol dire
smettere di seguire la linea di minor resistenza, significa fare una scelta chiara
invece delle mie solite mezze posizioni che mi lasciano sempre impantanato a
metà del guado, significa sentire per una volta il senso dell'urgenza, significa
piantarla di avere tutte quelle cautele verso la vita che io indosso come un
abito più stretto di una misura. E io ogni volta vado in crisi, che si tratti di una
modesta operazione finanziaria o di qualcosa di davvero cruciale. Mi guardo la
camicina azzurrina con la cravatta abbinata a caso.
« Gas, io... io lo so che non si parla di un cifrone, ma... in banca ci andrei solo
per pagare il secondo acconto e poi uscirei. Ah, e naturalmente ti telefonerei
per dirti che ho pagato. Con valuta a fine mese, si capisce. »
« Veramente Luca io non ti capisco. C'è un minimo di rischio ma è un
investimento che ti può dare delle soddisfazioni. Davvero Luca io non capisco
cosa ti serve oltre a un'analisi tecnica mediata sui duecento giorni e che... »
« Grazie Gas, non è per la tua analisi. Sono sicuro che è fantastica. Sono io che
non sono pronto a... non sono pronto ad essere pronto, ecco. E quando non
mi sento pronto ho la certezza che se prendo una decisione me ne pentirò. Lo
sai come sono fatto Gas. »
« Veramente lo so benissimo Luca. Lo so benissimo. E Caterina che direbbe? A
lei va bene così? Caterina non ti chiede di deciderti? »
« Eh, Caterina. C'è tempo, c'è tempo. »
In realtà lei è la persona giusta per me e lo so benissimo. Al solito sono io che
non voglio decidere. Lascio che qualcun altro scelga per me, oppure che
qualcos'altro mi costringa a farlo. E' più comodo subire una decisione invece
di prenderla, perché una decisione presuppone un atto di volontà, la scelta fra
due possibili linee spaziotemporali che da quel momento in poi non si
incroceranno mai più. Mi ha sempre spaventato l'irreversibilità.
« Luca tu lo sai che io di solito non insisto, però veramente ci sono delle
opportunità che con un certo metodo efficace si possono cogliere, e io sono
anche sicuro che un approccio altrettanto efficace e responsabile fa piacere a
Caterina, e difatti lei a mia moglie diceva... »
Come tanti sono permaloso e codardo, e se mi trovo in difficoltà devìo la
discussione oppure la butto in caciara per non dare soddisfazione
all'interlocutore, però questa telefonata mi mette spalle al muro e non ho
neanche una frase mordace con cui replicare, qualcosa di vigliacco con cui
inchiodare Gas alle sue debolezze. Mi può salvare solo una ritirata vile e
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ingloriosa.
« Gas, ho un'altra chiamata in arrivo. »
« Veramente Luca sono sicuro che non è vero. »
« Se ti prometto che converto metà fondo in azioni mi molli? »
« Mia moglie dice che non regali a Caterina un mazzo di fiori da secoli. »
Come no. Novembre dell'anno scorso, pensavo fossero margherite.
« Ma lo sai com'è fatta, lei non bada granché a queste cose. »
« Mia moglie dice che lei non ci bada più perché ti vuole bene e se ne è fatta
una ragione, e per non starci male ogni volta ti dice che non importa. Lei è... »
« Lei è nell'ordine d'idee di fare sacrifici e rinunce per tenermi, mentre io sono
un egoista. Ce lo ricordi spesso, Gas. So che glielo dice anche tua moglie. »
« Veramente Luca, secondo mia moglie sei egoista e pure un po' bugiardo e
un po' coniglio. »
« Sarà. Anzi, non è vero! Non sono bugiardo. »
Io lo so perché la moglie di Gas mi ritiene un po' bugiardo e un po' coniglio.
Perché non sono in grado di fare scelte chiare, e di essere almeno totalmente
bugiardo o completamente coniglio. Mi basta esserlo solo un po', senza troppi
sforzi. Luca Pacioli, bisognerebbe metterci il cuore se non vuoi lo zero a zero.
Ho davvero una videochiamata. Jeeg Robot polifonato, la nostra canzone.
« Ciao bella! Qualche vittima? Morta atrocemente? »
« Noo Luca. Sono usciti tutti sulle loro gambe. »
Riesce a dirlo con un sorriso candido e una nota calda e complice, come a far
capire che massì, un po' dispiace pure a lei ma non può mica ammetterlo. Non
so come faccia la mia Cate a fare il vicesindaco in quella Giunta Comunale di
centroqualcosa, a frequentare gente che io non toccherei nemmeno con una
canna da pesca e riuscire a rimanere intatta, coi suoi ideali, la sua capacità di
indignarsi per le giuste cause, la sua fragilità.
« Cate, non sarà la frase più originale del secolo, ma secondo me erano tutti
ammaliati dal tuo sguardo azzurro come la brezza di primavera. »
Goethe, sgombra le tue cose che io al Giovane Werther gli vado via di tacco.
« Sei il solito bugiardo! Sono un disastro, sto in ballo da stamattina. »
E così anche lei mi dà del bugiardo. Certo che scherza, però quel solito... Io lo
so che Caterina è la persona giusta per me: me lo chiedo spesso perché non le
proponga di vivere insieme, e mi autoconvinco che è perché ha i piedi freddi.
Sono proprio un maschio elementare. Oppure un bugiardo.
« Ma non è vero! Non sono bugiardo. »
« Sì che lo sei. Un bugiardo che non mantiene mai la promessa di far sparire
quelle camicine azzurrine. Non ti viene mai voglia di cambiare, di metterti
qualcosa di diverso, anzi di fare qualcosa di diverso? »
« Secondo me la camicia abbinata a questa nota di colore secondo me non ci
sta male e... »
« E chissenefrega della camicia, su, Luca! »
« Ma se sei stata tu a... »
« Ma sto parlando d'altro, non te ne accorgi? Parlo di te, no? »
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« Ah. Di me, non di come mi vesto. »
« Parlo di te e quindi parlo di noi. Come se fosse la prima volta che ne parlo. »
Le norme antipanico impongono di dirigersi immediatamente verso l'uscita di
sicurezza, anche se la più vicina ha sempre il cartello'stupid mode'.
« Scusa Cate, ma tu dicevi della camicia e io pensavo parlassi della camicia. »
« Noo Luca, non mi fai fessa. Io parlavo di come mi sento io e lo sai. »
E' noto che l'uomo comunica informazioni mentre le donne comunicano
emozioni, e lo fanno secondo un codice ricco e umorale dove il linguaggio è
soltanto un insieme di suoni convenzionali, che servono a comporre un
messaggio di livello più alto secondo una semantica sensoriale, notturna e
lunare che supera di slancio la banale sintassi della parola. Padroneggiare
questa tecnica raffinatissima è fuori dalla portata di qualunque maschio. Si
può solo cercare alla svelta la solita uscita di sicurezza.
« E allora perché non dici qualcosa tipo: vogliamo parlare di come mi sento? »
« Perché lo sai che non avrebbe senso! »
« Ah, ecco. »
Ecco la mia meravigliosa Caterina, così interamente femmina, con le sue lune
inesplicabili, il desiderio di trasformazione, la voglia di non essere mai uguale
a se stessa come la mutevolezza delle stagioni e della natura, come la dea
Diana.
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Capitolo 2:
una testa non è mai completamente vuota.
L'angoscia sottile di una cena in solitudine, nella solita quieta indifferenza di
casa mia. Ogni pensiero viene disinnescato dalla parata asettica di accessori
Ikea, essenziali e solidi nella loro praticità scandinava.
Il servito da sei uniforme e silenzioso esibisce forme e capacità perfettamente
calibrate sulle corrette quantità da accogliere, pentolame vario riposa immoto
su di un pensile defilato, un carrello portavivande sguarnito corrompe appena
la secca modularità della parete lavabile, le tovagliette in colori basici restano
disciplinate su un ripiano grezzo alla stregua di un oggetto concettuale.
Lungo il corridoio uno specchio riflette l'intonaco chiaro invece di riempirsi dei
miei profili migliori. Una densa libreria a scomparti mobili offre alla luce opaca
due ante laccate in bianco avorio, sotto a una cornice disadorna con
riproduzione di Mondrian. In fondo, discreta, la cassettiera in betulla
impiallacciata che si chiama come un codice fiscale cela obbediente le mie
camicine azzurrine a mezzemaniche, ordinate e composte come pastiglie in
un blister ancora integro.
Ogni decisione è neutra, ogni gesto è reversibile e non c'è alcuna entropia.
E Caterina ha già il telefono spento, povera stella, immersa nelle stancanti
pastoie di una politica che fa di tutto per farle passare la voglia d'impegnarsi,
di una democrazia tenuta in piedi come quegli autocrati sovietici dopo i
raffreddori.
Una buona definizione della democrazia? Un sistema politico sarà tanto più
democratico quanto più è ampio lo spettro dei possibili cambiamenti che esso
permette al suo interno - il massimo dei quali è la sua stessa dissoluzione. In
Unione Sovietica sono passati dal socialismo reale al protocapitalismo mentre
all'ovest non hanno mai permesso al capitalismo di trasformarsi in socialismo,
neanche negli anni 70. E come la mettiamo con quei teoremi che dimostrano
l'impossibilità matematica della democrazia rappresentativa? E cos'hanno da
dire gli ultras liberisti del mercato che si autoregola – quelli che si prende a
calci la scacchiera e prima o poi tutti i pezzi andranno a posto da soli – se da
decenni esiste la dimostrazione matematica che bastano tre merci per rendere
il mercato instabile? E perché i politici con competenze scientifiche sono rari
quasi come quelli onesti?
Ma cosa l'aggiorno a fare questo blog, se il meglio che riesco a produrre sono
queste riflessioni tanto paradossali quanto scritte male? Intanto è iniziata
l'ultima edizione del telenotiziario regionale, con i suoi scampoletti
prenotturni di labili notiziole, sempre elettrizzanti come la concessione del
marchio DOP alla Patatona Bitorzoluta di Roccastiappòna (VZ). Tripudio del
consorzio, felicitazioni delle autorità locali, unanime consenso degli operatori.
Nessuna patata fritta sarà più la stessa. Ostensione del tubero. Poi uno
schiaffo senza preavviso, imprevedibile come la sorte.
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L'appartamento di un “tecnico informatico poco più che quarantenne” come
racconta la cronista, che poi definisce "controverse" sia le circostanze della
morte – la morte?! - che dello stesso ritrovamento. Appare una fototessera
stropicciata, di quelle che se foste davvero così dovreste essere altrove, ma
nondimeno la faccia coi basettoni folti e il maglioncino dolcevita ha lo sguardo
limpido e spavaldo di chi osa indossare il borsellone maschile vintage in pelle,
di cui si intravede la tracolla sistemata obliqua sulla porzione visibile di spalla,
e quella faccia con la sigaretta pendula all'angolo della bocca ti dice che se ne
sta lì stampata con la paresi solo per esigenze burocratiche ma in realtà il
proprietario sta su tutto un altro livello, mentre tu rimani lì coi brividi che la
guardi, inaspettata come la grandine di luglio. Ommadonna... la faccia funky
di Pizzaballa! Hanno trovato morto Ettore Pizzaballa!
Ettore. Van de Kerkhof. Boney M. Morto. Impossibile. E' un informatico. Sarà
semplicemente crashato, ora si spenge e si riaccende, adesso esce dal
programma e rientra. Sì, esce e rientra, sento già la puzza delle Alfa senza
filtro o delle Nazionali Esportazione. E' solo un baco del programma, del suo
programma, vedrai adesso che con l'upgrade alla nuova versione non crasha
più. Non crasha più. Ora gli telefono e scopro che ha fatto l'upgrade alla
nuova versione, ci facciamo due risate e gli dico hai visto Ettore, a forza di
riempire di errori i tuoi programmi te ne sei preso uno pure te e sei crashato,
sei inaffidabile proprio come il software che scrivi.
Ma poi lo sanno tutti che la televisione dice sempre una montagna di cazzate.
Lo sanno tutti. Chissà che avrà capito la cronista, chissà di chi sarà figlia o
amante, la televisione dice sempre una montagna di cazzate, quella pubblica
poi è una roba incredibile, una montagna di cazzate, oddìo non parliamo di
quella privata dai, una doppia montagna di cazzate e il tecnico montatore ha
fatto casino con le foto, ovvio che ha fatto casino, chissà di chi sarà figlio o
amante, si sa come funzionano queste cose, è tutta una montagna di cazzate.
Qual è il modo migliore di usare la televisione? Tenerla spenta. Giusto.
Internet invece no, le cose messe su internet hanno un altro spessore, perché
lì c'è la gente brava che si fa davvero il mazzo, altro che i raccomandati che
fanno casino con le foto. Scommettiamo? Adesso apro il sito internet del
telenotiziario regionale che lo aggiornano appena terminata l'edizione
prenotturna dei raccomandati amanti figli che fanno casino con le foto e
vediamo com'è la notizia vera, e scommettiamo che qui c'è la foto giusta? E c'è
la foto funky di Pizzaballa. Ecco. E pure col suo nome e cognome.
E altri particolari che nell'edizione televisiva – che è tutta una montagna di – in
fascia protetta non possono mica dire, perché devono essere omissivi – e
fanno casino con – mentre su internet hanno meno remore e scrivono tutto
quello che c'è scrivere o perlomeno fanno capire quello che c'è da capire. Per
esempio – ommadonna – gli è esplosa la testa.
Una volta mi hanno raccontato cosa succede quando qualcuno si fa saltare la
testa. Di solito i barellieri dell'ambulanza vomitano e c'è pure chi piange. Di
solito c'è una stanza piena di sangue, materia grigia e pezzetti d'osso. Alle
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pareti una tappezzatura di sangue e cervello, con le finestre addobbate di
filamenti di corteccia cerebrale, ossa e dura madre. Se c'è una moquette anni
settanta, calpestandola trasuda sangue; se invece la moquette non c'è, allora
camminare sul pavimento è come camminare sulla battigia scrocchiando i
gusci delle arselle. Se l'autoesplosione risale a qualche giorno prima si può
anche svenire per l'odore, la puzza micidiale di mattatoio, la densità dolciastra
e ripugnante di sangue e umori che prende alla gola. E il resto mica scherza:
tronco e membra pietrificati nel rigor mortis come un preparato anatomico
della Specola, testa squarciata e svuotata come se avesse eruttato, come
quanto si spalanca di colpo il frullatore, mi hanno detto. E' come se
verniciassero di robaccia varia tutta la stanza, mi hanno detto. E ovunque
puzza, ovunque pezzi di cranio, ovunque sangue scuro uscito per un minuto
dopo lo sparo, dalla bocca e da dove c'era la nuca.
Io non sono pronto per le accelerazioni pulp. Ai colleghi di lavoro non scoppia
la testa come se gli avessero fatto una mossa della Sacra Scuola di Hokuto.
Non rovesciano dove capita il contenuto della propria cavità cranica. Non
costringono i colleghi vivi a razionalizzare per non sclerare. Vediamo: un
cranio maschio adulto contiene fra i 1600 e i 2200 centimetri cubici di materia
cerebrale, ed Ettore aveva una signora testa, categoria due litri. Poi c'è un
chilogrammo di nuca polverizzata più il sangue, così il materiale utilizzabile
va sui 4000 centimetri cubici. Una stanza standard starà sui seicentomila cmq
di superficie interna: coi quattromila centimetri cubici, lo spessore che si può
ottenere con la tecnica di Ettore è solo un quindicesimo di millimetro, però
una verniciatura da professionisti deve ricoprire le superfici con uno spessore
di tintura di quasi mezzo millimetro cioè sette o otto volte maggiore di quello
che si ottiene con il metodo autarchico del povero Ettore e pertanto il mio
sfortunato collega, stante il materiale personale che aveva a disposizione, non
può avere coperto interamente la propria stanza bensì solo 1/7 di essa. Ciò
vale per tutte le teste esplose, quindi chi racconta di stanze interamente
verniciate di robaccia è un esagerato.
Ma questa orribile circostanza conferma in articulo mortis la mente aperta che
Ettore Pizzaballa ha sempre avuto.
Come mai parlano tanto di “stragi del sabato sera” quando per le sole strade
italiane i dati parlano di seimila morti e trecentomila feriti all'anno, cioè quasi
venti morti e mille feriti al giorno? Ogni santo giorno, ogni sera, di sabato o
qualunque altro giorno. E sette italiani muoiono al lavoro ogni giorno. Feriale.
La morte è talmente quotidiana, benché ci si ostini a considerarla diversa dalla
vita. Basta cambiare punto di vista: come le due facce che sbucano improvvise
dai vasi di Rubin, ciò che prima occupava lo sfondo si staglia in primo piano. E
stasera la morte è qui con me, mi lambisce ruvida e mi sfiora mentre si porta
via il mio dirimpettaio di scrivania, lasciandovi al suo posto un involucro
esploso come trofeo.
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Capitolo 3:
di solito, morire è l'ultima cosa che si fa.
Ettore mostrava orgoglioso su eBay un repertorio completo di accessoristica e
memorabilia: i microcalciatori del Subbuteo, i fustini di detersivo ribollenti di
soldatini Atlantic, i modellini di auto Bburago e le piste elettriche Polistil, serie
intere di miniassegni succedanei del monetùme e collazionati con dedizione,
l'enciclopedia I Quindici specifica per le ricerche delle scuole medie, la plastica
e trendissima fonovaligia-mangiadischi Geloso arancione, pacchi di educative
e lacrimevoli Fiabe Sonore a 45 giri, i tubetti a colori pastosi per le Crystal
Ball, le matite Minamì a cartucce retrocaricabili, malinconiche confezioni vuote
di Ovomaltina e di Boeri, ritagli d'epoca sugli alimenti colorati con il pazzesco
E123 rosso, cassette vhs postume di Supergulp con Nick Carter e l'acerrimo
rivale trasformista Stanislao Moulinsky, la sigla dell'Eurovisione, Giochi Senza
Frontiere che dipanava quel fil rouge dei leggendari Gennaro Olivieri e Guido
Pancaldi, un decennio di Diario Vitt e di salami che sbucano dal terreno, Alan
Ford magistralmente matitato da Magnus, l'incredibile Colombo di Altan, poi
Pentothal e Pompeo disegnati da un giovane e inquieto Andrea Pazienza, una
leggiadra Graziella ripiegata per sempre, e persino la pruriginosa penna biro
con la donnina da spogliare. Ma soprattutto gli incredibili prodotti della Same
Govj in terza di copertina de L'Intrepido: gli occhiali a raggi X e quelli per
guardare di sgamo la giovane zia sotto la doccia, le repellenti scimmie di
mare, la rivoltella DeLuxe, la penna radio, il toupet pettorale per machizzare
la camicia aperta, lo sviluppatore di muscoli e la micromacchina fotografica.
Ettore mi ha sempre dato l'impressione che lui e i complementi d'arredo di
casa sua esprimessero una tensione irrisolta fra il promettente immaginario
dell'infanzia e quell'adulto disincanto che si cerca di ignorare, pur sapendolo
inevitabile. Un'opposizione tutta di retroguardia che può solo mitigare il
crepuscolo seppia dei propri sogni, diluendolo con i colori allegri e fragorosi
di un decennio collettivo di oltre trent'anni fa. Stupefatto dallo scarto fra la
giovanile intenzione e la matura realizzazione, Ettore ha provato a fare l'eroe
postumo di quel decennio rimasto stretto fra il boom economico e culturale
che l'ha preceduto e il vago glamour edonista che lo avrebbe seguito.
Lui cercava di rimanere a bordo senza scendere a destinazione, tutto qui. Non
va giudicato male: è un modo decoroso di convivere con quella disillusione dei
trent'anni a cui nessuno ci aveva preparato. E tuttavia la scappatoia di Ettore
non è meno rispettabile di chi prova a risolvere la situazione inventandosi una
famiglia e riproducendosi, salvo poi accorgersi di non aver fatto altro che
differire la propria angoscia a carico dell'incolpevole filiazione.
Scettici e ormai incapaci di utopie, la risposta è dentro di noi - ed è sbagliata.
Intanto, nella notte impalpabile che delimita i miei timori, la skyline si adagia
sul cuscino bianco di una luna diafana, in imperfetto equilibrio tra spazi e
vuoti. L'orizzonte urbano asciugato dall'oscurità pallida si libera del superfluo,
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resta senza orpelli come la bandiera della Svizzera, come i caratteri sans serif,
come la “M” di Bob Noorda sull'insegna della metro che occhieggia traslucida
ed elegante.
Ma adesso improvvisamente la normalità non è più possibile, non mi sembra
normale quella strana convivenza fra il videotennis a manopole di Ettore e il
suo presente tecnologico. Ettore con le sue tante scatole vuote di Ovomaltina,
i suoi basettoni e la sua auto conciata come il General Lee di Hazzard. Quel
General Lee su cui Google restituisce inaspettatamente più di venti milioni di
pagine. E mi ritrovo impigiamato sul gruppo Facebook Viva gli Anni 70 che
vedeva Pizzaballa gran frequentatore, aspettando in lacrime che mi passi
l'agitazione e sbirciando i materiali collocativi dagli iscritti, con nicknames in
tono come dukes01, hotelcal66, CHPs, neeskens78, j_lacayenne, prinzverde e
che in realtime salutano affranti l'amico perduto.
Pink Floyd e Dark Side of the Moon, ci mancherebbe altro. Bee Gees e Santana?
E certo. Eagles e Jethro Tull. Genesis e Mike Oldfield. The Who, gli AC/DC di
Bon Scott e il Banco del Mutuo Soccorso. Goblin, Branduardi e Stevie Wonder.
David Bowie e Ziggy Stardust. Emerson Lake & Palmer. Jaco Pastorius e Boston,
con la loro More than a feeling di cui potresti mimare la ritmica per ore. Judas
Priest e il primo Jean-Michel Jarre. Queen, PFM e Ramones, Hey-ho, Let's go!.
Joey Ramone, Johnny Ramone e Tommy Ramone – che com'è noto si sono
ispirati a una band dell'underground agricolo fiorentino dal nome di Quarto
Podere, composta da Guido Podere, Gastone Podere e Oreste Podere. E i fans
dei Kiss parlano di quale album sia migliore fra Alive! o Dynasty: sarò banale,
però Dynasty contiene I was made for lovin' you baby e tanto mi basta. All'età
in cui io dissipavo la paghetta in Space Invaders, Gene Simmons teneva già da
un pezzo le zeppe e il basso a forma di scure. Ecco la differenza fra me e lui.
E... Van Halen o Skiantos come migliore opera prime del 1978? Sarà pure
irriverente accostare le coppie David Lee Roth / Eddie Van Halen e Freak
Antoni / Dandy Bestia, ma fra l'imponente Running with the devil e la granitica
Pesto duro c'è più di un punto di contatto. Va bene, “Girl, you really got me
now, you got me so I don't know what I'm doin' ”, però si tenga sempre
presente che “L'avanguardia alternativa – non fa sconti comitiva”. Eggià,
comodo fare i nichilisti e vantarsi, “I don't need to beg or borrow, yes I'm livin'
at a pace that kills” ; detto meglio, “Sono io il più veloce – urlo con la voce – al
ritmo precoce – del sugo che cuoce”. E dopo i mostri sacri, le meteore a cui ci
si affeziona. Il thread su Ramaya è infinito, ciclico e tantrico: “Ramaya, bokuko
Ramaya, abantu Ramaya, miranda tumbala, oh oh oh Ramaya, bokuko
Ramaya, abantu Ramaya, mitumbala...”. Incomprensibile ed euforica, worldmusic ante litteram. Nonsense come la barzelletta del Fantasma Formaggino.
C'è roba anche sui Rockets. Anch'io ho creduto alla celebre leggenda che si
verniciavano per mascherare l'epidermide verde. I miei primi dubbi arrivarono
solo quando il batterista iniziò ad esibirsi indossando un casco da moto
integrale, perché – lessi poi con una qualche disillusione – non voleva più
saperne di radersi lo scalpo. Galactica trascende i suoi autori, chiude un
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decennio e non apre il successivo: incompiutezza senza rimedio, apportatrice
di scompensi evidenti nello spaziotempo, e vampe e raggi laser passeranno
dai Rockets ai Pooh senza soluzione di continuità. Ormai quello che credevo
potesse essere uno sguardo vago e leggero è divenuto un giro sulla giostra
della memoria, di quando anche Mike Bongiorno a Rischiatutto portava i
basettoni, di quando dopo Carosello c'erano le pazzesche sigle della Carrà: i
pensieri elettronici intessuti di bit acquistano materialità e divengono
emozione, e non pochi vecchi bambini degli anni settanta apprenderanno con
stupore che “La tartaruga” e “Johnny Bassotto” non le avevano composte i
rispettivi papà ma un artista ironico e coraggioso chiamato Bruno Lauzi.
E poi gli sceneggiati con Ugo Pagliai, i varietà di Romolo Siena, le futuristiche
serie con il platinato Comandante Straker e la S.H.A.D.O., l'astronave Orion, le
marionette tecnologiche di Gerry e Sylvia Anderson, le canzoni folli e surreali
di Cochi & Renato. E a me fa ancora paura l'innaturale maestria tecnica che
Mario Bava profuse nella terrorizzante puntata dell'Odissea con Polifemo. Il
ciclope me lo ricordo abbastanza in salute e non ancora orbato: i miei genitori
mi spedirono dritto in camera dopo i primi achei sgranocchiati come nachos.
Mi prende un groppo ascoltando l'audio mp3 del Pinocchio di Comencini, lo
struggente tema musicale di Fiorenzo Carpi su una testa di legno con occhi e
bocca, disegnati e immobili ma animati dalla poesia. E che dire dei cartoons di
quegli anni? In nessun altro decennio si sarebbe potuto realizzare un cartone
come Gustavo, produzione Hungarofilm/PannoniaStudios, tipico antieroe di
quella Mitteleuropa che né due guerre mondiali né il socialismo reale hanno
cancellato. Nel limitato palinsesto degli anni in cui il primo novembre era
ancora il giorno dei Santi e non Halloween, una volta a settimana iniziavano le
brevi disavventure monocromatiche di questo ometto col nasone dall'ironia
amarissima e malinconica. Ricordo un episodio in cui lo sfortunato ma preciso
Gustavo dipinge qualcosa e macchia di vernice nera il pavimento: macchie
intollerabili alla sua vista, pertanto inizia a dipingere di nero il pavimento ma
inavvertitamente macchia le pareti, allora dipinge di nero anche i muri, poi la
casa quindi l'universo intero. Oppure l'episodio della perdita dal rubinetto:
prima il signor Gustavo ci si arrabbia ma poi decide di lasciar correre, goccia
dopo goccia la casa diventa un acquario nella surrealtà del proprio immutabile
quotidiano, Gustavo libera il pappagallo dalla gabbia e lo sostituisce con un
pesce, usa maschera e respiratore ma poi gli crescono le branchie, si trova nel
letto una sirena con cui sembra trovare la definitiva felicità ma il muro cede, e
dalla falla esce prima l'acqua e poi la sua amata. Per gli anni a venire, io e i
miei coetanei ci saremmo segretamente interrogati sul significato dell'oscuro
bisillabo “vége” che compariva al termine di ogni puntata – “koniec” per chi lo
guardava sulla remota Tele Capodistria - prima che qualcuno facesse notare
come si scrive “fine” in ungherese. Curioso: dopo Gustavo, l'Ungheria sembra
avere perduto la sua secolare supremazia nello scacchiere esteuropeo. La sua
produzione culturale da esportazione ormai si limita alle pornostar e nessuno
ricorda più che un tempo lo Honved Budapest sfidava il Real Madrid in finale
di Coppa dei Campioni.
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Già, il calcio anni 70. Niente fighetti con gel, frangette, treccine, fermaglini,
cerchietti, elastichini codini crocchiette e tagli glitterati, obbligatori anche per
oscuri terzini abbonati alla tribuna ma che fatturano l'intero PIL di un medio
stato africano. Incredibile che costoro pratichino lo stesso sport delle rudi
nazionali olandesi del 1974 e del 1978, capaci di insegnare al pianeta l'intero
repertorio delle tattiche di gioco – che chiunque avrebbe dovuto imparare di lì
in avanti – in un trionfo di barboni e basettoni, divise Upim e calzoncini di
raso, e fra i pali un portiere semiprofessionista col numero 8 e le ginocchiere
bianche che nella vita reale gestiva una tabaccheria e andava a pesca. Erano
anni strani anche per il calcio, dove si aggiravano personaggi come Sollier che
si rivolgeva alle tribune col pugno chiuso, o Dino Pagliari che arrivava agli
allenamenti della Fiorentina con la bici o a piedi e aveva un saluto per tutti.
Invece il prodotto “calcio moderno” raggiunge i consumatori tarato sulla
fruizione looktribalesca, integrata da una voglia matta e cafona dei telecronisti
di berciare in faccia allo spettatore il proprio tifo sgangherato e non richiesto,
mentre il grande Paolo Valenti tacque le sue discretissime simpatie viola fino
alla morte.
Il primo raggio dell'alba scansa la bruma del mattino e spegne da oriente i
gelidi lampioni alogeni. E' ora che abbandoni questi imprevisti compagni di
viaggio, uomini e donne ignoti presentatisi puntuali a un appuntamento che si
sono dati più di trent'anni fa. Che adesso dividono lo stesso spazio dopo aver
vissuto lo stesso tempo.
E penso.
Penso che guardandoci indietro è difficile credere che noi siamo ancora vivi:
viaggiavamo senza cinture, non esistevano tappi dei medicinali a prova di
bambino, si andava sul biciclettino senza protezioni, le altalene erano di ferro
rugginoso con spigoli vivi, si giocava a gavettoni e ci si rotolava per terra, si
stipavano chili di libri in zainettoni senza imbottiture, si faceva ricreazione e
merenda con sontuosi overpanini domestici senza per questo diventare obesi,
poteva capitare di bere latte appena munto e con tre dita di panna senza
conseguenze cliniche, e madri certamente non scellerate ci mandavano
tranquille a comprare frutta e verdura dal contadino benché il brav'uomo non
si preoccupasse certo di eliminare pure l'ultimo batterio; ed eccoci qui, invece,
ragionevolmente sani e in salute.
Penso che i sogni dei bambini di trent'anni fa e dei genitori di trent'anni fa
erano meglio della realtà obbligatoria dei bambini e dei genitori di oggi.
Penso che nel gruppo Viva gli Anni 70 aleggia qualcosa di indefinito e di
rassegnato, e che mi pare ci fosse già prima dei saluti al povero Ettore suicida.
Una malinconia palpabile, una solitudine esistenziale, vento e pioggia
d'autunno che spengono il sorriso triste della comunità e agitano le cime buie
di cipressi lontani. L'afflizione cocente per le speranze smarrite e le
opportunità perdute. Eravamo andati sulla Luna e ormai non ci torneremo più.
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Verso l'epilogo severo e inevitabile:
prima confutazione delle apparenze collettive.
Niente è come sembra, nulla è mai stato come appariva, e le regole emergono
ed agiscono anche quando il contesto appare casuale ed arbitrario.
Che importanza può mai avere un ago? Prendetene uno, e su una superficie
disegnate linee parallele separate dell'esatta lunghezza dell'ago; oppure, su una
spiaggia munitevi dello stecco di un ghiacciolo e tracciate sulla sabbia linee
parallele a intervalli uguali alla sua lunghezza: l'importante insomma è che
teniate in mano un oggetto allungato che misuri x centimetri e realizziate linee
orizzontali e parallele separate fra loro dei medesimi x centimetri. Ora gettate
in aria l'ago o lo stecco del ghiacciolo: la probabilità che esso, cadendo, tocchi
una delle linee è sempre ed esattamente uguale a 2/π = 64%. Se vi trovate su
un'isola deserta e dovete necessariamente calcolare il valore del pi-greco con la
massima precisione possibile, fate le righe con un bastoncino e gettatelo in aria
qualche migliaio di volte, poi contate. Riconoscerete che si tratta di un buon
metodo, anche se una Bibbia infallibile pretende che il pi-greco valga
esattamente 3: “Ed egli fece un mare di bronzo, largo dieci cubiti da
un'estremità all'altra: era di forma rotonda (...) ed una corda lunga trenta
cubiti poteva farne il giro.” (Libro dei Re, 7:23). Voi però lasciate stare i
dogmi e fidatevi di me: π = 3,1415929...
Quale eterna sequenza può avviare un singolo gesto? Giulio Cesare esalò
l'ultimo respiro esclamando sorpreso "Tu quoque, Bruto..." e, in ventuno
secoli, le componenti di quel suo estremo stupore si sono miscelate in misura
equanime alla massa d'aria del globo: valutando le dimensioni dell'atmosfera
in relazione alla capacità polmonare, stimando la quantità di respiro esalato...
il risultato è che chiunque inala 4 molecole facenti parte dell'ultimo rantolo di
Cesare ogni volta. Tutti, in ogni momento, respirano particelle di passato.
Ma ci tenete davvero alle minime certezze del vostro vivere quotidiano? Gli
spinaci non contengono ferro. Jack Kerouac ed Emilio Salgari non si sono mai
mossi da casa. Il sesso tantrico di Sting era una balla per prendere in giro Bob
Geldof. Stonehenge è stata rimontata agli inizi del Novecento, lungo linee che
solo l'estetica del positivismo ha reimmaginato circolari. E Cleopatra era
inguardabile, ché le monete coniate da Marcantonio parlano chiaro.
Tra il 1992 e il 1993 i grandi gruppi finanziari italiani ruppero il patto che dal
secondo dopoguerra li legava ai partiti di governo, ritenendo che quell'assetto
non potesse più garantirli in un difficile passaggio congiunturale: venne così
scatenata una pervasiva campagna di stampa sui grandi quotidiani – i cui
consigli d'amministrazione erano controllati dalle holding impegnate nel
progetto – che investì il paese con una fittizia domanda di moralizzazione,
sfruttando un nuovo scandalo tangentizio non peggiore degli innumerevoli
altri che l'avevano preceduto. Un gigantesco guerrilla-marketing produsse
un'inedita preoccupazione collettiva per i conti dello Stato, guidando i cittadini
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ad abbracciare un'arbitraria contrapposizione fra imprenditoria privata di
successo e gestione pubblica fallimentare. Timori apocalittici di bancarotta e
insostenibile pressione giudiziaria spazzarono via un'intera classe politica –
peraltro poco difendibile – e un intero modello di rappresentanza elettiva. Una
volta spianata la strada e rimossi gli ostacoli, la cronaca di quei giorni registrò
il mantra incessante grandi privatizzazioni = risparmio, efficienza e
risanamento del debito. E finalmente i gruppi finanziari che avevano
promosso l'operazione incamerarono a prezzi d'occasione reti di infrastrutture
e distribuzione – autostrade, ferrovie, energia, telefonia, acqua – create con
decenni di tasse per aiutare l'allora impetuoso sviluppo del paese, e risanate
durante la temperie per poter risultare appetibili ai compratori. Lo Stato perse
i suoi gioielli nel tripudio inconsapevole di chi quelle aziende le aveva pagate di
tasca propria, mentre monopoli privati si sostituivano a quelli pubblici
investendo in settori a basso rischio d'impresa e redditività garantita. Adesso i
cittadini italiani pagano tariffe doppie per servizi peggiori e il debito pubblico è
cresciuto di un altro 50%, ma il piano era così bello che la gente crede ancora
di aver fatto un buon affare: non è obbligatorio che la realtà debba essere
l'elemento principale nella formazione delle opinioni.
Vi piace la Democrazia? E' stata demolita matematicamente ormai dal 1951,
con il Teorema di Arrow. Credete nel principio ordinatore del Libero Mercato?
Funziona solo con due merci, come dimostrato dal Teorema di Scarf nel 1962.
Ritenete che la Religione sia una risposta spirituale? Il compito storico
dell'élite di ogni epoca è quello di sviluppare un apparato dottrinale calibrato
su un consumo di massa, celare il proprio grandioso atto di volontà dietro una
teofanìa a scelta, indicare una irresistibile promessa di salvezza allestendone il
rigoroso dispositivo liturgico, gestire con precisione matematica i popoli e gli
eventi e senza il fastidio di darlo a vedere.
Gli dèi greci si spartivano il Mediterraneo con il Baal fenicio affinché i coloni
ellenici seguissero certe precise rotte, e non altre confliggenti con gli
insediamenti punici. Sapienti sacerdoti a Delfi dirigevano i marinai colà dove
stabilito, indirizzandovi i favori divini pilotando il responso oracolare ed
evitando il blocco cartaginese alle Colonne d'Ercole. E cos'erano templi e
santuari lungo le coste, se non potenti filiali di una rete commerciale che
garantiva benedizione e buon vento – mappe, sapienza marinara, lettere di
presentazione, magazzini per lo stoccaggio – a quei credenti che offrivano
quanto dovuto? Una religione perfetta sublimata nel Serapide di Alessandria,
mezzo greco e mezzo egizio, costruito apposta per piacere a tutti sul mare. E
Roma aggiunse solo un ulteriore livello di pragmatismo: dichiarare che gli dèi
dei popoli sottomessi erano sudditi dei propri, senza sostituirne il culto. Pace
universale e controllo sociale al prezzo di un modesto tributo a Giove
Capitolino: trovate un meccanismo politico migliore, se ci riuscite.
Venne però il Tempo e fu necessaria la Croce, così l'editto di Teodosio portò la
devastazione di città e templi – retaggi di un vasto modello religioso non più
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efficace e ormai inutilizzabile nei tempi nuovi – mentre San Girolamo
descriveva compiaciuto gli antichi luoghi di culto anneriti dalla fuliggine, col
sarcasmo crudele dei santuomini. Gli dèi delle nazioni morivano insieme al
principio che incarnavano – il quale inizia a sparire quando il loro culto si
esaurisce, quando la loro essenza non può più trovare corpo e identità reali
una volta distrutti i loro simulacri e venuti meno i pegni di consacrazione,
come spiegava Tertulliano padre della Chiesa. E le statue ancora infestate dagli
inutili dèi dell'Olimpo e i santuari che le contenevano dovevano essere
abbattuti secondo i perfetti suggerimenti di Sant'Agostino: una catarsi
necessaria per la riconfigurazione al servizio della Verità Rivelata. Il
patrimonio silenzioso della Conoscenza doveva alfine riposare nei monasteri
della nuova Europa benedettina, protetto dal dominio sulle leggi della Storia.
Trovate un modo migliore per inventare un continente, se ci riuscite.
Ma la volontà dei singoli individui è animalesca e riottosa, e si può guidare
verso una superiore idea di civiltà solo con l'invenzione dell'Antagonista. Così
dopo l'anno Mille un popolo in movimento verso il Mediterraneo, portatore di
un'antica eresia cristiana secondo San Paolo Damasceno – e pure Dante –
dovette assumere il ruolo che gli competeva per la richiesta contrapposizione.
Nella Parola che ha ricevuto c'è tutto il bene e tutto il male – in accordo con la
tradizione dei Libri Rivelati – ma serviva soprattutto una società vittoriosa che
scuotesse il continente decrepito, una civiltà dei materiali preziosi ed eleganti
da sbattere in faccia al cristianesimo della miseria e della fame, una folla di
filosofi guerrieri che riscoprisse i sapienti greci per affidarli all'Europa, una
scuola di intellettuali che recuperasse Aristotele per trasfigurarlo in Tommaso
d'Aquino, una cultura aperta all'astronomia e alle matematiche contrapposta
all'occidente chiuso e impaurito dei secoli bui e della superstizione più nera,
un'identità statuale con una tecnologia prospera che affrancasse il medioevo
prescientifico in quelle terre del Sole eternamente calante. Misuratela sulla
scala delle genti e non degli uomini, e capirete se non è più razionale un'Idea o
la sua assenza, se non è migliore lo scontro piuttosto che l'armonia.
Smontare la realtà e ricostruirla più ordinata: questo il compito oscuro e
meraviglioso.
Avviare le tremende forze storiche che modellano le società: questa la
responsabilità delle grandi durate.
Edificare una storia che sia conseguenza logica degli eventi: questa la gioia
della perfezione.
Guidare genti inconsapevoli che non sapranno mai di essere guidate: questa la
necessità del Progetto, fondato sull'egemonia e non sul dominio.
Annaspare nei rigagnoli delle nostre piccole miserie e non poter vedere mai
l'immane fiume che scava il suo letto: questa la condizione essenziale per il
Progetto, il quale riempie l'intero tempo in cui le civiltà sorgono e muoiono; e
così le regole – alcune congetturate, molte agenti – possono diventare la
Regola. Anche se la gente trova sempre mille scuse per non farsi ammazzare.
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Capitolo 4:
l'anno, una serie di trecentosessantacinque delusioni.
« Hai già letto in bacheca di Pizzaballa? Poveraccio » mi fa Rufus martoriando
nervoso il suo mezzotoscano spento.
La carta intestata aziendale listata in nero con la notizia funebre e burocratica,
il telegramma preconfezionato di partecipazione della dirigenza e la richiesta
della famiglia di devolvere le eventuali offerte ad una Onlus no-profit. Sì, ho
già letto tutto mentre entravo.
« Sì, ho letto. »
« Si sarà ammazzato nel finesettimana o ieri? Se l'ha fatto di lunedi lo capisco.
Il lunedi andrebbe abolito » biascica. Fa quasi per accendersi il mozzicone, poi
chiude gli occhi un secondo e ci ripensa.
« Sì, certo » gli rispondo in automatico. In bacheca c'è solo la notizia del
decesso, ma che gli è scoppiata la testa l'avranno letto tutti su internet.
« Se penso ai casini che combinava con quei suoi software scritti coi piedi »
dice alzando la voce, poi si accorge che forse non è il caso, forse lo capisce
pure uno come lui che ha la delicatezza di un taser. Non mi ha mai spiegato
bene perché la moglie lo ha mollato anni fa, ma ho una mia idea.
« Ma stattene calmo Rufus, ti pare il momento? » butto lì per disinnescarlo,
senza pensare che dire di star calmo a uno col suo carattere di merda equivale
a dargli corda.
« E poi le figure che mi ha fatto fare in riunione durante le demo! Le sue parti
di programma che si piantavano davanti a quegli stronzi del marketing! »
sbraita. Rufus non ha mai stimato professionalmente Ettore Pizzaballa.
Troppo leggero e troppo poco metodico per fare il turboprogrammatore di
quelli che piacciono a lui, più a loro agio con gli algoritmi che con gli umani.
Mister Discomusic – come lo chiamava – guardava troppo all'indietro verso i
suoi anni preferiti e non si è mai capito perché facesse il nostro mestiere. Per
irritare Rufus gli chiedevo se in realtà non invidiasse a Ettore l'auto e i capelli,
ma lui rispondeva stizzito che giocare a fare quello appena sceso dalla
macchina del tempo non vale niente.
« Almeno oggi lascia perdere » mormoro e sbaglio di nuovo, perché non sono
mica furbo come penso di essere. Cantalamessa fa una smorfia e lancia
lontano il mezzosigaro masticato.
« E tu che ce l'avevi in stanza non ti eri accorto di nulla? Rispondi, Luca: stai
ogni giorno a quattro metri da uno in depressione e non vedi come è messo? »
« Non mi sembrava che... »
« Perché a me era già da un pezzo che mi dava una brutta idea. Mi dava l'idea
di essere avvilito di default. E non dipendeva certo da questo cazzo di lavoro
perché lui non ci si è mai ammalato. »
Però le persone non si conoscono mai abbastanza.
Jeeg Robot polifonato e vibrato.
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« Ciao bella. »
« Ciao. Stamattina ho letto la rassegna stampa locale. La chiamata di ieri sera
sul tardi era per questo, allora. Per il tuo collega. »
« Sì Cate. Il mio collega Ettore Pizzaballa di anni quaranta o poco più. »
« Mi dispiace. Tu come stai? »
« Come vuoi che stia. Non era l'amico del cuore, però si è lavorato a due
scrivanie di distanza per parecchio tempo. »
« Noo. Tu come stai in generale. »
« Come sto in generale? Boh. Direi che sto male. »
« Ah. »
« Ah? »
« Stai male a prescindere da questo casino. »
« Ma non ho affatto detto questo! »
« Noo. Mi pareva di sì invece. »
« Caterina... »
« Senti Luca non ho voglia di discutere. Lo so che per te è una brutta giornata.
E pare che non sia neanche la prima a quanto mi hai detto, ma pazienza. »
« Ma io volevo dire che... »
« Prima di cena ho l'inaugurazione della nuova rotatoria, quella col praticello
biologico sponsorizzato e nel mezzo l'albero maestro con il ripetitore 3G. Lo
sai che mi fai contenta se vieni pure tu. Vieni a fare un po' di scenografia e ti
rilassi, dai, che poi il catering è di livello. »
Eccola qui la mia Caterina, quella dei trappoloni telefonici che non prevedono
contromisure e che aprono la strada alla proposta temuta e irrifiutabile, alla
serata che baratterei volentieri con una botta in testa. E' abile e io l'adoro.
Non ho dormito, ho gli occhi pesti e devo avere un alito atroce: praticamente
il sesto dei Guns'n'Roses, con la differenza mica da poco che sono sobrio e
non ci sono groupies ad attendermi. Altro che groupies: in stanza non c'è
nemmeno Michele. E io dovrei lavorare qui da solo, con la postazione vuota di
Ettore in bella vista? Se lo sognano. E poi io speravo in un qualche segno di
rispetto, non so, una mattinata libera e retribuita alla memoria. Macché,
l'Azienda elabora il lutto in non più di cinque minuti: il tempo necessario alla
Direzione per aggiornare l'intranet con un messaggio di circostanza.
C'è anche una corposa mail del dottor Gianluca Anguillara, un tipo che va per i
cinquanta abile a stare sopra la linea di galleggiamento, capoprogetto di
parecchia dell'onesta forza lavoro di questa baracca: sono il destinatario in
Cc: perché grazie al cielo è roba che mi tocca solo di striscio e riguarda la
convocazione pomeridiana di una riunione, per approntare il “passaggio di
consegne” resosi dolorosamente necessario a causa della tragica e prematura
dipartita del povero Pizzaballa. Che lirismo. Però è riuscito ad essere insieme
professionale, partecipe e sensibile: prima delinea asciutto lo stato dell'arte,
chiarisce la situazione riguardo l'allocazione di risorse, riassume lo stato di
avanzamento, allega milestones e diagrammi di Gantt a beneficio del colto e
dell'inclita; poi egli si fa portavoce delle sofferte ma ineluttabili ragioni
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dell'Azienda, perché purtroppo competere nei mercati di oggi significa
soprattutto “rendere performante il benchmarking” (testuale); infine, lui per
primo si sente colpito dall'accaduto per le riconosciute e non comuni qualità
professionali e morali di Pizzaballa, nonché per la dedizione alla mission
aziendale e l'entusiasmo con cui faceva squadra – bah – ma per il bene del
team di sviluppo è altresì convinto – scrive proprio altresì – che il miglior
modo di uscire dalla tragedia sia concentrarsi duramente sul lavoro e fare un
buon prodotto. Prosa e costruzione efficaci che l'accorto Anguillara vanifica di
schianto lasciando il povero Pizzaballa fra i destinatari della toccante missiva,
con grande senso delle circostanze. Viene in mente il tizio che a fine cena si
dichiara all'amata sfoggiando il suo miglior sorriso con la foglia di prezzemolo
sull'incisivo.
Stop that pigeon campionato decentemente, un istante prima che mandassi
indietro la conferma di lettura al mio responsabile diretto.
« Pacioli? Sono Anguillara, salve. Ha letto la mail della riunione? Perché la
scomparsa di Pizzaballa ci ha cacciato proprio in un bruttissimo guaio. »
« Bruttissimo, certo. »
« Bene. Per quella riunione: Chimenti non potrà esserci perché è in malattia e
quindi è evidente che dovrà venire lei. »
« In malattia? Non me lo aspettavo, Chimenti ieri era sano come un pesce. »
« Suvvia Pacioli, come lei ben sa chiunque è vivo un minuto prima di morire. »
« Ah. Beh, sì, certo. Ma io di questo progetto so abbastanza poco, è davvero
necessario che... »
« Caro Pacioli mi meraviglio di lei. Non posso convocare una riunione plenaria
sull'operatività di Pizzaballa e poi dal suo ufficio non arriva nessuno, suvvia! »
« Ma non sarebbe più opportuno... rinviare la riunione? »
« Suvvia Pacioli io mi meraviglio di lei. La riunione serve ora, per evidenziare
l'armonia fra i reparti e consolidarne la compattezza in un passaggio difficile.
Alle 15, sala meeting al terzo piano. Però mi meraviglio di lei Pacioli. »
Sono certo che Michele ha deciso di ammalarsi per avere ragione nei confronti
del deumidificatore, e così devo sostituirlo nella peggiore riunione dell'anno.
Questa è una malattia troppo tattica, credibile quanto la dichiarazione dei
redditi del mio dentista. E poi è assurdo che non risponda al telefono e che
non abbia niente da dirmi su Ettore! Sì, magari sta reagendo isolandosi dal
mondo circostante. Come se questo fosse un diritto costituito e inalienabile:
ma chi si crede di essere?! Al mondo va sempre garantita la possibilità di
poterti rompere le scatole: almeno finché qualcuno non esibisce in tua vece
un certificato di morte in ennuplice copia, la tua parte la devi fare appena la
commedia umana prevede la tua entrata in scena. In fin dei conti si tratta solo
di tenere duro per un po', ché ognuno di noi nasce già condannato a morte.
Bah, torniamo a noi che in fondo mi pagano. Da qualche parte dev'esserci la
documentazione utile per quel simpaticone di Anguillara e la sua pantomima,
celata in qualche pertugio degli armadi, negli anfratti delle scrivanie o nelle
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segrete degli hard-disk, protette da quel groviglio laocoontico di hardware e
cavetteria che trasforma isolate postazioni di lavoro in un'unica serpeggiante
entità intraconnessa con sinapsi in silicio. Quand'ero un giovin studente lessi
turbato un'antologia di Fredric Brown contenente il racconto La Risposta: in un
irraggiungibile futuro vengono collegati l'un l'altro tutti i computer del pianeta
per ottenere finalmente una macchina con potenza di calcolo inaudita, così da
rispondere alla domanda fondamentale: c'è Dio? ; un istante dopo l'avvenuta
interconnessione globale, l'invincibile titano elettronico risponde maligno che
sì, adesso, Dio c'è. Un imprinting letterario che ha segnato le prime fasi della
mia crescita professionale, in cui fantasticavo con curiosità e timore sulle
clamorose potenzialità di un network. Mi è bastato lavorare su una modesta
rete per accorgermi che collegando N computer si ottiene, più prosaicamente,
una moltiplicazione per N delle grane e dei costi delle licenze software.
Comunque ieri mattina ho già visto che il computer di Ettore è vuoto, quindi la
sua roba del progetto dovrà stare da qualche parte sui server e allora mi serve
il forte braccio del responsabile dei Sistemi Informativi.
« Castellotti buongiorno, sono Pacioli. Avrei un lavoro per te: oggi pomeriggio
hanno indetto una riunione sul progetto seguito da Pizzaballa... » e faccio una
breve pausa sul cognome per sentire se c'è un fremito di partecipazione al
lutto, una parola di costernazione, una frase di circostanza.
« Pacioli, pronto? pronto? » fa con la sua vocetta dopo qualche secondo.
« ...Sì, certo Castellotti, ci sono. »
« Ti ascolto, qual è il problema? »
Castellotti è efficiente e preciso, asettico e rigoroso, completamente integrato
e cablato al suo tetro antro tecnologico nel sottosuolo; un druido in camice
bianco da antico Centro Elaborazione Dati, di quando i calcolatori arredavano
pareti intere; una persona tranquilla capace di imbufalirsi solo quando deve
inserire una spina Schuko in una presa europea e si accorge di non avere
l'adattatore, e allora si toglie gli occhialoni quadrati con la montatura fuori
moda, strizza gli occhi e si gratta il testone lentigginoso scansando i residui
capelli rossi, e poi resta in silenzio – però pensando le cose peggiori. Per tutto
il resto non ci sono problemi. Il contesto di stamattina rientra appunto in tutto
il resto, la situazione non è critica, non c'è alcun motivo per far strizzare gli
occhi a Castellotti e fargli grattare la capiente cervice.
« Ti dicevo Castellotti che mi serve materiale su quel progetto però qui in
ufficio non ho trovato nulla. C'è Chimenti che lo segue ma oggi sta in malattia.
Puoi controllare i backup che Pizzaballa salvava sul server? »
« E qual è il problema? Guardo subito, resta in linea.
« Grazie Castellotti. Aspetto. »
E qual è il problema con Castellotti? Nessuno. Il mondo esterno faccia il suo
corso che da queste parti ci pensa lui.
« Pacioli c'è un problema. »
Oh, questa poi.
« Che succede Castellotti? »
« Pizzaballa ha un modo di fare i backup fuori da tutte le linee guida. Mancano
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i salvataggi di interi giorni... non c'è regolarità nella procedura... è irritante. »
« Ma... scusa Castellotti ma tu devi capire che Ettore... cioè Pizzaballa... » non
so nemmeno io cosa dirgli, tanto di Castellotti va preso il pacchetto completo.
Un'escrescenza umanoide della sala macchine non sempre può comprendere
le sensibilità delle forme di vita a base di carbonio.
« Per esempio mancano tutti i backup degli ultimi giorni. Sinceramente non si
lavora così, è irrispettoso verso i colleghi. Pacioli qui c'è poco da recuperare. »
« Va bene, va bene. Allora puoi controllare se c'è una qualche directory privata
di Pizzaballa su qualcuno dei dischi esterni? »
« E qual è il problema? Non ti faccio neanche aspettare. Solo un secondo...
ecco qua. Certo che c'è. Directory privata con accesso esclusivo per l'utente
Pizzaballa Ettore. Non ha molto senso mantenere questa limitazione e tenere
occupato prezioso spazio su disco. »
« ...Castellotti... »
« Ti ascolto, qual è il problema? »
« ...Niente, niente. Mi occorre che tu dia a me l'accesso a quella directory. »
« Nessun problema. Ovviamente quello che prendi va classificato di interesse
aziendale secondo la policy, mi raccomando la procedura.
« Grazie Castellotti, non mancherò. »
« Lo sai che André-Marie Ampère è stato l'unico uomo a dimenticarsi un invito
a pranzo di Napoleone? »
« Da non credersi. »
La directory a cui fin qui Ettore aveva l'accesso privato ed esclusivo contiene
effettivamente parecchia roba: documentazione, diagrammi, manualistica,
flowchart, qualche slide, una tabella densa di dati e un file protetto che si
chiama forse_e_gia_mattino_e_non_lo_so.pdf. Mi copio tutto sul
notebook senza stare a distinguere cosa è utile da cosa non lo è, e dopo,
triste di una tristezza rabbiosa, cerco gli ambulacri meno battuti per non
parlare con nessuno. Nei nostri annunci prezzolati di ricerca personale non
mancano mai il “contesto dinamico, ambiente divertente e stimolante” (sic).
Personalmente ritengo che l'unica parte divertente del lavoro sia il venerdì
sera quando si timbra l'uscita e che la parte stimolante non vada oltre lo
stipendio bonificato senza ritardi; quanto al vantato dinamismo, l'azienda è
semplicemente popolata da un lumpenproletariat moderno e inconsapevole,
affaccendato nel baratto di almeno metà delle proprie ore di veglia in cambio
del ticket d'ingresso a quella grande esperienza a pagamento che è diventata
la vita. Una massificazione a gettone dove chiunque pensa di essere speciale,
mentre le leggi statistiche prevedono con esattezza i suoi comportamenti. E la
regolarità inquietante descritta dalla Legge di Benford – quella che dice più o
meno: in ogni raccolta di dati reali sufficientemente grande, al 30% la prima
cifra è sempre 1, al 17% è 2, al 12% è 3 e così via, di qualunque cosa si tratti –
mi sembra la fotografia esatta di quell'atroce equivoco chiamato individualità.
« Anche in questo giorno difficile, è evidente che l'obiettivo rimane quello di
ragionare sulla deadline del progetto. »
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Iniziamo il primo meeting post-Ettore definendo deadline una scadenza?! Il
massimo dell'eleganza terminologica. Il sensibile Anguillara trova sempre il
modo di cascarci dentro mani e piedi, ma certo il capoarea del Commerciale è
in grado di fare di meglio. Sentiamo.
« Se l'area tecnica non supera i ritardi sul prodotto siamo a un punto morto! »
Un punto morto. E' un genio. Ma ora i tecnici s'incazzano, è matematico.
« Eh no, è colpa dell'area commerciale che non consulta mai l'area tecnica e
così si inventa date di rilascio che non stanno né in cielo né in terra! »
Ecco la rissa. Com'è che diceva il sensibile Anguillara al telefono? Evidenziare
l'armonia tra i reparti e consolidarne la compattezza. Com'era quel motto di
Theodore Roosevelt? Parla con toni miti, ma pòrtati un grosso bastone.
« Scusate signori ma questi problemi non riguardano l'area Marketing, che ha
investito risorse sull'obiettivo e vuole solo rispettare i tempi di distribuzione. »
Chi pensa che la morte non lo riguardi mi fa sempre una cattiva impressione e
pertanto deve essere punito.
« Signori e colleghi scusate un attimo: dovrei fornire un dato importante. »
« L'ingegner Pacioli dell'area Sviluppo, collega del compianto Pizzaballa » mi
introduce compunto Anguillara, aspettandosi che tiri fuori il documentàme
per allentare la tensione. « Prego ingegnere, ci aggiorni. »
« Vorrei chiedere se l'area Marketing è solo omonima di quella struttura che
aveva fatto pubblicare un famoso annuncio di lavoro... dove si ricercava gente
con cinque anni di esperienza su un software grafico uscito da tre anni. »
« Suvvia ingegnere mi meraviglio di lei. La inviterei a intervenire solo su temi
strettamente tecnici, mentre suggerirei a tutti di concentrarsi su un livello
dialogico sereno e costruttivo, anche se è evidente che siamo tutti nervosi. »
Parli pure, dottor Gianluca Anguillara, parli pure che ormai non l'ascolto più.
Chieda di mostrare il dannato materiale e mi faccia uscire da qui. Anche se c'è
sempre la speranza che l'enormità di queste cazzate si trascini dietro tutto il
resto. Pure il senatore MacCarthy cadde in disgrazia quando ci prese troppo
gusto e iniziò a indicare anche il Pentagono come covo di comunisti.
« ...e pertanto, essendosi malauguratamente disallocata una risorsa, o si
ricomputano i tempi di rilascio oppure vanno introdotte nel team nuove
professionalità, o cooptate nello staff risorse diversamente impiegate. Ed è
evidente che tutte le aree non tecniche stanno in fondo alla filiera. »
La provocazione è eccessiva per il Commerciale, che esplode.
« Ma le condizioni che abbiamo strappato con partner commerciali e customer
istituzionali... serve la disponibilità nei tempi stabiliti... » erompe sofferente.
« Ma suvvia mi meraviglio di lei, non ci sono altre possibilità! » conclude
vincente Anguillara. « Lei deve pensare che oggi l'unica risorsa convocabile
dall'area Sviluppo era l'ingegner Pacioli, il quale però segue altre attività e non
è assolutamente operativo sul progetto. »
Ecco, sono nient'altro che argumentum ad auditores per far allungare i tempi
di rilascio oppure per far mettere più soldi sul progetto oppure per avere più
gente che ci lavori. Bravo il dottor Anguillara, però già che c'era poteva usare
una sagoma di cartone. Che poi mi sarei fatto prestare per la seratona.