Le Operazioni per il Mantenimento della Pace

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Le Operazioni per il Mantenimento della Pace
Le Operazioni per il Mantenimento della Pace
Contrammiraglio Claudio Confessore
Comandante del Centro Addestramento Aeronavale della Marina
Militare Italiana
1. Generalità
.o
rg
Alla fine della seconda Guerra Mondiale il mondo è stato
diviso in due principali aree di influenza e per molti
anni
abbiamo
vissuto
in
un
precario
equilibrio
geopolitico ed ideologico tra i blocchi occidentale e
orientale, guidati rispettivamente da Stati Uniti e
Unione Sovietica. Oltre alla volontà di affermare la
propria egemonia su scala planetaria, i due grandi Paesi
incarnavano modelli politici, sociali ed economici opposti.
w.
os
di
fe
Il
timore
di
un
possibile
nuovo
conflitto
mondiale spinse le potenze occidentali a stipulare il
Patto Atlantico (aprile 1949) e quindi a istituire la Nato
(1950). A loro volta le Nazioni
del
blocco
orientale
risposero con il Patto di Varsavia (1955). Chi non
era "schierato" in uno dei due blocchi faceva parte dei
cosiddetti Paesi "neutrali" oppure "non allineati" o
"terzomondisti".
ww
La crisi dell'URSS ed il suo indebolimento sulla scena
internazionale iniziata negli anni ottanta portò, il 12
marzo
1985,
all'elezione
a
Segretario
Generale
del
PCUS di Michail Gorbaciov che fu nominato con il compito
preciso di portare una ventata di rinnovamento al sistema
il disfacimento dell'URSS. Il nuovo corso portò al lancio
di
tre parole d'ordine: GLASNOST
(trasparenza);
USKORENIE
(accelerazione,
dello
sviluppo
economico),
ed infine PERESTROJKA (ristrutturazione), che avrebbero
portato
alla
trasformazione
del sistema
sovietico.
Scopo
della
nuova
politica
estera
era
quello
di
ridurre
la
corsa
agli armamenti, i cui costi erano
diventati insostenibili per l'URSS che, inoltre, aveva
necessità di ottenere crediti da parte dell'Occidente
finalizzati alla modernizzazione del Paese. Ciò era
l’obbiettivo che il nuovo Segretario del Partito aveva
indicato da perseguire con priorità poiché
"nel
mondo
contemporaneo,
interdipendente
e
sempre
più
omogeneo,
è impossibile il progresso di una società
isolata
dai
processi
mondiali
per
chiusura
di
frontiere
e
per
barriere
ideologiche.
Ciò
riguarda
tutte
le
società,
socialiste"(Gorbaciov).
comprese
quelle
La stabilità del sistema dittatoriale socialista non ha
retto ed in breve tempo esplosero, in quasi tutti i Paesi
del
blocco
comunista,
numerose
manifestazioni
che
raggiunsero il loro apice con il "crollo del muro di
Berlino".
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La caduta del muro di Berlino rappresenta lo spartiacque
tra due modi di concepire la sicurezza e le relazioni
internazionali: se prima tutto era incentrato e ingessato
sulla logica dei blocchi, dal novembre del 1989 il mondo si
è
rimesso
in
movimento;
la
moltiplicazione,
diversificazione e complessità dei nuovi scenari hanno
profondamente inciso sui rapporti internazionali.
Il
riemergere
di
una
politica
estera
basata
sulla
rivalutazione
degli
Stati Sovrani e degli interessi
nazionali ha prodotto una crisi delle organizzazioni
internazionali.
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Questa tendenza ha subito una forte accelerazione a
seguito dei fatti dell’11 settembre 2001 che ha prodotto
l’affermazione
delle
“coalition
of
the
willings”
a
scapito
delle organizzazioni
internazionali
e,
in
particolare,
dell’Alleanza
Atlantica
e
dell’Unione
Europea.
Peraltro,
i
recenti
avvenimenti
internazionali
e
i
prevedibili
scenari
operativi
sembrano
lasciare
intendere
che
ci
siamo ormai,
definitivamente
avviati,
in
quella
che è stata
definita l’era delle “guerre di ordinamento” con le
quali
il
mondo
libero
intende mettere ordine nei
focolai
di
instabilità,
spinto
principalmente
dalla
necessità
di
assicurarsi
la
disponibilità
di
fonti
energetiche. Il “controllo” di esse è divenuto infatti
strategico per far fronte alla sfida di nuovi Paesi
economicamente
emergenti,
quali
ad
esempio
Cina
ed
India, la cui crescita esponenziale delle proprie necessità
energetiche costituisce uno dei fattori scatenanti la
recente lievitazione di prezzi, la quale è destinata,
secondo gli esperti, a consolidarsi, al di là dell'altalena
speculativa, dovuta alle guerre in atto. Non si tratta di
un
fenomeno
ciclico,
ma
strutturale,
che
potrebbe
essere
superato
solo
da
rivoluzioni tecnologiche che
tutti attendono con impazienza.
Il tradizionale compito delle Forze Armate della difesa
della Patria, alla luce del nuovo quadro geopolitico, ha
subito una modifica radicale con il coinvolgimento anche
del nostro Paese
in
numorose
missioni
per
il
mantenimento
della
pace
e
la
salvaguardia
dei
diritti umani,
nell'ambito
delle
organizzazioni
ONU,
NATO ed Unione Europea. Oggi le Forze Armate italiane
operano in oltre 20 aree geografiche con 24 missioni
internazionali, con un impegno medio di circa 7500 unità.
Le "missioni per il mantenimento della pace", fanno
ormai parte
della
politica
estera italiana
e
nella
accezione
più
ampia,
coinvolgono
l'intero
"Sistema
Paese", a livello diplomatico, militare, economico e
culturale
("comprehensiveapproach").
Lo
Strumento
Militare è una risorsa attiva a disposizione che ha
visto dagli anni '60 ad oggi, il coinvolgimento dei
nostri militari con un alto tributo in termini di vite
umane.
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In
tale
scenario
tutte
le
Forze
Armate
hanno
adottato o si stanno avviando verso nuova dottrina,
riformulando
il
concetto
operativo
d’impiego
delle
forze ed esaltando il ruolo degli assetti in grado
di proiettare potenza. Tale impiego delle Forze che
viene denominato "expeditionary". "Il confronto e la
competizione tra gli Stati non dovrebbero essere mai
risolti con il ricorso alle armi, ma qualora la guerra
fosse inevitabile, nessuno dei
contendenti
dovrà
combattere
con
il
desiderio
del
profitto
o
della
gloria.
I
generali dovranno
avere
la
massima
cura
dei loro uomini e cercare di ridurre al minimo i
danni
dell’avversario".
Non
sono,
queste,
considerazioni di un pacifista dal cuore tenero e
spaventato da un possibile olocausto nucleare, ma i
precetti di due antichi pensatori cinesi, Sun Tzu e Sun
Pin contemporanei di Platone (V-IV secolo a.C.), autori dei
due tra i più famosi trattati orientali di strategia
intitolati “Arte della Guerra” e “La Strategia Militare”.
La guerra è cambiata. Ai tempi dell'antica Roma
mantenere
la
pace
fra
i
popoli
era relativamente
semplice. Bastava sottometterli tutti, concedere loro
una buona dose di autonomia ed il gioco era fatto. Su
quella formula, detta pax augustea, si fondò il periodo
d'oro dell'Impero. Ma non durò molto. I duemila anni che
vanno dall'era di Augusto ai giorni nostri sono stati
caratterizzati
da
conflitti
sanguinosi,
quasi
senza
soluzione di continuità. Gli
scritti
di
Clausewitz
hanno
esercitato
per
molto
tempo
un'influenza
significativa non solo in campo militare (Napoleone ne
aveva una copia del libro di Clausewitz nella sua
biblioteca) ma anche in quello politico e letterario
(Tommaso d'Aquino l'avrà a modello e Macchiavelli la
riscriverà). Oggi che la guerra fa ancora parte della
realtà, a ogni latitudine, la formula per la pace è
necessariamente diversa. Se è vero che, come scrisse il
generale
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prussiano von Clausewitz, "la guerra è la prosecuzione
della politica con altri mezzi", la via per la pace non può
non passare attraverso la ricerca di una soluzione che
porti tutti gli attori della scena internazionale a sedersi
allo stesso tavolo per discutere dei problemi e delle loro
soluzioni.
Oggi
siamo
ormai
abituati
a
sentir
parlare di operazioni militari di supporto alla Pace.
Spesso se ne parla a sproposito o senza un’idea esatta di
che cosa significhi intervenire militarmente in Paesi in
cui popolazioni senza tutela e senza risorse sono inermi
vittime dei conflitti. È sicuramente opportuno astrarsi un
momento
dalle
gabbie
ideologiche
e
perfino
dalla
legittimità delle convinzioni individuali che vorrebbero un
mondo perfetto,
senza
l’incombere
della
violenza
armata,
ipotesi
che
tutti
chiaramente auspichiamo,
per cercare di comprendere meglio cosa vi sia dietro il
lavoro del militare che interviene
in
una
qualsiasi
area di crisi per riportare la normalità o anche
solo
una speranza
in
più
a
chi
soffre
per
gli
effetti di una guerra, di un disastro umanitario o
semplicemente perché i Governi locali non esistono o
non sono in grado di mantenere l’ordine, in virtù
del concetto di monopolio della forza che dovrebbe
dare
titolo
alle istituzioni legali. In questi casi
s’inquadrano tutti gli interventi che, dal dopoguerra ad
oggi hanno visto impegnata l’Italia in Libano, Somalia,
Albania, Bosnia, Mozambico, Timor Est, Kosovo, Iraq ed,
in
ultimo,
in
Afghanistan
(negli
allegati
sono
riportate
le
missioni
che vedono, od hanno visto,
impegnate le nostre Forze Armate all'estero ed in Italia).
2. Le operazioni militari
Generalmente
si
possono
definire
operazioni
militari
tutte
quelle
attività
in
cui
risorse
militari, a prescindere dall’entità e dal tipo, vengono
impiegate per assolvere un compito o meglio ancora, usando
una parola più tecnica, una missione. Esse si possono
dividere in due macroattività ben distinte:

operazioni di guerra (war);

operazioni militari diverse dalla guerra (MOOTW - Military
Operations Other Than War).
rg
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w.
Le
operazioni
in
risposta
alle
crisi
(CRO
–
Crise
Response
Operations)
sono operazioni in cui lo
strumento militare viene impiegato secondo un principio di
imparzialità ed
in
ottemperanza
ad
un
mandato
stabilito,
normalmente,
da
una
organizzazione
internazionale.
Nella
presente
trattazione
parleremo
solo
delle
MOOTW.
Esse
indicano tutte
quelle
operazioni in cui le forze militari sono impiegate
pur
non
essendovi
una situazione
di
guerra
conclamata. In questo tipo di operazioni lo strumento
militare
viene affiancato dal lavoro di diplomatici e
organizzazioni umanitarie con lo scopo di raggiungere una
soluzione
politica
a
lungo
termine
od
obiettivi
diversamente specificati nel mandato.
Le
operazioni
di
Supporto
alla
Pace
sono
interventi
condotti
“da
forze
armate multinazionali,
costituiti da contingenti messi a disposizione dagli Stati
membri, al fine di prevenire, contenere o far cessare
le
ostilità
in
un
conflitto
di
carattere
internazionale o interno” 1.
La stessa Nato sente il bisogno, visto il sempre
crescente
utilizzo
di
questo
genere
di
operazioni,
1
The Blue Helmets, A Review of the United Nations Peace-Keeping, UN, New York,
1996
rg
soprattutto dalla caduta del muro di Berlino, di dargli una
definizione formale: “le
Peace
Support
Operations
sono
operazioni
multi-funzionali,
condotte
in
modo imparziale,
normalmente
a
supporto
di
un’organizzazione
internazionale
come
l’ONU
o
l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione
in
Europa
(OSCE),
che
coinvolge forze militari e
agenzie diplomatiche e umanitarie. Le PSO sono concepite
per raggiungere un accordo politico a lungo termine o altre
specifiche condizioni. Esse includono il Peace Keeping e
il
Peace
Enforcing,
così
come
la
prevenzione
dei
conflitti,
il
Peace
Making,
il Peace
Building
e
2
.
L’utilizzo
di
questa
l’aiuto
umanitario”
definizione
sancisce
una differenza
fondamentale
tra
le PSO e le operazioni militari, poiché nelle prime
non
si combatte un nemico ma si persegue piuttosto
l’obiettivo di creare un ambiente sicuro nel quale
le
agenzie
umanitarie
possano
operare,
nel
pieno
riconoscimento dell’importanza del loro lavoro 3.
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.o
Infatti,
uno
degli
obiettivi
della
missione
secondo
la
dottrina
Nato
consiste
nel trasferimento
di
compiti
dalla
Forza
di
Supporto
(Pace
Support
Force
PSF)
alla componente civile della missione,
perché la PSF possa mettere in pratica la sua strategia
d’uscita 4.
ww
w.
3. Genesi delle Operazioni di supporto alla pace
Le forze di Peace Keeping costituiscono uno sviluppo
delle "missioni di osservatori" create dalle
Nazioni
Unite
per
svolgere
semplici
funzioni
di
inchiesta:
l’Organizzazione
per
la Supervisione della Tregua in
Palestina (United Nations Truce Supervision Organization –
UNTSO) costituisce il primo esempio di missione con
2
Allied Joint Publication 3-4-1(AJP 3-4-1), NATO Peace Support Operations,2001, cap 2,
par. 0203, pag.1
3
Ibidem. Le PSO sono disegnate per creare un ambiente sicuro, nel quale le
agenzie
civili
possano ricostruire l’infrastruttura necessaria per fondare una pace
auto-sostenibile
4
Allied Joint Publication 3-4-1(AJP 3-4-1), NATO Peace Support Operations,2001. Il
raggiungimento degli obiettivi militari e la creazione di un ambiente sicuro non
garantiscono che si stabilisca una pace auto-sostenibile. Senza sicurezza (e
giustizia)
e
riconciliazione,
la
ricostruzione
e
i
programmi
di
sviluppo,
necessari per creare la pace, hanno poche possibilità di riuscita. Una volta che gli
obiettivi militari relativi alla sicurezza siano stati raggiunti, la creazione dello
stato richiederà che la missione passi in mano dalla forza militare a quella civile
che
si
occupa
di
peace
building.
Senza
tale
evoluzione
dell’obiettivo
principale, accompagnata ad un altrettanto appropriato adeguamento nei finanziamenti e
nelle risorse, l’operazione ha poche possibilità di uscire dal suo status di intervento
militare.
os
di
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caratteristiche
(il
fondamento consensuale
e
la
neutralità
dell’operazione)
successivamente
trasfuse
nelle PSO 5. L’UNTSO, tutt’ora operante, benché in assenza
di un mandato ben definito, si è prestata ad essere
utilizzata in altre missioni, funzionando come corpo di
osservatori che spesso è intervenuto
per
integrare
ed
assistere forze create successivamente. Così è stato
ad esempio per l’UNEF II, costituita tra Egitto ed
Israele
dopo
la
guerra
del
Kippur 6,
per
la Forza
delle Nazioni Unite per l’Osservazione del Disimpegno
tra
Israele
e
Siria
(United Nations
Disengagement
Observer
Force
–
UNDOF) 7 e
per
l’UNIFIL 8
(United
Nations Interim Force in Lebanon). L'UNDOF e l'UNIFIL
sono
forze
ancora
operatve.
I
corpi osservatori
costituiscono, quindi, uno strumento flessibile che si
presta ad essere utilizzato anche in operazioni svolte
dalle forze militari. D’altro canto è pur vero che, in
relazione al caso, sono state create operazioni alle quali
sono state attribuite funzioni di osservazione unitamente
a
compiti
tradizionalmente
rientranti
nei
mandati
delle forze impiegate in operazioni di PSO, nonché
operazioni
che
hanno
presentato
un’evoluzione
dal
primo al secondo tipo di funzioni. Questo dimostra
che
vi
sono
molte
difficoltà
nel
determinare
i
confini tra le missioni di corpi di osservatori e le forze
militari impiegate nelle PSO, anche se, in linea di
principio, i due tipi di operazioni sono diversi.
ww
w.
Nel medesimo scenario dell’UNTSO è stata istituita la
prima vera e propria Forza delle Nazioni
Unite
in
supporto
alla
Pace.
Si
tratta
dell’UNEF 9(United
Nations Emergency Force), con funzioni ben più ampie
di quelle fino ad ora conosciute per i corpi di
osservatori.
Questo
mandato
più
ampio
era
dovuto
alla gravità della situazione in cui l’Organizzazione
interveniva per favorire il mantenimento della pace.
Risultò
infatti insufficiente l’esercizio di funzioni di
semplice osservazione del cessate il fuoco e quindi fu
attribuito alla Forza il compito di assicurarne il
mantenimento.
Una
delle
più
evidenti differenze
era
che
questa
missione
risultava
caratterizzata
da
un
notevole
numero
di militari,
ma
soprattutto,
pur
condividendo
con
altre
missioni
i
principi
di
5
Non sembra che il primo esempio di missione nell’esperienza in esame possa
essere individuato nel Comitato Specialistico delle Nazioni Unite nei Balcani (United
Nations Special Commitee on the Balcans
– UNSCOB) creato dall’Assemblea Generale con
risoluzione 109 del 21 ottobre 1947, in quanto non presenta le medesime caratteristiche
delle PSO.
6
Con la Risoluzione del Consiglio di Sicurezza n° 340 del 25 ottobre 1973.
7
Con la Risoluzione del Consiglio di Sicurezza n° 350 del 31 maggio 1974
8
Con la Risoluzione del Consiglio di Sicurezza n° 425 del 19 marzo 1978.
9
Con la risoluzione dell’Assemblea Generale n° 998 in data 4 novembre 1956.
os
di
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fondamento consensuale
e
neutralità
dell’operazione,
dovendo
agire
in
una
situazione
di
conflitto,
all’UNEF era riconosciuta la possibilità di ricorrere
all’uso della forza, seppure per finalità di legittima
difesa.
Le
caratteristiche
e
le
condizioni
di
10
funzionamento
della forza UNEF hanno
costituito
il
punto costante di riferimento per la creazione di
altre
operazioni
di Peace
Keeping.
La
creazione
dell’UNEF
sollevò.
comunque,
alcune
controversie,
soprattutto per gli aspetti operativi e costitutivi
delle
forze:
in particolare
il finanziamento delle
operazioni e il reclutamento dei contingenti. Questi
contrasti accompagnarono le prime operazioni di Supporto
alla Pace, ma non ostacolarono la creazione anche di altre
missioni,
come
ad
esempio
l’UNSF
nella
Guinea
11
Occidentale
e
l’UNFICYP
a
Cipro.
A questa
nuova
fase
iniziale
di
avvio
della
prassi
delle
operazioni,
ha
fatto
seguito
un periodo,
ricompreso
tra la fine degli anni ’60 e la prima metà del
decennio
successivo, caratterizzato
da
crisi
e
conflitti con il diretto coinvolgimento delle superpotenze (specialmente Stati Uniti ed ex URSS), che
non permisero di utilizzare al meglio la strumento
delle PSO. A partire dal 1973 si ricorre nuovamente
alle
PSO
in
Teatri precedentemente
già
attivati:
l’UNEF II. Quest’ultima si concluderà nel 1979 con
il raggiungimento dei suoi scopi fondamentali del mandato
ricevuto.
ww
w.
Un’altra
operazione
che
costituì
una
svolta
fu
l’UNTAC 12, poiché il suo mandato si estendeva anche ad
operazioni in materia elettorale. Da questo periodo in poi
vi saranno una serie di operazioni che rafforzeranno
sempre
di
più
il
ruolo
delle
PSO
nel
contesto
geopolitico mondiale 13. Mentre fino al 1987 gli interventi
sono stati attivati in situazioni di crisi prevalentemente
internazionali, la prassi più recente mostra la loro
utilizzazione
in situazioni, ormai più ricorrenti, di
guerre civili, nel caso in cui, come spesso accade, queste
presentino
ripercussioni
internazionali
o
siano
di
interesse internazionale.
Nel corso degli anni ’90, il Consiglio di Sicurezza ha
dato avvio ad alcune operazioni di Peace
Keeping,
definite
di
terza
generazione,
il
cui
mandato
è
stato
concepito,
e successivamente ampliato, per
10
Enunciate nel “Summary Study” del Segretario Generale delle Nazioni Unite.
Con la Risoluzione del Consiglio di Sicurezza n°186 del 4 marzo 1964.
12
United
Nation
Transitional
Authority
in
Cambogia
–
UNTAC,
stabilita
con
Risoluzione n°435 del 29 settembre 1978.
13
Come ad esempio l’operazione UNAVEM I, II e III in Angola, l’ONUSAL in in El Salvador
e l’ONUMOZ in Mozambico.
11
ricomprendervi anche l’uso della forza, al fine di
disarmare le parti in conflitto, proteggere personale
o
installazioni
della
Nazioni
Unite,
prevenire
attacchi
contro
zone
di
sicurezza
o
d’interdizione
d’area 14.
ww
w.
os
di
fe
.o
rg
Analizzando la prassi applicata delle Nazioni Unite,
si può notare che alcune delle precedenti operazioni
di Peace Keeping erano state caratterizzate da un
certo grado di uso della forza. Nel caso dell’UNEF
II,
le direttive
contenute
nel
rapporto
del
Segretario generale approvato dal Consiglio di Sicurezza 15
stabilivano che non sarebbe stata usata la forza eccetto
che per legittima difesa. Nella nozione di legittima
difesa era inclusa la reazione ad ogni tentativo di
impedire con mezzi coercitivi alla forza di espletare
le
sue funzioni secondo il mandato assegnato. Nel caso
della Forza delle Nazioni Unite in Libano (UNIFIL),
i
termini di riferimento e le direttive sancivano la
stessa
nozione
ampia
di legittima difesa. Quanto
all’operazione delle Nazioni Unite in Congo, coloro che
nell’ambito del Segretario generale guidavano l’operato
dell’ONUC nella prima fase, ribadirono che i contingenti
militari delle Nazioni Unite non erano autorizzati ad usare
la forza se non per legittima difesa. Nella seconda fase
dell’operazione,
il
Consiglio
di
Sicurezza 16
autorizzò l’ONUC, senza fare alcun riferimento al Cap. VII,
ad usare in ultima istanza la forza per prevenire
l’insorgere
di
una
guerra
civile.
Inoltre
il
autorizzò
il
Segretario Generale ad
Consiglio 17
impiegare la forza per portare a termine il ritiro dei
mercenari.
I principi guida dell’UNFICYP a Cipro ampliarono
ulteriormente la nozione di legittima difesa. Mentre, da
una parte, questo concetto era limitato alla difesa delle
postazioni, delle sedi, dei veicoli delle Nazioni Unite e
di altro personale UNFICYP sottoposto ad attacco, d’altra
parte
esso
veniva
esteso
all’uso
delle
armi
necessario
per
lo
svolgimento
delle funzioni
della
forza, intese a preservare la pace e la sicurezza,
prevenire il ripetersi dei combattimenti, contribuire
al mantenimento e al ristabilimento della legge e
dell’ordine, favorire il ritorno alla normalità.
Nei
Keeping
14
casi
non
Al
riguardo
le
risoluzioni n° 814
relativa all’UNPROFOR
15
Con risoluzione n°
16
Con risoluzione n°
17
Con la risoluzione
menzionati,
le
operazioni
di
Peace
erano
qualificate
come missioni di
decisioni
più
significative
sono
quelle
contenute
nelle
del 1993 in relazione all’UNOSOM II in Somalia e n° 836 del 1993
nella Ex Iugoslavia.
340 del 25 ottobre 1973
161 del 1961
n° 169 del 24 novembre 1961
combattimento, autorizzate ad usare strumenti coercitivi
per adempiere il loro mandato. L’uso della forza è stato
autorizzato solo per legittima difesa, ma questa nozione è
stata inserita in senso ampio nelle direttive del
Segretario Generale, nonché dai mandati del Consiglio di
Sicurezza che li hanno incorporati.
os
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Nell’operazione
in
Somalia,
invece,
l’originario
coinvolgimento per il mantenimento della pace (UNOSOM I)
è
mutato
in
una
forma
d’imposizione
della
pace
conformemente
alla
risoluzione
del
Consiglio
di
18
Sicurezza . Con tale risoluzione, il Consiglio ha esteso,
infatti, il mandato dell’UNOSOM II al fine di stabilire un
ambiente sicuro per le operazioni di assistenza umanitaria
in Somalia, includendovi funzioni di combattimento contro
le fazioni in lotta, il mantenimento del controllo della
armi pesanti delle fazioni, il sequestro di armi non
autorizzate,
la
garanzia
di
sicurezza
di
porti
e
aeroporti
per
la
distribuzione dell’assistenza
umanitaria,
la
protezione
del
personale
e
delle
installazioni
dell’ONU. Come afferma esplicitamente il
Segretario Generale in un suo rapporto, l’UNOSOM II non
sarebbe stata in grado di svolgere il suo mandato se non le
fossero stati accordati poteri coercitivi in base al Cap.
VII della Carta.
ww
w.
Nel caso dell’UNOPROFOR 19, invece, la forza era stata
istituita il 21 febbraio del 1992 come operazione di Peace
Keeping tradizionale 20
con il mandato di creare le
condizioni di pace e di sicurezza richieste per negoziare
una soluzione globale della crisi jugoslava. Nel corso del
tempo il mandato dell’UNOPROFOR è stato ampliato all’uso
della forza in primo luogo con la risoluzione n° 758 dell’8
giugno 1992 , senza riferimenti al Cap. VII; in seguito,
dalla risoluzione n° 764 del 13 luglio 1992, relativa alla
sicurezza dei corridoi tra la città di Sarajevo e
l’aeroporto,
per
garantire
la
consegna
degli
aiuti
umanitari. Con le successive risoluzioni il Consiglio di
Sicurezza ha ulteriormente esteso il mandato e con la
risoluzione n° 770 del 13 agosto 1992 ha collocato
l’operazione delle Nazioni Unite nel contesto del Cap. VII,
invitando gli Stati ad adottare tutte le misure per
facilitare l’assistenza umanitaria a Sarajevo e ovunque
necessario nel territorio della Bosnia estendendo, quindi,
il mandato anche alla protezione dei convogli dei
prigionieri 21. Successivamente, la risoluzione n° 836 del
4 giugno 1993 ha segnato un vero punto di svolta.
Essa
conteneva
un
tangibile ampliamento del mandato
18
19
20
21
Risoluzione n° 814 del 26
United Nations Protection
Con la risoluzione n° 743
Con la Risoluzione n° 776
marzo 1993
Force in Jugoslavia
del 1992.
del 14 settembre 1992
w.
os
di
fe
.o
rg
della
forza,
assegnando
all’UNPROFOR
il
compito
di
assicurare il pieno rispetto delle zone di sicurezza
e
di
impedire
gli
attacchi
contro
di
esse,
di
promuovere il ritiro delle unità militari e paramilitari e
di occupare alcuni punti chiave sul terreno. Essa conteneva
poi il cosiddetto mandato aggiuntivo, che abilitava
l’UNPROFOR ad adottare per legittima difesa tutte le
misure
necessarie,
incluso
l’uso
della
forza,
in
risposta ai bombardamenti contro le zone protette, da
qualsiasi parte provenissero, o alle incursioni
armate
all’interno
di
esse,
o
ancora
in
caso
di
ogni
deliberato impedimento, all’interno o intorno a tali aree,
della libertà di movimento dell’UNPROFOR o dei convogli
umanitari da essa protetti. E’ evidente che questo genere
di operazioni si è collocato al di fuori della legittima
difesa, nonostante l’espressa menzione di quest’ultima sia
contenuta nella risoluzione 836, per la semplice ragione
che l’uso della forza è autorizzato non solo per
rispondere
ad
attacchi armati
contro
l’UNPROFOR
in
quanto tale o contro le forze delle Nazioni Unite, ma
anche agli attacchi contro le zone di sicurezza, le loro
popolazioni e
i
convogli
umanitari
protetti.
In
questo caso non si tratta di legittima difesa in
senso ampio, ma di poteri coercitivi fondati sul Cap. VII
della Carta. Il Consiglio di sicurezza è invece tornato
alla nozione ampia di legittima difesa nella risoluzione n°
871 del 4 ottobre 1993, con la quale ha riconosciuto
all’UNPROFOR la possibilità di adottare tutte le misure
necessarie di legittima difesa, incluso l’uso della forza,
per garantire la propria sicurezza e libertà di movimento
in Croazia.
ww
Nei conflitti tra Stati, il personale impegnato
nel Peace-Keeping, è stato incaricato sempre più spesso
di proteggere i profughi e di assicurare la distribuzione
di beni di prima necessità. Il Peace-Keeping ha presto
assunto un carattere multidimensionale, inglobando il
Peace-Making, cioè il monitoraggio e la realizzazione
degli
accordi
di
pace,
la ricostruzione
democratica
ed economica, l'organizzazione dell'aiuto umanitario e
del ritorno
dei
profughi,
l'assistenza
nella
transizione
politica,
la
supervisione,
se
non
l'organizzazione delle elezioni, il monitoraggio del
rispetto dei diritti umani, il disarmo delle fazioni e la
raccolta delle armi.
Per le missioni di tipo tradizionale, il cui
compito
principale
era
quello
di
aiutare
i
belligeranti
nel
mantenimento
della
pace,
le
forze
messe
a
disposizione
erano prevalentemente
di carattere militare e venivano distinte, anche dal
punto
di
vista operativo, dagli osservatori civili.
L'evoluzione dei compiti ha determinato un cambiamento
anche nella composizione delle forze di pace nel cui ambito
è cresciuta considerevolmente la presenza ed il peso
dell'elemento civile. È realistico prevedere che, in un
mondo sempre più globalizzato e interdipendente, in cui il
destino di ogni popolo è legato a quello degli altri, gli
interventi di Peace-Keeping acquisteranno un'importanza
sempre maggiore.
4. Organizzazione di una missione di Peace Keeping
os
di
fe
.o
rg
Il mandato dell’ONU è normalmente quello che potremmo
definire la “fonte primaria”,
l’atto che legittima
l’intervento ed in seguito al quale il Governo di un
determinato Paese fa scaturire
l’adesione
politica
al
progetto
di
intervento.
L’O.N.U.
emana
le
sue
direttive attraverso una risoluzione e poi un mandato
nei
confronti
delle
Nazioni
che
hanno
reso
disponibile le loro forze. Da lì in poi, una volta che
l’operazione sia resa legale e legittima, inizia il lavoro
dei militari.
ww
w.
Il primo approccio riguarda la conoscenza del Teatro
operativo. Attualmente le Forze Armate italiane sono
impiegate prevalentemente in Libano ed in Afghanistan,
nell’ambito di due operazioni di cui si parla e che, per
motivi contrastanti, sono spesso agli onori della cronaca.
In realtà si tratta di Teatri molto ben conosciuti, per cui
è necessario, e in qualche modo ovvio, che ci si prepari
accuratamente a casa, contando sull’esperienza maturata.
Tale preparazione è mirata allo specifico territorio in cui
si è chiamati ad intervenire, mirata alle esigenze della
popolazione che in quelle zone abita da secoli e
che,
di
fatto,
è “padrona in casa propria”. Mirata,
infine, a gestire e contrastare la minaccia che le fazioni
degli insorti, antagonisti al Governo eletto, producono
quotidianamente
nei
confronti
della
forza
di
stabilizzazione.
Tentiamo
adesso
di
seguire,
passo
per
passo,
la
sequenza
di
pianificazione
di un’operazione
militare
tesa
all’intervento
in
area
di
crisi.
Come
detto
tutto
inizia
con l’ordine
superiore,
dell’autorità
politica,
che
deriva
dal
mandato
internazionale.
È necessario, in primis, iniziare un lavoro molto minuzioso
per comprendere in quale realtà ci si debba calare.
Il
primo
approccio
riguarda
il
riconoscimento
dell’ambiente operativo: come è fatto, chi ci abita, di
quali problemi soffre e quali siano le possibili evoluzioni
dello scenario. Subito dopo
si
considerano
le
forze
antagoniste:
chi
sono
le
fazioni
in
lotta,
quali
tattiche e tecniche impieghino, come sono armate e quale
sia il loro end state, insomma ci si chiede sempre quale
sia il fine politico e militare dell’impegno di una
specifica fazione in quella data area.
w.
os
di
fe
.o
rg
Le
sfide
poste
dall’ambiente
operativo
sono
l’elemento
su
cui
porre
la
maggiore attenzione; la
climatologia
influenza
le
operazioni,
così
come
le
caratteristiche del terreno nel quale si dovrà operare.
Immaginate
cosa
significhi
trasferire
un
reparto
e
consentirgli di lavorare così come fanno le forze anfibie,
impiegando le navi per proiettare uomini e mezzi a
centinaia
di
Km
di
distanza
dal
territorio
nazionale, spesso con limitate capacità di rifornirsi
in porti vicini. Pensate, inoltre, quale sia la sfida nel
giungere ed operare a terra muovendosi spesso su strade
danneggiate dal conflitto e non più percorribili. A
tutto questo
deve
porre
rimedio
un’attenta
pianificazione che è mirata ad evitare errori ed a
prevedere quali siano le situazioni peggiori, proprio
per non lasciare nulla al caso. In questa fase tutti
gli elementi dello staff del Comandante producono dei
template che sono funzionali ad ottenere il maggior numero
di risposte alle domande più disparate ma che possono
essere riassunte, alla maniera anglosassone, con la
ricorrente regola delle 5W: Who? What? Where? When? Why?
ww
Nel Teatro Operativo, una volta che sia definito lo
scenario, è necessario conoscere gli attori e quale sia la
loro parte. Nelle aree di crisi c’è una costante latitanza
di istituzioni. I Governi
legittimi,
coloro
i
quali
dovrebbero
detenere
il
monopolio
della
forza
(per
impiegarla al fine di garantire e tutelare i diritti
civili), sono spesso assenti o succubi di altri centri di
potere che intendono mantenere alto il livello della
destabilizzazione. Ecco che l’opera dei militari si rende
necessaria per coprire il vuoto lasciato dalle istituzioni
locali. Ai militari
si
affiancano
le
Organizzazioni
Internazionali,
che
hanno
il
preciso
compito
di
supportare
la
popolazione
e
di
finalizzare
le
progettualità
tese
a
riportare
normali condizioni di
vita sociale come l’istituzione dei Governi provvisori
(ricordo che in Kosovo le Nazioni Unite amministrano la
regione,
attraverso
l’UNMIK,
fin
dal
1999)
o
per
porre rimedio
alle
situazioni
di
degenerazione
della
sicurezza
(esemplare
è
l’opera
di
organizzazioni come la UN Mine Action Center che, in tutti
i Teatri mondiali, coordina lo sminamento
e
la
bonifica
per
consentire
il
reimpiego
dei
terreni
e
delle
vie
di comunicazione) o, infine,
per impostare un piano di riorganizzazione sanitaria come
fa la World Health Organization, altra agenzia ONU e
soccorrere i rifugiati ed i profughi (UNHCR).
w.
os
di
fe
.o
rg
Per quanto attiene le Organizzazioni Internazionali,
tra le varie presenti sul territorio, sono da evidenziare
la moltitudine di Organizzazioni Non Governative (ONG) che
operano nei
Teatri
in
vari
campi
economici,
culturali,
sanitari
e
sociali.
Molto
spesso
con
queste Organizzazioni si imposta un comune lavoro di
coordinamento per il quale i militari offrono cornici di
sicurezza o adeguato supporto in termini di uomini, mezzi e
know how (a questo proposito è bene ricordare che in ogni
divisa batte un cuore e c’è un cervello e che, molto
spesso, i militari posseggono professionalità inusitate ed
assolutamente pregiate nei Teatri operativi, sia dal punto
di
vista
tecnologico,
sia
sotto
il
profilo
della
progettazione e dello studio delle problematiche). Altre
volte il rapporto con le ONG non è così semplice. Molto
spesso alcune
di
queste
organizzazioni
sono
troppo
politicizzate o, addirittura, non si può escludere
che
possano
essere
il
paravento
di
gruppi
terroristici
che,
sotto
la
veste
del benefattore,
nascondono
intenzioni
poco
o
per
niente
pacifiche.
Il
principale
attore
del Teatro,
il
protagonista
è,
comunque e sempre, il cittadino di quel Paese, il
soggetto e l’oggetto della missione.
ww
È
difficile
comprendere
la
miriade
di
stati
d’animo
e
di
situazioni
in
cui
ci
si
potrà
imbattere. Il denominatore comune rimane quel senso
di inquietudine che accomuna la speranza e la paura, la
miseria ed il dolore, la gioia di un insperato ritorno alla
vita (come nel caso dei musulmani di Bosnia e Kosovo,
salvati
dall’intervento
militare
della
NATO)
e
l’insicurezza del futuro. Tutto questo va spiegato e
fatto comprendere ai militari che prendono parte alle
missioni. Deve essere percepito ed interiorizzato il
concetto che, ovunque si vada, si è ospiti a casa
altrui, in un contesto in cui la parola d’ordine è
IMPARZIALITÀ. Imparziali rispetto alle posizioni politiche,
alle risse etniche od ai conflitti religiosi.
Imparziali
per rispetto e per conoscenza di altre precedenti
situazioni che la Storia ci ha insegnato e la cui lezione
deve essere sempre viva, nei cuori e nelle menti.
Imparziali per professione e per mandato. Questa è
la
prima
lezione
impartita
ai
nostri militari,
qualunque sia il nome del Paese in cui si andrà ad operare.
ww
w.
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.o
rg
Un altro aspetto che curiamo particolarmente è
la
conoscenza
da
parte
del
nostro personale della
cultura locale, la sociologia e le abitudini dei padroni di
casa. È sempre opportuno, esattamente come chiunque di
noi
farebbe
se
invitato
a
casa
altrui,
evitare
comportamenti offensivi o fuori luogo. Non si tratta
di relativismo ma di semplice savoir faire. È bene
che
tutti
sappiano
come
comportarsi
e
come
facilitare
un
processo
di accettazione che serve a
massimizzare la sicurezza e l’opportunità di ben concludere
la missione assegnata, possibilmente senza incidenti.
Questo aspetto è stato recentemente applicato anche dagli
statunitensi che, nell’ambito delle Counter Insurgency
Operations hanno
sviluppato
la
cosi
detta
“dottrina
Petraeus”.
Si
tratta,
in
pratica,
di
un
modus
operandi che prevede la vicinanza alle persone, nel
rispetto della diversità e della reciproca tolleranza.
Il
tentativo
di
conquistare
cuori
e
menti
deve
essere reale e, comunque, deve andare di pari passo
con la tutela della sicurezza dei militari che, in
alcuni
Teatri,
sono
chiaramente
esposti
alla
minaccia. Ovviamente il processo di pianificazione che
conduce all’operazione vera e propria ha degli aspetti
tecnico-militari di assoluta
rilevanza
per
il
buon
esito delle operazioni. La conoscenza dei compiti, a
qualsiasi
livello
sia
inteso,
dalla
Brigata
alla
semplice
squadra
e
l’interiorizzazione
delle singole
attribuzioni che riguardano il lavoro di ogni militare, dal
Comandante al più giovane dei militari impegnati, è un
aspetto tecnico-professionale le cui basi e la cui
essenza
risiede
in
una
parola:
addestramento.
L’addestramento è un momento lungo, vivo, con un preciso
inizio e senza fine: non si smette mai di imparare. Le
situazioni, tutte le situazioni, sono mutevoli e danno
adito al cambiamento, anche delle metodologie addestrative
ed al riguardo dell’impiego di mezzi, materiali e
personale.
L’aggiornamento
sull’impiego
dei
mezzi
e
dei
materiali
in
dotazione
è
un
aspetto fondamentale,
altrettanto
importante
è
la
comprensione
e
l’interiorizzazione
delle
norme che regolano il
comportamento dei militari nel corso delle operazioni: le
Regole d’ingaggio. Le regole di ingaggio (Rules of
Engagement) definiscono esattamente i limiti d’impiego dei
contingenti militari, le circostanze e le modalità in cui
la forza può essere impiegata. Giusto per fornire un
elemento iniziale di valutazione da parte vostra vi dirò
che, genericamente, è autorizzato
l’uso
della
forza
minima,
per
autodifesa,
per
rispondere
ad
una
minaccia diretta. Il concetto italiano di “minaccia
diretta” è forse il più restrittivo tra quello delle forze
NATO,
in
pratica,
per
usare
un’iperbole,
non
è
sufficiente che qualche malintenzionato punti un’arma
perché
io
sia
autorizzato
a
difendermi.
Il
malintenzionato,
per
essere giudicato
tale
se
dopo
aver puntato l'arma manifesti un chiaro atto ostile.
Le regole di ingaggio sono vitali per la riuscita
di
qualunque
operazione
e
non
sono
standard
ma
selezionate ed autorizzate, di volta in volta. In
seguito ritorneremo sull'argomento per approfondirne gli
aspetti delle ROE, in funzione dello scenario operativo.
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di
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rg
Riassumendo, qualsiasi uso della forza, che non
sia autodifesa, deve essere autorizzato esplicitamente
dal
mandato.
L’uso
non
necessario,
eccessivo
o
irrazionale della
forza
produce
effetti
negativi
sull’imparzialità e sulla credibilità della missione,
provoca
una
diminuzione
del
consenso
e
potrebbe
portare
ad
un
aumento
diffuso
del livello
di
violenza
in
tutta
l’area
della
missione.
Ciò
pregiudica
il
raggiungimento
degli obiettivi finali
portando, in certi casi, al fallimento della missione.
Pertanto, le conseguenze negative del ricorso alla forza
saranno tanto più contenute quanto più sarà evidente e/o
dimostrabile
che
la
risposta
è
collegata
e
circoscritta all’eliminazione di una minaccia diretta
contro il Contingente.
w.
Le alternative all’uso della forza, su cui si deve
insistere e su cui si lavora in sede di addestramento
possono essere così riassunte:
ww
 la dissuasione. La semplice presenza di unità dotate di
armamento
pesante
è
a
volte
sufficiente
a
dare
dimostrazione della elevata capacità di combattimento di
cui dispone il Contingente;
 minaccia dell'uso della forza. Mentre nella dissuasione la
possibilità e la capacità del ricorso alla forza da parte
del Contingente sono percepite in modo implicito, in alcune
situazioni
può
rendersi
necessario
“rafforzare”
il
messaggio mediante una esplicita minaccia di utilizzare
una determinata capacità di combattimento;
 uso
non
letale
della
forza.
Per
“uso
non
letale
della
forza”
si
intende
l’applicazione della
forza
militare
in
modo
tale
da
conseguire
gli
scopi
previsti
nell’ambito
della missione, agendo con il
massimo riguardo per la salvaguardia della vita umana,
delle cose e dell’ambiente.
L’impiego
non
letale
della
forza
non
implica
l’esclusione
totale
della
possibilità
di perdite in
vite umane o di danni alle cose o all’ambiente, ma allarga
il campo delle opzioni per
l’uso
della
forza,
conseguendo risultati di particolare valenza in campo
militare, politico,
diplomatico,
psicologico
e
umanitario,
attraverso
l’implementazione
di
nuove
tecnologie (ad esempio armi non letali) o l’utilizzo di
quelle esistenti con elevata precisione e a ragion veduta.
Per quanto attiene specificatamente alle armi non letali
(Non Lethal Weapons - NLW), la loro disponibilità nelle
Peace Support Operations:
w.
os
di
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.o
rg
 permette
al
Contingente
di
impostare
la
propria
azione
in
conformità
al
tipo
di minaccia,
alle
regole d’ingaggio
ed
al
mandato
ricevuto,
mediante
la
gradualità,
la proporzionalità e la selettività nel
ricorso alla forza;
 incrementa indirettamente la sicurezza delle proprie forze.
La disponibilità di sole armi letali,
infatti,
può
paralizzare
o
limitare
l’operato
del
Contingente
impedendogli
di reagire alle offese per evitare di
innescare un’escalation della violenza;
 incrementa le capacità di svolgere efficacemente la
missione,
soprattutto
in
settori quali
la
sorveglianza
di
linee
di
demarcazione,
il
controllo
della
folla,
la neutralizzazione di
combattenti o soggetti ostili mescolati tra la folla, ecc.;
 favorisce
il
mantenimento
del
consenso,
principio
vitale
nelle
Peace
Support Operations, in quanto
abbassa il livello di violenza offrendo opzioni all’uso
letale della forza.
ww
Affrontando più dettagliatamente gli assetti messi
in campo per un’operazione di Supporto alla Pace si
deve
considerare
che,
la
pianificazione
della
composizione
e dell'equipaggiamento del Contingente e la
decisione di impiegare armamenti "pesanti" (ad esempio
veicoli corazzati o artiglierie), deve tenere conto
di aspetti quali il grado di sicurezza che si vuole
conferire alle forze incaricate della missione, il segnale
che, più o meno esplicitamente, si vuole trasmettere con
tali armamenti e gli obiettivi che il mandato si prefigge.
In
alcuni
casi,
i
citati
aspetti
appaiono
in
contrasto
tra
di
loro:
infatti,
una
forza
pesantemente equipaggiata, e quindi potenzialmente in
grado di portare a termine operazioni di intensità
elevata, potrebbe essere percepita come una minaccia
o una provocazione. Per contro, un Contingente dotato di
armamento
leggero
e
non
in
grado
di
fronteggiare
efficacemente le eventuali violazioni del mandato, vedrebbe
compromessa la sua
credibilità
e
sarebbe
esposto
a
rischi non necessari che potrebbero, in prospettiva,
os
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rg
mettere in pericolo anche il compimento stesso della
missione.
Tutto
questo
è
la
base dell’operazione
militare
in
se.
Gli
aspetti
propriamente
tecnici,
che
riguardano l’accuratezza
della
pianificazione
sotto
qualsiasi
profilo,
dalla
consistenza ed aggiornamento dei database geografici alla
definizione del sostegno logistico, dal supporto medico
alla cooperazione civile-militare, dalle telecomunicazioni
alle operazioni di bonifica del territorio, dai rapporti
istituzionali alla gestione dei media. Tutto questo fa
parte dello studio senza fine, aperto alla mutevolezza
ambientale quale presupposto necessario al buon esito
delle operazioni, secondo una cultura della ricerca della
stabilizzazione e della Pace che la forza militare deve
avere quale fine principale. Non soldati di Pace ma soldati
per la Pace, con un bagaglio culturale ed individuale le
cui basi ed i cui presupposti sono frutto di anni
di
istruzione
ed
esperienza
in
tutti
gli scenari
mondiali.
w.
5. - Le informazioni per il controllo del territorio
ww
Il successo di un’operazione di Peace Keeping è
strettamente legato al consenso e alla cooperazione delle
autorità politiche, delle autorità militari e da parte
della popolazione civile. E' necessario conoscere a fondo
le motivazioni delle parti coinvolte nel conflitto, il loro
background storico, la loro cultura e lo sviluppo del
conflitto. Questo può essere raggiunto ponendo la massima
attenzione allo Human Intelligence (HUMINT), cioè a quella
branca dell’intelligence che si occupa di relazioni umane
dirette.
Le informazioni intelligence possono essere acquisite
mediante l’utilizzo di fonti aperte, come ad esempio
l’interazione quotidiana con la popolazione civile. Altre
informazioni possono pervenire dall’osservazione deliberata
o da operazioni di sorveglianza, coperte o scoperte.
La sicurezza dei team osservatori dipenderà molto dalla
loro imparzialità ed essere notevolmente incrementata con
un comportamento credibile e professionale.
Durante la fase preparatoria dell’immissione di una
forza in un teatro operativo i Comandanti e i propri staff
devono analizzare con cura i dettagli del loro mandato.
Quando rischierati sul territorio è necessario che sia
stabilito con priorità un sistema dicollegamento sicuro ed
efficace tra il governo ospite, la forza di Peace Keeping e
le parti in disputa.
Ogni militare deve essere costantemente aggiornato sulla
situazione in atto, sia per non esporsi come un bersaglio
sia per proteggere chi è con lui.
6. - Operazione Leonte
os
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rg
A seguito della cessazione delle ostilità tra lo Stato
di Israele e il movimento Hizballah, il Governo Italiano,
con il Decreto Legge del 28 agosto 2006, ha disposto
l’invio di una Early Entry Force nazionale, denominata
Joint Landing Force Libano (JLF-L) quale contributo
nazionale alla missione di peacekeeping nel sud di predetto
Stato, per l’attuazione della risoluzione 1701 del 11
agosto 06 dell’ONU. L'operazione, in ambito nazionale, è
stata denominata Leonte (vecchio nome del fiume Litani).
w.
La JLF-L a guida Marina è partita con brevissimo
preavviso alla fine del mese di agosto. La sua composizione
era basata sui Reparti della costituenda Capacità Nazionale
di Proiezione dal Mare, che includeva i seguenti assetti:
ww
 comando e staff della Forza da Sbarco della Marina
Militare;
 distaccamento di polizia militare CC Tuscanica;
 Reggimento San Marco con personale di staff, aliquota della
compagnia Operazioni Speciali, Battaglione di manovra Grado
e Battaglione logistico Golametto (Logistica di aderenza);
 una Compagnia fucilieri del Reggimento Lagunari Serenissima
alle dipendenze operative di battaglione Grado;
 una Compagnia del 7° Reggimento NBC Cremona;
 una Compagnia 3° Reggimento Genio con Plotone EOD/IEDD e
Plotone di supporto allo schieramento.
Al fine di consentire il conseguimento degli obiettivi
fissati dalla UNSCR 1701, la missione assegnata era quella
di:
 concorrere
al
potenziamento
iniziale
della
capacità
militare di UNIFIL;
 contribuire alla creazione di condizioni di pace e di
sicurezza in concorso con l’esercito libanese;
os
di
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.o
rg
 avviare le condizioni logistico-organizzative necessarie
per la successiva immissione della Follow on Force (FOF),
sotto la guida della Brigata Pozzuolo del Friuli
w.
L'area di operazioni assegnata al Contingente Nazionale
consisteva nella cosiddetta "sacca di Tiro", una porzione
di territorio che, dal fiume Litani, si estende verso sud
per circa 20 km mentre dalla costa si estende verso est per
circa 15 km.
ww
I reparti della JLF-L e i mezzi/materiali sono stati
trasportati da una FormazioneNavale denominata Joint
Amphibious Task Force costituita da nave Garibaldi (sede
comando) tre navi anfibie San Giorgio - San Giusto – San
Marco, una unità di scorta, nave Fenice e da una unità
mercantile, partita da Porto Marghera ed impiegata per il
trasporto dei mezzi dell'Esercito del Genio ed alcuni mezzi
della Compagnia NBC.
Il personale ed i mezzi imbarcati sul Garibaldi e sulle
navi anfibie sono stati sbarcati il 2 e 3 settembre nel
porto di Naqoura e sulla spiaggia a sud di Tiro. I mezzi
del Genio/NBC sono sbarcati il 3 settembre nel porto di
Beirut ed il personale, a meno di una piccola aliquota
imbarcata sull’unità mercantile, è giunto con aereo
dell'Aeronautica Militare C130 nell’aeroporto della stessa
capitale.
rg
.o
os
di
fe
Nave San Marco, subito dopo aver sbarcato uomini e
mezzi, è rientrata in Italia per effettuare il successivo 6
settembre, nel porto di Naqoura, una secondo sbarco di
personale mezzi/materiali.
ww
w.
Il totale del personale schierato sul terreno è stato
di 1000 unità (tra cui 8 donne) e sono stati sbarcati 320
mezzi (di cui 60 nel porto di Beirut). La JLF-L non poteva
essere composta da più di 1000 uomini sul terreno poiché,
sommando a tale contingente i circa 1500 uomini facenti
parte degli equipaggi delle Unità navali, il totale del
Contingente
Nazionale
è
salito
a
2500
militari,
corrispondente al numero massimo previsto e finanziato dal
Governo Italiano.
Le operazioni iniziali comprendenti l’arrivo in zona e
le attività preliminari per l’acquisizione della Full
Operational Capability (FOC) certificata da UNIFIL sono
state condotte in 5 fasi:
 fase 1: inserzione di un nucleo di contatto, a mezzo
elicottero, presso il Quartier Generale di UNIFIL di
Naqoura allo scopo di coordinare le fasi di sbarco e
costituire una prima cellula di collegamento con il Comando
di UNIFIL;
 fase 2: sbarco del contingente iniziato il giorno 02
settembre. A seguito delle condizioni del mare non
permissive per l'attività con mezzi di superficie sulla
spiaggia, l'operazione è stata limitata nell’area di Tiro
rg
per la sola componente mezzi anfibi tipo AAV7 ed elicotteri
e più al sud nel porto di Naqoura, normalmente impiegato da
UNIFIL, per mezzi e materiali. I tempi di sbarco sono stati
superiori a quanto programmato poiché le operazioni sono
state interrotte al tramonto del 2 settembre e riprese, e
concluse, il giorno successivo per il divieto, imposto
dalle autorità locali e da UNIFIL, di movimento notturno
dei convogli su strada;
 fase 3: trasferimento dei convogli sbarcati nell'area di
Tiro e Naqoura e di Beirut alle basi ONU n° 9-1 e n° 9-10
in località Jabal Maroun (circa 20 Km ad est di Tiro).
 fase 4: montaggio del campo base iniziale della JLF-L nelle
basi 9-1 e 9-10 con la messa in opera di circa 90 tende
sufficienti ad alloggiare 1000 uomini e relative componenti
logistiche;
 fase 5: dal 04 al 11 settembre training ed attività
conoscitiva del territorio con le Forze di UNIFIL già
operanti in area.
os
di
fe
.o
Il 12 settembre il Contingente Italiano è passato sotto
il Controllo Operativo di UNIFIL e sono iniziate le
attività nell’area di responsabilità assegnata (sacca di
Tiro). I compiti assegnati prevedevano:
ww
w.
 ricognizioni nell’Area Operativa assegnata e monitoraggio e
sorveglianza in accordo con la risoluzione ONU 1701;
 collegamento con unità della 12^ brigata dell'Esercito
libanese;
 force protection delle basi assegnate;
 distribuzione aiuti umanitari a municipalità locali;
 assistenza sanitaria alla popolazione;
 assistenza alle Forze armate libanesi;
 mappatura BCRN dell’area di operazioni, con priorità nelle
zone di dispiegamento del contingente;
 attività EOD nell’area di responsabilità, con priorità
nelle zone di dispiegamento del contingente.
rg
.o
os
di
fe
ww
w.
Lo sforzo principale, ad inizio operazione, è stato
orientato alla ricerca e successiva acquisizione delle aree
nelle quali dislocare le Forze. Non è stato semplice
operare in una Nazione martoriata da una guerra appena
finita,
con
strutture
economico
sociali
fortemente
danneggiate ed in un territorio in cui allestire un campo partendo dal nulla - era problematico non solo per il largo
uso di “cluster bombs” lanciate durante il conflitto, ma
anche per:
 la difficoltà nel trovare basi già pronte e/o terreni
liberi per allestire i campi base;
 una, iniziale, non adeguata organizzazione logistica di
UNIFIL;
 una suddivisione dei Reparti sul terreno in piccole
aliquote che ha comportato un incremento sensibile dei
costi per la preparazione delle aree, un aumento dello
sforzo logistico per il sostegno delle truppe ed un
maggiore onere per le misure di Force Protection.
Nonostante
quanto
premesso,
l’attività
logistico/amministrativa messa in atto ha consentito di
stipulare 34 scritture private, 202 procedure acquisitive
in economia, di riallestire completamente 3 basi di UNIFIL
e di avviare l’approntamento di ulteriori 3 aree, per una
spesa complessiva di 1.084.938 per le attività iniziali di
approntamento logistico, acquisizione di materiali e
stipula di contratti e ulteriori acquisti per 1.652.854
euro per esigenze le ulteriori esigenze iniziali della
Pozzuolo del Friuli. Inoltre, a termine missione è stata
inoltre effettuata la cessione di materiale di dotazione
alla Brigata Pozzuolo del Friuli per un importo complessivo
pari ad euro 114.519,44.
Predette basi hanno richiesto notevole impegno per la
loro preparazione, a fronte delle scarse risorse umane e
dei mezzi disponibili, ad esempio:
ww
w.
os
di
fe
.o
rg
 il quartier generale, situato nella ex base Ghanese di
Tibnine
(impiegata
dal 17/9/06),
sebbene
dotato
di
palazzine, officine, locali adibiti a deposito, bagni in
strutture fisse, ha richiesto ingenti lavori di ripristino
poiché è stato lasciato in completo stato di abbandono con
notevoli danni alle strutture ed un generale degrado
ambientale;
 la base di Ma’araka, situata in cima ad una collina a 300
mt di quota ed a 2 Km dalla città omonima, con una
estensione di 320.000 mq, ha richiesto notevoli lavori di
preparazione iniziale quali lo sbancamento di ampie aree
del terreno, la necessità di bonifica di due piccole
discariche comunali poste a 500 mt di distanza, il
miglioramento della via di accesso alla base, il ripristino
di un piccolo edificio a due livelli, la realizzazione di
una
piazzola
elicotteri
e
le
predisposizioni
per
acqua,energia elettrica, impianti di smaltimento acque
chiare, nere e meteoriche, ecc. In tale area, benché resa
disponibile sin dal 12 settembre per motivi correlati alle
discariche, i lavori di bonifica sono iniziati giorno 19 ed
il trasferimento, del Battaglione Grado e della componente
Genio, si è concluso il 28/9/06;
 le basi di Chama di 260.000 mq (resa disponibile dal
23/9/06) e di Zibquin di 29.500 mq (impiegata dal
17/10/06),
costituite
da
mere
aree
agricole,
hanno
richiesto notevoli lavori iniziali per lo sbancamento del
terreno e per le predisposizioni per acqua, energia
elettrica, impianti di smaltimento acque chiare, nere e
meteoriche, ecc... . Tale attività è stata ostacolata da
abbondanti precipitazioni;
 la base del battaglione cinese (impiegata dal 17/9/06),
benché ben organizzata e funzionale, ha comunque comportato
la fornitura di viveri ed alcuni servizi per la Compagnia
lagunari, inizialmente non preventivati.
Oltre ai campi base ed alle aree cui sopra, per tutto il
periodo è continuata la ricerca e l’approntamento di nuovi
siti nell’area di Tiro e nell’area di previsto schieramento
del secondo battaglione italiano della JTF-L - a sud di
Tiro e sino alla linea blu – sempre allo scopo di
approntare le future basi operative.
L’individuazione di nuove aree vedeva coinvolti i
proprietari dei terreni, le autorità locali, l’esercito
libanese e la sezione amministrativo/logistica di UNIFIL.
Anche la scelta dei siti risultava, altresì, complicata a
causa della particolare morfologia/orografia del terreno
largamente coltivato e per la presenza di numerosi ordigni
esplosivi rilasciati durante il conflitto.
Poiché l'impiego operativo ordinato da UNIFIL prevedeva
il dispiegamento sul territorio delle unità a livello
compagnia e plotone, la logistica è stata fortemente
impegnata. L’approvvigionamento dei viveri è avvenuto
stoccando gli stessi nel centro di rifornimento, posto
presso
il
comando
della
JLF-L,
e
successivamente
distribuito ai reparti dipendenti distaccati nelle varie
zone del territorio.
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di
fe
.o
rg
Nel
corso
dell’operazione
è
stata
ricercata
ogni
occasione per svolgere attività di pianificazione congiunta
con mezzi e personale delle Forze armate libanesi. I
rapporti sono sempre stati di collaborazione piena ed il
livello di coinvolgimento da entrambe le parti è stato
totale, in linea con quanto richiesto dalla UNSCR 1701 e da
UNIFIL, in termini di assistenza e supporto alle FF.AA.
libanesi
per
consentire
loro
di
avere
priorità
nell’esercizio dell’autorità sul territorio.
ww
w.
I rapporti con le autorità politico–religiose locali
libanesi si sono sempre svolti in un clima di cordialita` e
reciproco
rispetto.
Sono
state
effettuate
numerose
visite/incontri
con
i
sindaci
delle
municipalità
territorialmente all’interno dell’area di responsabilità
(Tiro, Ma’ araka, Jowuayah, Tibnine, Harris, Shama, etc.)
allo scopo di:
 chiarire/risolvere
problematiche
logistiche
relative
all'occupazione delle aree di attendamento;
 illustrare e dirimere eventuali problematiche relative
all'impatto della condotta delle operazioni sulle comunità
locali;
 accrescere i legami di amicizia e reciproco rispetto.
La JLF-L ha operato in un contesto prevalentemente filo
"Hizballah" o filo "Amal". I cosiddetti Armed Elements,
dizione con la quale si indica la parte armata di suddetti
gruppi,
non
hanno
influito
sullo
svolgimento
della
missione. Sin dagli approcci iniziali con gli apparati ONU,
è stato chiaro che l'attività di intelligence, comunemente
intesa, non era applicabile al contesto UNIFIL. L'attività
condotta è stata quindi mirata alla force protection delle
installazioni e del personale che operava sul terreno.
L'attività CIMIC ha consentito l'acquisizione di essenziali
ww
w.
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fe
.o
rg
elementi informativi sia attraverso il diretto collegamento
con le autorità e l'ambiente civile locale, sia attraverso
la collaborazione con le organizzazioni non governative
(ONG) italiane presenti in teatro, con cui in breve tempo,
grazie anche all'ottima organizzazione dell'Ambasciata
Italiana a Beirut, si è riusciti a tessere una buona rete
di rapporti che hanno consentito di ottenere utili
riscontri
sulla
situazione
afferente
il
territorio
libanese.
Per i motivi sopra accennati, la postura del personale e
delle
operazioni
sul
territorio
sono
sempre
stati
programmati in modo da rendere palese, alle autorità
politiche, militari e alla popolazione libanese, il profilo
di
Forza
di
pace/interposizione
equidistante
dai
contendenti e tendente a sottolineare la sovranità del
Governo libanese e delle sue FF.AA.
rg
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os
di
fe
Dal 01 novembre la JLF-L ha assunto il comando del
settore Ovest dell'Area Operativa alle cui dipendenze sono
state poste le seguenti componenti:
w.

il Contingente Italiano avente come unità di
manovra il Battaglione Grado del Reggimento San Marco
(circa 1000 uomini)

un battaglione francese (circa 900 militari)

un battaglione ghanese (circa 800 militari)
il
Comando
ww
Il contingente del settore Ovest sotto
italiano era quindi composto da 2700 unità.
Dal 8 novembre il comando del settore Ovest di UNIFIL è
stato ceduto alla Brigata
Pozzuolo del Friuli (Joint Task Force - Libano/ JLF-L)
L’attività descritta appare dimostrare ampiamente il
lavoro svolto dal personale della JLF Libano ed è stata
messa in atto, e portata al termine, in soli 68 giorni tra
cui:

2 giorni impiegati per lo sbarco

10 giorni di training presso UNIFIL che ha visto
coinvolto personale chiave;

29 giorni di RAMADAN che hanno influito sul
reperimento in tempi brevi di molte forniture;

8
giorni
di
pioggia
torrenziale
che
hanno
rallentato i lavori per la preparazione dei campi base;

10 giorni di festività;

5 visite di personalità politiche e militari
italiani di alto profilo (Presidente del Consiglio,
Ministro della Difesa, Ambasciatore Italiano in Libano,
Capo di Stato Maggiore della Difesa, Sottosegretario per la
Difesa accompagnato dal Capo di Stato Maggiore della
Marina).
In sintesi, l’attività svolta è stata ragguardevole e può
riassumersi in cifre come segue:
1. sorveglianza/sicurezza:
nr.
nr.
nr.
nr.
1833 pattuglie diurne;
700 pattuglie notturne;
442 static points diurni;
244 static points notturni.



os
di
fe
2. attività del genio:
.o
rg




260.000 m2 sottoposti a controllo EOD;
450 km di viabilità ricogniti;
18.000 m3 di terreno movimentato.
nr.
nr.
nr.
nr.
nr.
nr.
nr.
261 cluster bombs;
6 bombe d’aereo (2.000-1.000-500 lb);
7 razzi (107-122 mm.);
4 bombe da mortaio;
4 granate da 155 mm.;
2 bombe a mano;
191 munizioni di piccolo calibro.
ww







w.
3. attività EOD (ordigni rinvenuti e distrutti):
4. attività NBC:


800 km di viabilità ricogniti;

nr. 40 rivelazioni CBRN;
nr. 24 attività di campionamento, trattamento ed analisi
biologica e chimica;

nr.
116
rivelazioni
strumentali
(mappatura
ambientale);

nr. 13 bonifiche sanitarie.
5. supporto umanitario:

nr. 150 prestazioni mediche a civili libanesi presso
l’infermeria della JLF-L;

materiale scolastico donato alle municipalità.
6. sforzi logistici:



270.000 km percorsi;
158.419 litri di carburante impiegato;
184.800 litri di carburante rifornito.
7. attività amministrativa:
.o
rg
nr 34 scritture private;
nr 202 procedure acquisitive in economia.
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di
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7. Rapporti con i Media
w.
I giornalisti in un’area d’operazioni hanno un compito
talvolta altamente competitivo e spesso pericoloso. Il loro
task prioritario non è solo quello di scrivere una storia
migliore dei propri colleghi, ma anche di scriverla prima
di loro. Vi sono vari principi che regolano la loro
attività in Teatro. Anzitutto, la libertà di cui essi
devono godere: non è necessario fornire ai giornalisti
argomenti non veritieri o parziali, poiché è nell’interesse
delle forze militari che la stampa possa avere libero
accesso alle informazioni per esporre all’attenzione
pubblica gli atti di terrorismo perpetrati, gli atti di
violenza o le intimidazioni ai civili. Inoltre, come ogni
cittadino, il giornalista gode del diritto di parlare a
chiunque, visitare i luoghi che preferisce e fotografare
ogni cosa che vuole, a patto che questo non interferisca
con il bisogno di force protection del contingente
(ingresso in aree riservate o interferenza in operazioni
con il rischio di mettere a repentaglio la missione e la
sicurezza delle forze militari).
ww


I Comandi hanno appropriate regole per i contatti tra le
proprie forze e i giornalisti, in modo da evitare disguidi
o
equivoci
che
potrebbero
avere
un
forte
impatto
sull’assolvimento del compito. I giornalisti, dal canto
loro, devono essere accreditati e trasparenti. La loro
presenza
deve,
quindi, essere
autorizzata
e
devono
rispettare determinate regole.
8. - Cooperazione Civile - militare (CIMIC) 22
Storicamente la cooperazione tra civili e militari è
sempre esistita, ma nel campo delle PSO essa assume un
ruolo preponderante. E’ compito del CIMIC quello di
aumentare
la
credibilità
delle
forze
sul
terreno,
promuovere il consenso e la cooperazione dell’operazione e
convincere le parti in causa che i loro migliori interessi
giacciono nella pace. Nel breve termine il compito del
CIMIC è quello di coordinare pienamente tutte le attività
che vedono coinvolti civili e militari nel supporto alle
operazioni di aiuto umanitario o, più in generale, a tutte
le operazioni di supporto all’operazione.
ww
w.
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rg
Nel lungo termine il compito diviene meno tattico e più
strategico .Esso si trasforma, nel concorso ai processi di
indipendenza e stabilità autosufficienti dello Stato
interessato, processi direttamente connessi con l’end-state
della missione del contingente. Proprio per questo motivo
le interazioni tra civili-militari giocano un ruolo
significativo
nel
processo
di
pianificazione
di
un
Comandante, per meglio identificare i tasks e i limiti da
imporre in Teatro. Soprattutto a livello tattico è
determinante l’importanza del CIMIC. Un altro requisito
essenziale per poter adeguatamente lavorare è quello della
coordinazione.
Infatti,
le
agenzie
civili
hanno
generalmente mandati permanenti e la loro agenda può essere
decisamente diversa da quella dei militari. I tasks civili
e militari designati per supportare il programma di
sviluppo civile provvedono al collegamento tra sicurezza,
stabilità e Peace-Building e, mentre una PSO si muove verso
il suo end-state, la tipologia di aiuti cambierà da
humanitarian relief 23 a sviluppo della ricostruzione e
della struttura pubblica. All’interno delle linee guida e
delle priorità stabilite per l’intero programma di aiuto, i
progetti in supporto alla comunità locale possono essere
condotti indipendentemente dai militari, ma anche e
soprattutto in congiunzione con le agenzie civili in
supporto. I progetti di CIMIC possono coprire un ampio
raggio d’azione all’interno delle comunità locali e, quando
possibile, devono essere controllati dalle autorità del
posto.
22
Allied Tactical Publication 3-4-1-1(ATP 3-4-1-1), NATO Peace Support
Operations, Techniques and Procedures, Agosto 2001, cap 3, sect. II, par. 0307,
pag.3-5 ed inoltre MC 411.
23
Lett. Aiuti umanitari.
9. - Le Regole di Ingaggio (ROE)
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w.
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di
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.o
rg
Abbiamo già parlato delle ROE ma ritengo sia necessario
approfondire questo argomento. Come abbiamo già visto, le
Regole d'Ingaggio costituiscono l'anello applicativo di
tutta la catena decisionale politico-militare che viene
generata ogni qualvolta il nostro Paese interviene in
missioni internazionali sotto l'egida dell'ONU, della NATO,
dell'UE o di coalizioni; esse sintetizzano tutti i principi
e le norme di diritto internazionale e dell'ordinamento
nazionale che possono adattarsi agli specifici scenari e
situazioni che ogni singola missione può prefigurare. A
partire dagli anni '50, in pieno confronto bipolare, le ROE
divennero un corpus normativo separato nei documenti di
pianificazione
militare,
con
le
problematiche
ed
i
correttivi giuridici utilizzati in un delicato equilibrio,
che riflette anche le differenti visioni nazionali di
politica e diritto. Le successive operazioni reali hanno
creato un notevole background di esperienza recepita dalla
odierna dottrina, ma sfide sempre nuove spostano in
continuazione la frontiera applicativa in mare, in cielo ed
in terra. Frutto di un iter storico, prima che giuridico,
dell'impiego controllato, reale o potenziale della forza
militare, esse influiscono pesantemente sul consenso
generale all'intervento militare stesso, evidenziando anche
la reale natura della missione e coinvolgendo, pur se in
fasi diverse, tutta la catena gerarchica operativa. In
termini generali, esse rappresentano quel complesso di
norme etiche, legali e procedurali che costituiscono un
codice di condotta che specifica, circostanze e limiti
dell'uso della forza, definite da ogni Stato, Alleanza,
Coalizione, che devono essere applicate dal personale
militare
in
una
determinata
missione
in
Teatro
d'operazioni. Ciò che è importante evidenziare, parlando di
ROE, è che si tratta oggi, in particolare, di uno strumento
ideale, oltre che necessario, nella gestione delle crisi.
Nell'ampia
panoplia
di
missioni,
come
abbiamo
già
sottolineato,
sono
dunque
quelle
chiamate
Military
Operations Other Than War (MOOTW) le più interessanti ai
fini di una moderna dottrina, anche alla luce degli
interventi effettuati dal nostro Paese, che possono
includere Crisis Response Operations (CROs), Peace-Keeping
e
Peace-Support
Operations
(PKO
e
PSO),
operazioni
umanitarie ed anche le Non-Combatants Evacuation Operations
(NEO). In questi contesti, definibili "conflitti a bassa
intensità",
le
ROE
costituiscono
uno
strumento,
primariamente politico–militare, che limitano o autorizzano
l’uso della forza nel rispetto del diritto internazionale e
della legge sui conflitti armati, nonché delle leggi e
regolamenti nazionali in vigore. La pianificazione militare
deve rispettare precisi requisiti di chiarezza ed eliminare
ambiguità, per evitare quei rischi di escalation che si
generano soprattutto nelle situazioni di crisi. Le ROE oggi
applicate, pur avendo la loro genesi nel diritto dei
conflitti
armati,
le
cui
radici
moderne
risiedono
principalmente nelle Convenzioni dell'Aja del 1907 ed in
quelle di Ginevra del 1949, hanno avuto un sensibile
impulso con il crescere della tensione politica della
guerra fredda, nei primi anni '50, per controllare il
rischio di escalation generabile dalle armi di distruzione
di massa e per la crescente presenza dei media sui Teatri
di crisi, che aumentava la sensibilità alle responsabilità
politiche dell'uso della forza attraverso le varie forme di
comunicazione.
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di
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rg
La figura sotto riportata illustra le aree e le
valutazioni che interagiscono nella definizione delle ROE.
Nel 1958 le ROE furono applicate anche dalle forze
terrestri statunitensi, in Libano, poi nella Repubblica
Dominicana nel 1965-66, quindi nel conflitto vietnamita,
che costituì un grande banco di prova e di lezioni
apprese
per
la
parziale
efficacia,
quando
non
pericolosità di regole eccessivamente restrittive, volte a
scongiurare un intervento cinese e sovietico nel conflitto.
Da allora, tuttavia, i cambiamenti sono stati notevoli,
in particolare con l'inclusione del diritto implicito
all'autodifesa singola, delle forze amiche componenti della
missione e del suo mandato, diritto che definisce sia
l'autorità, che l'obbligo, dell'uso dei mezzi necessari
all'autoprotezione di forze e cittadini (per alcuni Paesi,
anche beni patrimoniali), che per l'estensione di regole a
carattere interforze per il tempo di pace.
L’esperienza sul “campo” ha portato
migliorare la formulazione della ROE.
negli
anni
a
.o
rg
Per esempio, la missione in Libano del 1982/84 era nata
come missione di Peace Keeping e divenne successivamente
una missione Peace Enforcing che richiese regole ben
più robuste; e forze erano state impegnate infatti
con regole eccessivamente restrittive, autorizzate solo
a rispondere al fuoco. In particolare, alcune forze
multinazionali terrestri, vennero irretite in un conflitto
crescente, in cui non riuscirono a mantenere l'imparzialità
tra i
belligeranti,
mentre
il
profilo
della
missione
cambiava.
Furono
promulgate,
in
conseguenza, nuove definizioni di "atti ostili", che in
seguito sarebbero state adattate ad aree e situazioni
diverse.
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di
fe
Nell'intervento statunitense in Somalia, circa dieci
anni dopo, nonostante una separazione di poteri interni
ancora più marcata che in Libano (si contavano ben 16
fazioni armate su base tribale) e senza un vero potere
centrale, l'operazione "Restore Hope" di Peace Enforcement
si svolse sotto mandato U.N. cap. VIl che includeva ROE
adeguate
e
flessibili
che
prevedevano
anche
l'uso
potenziale anticipato della forza letale sulla base di una
dimostrazione di atto ostile, definito come la minaccia di
un uso imminente della forza.
Le escalation verificatesi in molti Teatri hanno anche
frequentemente spostato il baricentro delle ROE verso i
confini del diritto dei conflitti armati, inducendo
una crescente applicazione di National caveats, cioè
di
condizioni
poste
dai
Governi
dei
Paesi
partecipanti alle coalizioni, in base a valutazioni
politiche, giuridiche o militari, tali tuttavia da ridurre
spesso e considerevolmente la più che opportuna uniformità
di questi strumenti regolatori. Questa tendenza degli
interventi ad uscire dai profili inizialmente considerati e
predisposti, verificatasi sempre più frequentemente a
partire dagli anni '90, ha creato una nuova fenomenologia,
normalmente complessa da gestire, entrata nel gergo
strategico come “mission creep”. Questa costringe ad una
totale riconfigurazione delle ROE, e non solo ad una loro
rimodulazione,
rimettendo
in
moto
tutti
i
processi
politici, militari e legali affinché l'azione risulti più
efficace.
Fu la Bosnia che riacutizzò questa nozione di mission
creep, quando alle truppe delle Nazioni
Unite,
con
un
mandato di Peace Keeping, fu chiesto di proteggere
aree
di sicurezza
per
musulmani
dall'aggressione
serba,
senza
che
queste
forze
fossero preparate
adeguatamente per questo nuovo compito; se avessero
accettato
seriamente questo nuovo ruolo sarebbero state
esposte ad un grave rischio, se avessero rinunciato, ne
sarebbe conseguito un discredito politico oltre ad una
tragedia etnica.
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Gli eventi succedutisi dagli anni '90 hanno messo ancor
più in evidenza l'importanza, per
i
Comandi
militari,
di
compiti
chiari
ed
aggiornati
entro
i
quali
esprimere le proprie valutazioni tattiche nei Teatri, sì
da evitare le crescenti costanti interferenze politiche,
nelle fasi più critiche, una volta che un corpo modulabile
di ROE sia stato studiato e messo a punto. Come credo
appaia chiaro, a parte il campo specifico in cui vengono
applicate ROE in caso di conflitto aperto, queste, per
essere bilanciate ai fini della loro efficacia politica,
militare e legale, richiedono nella fase di formulazione
una elevata esperienza strategica che investe il sentire
politico,
l'esperienza
passata,
la
conoscenza
della
natura della specifica missione, il sistema di comando e
controllo.
ww
w.
Per comprendere meglio le cause della ambiguità che
possono costituire il punto più sensibile delle regole di
ingaggio si riporta di seguito uno schema esemplificativo
che può essere utile per meglio comprendere quanto sino ad
ora rappresentato.
Come si vede la politica affronta il perché, cosa, dove,
quando, la forza deve essere usata. Gli ordini operativi,
trattano come, dove, quando e le ROE sono confinate solo
nel quando la forza è impiegabile e, solo allora, in che
misura. L'ambiguità nasce proprio dal fatto che tutte e tre
le aree devono trattare il "quando" la forza deve essere
implementata con le limitazioni da imporre.
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Dal
punto
di
vista
decisionale,
il
processo
di
definizione ed implementazione delle ROE, concordate a
livello
ONU/OSCE/multinazionale,
viene
successivamente
discusso in ogni
nazione
a
livello
militare
e
Autorità
politica.
Dall'esame
e
confronto
con
le
proprie leggi, determinazioni parlamentari, in caso di
necessità,
sono
applicati
dei
caveats,
che possono
essere solo a carattere restrittivo e che sono causa della
frequente disuniformità delle
ROE
perché
riflettono
diversificati
approcci
politici
ad
una
stessa
missione.
Dopo l'approvazione
politica
il
documento
diviene
strumento
del
Comandante
operativo
per
modulare gli ordini in funzione del sopravvenire di cambi
di situazione, ma sempre e solo nell'ambito della missione.
ww
w.
Questa problematica si è riproposta anche durante la
recente missione United Nations Interim Force in Lebanon
(UNIFIL), ridefinita dalla risoluzione 1701 del 2006 del
Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, specchio anche
storico, oltre che politico, della diversa visione delle
Nazioni partecipanti. Ad esempio, dalla lettura della Carta
delle Nazioni Unite pare evincersi che l'autodifesa sia
solo
reattiva,
ma
il
problema
è
che
il
costo
politico e militare di ricevere il primo colpo è valutato
spesso
inaccettabile,
per
cui
oggi
molti
studiosi
sostengono che la terminologia qui usata non esclude
necessariamente un'autodifesa preventiva, che rappresenta
il problema giuridico più ostico e meritevole di un breve
inciso. L'autodifesa
preventiva
e'
infatti
approvata
da
alcune
Nazioni,
soprattutto
in
base
al
preesistente diritto consuetudinario che faceva leva
sul termine "implicito", ad essa connesso; poiché al
contempo
l'autodifesa
può
autorizzare
l'uso
della
forza
sia
per contrasto
che
per
una
minaccia
immediata
o
imminente,
vengono
conseguentemente
coinvolte
le
definizioni,
di
"atto
ostile"
e
di
"intento
ostile"
con
valenza
anche
politica,
soprattutto nelle operazioni PSO. Una volta concluso
comunque
l'iter
politico-militare,
le ROE divengono
parte integrante del processo di pianificazione che le vede
oggi inserite in piani operativi interforze, detti "piani
di contingenza", frutto della elaborazione nell'ambito
degli organi di vertice della Difesa.
La pianificazione è il processo più importante nella
stesura delle ROE affinché risultino fattore vincente in
Teatro
nel
supportare
l'azione
valutativa
dei
Comandanti, non surrogabile dalle ROE stesse. La varietà e
la complessità crescenti delle crisi ha fatto sì che la
tendenza attuale sia quella di definire un catalogo di
regole di ingaggio generali, da applicare con la procedura
del veto, aggiungendo regole richieste da situazioni
particolari, da
applicare
con
il
criterio
del
"positive command"; si assume, di fatto, in questo
modo, che una "escalation graduata" di eventi potrà dare il
tempo per sviluppare ROE specifiche più adeguate.
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w.
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rg
Senza ROE adeguate, i leader politici sono dunque
esposti
ad
un
potenziale insuccesso.
Oltre
all'incidenza
delle
decisioni
politiche
che
scaturiscono
dal
diritto internazionale,
dei fattori
tecnologici,
della
dottrina
operativa,
risultano
influire altri fattori sulle decisioni verso l'uso della
forza per autodifesa; tra questi la storia di crisi
analoghe che sono nel bagaglio conoscitivo di ciascun
Comandante, il livello di ostilità esistente nel Teatro e
le tensioni internazionali presenti, la pressione politica
dell'opinione pubblica, la maggiore o minore affidabilità
informativa, oltre a fattori di leadership personale.
Un'ultima notazione riguarda quell'area internazionale che
pone in relazione le ROE alla dottrina dei conflitti
armati che non è, normalmente, applicabile in tempo
di
pace;
mi
riferisco
in particolare a quelle
iniziative volte a prevenire future potenziali attività
illegali o atti volti alla soluzione di crisi, anche in
presenza
di
avvenute
e
talora
ripetute
violazioni
del diritto internazionale,
o
manifesta
volontà
di
un
Paese
di
non
recedere
da
posizioni
internazionalmente
sanzionate.
La
figura
seguente
illustra
chiaramente
la
relazione esistente tra ROE e
diritto dei conflitti armati.
rg
.o
Conclusioni
os
di
fe
10.
ww
w.
Le sfide internazionali alla pace e alla sicurezza
sono sempre più complesse e interdipendenti, abbiamo
bisogno di affrontarle attraverso approcci coordinati
tra
tutti
gli attori internazionali, costruendo
partenariati solidi e coalizioni ampie.
Nell’evoluzione dell'attuale
capacità di far fronte alle
ambientali
costituisce
un
rilevanza
prioritaria
per
L’abilità consiste nel prevedere
scenari operativi per essere
gestirli con successo.
contesto geopolitico, la
più impreviste turbolenze
fattore
critico
di
qualsiasi organizzazione.
ed anticipare i possibili
pronti ad affrontarli e
Nel mondo ci sono attualmente diverse situazioni
di conflitti che presentano costi enormi dal punto di
vista umano e sociale:
 vittime civili;
 flussi di rifugiati;
 separazione di famiglie;
dal punto di vista ambientale e sanitario:

diffusione di malattie;

degrado ambientale;
dal punto di vista economico:
 distruzione di abitazioni, infrastrutture; blocco del
processo di sviluppo.
Lo scoppio di un conflitto armato è una sconfitta per il
diritto internazionale, il ricorso alla
guerra
come
mezzo
di
soluzione
di
controversie
implica
il
fallimento delle norme di convivenza pacifica.
ww
w.
os
di
fe
.o
rg
Le esperienze di questi anni hanno messo in luce che
nell’intervento militare in Teatri internazionali, si deve
abbinare un convinto sostegno dei diritti umani e
dell'azione militare insieme ad una sapiente e mirata
tessitura politica e diplomatica. In questa relazione sta
il vero contributo che ogni nazione può portare alle
Nazioni Unite nell'ambito del complesso set
normativo
internazionale,
dove
all'esercizio
della
forza
e
della deterrenza militare si unisce inscindibilmente una
forza più antica di esercizio di civiltà. Purtroppo, molte
volte appare un'utopia pensare di poter dirimere ogni
questione
e
ogni
conflitto
grazie
ad
un tavolo
negoziale, eppure la strada da percorrere non può che
essere questa. A patto di soddisfare l’unica fondamentale
condizione
che
riguarda
la
possibilità,
per
la
Comunità internazionale, di far rispettare le proprie leggi
e la capacità di intervenire per fermare le violazioni
delle
proprie
regole.
In
altre
parole,
occorre
riorganizzare e potenziare l’ONU poiché oggi l’opinione
pubblica, non essendo più abituata a perdite di personale
militare a seguito do scontri a fuoco, non accetta
più i massacri e lo sterminio di vite umane che
hanno caratterizzato la storia dell’uomo e pretende
per
i
suoi
militari,
impiegati
in operazioni,
efficaci misure di sicurezza. È tempo di ripensare
alle parole del presidente Kennedy: "In fondo, ben pochi
degli importanti problemi del nostro tempo sono stati
risolti ricorrendo al solo potere militare".
ELENCO DEGLI ALLEGATI:
Allegato A = Operazioni Internazionali in corso
Allegato B = Operazioni Nazionali in corso
Allegato C = Operazioni Internazionali concluse
ww
w.
os
di
fe
.o
rg
Allegato B = Operazioni Nazionali concluse
Allegato A
Operazioni Internazionali in corso
1) Afghanistan –
Afghanistan)
EUPOL
(European
Union
Police
Mission
in
–
ISAF
(International
Security
Assistence
w.
2) Afghanistan
Force)
os
di
fe
.o
rg
L'Unione
europea
ha
lanciato
la
missione
di
polizia dell'UE
in
Afghanistan
(EUPOL
Afghanistan)
nel giugno 2007.
La missione consta di uno staff
internazionale
di
ufficiali
di
polizia esperti provenienti dagli
Stati membri dell'Unione Europea e
del Canada, Croazia, Nuova Zelanda e
Norvegia. EUPOL
si
occupa
della
formazione
della
polizia
nazionale afgana.
Inoltre,
in
stretta
collaborazione
con
i
partner
internazionali,
ha
compiti
di
consulenza
nei
confronti del ministero degli Interni afghano su problemi
attinenti le regioni e le province.
Il quartier generale è a Kabul, mentre le unità operano a
livello regionale e provinciale. Il capo della missione è
il Brigadiere Generale Savolainen Jukka.
ww
A
seguito
degli
sviluppi
della
situazione
politicomilitare
in
Afghanistan,
il
Consiglio
di
Sicurezza
delle
Nazioni
Unite
ha
approvato
in
data
20
dicembre
2001
la
Risoluzione
n.
1386
con
la
quale
ha
autorizzato
il
dispiegamento nella città di Kabul
aree limitrofe, sotto il Cap.
VII
delle
Nazioni
Unite,
di
una
Forza
denominata
International
ed
della
Carta
multinazionale
Security
Assistance
Force
(ISAF),
con
il
compito
di
assistere le istituzioni politiche provvisorie afgane
a
mantenere
un ambiente
a
mantenere
un
ambiente
sicuro, nel quadro degli Accordi di Bonn del 5 dicembre
2001.
di
L'11
agosto
responsabilità
2003
della
è
avvenuta
l'assunzione
condotta dell'operazione da
parte della
NATO per la
4
agosto
leadership
il Comando
al comando
vecchio.
NATO. Nell'ambito della rotazione dei Comandi
condotta di ISAF, l'Italia, a partire dal
2005
e
per
nove
mesi,
ha
avuto
la
dell'ISAF VIII, schierando in Afghanistan
NRDC-IT (NATO Rapid Deployable Corps-Italy)
del Generale di Corpo d'Armata Mauro Del
Dal 4 febbraio 2007 la leadership di ISAF X è
stata
assunta
da
comandi
"composite", formato da
personale di staff proveniente dagli Standing HQ della NATO
(NRDC e ARRC) nonché da personale delle Nazioni che
contribuiscono all'operazione. L'ISAF, che opera sulla base
di
un Military Technical Agreement (MTA) siglato dalle
Autorità provvisorie afgane, comprende al momento militari
appartenenti a 38 Nazioni.
w.
os
di
fe
.o
rg
Dal comandante di ISAF attualmente dipendono i 5
Comandi Regionali North, West, South,
East
e
Capital,
oltre
ad
assetti
aerei,
elicotteri,
forze
di
riserva,
forze
speciali
ed unità
di
supporto.
Inoltre,
nell'ambito
di
ciascun
Comando
Regionale
operano
più
Provincial
Reconstruction
Team
(PRT),
organizzazioni miste militari e civili idonee a creare un
ambiente stabile attraverso un processo di ricostruzione
socio-economica, mediante il supporto
alle
attività
di
ricostruzione
condotte
dalle
organizzazioni
nazionali
ed internazionali
operanti
nella
regione.
Attualmente il Comando di ISAF è affidato al Gen.
(US) David H. Petraeus. In base a quanto previsto dal piano
di Operazioni, la missione in


o
o
o
o



ww
Afghanistan è caratterizzata da 5 fasi:
fase 1: Analisi e preparazione;
fase 2: Espansione, suddivisa, a sua volta, in 4 tempi:
1° Stage: Area Nord;
2° Stage: Area Ovest;
3° Stage: Area Sud;
4° Stage: Area Est;
fase 3: Stabilizzazione;
fase 4: Transizione (in atto);
fase 5: Rischieramento.
È previsto che ISAF mantenga un costante coordinamento
operativo con la struttura di Comando e Controllo già
costituita per "Enduring Freedom"
3) Albania – DIE (Delegazione Italiana Esperti)
La Delegazione Italiana Esperti
(DIE)
è
stata
istituita
il
28
agosto
1997,
al
termine
della
missione
"Alba",
nel quadro
di
protocollo
d'intesa
firmato
dai
Ministri
della Difesa
italiano
e
albanese.
Svolge
in
Albania
attività
interforze
di
cooperazione
bilaterale
e
un
os
di
fe
.o
rg
fornisce supporto
alle
Forze
Armate
albanesi
per
l'adeguamento
delle relative strutture a modelli NATO, mediante attività
di tipo concettuale, addestrativo e logistico.
Il supporto viene assicurato definendo nel dettaglio le
priorità di intervento, insieme ad esperti
albanesi,
finalizzando
i
vari
progetti
e
coordinando
le
azioni/attività connesse all'invio degli aiuti e tutte le
esigenze che coinvolgono le strutture nazionali della
Difesa.
4) Bosnia Erzigovina – EUPM ( European Union Police Mission)
ww
w.
La
missione
(European
Union
Police
Mission)
è
iniziata
nel
gennaio
2003, in
sostituzione la preesistente forza
di
polizia
internazionale
delle
Nazioni
Unite
(United Nations
Mission
in
Bosnia-Herzegovina
International Police Task Force -
UNMIBH-IPTF).
L'EUPM
ha
garantito,
pertanto,
la
continuità
delle attività iniziate dalla missione delle Nazioni
Unite ed il sostegno dell'Unione Europea, ai fini della
piena realizzazione dello stato di diritto in BosniaErzegovina.
Il Quartiere Generale della missione è ubicato a
Sarajevo
mentre
le
cellule
di
controllo
operano
all'interno delle varie strutture della Polizia della
Bosnia-Erzegovina,
(centri
di pubblica sicurezza,
circoscrizioni,
agenzia
statale
di
protezione
delle
informazioni, servizi nazionali
di
frontiera).
Le
attività, condotte sotto l'egida dell'Unione Europea,
sono
state aperte anche alla partecipazione di paesi
terzi.
5) Repubblica di Cipro – UNFICYP (United Nations Peacekeeping
force in Cyprus)
os
di
fe
.o
rg
Alla fine del 2004, con il termine
dell'operazione "Joint Forge" in Bosnia
Erzegovina
ed
il
passaggio
delle
responsabilità
delle
operazioni
militari
dalle forze NATO (SFOR) a quelle della
Unione Europea (EUFOR), l'Alleanza Atlantica
ha raggruppato tutte le attività NATO nell'area balcanica
in un unico contesto. Il 5 aprile 2005 iniziava, pertanto,
l'Operazione "Joint Enterprise" che comprende le attività
della KFOR (Kosovo) e i NATO HQ di Skopje, Tirana e
Sarajevo.
Il NATO HQ Sarajevo, retto da un Senior Military
Representative (SMR), è alle dirette dipendenze del Joint
Force Command Naples (JFC Naples) e provvede al supporto
delleAutorità bosniache ed ai coordinamenti tra queste
ultime e la NATO.
ww
w.
6) Repubblica di Cipro - UNFICYP (United Nations Peacekeeping
force in Cyprus)
La Repubblica di Cipro ottenne
l'indipendenza dalla Gran Bretagna
il 16 agosto 1960, e divenne
membro dell'ONU un mese più tardi. La Costituzione, in
vigore dal giorno dell'indipendenza, fu concepita in modo
da bilanciare gli interessi delle due comunità etniche
presenti sull'isola: quella greco-cipriota, che rappresenta
la maggioranza della popolazione, e quella turco-cipriota.
Fin dall'entrata in vigore della Costituzione, comunque,
l'osservanza
di
quanto
in
essa
stabilito,
con
la
supervisione della Grecia, della Turchia e della Gran
Bretagna, ha da subito incontrato grandi difficoltà che
sono sfociate in varie crisi; la tensione accumulata tra le
due comunità sfociò in una serie di episodi di violenza che
culminarono nel dicembre del 1963.
Il 15 febbraio del 1964, dopo il fallimento di tutti i
tentativi
di
ristabilire
la
pace
sull'isola,
i
Rappresentanti ONU della Gran Bretagna e di Cipro chiesero
al Consiglio di Sicurezza di porre in essere azioni
immediate; il 4 marzo 1964, con la Risoluzione n. 186 del
Consiglio
di
Sicurezza delle
Nazioni
Unite,
veniva
istituita la missione UNFICYP (United Nations Peacekeeping
Force in Cyprus) che divenne operativa il 27 marzo 1964.
rg
Il mandato di UNFICYP, nell'ottica di preservare la
pace
e
la
sicurezza
internazionale,consisteva
originariamente nel porre in essere tutte quelle azioni
atte a prevenire il ritorno alle violenze e, se necessario,
contribuire al mantenimento ed al ripristino della legge e
dell'ordine al fine di restaurare le normali condizioni di
vita sull'isola. Successivamente, il 15 luglio 1974, un
tentativo di colpo di Stato da parte dei Greco-Ciprioti,
appoggiati dal governo di Atene per annettere Cipro alla
Grecia, provocò la reazione del Governo di Ankara che, per
proteggere la minoranza Turco-Cipriota, inviò le proprie
truppe per occupare la parte Nord di Cipro.
w.
os
di
fe
.o
Il Consiglio di Sicurezza chiese alle parti in
conflitto di cessare il fuoco (che di fatto entrò in vigore
il 16 agosto 1974) e posò le basi per le negoziazioni tra
la Grecia, la Turchia e la Gran Bretagna. A seguito di tali
accadimenti, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite
estendeva il mandato della Forza di UNFICYP in modo da
vigilare
sull'applicazione
del
cessate
il
fuoco,
controllando una Buffer Zone estesa per una lunghezza di
180 Km ed una ampiezza variabile da 20 metri a circa 7 Km
che, di fatto, separa il Nord (Turco) dal Sud (Greco) e
divide in due la città di Nicosia.
di
UNFICYP
è
attualmente
ww
La componente militare
suddivisa in 3 settori:
 settore 1 (Ovest), di competenza del contingente argentino;
 settore 2 (Centrale) di responsabilità del contingente
britannico;
 settore
4
(Est)
di
responsabilità
del
contingente
sloveno/ungherese.
Il pre-esistente settore 3, gestito dal Canada fino al
1993, è stato assorbito dai settori 2 e 4 nel momento in
cui i Canadesi hanno ritirato il loro contributo. Oltre ai
3 contingenti citati, la missione comprende anche una
componente MRF (Mobile Force Reserve) forniti da Argentina,
UK, Slovacchia ed Ungheria, e da una componente di polizia
(UNPOL) forniti da Australia, Bosnia, Croazia, India,
Irlanda, Olanda e Italia, organizzata in sette comandi di
polizia ubicati in prossimità della zona cuscinetto con il
compito di cooperare con la polizia locale e garantire il
primo contatto tra la popolazione e la forza UNFICYP.
Il Quartier Generale della Forza è situato nella città di
Nicosia.
7) Congo - EUPOL RD CONGO - European Union Police Mission in
the Democratic Republic of the Congo
rg
Il
Consiglio
di
Sicurezza
delle
Nazioni Unite, con la Risoluzione n° 1493
del
28
luglio
2003,
ha
espresso
soddisfazione
circa
la
promulgazione,
avvenuta
il
4
aprile
2003,
della
Costituzione
di
Transizione
per
la
Repubblica Democratica del Congo e della formazione di un
Governo di transizione a partire dal 30 giugno 2003.
os
di
fe
.o
In tale Risoluzione le Nazioni vennero invitate a
supportare il processo di stabilizzazione e di mantenimento
della sicurezza nella Repubblica Democratica del Congo
mediante
la
costituzione
e
l'addestramento
di
una
"Integrated
Police
Unit"
(IPU)
congolese,
e
venne
concordata un'assistenza da parte della missione ONU MONUC
(United Nations Organisation Mission in the Democratic
Republic of Congo).
ww
w.
Il Segretario Generale delle Nazioni Unite ed il
Presidente del Consiglio della Unione Europea (UE), nella
dichiarazione
congiunta
del
29
settembre
2003,
nell'esprimere
soddisfazione
circa
la
cooperazione
esistente tra l'ONU e la UE in materia di gestione
(militare e civile) delle crisi, valutarono le modalità per
la costituzione della IPU a Kinshasa atta a provvedere alla
sicurezza del Governo di transizione e delle Istituzioni.
Il 15 dicembre 2003, il Comitato Politico e di
Sicurezza della UE decise di supportare la costituzione
della IPU attraverso tre fasi: ristrutturazione del centro
di addestramento delle forze di polizia congolesi e
fornitura di equipaggiamenti di base, addestramento del
personale e supervisione delle attività della IPU al
termine dell'addestramento.
Il 1° ottobre 2004 il Consiglio di Sicurezza delle
Nazioni Unite nell'estendere l'impiegodella missione MONUC
fino al 31 marzo 2005, decise di supportare il Governo di
transizione congolese fino a che la IPU non fosse in grado
di assumere il controllo e la responsabilità di assistenza
al Governo di transizione finalizzata al mantenimento
dell'ordine.
A seguito della Azione Comune del Consiglio della UE
del 9 dicembre 2004, venne deciso lo schieramento di una
Missione di Polizia a guida UE nella Repubblica Democratica
del Congo (DRC), denominata EUPOL KINSHASA.
La missione, condotta sotto l'egida dell'Unione
Europea, è stata inquadrata negli sforzi che l'UE sta
compiendo per ristabilire la sicurezza ed il rispetto delle
leggi nella Repubblica Democratica del Congo, in stretta
collaborazione con la missione ONU MONUC e, a seguito di
specifica richiesta del governo congolese, di contribuire
ad assicurare la protezione delle istituzioni statali e a
rinforzare l'apparato di sicurezza interno del Congo
mediante la costituzione della IPU.
os
di
fe
.o
rg
La missione, avviata il 30 aprile 2005 e conclusa il
30 giugno 2007, si è configurata come Missione di
rafforzamento delle strutture di pianificazione e di
gestione delle capacità esecutive della polizia locale, con
compiti di addestramento della IPU (circa 1.000 u.) e, al
termine
di
questo,
di
monitoraggio,
supervisione
e
consulenza della stessa.
Alla missione hanno contribuito, oltre all'Italia, le
seguenti Nazioni: Portogallo, Francia, Belgio, Svezia,
Svizzera, Turchia, Olanda, Canada ed è aperta al contributo
dei Paesi membri e candidati della UE nonché ai Paesi
terzi.
ww
w.
In seguito alla promulgazione, il 18 febbraio 2006,
della Costituzione della RDC, le elezioni del 2006 hanno
segnato la fine del processo di transizione consentendo la
formazione nel 2007 di un governo il cui programma prevede,
in particolare, una riforma globale del settore della
sicurezza (SSR), l'elaborazione di un concetto nazionale e
azioni prioritarie di riforma nei settori della Polizia,
delle forze armate e della giustizia.
In tale contesto, l'UE ha mostrato un sostegno
costante al processo di transizione nella RDC ed alla SSR,
anche mediante l'avvio di tre operazioni nell'ambito della
politica estera di sicurezza comune (PESC), denominate
EUSEC RD CONGO, EUPOL KINSHASA, e l'operazione EUFOR RD
CONGO.
Il 14 maggio 2007 il Consiglio ha approvato un
concetto operativo relativo ad una missione di polizia
condotta nell'ambito della politica europea in materia di
sicurezza e difesa (PESD) sulla SRR e la sua interfaccia
con la giustizia nella RDC, denominata EUPOL RD CONGO.
Inoltre,
il
Consiglio
della
UE
ha
approvato
il
proseguimento della missione EUSEC RD CONGO di consulenza e
di assistenza per la SSR nella RDC, anche nell'eventualità
che, oltre alle sinergie che devono essere sviluppate da
entrambe, le due missioni di ventino missione unica.
Con l'Azione Comune n. 405 del 12 giugno 2007, il
Consiglio della UE ha istituito la missione EUPOL RD CONGO,
in luogo della precedente missione EUPOL KINSHASA. Il Capo
della missione dipende dal Rappresentante Speciale della
UE.
rg
8) Egitto - MFO (Multinational Force and Observers)
os
di
fe
.o
La Multinational Force and Observers
(MFO)
è
un'organizzazione
internazionale indipendente
w.
per il mantenimento della pace tra la
Repubblica Araba d'Egitto e lo Stato
d'Israele, sancita dal Trattato di Pace
firmato il 26 marzo 1979 presso la Casa Bianca tra i leader
di Egitto e Israele, alla presenza del Presidente
statunitense Carter in qualità di garante. La MFO fa capo
ad un Direttore Generale.
ww
Questi esercita la sua autorità per mezzo del suo
staff presso il Quartiere Generale a Roma, attraverso i
suoi Rappresentanti a Il Cairo e a Tel Aviv e per mezzo del
Comandante della Forza (Force Commander). Quest'ultimo
dispone, a sua volta, di uno staff militare dislocato in
Egitto, nella penisola del Sinai. L'incarico di Force
Commander è ricoperto dal 1º marzo 2010 dal Maggiore
Generale neozelandese W.J. (Warren) Whitingn. La MFO è
insediata nella fascia orientale della Penisola del Sinai e
consta di due basi principali: una a nord (North Camp)
situata nei pressi della città di El Gorah, a circa 45 km
dal mare e circa 35 km dal confine Israeliano, ed una a sud
(South Camp) situata direttamente sul mare presso la città
di Sharm el Sheikh.
9) E.A.U. Al Bateen - T.F.A. (Task Force Air)
La Task Force Air (TFA), è ubicata sul
sedime aeroportuale di Al Bateen, ospite
dell'Aeronautica
Militare
emiratina,
nell'omonimo quartiere periferico a sud
della città di Abu Dhabi (EAU). Il Reparto
nasce come Reparto Operativo Autonomo nel
settembre 2002, con il nome di "Nucleo
Aeroportuale Interforze" (NAI), per il supporto all'impegno
nazionale nella missione "Enduring Freedom".
os
di
fe
.o
rg
Nel 2003 è stato ridenominato "7° Reparto Operativo
Autonomo" e successivamente, nel 2006, ha cambiato ancora
appellativo in "Reparto Distaccato della 46^ Brigata
Aerea",
pochi
mesi
prima
di
assumere
l'attuale
denominazione. La TFA attualmente è impegnata nel sostegno
alle operazioni ISAF (International Security Assistance
Force) in Afghanistan e
NTM-I (NATO Training Mission in
Iraq).
w.
10) Fyrom - NATO HQ Skopje
ww
Sin dall'ingresso delle forze della
NATO in Kosovo (giugno 1999), la FYROM è
stata
utilizzata
quale
zona
delle
retrovie di KFOR, ospitando il comando
responsabile
dei
rifornimenti
(KFOR
REAR) e le principali strutture di
sostegno
logistico,
rappresentate
dall'importante scalo aereo di Skopje e
dai trasporti via terra provenienti dalla Grecia.
Nel corso del 2001, le autorità governative della
FYROM (Former Yugoslav Republic of Macedonia) chiesero alla
NATO un contributo di forze per il processo di raccolta e
distruzione delle armi spontaneamente riconsegnate dall'NLA
(National Liberation Army). Per assolvere la missione, fu
costituita una Task Force Harvest a guida NATO (circa 4500
uomini) alla quale contribuirono Francia, Germania, Gran
Bretagna, Grecia, Italia, Olanda, Spagna e Turchia.
L'operazione - denominata "Essential Harvest" - iniziò il
26 agosto e si concluse con il conseguimento della missione
il 27 settembre 2001. Successivamente, su esplicita
richiesta del Presidente della Repubblica Macedone, la NATO
avviva l'operazione "Amber Fox", finalizzata a sostenere
gli osservatori internazionali dell'OSCE e dell'UE (circa
200 Unità) operanti sul territorio macedone.
Tale operazione, iniziata il 27 settembre 2001, sotto
la guida tedesca, divenne operativa il 14 ottobre 2001. La
missione ed i principali compiti furono distribuiti sui
seguenti cinque livelli di supporto agli osservatori
internazionali:
ww
w.
os
di
fe
.o
rg
 il livello 1 prevedeva di fornire agli osservatori
informazioni debitamente filtrate;
 nel livello 2 era previsto che il Comando della Task Force
Fox organizzasse e rendesse disponibili dei team di
collegamento con gli osservatori per assicurare una
presenza itinerante;
 il livello 3 prevedeva un supporto di emergenza in
situazioni di pericolo per la vita umana consistente in
MEDEVAC (aerea o terrestre) e/o nell'intervento di team
EOD, da attuare in modo tempestivo per estrarre il
personale osservatore da campi minati o in situazioni
similari;
 nel livello 4 era previsto l'impiego di una forza militare
a livello battaglione da dislocare in specifiche località
con ambiente incerto e capace di condurre simultaneamente
due limitate operazioni di estrazione;
 il livello 5 costituiva un livello di supporto agli
osservatori
internazionali
da
usare
per
situazioni
eccezionali; esso prevedeva il dispiegamento di forze
speciali per il recupero di ostaggi da trasferire
eventualmente al di fuori della Macedonia.
L'operazione "Amber Fox" si concluse il 15 dicembre
2002, dando inizio ad una nuova operazione - denominata
"Allied Harmony" (OPLAN 10418 di SHAPE) che meglio si
adattasse alla ristrutturazione operata dalla NATO nel
teatro dei Balcani.
Successivamente all'operazione "Allied Harmony", dal 1°
aprile al 15 dicembre 2003, l'Unione Europea ha condotto in
Macedonia una analoga operazione denominata CONCORDIA. A
partire da dicembre 2003, il Consiglio dell'Unione Europea
(UE), su invito delle Autorità della FYROM, ha istituito
una missione di polizia della UE (EUPOL) denominata
"PROXIMA", la quale si svolge sotto la responsabilità del
Rappresentante Speciale dalla UE in FYROM. Di tale missione
facevano parte 5 Carabinieri italiani.
Il 17 giugno 2002, in seguito alla ristrutturazione
voluta da SHAPE, si compì la trasformazione ordinativa-
organica di KFOR REAR e del Comando di "Amber Fox" in NATO
HQ Skopje (NHQS).
Alla fine del 2004, con il termine dell'operazione "Joint
Forge" in Bosnia Erzegovina, ed il passaggio delle
responsabilità delle operazioni militari dalle forze NATO
(SFOR) a quelle della Unione Europea (EUFOR), l'Alleanza
Atlantica ha raggruppato tutte le attività NATO nell'area
balcanica in un unico contesto.
Il 5 aprile 2005 iniziava, pertanto, l'Operazione
"Joint Enterprise" che comprende le attività della KFOR
(Kosovo) e dei NATO HQ di Skopje, Tirana e Sarajevo.
.o
rg
Il
NATO
HQ
Skopje,
retto
da
un
Senior
Military
Representative (SMR), è alle dirette dipendenze del Joint
Force Command Naples (JFC Naples) e provvede al supporto
delle Autorità bosniache ed ai coordinamenti tra queste
ultime e la NATO.
os
di
fe
11) Hebron - TIPH 2 (Temporary International Presence in
the city of Hebron)
ww
w.
La Missione, regolata da quanto
disposto dall'art. 14 dell'Agreement
on
the
Temporary
International
Presence in the city of Hebron, è
stata voluta dal Governo d'Israele e
dall'Autorità Nazionale Palestinese, firmatari dell'Accordo
Interinale sulla West Bank e sulla Striscia di Gaza del 28
settembre 1995.
Tale
accordo
prevedeva
oltre
al
ripiegamento
dell'esercito israeliano (I.D.F.) da una parte della città
di Hebron anche la presenza temporanea di una forza di
osservatori
internazionali.
Alla
missione
partecipano
Danimarca, Italia, Norvegia, Svezia, Svizzera e Turchia.
A seguito del perdurare della situazione di tensione,
dopo gli scontri avvenuti lo scorso 8 febbraio a Hebron, il
10 febbraio 2006, per motivi di sicurezza, veniva
rimpatriata momentaneamente parte del personale e la
restante parte del Contingente veniva rischierato in
Gerusalemme. Successivamente, il 26 giugno 2006, il
personale italiano del Contingente rientrava ad Hebron.
Successivamente, nella seconda decade di luglio, riprendeva
l'attività di pattugliamento diurno in Hebron.
12) India/Pakistan - UNMOGIP (United
Observer Group in India and Pakistan)
Nations
Military
Il gruppo degli osservatori militari
appartenente alla missione UNMOGIP è stato
costituito nel gennaio 1949 in seguito
all'approvazione
della
risoluzione
del
Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite
n. 39 del gennaio 1948, che creava la United Nations
Commission
for
India
and
Pakistan
(UNCIP),
per
supervisionare il cessate il fuoco tra Pakistan ed India
nello Stato di Jammu e Kashmir.
w.
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A seguito dell'accordo del 1972 tra India e Pakistan
che definì una linea di controllo nel Kashmir, l'India
dichiarò che il mandato di UNMOGIP era decaduto. Siccome il
Pakistan non concordò con questa posizione, il Segretario
Generale delle Nazioni Unite dichiarò che la cessazione del
mandato di UNMOGIP sarebbe stata decisa soltanto mediante
una risoluzione del Consiglio di Sicurezza. A causa della
mancanza di una tale decisione, il mandato di UNMOGIP è
stato
mantenuto
con
le
medesime
funzioni
a
tempo
indeterminato.
ww
13) Kosovo - EULEX (European Union Rule of Law Mission in
Kosovo)
La missione European Union Rule
of Law Mission in Kosovo (EULEX
Kosovo) nasce con un’azione comune
adottata dal Consiglio per gli Affari
Generali dell’Unione Europea del 4
febbraio 2008. Ha preso ufficialmente
il via il 9 dicembre 2008 (IOCInitial
Operation
Capability
declaretiondichiarazione
della
capacità operativa iniziale), nell’ambito dei principi
della risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza delle
Nazioni unite.
La missione ha dichiarato il raggiungimento della FOC
(Final Operation Capability) il giorno 6 aprile 2009 ed ha
carattere tecnico, il cui scopo è quello di offrire
assistenza alle istituzioni locali attraverso un’azione di
“MMA- Monitoring, Mentoring and Advising”. Il Comando ha
sede in Pristina e l’Italia partecipa alla missione sin
dall’inizio (9 dicembre 2008).
14) Kosovo - KFOR - Joint Enterprise
os
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KFOR è iniziata all'alba del 12
giugno 1999. Il contingente italiano
entrava in Kosovo alla mezzanotte dello
stesso giorno e raggiungeva Pec il
mattino del 14 giugno. In precedenza le
truppe NATO erano schierate nella FYROM
(da dicembre 1998) per assicurare,
nell'ambito
dell'operazione
"Joint
(Determined) Guarantor" (sotto comando
dell'Ace Rapid Reaction Corps):
- in un primo tempo, l'evacuazione
osservatori OSCE dal Kosovo;
in
emergenza
degli
successivamente,
il
supporto
alle
organizzazioni
umanitarie per l'assistenza ai profughi usciti dal Kosovo.
ww
w.
Dal settembre 1999 e fino alla costituzione del NATO
HEADQUARTERS TIRANA (NHQT nel giugno 2002) alla KFOR
risaliva anche la responsabilità dell'operazione NATO in
Albania denominata COMMUNICATION ZONE WEST" (COMMZ-W) a
guida italiana.
Alla fine del 2004, in occasione del termine
dell'operazione "Joint Forge" in Bosnia Erzegovina, con il
passaggio delle responsabilità delle operazioni militari
dalle forze NATO (SFOR) a quelle della Unione Europea
(EUFOR), le autorità NATO decisero di raggruppare tutte le
operazioni condotte dalla NATO nell'area balcanica in un
unico contesto operativo (definito dalla Joint Operation
Area), dando origine il 5 aprile 2005 all'Operazione "Joint
Enterprise"
che
comprendeva
le
attività
di
KFOR,
l'interazione NATO-UE, e i NATO HQ di Skopje, Tirana e
Sarajevo.
Dal maggio 2006 è stata avviata la ristrutturazione
delle forze che ha visto la trasformazione delle forze
militari internazionali in Kosovo da 4 Multinational
Brigades a 5 Multinational Task Forces.
Dal 10 gennaio 2010, pur rimanendo inalterati missione
e compiti, il livello ordinativo delle Multinational Task
Forces è stato ridotto a Multinational Battle Groups
(MNBGs) su base Reggimento. In relazione agli sviluppi di
situazione connessi con la dichiarazione di indipendenza
del Kosovo, proclamata unilateralmente il 17 febbraio 2008,
e
la
successiva
entrata
in
vigore
della
relativa
Costituzione il 15 giugno 2008, la presenza delle forze
NATO è stata incrementata.
In virtù della graduale cessione di responsabilità e
attraverso la graduale riduzione delle forze in Teatro,
all’operazione “Joint Enterprise” in Kosovo partecipano
attualmente 31 Paesi, con un impegno complessivo di forze
che oggi ammonta a circa 5500 unità.
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Il dispositivo di KFOR prevede dal 1° marzo 2011 due
Multinational Battle Groups, di cui uno a conduzione
italiana, ed una consistente riserva nella quale è inserito
il Reggimento Carabinieri MSU. Allo stesso modo sono stati
costituiti degli organismi denominati JRD’s (Joint Regional
Detachment) con il compito di monitorare e fare da
collegamento con tutti gli attori civili del Paese (Comuni,
istituzioni, popolazioni….).
-
UNIFIL
(United
Nations
Interim
Force
in
ww
15) Libano
Lebanon)
w.
Attualmente i JRD’s presenti in Kosovo sono 5.
La missione UNIFIL è nata con la
Risoluzione 425 adottata in data 19
marzo 1978 da parte del Consiglio di
Sicurezza
delle
Nazioni
Unite,
a
seguito dell'invasione del Libano da
parte
di
Israele
(marzo
1978).
Successive
Risoluzioni
hanno
prorogato,
con
cadenza
semestrale, la durata della missione.
A seguito di un attacco alle Israeli Defence Force
(IDF), avvenuto il 12 luglio 2006, a Sud della Blue Line
nelle vicinanze del villaggio israeliano di Zar'it, da
parte di elementi Hezbollah, vennero uccisi otto soldati
israeliani mentre altri sei vennero feriti e due catturati
da dette milizie.
Al rifiuto della richiesta di rilascio, Israele iniziò
una campagna militare in Libano mirata ad annientare le
milizie di Hezbollah ed altri elementi armati; in
conseguenza di ciò, milizie Hezbollah condussero degli
attacchi contro infrastrutture civili israeliane nel Nord
di Israele. L'escalation delle ostilità portò le IDF a
condurre una vasta campagna militare nel Nord della Blue
Line contro le milizie armate di Hezbollah. Le ostilità
continuarono per 34 giorni durante i quali venne svolta una
intensa
attività
diplomatica
internazionale
tesa
al
conseguimento di una tregua/cessate il fuoco per la
successiva creazione di stabili condizioni di pace, che è
culminata con la Risoluzione n. 1701 dell'11 agosto 2006
con la quale si sanciva la cessazione delle ostilità a
partire dal 14 agosto 2006.
ww
w.
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rg
Dall'inizio del cessate il fuoco, le IDF continuarono
ad occupare larghi tratti dell'Area di Operazioni (AO) di
UNIFIL mentre gli Hezbollah e gli elementi armati rimasero
nel Sud del Libano. Durante i giorni di conflitto, inoltre,
i contingenti di UNIFIL di India e Ghana continuarono ad
occupare le proprie postazioni nella AO mentre, dal 24
luglio 2006, i 4 posti di osservazione vennero abbandonati
dagli osservatori ONU.
16) Libia - Operazioni a supporto del Paese
Nel quadro della Risoluzione
del Consiglio di Sicurezza dell’ONU
n. 2022, e delle precedenti in essa
richiamate,
sono
state
avviate
delle attività di cooperazione nel
campo della Difesa allo scopo di
supportare
la
ricostruzione
del
Paese
libico.
Tali
iniziative,
eminentemente di assistenza, supporto e formazione, vengono
condotte su specifica richiesta delle autorità libiche e
sono autorizzate, sul piano nazionale, dal decreto legge
del 29/12/2011 n. 215.
17) Malta - MICCD (Missione Italiana di Collaborazione nel
Campo della Difesa)
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La cooperazione tra le Forze
Armate
italiane
e
la
Repubblica
Maltese ebbe inizio il 1° agosto del
1973, su richiesta del governo Maltese
(quando
l'isola
non
aveva
ancora
conseguito la piena indipendenza), con
la costituzione della MICTM (Missione
Italiana di Cooperazione Tecnica e
Militare),
in
applicazione
al
"progetto di cooperazione speciale" nel quadro dell'accordo
Italo-Maltese di cooperazione Scientifica e Tecnica firmato
a Valletta il 28 luglio1967.
ww
w.
I suoi compiti erano l'addestramento del "Pioneer
Corps" per lavori di pubblica utilità, il miglioramento dei
collegamenti telefonici e telegrafici sia interni sia
internazionali ed il riordino del sistema di manutenzione e
riparazione dei veicoli di proprietà dello Stato. Il 28
marzo 1979 la Missione fu ritirata su richiesta del Governo
Maltese. Nel 1981 i due Governi sottoscrissero un nuovo
accordo e vennero istituiti due organismi: la DIATM
(Delegazione Italiana di Assistenza Tecnico Militare) e la
MICTM (Missione Italiana di Cooperazione Tecnica a Malta).
Al primo fu affidato il compito di addestrare i volontari
da inserire sia nelle due componenti delle F.A. maltesi
(Task Force & Armed Forces of Malta) sia nella Polizia e di
collaborare con la MICTM alla realizzazione dei lavori di
genio civile.
L'attività di DIATM e MICTM venne sospesa tra il
dicembre del 1984 ed il settembre 1985, fatta eccezione per
il servizio S.A.R. che fu svolto ininterrottamente. Il 14
luglio 1988 fu firmato un Memorandum di Intesa tra il
Ministero degli Esteri maltese e il Ministero della Difesa
italiano con la istituzione della MIATM (Missione Italiana
di Assistenza Tecnico Militare). Il contributo italiano
alla Repubblica maltese nell'ambito della missione si
sviluppava in due aree principali.
La prima, a marcata connotazione AM, per collaborare
al servizio di Ricerca e Soccorso (S.A.R.) maltese, inclusa
la formazione dei piloti e degli aerosoccorritori. La
seconda, orientata soprattutto all’addestramento sia di
base che avanzato di aliquote del personale delle Forze
Armate,
nonché
all'addestramento
tecnico-militare
di
componenti della Polizia. A tale scopo, per la formazione
degli Ufficiali e Sottufficiali maltesi, l'Italia offriva
la disponibilità di 5/6 posti (normalmente a titolo
gratuito) nei corsi di istruzione ovvero di "affiancamento
pratico" presso le Scuole militari e i maggiori centri di
addestramento delle F.A..
w.
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Il 25 giugno 2009, l’Italia ha ratificato un nuovo
“Accordo d’Intesa” che prevede una diversa modalità di
cooperazione tra i due Paesi. Il 1° dicembre 2011, dopo un
biennio di transizione, è stata costituita la Missione
Italiana di Collaborazione nel Campo della Difesa (MICCD).
Il passaggio dalla forma di assistenza tecnico-militare a
quella di collaborazione nel settore della difesa, ha
modificato radicalmente lo sforzo militare italiano ed i
termini della cooperazione. La presenza dei militari
italiani a Malta, ad eccezione dell’AM che ha mantenuto
compiti e consistenza del passato, è stata contratta e
ridisegnata
per
consentire
la
sola
disponibilità
a
domicilio di specialisti nei settori Land/Navy/CP-CG/Air in
grado di fornire consulenza alle AFM ed elaborare i
progetti di cooperazione da sviluppare poi in Italia,
ovvero a Malta, a cura degli SM interessati.
Nations
Mission
for
the
ww
18) Marocco - MINURSO (United
Referendum in Western Sahara)
MINURSO è stata istituita con
la Risoluzione del Consiglio di
Sicurezza n. 690 in data 29 aprile 1991, a seguito delle
"proposte di accordo" accettate in data 30 agosto 1988 dal
Marocco e dal Fronte POLISARIO (Frente Popular para la
Liberacion de Saguia el-Hamra y de Rio de Oro).
Per attuare il piano di pace approvato dal Consiglio
di Sicurezza, il Segretario Generale si avvale di un
proprio Rappresentante Speciale, attualmente il diplomatico
olandese Peter Van Walsum, pienamente responsabile di tutti
gli aspetti riguardanti il referendum che consentirebbe
alla popolazione del Sahara Occidentale di scegliere tra
l'indipendenza e l'integrazione con il Marocco.
19) Mediterraneo - Active Endeavour e Forze Navali NATO
Le unità navali della Marina
Militare Italiana partecipano, a
rotazione, ai gruppi navali posti
sotto comando e controllo NATO.
Tali
gruppi
sono
lo
SNMG1
(Standing NATO Maritime Group 1)
e
lo SNMG2 (Standing NATO Maritime
Group 2), composti da Fregate/Caccia cui vengono assegnati
compiti di pattugliamento e sorveglianza aero-marittima. Lo
SNMCMG2 (Standing NATO Mine Counter Measure Group 2) è
gruppo navale di intervento rapido specializzato nelle
attività di contromisure mine.
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rg
In seguito all'attacco terroristico negli USA dell'11
settembre 2001, il Consiglio Atlantico della NATO ha
approvato la dislocazione nel Mediterraneo Orientale di una
Forza
Navale
(Task
Force
Endeavour)
quale
visibile
dimostrazione dell'implementazione dell'Art. 5 del Trattato
NATO, allo scopo di dimostrare la solidarietà della NATO e
la risolutezza dell'Alleanza nel sostenere la campagna
contro il terrorismo internazionale.
ww
w.
L'obiettivo
di
"Active
Endeavour"
è
quello
di
mantenere nel Mediterraneo una presenza credibile in chiave
antiterroristica, dimostrando la risolutezza della NATO
nella deterrenza, difesa e protezione contro le attività
terroristiche.
L'operazione
sta
coinvolgendo
Nazioni
Partner e Paesi del Dialogo Mediterraneo con contributi
diversi e soluzioni ad hoc. L'Italia, in particolare, si è
adoperata per il pieno coinvolgimento dei Paesi del Dialogo
Mediterraneo, delle Nazioni rivierasche e di altri.
20) Middle East - UNTSO (United Nations Truce Supervision
Organization)
UNTSO è la più vecchia missione di
peacekeeping delle Nazioni Unite. Disposta
con la risoluzione del Consiglio di Sicurezza
delle Nazioni Unite n. 50 in data 29 maggio
1948 e successive modifiche, la missione effettua sia il
controllo del rispetto del trattato di tregua, concluso
separatamente tra Israele, Egitto, Giordania e Siria nel
1949, sia il controllo del cessate il fuoco nell'area del
Canale di Suez e le alture del Golan conseguente la guerra
arabo-israeliana del giugno 1967.
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L'UNTSO opera in quattro dei cinque Paesi storicamente
interessati al conflitto mediorientale (Israele, Egitto,
Siria e Libano) ma i suoi contatti coinvolgono anche il
quinto Paese la Giordania. Grazie agli accordi di pace tra
Israele ed Egitto prima (1979) e la Giordania poi (1994),
nonché all’attuale situazione "di stallo" militare in
Libano e Siria, UNTSO è una missione numericamente
contenuta: al momento è composta da circa 150 Ufficiali
osservatori appartenenti a 23 Paesi.
La missione è articolata su un comando situato
Gerusalemme (Israele) e quattro differenti Out Stations:
w.
OGL (Gruppo Osservatori in Libano) a Naqoura (Libano);
OGG-T (Gruppo Osservatori Golan) a Tiberiade (Israele);
OGG-D (Gruppo Osservatori Golan) a Damasco (Siria);
OGE (Gruppo Osservatori Egitto) a Ismalia (Egitto).
Gli osservatori italiani sono normalmente distribuiti
negli Out Stations del Libano, Israele e Siria. A seguito
della crisi tra Libano ed Israele, tutto il personale di
UNTSO è stato ritirato dalle 4 Patrol Bases e, in
particolare il personale italiano è tutto concentrato
presso Naqoura.
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



a
21) Acque Somalia - Atalanta/Ocean
contrasto alla pirateria)
Shield
(attività
di
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di
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rg
La
situazione
economico – sociale in
Somalia
ha
favorito
l'insediamento
di
attività
illegali
difficilmente
contrastabili, tra cui gli atti di pirateria a danno del
commercio marittimo, incluse le navi del World Food Program
(WFP) dell'ONU. A seguito dei numerosi appelli da parte del
WFP e della International Maritime Organisation (IMO),
l'ONU ha promosso nel 2008 numerose Risoluzioni contro la
pirateria somala. In questa cornice l'Unione Europea ha
lanciato nel dicembre 2008 la missione Atalanta.
ww
w.
Anche la NATO contribuisce agli sforzi internazionali
per combattere la pirateria al largo del Corno d'Africa
attraverso l’operazione Ocean Shield. L’intervento è
iniziato il 17 agosto 2009 dopo che il Consiglio Nord
Atlantico ha approvato la missione.
L'Operazione si basa sull'esperienza della precedente
missione
NATO
di
contrasto
alla
pirateria:
Allied
Protector,
ed
è
caratterizzata
dall'adozione
di
un
approccio più globale alle iniziative di contrasto alla
pirateria.
L'obiettivo principale è quello di condurre operazioni
di contrasto alla pirateria in mare ed allo stesso tempo ad
assistere gli Stati regionali che ne fanno richiesta a
sviluppare capacità di contrasto alla pirateria. Questo
aspetto
dell'operazione
integra
gli
sforzi
delle
organizzazioni internazionali esistenti e le forze che
operano nella zona per una sicurezza marittima duratura nel
Corno d'Africa. Gli SNMGs sono gruppi navali posti sotto
comando e controllo NATO a cui vengono assegnati compiti di
pattugliamento e sorveglianza aero-marittima in aree di
crisi.
rg
22) Palestina/Egitto - EU BAM Rafah (EU Border Assistance
Mission on the Gaza - Egypt Border - Crossing - Rafah)
ww
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L'Unione Europea, nel quadro del
"Palestinian Civil Police Development
Programme"
(2005
2008)
condotto
dall'EU COPPS (EU Coordination Office
for Palestinian Police Support), ha
avviato una missione di assistenza delle
Autorità palestinesi nella gestione del
valico
confinario
di
Rafah
(Rafah
Crossing Point - RCP) nella Striscia di Gaza e l'Egitto
denominata EUBAM Rafah (EU Border Assistance Mission on the
Gaza-Egypt Border-Crossing - Rafah). Tale nuovo impegno
europeo scaturisce da un'intesa siglata il 15 novembre 2005
dall'Autorità Palestinese ed Israele, che comprende due
accordi denominati "Agreement on Movement and Access" e
"Agreed
Principles
for Rafaj
Crossing",
al
momento
applicabile solo al "Rafah Crossing Point" (RFC, sul
confine
Gaza-Egitto)
ma
suscettibile
in
futuro
di
applicazione a tutti gli accessi alla Striscia e da e per
la West Bank.
La missione non presenta carattere esecutivo né di
"law enforcement", ma consiste esclusivamente in un "third
party monitoring role".
L'apertura del valico, il primo gestito dall'Autorità
Nazionale Palestinese, ha avuto una sua gradualità dal 25
novembre 2005, con un'iniziale apertura di 4 ore al giorno
e che tenevano conto di quelle che erano le condizioni
della sicurezza. Il personale della missione non è armato
ed è ospitato nella vicina città di Askelon, in Israele.
Dal 14 marzo 2006,
europea in Gaza attuava,
il Comandante
per motivi di
della missione
sicurezza e su
disposizione delle autorità israeliane, la temporanea
sospensione dell'attività di controllo del valico di Rafah,
limitazioni (imposte da Israele) al movimento dei monitors
ed
il
trasferimento
del
personale
presso
Ashkelon
(Israele).
Il 25 agosto 2006, dopo alcune settimane
veniva riaperto il valico di Rafah.
di
chiusura,
Il 9 maggio 2007 veniva determinata la sospensione delle
attività di monitoraggio del valico.
.o
rg
Il 9 giugno 2007 su ordine delle Autorità israeliane veniva
chiuso il valico.
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di
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23) Uganda - EUTM Somalia (European Union Training Mission
to contribute to the training of Somali security forces)
ww
w.
Tra le iniziative assunte dalla
comunità
internazionale
per
la
stabilizzazione del Corno d'Africa, con
particolare riguardo alla situazione
della
Somalia
e
alle
relative
implicazioni a livello regionale, nel
gennaio 2010 il Consiglio Europeo ha
approvato l'invio di una missione militare per contribuire
all'addestramento
delle
Forze
di
sicurezza
somale,
denominata European Union Training Mission to contribute to
the training of Somali security forces (EUTM Somalia).
La missione, è schierata in Uganda, con il Mission
HeadQuarters (MHQ) presso la capitale Kampala, una base
addestrativa (Training Camp) a Bihanga (250 km a ovest di
Kampala) ed un ufficio di collegamento a Nairobi, in Kenia.
24) Darfur - UNAMID (African Union/United Nations Hybrid
operation in Darfur)
La risoluzione 1769 del
luglio 2007 del Consiglio
31
di
Sicurezza delle Nazioni Unite, ha autorizzato, sulla base
di quanto previsto dal Capitolo VII, la costituzione di una
missione ibrida dell'Unione Africana e delle Nazioni Unite
denominata UNAMID (African Union/United Nations Hybrid
operation in Darfur) per sostenere il processo di pace
nella regione. Il Force Headquarters della missione è
ubicato ad Al Fasher in Sudan.
25) SIRIA - UNSMIS (UNITED NATIONS SUPERVISION MISSION IN
SYRIA)
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di
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rg
A seguito delle violazioni dei diritti
umani da parte delle autorità siriane,
unitamente a qualsiasi oltraggio ai diritti
umani
ad
opera
di
gruppi
armati,
il
Consiglio di Sicurezza ha adottato, all’unanimità, la
Risoluzione 2042, con la previsione dell’invio in Siria di
un
Advanced
Team
di
30
osservatori
in
vista
del
dispiegamento nel Paese di una successiva e più ampia
missione di monitoraggio.
ww
w.
Il 18 aprile è stato siglato un Accordo Tecnico tra
Siria
e
Nazioni
Unite
per
disciplinare
rapporti,
responsabilità
e
procedure
per
il
funzionamento
dell’Advanced Team. Il 21 aprile il Consiglio di Sicurezza
ha approvato la Risoluzione 2043 che prevede l’invio di
Osservatori in Siria, per un periodo iniziale di 90 giorni,
per monitorare il rispetto del cessate il fuoco e l'
applicazione del piano Annan accettato dal regime Siriano.
La
missione
denominata
UNSMIS
(United
Nations
Supervision Mission in Syria) è composta inizialmente fino
a 300 membri tra militari disarmati e civili.
Il Consiglio dei Ministri ha autorizzato, in data 8
maggio, una missione di pace di militari italiani in Siria
nel ruolo di “osservatori delle Nazioni Unite”, per un
massimo di 17 unità.
MISSIONI/ATTIVITA’ INTERNAZIONALI DAL 01.01.2012 AL 31.12.2012 – SITUAZIONE AL 15.05.2012
ww
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Totale personale impiegato: 6.924 militari (25 attività in 27 Paesi/Aree)
(●)
Missioni autorizzate dalla legge n. 13 del 24 febbraio 2012:
− in neretto i livelli medi di personale previsti per l’intero anno. Totale 6.529 militari
− tra parentesi gli effettivi presenti ed aggiornati a fine mese. Totale 6.743 militari.
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rg
(▲) Missioni non comprese nel provvedimento e personale presente aggiornato a fine mese.
Totale 181 militari.
Allegato B
Operazione Nazionali in corso
rg
1) Operazione Strade Pulite
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L'Operazione
"Strade
Pulite"
è
autorizzata
dall'articolo 2, commi 7 e 7-bis, del decreto-legge 23
maggio 2008, n.90 "Misure straordinarie per fronteggiare
l'emergenza nel settore dello
smaltimento
dei
rifiuti
nella
regione
Campania e
ulteriori
disposizioni
di
protezione civile", convertito in legge, con modificazioni,
dalla legge 14 luglio 2008, n. 123. Le attività svolte
dalle
Forze
Armate
in tale
ambito
fanno
capo
al
Sottosegretario di Stato presso la Presidenza
del
Consiglio
dei
Ministri
preposto
alla
soluzione
dell'emergenza rifiuti nella regione Campania. Per la
parte di competenza del Ministero della Difesa il
Comando Operativo di vertice Interforze (COI) pianifica e
coordina l'Operazione mentre la gestione diretta
è
assicurata
per
il
tramite
del
2°
Comando
delle
Forze Operative di Difesa (dipendente dal Comando delle
Forze Operative Terrestri dell'Esercito).
Dal
29
novembre
2010
è
stato
autorizzato
il
concorso di una Task Force di livello Reggimento, 160
militari
e circa 100 mezzi dell'Esercito, portando il
dispositivo utilizzato per l'operazione a circa 400 unità.
2) Operazione Gran Sasso
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rg
La
partecipazione
delle
Forze
Armate
alle
operazioni
in
soccorso
alla
popolazione abruzzese
è
iniziata,
sin
dalle
prime
ore
dell'emergenza,
con
l'impiego
dei
reparti dell'Esercito
e
dell'Arma
dei
Carabinieri
dislocati
nella
regione.
Sono
immediatamente intervenuti squadre e mezzi specialistici
per la ricognizione ed il primo soccorso tratti dal 9°
Reggimento
alpini
e
dal
33°
Reggimento
di
artiglieria terrestre "Acqui" con sede a L'Aquila, dal
123° Reggimento con sede a Chieti e dal Comando regionale
CC "Abruzzo".
Nel prosieguo dell'emergenza si sono aggiunti assetti
specialistici terrestri ed aerei di Esercito, Marina,
Aeronautica
e
Carabinieri,
provenienti
da
tutto
il
territorio nazionale. Il 31 marzo
2010
si
è
conclusa
la fase concorsuale del personale delle Forze Armate
impegnato per il supporto nelle zone colpite dal sisma.
Il 1° aprile 2010, con l'Operazione "Aquila" ha
avuto inizio il concorso delle Forze
Armate al Commissario delegato (Presidente della Regione
Abruzzo) per lo sgombero e il trasporto
in
specifici
siti
di
stoccaggio
delle
macerie
site
all'interno
del
capoluogo abruzzese. L'attività è svolta in stretta
collaborazione con il Dipartimento della Protezione Civile.
I concorsi delle Forze Armate in casi di pubbliche
calamità consistono nell'impiego di personale,
mezzi
e
materiali in compiti che siano uguali od affini a
quelli normalmente
svolti. Il ruolo delle Forze Armate è da considerarsi
complementare a quello svolto dalla Protezione Civile e
dagli
altri
Dicasteri
istituzionalmente
preposti
ai
diversi
settori
di intervento.
La
tipologia
di
impegni
è
regolata
da
specifiche
disposizioni
legislative e direttive del Ministero della Difesa e
degli
SM
della
Difesa
e
di
FA,
che
definiscono
procedure,
modalità
operative,
dipendenze
e
limiti
dell'impegno.
3) Operazione Strade Sicure
L'Operazione "Strade Sicure", iniziata
2008, è prevista dalla Legge 24 luglio
il
4
agosto
.o
rg
2008, n. 125 "Conversione in legge, con modificazioni, del
decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92, recante misure urgenti
in materia di sicurezza pubblica" e dal DL del 1° luglio
luglio 2009 n. 78.
os
di
fe
Le attività svolte in tale ambito fanno capo ai
prefetti di province comprendenti aree metropolitane e/o
aree
densamente
popolate,
designati
dal
Ministero
dell'Interno.
Il Comando Operativo di vertice Interforze
pianifica e coordina l'Operazione interfoze
(COI)
ww
w.
mentre la gestione diretta è assicurata per il tramite dei
Comandi delle Forze Operative di Difesa dell'Esercito (1°
FOD di Vittorio Veneto e 2° FOD di San Giorgio a Cremano),
con il concorso di personale di Aeronautica e Marina.
Allegato C
Operazioni Internazionali Concluse
rg
1) Afghanistan ENDURING FREEDOM Task Force NIBBIO
L'Operazione "NIBBIO" può essere a ragione considerata
una delle più
complesse e rischiose missioni compiute
dalle Forze Armate Italiane dalla 2^ seconda Guerra
Mondiale.
La
difficoltà
deriva
innanzitutto
dalla
notevole
distanza del Teatro operativo dalla Madrepatria (circa
6000 Km), che ha imposto un onerosissimo piano di trasporti
via aerea, con
un
impegno
complessivo
di
96
voli
militari
e
37
voli
civili,
per
garantire
il
dispiegamento, il rientro ed il regolare flusso di
rifornimento del nostro Contingente.
.o
2) Afghanistan - ISAF Operazione Sparviero
os
di
fe
Il 5 dicembre 2001 a Bonn i rappresentanti delle
diverse
etnie
afgane
firmano
la risoluzione
1383,
successivamente ratificata dal Consiglio di Sicurezza
dell'ONU.
Venne così
legittimata
la
costituzione
di
una forza multinazionale di pace, l'ISAF, allo scopo
di assistere
le
Autorità
Transitorie
Afgane
nel
delicato processo di democratizzazione del paese.
ww
w.
L'obiettivo più arduo è stato quello di creare le
condizioni
di
sicurezza
necessarie
per
il
regolare
svolgimento delle prime elezioni libere nella storia
dell'Afghanistan, straziato da un quarto di secolo di
guerre e repressioni.
La prima "tornata" elettorale delle presidenziali
si è regolarmente svolta
il giorno 9 ottobre 2004,
concludendosi con l'elezione al 1° turno del già presidente
ad interim Hamid Karzai.
3) Africa Occidentale UNOWA
Per molti anni, vaste parti dell'Africa occidentale
hanno vissuto situazioni di instabilità e di conflitto.
Come risultato, la regione ospita un grande numero
di operazioni di pace
delle Nazioni Unite, nonché attività di sviluppo ed a
carattere umanitario.
In particolare, il Segretario Generale delle Nazioni
Unite - d'accordo con il Consiglio di Sicurezza - ha
costituito UNOWA (United Nations Office for West Africa),
quale innovativa
risposta alle pressanti richieste dei leader degli
ECOWAS (Economic Community of West
African
States)
per
dare
risposta,
con
un
approccio regionale, alle notevoli minacce alla pace ed
alla sicurezza nell'area.
Questa iniziativa rappresenta un primo tentativo delle
Nazioni Unite di decentralizzare le sue attività politiche
regionali, e di avviare un'azione nel campo della
prevenzione dei conflitti e della costruzione della pace,
in modo più ravvicinato alle realtà ed alle esigenze
locali.
Nel luglio 2002, il Segretario Generale ha nominato Mr.
Ahmedou Ould-Abdallah quale
suo Rappresentante
si è insediato a
Speciale.
Dakar
Nel
febbraio
2003,
UNOWA
os
di
fe
.o
rg
(Senegal), con lo scopo di sviluppare un approccio
regionale integrato delle Nazioni Unite
relativamente alla prevenzione e gestione dei conflitti,
nonché per promuovere la pace, la
sicurezza e lo sviluppo nell'Africa occidentale.
ww
w.
4) Albania ALBANIA 2- 28° GRUPPO NAVALE
In
ottemperanza
alle
direttive
governative,
intese
ad
arginare
il
fenomeno dell’emigrazione
clandestina dai porti e dalle coste albanesi verso
il
territorio
italiano
e nell’ambito degli accordi
bilaterali intercorsi tra il Governo Italiano ed il Governo
Albanese, a decorrere dal 15 aprile 1997 e fino al 25
febbraio 2009 è stato costituito il 28° gruppo Navale
operante nelle acque territoriali dell’Albania. Il 24
e 25 febbraio 2009 è stato celebrato lo scioglimento
del Gruppo Navale dopo dodici anni di attività.
5) Albania - ALBIT
L'Operazione ALBIT si inserisce nel più ampio quadro
degli accordi bilaterali fra Italia e Albania sottoscritti
a Roma il 28 agosto 1997. In particolare, al fine
di dare corso al
progetto denominato "Scuola di Volo di Valona", finalizzato
al miglioramento della capacità
logistica
ed
operativa
della
Scuola
di
Volo,
attraverso
interventi
mirati
al
recupero
e
riadattamento dell'infrastruttura e della striscia di
atterraggio del comprensorio aeroportuale di
PISH-PORO,
si
è
reso
necessario
avviare
un'Operazione
a
carattere
esclusivamente nazionale
(Operazione
ALBIT),
che
prevede
la
presenza
di
un
Reparto
dell'Aeronautica
Militare
Italiana
a
Valona
per
l'esecuzione del progetto in argomento.
rg
6) Albania - NATO HQ TIRANA
Alla fine del 2004, con il termine dell'operazione
"Joint Forge" in Bosnia Erzegovina, ed
il
passaggio
delle responsabilità delle operazioni militari dalle
forze NATO (SFOR) a quelle della Unione Europea (EUFOR),
l'Alleanza Atlantica ha raggruppato tutte le attività NATO
nell'area balcanica in un unico contesto.
Il 5 aprile 2005 iniziava, pertanto, l'Operazione
"Joint Enterprise" che comprende le
attività della KFOR (Kosovo) e dei NATO HQ di Skopje,
Tirana e Sarajevo. Il NATO HQ Tirana, retto da un Senior
Military Representative (SMR), era alle dirette dipendenze
del Joint
Force
Command
Naples
(JFC
Naples)
e
provvedeva
al
supporto
delle
Autorità albanesi ed ai
coordinamenti tra queste ultime e la NATO. Dall'aprile
2009, con l'ingresso dell'Albania nell'Alleanza Atlantica,
il NATO HQ di Tirana è stato riconfigurato come MAIL-T
(Military Accession and Integration, Liaison Team).
ww
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.o
7) Balcani - EUMM
La
Missione
Europea
di
Osservazione
(EUMM)
fu
istituita - inizialmente con la denominazione di ECMM
(European
Community
Monitoring
Mission)
dalla
Comunità Europea nel 1991, in seguito all'Accordo di Brioni
del 7 luglio 1991. Dal 1° gennaio 2001, la Missione fu
denominata EUMM (European Union Monitoring Mission) e
rappresentava lo strumento di Politica Estera e di
Sicurezza
dell'Unione
Europea
nei
Balcani,
alle
dipendenze
del
Consiglio
dell'Unione
Europea,
attraverso
Segretario
Generale/Alto Rappresentante per
la Politica Estera e di Sicurezza Comune (PESC). La
Missione aveva sede
a
Sarajevo
ed
fu
schierata
in
Albania,
Bosnia
Erzegovina,
Croazia,
Serbia,
Montenegro e Kosovo (FRY) e Macedonia (FYROM). Il
Capo Missione, del rango di Ambasciatore, risiedeva a
Sarajevo restando in carica per tre anni. Il 18 ottobre
2006, con la chiusura degli Uffici a Sarajevo e il
previsto
rientro
del
personale,
terminava
la
partecipazione italiana nella missione.
8) Bosnia Erzegovina European Union Force "Althea" - EUFOR
Althea
L'Operazione
EUFOR
"Althea"
aveva
inizio
il
2
dicembre
2004
su
mandato
delle Nazioni Unite (UNSCR
1551 del 9 lug. 2004), in sostituzione dell'Operazione
della NATO "Joint Forge".Nelle prime fasi l'operazione
contava circa 6.000 militari, una consistenza che si
è
progressivamente
ridotta
con
il
generale
e
costante miglioramento
del
livello
di sicurezza
e
della capacità delle Autorità locali di operare per
il mantenimento delle condizioni di pace e stabilità. Dal
dicembre 2005 al dicembre 2006 e dal dicembre 2008 al
.o
rg
dicembre
2009,
il
comando
dell'Operazione
ALTHEA
è
stato ricoperto dall'Italia con i Generali di Divisione
dell'Esercito Gian Marco Chiarini e Stefano Castagnotto.
Nel febbraio 2007
è
stata
decisa
una
progressiva
riduzione
di
EUFOR
e
la
chiusura
della
struttura
territoriale basata sulle Multi National Task Forces
(MNTFs). Nel novembre 2009 è stato siglato
con
le
controparti
locali
un
"Protocollo
di
Intesa"
per
regolare il controllo delle importazioni, esportazioni,
transito e il trasporto interno di armi ed equipaggiamenti
militari, munizioni, tecnologia duale e materiale nucleare
da e per la Bosnia.
Tale
accordo
aveva
segnato
la
cessione
di
responsabilità,
alle
autorità
bosniache, dell'ultima
delle funzioni esecutive derivanti dagli "Accordi di
Pace" di Dayton, rimaste sotto il controllo diretto di
EUFOR.
Il
21 dicembre 2010, con
il
rientro
in Patria
dell'ultima aliquota di
personale militare, terminava la
partecipazione italiana alla missione.
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9) Bosnia Erzegovina JOINT FORGE (SFOR)
La Stabilization Force (SFOR) costituisce lo strumento
militare utilizzato dalle Nazioni NATO e del Partenariato
per
la
Pace
(Partnership for
Peace
PfP)
per
garantire
quella cornice
di
sicurezza
necessaria
a
favorire
la
normalizzazione
della
Bosnia-Herzegovina
(BiH) tale forze hanno operato prima nell'ambito dell'Op.
denominata "JOINT GUARD" e successivamente nella "JOINT
FORGE". L'Italia ha contribuito ad entrambe le operazioni
con un contributo complessivo di circa 2200 uomini
inquadrati, principalmente, nella Brigata Multi Nazionale
Nord (BMN-N). Il 15 marzo 2000 è stato completato il
processo di ristrutturazione e riorganizzazione di SFOR,
noto come "Opzione 2" di SFOR, che, nelle sue linee
generali, ha portato ad una riduzione delle Forze dalle
28.000 unità alle attuali 20.000 circa. L'organizzazione
del Teatro rimane basata sulla suddivisione dello stesso in
tre settori divisionali:
 settore della Divisione multinazionale Nord (DMN-N);
 settore della Divisione Multinazionale Sud Est (DMN-SE) il
cui Comando da gennaio 2003 è affidato a rotazione ai Paesi
che la costituiscono, sotto il cui comando agisce il
personale del Contingente Nazionale;
 settore della Divisione multinazionale Nord Ovest (DMN-SW).
A loro volta, le Divisioni, precedentemente organizzate
su Unità di Manovra a livello di Brigata, sono state
organizzate su Battle Groups (BG), a livello Reggimento. La
missione è
rimasta
sostanzialmente
invariata,
si
concretizza nel mantenimento di una credibile capacità
di
deterrenza
e
di
progressiva
stabilizzazione
dell'area con l'obiettivo finale di consolidare a pace
ww
w.
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.o
rg
e rimuovere la necessità di una presenza militare della
NATO in BiH.
In tale quadro, SFOR continuerà ad assicurare una
adeguata presenza militare in BiH per impedire una
eventuale recrudescenza delle ostilità e per contribuire
alla realizzazione di un ambiente sicuro.
La riduzione numerica delle forze in Teatro ha
posto la necessità di conferire alle
stesse un adeguato grado di flessibilità e mobilità che
dovrà essere acquisito e mantenuto consentendo ai Battle
Groups di operare, seppure su basi di contingenza, al di
fuori dei rispettivi
settori
di
responsabilità.
Su
questo tema l'Italia si è dichiarata, nelle Sedi di
Bruxelles,
disponibile
a
condividere
il
principio
purché
la
NATO
delineasse
in
anticipo possibili
ipotesi
d'impiego
delle
Forze
al
di
fuori
delle
rispettive
AOR.
All'operazione contribuiscono 18 Paesi
appartenenti alla NATO e 17 Paesi non-NATO.
Il
9
luglio
2004
l'ONU
approva
la
Risoluzione
1551
che,
nell'autorizzare
la
prosecuzione
di
SFOR
per
ulteriori
sei
mesi,
accoglie la decisione della NATO di concludere SFOR
entro la fine del 2004 e la decisione dell'UE di
avviare in Bosnia, da
dicembre 2004, una missione a guida UE comprensiva anche di
una componente militare.
Il 15 luglio 2004 viene reso noto che dopo il termine di
SFOR, la NATO manterrà una presenza militare nel Paese con
una "Military Liaison and Advisory Mission
- NATO HQ
Sarajevo", con specifiche competenze quali l'assistenza per
la riforma della difesa e per la preparazione per la
potenziale adesione del Paese al programma PfP e che la
missione a guida UE si chiamerà "ALTHEA". L'11 ottobre 2004
la UE approva la pianificazione operativa di "ALTHEA" e
rende noto che "ALTHEA" succederà a SFOR il 2 dicembre
2004.
10)
Bosnia Erzegovina - UNMIBH (IPTF)
I combattimenti in Bosnia Erzegovina terminarono l'11
ottobre 1995. Da tale data fino al 20 dicembre 1995, il
cessate
il
fuoco
fu
monitorato
dalle
forze
della
missione UNPROFOR (United Nations Protection Force),
istituita per consentire i negoziati di pace di Dayton
(Ohio, USA).
Il 21 novembre 1995 fu siglato a Dayton l'accordo di
pace per la Bosnia Erzegovina.
L'8 e 9 dicembre 1995 fu nominato, nell'ambito
della Conferenza di Londra, l'Alto Rappresentante per
l'implementazione
dell'accordo
di
pace
in
Bosnia
Erzegovina. Il 14
dicembre
1995,
l'accordo
di
pace
fu
firmato
a
Parigi dalla Repubblica della Bosnia Erzegovina, dalla
ww
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fe
.o
rg
Repubblica della Croazia e dalla Repubblica Federale della
Jugoslavia.
Con
la
firma
di
tale
accordo,
i
tre
Stati
balcanici
recepivano
l'obbligo
di
condurre relazioni
reciproche in linea con i dettami della Carta delle Nazioni
Unite, nel pieno rispetto della medesima sovranità di
ciascuno di loro entro i propri confini.
Conseguentemente,
le
forze
di
UNPROFOR
furono
ritirate
per
consentire
il dispiegamento di una forza
di implementazione multinazionale a guida NATO, denominata
IFOR (Implementation Force).
Oltre
alle
nomina
dell'Alto
Rappresentante
per
l'implementazione
dell'accordo
di
pace
in
Bosnia
Erzegovina, le parti in causa richiesero alle Nazioni Unite
la costituzione di una Forza Internazionale di Polizia
per
garantire
il
rispetto
delle
leggi
e
l'addestramento del personale di polizia locale.
Il 20 dicembre 1995 IFOR sostituì UNPROFOR (IFOR
fu a sua volta sostituito nel
dicembre
1996
da
SFOR
Stabilization
Force
attualmente operante), mentre il 21 dicembre 1995 il
Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite con la
risoluzione
n.
1035 decise la costituzione della IPTF
(United Nations International Police Task Force) unito ad
un ufficio civile delle Nazioni Unite denominato UNMIBH
(United Nations Mission in Bosnia and Herzegovina).
Nell'ambito degli
accordi
di
Dayton,
è
stata
stabilita, con l'adozione della risoluzione
del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite n.
1035 del 21 dicembre 2001, la costituzione di una
forza
ONU
denominata
IPTF
con
compiti
di
Polizia
Internazionale e
giurisdizione in Bosnia Erzegovina. Secondo la prassi
ONU, i gruppi d'osservatori sono
rigorosamente di composizione multinazionale ed operano
disarmati.
Il 12 luglio 2002, il Consiglio di Sicurezza delle
Nazioni Unite ha adottato, all'unanimità,
la risoluzione n. 1423 che estende il mandato della
Missione sino al 31 giugno 2002.
11)
Congo - EUSEC RD CONGO (European Union Security Sector
Reform Mission in
the Democratic Republic of the Congo)
Dopo lo svolgimento positivo delle prime elezioni
democratiche
nella
Repubblica Democratica
del
Congo
(RDC),
l’Unione
Europea
(UE)
ha
continuato
a
supportare tale
Paese in modo globale e coerente. In seguito ad un invito
ufficiale del governo della RDC in data 26 aprile 2005,
il
Consiglio
della
UE
ha
adottato,
il
2
maggio
2005, l’Azione Comune 2005/355/PESC relativa all’avvio di
rg
una missione di consulenza e di assistenza dell’Unione
Europea per la riforma del settore della sicurezza
nella
RDC,
denominata "EUSEC
RD
Congo".
Essa
era
strutturata su un Ufficio con sede a Kinshasa nel
quale opera il Capo della Missione (Head of Mission - HOM)
ed il personale di staff, nonché un gruppo
di
esperti
dell’UE assegnati, con differenti funzioni, nei posti
chiave in seno all’Amministrazione congolese. Il Capo
della missione operava in stretta coordinazione con la
missione EUPOL RD Congo (anch’essa a guida UE), allo scopo
di assicurare una sinergia delle attività dell’UE nella
RDC.
Alla
missione
hanno
partecipato
36
unità
appartenenti a 9 Stati membri dell’UE, così ripartiti:
 9 Advisor a livello strategico dislocati a Kinshasa;
 27 consiglieri di cui 14 dislocati a Kinshasa e 13 presso
gli Stati Maggiori delle Brigate
integrate.
ww
w.
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.o
12)
Ciad
EUROPEAN
UNION
FORCE
"CIAD/RCA"
Operazione "Nicole" - Task
Force "Ippocrate"
La missione EUFOR TCHAD/RCA è stata istituita sulla base
della Risoluzione 1778, del 25 settembre 2007, del
Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
La forza militare, a guida europea, di circa 3400 unità
è stata schierata in supporto alla missione delle Nazioni
Unite MINURCAT nella Repubblica Centro Africana (RCA) e
nella Repubblica del Ciad.
Il
controllo
politico
e
la
direzione
strategica
della missione sono stati esercitati dal
Political
and
Security
Committee
(PSC)
dell'UE.
L'Operation
Headquarters
(OHQ)
ha operato
da
Mont
Valerien
(Francia
Parigi)
mentre
il
Force
Headquarters (FHQ) da Abechè (Ciad).
L'Italia
partecipa
alla
missione,
denominata
"Nicole", con un dispositivo sanitario
nazionale interforze e relativi supporti (Task Force
"Ippocrate") e con personale di Staff, nell'ambito dei
suddetti Headquarters.
EUROFOR TCHAD/RCA si è conclusa il 15 marzo 2009
trasferendo le proprie attribuzioni all'ONU (MINURCAT).
13)
Congo - EUFOR RD CONGO
A seguito dell'adozione da parte del Consiglio di
Sicurezza dell'ONU della Risoluzione nr.
1671
del
25
aprile 2006, il Consiglio dell'Unione Europea aveva
definito
il
quadro dell'operazione militare dell'Unione
Europea (UE) denominata EUFOR RD Congo.
L'operazione assicurava il sostegno della missione di
osservazione
delle
Nazioni
Unite
nella
Repubblica
Democratica
del
Congo
(United
Nations
Organization
Mission in the Democratic Republic of the Congo - MONUC)
w.
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fe
Congo - EUPOL KINSHASA
Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, con la
Risoluzione n° 1493 del 28 luglio 2003,
esprimeva
soddisfazione circa la promulgazione, avvenuta il 4
aprile
2003,
della Costituzione di Transizione per la
Repubblica Democratica del Congo e della formazione di un
Governo di transizione a partire dal 30 giugno 2003.
In
tale
Risoluzione
le
Nazioni
venivano
invitate
a
supportare
il
processo
di
stabilizzazione
e
di
mantenimento
della
sicurezza
nella
Repubblica
Democratica
del Congo
mediante
la
costituzione
e
l'addestramento
di
una
"Integrated
Police Unit"
(IPU) congolese,
nonché
fu
concordata
un'assistenza
da
parte
della
missione
ONU
MONUC
(United Nations Organisation Mission in the Democratic
Republic of Congo).
Il Segretario Generale delle Nazioni Unite ed il
Presidente del Consiglio della Unione Europea (UE), nella
dichiarazione
congiunta
del
29
settembre
2003,
nell'esprimere soddisfazione
circa
la
cooperazione
esistente tra l'ONU e la UE in materia di gestione
(militare e civile) delle crisi, hanno valutato le
modalità per la costituzione della IPU a
Kinshasa atta a provvedere alla sicurezza del Governo di
transizione e delle Istituzioni.
Il 15 dicembre 2003, il Comitato Politico e di
Sicurezza
della
UE
decideva
di supportare
la
costituzione
della
IPU
attraverso
tre
fasi:
ristrutturazione
del
centro
di addestramento
delle
forze
di
polizia
congolesi
e
fornitura
di
ww
14)
.o
rg
durante il processo elettorale denominata EUFOR RD Congo.
Tale operazione, che intendeva garantire il regolare
svolgimento delle operazioni
elettorali
e
delle
fasi
immediatamente
successive
alla
proclamazione
dei
risultati, doveva avere una durata preventivata non
superiore ai 4 mesi e si doveva avvalere di una
forza
di
circa
2800
unità,
forniti
da
Francia,
Germania
(che
assicurò
il Comando dell'operazione),
Italia, Polonia, Paesi Bassi, Spagna e Svezia. I militari
della UE affiancarono
i
17.000
caschi
blu
dell'ONU
presenti da tempo in Congo con la missione MONUC.
In particolare, la missione disponeva di un Comando
Operativo con sede a Postdam (GE), schierava una Forza
di deterrenza (EUFOR) con un Comando delle Forze a Kinshasa
(RDC) ed una Forza "on call" in Gabon. Inoltre, una Forza
in riserva strategica in
Europa
era
disponibile
(on
call)
a
un
eventuale
impiego
in
supporto.
Il
30
novembre 2006 terminavano le attività operative della
missione
e
iniziavano
le
operazioni,
che durarono
fino
al
15
dicembre,
per
il
redeployment
del
personale, dei mezzi e delle attrezzature impiegate.
ww
w.
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di
fe
.o
rg
equipaggiamenti di base, addestramento
del
personale
e
supervisione
delle
attività
della
IPU
al
termine dell'addestramento.
Il 1° ottobre 2004 il Consiglio di Sicurezza delle
Nazioni Unite nell'estendere l'impiego della
missione
MONUC fino al 31 marzo 2005, decideva di supportare
il Governo di transizione congolese fino a che la IPU non
fosse in grado di assumere il controllo e la responsabilità
di assistenza al Governo di transizione finalizzata
al mantenimento dell'ordine.
A seguito della Azione Comune del Consiglio della UE del
9 dicembre 2004, fu deciso lo schieramento di una Missione
di Polizia a guida UE nella Repubblica Democratica del
Congo (DRC), denominata EUPOL KINSHASA.
La missione, condotta sotto l'egida dell'Unione Europea,
si inquadrava negli sforzi che l'UE stava compiendo per
ristabilire la sicurezza ed il rispetto delle leggi nella
Repubblica Democratica
del
Congo,
in
stretta
collaborazione con la missione ONU MONUC, e, a
seguito di specifica richiesta del governo congolese,
di
contribuire
ad
assicurare
la protezione delle
istituzioni statali e a rinforzare l'apparato di sicurezza
interno del Congo mediante la costituzione della IPU.
La missione, avviata il 30 aprile 2005 e conclusa il 30
giugno
2007,
si
configurava
come
Missione
di
rafforzamento delle strutture di pianificazione e di
gestione
delle capacità esecutive della polizia locale,
con compiti di addestramento della IPU (circa 1.000 u.) e,
al termine di questo, di monitoraggio, supervisione e
consulenza della stessa.
Alla missione contribuivano, oltre all'Italia, le
seguenti Nazioni: Portogallo, Francia,
Belgio, Svezia, Svizzera, Turchia, Olanda, Canada ed era
aperta al contributo dei Paesi membri e candidati della UE
nonché ai Paesi terzi.
Il
responsabile
della
Polizia
e
Capo
della
missione dipendeva dal Rappresentante
Speciale della UE.
A far data dal 30 giugno 2007, la missione EUPOL
KINSHASA ha terminato le attività
ed è stata sostituita dalla missione EUPOL RD CONGO.
15)
Congo- MONUC
Il
personale
appartenente
alla
missione
effettua
il monitoraggio dell'attuazione del cessate il fuoco,
secondo quanto previsto dagli accordi di Lusaka del
10 luglio 1999, e l'effettuazione delle indagini sulle
violazioni allo stesso. Il gruppo d'osservatori e le forze
delle Nazioni Unite operano in Congo dalla fine del 1999, a
seguito dell'approvazione della Risoluzione del Consiglio
di Sicurezza delle Nazioni Unite n. 1279 in data 30
novembre 1999. Nell'ambito della missione, l'Italia ha
fornito
il
vice
personale di Staff.
Comandante
ed
ha partecipato con
Corno d'Africa - MARE SICURO
A seguito del verificarsi, nella seconda metà del mese
di luglio 2005, di atti di pirateria al
largo
delle
coste
somale
a
danno
di
mercantili
italiani,
fu
deciso l’impiego
nell’area marittima del Corno d’Africa
di una unità navale a livello Pattugliatore di Squadra
classe Soldati, quale
strumento
di
deterrenza
e
protezione
del
naviglio
mercantile
transitante
nell’area.
L’impiego dello strumento militare per l’attività in
parola prevedeva le seguenti opzioni di intervento:
 una prima, a carattere preventivo,
consistente nella
presenza di una unità d’altura al largo
della
costa
somala,
durante
i
transiti
del
naviglio
mercantile
nazionale,
con compiti di sorveglianza e dissuasione nei
confronti di eventuali atti di pirateria, in stretto
coordinamento
con
i
Comandi/unità
alleate
e
della
Coalizione operanti nell’ambito dell’Operazione "Enduring
Freedom";
 una
seconda
di
carattere
offensivo,
come
reazione
immediata
ad
un
eventuale sequestro,
tesa
ad
assicurare la presenza nell’area di una piattaforma
mobile quale base operativa navale per il dispositivo di
Forze Speciali, mantenuto in approntamento in Patria, in
caso di eventuali azioni nei confronti di naviglio
nazionale sotto sequestro.
Etiopia – Eritrea - UNMEE
Allo
scopo
di
supportare
le
operazioni
di
peacekeeping, conseguenti all'accordo di Algeri firmato
il 18 giugno 2000 tra Etiopia ed Eritrea per la cessazione
delle ostilità iniziate nel
maggio
1998
per
una
disputa sui confini tra i due Paesi, in data 31
luglio
2000
il Consiglio di Sicurezza ha adottato la
risoluzione 1312, con la quale viene autorizzata la
costituzione della United Nations Mission in Ethiopia and
Eritrea (UNMEE).
Nel suo rapporto del giugno 2000 al Consiglio di
Sicurezza,
il
Segretario
Generale descrisse l'accordo
come il primo ed essenziale passo verso il ristabilirsi
della pace fra i due Paesi. Egli informò il Consiglio sulla
sua intenzione di inviare un "appropriato" numero di
ufficiali di collegamento, cui avrebbe fatto seguito
l'invio di un gruppo di osservatori
militari.
Fu
quindi
previsto
l'invio
graduale
di
100
osservatori militari delle Nazioni Unite nel
corso
dei
successivi
due
mesi,
in
attesa
dell'istituzione dell'operazione di peacekeeping
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17)
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fe
.o
rg
16)

rg
.o

os
di
fe

w.

ww

delle Nazioni Unite.
Il 31 luglio 2000, il Consiglio di Sicurezza, con la
risoluzione 1312, decise di istituire la
"United Nations Mission in Ethiopia and Eritrea" (UNMEE),
consistente in un centinaio di osservatori militari e un
certo numero di
personale
civile
di
supporto,
in
previsione della
costituzione
dell'operazione
di
peacekeeping,
subordinata
ad
una
successiva autorizzazione del
Consiglio di Sicurezza stesso. A tale gruppo di osservatori
fu affidato il compito di:
stabilire e mantenere il collegamento tra le parti in
conflitto;
visitare i Comandi e siti militari dei due Paesi
in
tutta
l'area
di
operazione,
come richiesto dal
Segretario Generale;
stabilire ed attuare la procedura per la verifica della
cessazione delle ostilità;
preparare l'insediamento della Commissione Militare di
Coordinamento
(Military
Coordination
Commission)
prevista
dall'accordo
di
cessazione
delle
ostilità
firmato il 18 giugno 2000;
fornire assistenza nella pianificazione dell'operazione di
peacekeeping.
Al
Segretario
Generale
fu
chiesto
di
continuare
la pianificazione dell'operazione di
peacekeeping
ed
iniziare
l'adozione
di
misure
amministrative
per
la
sua
costituzione, attesa una
successiva autorizzazione del Consiglio di Sicurezza.
Riferendo
al
Consiglio
di
Sicurezza
in
data
9
agosto 2000, il Segretario Generale illustrò il mandato
della missione allargata e, allo scopo di controllare il
rispetto del cessate il fuoco e la demarcazione dei confini
tra Etiopia ed Eritrea, raccomandò l'impiego di 4.200
militari,
inclusi
220
osservatori
militari,
tre
battaglioni
di
fanteria
e
le
necessarie
unità
di
supporto. Il rapporto, basato sulle conclusioni della
missione di ricognizione delle Nazioni Unite
nella
regione,
raccomandava
che,
a
causa
dele
scarse
infrastrutture e la difficile situazione morfologica del
terreno, fossero impiegati aerei ed elicotteri, come pure
forze terrestri ed autoblinde.
UNMEE
doveva
comprendere
una
componente
politica,
militare,
di
pubblica
informazione, di sminamento e amministrativa, nonché
disporre di un meccanismo per il coordinamento delle sue
attività con quelle della comunità umanitaria.
In ciascuno dei due Paesi in conflitto doveva insediarsi
un Rappresentante Speciale a capo del team delle Nazioni
Unite, in modo da mantenere stretti contatti con le
Autorità politiche e militari di Etiopia ed Eritrea.
18)
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fe
.o
rg
Gli uffici di Addis Abeba e di Asmara dovevano essere
affiancati dagli uffici decentrati
di
Mendefera
(Eritrea
Occidentale)
e
di
Mekele
(Etiopia
Settentrionale).
Inizialmente limitato
al
monitoraggio
della
cessazione
delle
ostilità
e
del
ridispiegamento delle forze
delle due parti, il mandato di UNMEE è stato esteso con la
Risoluzione del Consiglio di Sicurezza n. 1430 del 14
agosto
2002
per
includervi
l'assistenza
alla
Commissione internazionale
per
la
delimitazione
dei
confini
tra
Etiopia
ed
Eritrea.
Dopo successive proroghe del mandato di UNMEE, con
la
Risoluzione
n.
1560
del
14 settembre 2004, il
Consiglio di Sicurezza ha ridotto il contingente (un
battaglione - dei tre schierati sul confine - in meno,
oltre ad una riduzione del 30% del personale del Quartier
Generale). Alla missione contribuirono 40 Nazioni.
Al tempo stesso, le parti continuarono i negoziati al
fine di raggiungere una completa risoluzione pacifica del
conflitto. I colloqui, favoriti dal Presidente dell'Algeria
Bouteflika, si
conclusero il 12 dicembre 2000 ad Algeri con un completo
accordo di pace tra Etiopia ed Eritrea. In tale accordo
di
pace,
le
parti
accettarono
di
terminare
permanentemente
le ostilità militari tra di loro e di
astenersi dal minacciare od usare la forza per risolvere le
loro controversie. L'accordo prevede, tra l'altro, la
costituzione di una "commissione neutrale sui confini"
allo
scopo
di delimitare
e marcare
il
confine
del
trattato
coloniale,
nonché
la creazione
di
una
"commissione neutrale sui reclami" che decida sulle
rivendicazioni di entrambe le parti.
La partecipazione italiana alla missione terminò nel
dicembre 2005.
Fyrom - ALLIED HARMONY
Nel corso del 2001, le autorità governative della FYROM
(Former Yugoslav Republic of
Macedonia)
chiesero
alla
NATO
un
contributo
di
forze
per
il
processo
di
raccolta
e
distruzione
delle
armi
spontaneamente
riconsegnate dall'NLA (National Liberation Army).
Per assolvere la missione, fu costituita una Task Force
Harvest a guida NATO (circa 4500 uomini) alla quale hanno
contribuirono Francia, Germania, Gran Bretagna, Grecia,
Italia, Olanda, Spagna e Turchia. L'operazione - denominata
"Essential Harvest" - iniziò il 26 agosto e si concluse con
il conseguimento della missione il 27 settembre 2001.
Successivamente,
la
comunità
internazionale
diede
avvio
ad
una
attività
di monitoraggio
in
FYROM
condotta
da
Osservatori
Internazionali
appartenenti all'Organizzazione per la Sicurezza e la
Cooperazione in Europa (OSCE) ed all'Unione
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di
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.o
rg
Europea (UE).
Tali osservatori, nel numero massimo di 200 unità,
svolgono la loro attività in piccoli gruppi dislocati
sull'intero territorio macedone. La loro sicurezza è
assicurata dalle Autorità della stessa FYROM. In tale
ambito la NATO, accogliendo una specifica richiesta
del Presidente
della
Repubblica
Macedone,
decise
di
sostenere l'attività degli osservatori internazionali. A
tale riguardo, il North Atlantic Council (NAC), in data 26
settembre 2001, approvò
l'OPLAN
10417,
con
cui
fu
autorizzata una nuova operazione in FYROM denominata
"Amber
Fox",
distinta
dalla
precedente
operazione
"Essential
Harvest"
ed indipendente dall'operazione
"Joint Guardian" (KFOR). L'operazione "Amber Fox" iniziò
il 27 settembre 2001 e la Task Force Fox, a guida
tedesca, divenne operativa il 14 ottobre 2001. La missione
ed i principali compiti furono distribuiti sui seguenti
cinque livelli di supporto agli osservatori internazionali:
 il livello 1 prevedeva di fornire agli osservatori
informazioni debitamente filtrate;
 nel livello 2 era previsto che il Comando della
Task
Force
Fox
organizzasse
e rendesse
disponibili
dei
team
di
collegamento
con
gli
osservatori
per
assicurare una presenza itinerante;
 il livello 3 prevedeva un supporto di emergenza
in
situazioni
di
pericolo
per
la
vita umana
consistente
in
MEDEVAC
(aerea
o
terrestre)
e/o
nell'intervento di team EOD, da attuare in modo tempestivo
per estrarre il personale osservatore da campi minati o in
situazioni similari;
 nel livello 4 era previsto l'impiego di una forza
militare a livello battaglione da dislocare
in specifiche località con ambiente incerto e capace di
condurre simultaneamente due
limitate operazioni di estrazione;
 il livello 5 costituiva un livello di supporto
agli
osservatori
internazionali
da
usare
per
situazioni eccezionali; esso prevede il dispiegamento di
forze speciali per il recupero di ostaggi da trasferire
eventualmente al di fuori della Macedonia.
Il
17
giugno
2002,
in
seguito
alla
ristrutturazione
voluta
da
SHAPE,
si
compì
la
trasformazione ordinativa-organica di KFOR REAR e del
Comando di "Amber Fox" in
NATO HQ Skopjie (NHQS). L'operazione "Amber Fox" si è
conclusa il 15 dicembre 2002, dando inizio ad una nuova
operazione - denominata "Allied Harmony" (OPLAN 10418 di
SHAPE) che meglio si adattasse alla ristrutturazione
operata dalla NATO nel teatro dei
Balcani. Il Comandante del NHQS svolge le funzioni
di NATO SMR (Senior Military
Representative), alle dirette dipendenze del CINCSOUTH
(Joint Force Commander per i Balcani)
e
da
lui
dipendono
tutte
le
attività
della
NATO
in
FYROM;
inoltre, in qualità di rappresentante della NATO in
Macedonia, mantiene i contatti con tutte le autorità
Nazionali,
Internazionali
e
non
governative
che
operano
sul
territorio,
allo
scopo
di conseguire la
massima sinergia negli sforzi condotti dall'Alleanza nel
Paese. L'operazione "Allied Harmony" si è conclusa il
31 marzo 2003; in pari data ha avuto inizio la
prima
operazione
militare
dell'Unione
europea:
l'operazione
"Concordia".
Fyrom - CONCORDIA
Nella Former Yugoslav Republic of Macedonia (FYROM), è
in corso una missione di monitoraggio internazionale
condotta dalla European Union Monitoring Mission (EUMM).
Tale
missione,
costituita
per
decisione
congiunta
dell'Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in
Europa
(OSCE)
e
dell'Unione
Europea
(EU),
prevede
l'impiego
di osservatori internazionali che svolgono la
loro attività in piccoli gruppi dislocati sull'intero
territorio della FYROM. In data 17 gennaio 2003, il
Governo
della
FYROM
ha
invitato l'Unione Europea ad
assumere la responsabilità della operazione NATO "Allied
Harmony" in corso in Macedonia, mantenendo invariati
compiti e dimensioni del contingente. La EU ha
accolto
l'invito ed ha autorizzato l'avvio di una operazione
in
FYROM
che
assuma
i compiti operativi e di
monitoraggio già svolti dalla NATO.
Tale operazione, in base all'accordo "Berlin Plus",
ricorre ad alcune capacità ed assetti
della
NATO,
pur
facendo
capo
ad
una
linea
di
dipendenza autonoma. A tale riguardo,
presso
il
Supreme
Headquarters
of
Allied
Powers
in
Europe
(SHAPE)
è
stato appositamente costituito
un EU Operation Headquarters (EU OHQ).
A seguito della richiesta del Presidente della Former
Yugoslav Republic of Macedonia (FYROM)
di
procrastinare
il termine dell'Operazione "Concordia" al 15 dicembre
2003 (inizialmente
il
mandato
terminava
il
30
settembre), l'Unione Europea ha accettato la proposta
di EUROFOR (coalizione formata da quattro Paesi: FR,
IT, PO e SP) di subentrare alla Francia quale Leader
nel Force Headquarters (FHQ) di stanza a Skopjie. In
relazione al passaggio di responsabilità del Comando
dell'Operazione in teatro, tutto il personale francese
appartenente allo Stato Maggiore dell'Operazione sarà
sostituito con personale dell'EUROFOR.
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.o
rg
19)
Georgia - EUMM
L'Unione Europea, in seguito all'Azione Comune del
Consiglio
UE
n.736
del
15 settembre
2008, aveva
disposto
il
dispiegamento
in
Georgia,
nelle
zone
adiacenti l'Ossezia
del
sud
e
l'Abkhazia,
di
una
missione denominata European Union Monitoring Mission
(EUMM) con HQ a Tbilisi, finalizzata a garantire il
monitoraggio di quanto previsto dagli accordi UE - Russia
del 12 agosto e dell'8 settembre 2008. L'EUMM ha operato in
stretto coordinamento con le missioni già attivate nel
Paese dall'OSCE e dall'ONU (United Nations
Observer
Mission
in
Georgia
UNOMG).
Il
totale
del
personale
della
missione, iniziata
il
1°
ottobre
2008, ammontava a 320 effettivi di 26 Paesi membri
dell'Unione Europea.
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21)
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.o
rg
20)
Fyrom EUPAT - European Union Police Mission (EUPOL) PROXIMA
A seguito della Azione Comune del Consiglio della UE n.
681 del 29 settembre 2003, ispirata
dalla fact-finding
mission congiunta Segretariato - Commissione del 22-30
luglio 2003 decisa dal Comitato Politico e di Sicurezza
(COPS), fu deciso lo schieramento di una Missione di
Polizia, a guida UE, nella ex Repubblica Jugoslava di
Macedonia (FYROM).
La
missione,
avviata
il
14
dicembre
2005
e
facendo seguito alla missione EUPOL
PROXIMA
iniziata
15
dicembre
2003
e
che
a
sua
volta
era
succeduta
all'operazione
militare
"Concordia",
si
configurava
come
Missione
di
dare
ulteriore
rafforzamento
delle
strutture
di
pianificazione e di gestione delle capacità esecutive
della polizia locale, con
compiti di monitoraggio, di supervisione e di consulenza.
Permaneva, infatti, la necessità di
un
intervento
internazionale che favorisse il consolidamento delle
Istituzioni della ex Repubblica Jugoslava di Macedonia
(FYROM) deputate alla sicurezza. Nell'ambito degli
impegni
assunti
dalla
UE
in
FYROM,
la
Missione
assicurava il coordinamento e la complementarità dei
propri sforzi con i programmi di istitution-building
dell'OSCE. La
missione, condotta sotto l'egida dell'Unione Europea era
aperta anche alla partecipazione di Paesi terzi. Il
contingente
internazionale
era
costituito,
complessivamente, da circa 30 unità.
22)
Haiti - Operazione Caravella
La
missione
venne
autorizzata
dal
Consiglio
di
Sicurezza dell'ONU con la con la
risoluzione n. 1542 del 30 aprile 2004, per fornire
un aiuto al Governo di transizione
rg
nazionale
haitiano
nel
mantenimento
dell'ordine
e
della legge nel paese, per consentire
libere e democratiche elezioni, proteggere il personale
delle Nazioni Unite, promuovere e garantire
i
diritti
umani. In seguito al violento sisma del 12 gennaio
2010,
con
la Risoluzione
n.
1908
del
19
gennaio
2010,
è
stata
incrementata
la
consistenza
della
missione per contribuire alla ricostruzione ed alla
stabilità del Paese. Il 13 gennaio 2010, con Decreto del
Presidente
del
Consiglio
dei
Ministri,
è
stato
deliberato lo stato d'emergenza, al fine di predisporre e
partecipare con tempestività agli interventi di aiuto alle
popolazioni della Repubblica di Haiti da parte dell'Italia.
In tale quadro è stata autorizzata, in un primo momento
l'operazione "White Crane" e, successivamente,
la
partecipazione
nazionale
alla
MINUSTAH,
con
l'operazione "Caravella".
Iraq - ANTICA BABILONIA
Nel
quadro
della
lotta
internazionale
al
terrorismo, nel marzo 2003, una coalizione
guidata
dagli
USA
aveva
intrapreso
l'Operazione
"Iraqi
Freedom"
in
Iraq
per
il rovesciamento del
regime di Saddam Hussein. A seguito della sconfitta
della capacità
militare irachena, il 1° maggio 2003 iniziò la fase "post
conflitto" (IV Fase dell'operazione "Iraqi Freedom"), che
si poneva come obiettivo la creazione delle condizioni
indispensabili allo sviluppo politico, sociale ed economico
dell'Iraq. A questo scopo era stato costituito un comitato,
a guida USA, denominato Ufficio per la Ricostruzione e
l'Assistenza Umanitaria (ORHA - Office for Reconstruction
and Humanitarian Assistance).
Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite il
22 maggio 2003 aveva approvato la
Risoluzione n. 1483 con la quale sollecitava la Comunità
Internazionale a contribuire alla stabilità ed alla
sicurezza del Paese iracheno. Successivamente veniva
costituita la CPA (Coalition
Provisional
Authority)
Autorità Provvisoria della Coalizione che, oltre ad
assorbire parte delle funzioni del ORHA, aveva il compito
di
fornire
il
necessario
supporto
finalizzato
alla
creazione di un nuovo Governo iracheno. La CPA cessava il
suo incarico il 28 giugno 2004 con il trasferimento dei
poteri al Governo ad interim iracheno.
Sulla
base
di
quanto dichiarato dal
Ministro
Frattini durante l'audizione del 15 aprile
2003 al Parlamento della Repubblica, e dell'intervento,
alle Commissioni Esteri e Difesa del
Senato
e
della
Camera
riunite
in
seduta
congiunta,
del
Ministro
della
Difesa,
On. Martino, il 14 maggio 2003, veniva
messo a punto un piano operativo di emergenza, da una Task
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di
fe
.o
23)
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.o
rg
Force
interministeriale
appositamente
costituita
e
coordinata dal Ministero Affari Esteri, con l'apporto della
Difesa e di altri Ministeri.
Il
16
ottobre
2003,
il
Consiglio
di
Sicurezza
approvava all'unanimità la risoluzione
(1511 sull'Iraq del 16 ottobre 2003) che gettava le
basi
per
una
partecipazione internazionale e delle
Nazioni Unite alla ricostruzione politica ed economica
dell'Iraq e al mantenimento della sicurezza.
Tale risoluzione, adottata ai sensi del capitolo VII
dello Statuto delle Nazioni Unite, si concentrava su tre
aree
principali:
la
leadership
irachena
e
il
passaggio
dei
poteri dall'Autorità Provvisoria della
Coalizione
al
popolo
iracheno;
il
mantenimento
di
condizioni di sicurezza a opera di una forza multinazionale
sotto comando unificato; la partecipazione internazionale
e delle Nazioni Unite al finanziamento dei progetti
di ricostruzione e di
ripresa.
Essa contemplava tra l'altro che "il conseguimento della
sicurezza e della stabilità è fondamentale per riuscire a
portare a termine con successo il processo politico" e per
far si che le Nazioni Unite lavorassero nel Paese,
la
risoluzione
autorizzava
una
"forza multinazionale
sotto
comando
unificato
a
prendere
tutti
i
provvedimenti
necessari
per contribuire al mantenimento
della sicurezza e della stabilità in Iraq".
La
risoluzione
disponeva,
altresì,
che
l'Autorità
Provvisoria
della
Coalizione "restituisca,
prima
possibile,
le
responsabilità
e
l'autorità
di
Governo alla popolazione
dell'Iraq" e chiedeva all'Autorità, al Consiglio di Governo
iracheno e al Segretario Generale
delle Nazioni Unite di tenere informato il Consiglio di
Sicurezza sui progressi compiuti.
Il 01 marzo 2004 il Consiglio di Governo iracheno
approvava la Legge Amministrativa Transitoria,
che
stabiliva
alcuni
principi
fondamentali
che
dovevano
guidare il processo
costituzionale in Iraq. Il documento fu firmato il giorno 8
marzo successivo.
Il 01 giugno 2004 si insediava a Baghdad il nuovo
Governo Interinale iracheno.
L'8
giugno
2004
il
Consiglio
di
Sicurezza
dell'ONU approvava all'unanimità la Risoluzione 1546 con
la quale restituiva, a partire dalla fine di giugno 2004,
la sovranità nazionale
al
popolo
iracheno,
e
su
richiesta
del
Governo
provvisorio,
rinnovava o
l'autorizzazione alla presenza di una Forza Multinazionale.
Il 28 giugno 2004 aveva luogo a Baghdad il passaggio di
poteri tra la Coalizione ed il nuovo Governo Interinale
iracheno.
ww
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rg
Il
23
novembre
2004
si
svolgeva
a
Sharm
El
Sheik
(Egitto)
la
Conferenza
Internazionale sull'Iraq. Il
30
gennaio
2005
si
svolgono
le
elezioni
per
l'Assemblea
Nazionale
Transitoria irachena. Il 16 marzo 2005 si riuniva per la
prima volta l'Assemblea Nazionale Transitoria irachena. Il
15 dicembre 2005 si svolgevano le elezioni parlamentari.
Allo scopo di dare seguito alle decisioni delle
Autorità di Governo nazionale e nelle
more delle
decretazioni
del
Sig.
Ministro
della
Difesa relative al processo di disimpegno
del Contingente nazionale dalla provincia di Dhi Qar, fu
disposto il redeployment graduale della IT JTF entro la
fine dell'autunno 2006 e, contestualmente, fu avviato il
processo di transizione
che
portò
al
trasferimento
della
responsabilità
della
provincia
alle
Autorità
locali.
In
tale
quadro,
il
trasferimento
alle
autorità
irachene
della
responsabilità
della sicurezza
della
provincia
ha
avuto
inizio
con
l'Annuncement
Day
avvenuto il 31 agosto
2006 e, dopo un periodo di transizione, realizzato il 21
settembre 2006. Successivamente l'impegno operativo della
IT JTF proseguìo fino al 31 ottobre 2006 con una
fase di
Operational OverWatch finalizzata a supportare il governo
provinciale in caso di necessità soprattutto nelle fasi
iniziali di gestione.
Il 6 novembre 2006 il Comandante della IT JTF consegnava
la base italiana di "Camp Mittica" all'esercito iracheno.
In attesa del definitivo rientro in Patria il personale del
Contingente si trasferì presso un altro campo italiano,
denominato "Little Italy", dislocato nell'ambito della base
aerea di Tallil, sempre nell'area di Nassiriyah.
Le complesse attività logistiche, iniziate il 23
settembre 2006, che consentirono il
rientro in Patria di personale, mezzi e materiali
continuarono fino al 30 novembre 2006.
Il 1° dicembre 2006, alla presenza del Ministro
della Difesa e del Capo di Stato
Maggiore
della
Difesa,
si
svolgeva
la
Cerimonia
dell'ammaina bandiera che concludeva
l'impegno italiano ad An Nassiriyah.
24)
Iraq - Kuwait UNIKOM
Il
2
agosto
1990,
l'Iraq
invase
ed
occupò
militarmente il Kuwait. Lo stesso giorno, il
Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite adottò la
risoluzione n. 660, condannando
l'invasione
e
chiedendo
all'Iraq
l'immediato
ed
incondizionato ritiro delle sue forze. Successivamente,
il
Consiglio
di
Sicurezza
adottò
altre
risoluzioni
25)
ww
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.o
rg
per riportare la situazione allo stato iniziale. Infine,
con la risoluzione n. 678/1990, per ristabilire la pace e
la sicurezza nell'area, venne autorizzato l'uso della
forza
se,
entro
il
15
gennaio
1991, l'Iraq non si
fosse
attenuto
a
tutte
le
risoluzioni
relative
all'occupazione del Kuwait. Il 16 gennaio 1991, le forze
armate degli Stati cooperanti con il Governo del Kuwait
iniziarono
il
bombardamento
aereo
dell'Iraq
e,
successivamente, il 24 febbraio 1991, iniziò l'offensiva
terrestre denominata "Desert Storm". Il 28 febbraio
1991,
dopo
la
liberazione
di
Kuwait City
e
il
ritiro dal Kuwait delle forze militari irachene, le
operazioni offensive furono sospese. Il 3 aprile 1991, il
Consiglio emanò la risoluzione n. 687 con la quale fu
stabilito il cessate il fuoco e le condizioni per
ristabilire la pace.
La Missione, istituita con la Risoluzione del Consiglio
di Sicurezza delle Nazioni Unite n. 689 del 9 aprile
1991,
a
seguito
al
ritiro
delle
forze
armate
irachene dal territorio del
Kuwait, ha il compito di monitorizzare e controllare
la fascia smilitarizzata (c.d. DMZ)
creata lungo il confine fra l'Iraq ed il Kuwait. Inoltre, è
stato deciso che le caratteristiche di questa missione
sarebbero state rivisitate ogni 6 mesi, ma senza prendere
ogni volta una decisione precisa sul termine della stessa,
che sarebbe stato valutato, di volta in volta, a seconda
delle condizioni di sicurezza della zona. Il 3 luglio 2003,
con la Risoluzione 1490, il
Consiglio
di
Sicurezza
delle Nazioni Unite ha stabilito il termine della
missione al 6 ottobre 2003. L'Italia partecipa alla
Missione
con
1
osservatore
militare.
La
sede
del
Quartier
Generale
di
UNIKOM
è
ad
Umm
Qasr,
nell'Iraq meridionale, al confine con il Kuwait.
Iraq - NTM
La Nato Training Mission Iraq (NTM-I) si è insediata
sul suolo iracheno il 14 agosto 2004
in
seguito
alla
richiesta
del
locale
Governo
interinale
di
provvedere all’addestramento, all'assistenza negli
equipaggiamenti
e
all'assistenza
tecnica
alle
Iraqi
Security Forces, supportando il Paese nello sviluppo
di un settore della sicurezza improntato ai principi
di efficacia, stabilità e democrazia. Il lavoro del
personale NATO,
focalizzato nell'addestramento e nel "mentoring" del
personale di staff, è stato mirato allo sviluppo di una
robusta
e
duratura
leadership
sia
a
livello
strategico
che
operativo.
La NTM-I, inoltre, ha
organizzato l'addestramento di personale locale presso le
strutture della NATO.
La NTM-I è stata supportata e
finanziata da tutte le 28 nazioni componenti la
w.
KOSOVO - UNMIK
Il
10
giugno
1999
il
Consiglio
di
Sicurezza
delle Nazioni Unite adottò la risoluzione
1244 con la quale si autorizzava UNMIK
ad iniziare il
lungo
processo
di
costruzione
della
pace,
della
democrazia, della stabilità e dall'autogoverno nella
travagliata provincia del Kosovo.
Per conseguire tale obiettivo, UNMIK operò quale
amministrazione di transizione per la regione del Kosovo.
La sede della Missione era a Pristina.
UNMIK
fu
una
missione
unica
nel
suo
genere,
poiché gestiva le attività di altre
organizzazioni non-ONU sotto la completa giurisdizione
dell'ONU.
La
missione
era composta sostanzialmente da
quattro componenti (cosiddetti Pillar):
 Pillar I: assistenza umanitaria (sotto la guida di UNHCR,
l'Ufficio dell'Alto Commissario per i rifugiati) che si
è
conclusa
alla
fine
di
giugno
2000,
a
cui
ha
fatto seguito la componente di polizia e giustizia
(sotto la diretta responsabilità delle Nazioni Unite)
istituita nel maggio 2001;
 Pillar II: amministrazione civile (sotto la guida delle
Nazioni Unite);
 Pillar
III:
sviluppo
delle
istituzioni
democratiche
(sotto
la
guida
dell'OSCE,
ww
26)
os
di
fe
.o
rg
NATO.
Il
personale
di
staff
in
teatro
è
stato
fornito
da
14
Paesi:
Albania,
Bulgaria, Danimarca,
Estonia, Gran Bretagna, Italia, Lituania, Olanda, Polonia,
Romania, Stati Uniti, Turchia,
Ungheria
ed
Ucraina
(quest’ultima, membro di “Partnership for Peace”). La
missione ha avuto il proprio Quartier Generale nella
International Zone (IZ) a Baghdad,
presso
la
Union
III
Forward
Operating
Base.
Lo
staff del Quartier Generale ha operato
nelle differenti sedi delle ISF all'interno della IZ per
svolgere i compiti di addestramento e di "mentoring". Altre
aree di attività sono state:
 Camp Dublin, dove i carabinieri italiani hanno addestrato
la Iraqi Federal Police e la Oil Police; Taji, località
situata a circa 30 km di distanza a nord-ovest di Bagdad,
dove personale dell'NTM-I ha fornito supporto permanente
allo staff della scuola di fanteria per sottufficiali. La
NTM-I,
il
cui
contributo
è
stato
pubblicamente
riconosciuto,
ed apprezzato, dalle autorità irachene, è
stata un indiscutibile successo, al quale l’Italia ha
contribuito
in
maniera
fondamentale,
e
che
ha
permesso alle forze di sicurezza dell’Iraq di operare
con autosufficienza e competenza, e di disporre della
necessaria base per la creazione e lo sviluppo di forze di
sicurezza professionali.
l'Organizzazione per la cooperazione e la sicurezza in
Europa);
 Pillar IV: ricostruzione e sviluppo economico (sotto la
guida dell'Unione Europea).
La
missione
così
strutturata
ha
permesso
di
iniziare lo sviluppo delle istituzioni democratiche in
Kosovo e gettare le basi a medio e lungo termine
per la ricostruzione economica e sociale anche durante la
fase di assistenza umanitaria ed emergenza aiuti.
Il 29 gennaio 2009, a seguito del termine dell'attività
operativa della Missione UNMIK, il personale nazionale
impiegato faceva rientro in Patria. La sede della missione
rimaneva comunque
aperta
per
motivi
di
opportunità
politica, legati al riconoscimento ufficiale di
EULEX.
Libia - Unified Protector
L’intervento delle forze armate italiane nell’operazione
Odissey Down prima ed Unified
Protector dopo, trova le fondamenta nelle risoluzioni
1970
e
1973
delle
Nazioni
Unite approvate dopo i
gravi scontri tra le forze di polizia e la popolazione in
Libia.
La rivolta in Libia sorge sulla scia dei tumulti già
accaduti nel mondo arabo e nord – africano: la così detta
“primavera araba”. Gli scontri suscitano l’immediato
dissenso della comunità internazionale al punto che
l’Unione Europea e gli Stati Uniti d’America decidono di
applicare sanzioni al governo libico.
Le Nazioni Unite si esprimono ufficialmente il 26
Febbraio emanando la risoluzione
1970 che impone l’embargo verso la Libia per interrompere
l’importazione delle armi che potrebbero essere utilizzate
per reprimere la rivolta.
Il
progressivo
degradarsi
della
situazione,
il
susseguirsi di scontri e di vittime tra civili e
militari libici spinge le Nazioni Unite ad emanare il 17
Marzo una ulteriore risoluzione: la 1973, in cui viene
disposto
al
Governo
libico
il
cessate
il
fuoco
immediato,
viene proclamata una zona d’interdizione al
volo sopra la Libia e autorizzato l’impiego di tutti i
mezzi necessari per proteggere la popolazione.
Alla prima fase dell’intervento denominata Odissey
Down interviene anche l’Italia
mettendo a disposizione aerei e alcune basi aeree.
Il 28 Marzo, la coalizione dei volenterosi impegnata
nella Operazione Odissey Down viene inquadrata sotto il
Comando NATO e prende la denominazione di Unified
Protector. Il comando della operazione passa al Generale
Canadese Charles Bouchard che dal JFC (Joint Force Command)
di base a Napoli controlla le operazioni navali ed aeree.
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rg
27)
Le
unità
della
SNMG2
(Standing
NATO
Marittime
Group
2)
comandate
dal
Contrammiraglio Gualtiero Mattesi si schierano nelle
acque
antistanti
la
Libia
con
il compito di far
rispettare l’embargo.
Gli
aerei
della
NATO,
comandati
dal
Generale
Ralph J. Jodice decollano dalle basi
messe a disposizione dall’Italia per imporre la No – Fly
Zone .
L’operazione “Unified Protector”, protrattasi per circa
sette mesi, ha avuto termine, in aderenza a quanto sancito
dal Consiglio Atlantico, alle 23.59 del 31 ottobre.
Mare Arabico - ENDURING FREEDOM
A
seguito
degli
attacchi
terroristici
del
11
settembre
2001
una
Coalizione Multinazionale diede
avvio ad una campagna contro il terrorismo internazionale,
che prese il nome di Operazione “Enduring Freedom” (OEF).
L’Operazione, supportata dalle risoluzioni ONU nr.
1368, 1373 e 1386 del 2001, si
prefiggeva
lo
scopo
di
disarticolare
e
distruggere
l’organizzazione
terroristica
AL
QA’IDA,
interdire
l’accesso
e
l’utilizzo,
da
parte
di
gruppi
terroristici,
di
Weapons
of
Mass Destruction
(WMD),
scoraggiare
determinati
Paesi
a
continuare
a
sostenere,
in
modo diretto o indiretto, il terrorismo
internazionale.
L’operazione
militare
era
parte
della
guerra
globale
che
impegnava
la
grande coalizione
nella
lotta
contro
il
terrorismo,
denominata
Global
War
Against
Terrorism
(GWAT).
Circa
lo
sviluppo
dell’operazione era stato reso noto che era previsto ed fu
più volte detto che la campagna afghana dovesse comportare
un impegno lungo. Era previsto che l’operazione si
articolasse in fasi successive:
1. la prima fase, che prevedeva lo schieramento delle forze
navali ed aeree e l’ingresso di forze speciali, e la
seconda,
che
prevedeva
una
campagna
aerea
contro
obiettivi talebani
e
di
Al
Qaeda,
attività
umanitarie, il supporto all’Alleanza del Nord e la
capitolazione
del
regime
dei
Talebani,
sono
state
completate;
2. al rientro del Contingente nazionale era in atto la terza
fase, che prevedeva l’impiego di unità di terra, la
definitiva pacificazione e stabilizzazione del Paese, la
definizione, d’intesa
con
gli
altri
Paesi
della
coalizione, degli strumenti necessari a prevenire il
riemergere
del
terrorismo
e
a
supportare
le
operazioni
umanitarie,
l’addestramento dell’Afghan
National Army. Circa le attività volte a neutralizzare le
sacche di terrorismo ancora presenti, le possibili basi
logistiche ed i centri di reclutamento, la fase, dopo un
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28)
29)
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rg
periodo iniziale di intensi combattimenti, stava evolvendo
in operazioni di interdizione di area per la completa
bonifica
del
territorio.
Queste
operazioni
condotte
mediante pattugliamenti,
posti
di
blocco
ed
eliminazione
delle
residue
presenze
di
Al
Qaida,
sulla base dell’attività di “intelligence”;
3. nel frattempo era già in atto, in alcune aree, una quarta
fase dell’operazione, volta alla stabilizzazione
e
ricostruzione
del
Paese
e
caratterizzata
da
un
più
spiccato orientamento umanitario.
Presso USCENTCOM, era stato attivato il Coalition
Coordination Centre (CCC - Centro di Coordinamento della
Coalizione) con compiti di collegamento e coordinamento tra
i Paesi della Coalizione e l’Alto comando USA.
Qui era
presente un Team interforze nazionale
(Italian
Joint
Cell – ITJC) con a capo un Generale di Brigata
(Italian
Senior Military Representation – IT SNR).
All’operazione contribuivano 70 Paesi dei quali 27, tra cui
l’Italia,
avevano
offerto
“pacchetti
di
forze”
da
impiegare,
per
la
condotta dell’operazione
militare vera e propria.
Il 26.10.2004 l'Ambasciatore USA in Italia, Mel Sembler,
insigniva otto piloti di velivolo
AV8B
Harrier
con
l'onorificenza
statunitense
"Air
Medal".
Il
conferimento
era
stato decretato dal
Presidente Bush "per le efficaci e meritorie attività aeree
svolte da bordo di Nave
Garibaldi
in
appoggio
alla
coalizione
internazionale
nell'operazione
"Enduring
Freedom" in Afghanistan nel periodo gennaio - febbraio
2002".
Dal 28 giugno al 3 dicembre 2006 l’Italia ebbe la
leadership della Task Force 152 che con il Gruppo Navale
italiano fu al Comando del Contrammiraglio Emilio FOLZER.
PaKistan - Operazione Indus
La missione denominata "Operazione Indus" (dal nome del
maggiore fiume pakistano, l'Indo, sulle cui rive si
sviluppò la prima civiltà indiana a partire dal terzo
millennio avanti Cristo) si inseriva nel
quadro degli
aiuti forniti dall'Alleanza Atlantica alle popolazioni del
Pakistan, colpite dal violento sisma che ha interessato il
sud-est asiatico l'8 ottobre 2005, in
uno
sforzo
operativo e logistico che ha visto l'Italia tra i
Paesi
membri
maggiormente impegnati.
La
NATO
ha
immediatamente
mobilitato
in
favore
del
Paese
asiatico diversi assetti della sua Forza di Reazione, tra
cui 2 velivoli da trasporto C130J dell'Aeronautica Militare
Italiana
(già
impiegati
dalla
NATO
in
occasione
dell'emergenza Katrina nel sud degli Stati Uniti) per
contribuire al coordinamento (Euro Atlantic Disaster
Response Coordination Center) ed all'invio dei diversi
rg
aiuti nazionali nella regione colpita dal sisma. Il Joint
Command
NATO
di
Lisbona
coordinava
l'intervento
di
contingenti militari sul terreno per avviare la seconda
fase
di
aiuti
che
prevedeva
il
supporto
alla
ricostruzione delle infrastrutture di base.
L'Italia ha avuto dunque l'onere delle operazioni di
soccorso e ricostruzione nell'area di Bagh, città di
100.000 abitanti, situata circa 100 km a nord-est di
Islamabad, nel Kashmir pakistano, completamente rasa al
suolo dal sisma. Un primo team
di militari giungeva in
Pakistan il 20 novembre, per la ricognizione dei luoghi e
per favorire l'arrivo del resto del contingente. Le unità
operative iniziarono ad affluire, per via aerea, nei giorni
successivi, in concomitanza
con
l'arrivo
presso
il
porto
di
Karachi
dei
loro
mezzi
imbarcati a
Civitavecchia.
Come annunciato dalla NATO il 16 gennaio 2006, la
missione terminava il 1° febbraio
2006.
Sudan PROCESSO DI PACE IN SUDAN
Il Governo del Sudan ed il Movimento di Liberazione
Popolare attivo nel sud del Paese - Sudan People's
Liberation Movement/Army (SPLM/A) - da oltre due decenni in
conflitto tra loro, nel periodo 18-20 luglio 2002 si sono
incontrati a Machakos, in Kenya, sotto gli auspici
dell'Autorità
Intergovernativa
sullo
Sviluppo,
denominata
Intergovernmental Authority
on Development
(IGAD),
organizzazione
regionale
africana
promotrice
di un processo di pace per
il Sudan. Al Meeting
hanno anche partecipato gli Stati Uniti d'America, il
Regno
Unito,
la
Norvegia
e
l'Italia,
ammessi
al
processo di pace come osservatori.
In quella sede, le due Parti hanno concordato di
operare
insieme
per
portare
a soluzione il conflitto
che aveva causato incalcolabili sofferenze alla popolazione
di tutto lo Stato, in particolare nel Sud, e gravi
conseguenze negative sull'economia del Paese.
Convinte, dall'evidenza della situazione sul campo, di
non avere i mezzi per risolvere la questione con le armi,
le due Parti si sono dichiarate disposte a ricercare una
soluzione pacifica che fosse di soddisfazione per entrambe.
A tal fine, le Parti hanno concordato con l'IGAD
di dare il via a continue sessioni
negoziali
che
affrontassero
una
dopo
l'altra
tutte
le maggiori problematiche riferibili alla
natura
giuridica
del
nuovo
Stato,
alle
religioni
islamica (al nord) e cristiana (al sud), al
diritto
all'autodetermnazione
del
popolo
del
Sudan
meridionale, alla ripartizione della ricchezza (Wealth
Sharing) e del potere (Power Sharing) e al rispetto
dei diritti umani,
ww
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30)
31)
Sudan
-
UNMIS
os
di
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rg
spesso calpestati da entrambe le Parti nei lunghi
anni del conflitto. Da allora, i colloqui
hanno
registrato
un
sostanziale
progresso
e
sono
stati raggiunti rilevanti risultati, grazie
soprattutto all'efficace azione negoziatrice dell'IGAD.
Il 15 ottobre 2002 le parti hanno firmato un Memorandum
Of Understanding (MOU) di base con il quale si sono
accordate su un "cessate il fuoco" per assicurare al
negoziato un clima sereno e collaborativo. Successivamente,
il Governo del Sudan ed il SPLM/A hanno siglato il 18
ottobre 2002 un MOU sulle forme del futuro governo ed il 4
febbraio 2003 è stato
sottoscritto
un
comunicato
congiunto
in
cui
si
rafforza
la
volontà
di
rispettare il cessate-il-fuoco, nonché un Addendum al
citato
MOU
di
base
ove
si
istituisce,
quale
strumento operativo per il negoziato, un Verification and
MonitoringTeam (VMT)
- basato sul pre-esistente Civilian
Protection Monitoring Team (CPTM) - autorizzato a visitare
ogni area
nella
quale
si
lamenti
un'avvenuta
violazione
della
cessazione
delle
ostilità commessa
sul
territorio
da
una
delle
due
Parti,
per
effettuare investigazioni sulle responsabilità.
ww
w.
Missione di peace-keeping autorizzata dalla risoluzione
ONU nr. 1590 in SUDAN con l'impiego della Multinational
Standby Force High readness Brigade - Shirbrig per
"dare sostanza all'accordo di pace firmato a Nairobi nel
gennaio 2005 tra il governo sudanese e il "Sudan People's
Liberation Movement/Army". La Shirbrig è una Brigata
multinazionale nata
nel
1997,
con
sede
vicino
Copenaghen, che costituisce lo strumento operativo di
pronto impiego dell'ONU. In 9 gennaio 2005 il Governo
Sudanese e il Movimento Popolare per la Liberazione del
Sudan
(Sudan
People's
Liberation
Movement/Army
SPLM/A) hanno firmato a Nairobi in Kenia un accordo di pace
(Comprehensive Peace Agreement - CPA) che stabilisce le
norme per la divisione del potere tra il Nord ed il Sud del
Sudan, il raggiungimento di una spinta autonomia del
Sud tra 6 anni (2011), la spartizione delle risorse
naturali, la sicurezza del Paese ed il ritiro delle
truppe appartenenti alle parti contrapposte dalle aree
di
occupazione.
Accordo
che
pone
fine
ad
una
guerra, iniziata negli anni 80, che ha provocato la morte
di centinaia di migliaia di persone. A seguito del mancato
rispetto degli accordi previsti dal CPA, il Consiglio di
Sicurezza delle Nazioni Unite ha emanato il 24 marzo
2005 la Risoluzione 1590 che prevede, tra l'altro,
l'impiego
di
una
forza
militare
multinazionale,
su
base Shirbrig, autorizzata ad avviare la missione UNMIS
"United Nation Mission in Sudan".
UNMIS
costituisce
una
classica
missione
multinazionale
ex
Capitolo
VI
della
Carta delle
nazioni
Unite,
basata
sul
consenso
delle
parti
e
finalizzata
ad
aiutare
le
stesse nell'attuazione
dell'accordo di pace (CPA).
Nell'ambito della missione è previsto l'impiego di
10mila uomini (di cui 750 Osservatori e 715 Military
Police), con il Comando della spedizione dislocato nella
capitale Khartoum dove sono stati schierati anche i
militari italiani.
Il 5 luglio, con il rientro in Patria del personale,
terminava la partecipazione italiana alla missione.
Somalia AMISOM (African Mission in Somalia)
Alla caduta del regime dittatoriale di Siad Barre nel
1991, sono seguiti quindici anni di disordini
in
tutta
la Somalia ed i numerosi pretendenti alla guida del
Paese
si
sono combattuti senza però riuscire a
controllare l'intero territorio.
La lotta per il potere contrappose diversi gruppi
tribali, in un crescendo di violenza
accompagnato peraltro da una terribile carestia.
Gli anni di disordini hanno reso la Somalia un Paese
ingovernabile e senza controllo; tale
situazione
di
completo
disordine
portò
la
popolazione
ad
una
povertà
estrema
alla mercé delle milizie dei vari
warlords che imperversarono per anni in gran parte del sud
del Paese (zona fertile ed agricola della Somalia). I
"signori della guerra" peraltro costrinsero al ritiro i
caschi blu dell'ONU nel 1995 ed il fallimento della
missione UNOSOM.
La fine degli anni '90 fu caratterizzata da intensi
scambi diplomatici che portarono agli accordi
fra
ventisei fazioni (1997), alla Conferenza di pace di
Gibuti (2000), ed alla
Conferenza di pace di Mbagathi (2002).
Nel
2004
il
processo
di
pacificazione
in
Somalia
sembrava
avviarsi
ad
una
conclusione;
in
questo
senso
vennero
eletti
dalla
IGAD (Intergovernmental Authority on
Development, l'organizzazione politico-commerciale formata
dai paesi del Corno d'Africa) un parlamento federale e
furono nominati un Presidente "ad interim" (Abdullah Yusuf)
ed un Governo, il Governo Federale di Transizione (Primo
Ministro Mohamed Geddi). Queste deboli
istituzioni
tuttavia non riuscirono a rendere effettivo il loro
potere
e
a
governare davvero il Paese, anche a causa
della presenza dei "warlords" di Mogadiscio, contrari alla
formazione di un governo di transizione.
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rg
32)
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rg
Nell'estate del 2006 giunse una nuova crisi; le milizie
controllate dalle Corti islamiche cacciarono da Mogadiscio,
con l'appoggio della popolazione civile, i "warlords" e
presero il
controllo della parte centro-meridionale del Paese.
Per contrastare la loro avanzata e impedire il
rovesciamento
del
governo
provvisorio
somalo,
internazionalmente
riconosciuto,
l'esercito
etiope
accorse
in
aiuto
dell'esercito governativo somalo,
sostenuto anche da Uganda, Yemen e Kenya, che però si
rifugiò
a Baidoa (a circa 250 chilometri da Mogadiscio)
perdendo, di fatto, il controllo della Capitale. A tale
riguardo, venne condotta, senza risultati, una intensa
attività diplomatica sotto la mediazione di IGAD, Lega
araba e ONU, per cercare di raggiungere un accordo
tra le Corti islamiche ed il governo provvisorio.
Nell'impossibilità
di
trovare
una
soluzione
al
problema della Somalia, il 6 dicembre
2006 il Consiglio di Sicurezza dell'ONU approvò la
Risoluzione 1725, che diede il via libera
formale allo schieramento in Somalia di una forza
internazionale regionale, denominata
IGASOM (sotto gli auspici dell'IGAD), con il compito
di "monitorare e mantenere la
sicurezza a Baidoa". Pochi giorni dopo si acuirono gli
scontri tra le milizie delle Corti islamiche e le truppe
fedeli al governo provvisorio di Baidoa. Alla fine
di
dicembre
2006,
le
truppe
etiopi, intervenute
pesantemente a sostegno del governo, entrarono nella
capitale somala dopo
pochi ma violentissimi giorni di guerra.
A seguito della sconfitta dell'Unione delle Corti
Islamiche (dic.2006-gen. 2007), la
Comunità
Internazionale
iniziò
a
pensare
ad
una
presenza militare in Somalia, sotto il
mandato
delle
Nazioni
Unite,
aperta
anche
alla
partecipazione di altre Nazioni africane
non
necessariamente
legate
all'IGAD;
in
tal
senso,
il 19 gennaio 2007 il Consiglio di
Sicurezza
dell'Unione
Africana
(UA)
si
espresse
favorevolmente circa il dispiegamento di una forza militare
di pace in Somalia per un periodo di iniziale di 6 mesi.
A tale nuova missione, denominata AMISOM (African
Mission to Somalia), la cui fase operativa ha avuto inizio
il
12
febbraio
2007,
partecipano
circa
8.000
u.
appartenenti a 6 Paesi
(Burundi,
Ghana,
Malawi,
Nigeria, Tanzania ed Uganda). Tale missione è stata
successivamente autorizzata dal Consiglio di Sicurezza
dell'ONU con la Risoluzione 1744 del 21 febbraio 2007, per
un periodo iniziale di 6 mesi.
Nei
primi
giorni
di
marzo
2007,
giunsero
a
Mogadiscio
le
truppe
ugandesi
della missione AMISOM,
incaricate di controllare la capitale e contrastare il
ritorno delle milizie islamiche. Era atteso per i mesi
successivi l'arrivo nel Paese del resto dei "caschi verdi"
(con truppe provenienti da Nigeria, Ghana, Malawi e
Burundi) componenti le forze di pacificazione.
Nonostante l'arrivo delle truppe ugandesi, gli scontri
aumentarono di intensità (anche contro gli stessi "caschi
verdi").
La
situazione
a
Mogadiscio
precipitò
nel
caos
come non accadeva da anni, con il
perdurare di violenti scontri tra truppe etiopi, governo di
transizione e nuovamente i signori della guerra da un lato
e milizie islamiche dall'altro. Si registrarono migliaia di
morti e feriti e circa 400.000 sfollati dalla capitale.
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rg
33) Sudan
AMIS II (Unione Europea in supporto della
African Mission in Sudan)
Le origini del conflitto nel Darfur vanno ricercate nel
quadro delle tradizionali tensioni interetniche tra le
tribù africane dei Fur, Zaghawa e Masalit - a carattere
stanziale e agro-pastorale
- e le tribù nomadi di
origine
araba,
in
un
ambito
di
risorse
naturali
profondamente
scarse.
Tali
fattori
storici
e
tradizionali si inseriscono nel contesto conseguente al
processo di pace tra il Nord-arabo ed il Sud-africano del
Sudan dopo circa 40 anni di guerra civile, con un riassetto
e riequilibrio di poteri da
cui il Darfur è rimasto
sostanzialmente
escluso.
In
tale
scenario,
nel
febbraio 2003, 3 gruppi a base etnica africana hanno
costituito 2 diverse formazioni ribelli - il Sudan
Liberation Movement/Army (SLM/A) ed il Justice and Equality
Movement (JEM)
- ricorrendo alle armi per protestare
contro l'esclusione dai negoziati di pace in corso
tra Nord e Sud, le insufficienti risorse destinate
dal Governo centrale al Darfur e la mancata protezione dei
villaggi africani dalle razzie delle tribù nomadi. Il
Governo di Khartoum ha risposto armando e sostenendo
militarmente le milizie Janjaweed (bande di cammellieri
d'origine araba) contro le tribù di etnia africana. La
guerra civile che ne è scaturita ha prodotto la più grave
crisi umanitaria dal
1998,
caratterizzata
da
una
persistente
violazione
dei
diritti
umani
delle
popolazioni civili.
Nel
frattempo,
nel
resto
del
Sudan
si
sono
registrati
importanti
progressi
nel
processo di pace tra il Governo di Khartoum ed il
principale
gruppo
ribelle
del
Sudan meridionale, il
Sudan People's Liberation Army (SPLA). A Nairobi, in Kenia,
il 9 gennaio 2005 è stato infatti firmato uno storico
accordo di pace (Comprehensive Peace Agreement CPA),
che pone le basi per la risoluzione del conflitto
tra il Nord ed il Sud del Paese; conflitto che se si esclude il periodo tra il 1972 e il 1983 -
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rg
si
è
protratto
fin dall'indipendenza del Sudan, nel
1956. Gli accordi di pace, però, non hanno interessato il
Darfur, dove la situazione umanitaria è rimasta drammatica.
Il 24 marzo 2005, il Consiglio di sicurezza dell'ONU ha
adottato una Risoluzione con cui ha istituito la Missione
di pace ONU in Sudan (UNMIS).
Nel Darfur, la firma dell'Accordo Umanitario sul
Cessate il Fuoco (Humanitarian
Ceasefire
Agreement
HCFA)
fra
le
due
parti
in
lotta,
in
data
8
aprile
2004,
ha rappresentato un
momento decisivo nel decorso del conflitto in atto da anni
nella regione. Questo accordo, infatti, ha consentito lo
schieramento, a partire dall'estate del 2004, di un
Contingente dell'Unione Africana (UA), costituito da
unità militari di Nigeria, Ruanda, Kenia, Sudafrica,
Gambia
e
Senegal,
nell'ambito
della
cosiddetta
"Missione dell'Unione Africana in Sudan" (AMIS), che
dispone anche di osservatori, elementi di polizia e
personale
civile.
Dopo
il
suo
avvio,
già
dall'autunno
successivo,
l'Operazione
è
stata
potenziata, assumendo la denominazione ufficiale di AMIS II
e costituendo la DITF (Darfur Integrated Task Force). Essa
si articola su di un Comando della Missione (Mission HQ)
sito a Khartoum, un Comando della Forza (Force HQ) ubicato
a El Fasher, nel Darfur, ed 8 Comandi di settore di livello
battaglione ripartiti sul territorio della regione (El
Fasher, Tine, Kutum, Kabkabiya, Nyala, El Daein, ElGeneina,
Zallinge).
A
tutt'oggi,
AMIS
II
schiera
circa 2.500 uomini, di cui 2.100 militari (450 dei
quali sono Osservatori), 250 agenti di polizia ed il
resto personale civile di supporto. Il mandato della Forza
AU è di controllare il cessate
il
fuoco
e
di
proteggere
gli
Osservatori.
Essa,
infatti,
non
dispone
né dell'autorizzazione, né di assetti in numero
sufficiente per poter proteggere la popolazione civile,
fatti salvi gli interventi in caso di constatazione di una
minaccia imminente per le vite umane.
Il Consiglio per la Pace e la Sicurezza dell'UA, a
conclusione della riunione ad Addis Abeba, ha deciso di
sostenere il trasferimento della Missione UA in SUDAN
(AMIS) sotto l'egida di una missione dell'ONU. L'UA ha
ritenuto, inoltre, di estendere fino al 30 giugno 2007 il
mandato dell'AMIS in DARFUR.
L'Unione Europea (UE) contribuisce ad AMIS II con
finanziamenti
e
personale impiegato in qualità di
osservatore, nell'ambito della Cease Fire Commission
(presieduta da
un
membro
dell'Unione
Africana)
o
degli
staff
di
pianificazione
dell'UA
nel
contesto
della
Darfur
Integrated
Task
Force
(DITF).
In
particolare,
l'Unione
Europea
contribuisce con un
rappresentante nella Cease Fire Commission, in qualità di
Vice-Chairman, oltre ad Ufficiali osservatori di Danimarca,
rg
Francia, Irlanda, Italia, Olanda, Svezia e Regno Unito,
oltre ad esperti militari e di polizia provenienti
da Austria, Danimarca, Francia, Italia, Olanda, Svezia
e
Regno
Unito.
L'assistenza
tecnica
dell'UE
si
è
concretizzata altresì nel supporto
all'Unione
Africana
nello
sviluppo
del
suo
Centro di
situazione,
nonché nell'addestramento/preparazione del personale di
determinati Paesi contributori.
A seguito di specifica richiesta dell'Unione Africana
alla NATO di supporto logistico alle
operazioni
nel
Darfur,
dal
mese
di
luglio
2005
l'Alleanza Atlantica ha deciso di offrire il
proprio contributo in termini di trasporto aereo per la
rotazione delle forze militari dell'UA impiegate
in
teatro.
La
NATO
ha,
inoltre,
fornito
il
proprio
contributo in termini di addestramento degli Ufficiali
di staff dell'UA nella gestione di un HQ e nella gestione
delle informazioni relative all'operazione.
Sudan UNMIS Operazione Nilo
Missione di peace-keeping autorizzata dalla risoluzione
ONU nr. 1590 in SUDAN con l'impiego della Multinational
Standby Force High readness Brigade - Shirbrig per
"dare
sostanza all'accordo di pace firmato a Nairobi nel gennaio
2005 tra il governo sudanese e il
'udanese
People
Liberation
Army".
La
Shirbrig
è
una
Brigata
multinazionale
nata
nel 1997,
con
sede
vicino
Copenaghen, che costituisce lo strumento operativo di
pronto impiego dell'ONU. In 9 gennaio 2005 il Governo
Sudanese e il Movimento Popolare per la Liberazione
del
Sudan
(Sudan
People's
Liberation
Movement/Army
SPLM/A)
hanno firmato a Nairobi in Kenia un accordo di
pace (Comprehensive Peace Agreement - CPA) che stabilisce
le norme per la divisione del potere tra il Nord
ed
il
Sud
del
Sudan,
il raggiungimento
di
una
spinta
autonomia
del
Sud
tra
6
anni
(2011),
la
spartizione delle risorse naturali, la sicurezza del
Paese ed il ritiro delle truppe appartenenti alle
parti contrapposte dalle aree di occupazione. Accordo
che pone fine ad una guerra, iniziata negli anni 80,
che ha provocato la morte di centinaia di migliaia di
persone.
A seguito del mancato rispetto degli accordi previsti
dal CPA, il Consiglio di Sicurezza delle
Nazioni
Unite
ha
emanato
il
24
marzo
2005
la
Risoluzione
1590
che
prevede,
tra l'altro,
l'impiego
di
una
forza
militare multinazionale, su base Shirbrig, autorizzata
ad avviare la missione UNMIS "United Nation Mission in
Sudan".
UNMIS
costituisce
una
classica
missione
multinazionale ex Capitolo VI della Carta
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34)
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rg
delle nazioni Unite, basata sul consenso delle parti
e
finalizzata
ad
aiutare
le
stesse nell'attuazione
dell'accordo di pace (CPA).
Nell'ambito della missione è previsto l'impiego di
10mila uomini (di cui 750 Osservatori
e 715 Military Police), con il Comando della spedizione
dislocato nella capitale Khartoum dove sono stati schierati
anche i militari italiani.
Allegato D
Operazioni nazionali concluse
1) Operazione Giotto 2009
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rg
L'Operazione
"Giotto
2009"
è
stata
prevista
nell'ambito
del
Decreto
PCM
del 21/9/2007,
dell'Ordinanza PCM n.3629 del 20/11/2007 e successivi
provvedimenti, tra cui il
Decreto
del
PCM
del
23/4/2009 che portò la sede del vertice G8 da La
Maddalena a
L'Aquila.
Le attività svolte per la "Giotto 2009", quale
contributo delle Forze Armate alla realizzazione del
dispositivo
di
sicurezza
del
Summit,
sono
state
coordinate dal Centro Decisionale Interministeriale di
Coppito
(AQ),
tramite
il
Comandante
del
Comando
Operativo di vertice Interforze (COI), Generale C.A.
Giuseppe
Valotto,
in
qualità
di rappresentante della
Difesa.
La condotta dell'operazione è stata assicurata per il
tramite di un comando campale, agli ordini del Generale
D.A.
Tommaso
Ferro
(COMFOR),
schierato
a
L'Aquila
all'interno della caserma "F. Rossi", sede del 9°
Reggimento alpini.
La "Giotto 2009" si è conclusa il giorno 11 luglio 2009,
a conclusione del Summit.