Pagine Moncalvesi n. 10 - gennaio 2001

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Pagine Moncalvesi n. 10 - gennaio 2001
Bollettino della Biblioteca Civica "Franco Montanari" di Moncalvo - Asti
Anno VI - n. 10 gennaio 2001
Supplemento a "Il Platano" Rivista di Cultura astigiana
SOMMARIO
Un augurio
Arturo Marcheggiano - Massimo Carcione Uno scudo blu per la protezione del patrimonio
mondiale
Gino Nebiolo Un esperimento giornalistico del 1948: "La rotonda di Moncalvo"
Alessandro Allemano L'insulto contro don De Novis (Cioccaro, 1775)
Antonella Merletto I giubilei nella storia e nella cultura
Corrado Camandone Vitalismo implicito: lineamenti di una filosofia della vita (prima parte)
Riletture
Moncalvo nel "Dizionario" dell'abate Casalis
Sapore d'altri tempi. Angela Biedermann commenta il sonetto XIX di Cesare Vincobrio
Curiosità
Antichi casi di terremoti in Monferrato
Notizie e recensioni
- Presentazione di "Uno scudo blu"
- Presentato "Ancora un secolo al 2000" di Alessandro Allemano
- La "Medaglia del Grazie" al Sindaco di Moncalvo
- "Con Cesare nel Parco"
- Presentata la donazione di Fernanda Borio
- Mostra di Alberto Berliat
- "Arte e Storia" in visita a Moncalvo
- 14 dicembre: bambini casalesi in Biblioteca
- Presentazione dei libri di Federica Faccaro
- I Lions restaurano l'acquerello di Giuseppe Bagetti –
- Restaurato il manoscritto di Agostino Della Sala Spada
- Concorso archivi della memoria del '900 Recensione del volume
- "Ancora un secolo al 2000. Uomini e cose di cent'anni fa nel mondo, in Italia, nel Monferrato" di
Alessandro Allemano
- Recensione di Maria Teresa Gavazza del volume "Storia al presente - Kosovo 1999" a cura di
Paola Di Cori
- Acquisto di nuovi libri - Doni di libri - Riviste e libri giunti
La Chiesa di San Marco al borgo Rinchiuso (anni '20)
La costruzione di questo edificio sacro risalirebbe al secolo XV. Costituì la cappella propria dell’adiacente
ospedale intitolato a San Marco e vi aveva sede la Confraternita della Misericordia, eretta per offrire aiuto
materiale e spirituale ai viandanti e successivamente agli infermi bisognosi. Nel 1717 tale pio sodalizio
divenne "Congregazione di Carità", e come tale sopravvisse fino all’epoca fascista. Un cappellano
appositamente nominato garantiva (fino agli anni ‘40 del secolo scorso) le funzioni religiose nella chiesetta e
contemporaneamente assisteva i ricoverati dell’adiacente ospedale.
APPELLO AI LETTORI
Per arricchire di documentazione la sezione di storia locale della Biblioteca civica rivolgiamo un appello a
tutti i Lettori che posseggano annate dei seguenti periodici:
La Buona Parola (dal 1934 in poi)
L'Eco del Monferrato
L'Eco moncalvese (dal 1975 in poi)
a contattare la Direzione della Biblioteca.
I giornali saranno trattati con ogni cura e precauzione, fotocopiati e riconsegnati ai
proprietari in brevissimo tempo.
Chi collaborerà riceverà in omaggio una pubblicazione. Si ringraziano quanti hanno già raccolto l'appello.
È vietata la riproduzione di testo e immagini contenuti in questo
Bollettino senza l’autorizzazione scritta della Redazione anche per
quanto riguarda le "pagine Internet" per le quali tuttavia è consentito
il "link" alle pagine stesse.
"Leggere, com’io l’intendo, vuol dire profondamente pensare"
Vittorio Alfieri (1749-1803) "Del principe e delle lettere"
UN AUGURIO
"Pagine Moncavesi" è giunto così al decimo numero. Questa iniziativa, nata in
maniera piuttosto estemporanea in biblioteca nel giugno del 1996, si è via via
consolidata, guadagnando sempre più lettori e consensi. In questi cinque anni i
nomi dei collaboratori sono stati assai prestigiosi: dal compianto Gigi Sarzano a
Corrado Camandone e Angela Biedermann, dal giovane ed entusiasta
musicologo Paolo Cavallo a Gino Nebiolo (e chi non lo conosce?), da Simonetta
Satragni a Maria Teresa Gavazza, per non ricordare che alcuni di coloro che
hanno permesso che questo bollettino così povero nell’aspetto nascesse e
divenisse via via più robusto. I temi trattati in questi dieci numeri sono vasti
quanto basta a soddisfare i gusti dei Lettori appassionati di cultura locale: per
ogni numero, e quindi anche per questo, il primo articolo ha riguardato la
problematica della protezione dei beni culturali. In questi primi giorni del nuovo
anno, alba del nuovo secolo, albori del tanto decantato "nuovo millennio", un
augurio desideriamo formulare a tutti coloro che seguono ed appoggiano le
nostre iniziative: tanta salute e tanta serenità, che permettano di lavorare
sempre meglio per il recupero della memoria storica della nostra gente. In
particolare, un ringraziamento vada all’Amministrazione comunale di Moncalvo
- al Sindaco Aldo Fara in primo luogo - che sin dal suo nascere ha appoggiato
l’idea di diffondere questa rivista.
Alessandro Allemano
Presidente del Consiglio di Biblioteca
Antonio Barbato
Direttore Biblioteca e Archivio Storico
Arturo Marcheggiano – Massimo Carcione
UNO SCUDO BLU PER LA PROTEZIONE DEL PATRIMONIO MONDIALE
Il 24 giugno scorso si è tenuta presso la Biblioteca di Moncalvo la presentazione del volume "Uno
scudo blu per la salvaguardia del patrimonio mondiale", che raccoglie gli atti del III Convegno
internazionale sulla protezione dei Beni culturali nei conflitti armati, tenutosi a Padova il 19 e 20
marzo 1999. Della manifestazione si parla in altra parte di questo bollettino: presentiamo qui
invece l’introduzione al volume, dovuta alla penna del generale Marcheggiano e di Massimo
Carcione.
L‘importanza del messaggio che scaturisce dai lavori di cui questo volume è testimonianza, è
duplice, dal momento che il Convegno ha avuto la straordinaria e imprevedibile ventura di svolgersi
(essendo stato programmato quasi un anno prima) proprio qualche giorno prima della definitiva
approvazione del secondo Protocollo aggiuntivo alla Convenzione per la protezione dei beni
culturali in caso di conflitto armato (L’Aja, 14 maggio 1954), avvenuta il 26 marzo. Questa
coincidenza ha privato il Convegno di alcuni dei più rappresentativi relatori e membri della Società,
primo tra tutti il professor Francesco Francioni, studioso autorevolissimo e relatore al Convegno di
Civitavecchia, che è stato impegnato "in prima fila" nello storico evento; d’altro canto la
circostanza consente alla SIPBC di celebrare nel modo più degno, con il dibattito e con questo
volume, la felice conclusione del controverso processo di revisione critica e di aggiornamento,
durato quasi due decenni, al quale la Lega delle Società per la protezione dei Beni Culturali e molte
delle Istituzioni e degli studiosi partecipanti al Convegno hanno avuto modo di dare un apporto non
trascurabile.
A questo proposito va sottolineato il complessivo apprezzamento del Convegno per le soluzioni
adottate nella stesura definitiva del secondo Protocollo; tutte le precedenti critiche e le richieste di
integrazione o modifica sollevate in passato hanno trovato sostanziale riscontro, ed in particolare va
salutato positivamente il nuovo ruolo del Comitato e del suo Bureau, specie se i nuovi organismi di
controllo, rimasti incardinati nella struttura governativa dell’UNESCO, troveranno sostegno e
riscontro in una nuova Organizzazione non governativa omologa al C.I.C.R..
Proprio dalla scelta della formalizzazione quale "Protocollo", che è stata a lungo al centro del
dibattito degli esperti governativi, è però derivato nella sostanza un vero e proprio stravolgimento
del valore e del significato della Convenzione dell’Aja, cui si viene ad affiancare una vera e propria
"miniconvenzione" che non si limita a specificare ed integrare i meccanismi di salvaguardia e
protezione già esistenti, ma crea ex novo alcuni strumenti e procedure (evidentemente ispirati a
quelli del 1972) che non sostituiscono, ma si aggiungono, a quelli - peraltro quasi del tutto
inapplicati e disattesi - della Convenzione del 1954.
Le conseguenze di questa difficile e coraggiosa scelta potranno essere pienamente valutate solo una
volta entrato in vigore il Protocollo e dopo un certo periodo di applicazione, ma non è difficile
prevedere sin d’ora problemi di coordinamento.
A un primo sommario esame del testo originale (la traduzione in italiano non è ancora ufficialmente
disponibile) meritano di essere segnalati alcuni aspetti di particolare interesse e rilevanza:
a) Innanzi tutto sono state definite in modo puntuale (ed esauriente) le modalità "tipiche" di
salvaguardia del Patrimonio in tempo di pace, cioè la realizzazione di inventari, la pianificazione
d’emergenza contro crolli o incendi, lo studio delle modalità di sgombero e di protezione in situ ed
infine cosa questa quasi surreale nel caso italiano - l’esatta definizione dell’autorità competente e
responsabile di queste fondamentali attività di prevenzione; la norma recepisce quindi, nella
sostanza, il programma del Comitato Internazionale dello Scudo Blu (ICBS). Non stupisce, ma deve
far meditare, il fatto che la cosa è passata quasi del tutto sotto silenzio, almeno finora, a riprova del
fatto che l’attenzione dei tecnici e della rara dottrina è concentrata essenzialmente sui meccanismi
di protezione e sulle loro inevitabili violazioni o deroghe.
b) È altrettanto significativo - ed innovativo - il fatto che venga richiesto alle Parti in conflitto
l’esplicito impegno ad attuare due fondamentali "precauzioni", come lo sgombero dei beni culturali
mobili a rischio e l’allontanamento degli obiettivi legittimi dalle zone monumentali.
c) I numerosi rilievi della dottrina circa la macchinosità ed inefficacia del sistema di protezione
speciale - specie se raffrontato all’assoluta evanescenza della protezione ordinaria -hanno sortito un
effetto assai diverso da quelli inizialmente prospettati o comunque auspicabili. Mentre infatti si è
sempre pensato ad una modifica in senso ampliativo e semplificativo dell’attuale procedura di
concessione della protezione speciale (special protection), il II Protocollo introduce la nuova
categoria dei beni sotto protezione rafforzata (enhanced protection), dandole un valore che risulta
sostanzialmente intermedio tra i due precedenti livelli di protezione. Il potere di procedere
all’iscrizione di un sito nella "Lista dei beni sotto protezione rafforzata" (che viene ad aggiungersi, e
in parte a sovrapporsi, al semi-vuoto "Registro") e la conseguente attribuzione del nuovo status, è
demandato ad un Comitato Intergovernativo di 12 membri, che rappresenta in modoampio e
collegiale gli Stati firmatari. È poi significativo il fatto che la proposta di iscrizione alla Lista possa
essere sollecitata anche dal Comitato Internazionale dello Scudo Blu (o da altre o.n.g.) e che
l’opposizione degli altri Stati non è più preliminarmente preclusiva rispetto all’iscrizione, che può
comunque avvenire per decisione di una maggioranza rafforzata del Comitato stesso, con modalità
assai semplici e termini decisamente abbreviati. Questo dovrebbe consentire un numero di iscrizioni
ben più ampio di quello che si è potuto conseguire fino ad oggi nel Registro, dal momento che il
riferimento dovrebbe essere quello dei beni oggi inseriti nella Lista del Patrimonio Mondiale di cui
alla Convenzione di Parigi del 1972. Tanto più che è venuto a mancare il pesante vincolo del
"numero limitato" di iscrizioni nel Registro e che il Protocollo prevede ora una procedura d’urgenza
adottabile al momento dello scoppio delle ostilità, con l’adozione di termini ("immediatamente",
"nel più breve tempo possibile") che non fanno certo rimpiangere la pachidermica architettura degli
articoli 12 e seguenti del Regolamento di esecuzione del 1954.
d) L’annosa questione della necessità militare, che era stata al centro, come già alla Conferenza
dell’Aja del 1954, di accanite discussioni tra i fautori delle due opposte tendenze giuridiche
(eliminazione dei limiti alla necessità militare, contrapposta all’eliminazione della stessa
derogabilità) si è risolta sostanzialmente in un nulla di fatto; va visto positivamente lo sforzo di
definire con una serie di elementi più "oggettivi" i casi concreti di applicabilità della deroga, tra cui
in particolare la proporzionalità tra danno e vantaggio e la previa verifica che non sia possibile una
valida soluzione alternativa, ma anche l’affermazione esplicita della priorità da attribuirsi alla
salvezza di vite umane. Non è stata più ripresa, fortunatamente, l’ambiguo riferimento ad una
necessità militare cosiddetta "ineluttabile" (che doveva essere in qualche modo commisurata e
distinta dalla necessità militare "imperativa"), parametro evidentemente non oggettivo e quindi di
valutazione arbitraria.
e) Nel caso di attacchi militari che coinvolgano beni culturali sotto protezione rafforzata, occorre
che l’ordine - sempre in presenza di condizioni che lo consentano, come ad es. per una necessità
militare imperativa - sia dato dal più elevato livello operativo di comando, mentre per ordinare un
attacco che può coinvolgere beni culturali sotto protezione semplice occorre l’intervento di un
comandante di battaglione, salvo che particolari circostanze lo impediscano; anche questa norma
appare di difficile coordinamento con quella analoga relativa ai beni sotto protezione speciale.
f) Oltre a ridefinire la responsabilità individuale in caso di violazioni commesse al di fuori delle
possibilità di deroga per necessità militare (al cui riguardo va rilevato che essa si potrà configurare
come responsabilità di livello nazionale, soggetta alla legislazione e giurisdizione degli Stati,
oppure come responsabilità internazionale ai sensi dello Statuto della Corte penale Internazionale) il
Protocollo enuncia formalmente anche la responsabilità degli Stati, configurabile sotto forma di
obbligo di restituzione e/o riparazione; a fronte di ciò sono rafforzati i doveri di cooperazione e
assistenza internazionale, con particolare riferimento all’estradizione: un segno del nuovo clima
instauratosi nella Cominità internazionale dopo la Convenzione di Roma del 1998.
g) Va poi ricordato che il Protocollo è applicabile anche ai casi di conflitto armato a carattere non
internazionale, intesi in senso stretto; sono infatti espressamente esclusi (art. 22) i casi di tensioni
interne o gli atti di violenza sporadica. A questo proposito merita di essere sottolineata la
preoccupazione degli estensori del Protocollo - che trapela in varie disposizioni - di evitare in ogni
modo usi strumentali della questione della protezione del Patrimonio, ad esempio da parte di
governi insorti, oppure quale giustificazione per ingerenze o interventi esterni. Quest’ultima
affermazione di principio, determinata dalla concomitanza dei fatti del Kossovo, si pone in netto
contrasto con l’opinione dominante per cui, in nome del principio di solidarietà internazionale,
l’inserimento del bene in una Lista giustifica comunque l’intervento internazionale di protezione.
h) Ancora un’annotazione va fatta con riguardo alla notevole somiglianza tra il Meeting delle Parti
(art. 23) e la Conferenza Internazionale della Croce Rossa, che insieme alla crescente
considerazione - non senza una certa riluttanza - per il ruolo dell’ICBS (art. 27, comma 3) fanno
ricordare agli storici del settore i passati richiami alla "Croce Rossa dei beni culturali".
i) Di evidente ispirazione dal sistema di Parigi (Convenzione UNESCO del 1972) è infine la
previsione di un nuovo Fondo (art. 29) che si spera non risulti un doppione inutile - se non
addirittura dannoso - del Fondo per il Patrimonio mondiale in pericolo, le cui finalità già
ricomprendevano peraltro i danni determinati da conflitti armati.
L’unica lacuna del nuovo testo, almeno per quanto è emerso nel corso del dibattito, risulta quindi
essere l’assenza di modifiche alle disposizioni relative all’uso del segno, quello Scudo Blu che
ancor oggi costituisce per l’opinione pubblica ma anche per la gran parte degli addetti ai lavori,
almeno in Italia - un oggetto misterioso e semi-sconosciuto.
Il soffitto dipinto dal Tiepolo agli Scalzi di Venezia distrutto da una bomba nel 1916
Al di là della partecipazione diretta al convegno da parte dei diversi studiosi, ricercatori o operatori
del settore, e dell’interesse delle diverse relazioni, la Società è convinta di fornire un contributo
importante in termini di diffusione e di maggiore consapevolezza da parte dell’opinione pubblica
proprio divulgando e sottolineando, attraverso queste pagine, le grandi novità emerse nel corso di
questi ultimi mesi: non a caso si è ritenuto utile e doveroso allegare in appendice il testo del nuovo
Protocollo dell’Aja del 23 marzo 1999, seppure ancora in lingua originale.
Volendo enucleare quindi i temi più significativi scaturiti dalle tre giornate di Padova si possono
formulare le seguenti valutazioni:
1. La sessione seminariale, dopo il primo esperimento tenuto nel 1998 presso la Scuola di Guerra
di Civitavecchia, ha assunto agli occhi dei docenti e degli ospiti - grazie all’accoglienza del
Comando Regione Militare Nord e alla presenza di numerosi e qualificati ufficiali frequentanti la gratificante sembianza di un momento di formazione quasi curriculare rivolta agli stessi
militari, senza tuttavia perdere la piacevole connotazione di incontro-dibattito in un ambiente
attento, partecipe e soprattutto consapevole dell’attualità ed importanza del tema. La proiezione
delle immagini raccolte dallo stesso Stato Maggiore dell’Esercito in Bosnia ed in Albania hanno
ricordato a tutti quanto attuale sia l’esigenza di tutelare il Patrimonio non solo nei veri e propri
conflitti, ma anche nell’ambito delle c.d. operazioni di peace keeping o di peace enforcement.
Proprio i due esperimenti portati a compimento grazie all’impegno personale di alcuni ufficiali
soci della SIPBC, nell’ambito delle recenti operazioni dei contingenti italiani, potrebbero
consentire in un prossimo futuro alle Forze Armate di istituire e mettere sul terreno - in via
continuativa - un nucleo qualificato di personale militare per la salvaguardia e la protezione dei
beni culturali in guerra, da affiancare al già ricordato e validissimo Nucleo specializzato dei
Carabinieri.
2. Il Convegno è stato caratterizzato da un più accentuato profilo internazionale: oltre al Presidente
della Lega e ai rappresentanti di tutte le Società nazionali per la protezione dei Beni Culturali
(hanno partecipato ai lavori la Svizzera, la Germania, l’Austria e la Spagna, oltre ad una
qualificata presenza del Portogallo, la cui Società sta per nascere) era presente in modo formale
la Pontificia Commissione per i Beni culturali della Chiesa; inoltre ha partecipato ai lavori, per
la prima volta, un’autorevole rappresentante dell’ICOM, la quale ricopre anche l’incarico di
Conservatore Generale del Patrimonio nell’ambito del Ministero della Cultura francese. I
contributi dei partecipanti stranieri, lungi dal limitarsi a dei semplici saluti di circostanza, hanno
invece fornito un apporto qualitativo di assoluto interesse e rilievo, con particolare attenzione
per la conclusione del processo di aggiornamento della Convenzione dell’Aja e per le
problematiche di salvaguardia e protezione del Patrimonio nell’attuale conflitto balcanico.
3. Proprio la presenza della rappresentante dell’ICOM, cioè di una delle più importanti ed
autorevoli organizzazioni non governative del settore, ha costituito anche l’occasione di una
prima presa di contatto tra il mondo delle Società per la protezione dei Beni culturali e la
struttura internazionale, di recente istituzione, denominata Comitato Internazionale dello Scudo
Blu (ICBS). Il fatto che madame Bergeon abbia potuto conoscere e apprezzare, nell’arco di una
sola giornata, quali e quante attività le Società operanti all’interno della Lega già svolgono per
la promozione dello Scudo Blu (meglio noto al momento come Blue Shield o Bouclier Bleu),
può porre le basi per un prossimo contatto ufficiale tra l’ICBS e la Lega delle Società, e quindi
di una ulteriore istituzionalizzazione dell’attività della Lega stessa nell’ambito del sistema delle
Organizzazioni internazionali non governative, in funzione dialettica nei confronti
dell’UNESCO. Il fatto che Maurizio Quagliuolo, referente a livello nazionale dello Scudo Blu e
incaricato dal direttivo dell’ICOM Italia di avviare la creazione di un "tavolo" di collaborazione
tra tutte le O.N.G. italiane già attive nel settore della protezione dei beni culturali, sia anche un
componente del Direttivo della SIPBC costituisce di per sé una garanzia e un impegno
dell’apporto della Società a questo nuovo processo di coordinamento inter-istituzionale; la
Croce Rossa Italiana, anch’essa attiva da anni nel campo della diffusione delle norme dell’Aja e
partner di assoluto rilievo della Società, ha già proposto all’ICOM e alla Società stessa di
ospitare uno specifico incontro-seminario annuale su queste tematiche.
4. La consegna del riconoscimento al generale Conforti ha dato lo spunto per un’ampia riflessione
sul grave problema della tutela del patrimonio storico, artistico e archeologico da furti e
saccheggi; le relazioni dello stesso Comandante del Nucleo TPA e del professor Ballarino (ma
anche il filmato sui saccheggi di beni culturali in Albania) hanno fornito ai convegnisti un
approfondito quadro del problema, che potrebbe prefigurare per la SIPBC un nuovo e
impegnativo filone di attività, per il quale non è ancora sufficiente l’attività di sensibilizzazione
e informazione, specialmente nei confronti dei privati possessori e dei commercianti o
acquirenti di opere d’arte.
5. La relazione del professor Paolo Ungari, Presidente della Commissione per i Diritti Umani
presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri - la cui tragica scomparsa, nel successivo mese
di settembre, ha privato la cultura giuridica internazionale di un protagonista di primo piano e la
SIPBC di uno dei suoi Soci più autorevoli, attenti e sensibili - ha consentito di evidenziare un
aspetto della protezione del Patrimonio Culturale di particolare interesse ed attualità, essendosi
celebrato nei mesi scorsi il cinquantenario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo.
Il tema delle connessioni tra la normativa internazionale di protezione del Patrimonio Culturale
dell’Umanità (non solo la Convenzione dell’Aja del 1954, ma anche la Convenzione UNESCO
di Parigi del 1972) e la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, che sancisce il diritto a
fruire delle arti, merita di essere in prossime occasioni ulteriormente sviluppato, nell’ottica di
far meglio comprendere a tutti gli interessati l’importanza fondamentale del tema nel più
generale contesto del Diritto Umanitario.
6. Al termine dei lavori è stato inserito un breve riferimento a due tematiche relative alla
protezione dei beni culturali in senso più ampio. Dapprima si è affrontato il drammatico
problema dei monumenti e delle opere d’arte danneggiate dal sisma in Umbria e Marche; poiché
il recupero e il restauro dopo i disastri sono da sempre oggetto di grande impegno ed attenzione
da parte delle Istituzioni statali, si è voluto invece sottolineare che l’esperienza del 1997 (vissuta
attraverso la testimonianza di un esperto del C.N.R.) ha confermato che è sempre preferibile - e
alla lunga meno costoso e traumatico operare per evitare le conseguenze lesive dei terremoti o
per impedire il determinarsi di alluvioni, incendi o altre catastrofi: un’ulteriore conferma
dell’impegno della SIPBC verso la prevenzione, intesa come parte essenziale delle misure di
salvaguardia previste dalle Convenzioni internazionali del 1954 e del 1972. Facendo tesoro
della positiva esperienza dei NOPSA, è inoltre necessario organizzare e formare nuclei di
personale in grado di realizzare in modo rapido e coordinato le attività di rilievo e censimento
dei danni, ma anche di sgombero e ricovero del patrimonio nelle zone colpite da calamità: un
settore questo nel quale la SIPBC si è già attivata, impegnando i suoi esperti per alcune
iniziative-pilota di formazione del volontariato addetto alla protezione civile dei beni culturali
(PBC). Infine, la relazione dell’Assessore alla Cultura di Padova ha evidenziato una serie di
interessanti connessioni tra gli interventi di tutela, restauro, valorizzazione e promozione
turistica del Patrimonio culturale italiano e gli indispensabili interventi di manutenzione,
prevenzione e salvaguardia dello stesso, sia con riferimento ai normali rischi ambientali oppure
di invecchiamento naturale che nell’eventualità - remota e deprecabile quanto di vuole - di un
futuro conflitto armato sul territorio nazionale italiano.
In ultimo, malgrado una serie di sfortunate coincidenze non abbia consentito un’ampia
partecipazione di soci ai lavori del Convegno, la riunione conclusiva - tenutasi ad Abano Terme
nella mattinata di domenica - ha consentito di verificare lo stato di "maturità" della Società Italiana
per la protezione dei Beni Culturali sotto il profilo associativo ed organizzativo.
Il fatto di aver portato felicemente a termine il terzo Convegno Internazionale, di aver avviato un
primo contatto con il Comitato Internazionale dello Scudo Blu e di avere iniziato un serio dibattito
interno circa la necessità di articolare maggiormente a livello territoriale le strutture associative ha
segnato, dopo i primi tre anni di vita della Società, l’avvio di una seconda fase, più matura, di
sviluppo e consolidamento della struttura.
Ora è necessario proporre ai naturali interlocutori istituzionali, vale a dire la Commissione
Nazionale Italiana per l’UNESCO, il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e il Ministero della
Difesa (questi ultimi presenti fin dal 1997 tra i promotori dei Convegni Internazionali della SIPBC),
ma anche le Università, la Protezione Civile e gli Assessorati alla Cultura di Regioni, Province e
Città d’arte, non solo le iniziative promozionali o divulgative, ma anche veri e propri servizi di
formazione, collaborazione e consulenza nello specifico ambito della protezione del Patrimonio da
eventi catastrofici.
A tal fine, quindi, la Società ha già individuato e intende attivare alcuni servizi del più alto livello
che i suoi numerosi e qualificati esperti sono - già sin d’ora - in grado mettere a disposizione del
Governo, come ad esempio:
•
la collaborazione alla predisposizione della Relazione periodica sullo stato di applicazione
della Convenzione dell’Aja, incombenza nella quale l’Italia non ha sicuramente brillato negli anni
più recenti;
•
la proposta di personalità in grado di assumere il ruolo di Commissario Generale ai Beni
Culturali, da inserire nell’apposita Lista internazionale tenuta presso l’UNESCO (art. 1 del
Regolamento);
•
la proposta di Beni da iscrivere nel Registro dei beni sotto protezione speciale (artt. 13 e
seguenti del Regolamento) e il successivo controllo ed eventuale segnalamento;
•
la proposta e la progettazione di iniziative di salvaguardia, in caso di conflitto armato o di
altra calamità, dei più importanti beni culturali nazionali, in primis quelli già iscritti alla Lista del
Patrimonio mondiale dell’UNESCO, con particolare riferimento al censimento, all’inserimento
nella cartografia militare, all’eventuale segnalamento con lo Scudo Blu, oltre alla sensibilizzazione e
informazione dell’opinione pubblica, che la SIPBC provvede ad attuare fin dalla sua fondazione.
•
una più stretta e continuativa collaborazione con le Università (con particolare attenzione
per le facoltà Giuridiche, per quelle di conservazione dei Beni Culturali e per le facoltà di
Architettura) finalizzata all’incremento quali-quantitativo della ricerca in materia e, soprattutto, alla
formazione di specialisti (militari e civili) e di personale delle associazioni di volontariato culturale
e della protezione civile.
L’attivazione di questi qualificati (e qualificanti) servizi risulta indispensabile all’Italia perché essi
costituiscono un doveroso adempimento delle diverse Convenzioni a suo tempo sottoscritte, ma
anche perché a tutt’oggi nessuno - né all’interno dell’amministrazione pubblica né tra le diverse
Organizzazioni, intergovernative o non governative - ha dimostrato la capacità o la volontà di
farsene carico: per questo la SIPBC, assumendosene l’onore e l’onere, adempirà pienamente alle
proprie finalità statutarie senza rischiare di confondersi con le migliaia di Associazioni - non tutte
ugualmente benemerite - che affollano il variegato e un po’ caotico mondo della cultura.
Gino Nebiolo
UN ESPERIMENTO GIORNALISTICO DEL 1948:
“LA ROTONDA DI MONCALVO”
Siamo onorati di ospitare l’articolo di un illustre moncalvese, giornalista e personaggio di grande
popolarità, che discorre con un po’ di nostalgia di una esperienza giovanile degli anni del
dopoguerra, a Moncalvo.
Gino Nebiolo è nato a Moncalvo (dicembre 1924) in via dell’Asilo e ancora ricorda con
tenerezza il profumo del minestrone che le suore, a due passi da casa, preparavano per il pranzo
dei bambini.
Ha frequentato le elementari con la meravigliosa maestra Lazzarini.
Ad Asti ha compiuto gli studi secondari e a Torino l’Università, mentre imparava a fare il
cronista presso un piccolo giornale della sera.
Fu poi assunto dalla "Stampa": cronista, appunto, poi redattore di politica estera e inviato
speciale per una dozzina di anni.
Dopo un periodo alla "Gazzetta del Popolo" venne chiamato alla Rai di Roma: qui si svolse
tutto il resto della sua lunga carriera di redattore ai servizi culturali, inviato per i servizi speciali
del Telegiornale, caporedattore della sede di Torino, Pechino, Il Cairo, Beirut, Parigi dove ha
chiuso l’attività quotidiana ma non quella professionale.
Egli infatti continua a scrivere per giornali italiani e francesi, e libri. Finora ne ha editi una
dozzina, alcuni tradotti in varie lingue e uno, la storia romanzata di Evita Peròn, bestseller in
Francia e giunto alla quinta edizione in Italia.
Abita tra Roma e Parigi.
Mi ritrovo tra le mani i primi numeri di
un foglio che ha compiuto 52 anni. Per
forza mi devo commuovere e non
soltanto
perchè
contengono
una
immagine di ciò che io ero, di ciò che
una generazione di moncalvesi era, ma
perchè finiscono per realizzare una sorta
di ritratto del mio paese come si
presentava, appunto, più di mezzo secolo
fa. Il foglio si chiama (si chiamava) "La
Rotonda di Moncalvo" e intendeva
proporsi come "quindicinale di attività
monferrina". La torre del castello ha
sempre costituito per la nostra città un
forte significato simbolico: il luogo da
cui si spalancano orizzonti imprendibili, il punto più alto di Moncalvo, la sintesi di una storia antica
e nuova, la storia dei nostri vecchi e un poco la vostra, se volete, voi delle ultime generazioni.
L’idea era nata da un gruppo di giovani destinati a prendere strade diverse e ad avere diversa
fortuna. Ci univa allora una voglia di fare qualche cosa di utile, per Moncalvo e per noi. Io
incominciavo già a muovere i primi passi da giornalista, a Torino, ma sentivo ancora tenaci le radici
monferrine. Sicchè proposi di redigere un giornale che oltre a soddisfare le nostre ambizioni
fornisse alla gente un "servizio": le notizie dell’attualità locale, estesa anche ai Comuni dei dintorni,
gli annunci ufficiali, le vicende sociali, i consigli pratici agli agricoltori, le proposte, gli scambi di
opinione, i dibattiti, le inevitabili polemiche su questioni pubbliche. Questo, accanto a certi sfoghi
dell’età, le prese in giro un po’ paesane, i ritrattini umoristici dei personaggi che formavano il
tessuto cittadino, i buoni e i cattivi umori dei collaboratori. Non avevamo soldi e non ne
accettammo da nessuno. Volevamo presentarci senza etichette e senza condizionamenti. C’era in
noi la pretesa di sentirci liberi da ogni vincolo, soprattutto politico. Bisogna dire che la partenza fu
abbastanza buona. La "Rotonda" era una novità e i moncalvesi l’accolsero con interesse.
Osservavano il sasso che con quegli articoletti veniva lanciato nello stagno delle abitudini passive,
dell’inerzia, della povertà di iniziative. Presero il giornale per ciò che intendeva essere: uno stimolo
a guardarsi attorno, a fissarsi degli obiettivi per muovere in avanti. Non dico che quelle quattro
paginette striminzite, alle quali noi redattori attribuivamo con troppo ottimismo un potere
taumaturgico per Moncalvo, riuscissero a imprimere veramente il ritmo desiderato. Ma penso che in
qualche misura abbiano contribuito a migliorare il nostro paese. Certo, a una rilettura mezzo secolo
dopo, quelle righe si rivelano letterarie e forse un tantino presuntuose. Però i temi che andavamo
toccando, a quei tempi erano adatti alla situazione di Moncalvo che uscita malconcia dalla guerra
stava cercando di riguadagnare un assetto economico e una fisionomia, un suo carattere. Erano anni
di crisi. Da capitale del Monferrato, la città rischiava di declassarsi avendo perduto il potere, il
prestigio e anche il modesto benessere che l’avevano portata ad un rango di prim’ordine. Persino la
polemica sollevata dalla proposta del giornale, di distaccare Moncalvo dalla provincia di Asti,
considerata matrigna e colpevole di tutte le nostre difficoltà, vista oggi sembra eccessiva e
velleitaria, ma nel contesto di quel 1948 non era affatto disprezzabile: se non altro rifletteva uno
stato d’animo e una volontà di cambiare.
C’era poi l’esaltazione dello spirito monferrino, caustico e bonario, ricco di immagini e di
paradossi. Certi pezzi di Mario Pavese nella inedita veste di scrittore umorista, lui che covava già lo
slancio del grande disegnatore e dell’arguto narratore per immagini, colpivano nel segno e
riuscivano irresistibili: il quadretto della banda musicale e dei suoi componenti, le istantanee dei
caffè dove si esibivano i comprimari della nostra comunità (per ricordarne alcuni), descrivevano la
natura dell’uomo monferrino e a modo loro la esprimevano. Come tutti i progetti dei vent’anni
anche questo del giornale moncalvese non poteva avere una lungadurata. È vero che il numero dei
lettori era soddisfacente, che incominciavano persino ad apparire annunci pubblicitari dei
commercianti e degli imprenditori più dinamici. Ma quei magri incassi non bastavano a colmare le
spese tipografiche e le forniture di carta. al quarto numero dovemmo arrenderci e mai decisione fu
più amara della chiusura del foglio sul quale avevamo gettato aspirazioni e speranze. Del resto, il
gruppo dei redattori aveva perduto la sua compattezza: Moncalvo non poteva offrirci di più e il
lavoro, la carriera ci chiamavano altrove. Oggi, a guardarmi attorno, non trovo quasi più nessuno
dei "fondatori". L’ultimo a dileguarsi è stato Gigi Sarzano, che aveva considerato il giornale una
sorta di banco di prova della sua poetica. Forse senza quella piccola ribalta, in lui non sarebbe più
maturato l’autore di liriche e soprattutto di pièces teatrali che gli diedero la giusta rinomanza.
Questo per dire che a noi giovani di allora quei fogli sono stati un proficuo laboratorio. Non so se lo
sia stato anche per il pubblico dei lettori: intendo, se la rapida parabola della "Rotonda" abbia poi
inciso nella dimensione che noi avremmo desiderato sui destini di Moncalvo. Mi illudo che i
moncalvesi abbiano sentito la scomparsa di questa meteora pubblicistica con un filo di amarezza:
come un progetto incompiuto.
Alessandro Allemano
L’INSULTO CONTRO DON DE NOVIS (CIOCCARO, 10 AGOSTO 1775)
Nella notte del 10 agosto 1775, notte di San Lorenzo, quando il cielo estivo è solcato dalle stelle
cadenti, nel cantone di Cioccaro, in territorio di Penango e parrocchia di Moncalvo, accadde un
fatto assai increscioso. Esplodendo colpi di arma da fuoco, ignoti attentarono alla vita del
cappellano del luogo, don Bartolomeo De Novis oriundo nizzardo, da tempo in contrasto con i
particolari del luogo. Presso l’archivio della Curia vescovile di Casale, f. "Monscalvus IV", è
conservato un fascicolo di 34 carte, che contiene i testimoniali della causa promossa dall’autorità
religiosa per fare luce su questa vicenda. Questi "atti criminali" vennero rimessi al Vicario generale
monsignor Ferdinando Rovida da parte del Prevosto di Moncalvo, Giuseppe Antonio Milani, in data
20 aprile 1777, quasi due anni dopo il fatto.
Un discusso cappellano: don De Novis
Don Bartolomeo De Novis era nativo di Lucerame, località delle Alpi Marittime presso Nizza.
Come si apprende da un interessante fascicolo a stampa che contiene gli atti di una causa intentata
da certi possidenti di Cioccaro contro il Vicario della Santa Inquisizione, padre Guglielmo Testa,
negli stessi anni del fatto di cui si tratta, egli era stato assoldato dai particolari del luogo, che, in
qualità di proprietari della chiesa, godevano del diritto di nomina del cappellano. Anche se mancano
dati più precisi, don Bartolomeo fu a Cioccaro in due riprese, per un totale di circa cinque anni ad
iniziare dal luglio 1770, quando era succeduto a don Pietro Francesco Biletta, fino al 1771 e poi
ancora dal 1773 fino alla definitiva rinuncia. Era stato precedentemente cappellano a Santo Stefano
di Montemagno. Pare che il suo carattere duro ed il suo umore incostante lo avessero ben presto
reso inviso ad alcuni tra i particolari più influenti del paese; il cappellano poi conviveva con una
certa Francesca, che egli spacciava per sorella, ma che secondo le voci popolari più informate non
gli era nemmeno parente ed anzi si trattava di una donna dalla condotta non troppo morigerata.
Questo fatto non fece che aumentare la tensione già esistente, dividendo la comunità in due fazioni,
una contraria la’altra favorevole al prete, finchè si giunse alla fatidica notte di San Lorenzo del
1775.
La querela
Ecco, nella traduzione italiana, come inizia l’atto ufficiale con cui viene indetta la causa contro
ignoti per l’attentato di quella notte.
"Querela del signor sacerdote Bartolomeo De Novis. L’anno del Signore
millesettecentosettantacinque, il giorno quattordici del mese di agosto, in Casale, giudizialmente
alla presenza dell’illustrissimo e reverendissimo signor Ferdinando Rovida, dottore in ambe le
leggi, protonotario apostolico, canonico arcidiacono di questa Chiesa Cattedrale, Vicario generale
episcopale casalese per le cose spirituali e temporali, e con l’intervento del signor avvocato Carlo
Domenico Caire, avvocato di questa mensa e del fisco episcopale. È comparso il molto reverendo
signor Bartolomeo De Novis, sacerdote del luogo di Lucerame in diocesi di Nizza, abitante nel
villaggio di Cioccaro, in territorio di Penango, territorio di questa diocesi, il quale dopo aver
prestato giuramento toccando materialmente le Scritture (...) disse e depose quanto segue".
Ed ecco poi il testo della querela sporta da don Bartolomeo: il testo è in lingua italiana ed ho
ritenuto di lasciarlo inalterato, compresa la punteggiatura. Ho solamente adeguato l’uso delle
maiuscole.
"Nella notte del dì dieci venendo li undici del corrente mese circa le ore due appena coricatomi in
letto nella casa di mia abitazione propria del Sant’Officio dell’Inquisizione di questa città, posta
nel cantone del Chioccaro ed attigua alla chiesa di San Vittore, ho udito quattro spari d’arma da
fuoco, cioè tre fatti dalla parte del piazzale della chiesa ed il quarto dalla strada attigua all’uscio
della cucina di detta casa, per la qual cosa levatomi dal letto e portatomi in cucina posta sotto la
mia camera cubiculare, ho ritrovato la detta cucina piena di fumo con odore di polvere da
schioppo, ed aperto l’uscio della cucina, mentre mia sorella Francesca dava campana a martello,
si presentò al detto uscio il servitore del massaro del Sant’Offizio per nome Salvatore non
sapendone il cognome, il quale conduceva una barozza con granaglie al mulino, e tanto io quanto il
detto Salvatore abbiamo veduto due persone a correre verso la croce di legno piantata in
prospettiva della chiesa senza che io le abbia conosciute, e sebbene il detto Salvatore le abbia
inseguite, non gli è però riuscito di raggiungerle per essere saltate fuori della strada; ed al suono
della campana sono accorse tutte le persone di detto cantone a me favorevoli, ma niuno è comparso
di quelli che mi sono contrari nell’impiego di cappellano, per la qual cosa dubito che tal fatto sia
seguito per opera di qualchuno dei miei avversari, massimamente che un certo Domenico Biletta fu
Stefano altro dei miei avversari nel giorno antecedente al detto fatto sul piazzale della chiesa disse
presente, come mi fu riferito, Carlo Francesco Farrotta massaro del signor avvocato Rubino, che
in luogo di darmi del grano, sarebbe meglio che fossi gettato giù del ripaggio. La mattina
successiva feci la visita tanto in detta cucina quanto alla finestra avente l’aspetto al piazzale della
chiesa e riconobbi e viddi in parte squarciata l’impanata di tela cerata, e vari buchi nella stessa
impanata della rotondità di una palla da schioppo, e quindi nel muro interno della stessa camera
serviente di cucina a dirimpetto della detta finestra viddi pure i segnali delle palle che diedero nel
muro, e ne ritrovai quattro sul pavimento schiacciate e visitato l’interiore del campanile attiguo a
detta cucina, ed avente comunicazione con la medesima ritrovai anche ivi due palle da schioppo,
una in terra schiacciata e l’altra ancor infissa nel muro, e siccome l’uscio della cucina resta a
dirimpetto dell’uscio del campanile, che sta sempre aperto, così credo che quel colpo sia quello
stato fatto dal buco, o sia gratarolo, che vi è in detto uscio della cucina verso la strada. Onde
faccio istanza procedersi per detto insulto, ed ingiuria contro chi di ragione, non potendo io
dubitare altra cosa, se non che detti colpi siano stati fatti da miei avversari, che vorrebbero
obbligarmi a licenziarmi dall’ufficio di cappellano di detto cantone, tra i quali vi è specialmente il
vicario don Pietro Giovanni Malaterra, e quei di sua famiglia, e non so indicare persona che abbia
veduto, e conosciuto quelli, che hanno fatto i detti spari, benchè tutti i particolari di detto cantone
siano informati del fatto sopra deposto".
Richiesto delle proprie generalità, il sacerdote rispose di chiamarsi "Don Bartolomeo De Novis del
fu signor Giovanni Antonio nativo del luogo di Lucerame diocesi di Nizza di Provenza, abitante da
anni quattro in detto cantone del Chioccaro in qualità di cappellano, d’età d’anni 54" e di possedere
un patrimonio personale di circa settemila lire.
Il Prevosto Milani in un dipinto già conservato
presso la chiesa di San Marco a Moncalvo
Trasferta a Cioccaro
Il successivo 21 agosto il Prevosto Milani,
accompagnato dal moncalvese don Giuseppe
Maria Rafferi con funzioni di procuratore del
Fisco vescovile, si recò a Cioccaro per iniziare
gli interrogatori, secondo l’incarico ricevuto
dalla Curia casalese. Per prima cosa si dovette
esaminare bene il luogo del delitto.
"Ad ognuno sia manifesto che affine di dare
esecuzione il prelodato signor Prevosto e
Vicario Foraneo D. Milani, come delegato
predetto alla commissione appoggiatagli dalla
Curia Vescovile della città di Casale con suo
decreto delli quatordici andante mese,
lasciato in seguito alla querela sotto lo stesso
giorno sporta nanti dell’ufficio della
medesima dal signor Don Bartolomeo De
Novis, siasi lo stesso signor Delegato in
quest’oggi transferto di compagnia del sudetto
signor Don Rafferi interveniente per il Fisco Vescovile predetto e di me segretario sottoscritto, nel
presente cantone del Cioccaro, fini predette, e nella casa d’abitazione di detto signor Don De Novis
propria del Sant’Uffizio dell’Inquisizione, posta in totale attiguità della chiesa di San Vittore ivi
situata, nella quale giunti ut supra. Si concedano testimoniali al detto signor interveniente Don
Rafferi vedersi e ritrovarsi verso levante un uscio ordinario, che dà l’accesso alla stanza al piano
di terra, detta la cuccina, ed entrati nella medesima stanza osservarsi pure un altro uscio
dirimpetto al primo, che serve per entrare nel campanile di detta chiesa attigua ed incorporata alla
medesima stanza; ed avanzatisi nel detto campanile ivi pure nella muraglia di questo, comune alla
detta chiesa, scorgersi due picciole rotture, alte da terra una due palmi e mezzo, e l’altra circa tre
palmi in poca distanza l’una dall’altra che per essere ambe recenti e di un non guari largo
diametro, come si vede dal poco calcinaccio smosso e caduto a terra, si può facilmente ognuno
persuadere e giudicare che siano state causate non da altro se non da un colpo di pistola, il quale
esaminate tutte le circostanze e li angoli ed aperture di detta cuccina si può benissimo credere che
sia stato rillasciato non da altrove che dal buco detto volgarmente il gattarolo, che si osserva nella
parte inferiore a mano sinistra del già detto uscio che dà l’accesso alla stanza predetta, per essere
questa l’unica apertura che tende per dritto allo stesso campanile, che stà sempre aperto dove si
osservano li segnali impressi fatti come si suppone con colpo di pistola che doveva essere stata
caricata a palle.
Più testimoniali di cui sovra vedersi e ritrovarsi in detta cuccina una fenestra dalla parte di
ponente e risguardante il piazzale della mentovata chiesa munita di semplice tellaro ed impanata di
dentro di nuova carta ed al di fuori unita alla stessa carta di tela incerata con sua ferrata infissa
alta da terra verso detto piazzale poco meno d’un uomo d’ordinaria statura, ed al didentro
alquanto più bassa, nella quale impanata esservi primieramente verso la sommità di essa dalla
parte di detta chiesa un buco della larghezza di quatro dita e con lacerazione recente della tela e
carta sodetta; vedendosi pure nella quadratura d’essa fenestra verso detta chiesa ed un palmo
circa distante dalla sua sommità una picciola rottura larga quatro dita circa in forma piuttosto
oblonga e recente come resta indicato dal calcinaccio smosso e dalla maccatura che ivi pure si
osserva.
Più testimoniali al predetto signor interveniente Don Rafferi, siccome fatta ulteriore osservazione
nell’impanata di detta fenestra, si vede circa la metà della medesima sempre dall’istesso canto
della chiesa un buco in forma rotonda fatto di fresco, con altri piccioli buchi all’intorno dispersi,
cisicchè si può con tutta facilità arguire che il primo sia stato effetto di una palla e li altri di
altritanti pallini stati insieme forse alla palla rillasciati in detta fenestra, o sia impanata d’essa, da
un colpo d’arma da fuoco, avantagiando molto questo giudicio li due segnali di calcinaccio che
restituitosi il presente ufficio in detta cuccina ha osservato, come si osservano e per cui si
concedano nove testimoniali a cui detti impressi nella volta della stessa stanza, l’uno cioè quasi
immediatamente e nella sola distanza di due bracchia circa dalla più volte detta fenestra
indicando di più per altro una qualche leggiera striscia per detta volta verso il camino della
medesima cuccina dove l’altro resta in maggiore distanza, vale a dire molto in vicinanza alla
muraglia dell’istessa stanza verso levante diametralmente opposta alla mentovata fenestra verso il
piazzale della chiesa e piuttosto a dirritura questo del secondo buco nell’impanata sovradescritto,
siccome piuttosto l’altro, a dirritura del primo".
Gli interrogatori
Il successivo giorno 25 agosto prendono l’avvio gli interrogatori dei vari testimoni, diretti o
indiretti.
"Primo si è esaminato Salvatore Nosenzo del fu Sebastiano nattivo delle fini del luogo di Mombello
ed abitante di quelle di Penango, per parte del Fisco Vescovile predetto precetato e presentato, [...]
previo il giuramento che ha prestato toccate corporalmente le Scritture in mani del prefato signor
Prevosto e Vicario Foraneo delegato, monito pria della forza ed importanza d’esso Interrogato: se
lui teste sia stato altre volte precetato o monito a comparire nanti del presente Uffizio Rispose: Si
signore che sono stato monito a comparire nanti quest’Uffizio per le ore vent’una del giorno
vent’uno dell’andante mese ma non ho potuto comparire per un’urgente premura che mi ha
obligato a portarmi altrove Interrogato: dove lui teste tengha la di lui abitazione Rispose: io abito
nel cantone del Cioccaro fini di detto luogo di Penango, ed alla cassina di ragione dell’Uffizio
dell’Inquisizione della città di Casale, nella qualità di servitore di Tomaso Gagliardone massaro di
detta cassina che resta la più vicina alla chiesa di San Vittore posta in detto cantone, attigua alla
quale ed incorporata alla medesima vi è la casa per il capellano di detto cantone che ora si chiama
il signor Don Bartolomeo De Novis Interrogato: se lui teste sappia o almeno abbia sentito a dire
che sia seguita qualche novità in detto cantone del Cioccaro, e massime nella casa attigua ed
incorporata alla sovra espressa chiesa abitata da cui sovra, la notte delli dieci corrente mese
giorno in cui si era celebrata la festa di San Lorenzo. Rispose: la notte di cui vengo interrogato
sendomi verso un’ora della medesima coricato sul fenile di detta cassina per ivi dormire, da lì a
poco tempo sentii vari sparri d’arma da fuoco derrivanti dalla parte della già detta chiesa, e quindi
poco appresso udii pure darsi campana a martello dalla campana essistente sul campanile della
sumentovata chiesa; in seguito del che levatomi dal predetto fenile mi reccai sulla porta della già
detta cassina da dove intesi dirsi dal predetto signor capellano De Novis, che conobbi alla voce a
[me] pienamente nota per la pratica che ho del medesimo "correte, aiutatemi, che sono venuti per
assassinarmi in casa". Ciò udito appena mi portai da solo verso detta chiesa e casa e dopo
d’essermi alquanto inoltrato nella carreggiata tendente alla medesima, non ostante che fossero
oramai le due ore di notte pure allo splendore della luna mi è riuscito di vedere due uomini a
correre in aria di fuggitivi dal sito dove sta piantata una croce di legno a dirritura verso il piazzale
della chiesa e casa predette alla volta della strada tendente alla cassina del signor Conte Mazzetti,
che per altro non ostante il chiarore sodetto, non ho puotuto distinguere la qualità delli abiti nè se
fossero muniti di qualche arma epperò molto meno di ravvisargli e conoscergli chi si fossero;
avanzandomi in apresso sino alla mentovata casa del sodetto signor Don Bartolomeo De Novis
ritrovai il medesimo sull’uscio della sua cuccina dal quale mi fu in succinto narrato l’insulto poco
prima sofferto di vari colpi d’arma da fuoco stati scaricati dentro alla stessa di lui cuccina e poichè
mi fece ordine d’inseguire li predetti fuggittivi, m’incaminai prestamente verso la già nominata
strada tendente verso al detta cassina del signor Conte Mazzetti, dove incontrati li due frattelli
Steffano e Gioseppe Savi figli del fu Giovanni Battista attuali massari dei beni di detta cassina, li
quali anch’essi si portavano verso la predetta chiesa dopo d’aver sentito il suono della campana
per saperne la novità, e da me interrogati se avessero veduto persone a fuggire al luogo di detta
strada od altrove, mi risposero di non aver veduta persona veruna; in seguito del che tornandomi
io in compagnia loro verso la nominata chiesa, raccontai loro in breve il fatto occorso, che in
poche parole gli è pure stato rinovato dal predetto signor sacerdote, stato da noi ritrovato ancora
sull’uscio di detta di lui cuccina, ed indi alle di lui instanze tutti tre insieme, cioè io e li due fratelli
Savi ci reccassimo di bel nuovo per detta strada per ricconoscere e per vedere se ci riusciva di
ritrovare li detti due fuggittivi, ma tutto però fu invano e ritornati alla medesima chiesa e casa
d’abitazione del predetto signor Don De Novis abbiamo quivi ritrovato una folla di popolo
concorso al predetto segno della campana, e dessendomi ivi tratenuto ancora per lo spazio di
mezz’ora circa, dove dopo di non aver sentito altro che parole indifferenti ed inutili, senza che siasi
nominata alcuna persona per colpevole del fatto successo e da me sovradeposto, mi sono
immediatamente restituito alla cassina predetta del Sant’Uffizio di mia solita abitazione dove non
feci altro che incaminare la barozza già da me destinata per portarmi al molino in Pontestura,
come diffatti vi sono subitamente andato Interrogato: se lui teste sappia od almeno abbia sentito a
dire da chi siano stati fatti li sparri d’arma da fuoco da lui sovra deposti Rispose: io non so meno
ho sentito dirsi da chi siano stati fatti li già detti sparri d’arma da fuoco ed ora che mi sovvengo,
dico e depongo siccome è voce pubblica in detto cantone del Cioccaro che li già detti sparri d’arma
da fuoco siano stati rillanciati dove e come sovra dalli Gioseppe Billetta del vivente Steffano e da
Gioseppe di cui non so il cognome primo figlio di Simone oste in detto cantone Interrogato: se lui
teste sappia chi possa essere informato di quanto sovra Rispose: ne puotrà essere informato un
certo Francesco di cui non so il cognome altro servitore di detto Gagliardone mio padrone, e forse
anche questo Interrogato sovra li generali Rispose: mi chiamo come sovra, sono d’età d’anni
ventitre circa, di proffessione lavorante di campagna e nulla possedo".
A Moncalvo, il 29 agosto, viene sentito quel "certo Francesco": si tratta di un ragazzo
diciassettenne, Francesco Palestro, nativo di Rocca d’Arazzo, garzone di Tomaso Gagliardone alla
cascina del Sant’Uffizio, di cui il Gagliardone era "massaro". Costui afferma di aver udito gli spari
e di essersi incamminato alla volta della casa del cappellano, ma di essere stato richiamato indietro
dal suo padrone. Il ragazzo asserisce inoltre di aver inteso poi il figlio del priore della chiesa di
Cioccaro, Giuseppe Bevilacqua, incolpare dell’accaduto i figli di Giulio Cesare Biletta abitanti alla
Bolla e il figlio di Simone Malaterra.
← San Vittore martire, patrono di Cioccaro
Ed ecco allora che si chiama a testimoniare
anche il Bevilacqua.
"Più si è esaminato Gioseppe Bevilacqua del
vivente Domenico nattivo ed abitante delle fini
del luogo di Penango [...]. Interrogato: in
quale luogo preciso lui teste tenghi la di lui
abitazione Rispose: io tengo la mia abitazione
a’ cassinali di Cantoglio fini di detto luogo di
Penango, ed alla cassina denominata la
Crosetta, come massaro insieme al predetto
mio padre della medesima, quali cassinali sono
sitoati in pochissima distanza del cantone del
Cioccaro fini predette Interrogato: se lui teste
sappia od abbia sentito a dire che nel predetto
cantone del Cioccaro sia seguita qualche
novità la sera o notte delli dieci venendo li
undici del cadente mese di agosto Rispose: la
stessa sera apponto delli dieci cadente agosto
circa le due ore di notte ritrovandomi già
coricato nel mio proprio letto ho sentito tre colpi d’arma da fuoco che per essere dalla parte della
chiesa di San Vittore posta in detto cantone ho fatto giudicio tra me stesso essere stati scaricati
contro il signor Don Bartolomeo De Novis, capellano in esso cantone, a mottivo de’ dissapori che
vi sono dal canto di alcuni particolari contro del sudetto ed infatti da lì a poco ho sentito lo stesso
signor capellano a gridare, avendone ricconosciuta la propria di lui voce senza intenderne le
parole, come pure ho sentito immediatamente la voce di Carlo Francesco Farotto abitante alla
cassina del signor Avvocato Fiscale e Vice Intendente Generale Rubino in poca distanza dalla
predetta chiesa, che si diede a gridare "all’arma, all’arma"; dove io a questa voce ed al suono
della campana a martello che udii immantinenti a suonare dal campanile della più volte
menzionata chiesa, levatomi dal mio letto ed uscito da casa, m’incaminai alla volta della medesima
in compagnia del mio servo Guglielmo Sorisio e del mio vicino d’abitazione Gioseppe Chiesa e
strada facendo ho incontrato varie persone che erano già di ritorno da detta chiesa e fra le quali li
Carlo Francesco e Gioseppe cugini Farotto e Vittore Cornaglia figlio del vivente Antonio e da
questi ho inteso che apponto erano stati scaricati li medesimi colpi in odio e nella casa di detto
signor Don De Novis, per cui si era dato campana a martello, senza però avermi spiegato quali ne
potessero essere stati li autori; non contento di tale nottizia ho stimato d’inoltrarmi sino alla
medesima chiesa colli detti miei compagni ed entrato nella stessa casa abitata da detto signor
capellano ho udito a farmi da lui teste il medesimo racconto, senza avere potuto riccavare niente
d’avantaggio per quella notte, non ostante l’incontro avuto eziandio con altre persone che erano
pure ivi accorse per il medesimo fine, così che dopo il brieve spazio d’un quarto d’ora mi sono
restituito alla mia propria abitazione, ove di nuovo sono andato a letto a riposare Interrogato: se
lui teste sappia od almeno si inmagini, od abbia sentito a dire da chi e per qual mottivo siano stati
rillasciati li detti colpi d’arma da fuoco Rispose: sebbene in quella notte non abbia io puotuto
ricavar altro che qual tanto che ho sovra deposto, ciò non ostante posteriormente ho cominciato a
sentire una voce la quale si è resa molto comune, vale a dire che li autori de’ suaccennati colpi
d’arma da fuoco possano essere alcuni giovani del cantone del Cioccaro, contrari al già detto
signor capellano De Novis, nominandosi specialmente li figliuoli di Giuglio Cesare Billetta e
Vincenzo Malaterra figlio del vivente Simone, e ciò in parte l’ho inteso dallo stesso suo padre ed in
parte dal predetto mio servo Sorisio, il quale anzi mi asserisce di avere egli sentito da Lorenzo
Cerrutti figlio di Antonio de’ detti cassinali di Cantoglio che accorrendo egli Lorenzo Cerrutti in
compagnia di Steffano e Gioseppe fratelli Savi unitamente ad un certo Giacomo di cui non so il
cognome, fattore e massari rispettivamente de’ beni stati affittati dal signor Conte Mazzetti al
signor Giovanni Antonio Pellizzeri di questa città, per intendere la cagione per cui si suonava
campana a martello e inoltrandosi per apponto verso la chiesa già nominata di San Vittore donde
ne veniva il suono avava incontrato da solo detto Vincenzo Malaterra nella strada detta la Rivazza
in poca distanza dal sito in cui resta inalberata la croce di legno tendente dalla sodetta chiesa di
San Vittore e casa di detto signor capellano verso l’abitazione di detto Simone di lui padre, essendo
esso Vincenzo Malaterra munito in detto tempo di schioppo e che interrogato donde venisse diede
in risposta venire dalla sodetta chiesa a vedere quale fosse la novità della campana a martello
Interrogato: se il di lui servo gli abbia raccontato di avere inteso che vi fossero altri in compagnia
del detto Vincenzo Malaterra, allora quando fu incontrato ove e come sovra Rispose: il mio servo
mi raccontò di avere pure inteso dal sodetto Lorenzo Cerrutti che quantunque nella strada detta la
Rivazza abbia incontrato solamente il Vincenzo Malaterra come sovra, pure essergli riuscito di
osservare due o tre altri che non ha puotuto distinguere se fossero o no armati, perchè fuggendo si
erano già avanzati dentro alla vigna del signor Giovanni Battista Franchino, attigua alla medesima
strada ed in poca distanza dalla chiesa e croce sodetti Interrogato: se sappia od abbia almeno
sentito a dire se veramente il già detto Vincenzo Malaterra siasi portato nel sovra divisato tempo
alla detta chiesa di San Vittore per intendere quale fosse la novità per cui si dava campana a
martello Rispose: io non so e tanto meno ho sentito a dire che il Vincenzo Malaterra siasi portato
siasi portato alla chiesa di San Vittore in quella sera delli dieci di questo mese col fine di sapere la
novità del suono della campana a martello; ho bensì sentito a dire, ed è cosa pubblica e nottoria in
detto cantone, che in tale occasione non vi è accorso veruno de’ contrari al signor capellano alla
stessa chiesa e di lui casa per il fine sodetto Interrogato sovra li generali Rispose: mi chiamo come
sovra, sono d’età d’anni venticinque circa, di proffessione travaglio alla campagna e nulla possedo
per essere figliuolo di famiglia"
Il servo del Bevilacqua, Guglielmo Sorisio da Villadeati, anch’egli diciassettenne, a sua volta
affermerà che un certo Cerruti abitante ai cascinali di Cantoglio potrebbe sapere molte cose, ed in
particolare essere a conoscenza di confidenze dirette avute da Emanuele Biletta, figlio del Giulio
Cesare, uno dei sospettati.
Si decide allora di sentire anche questo "supertestimone" Cerruti.
"Più si è esaminato Lorenzo Cerrutti figlio del vivente Antonio nativo ed abitante de’ cassinali di
Cantoglio fini del luogo di Penango [...]. Interrogato: dove lui teste tenga la di lui abitazione
Rispose: io abito ai cassinali di Cantoglio fini del luogo di Penango Interrogato: se la sera e notte
delli dieci ora passato agosto lui teste si ritrovasse in detta di lui abitazione e se sappia che in
quelle vicinanze sia seguita qualche novità Rispose: la sera e notte di cui vengo interrogato io mi
ritrovavo nel cantone del Cioccaro ed alla cassina denominata la Mazzetta e nel mentre che io ero
coricato sul fenile d’essa in compagnia di Biaggio Savi uno de’ fratelli massari di detta cassina, e
cominciato a prender sonno, sentii all’improviso da due a tre colpi d’arma da fuoco che per la sua
distanza e rimbombo, come a dire profondo, non ho puotuto discernere in quale parte di esso
cantone e verso chi fossero fossero stati scaricati; ma scossomi appena e disceso dallo stesso fenile
perchè così chiamato da Maria Savi madre di detto Biaggio, cominciai tosto a sentire il suono della
campana a martello già dalla predetta donna sentito, e riconobbi provenire detto suono dal
campanile della chiesa di San Vittore dove abita il signor Don Bartolomeo De Novis capellano in
esso cantone, cosicchè dato di piglio un bastone trovato a caso nel cortile di detta cassina, mi sono
incaminato in compagnia di detto Biaggio Savi verso la medesima chiesa, avendoci preceduto li
altri due di lui fratelli Steffano e Gioseppe Savi, e gionto alla menzionata chiesa ho incontrato ivi
oltre li detti due fratelli Savi il servo di Tomaso Gagliardone per nome Salvatore Nosenzo a cui si
sono aggionte immediatamente diverse altre persone di detto cantone ivi pure accorse per sentire e
ricconoscere la novità del suono della campana a martello, fra le quali li fratelli e cugini
rispettivamente Farotti, cioè Carlo Francesco, Antonio e Gioseppe abitanti alla cassina del signor
Avvocato Fiscale e Viceintendente Generale Rubino, oltre allo schiavandaro del signor Giovanni
Battista Franchino denominato Mattia con molti altri ancora di cui non ho presente il nome, e da
questi come pure dalla signora Francesca De Novis e dal detto signor Don Bartolomeo di lei
fratello ho inteso che li menzionati colpi d’arma da fuoco da me sentiti erano stati rillasciati dentro
alla cuccina dello stesso signor Don Bartolomeo e che per tale effetto si era dato il suono della
campana a martello senza peraltro che io abbia sentito da nessuno a sospetare chi potesse essere
stato autore de’ medesimi colpi, alla risserva di quel tanto che disse la già detta signora Francesca
De Novis, la quale non mancò di atribuire la colpa ai figliuoli di Giuglio Cesare Billetta abitanti
nello stesso cantone Interrogato: se lui teste sappia oppure s’inmagini il motivo per cui la detta
signora Francesca De Novis abbia atribuita la colpa di detti colpi d’arma da fuoco alli figliuoli di
Giuglio Cesare Billetta Rispose: m’inmagino che il fondamento di un tale sospetto tutto derivi da
che li figliuoli di Giuglio Cesare Billetta sono de’ più contrari al sodetto signor capellano De
Novis, e tanto più io così m’inmagino in quanto che lo stesso signor capellano mi ha fatto osservare
che in mezzo alla moltitudine di popolo ivi pure concorsa la stessa notte dopo il segno della
campana a martello neppur uno si vedeva comparso fra tutti quelli che sono suoi contrari
Interrogato: quale strada lui teste insieme al predetto Biaggio Savi abbia tenuto allorchè da detta
cassina la Mazzetta si portò alla già nominata chiesa di San Vittore come ha sovra deposto
Rispose: ho tenuto la strada dritta denominata la Rivazza Interrogato: se lui teste in essa strada la
Rivazza abbia in tale occasione avuto l’incontro di qualche persona armata di schioppo o ne abbia
vedute altre in quelle vicinanze Rispose: io non ho incontrata alcuna persona di veruna sorta nel
portarmi a detta chiesa, solamente nel ritorno da essa dove mi sarò trattenuto un mezzo d’ora
circa, appena disceso colli sodetti miei compagni nel fondo della strada detta la Rivazza per cui si
va a dirritura alla mentovata cassina del signor Conte Mazzetti in poca distanza dalla croce di
legno piantata a dirimpetto della sodetta chiesa ho incontrato ivi il figlio di Simone Malaterra
denominato Vincenzo, scalzo ne’ piedi e munito di schioppo trovandosi solo in essa strada senza
che io abbia puotuto scorgere nè osservare veruno d’altri e molto meno accorgermi che vi fossero
altri in quelle vicinanze, ed essendomi trattenuto per poco col medesimo Vincenzo Malaterra
unitamente alli fratelli Savi miei compagni sodetti, dopo d’averci egli interrogati del mottivo per
cui si fosse dato all’arma e dopo d’averlo noi compagni informato, ho sentito il medesimo a
rispondere che il signor capellano a forza delle tante che gliene faranno sarà poi costretto ad
andarsene via da detto cantone e proseguendo indi tutti insieme col predetto Malaterra il nostro
cammino sino alla casa d’abitazione de’ fratelli Savi dopo a brevi altri simili discorsi ci siamo
inmediatamente divisi essendosi ognuno ritirato alla propria cassina come si ritirò lo stesso
Malaterra nella sua ivi attigua, come io pure non ho mancato di portarmi subito alla mia posta ne’
nominati cassinali di Cantoglio Interrogato: se lui teste da detta notte delli dieci agosto ultimo
scorso a questa parte abbia sentito a dire quali siano stati li autori de’ colpi d’arma da fuoco da lui
sovra deposti Rispose: discorendo più volte con Vittore e Francesco frattelli Cornaglia figli di
Antonio ed Agostino cugino d’essi, con Pietro Palazzo figlio di Gioseppe, con Guglielmo Sorisio
servo di Domenico Bevilacqua e diversi d’altri tutti abitanti a detti cassinali di Cantoglio, ho
sentito ora dalli uni ed ora dalli altri a dire che li autori de’ sumentovati colpi possano essere li già
da me sovra deposti figliuoli di Giuglio Cesare Billetta sempre per il motivo che sono essi de’ più
contrari al predetto signor capellano; anzi mi sovviene che discorendo un giorno con li medesimi
giovani di Cantoglio ho pure da essi sentito cadervi parimenti il sospetto sulla persona del già
nominato Vincenzo Malaterra, non sapendo io peraltro quale fosse il fondamento loro di così
affermare, alla risserva che il detto Malaterra, ovvero la di lui famiglia, è una di quelle che sono
contrarie al mentovato signor capellano, od anche perchè era già stata sparsa la voce che detto
Vincenzo Malaterra era stato ritrovato solo munito di schioppo nel tempo e luogo da me sovra
deposto, locchè ho io pure confermato nell’atto del discorso da me tenuto con li predetti giovani
Cornaglia, Palazzo e Sorisio Interrogato: se lui teste conosca un certo Emanuele Billetta di detto
cantone del Cioccaro e conoscendolo se abbia mai col medesimo parlato a riguardo del predetto
signor capellano Don De Novis Rispose: conosco benissimo l’Emanuele Billetta del fu Steffano di
cui vengo interrogato e mi ricordo di avere seco lui parlato riguardo al detto signor capellano in
un giorno di mercato in questa città nell’ora scorsa primavera; perchè ritrovandomi io con lui
nella piazza di questa medesima città in detto giorno mi sovviene de’ molti termini improprii e
villanie con cui cospetando in atto disdegnoso e colerico prese a sfogarsi contro del medesimo
signor sacerdote, esprimendosi pure che un giorno o l’altro dovrà poi partirsene perchè così
costretto da tanti sgarbi ed altre cose simili che gli sariano stati fatti, avendo io da ciò
ricconosciuto che lo stesso Emanuele Billetta fosse e sia uno de’ particolari più avversi al già detto
signor capellano e massime per essersi spiegato che solamente la nostra famiglia con alcune altre
di Cantoglio erano quelle sole che favorivano ed erano impegnate a sostenere il predetto signor
Don De Novis Interrogato sovra li generali Rispose: mi chiamo come sovra, sono d’età d’anni
ventitre circa, di proffessione attendo a’ lavori di campagna, nulla possedo per essere figliuolo di
famiglia".
Gli interrogatori dei fratelli Stefano e Giuseppe Antonio Savio
procedono il 6 settembre. Essi confermano di aver incontrato
quella fatidica notte Vincenzo Malaterra, scalzo ed armato di
uno schioppo, e come tale assai sospetto in quelle particolari
circostanze. Altri particolari interessanti potrebbero venire da un
certo Battista del Conte, schiavandaro, che avrebbe incontrato il
Malaterra nei pressi di una croce piantata vicino alla chiesa di
San Vittore.
"Più si è esaminato Giovanni Battista Steffenino del fu Andrea
detto Battista del Conte, del luogo di Portacomaro ed abitante
al cantone del Cioccaro [...]. Interrogato: se lui teste sappia o
sia in qualche maniera informato che nel cantone del Cioccaro
ove lui teste abita sia seguita qualche novità la sera e notte delli
dieci agosto ora passato Rispose: io non resto informato che sia
seguita altra novità nel detto cantone del Cioccaro se non
quella che ora vado a narrare a Vostra Signoria signor
Prevosto. Trovandomi alla cassina del signor Conte Mazzetti solita mia abitazione verso le due ore
di notte di detta sera di San Lorenzo ed avendo sentito che alla chiesa di San Vittore di detto
cantone si suonava all’arma mi sono inmediatamente portato alla volta della medesima per
ricconoscere il mottivo di detta allarma, non avendo incontrata per istrada nissuna persona alla
risserva di un certo Biaggio Savi il quale come mi disse, attesa alcuna sua indisposizione, si stava
riposando seduto nella strada detta la Rivazza che tende a dirrittura alla menzionata chiesa,
mentre li altri suoi frattelli colli quali erasi accompagnato prima per portarsi alla stessa chiesa
avevano già avanzato il passo e forse erano già alla medesima pervenuti; ciò detto in compagnia
dello stesso Biaggio arrivato alla casa d’abitazione del signor capellano De Novis, attigua ed
incorporata colla mentovata chiesa, ho inteso dal predetto signor capellano e da altre persone ivi
pure accorse e fra queste il servitore del signor Giovanni Antonio Pellizzeri, fittadro della sodetta
cassina di mia abitazione, di cui non so il cognome, che la novità dell’allarma era provenuta da
che erano stati rillasciati diversi colpi d’arma da fuoco nella sodetta casa d’abitazione del già
detto signor capellano, de’ quali non ho sentito nè penetrato nè allora nè poi chi potesse essere
l’autore, eccetuando la signora Francesca De Novis sorella dello stesso signor capellano, da cui
nella medesima sera ed in quella stessa occasione ho sentito ad incolparne li figliuoli
indistintamente di un certo Giuglio Cesare Billetta abitante alla cassina della Bolla nel predetto
cantone; in conseguenza del che senza sentire nè sapere più oltre e manco riguardo al mottivo della
parlata di detta signora Francesca e senza più tratenermi mi sono restituito alla mia cassina,
essendomi partito dalla chiesa tutto solo, sebbene gionto al sito dove resta piantata la croce di
legno dirimpetto alla stessa chiesa abbia ivi ritrovato scalzo ne’ piedi e munito di schioppo veduto
in terra un certo Vincenzo Malaterra figlio di Simone dello stesso cantone del Cioccaro, col quale
abboccatomi e chiestomi il motivo di detta allarma, io gli ho raccontata la novità de’ colpi d’arma
da fuoco sumentovati e proseguendo insieme il cammino verso casa dopo vari discorsi intorno a
detto fatto occorso, senza che abbia puotuto traspirare verun indizio sovra chi puotesse essere il
reo, mi sono finalmente da lui diviso in vicinanza della cassina abitata da detti frattelli Savi, colli
quali ho veduto unirsi il predetto Vincenzo Malaterra senza che io sappia più nulla del resto
Interrogato: se lui teste abbia mai riferto a qualch’uno dell’incontro per esso lui avuto dove e come
sovra di detto Vincenzo Malaterra e se sappia oppure abbia sentito a dire oppure s’inmagini da chi
siano stati rillasciati li da lui deposti colpi d’arma da fuoco nella casa d’abitazione del predetto
signor capellano Don De Novis nel sovra espresso tempo Rispose: ho rifferto l’incontro avuto di
Vincenzo Malaterra come sovra unicamente a Steffano Savi e non già con altre persone; in quanto
poi al restante di cui vengo interrogato io non ho mai più sentito a discorerne come mi sono già
espresso nelle precedenti mie risposte, epperò non saprei e molto meno m’inmagino nè sospetto chi
puossa essere l’autore delli accennati colpi d’arma da fuoco Interrogato sovra le generali Rispose:
mi chiamo come sovra, sono d’età d’anni cinquanta circa, di proffessione travaglio alla campagna
e nulla possedo. Successivamente si è esaminato Biaggio Savi del fu Giovanni Battista nattivo ed
abitante del cantone del Cioccaro fini del luogo di Penango [...]. Interrogato: se lui teste sappia o
sia in qualche modo informato del mottivo per il quale è stato precetato a comparire nanti
quest’Uffizio Rispose: io credo che sia stato precetato a comparire nanti del presente Uffizio per
essere esaminato riguardo ai colpi d’arma da fuoco stati rillasciati verso le ore due della notte del
giorno di San Lorenzo che fu li dieci dell’ora scorso mese di agosto nella casa d’abitazione del
signor Don Bartolomeo De Novis capellano di detto cantone del Cioccaro Interrogato: in quale
maniera lui teste sia informato dello sparro di detti colpi d’arma da fuoco rillasciati dove e come
sovra Rispose: io resto informato da che verso le due ore di notte di detto giorno trovando coricato
sul fenile della mia cassina dove mi ero già adormentato, tutto ad un tratto sentii a chiamarmi da
Anna Maria mia madre la quale mi sollecitò a discendere da detto fenile per portarmi alla chiesa di
San Vittore di esso cantone del Cioccaro per intendere il mottivo dell’allarma che attualmente
suonava al campanile di detta chiesa, come diffatti, preso per compagno un certo Lorenzo Cerrutti
del cantone di Cantoglio che casualmente in quella sera si era meco posto a dormire sull’istesso
mio fenile, mi sono seco lui incaminato verso la chiesa sodetta tenendo la strada dritta denominata
la Rivazza che appunto conduce verso la medesima chiesa e quantunque per qualche mio incomodo
io sia stato obligato a fermarmi in detta strada per prendere riposo e lasciare che il compagno
avanzasse li suoi passi, pure non ho mai più visto nè incontrato nessuno comunquesissia nè dentro
nè fuori della medesima strada sin’a tanto che comparso un certo Battista Steffenino del Conte,
seco lui mi sono portato sino alla detta chiesa e casa d’abitazione del sodetto signor capellano ed
ivi gionto ho inteso essere stati scaricati vari colpi d’arma da fuoco dentro alla casa dello stesso
signor capellano, mottivo per cui era stata data all’arma ed erano in conseguenza concorse diverse
altre persone da’ cassinali di esso cantone fra le quali mi ricordo oltre de’ miei frattelli, del già
detto Lorenzo Cerrutti e del Battista Steffenino, anche di un certo Carlo Farotto e Gioseppe di lui
cugino, come anche di Salvatore Nosenzo e di un certo Giacomo Franza lavorante alla cassina
detta la Mazzetta e di vari altri, de’ quali più ora non mi sovvengo; ciò inteso ho pur’anche sentito
che la signora Francesca De Novis sorella di detto signor capellano spacciava per autori de’
mentovati colpi d’arma da fuoco li primi due figliuoli di Giuglio Cesare Billetta dello stesso
cantone, protestando di avere veduti due a fugire da lei veduti essere li medesimi. Non sapendo io
peraltro quale si fosse il fondamento della parlata di detta signora Francesca, nè manco curando
di saperlo mi sono accompagnato di nuovo col sodetto Lorenzo Cerrutti da me incontrato già al di
sotto della croce di legno piantata dirimpetto alla detta chiesa in fondo alla strada che dirige alla
mia cassina e con esso preceduto poco avanti da altri due miei frattelli, mi sono restituito a casa
senza mai avere più incontrato verun’altra persona, eccetuato il figlio di Simone Malaterra
denominato Vincenzo che mi sovengo d’averlo veduto al mio arrivo dentro l’aia della stessa mia
cassina scalzo ne’ piedi e munito di schioppo intertenersi a discorere co’ già menzionati Steffano e
Gioseppe miei frattelli a’ quali sendomi io pure unito e seco loro alquanto trattenutomi ho sentito
che il predetto Vincenzo Malaterra si era pure portato anch’egli sino alla mentovata croce di legno
con animo d’inoltrarsi sino alla casa del signor capellano predetto per ricconoscere la cagione
dell’allarma, ma che non ha stimato di passare più avanti della croce sodetta per avere sentita la
voce del signor capellano medesimo che si lagnava perchè nessuno de’ suoi contrari si fosse
lasciato vedere sino a quell’ora in mezzo a tutti li altri a lui favorevoli, li quali erano ivi concorsi e
declamando detto Vincenzo Malaterra in generale contro a chi avesse reccato e fatto il predetto
insulto de’ predetti colpi d’arma da fuoco si espresse con dire: "sarebbe meglio, in vista di tali
afronti e sgarbi, che il signor capellano se ne partisse", non ricordandomi più d’altro per essere io
quindi ritornato sul mio fenile a dormire, senza avere mai più d’allora in poi sentito a parlare
sovra di tal fatto persone veruna Interrogato sovra li generali Rispose: mi chiamo come sovra, sono
d’età d’anni venti circa, di proffessione travaglio alla campagna e possedo per il valore di lire
ducento circa".
Si sente anche il Sindaco
Qui termina la parte istruttoria della causa: come si vede, acrimonie, sospetti, accuse e minacce
sono gli elementi che caratterizzano questa vicenda. Non è neppure da escludere che lo sparatore
volesse soltanto spaventare don De Novis per indurlo ad andarsene da Cioccaro, ma per quanto
riguarda le indagini successive nulla sappiamo di preciso. Sta di fatto che non dovettero intervenire
fatti particolamente significativi. Il 16 aprile 1777 però, dovendosi chiudere il fascicolo
dell’attentato, venne interrogato il Sindaco di Penango, Giulio Cesare Biletta, che tra l’altro è anche
padre di quell’Emanuele che era uno dei principali sospetti.
"Sia noto a chi sia d’uopo essersi sin’ora sospeso il corso della presente causa sulla speranza che
potesse il presente Uffizio rinvenire prove per liquidare il reo e complici del delitto di cui ne’
presenti atti e dessiderando ora lo stesso Uffizio di ultimare la detta presente causa al cui Uffizio
fattosi precettare ad instanza del presente Fisco Giuglio Cesare Billetta Sindaco attuale del luogo
di Penango, al quale qui personalmente comparso si è deferto il giuramento che ha prestato toccate
corporalmente le Scritture in mani del predetto signor Prevosto e Vicario Foraneo Delegato,
monito prima della forza d’esso, ed Interrogato: se lui teste sappia o sia in qualche maniera
informato che sia seguita qualche novità nel cantone del Cioccaro fini del luogo di Penango la sera
delli dieci agosto dell’anno mille settecento settantacinque Rispose: è cosa pubblica e nottoria che
in detta sera circa le ore due di notte siano stati rillasciati due colpi d’arma da fuoco l’uno dentro
all’uscio della casa del Sant’Ufficcio attigua alla chiesa di San Vittore posta in detto cantone ed
allora abitata dal signor sacerdote Don Bartolomeo De Novis già capellano di essa e l’altro dentro
alla fenestra dalla parte opposta verso occidente per cui si diede campana a martello sul campanile
di detta chiesa Interrogato: se lui teste sappia od abbia sentito dire chi sia stato l’autore di detti
due sparri d’arma da fuoco Rispose: ho sentito più volte a dire che l’autore di detti sparri sia stato
il figlio del fu Simone Malaterra denominato Vincenzo e che per tall’effetto avendogli l’Ufficcio di
Penango formato il suo processo, sia quindi stato condanato ad una pena corporale che peraltro io
non saprei specifficare, sapendo soltanto di posittivo che da questa devesi essere liberato col
benefficio del generale indulto che per grazia speciale di Sua Maestà è stato rimesso in tempo per
poterne gioire".
Un colpevole alla fine si trovò, dunque. Si tratta del sospettato principale, ma anche stavolta, come
l’esperienza insegnerà anche in anni più recenti, un provvidenziale indulto rimise in libertà
l’attentatore e pose fine in definitiva a tutta la questione.
Le successive vicende del cappellano
Quando la causa si concludeva definitivamente, don Bartolomeo De Novis non era più cappellano
di Cioccaro. Nel settembre 1776 si era trasferito a Scurzolengo, già in diocesi di Asti, per svolgere
le mansioni di cappellano maestro di scuola. Ma anche qui pare che la sua condotta non sia stata
troppo irreprensibile. A Scurzolengo si sparse subito la voce che quella Francesca non fosse affatto
sorella del prete: qualcuno informò la Curia astense che indagò per bene. Risultò che colei si
chiamava in realtà Francesca Botta, era originaria di Trinità e moglie separata di un soldato.
Invaghitasi poi di Carlo Bontempo, che viveva da eremita nei pressi di Scurzolengo, i due
progettarono di fuggire per sposarsi, ma don Bartolomeo, temendo che si scoprisse il vero stato
civile della donna, lo impedì, contribuendo a rinfocolare i sospetti della gente. Nel successivo 1777
i due "fratelli" lasciarono anche Scurzolengo, trasferendosi prima a Novara, poi a Casale, quindi,
pare, a Borgo San Martino. Da allora si perdono le tracce di questo turbolento sacerdote, la cui
vicenda non poco scompiglio aveva gettato nella comunità di Cioccaro.
Uno scorcio delle antiche case di Cioccaro
Antonella Merletto
I GIUBILEI NELLA STORIA E NELLA CULTURA
Lo scorso 18 febbraio si è tenuta presso il salone della Biblioteca di Moncalvo una interessante ed
affollatissima conferenza corredata dalla proiezione di diapositive.
In questo articolo, la relatrice, arch. Antonella Merletto, ripropone la maggior parte del testo
esposto in quella serata, in particolare la cronistoria degli Anni Santi, dal primo, nel 1300, fino a
quello che si sta chiudendo agli albori del tanto decantato Terzo Millennio
.
Antonella Merletto, nata a Scarborough (Gran Bretagna), si è laureata in Architettura al
Politecnico di Torino nel 1986 e successivamente specializzata alla Scuola Archeologica Italiana di
Atene in Architettura Antica Greca e Romana 1989-1992.
Ha effettuato scavi dal 1989 al 1998 a Gortina (Creta).
Collaboratrice di Sovrintendenze e Università italiane per la stesura di rilievi archeologici.
Collaboratrice presso Case Editrici per disegni archeologici e traduzioni scientifiche.
Ha svolto mostre grafiche a Capriglio (Torino), Moncalvo, Roma, Napoli, Grecia.
Ha al suo attivo pubblicazioni archeologiche su varie riviste del settore.
Da quattro anni è Tour Director per viaggi in Italia, Medio Oriente e Nord Africa sia per
compagnie italiane che estere.
IL PRIMO GIUBILEO (1300)
IL GIUBILEO DI DANTE
La Porta Santa in San Pietro
Il giubileo venne a costituire il punto culminante
di due processi da tempo in atto: la
concentrazione su Roma e sui luoghi santi della
pratica devozionale del pellegrinaggio che aveva
perduto la possibilità di dirigersi in Palestina da
una parte, e la regolamentazione, da parte della
chiesa, della possibilità per i fedeli di intervenire
nel destino delle anime dei morti grazie alle
indulgenze, dall’altra.
Nella notte di Natale 1299 (Natale segnava
l’inizio del nuovo anno) una grande folla si
presentò a San Pietro: si era sparsa la voce che,
allo scadere del nuovo secolo, sarebbero state
concesse indulgenze di eccezionale generosità.
Per quanto quella voce non trovasse conferma
nella curia, i fedeli continuarono ad affluire a S.
Pietro cogliendo di sorpresa anche il papa,
Bonifacio VIII, che fece fare accurate indagini
d’archivio per verificare se qualcosa del genere
si fosse già proposto allo scadere dei cento anni
precedenti ma nulla fu trovato. La voce
continuava a diffondersi e, da tutta l’Europa,
continuavano ad affluire pellegrini facendo prendere sul serio al papa questa diffusa aspettativa di
una indulgenza plenaria così varò la bolla, cioè il documento ufficiale, chiuso da lacci rossi e
sigillato dalla bolla di piombo con la raffigurazione delle chiavi di S. Pietro e datato 22 febbraio
1300. La bolla fissava in almeno 30 le visite obbligatorie alle basiliche di S. Pietro e di S. Paolo, da
effettuarsi in altrettanti giorni, di seguito o intervallate. Per i forestieri le visite erano ridotte a 15. Il
testo della bolla, che promulgava il primo giubileo della storia, affinchè non se ne perdesse la
memoria, venne inciso su una lastra di marmo e murata nel portico della vecchia basilica di San
Pietro. Con una bolla successiva il papa escludeva dal beneficio coloro che erano ostili alla chiesa,
come il re di Sicilia Federico d’Aragona e i membri della famiglia Colonna, acerrimi nemici del
papa. L’indulgenza veniva invece estesa anche a coloro che, partiti per lucrarla, erano morti per
strada.
Generalmente i pellegrini non si limitavano ad adempiere agli obblighi prescritti per lucrare
l’indulgenza ma, approfittando del viaggio, non mancavano di visitare le rovine della Roma antica.
Pochi sapevano resistere al fascino dei souvenirs: potevano essere immagini sacre, antiche monete,
frammenti marmorei, commercio che i romani seppero sfruttare. Per gli abitanti l’anno santo fu un
anno felice, quasi tutti divennero economicamente più abbienti.
Il giubileo fu introdotto nella tradizione cristiana da un pontefice discusso, la cui fama negativa fu
amplificata da Dante, il quale nel Paradiso lo fa definire da San Pietro "quelli ch’usurpa in terra il
luogo mio". La celebrazione del primo giubileo della storia rappresenta per Bonifacio VIII nello
stesso tempo l’affermazione della concezione teocratica del papato e la consacrazione trionfale del
successo riportato sui suoi nemici, i Colonna, potenti e temibili rivali. Si disse anche che, essendo
ben nota la sua avidità di denaro, la celebrazione dell’anno giubilare costituisse una grande
operazione finanziaria.
Ma chi furono i pellegrini illustri di questo primo giubileo? La maggior parte fu di umile classe
sociale, mancavano principi e re e pellegrini arrivarono da tutte le parti dell’Europa, tranne che
dall’Inghilterra. La giustificazione della mancanza di teste coronate è probabilmente da vedersi nel
fatto che non volevano inchinarsi a quel papa così orgoglioso, che pretendeva l’omaggio feudale. Se
ci fu Dante non si è certi, tuttavia alcuni suoi riferimenti nella Divina Commedia, fatti legati alla
cronaca, fanno propendere per il si. Inoltre l’inizio dell’opera, la discesa del poeta nell’Inferno è
nella settimana santa dell’anno giubilare. Tra gli artisti pare certa la presenza di Giotto: a lui ed ai
suoi aiuti si attribuisce l’affresco ancora in parte visibile in San Giovanni in Laterano raffigurante il
papa che indice l’anno santo.
Il giubileo si chiuse il giorno di Natale 1300, con risultati decisamente positivi: la grande affluenza
di pellegrini aveva confermato la potenza della Chiesa e come ogni potere terreno discendesse
direttamente da Dio e il potere religioso e quello civile sembrava fondersi nella figura del papa.
Secondo alcune testimonianze il giubileo fu anche fonte di buoni guadagni: nella cronaca scritta da
un astigiano di nome Guglielmo Ventura, a Roma per le cerimonie conclusive del Giubileo, è
narrato l’episodio di due chierici addetti a rastrellare "denaro a non finire" giorno e notte davanti
alle tombe degli apostoli. Questi soldi "devotamente" raccolti, come dice il cardinale Stefaneschi,
furono anche "devotamente" spesi per acquistare terreni e case il cui reddito sarebbe stato utilizzato
per mantenere in ordine la Basilica di S. Pietro.
I GIUBILEI DELLO SCISMA
1350: un giubileo senza papa
Il secondo giubileo fu senza papa: Clemente IV risiedeva infatti ad Avignone, in Francia. Per 70
anni, dal 1305 al 1377, la sede pontificia fu spostata là, cosicchè i francesi poterono usare una forte
influenza. Roma era diventata una città quasi abbandonata, con una popolazione di poco più di
20.000 abitanti, in balìa delle lotte tra le famiglie patrizie. Le condizioni di miseria e di abbandono
fecero sorgere nei romani il desiderio di riavere il papa e di avere il giubileo nel 1350, abbreviando
la scadenza centenaria prevista dalla bolla di Bonifacio VIII, con la giustificazione che nessuno
viveva cento anni e tutti i cristiani avevano diritto al perdono dei peccati e di assistere, quindi, ad un
anno giubilare. Si recarono ad Avignone a perorare la causa personaggi della levatura di Francesco
Petrarca e Cola di Rienzo; Clemente VI a Roma non andò ma concesse il Giubileo con una
importante innovazione: l’indulgenza plenaria sarebbe stata concessa a chi, oltre a S. Pietro e S.
Paolo, avesse visitato anche S. Giovanni in Laterano. Questo giubileo non ebbe grande fortuna: una
vastissima epidemia di peste colpì circa un terzo della popolazione europea che ne morì. È la peste
descritta da Giovanni Boccaccio e costituisce la premessa del suo capolavoro il Decameron. A
rendere ancora più terribile questo flagello fu il fatto che la gente, nell’ignoranza del tempo, volle
trovare dei colpevoli di tanta disavventura e individuerà degli "untori" nelle persone degli ebrei
accusati di avere avvelenato i pozzi e le sorgenti d’acqua. In diverse parti d’Europa, soprattutto in
Germania, molti di loro furono condannati al rogo o cacciati dalle proprie case. Fu il papa a
prenderli sotto la sua protezione accogliendo i fuggitivi ad Avignone e decretando la scomunica
contro chi li avesse molestati. Roma non venne colpita in modo grave e i cittadini, in segno di
riconoscenza, costruirono la scalinata dell’Aracoeli in ringraziamento alla Madonna. Altra sciagura
colpì però la città: la mattina del 9 Settembre 1349, una forte scossa di terremoto provocò
moltissima paura ed ingenti danni, facendo crollare molti edifici già precari, tra cui il campanile di
S. Paolo e parte della Basilica di San Giovanni in Laterano. Nonostante le premesse e le
conseguenti pessimistiche previsioni, l’affluenza al giubileo da parte dei pellegrini fu di molto
maggiore al previsto e tutti i romani ne uscirono più ricchi. Visitatore di quel giubileo fu Francesco
Petrarca e a questa ricorrenza è legato uno dei più bei sonetti del Canzoniere in cui il poeta descrive
la partenza del vecchio pellegrino per Roma, dove sperava di vedere le sembianze di Gesù riflesse
nella Veronica.
Nel 1378 si cercò di riportare il potere a Roma, creando quel periodo noto come "il grande scisma"
cioè alla presenza contemporaneamente di due papi, uno a Roma ed uno in Francia, due
amministrazioni curiali, due collegi cardinalizi in contrasto tra loro per 40 anni. Era appena stata
diminuita da 100 a 50 anni la scadenza dell’anno giubilare che Urbano VI, papa residente a Roma,
decise che l’intervallo dovesse essere di 33 anni, come gli anni di Cristo, dal momento che la vita
media non raggiungeva i 50 anni. E proclamò anno santo il 1390, ma morì prima di poterlo
celebrare. Il suo successore, Bonifacio IX, si trovò di fronte ad una città eterna distrutta: lupi
vagavano di notte per quelle che erano state strade, le basiliche andavano vistosamente in rovina e
la strada che portava alla cattedrale di Roma, S. Giovanni in Laterano, era pressochè scomparsa,
nessuna sicurezza igienica. Per questi motivi il papa romano decise di diminuire la permanenza dei
pellegrini nella città da 30 a 15 giorni, e comunque non vi fu una grande affluenza perché il papa di
Avignone aveva proibito ai fedeli di prendervi parte. La bolla conteneva una novità: si doveva
anche visitare la basilica di S. Maria Maggiore, tenuto conto della parte singolarissima che la
Vergine aveva avuto nell’opera della Salvezza. Bonifacio IX indisse anche un Giubileo nel 1400,
senza bolla pontificia di promulgazione, con la scusa del centenario ma, in realtà, per raccogliere
nuovi fondi. L’eccessivo afflusso di pellegrini contribuì a diffondere la peste in maniera
impressionante, causando migliaia di morti. Questo fu detto il Giubileo dei "Bianchi" poiché molti
pellegrini erano vestiti con sacconi bianchi e una croce rossa dipinta sul petto che si battevano il
corpo con le fruste, invocando misericordia.
I GIUBILEI DEL XV SECOLO
In vista del giubileo del 1450, Niccolò V, con la consulenza di un grande architetto, Leon Battista
Alberti, preparò un piano di rinnovo urbanistico della città, primo nel suo genere. Si trattava di
opere finalizzate all’anno santo ma poi realizzate successivamente proprio grazie alle entrate
giubilari. Operò anche lo spostamento definitivo della sede pontificia dal Laterano al Vaticano.
Secondo Niccolò V, Roma doveva avvicinarsi per splendore alla Gerusalemme celeste, ed egli
pensava alla grandiosità degli edifici quali testimonianze e quasi opere dello stesso Dio. Con questa
immagine la Basilica di S. Pietro ed i palazzi vaticani diventano il fulcro della città. Durante il
giubileo si verificò, d’estate, la solita pestilenza, ma l’evento veramente funesto avvenne a
Dicembre quando, sul ponte di Castel S. Angelo, avvenne una terribile disgrazia e più di 170
pellegrini morirono chi annegato nel Tevere e chi calpestato dalla folla in panico e dagli animali.
Con questo papa lo sfarzo mondano acquistò nuova carica: le forze emergenti del Rinascimento
trovarono in lui un grande mecenate. Con questo spirito finanziò, con le entrate giubilari, l’acquisto
e la trascrizione miniata di testi antichi e contemporanei, prevalentemente di carattere teologico, che
andarono a costituire l’inizio della Biblioteca vaticana. Era fermamente convinto che, con il tempo,
la cultura non sarebbe stata riservata ai soli ecclesiastici ma "pro communi doctorum commodo"
cioè a vantaggio di tutti gli studiosi.
Nel 1470 gli intervalli per gli anni giubilari furono ulteriormente ridotti a 25. Quindi venne
celebrato nel 1475 da Sisto IV, papa odiato per la sua cattiveria e cupidigia da tutto il popolo. In
realtà questo giubileo fu la motivazione ufficiale che gli permise di attuare i suoi piani di totale
rinnovo urbanistico ed architettonico della città: fece riparare tutte le grandi basiliche romane, fece
costruire il Palazzo della Cancelleria, Santa Maria del Popolo e tante altre, fece allargare e lastricare
le strade e fece costruire un nuovo ponte il Ponte Sisto. Ma più famosa di ogni altra rimane l’opera
della Cappella Sistina. Furono chiamati tutti i più illustri pittori del tempo: Perugino, Botticelli,
Ghirlandaio, Signorelli. Fu anche il primo giubileo celebrato dopo l’invenzione della stampa,
avvenuta a opera di Gutemberg, e la bolla fu stampata e inviata ovunque nel mondo cristiano,
furono anche stampate le prime guide di Roma chiamate Mirabilia. Tuttavia pochi furono i
pellegrini che vennero a Roma quell’anno: le guerre avevano reso insicuri gli spostamenti, si erano
aggiunte le sciagure naturali, il Tevere straripò e sommerse la città con fango ed acqua ed infine la
peste. Alla fine di quell’anno i prezzi erano insolitamente bassi: le provviste previste per un grande
afflusso di persone non erano state consumate e dovevano esser vendute a qualunque costo.
Clemente V apre la Porta Santa nel 1675
I GIUBILEI DEL XVI SECOLO
Il papa al volgere del secolo era Alessandro VI, il catalano Rodrigo Borgia.
Sapeva che, in prossimità di ogni giubileo, si diceva che nella basilica di San Pietro vi fosse
nascosta una porticina d’oro piccola e stretta, intorno alla quale si intrecciavano varie leggende.
Alcuni dicevano che proveniva dal palazzo di Pilato, altri da quello dell’imperatore di
Costantinopoli. Il potere di questa soglia era immenso: chi la varcava, anche se macchiato di
omicidio, veniva liberato da ogni colpa e, proprio per questo, nei secoli passati, i papi l’avrebbero
fatta murare. Egli prese sul serio le voci e fece cercare la porta senza trovarla. Era però consapevole
della sua potenza simbolica "Io sono la porta, chi entrerà attraverso me sarà salvo.." aveva detto
Cristo. Il tempio di Gerusalemme, secondo la tradizione, era stato costruito al punto d’intersezione
tra cielo e terra e la porta del tempio costituiva un varco di grande importanza simbolica, cioè un
passaggio per il paradiso. Roma, ormai sostituta di Gerusalemme, necessariamente doveva avere
tale porta e quindi il papa costruì il nuovo rito di apertura dell’anno giubilare. Individuata una porta
poco frequentata sulla facciata della basilica, egli la fece preparare per la cerimonia in sei giorni,
prima dell’inizio dell’anno giubilare. Il piccolo varco laterale nella facciata di San Pietro fu
ampliato e decorato per divenire la porta santa e venne poi murato: a ogni inaugurazione il papa
avrebbe personalmente abbattuto il muro per ricostruirlo alla chiusura dell’anno. Fece aprire delle
Porte sante anche nelle altre tre basiliche giubilari, San Paolo, San Giovanni e Santa Maria
Maggiore: qui il rito di apertura e chiusura sarebbe stato officiato da un cardinale scelto dal papa, in
contemporanea all’apertura di quella di San Pietro. Attraverso queste porte i pellegrini sarebbero
entrati per lucrare l’indulgenza, vivendo così concretamente l’apertura del paradiso, cioè il
passaggio simbolico a uno stato di purificazione. Alessandro VI fu il primo papa a volere che il
giubileo fosse chiamato anno santo e si impegnò a dare una particolare solennità alle cerimonie
giubilari, facendo preparare un nuovo cerimoniale, sia per le preghiere della funzione liturgica, sia
per i riti della cerimonia di apertura e di chiusura. A tal compito destinò il suo maestro di cerimonie
Johannes Burckardt, detto il Burcardo, che scrisse un Diario, testimonianza insostituibile della vita
di quel tempo.
Gli altri giubilei del secolo non lasciarono tracce importanti anche perché altri eventi ebbero la
precedenza tra cui il sacco di Roma nel 1527 ad opera delle truppe imperiali: italiani,
lanzichenecchi (mercenari tedeschi), e spagnoli misero a ferro e fuoco la città non curandosi del
valore simbolico e religioso dei luoghi e di molta dell’arte, soprattutto i tedeschi che non avevano
alcun legame e rispetto per la religione cristiana essendo luterani e anti-papisti.
Nasce nella seconda metà del Cinquecento la celebre visita alle sette chiese, poi tradizione legata
anche all’evento giubilare, ad opera di Filippo Neri. Egli, a partire dal 1552, organizzò
ufficialmente una gita ai più importanti luoghi di culto dell’urbe: aveva iniziato in perfetta
solitudine, ma col passare degli anni divenne un’attività perfettamente organizzata. Il percorso si
snodava per sedici miglia da compiersi in due giorni e comprendeva, di solito, la visita di San
Pietro, S. Paolo fuori le mura, S. Sebastiano, S. Giovanni in Laterano, Santa Croce in Gerusalemme,
S. Lorenzo e Santa Maria Maggiore: quando i lavori di restauro non permettevano la visita di una o
più di queste basiliche, si organizzava la visita ad un’altra chiesa, il più delle volte S. Maria in
Trastevere. Ancora oggi non può sfuggire il successo dell’iniziativa: il Neri, uno dei più fervidi
sostenitori dell’unione tra sacro e dilettevole, riuscì a legare il culto dei santi alle viste dei luoghi
artistici ed archeologici più imponenti della città. La lunga passeggiata era alleggerita da canti e
preghiere alternate a lunghe pause di riflessione e silenzio.
Si arriva così al giubileo del 1575, con il papa Gregorio XIII che doveva segnare un’epoca nuova
essendo quello appena dopo il Concilio di Trento dove la Chiesa, rispondendo agli attacchi dei
riformati luterani, cercava di riportare la vita religiosa ad una più austera spiritualità. Il giubileo era
stato preceduto da restauri a chiese e strade; vennero risistemate la Scala Santa con il Sancta
Sanctorum, vennero dipinti nuovi affreschi nella Basilica Lateranense celebranti Roma come città
della concordia e dell’unità della Chiesa. Ogni celebrazione venne spettacolarizzata per mostrare il
trionfo della chiesa. Tale fu la quantità di persone partecipanti all’apertura della porta santa che
diciassette persone morirono nella ressa. A ogni pellegrino vennero distribuite indulgenze, medaglie
e sacre immagini, mentre la permanenza nella città, dato l’eccezionale afflusso, fu ridotto da 30 a 5.
In pellegrinaggio giunsero personaggi come Carlo Borromeo, massimo rappresentante dei lombardi
che costituirono il maggior numero di pellegrini italiani: Alessandro Farnese, Marcantonio Colonna.
Gli antichi riti di ostensione delle reliquie vennero rinnovati ma ai pellegrini veniva insegnato
soprattutto a dare importanza alla confessione e alle funzioni liturgiche a cui si presenziava
collettivamente, mentre il ruolo dei romani, tutti investiti dei compiti di accoglienza, si faceva
sempre più importante. Il Papa potè dirsi soddisfatto dell’affluenza di circa 400.000 pellegrini in
quell’anno santo.
A questo primo giubileo della Controriforma seguirono altri otto giubilei regolarmente celebrati
ogni 25 anni: quattro quelli nel ‘600 tutti più o meno solenni e sfarzosi. Ritornava la gioia di vivere
e Roma si era trovata in un grande teatro, perennemente percorsa da processioni e cortei, da
pittoreschi ingressi in città di principi e ambasciatori, da funerali fastosi ed imponenti, da cupe
teorie di flagellanti. Sorsero numerosissimi conventi da far dire al Bernini che il loro numero quasi
eguagliava quello delle altre case. Un grande fervore edilizio ecclesiastico animava la città dei papi
ed un enorme numero di cupole si innalzava nel cielo di Roma. La Chiesa prostrata dal Sacco e
umiliata dalla riforma luterana si prendeva ora la sua rivincita era il tempo della chiesa trionfante.
Accanto alle chiese sorgevano fastosi palazzi, fontane piazze e splendide ville: era la Roma Barocca
che attirò i più importanti artisti del secolo, attratti anche dal nepotismo papale e dei cardinali,
famoso tra i molti Scipione Borghese. Al Giubileo del 600 viene a lavorare il grande Caravaggio, e
sempre nel 600 suscita ammirazione la grande cupola di San Pietro, che su progetto di
Michelangelo, era stata finalmente ultimata, nel 1625 si inaugura l’interno della chiesa e nel 1675 il
colonnato della piazza ad opera del Bernini. A partire dal 1600 di fronte ad ogni basilica viene posto
un obelisco a cui è legata una indulgenza: chi dopo essersi confessato e comunicato, vi passa
davanti e prega per il felice stato della santa chiesa e per il pontefice, può lucrare 10 anni e 10
quarantene.
È proprio Bernini il grande artefice della nuova immagine sontuosa e festosa della città sacra: fece
innalzare la Fontana dei Quattro Fiumi a Piazza Navona, quella del Tritone, a cui si aggiungono
palazzi, cappelle e statue come quelle su Ponte Sant’Angelo. Per il 1650 Innocenzo X realizzò il
restauro di San Giovanni in Laterano, affidandolo al Borromini a cui ordinò di preservare il più
possibile l’antico. In questo sontuoso scenario venivano celebrate con eccezionale pompa le
processioni che segnavano le principali feste religiose dell’anno, per le quali gli stessi architetti che
stavano arricchendo Roma di edifici barocchi- come Bernini e Fontana- preparavano sfarzose
macchine processionali, destinate a durare per un solo giorno. Ma il palcoscenico romano non
prevedeva solo trionfi: il 17 febbraio 1600, anno santo, a Campo de’ Fiori venne celebrato l’epilogo
di un famoso processo durato 8 anni, quello a Giordano Bruno, frate domenicano accusato di eresia
ed ateismo. A 52 anni, dopo una vita avventurosa ed errabonda, salì gli scalini della pira dove venne
arso vivo. Davanti alla Basilica di San Pietro furono bruciati i suoi libri, quelli sull’arte della
memoria che per la prima volta parlavano di universo infinito.
La sorveglianza esercitata sui pellegrini - si temeva sempre che, fra loro, si nascondesse qualche
eretico- permetteva di scoprire grandi personaggi giunti in incognito per provare la loro umiltà. Nel
1600 venne smascherato il cardinale Andrea d’Austria, nipote dell’imperatore, che, riconosciuto,
venne portato in Vaticano con la pompa che gli spettava, ed esaltato per la sua modestia; così fecero
altri aristocratici e prelati. Vestita da penitente scese a Roma anche l’Infanta Margherita di Savoia,
figlia di Carlo Emanuele II e Caterina d’Austria, nel 1650.
I GIUBILEI DEL XVIII SECOLO
Già verso la fine del secolo precedente il Giubileo aveva perso parte del suo potere di richiamare a
Roma le classi colte dell’Europa. Le èlite europee si andavano secolarizzando ed il viaggio in Italia
assumeva importanza solo all’interno di un percorso culturale ed archeologici che escludeva gli
aspetti religiosi o li ammetteva solo come curiosità antropologiche. Roma costituiva la tappa
centrale di un grand tour che comprendeva anche Firenze e Venezia e che, per i ceti più alti, era
diventato prettamente educativo. Si pensava che la conoscenza delle rovine di Roma, delle sculture
di Michelangelo e Bernini, le pitture del Raffaello, del paesaggio toscano offrisse una straordinaria
esperienza estetica, tale da affinare la sensibilità intellettuale ed artistica del viaggiatore. Si affianca
un atteggiamento più critico e disincantato nei confronti della realtà che si osserva: miracoli,
superstizioni, leggende sono al centro di questa denuncia ironica e sarcastica. Nelle parole di questi
intellettuali viaggiatori, il cattolicesimo è segnalato come fenomeno di ignoranza, fanatismo ed
intolleranza, mentre la chiesa viene additata come un’istituzione che conserva tradizioni inutili ed
oscuri pregiudizi. Colpisce soprattutto la scarsa vocazione al lavoro che rivela la popolazione dello
stato pontificio, la sua burocrazia incapace e corrotta, il contratto fra lo sfarzo delle classi elevate e
la grande indigenza del popolo. La risoluzione della miseria è lasciato completamente in mano alla
beneficenza. I viaggiatori guardano scandalizzati- e non più ammirati- la fastosità delle cerimonie
religiose, in cui lo spettatore si confonde con la fede. In questo clima, le cerimonie dell’Anno Santo
diventano, più che altro, fonte di curiosità. L’atteggiamento dei romei sostituito da uno sguardo
divertito e sarcastico. Si denuncia la mondanità delle cerimonie, il loro carattere fatuo, nonché il
fine puramente lucrativo che ne sarebbe l’origine. Le cerimonie più seguite sono quelle di apertura e
di chiusura della Porta Santa, che impressionano ancora per la grandiosità dell’evento, anche se i
resoconti degli stranieri contengono spesso anche una critica dissacrante della celebrazione: John
Moore, a Roma nel 1775, definisce il papa Bonifacio VIII "superbo e vanaglorioso" perché cercava
di inventare qualcosa che avrebbe al tempo stesso immortalato il proprio nome insieme a quello di
Roma e che il Giubileo aveva condotto a Roma un gran numero di "facoltosi peccatori", cosa che
avrebbe garantito "una straordinaria circolazione di denaro in tutti i domini pontifici". Un quartiere
di Roma, intorno a Trinità dei Monti, diviene l’isola degli stranieri quasi sempre artisti- che
decidono di vivere lì per qualche anno, per studiare arte ed archeologia. La maggior parte di loro,
tedeschi ed inglesi, è protestante e manifesta un ostentato disinteresse nei confronti della vita
religiosa della città sacra. Molti ritenevano che l’ozio romano fosse determinato da una radicata
tradizione assistenziale, a sua volta favorita dai fiumi di denaro che, almeno in passato, riceveva dal
mondo cristiano. Una tradizione che viene iniziata in occasione dell’anno giubilare del 1750 è la
Via Crucis all’interno del Colosseo. Per la prima volta in questo anno viene eretta all’interno
dell’edificio, ritenuto erroneamente sede delle grandi persecuzioni cristiane, una enorme croce per
celebrare questo ricorso: se non altro fu preservato l’edificio che da altri papi era stato considerato
superfluo e degno di distruzione o riutilizzo. Il protagonista di questo Giubileo fu frate Leonardo:
chiamato a Roma dal papa, era il predicatore del momento con seguaci e folle sempre pronte ad
ascoltarlo. E fu lui che decise che il Colosseo doveva essere sede della ricorrenza della via Crucis a
memoria del martirio dei primi cristiani.
I GIUBILEI DEL XIX SECOLO
Nel 1800 il Giubileo non venne celebrato: nel 1799 era morto il papa, Pio VI, in esilio in Francia
dove era "prigioniero di Stato" della Repubblica francese. Erano tempi bui per la Chiesa: trionfava
in tutta l’Europa la secolarizzazione e l’anticlericalismo.
Il Giubileo proclamato da Leone XII nel 1824 si poneva all’insegna del passato, di un ritorno alla
religiosità di tipo medioevale e un coinvolgimento sentimentale nella fede: il ritorno al passato
paleocristiano in chiave erudita ed archeologica, riguadagnava il centro della cultura cattolica ma
questa volta come romantico rimpianto dei tempi in cui la passione religiosa era ancora forte. Le
catacombe, per tutto il 1800 furono sottoposte a ricerche intense di corpi di nuovi martiri, con il
rischio di favorire il culto di nuovi santi poco documentati storicamente. Tuttavia, benchè Stendhal
scrisse "…il giubileo che una volta riuniva a Roma 400.000 pellegrini di tutte le classi, non ha
radunato che 400 mendicanti nel 1825. Bisogna affrettarsi a vedere le cerimonie di una religione
che o si modificherà o dovrà spegnersi….tutto qui è decadenza, tutto è ricordo, tutto è morte…",
vennero a Roma più di cinquecentomila pellegrini tra i quali principi europei ed italiani. Valadier fu
incaricato di restaurare Piazza del Popolo con le terrazze verso il monte del Pincio.
Questo fu l’ultimo giubileo della Roma dei Papi e l’unico importante del XIX secolo. A partire
dalla rivoluzione francese, la Chiesa si era trovata in una posizione molto difficile e decisamente
nuova: doveva confrontarsi con un numero sempre crescente di persone che mettevano in dubbio
niente di meno che l’esistenza stessa di Dio. Questa condizione, a cui si aggiungeva la difficile
situazione politica dello Stato della Chiesa e di Roma nel corso del 1800, impedì la celebrazione del
Giubileo sia del 1850 che del 1875. In tali occasioni Pio IX, dichiarando che gli era impossibile
celebrare il giubileo per "la luttuosa ragione dei tempi", promulgò ugualmente un perdono generale,
senza che fosse necessario un viaggio a Roma. Per la prima volta nella storia, l’indulgenza veniva
promulgata nello stesso tempo tanto a Roma, per chi avesse visitato le basiliche, quanto in tutto il
mondo, per chi avesse compiuto atti di pietà equivalenti. Nel 1870 c’era stata la breccia di Porta Pia
e la fine del potere temporale dei Papi: il papa si era ritirato nei palazzi apostolici in Vaticano e non
voleva avere nessun contatto con gli usurpatori piemontesi. Nella "intollerabile situazione" non era
possibile pensare ad un giubileo: venne indetto, ma senza le solenni celebrazioni di apertura e
chiusura della Porta Santa.
I GIUBILEI DEL XX SECOLO
Il giubileo del 1900 venne indetto nonostante la perplessità ed i timori di molti: i rapporti tra lo
Stato Italiano e la Santa Sede restavano tesi e si temevano turbolenze e disordini. Andò invece tutto
bene, a parte qualche momento di inevitabile tensione. Il vecchio papa, Leone XIII, novantenne,
aveva voluto officiare personalmente le solenni e faticose celebrazioni di apertura e chiusura della
porta santa. I pellegrini furono abbastanza numerosi anche se non in numero così elevato come si
pensava: ne giunsero circa 300.000. Per la prima volta il mezzo di trasporto più usato fu il treno.
Giovanni Pascoli compone, in onore del Giubileo, "Inni e Odi" in cui vi è la poesia dedicata al papa
dal titolo "La Porta Santa". Altro grande successo editoriale di quest’anno è il "Quo Vadis?" di
Sienkiewcz.
Papa Leone XIII
Dal canto suo il Governo Italiano accolse il Giubileo come un’occasione di dimostrare al mondo
che il papa a Roma era veramente libero e anche il re, nel discorso alla corona nel 1899 si pronunciò
in tal senso. Sempre nel 1900 la massoneria aveva cercato di organizzare un contro pellegrinaggio
laico, per visitare le quattro basiliche laiche: il Pantheon, tomba di Umberto I, il Gianicolo, luogo da
dove i garibaldini avevano iniziato l’attacco al Vaticano, Porta Pia, dove era stata fatta la breccia
per l’entrata a Roma e il Campidoglio, dove risiedeva il sindaco Ernesto Nathan, Gran Maestro
della Massoneria. Si era inoltre festeggiato con particolare solennità il 20 Settembre, anniversario
della presa di Roma.
Il giubileo del 1925 cadde in un momento politico molto difficile: aveva preso il potere Mussolini,
verso il quale molti cattolici nutrivano profonde diffidenze. Il papa era Pio XI e mentre l’affluenza
di pellegrini da altri continenti era in continuo aumento, nella società occidentale andavano
rafforzandosi sempre più ideologie anti-cristiane: ai vecchi massoni di un tempo, ai liberali ed ai
socialisti dall’anticlericalismo duro e puro, si sostituivano ora i comunisti. Alla fine dell’Anno santo
il Vaticano dovette ammettere che "la Russia è stata l’unico territorio del vecchio e del nuovo
continente ad essere totalmente assente dalle celebrazioni dell’Anno Santo".
Ma la Chiesa poteva contare sulla conversione di molti popoli da paesi lontani convertiti dai
missionari e l’evento principale del giubileo divenne la grande mostra missionaria. Fu comunque un
evento l’illuminazione, per la prima volta, della cupola di San Pietro.
Nel 1950 papa era Pio XII, papa Pacelli, e chiamò il giubileo come l’anno del grande perdono e del
grande ritorno. Veniva a cadere in un contesto internazionale abbastanza allarmante dominato dalla
guerra fredda e da una crescente tensione. L’umanità non si era ancora ripresa dagli apocalittici
disastri della seconda guerra mondiale e la cortina di ferro era scesa a dividere in due l’Europa con
ideologie contrapposte: da un lato i paesi occidentali schierati con l’America dall’altra i paesi
orientali schierati con l’URSS. Nella primavera del 1949, quando il papa aveva indetto l’anno santo,
si stava firmando il patto atlantico, un momento che aveva creato tensioni e polemiche. Tuttavia per
l’afflusso dei pellegrini alla città eterna si battè ogni record precedente: 2.500.000 presenze e fu
detto il giubileo delle moltitudini. I pellegrini giungevano a Roma con ogni mezzo nonostante la
grave crisi economica. Era corsa voce che anche il principe Vittorio Emanuele, incappucciato e con
il saio, avesse clandestinamente varcato la frontiera italiana per lucrare l’indulgenza e nel mese di
Maggio era arrivata anche Carmencita Valverde, figlia di Franco. Tuttavia la caratteristica per cui fu
ricordato questo Giubileo è per l’alto numero di pellegrini giunti a Roma a piedi, la cosa era
chiaramente strana nel secolo dei trasporti pubblici e privati. E quelli che giunsero a piedi non erano
sempre persone povere ma anche persone che si sarebbero potute permettere costosi mezzi di
trasporto: per esempio un americano che, sbarcato a Lisbona, aveva poi raggiunto il Santuario di
Fatima e quindi a piedi Roma, impiegandoci due mesi. Altre stranezze, tutte documentate dai
registri di accoglienza: gente arrivata in canoa, carrozzelle per invalidi trainate da cani e una
contessa tedesca arrivata a cavallo dopo 22 giorni di viaggio. Uno studente di Helsinki partito a
piedi a luglio e giunto a Roma a novembre; un minatore belga era arrivato con il figlio miracolato: a
piedi era andato a Lourdes, poi era arrivato a Roma e, sempre a piedi, era poi tornato a Bruxelles.
Da Albenga un signore parte a piedi portando a spalle una grossa croce, il suo pellegrinaggio era per
ringraziare Dio di una miracolosa guarigione di cui era stato protagonista. E il vescovo di Albenga
commenta
"Bronchiardo Giovanni, è partito dando buon esempio di fortezza cristiana, tanto più notevole, se
si pensa alla sua vita da meccanico che, dal lato religioso, lasciava a desiderare".
Naturalmente chi giungeva a piedi rifiutava il ritorno in treno come la signora di Torino che disse
"sono vedova di ferroviere se volevo il biglietto gratuito lo avevo già..".
Stranezze anche di abitanti di Roma, come il banchiere che per i 365 giorni dell’anno santo, tutte le
mattine prima dell’alba, prima di andare al lavoro faceva il giro delle 7 basiliche giubilari,
presentandosi poi in perfetto orario al lavoro.
Due eventi particolari fecero arrivare a Roma molti pellegrini: la canonizzazione di Santa Maria
Goretti, di Domenico Savio e la proclamazione del dogma dell’Assunzione di Maria al cielo.
Fu scolpita la nuova Porta Santa dallo scultore Vico Consorti, interamente in bronzo, e per la prima
volta, la cerimonia di apertura fu anticipata alla mezzanotte del 24 Dicembre anziché alla mattina di
Natale.
Tra le curiosità: il Monopolio fece uscire le sigarette "Anno Santo" e un ingegnoso commerciante
inscatolò l’aria di Roma.
Il Giubileo del 1975 fu indetto da papa Paolo VI dopo lunga e dolorosa riflessione. Autorevoli
membri della Chiesa e lo stesso pontefice si erano posti il problema di indire il Giubileo, dopo la
celebrazione del Concilio Vaticano II, che aveva richiamato il popolo cristiano ad una religiosità
più aperta alle altre confessioni e meno trionfalistica ed esteriore. L’Anno santo, pur volendo essere
un evento "interiore", ebbe un grande successo. Fu questo il primo Anno Santo in cui le cerimonie
di apertura e chiusura della Porta Santa furono trasmesse in Mondovisione e viste da più di un
miliardo e trecento milioni di persone nel mondo.
Ci sono stati i Giubilei straordinari: sono di minore importanza e limitati nel tempo, l’ultimo, quello
del 1983, indetto da papa Giovanni Paolo II.
IL GIUBILEO DEL 2000
Giovanni Paolo II, nell’annunciare il nuovo giubileo nella lettera apostolica "Tertio millennio
adveniente" scrive:
"La Porta santa del Giubileo del 2000 dovrà essere simbolicamente più grande delle precedenti,
perché l’umanità, giunta a quel traguardo, si lascerà alle spalle non soltanto un secolo ma un
millennio… È bene che la Chiesa imbocchi questo passaggio con la chiara coscienza di ciò che ha
vissuto nel corso egli ultimi 10 secoli.."
Pur dichiarandosi consapevole dell’approssimazione del computo cronologico, che non corrisponde
perfettamente all’anno di nascita di Cristo, il papa ha scelto comunque questa data simbolica per
fare un bilancio del millennio di storia cristiana trascorso, e insieme dell’ultimo secolo di vita della
Chiesa.
La bolla di indizione del 1998 afferma che la celebrazione sarà contemporanea in tutto il mondo ma
avrà due centri: Roma e la Terrasanta. Il papa poi auspica un ulteriore progresso nel dialogo con le
altre religioni mussulmani, ebrei e cristiani, invitando a partecipare alla "grande festa" i "seguaci di
altre religioni, come pure quelli che sono lontani dalla fede di Dio".
Giovanni Paolo II chiede che vengano ridotti, se non addirittura cancellati, i debiti internazionali dei
paesi del terzo mondo, in coerenza con l’anno di misericordia del Signore. Vi è un aperto richiamo
al Levitico e alla legge ebraica.
BIBLIOGRAFIA
L. SCARAFFIA, Il giubileo: Nella Roma dei papi, la storia di principi e pellegrini alla ricerca della
salvezza eterna, Bologna, 1999.
G. NISIO, Il grande giubileo del 2000. Storia e Curiosità dal primo Anno Santo del 1300, Castel Gandolfo,
1997.
C. PELUSO, Il Sacro a Roma e in Vaticano. Meraviglie Miracoli Misteri, Roma, 1999.
A. PAITA, La vita quotidiana a Roma negli anni santi, Milano, 1999.
C. RENDINA, I papi. Storia e segreti, Roma, 1983.
Anno Santo 1950: lo scrittore Piero Bargellini e don Angelo Verri
arrivano a Roma a piedi, provenienti da Firenze
Corrado Camandone
VITALISMO IMPLICITO: LINEAMENTI DI UNA FILOSOFIA DELLA VITA
(prima parte)
Ai Lettori di "Pagine Moncalvesi" il nostro Collaboratore, filosofo e comunicatore di grande
efficacia, propone, suddiviso in più puntate, un suo interessante saggio, che per la profondità di
pensiero e la semplicità di esposizione fornirà validi spunti di riflessione sull’ineffabile mistero
della vita.
Capitolo primo - Vita: valore fondamento di tutti i valori
Tutti parliamo tranquillamente di tempo
spazio e c’intendiamo benissimo. Eppure
gli spiriti più eletti, le menti più acute
quando si sono poste la domanda su che
cosa sono il tempo e lo spazio si sono
smarrite. Semplici idee? Il tempo e lo
spazio sono finiti (segmento di retta ), o
infiniti (retta)? Nonostante l’incertezza
sulla loro natura, noi abbiamo, del tempo
e dello spazio un concetto sufficiente per
progettare nel tempo le nostre azioni e
collocare nello spazio le nostre persone e
le nostre cose. La stessa posizione noi
abbiamo di fronte al concetto-valore
"vita". È molto probabile che tutte le
persone, in un momento o nell’altro della
loro esistenza, si pongano la domanda:
"Cos’è la vita?". La risposta può essere un
silenzio che significa: "La vita è un
mistero insondabile". Oppure può essere
una
definizione
improvvisata,
insignificante; oppure una risposta frutto
di serie meditazioni e lunghi studi. Un
vocabolario di uso comune dedica mezza
pagina per definire il termine "vita". Una buona enciclopedia filosofica dedica tredici fittissime
pagine per definire lo stesso termine, e nella bibliografia cita centinaia di opere antiche e moderne
che cercano di spiegare cos’è la vita. Definire cos’è la vita è ancora più difficile che definire cosa
sono il tempo e lo spazio. Tuttavia abbiamo della vita un concetto sufficiente quando parliamo di
essa e sufficiente per ritenere la vita un valore positivo, da apprezzare, difendere, conservare,
incrementare nel modo migliore. Il concetto "vita" si chiarisce nel confronto con il concetto "morte"
: Col primo s’intende un complesso di attività coordinate da un principio interno dell’essere vivente;
col secondo s’intende la cessazione di queste attività e la dissoluzione del vivente, si tratti di
vegetale, animale o uomo. L’antica definizione della vita: vivere est sese movêre è sempre valida.
Infatti per sapere se un uomo è vivo o morto osserviamo se qualcosa in lui si muove o no: un dito, il
respiro, il battito del cuore, l’attività cerebrale rilevata con l’elettro-encefalogramma. Che la vita sia
un valore positivo, fondamento di ogni altro valore è un principio, norma o istinto connaturato alla
realtà umana, anche se il soggetto agente non ha conoscenza chiara ed esplicita del principio. Come
il più rozzo e incolto agricoltore usa la zappa per rompere le zolle (colpo di zappa = causa; rottura
della zolla = effetto) senza mai aver riflettuto sulla natura e i rapporti causa effetto, così tutte le
azioni umane, anche di chi non possiede la nozione di valore-vita, sono dirette a riconoscere e
conservare questo valore. La struttura stessa e il complesso dinamismo del nostro corpo sono
armonizzati con questo principio: le palpebre proteggono gli occhi, le mani sono predisposte per
proteggere qualunque parte del corpo minacciata, le ferite si rimarginano, molte malattie
guariscono, il fegato si rigenera. Per questo l’oggetto della nostra riflessione è stato definito
"vitalismo implicito"
Nella corrente filosofica del vitalismo hanno avuto particolare risalto le speculazioni di
Schopenhauer, Nietzche, Diltey, Simmel, Bergson, Klages, Ortega, Unamuno, ma nessuno a posto
il valore "vita" a fondamento di tutti gli altri lavori. Come Parmenide ha fondato la sua filosofia sul
concetto di essere, Eraclito sul concetto di divenire, Cartesio sul cogito, Leibniz sulla monade,
Schopenhauer sulla volontà, Shaftesbury sul sentimento, così possiamo fondare una filosofia sulla
vita, nel senso di Weltanschauung. Una filosofia fondata sul valore "vita" ha lo scopo di rendere
esplicito ciò che è implicito nella natura umana, al fine di proteggere il valore vita da ogni offesa o
distruzione e migliorare le condizioni della vita stessa, in tutti i modi e a tutti i livelli.
In ogni tempo la vita è stata oggetto del più grande amore e dell’ odio più implacabile. La nostra
riflessione ha lo scopo di dare un fondamento più sicuro all’atteggiamento di amore, protezione,
incremento, elevazione della vita e di dimostrare l’errore, l’irragionevolezza, l’illegittimità di ciò
che in qualche modo è a danno della vita. È autentico e positivo tutto ciò che è a favore della
vita; illegittimo, negativo, disumano tutto ciò che è contro la vita.
Che la vita sia un valore risulta evidente da alcune semplici considerazioni. Una nascita è definita
"lieto evento", perchè un essere ha iniziato la sua vita. Si festeggiano i compleanni che
rappresentano parti della nostra vita che si aggiungono alle precedenti. Si ritiene fortunato chi
giunge a tarda età e si festeggiano i pochi che raggiungono i cento e più anni. La morte viene
definita "perdita". Ci colpisce la morte di un giovane perchè si pensa che sia stato privato di tanti
anni di vita. Tutti questi fatti di costume presuppongono l’adesione al principio che la vita è un
bene, un valore positivo. Vi sono dei fatti che sembrano dimostrare il contrario di ciò che più sopra
è stato affermato, cioè che tutte le azioni umane, anche di chi possiede la nozione di valore-vita,
sono dirette a riconoscere e conservare questo valore. Per esempio quando viene praticato un aborto
o un neonato viene soppresso o abbandonato, certamente il valore vita non è stato rispettato; ma
all’interno di questi atti moralmente inaccettabili, c’è, almeno come movente, l’istinto o la volontà
di proteggere o non peggiorare un’altra vita. Il bambino generato, ma non voluto, crea problemi di
vario genere che rendono più difficile di chi l’ha dato alla luce; quindi si sacrifica una vita per
favorirne un’altra. Il fatto dell’isterectomia dell’utero gravido canceroso è ammesso in sede morale
in base al principio di duplice effetto, cioè quando da un’azione derivano contemporaneamente due
effetti, uno positivo e uno negativo, si può porre l’azione avendo di mira l’effetto buono. Quindi
con una stessa azione si rifiuta e si protegge il valore-vita. Qualcosa di simile può verificarsi anche
nel suicidio; si ha un’idea così grande della vita, come valore e somma di valori, che non si può
sopportare che sia ridotta a un semplice contenitore di sofferenze insostenibili. Che la vita sia un
valore assoluto e necessario, nel senso che non può essere valore, è come un primo principio, che lo
si afferma anche quando lo si nega.
Capitolo secondo - Vita come fonte, stimolo e oggetto della speculazione.
È ovvio che la vita precedente logicamente la conoscenza: non è possibile alcuna forma di
conoscenza senza la vita. La vita precede la conoscenza anche cronologicamente. Nell’embrione c’è
già un individuo della specie umana e non sappiamo quale forma di conoscenza abbia. Però
sappiamo che il feto reagisce a stimolazioni e a sensazioni in qualche modo percepite. Il neonato ha
subito l’esperienza di sensazioni quali la luce, il caldo, il freddo, la fame a livello di istinto.
Col passare del tempo imita le parole suggerite dai genitori, poi associa alle parole l’immagine degli
oggetti corrispondenti e così apprende il linguaggio. All’età di circa sette anni è in grado di riflettere
sulla natura del linguaggio come corrispondenza tra parola e oggetto a cui si riferisce. Le sensazioni
del neonato non sono speculazioni, ma l’inizio del processo della conoscenza, se è vero che nulla
raggiunge il nostro intelletto se prima non ha raggiunto i nostri sensi. Quindi la vita è il presupposto
di ogni forma di conoscenza. Inoltre la vita è l’oggetto implicito o esplicito di ogni forma di
conoscenza. Anche il concetto di morte è
percepito e chiarito come negazione della vita.
Quindi il concetto di morte esige la conoscenza
del concetto di vita. Questa affermazione è
inaccettabile da chi pensa che il cosmo sia
composto da esseri viventi e non viventi. Ma se si
accetta la definizione di vita come "movimento
non comunicato, originatosi dallo stesso essere",
si deve concludere che ogni tipo di conoscenza è
conoscenza della vita. Infatti se è fuori di dubbio
che la vita sia una verità incontestabile per quanto
riguarda il mondo vegetale, animale e umano,
anche nel mondo minerale c’è una forma di vita,
se è vero che nell’atomo esiste "un movimento
non comunicato, originatesi dall’interno dello
stesso essere". Una simile riflessione si può fare
nei riguardi dell’intero cosmo. Ma a ben riflettere
nei vegetali, negli animali e nell’uomo la vita non
ha origine nel seme, perchè il seme è un quid
vivente, che faceva parte di un individuo
precedente. Quindi la vita non ha origine nel
seme o nell’embrione, ma è trasmessa mediante il
seme o l’embrione da un individuo che ha la vita
ad un individuo che, in certe condizioni, inizierà
una vita autonoma. L’individuo ha una vita autonoma, ma l’origine della vita è eteronoma. Una
riflessione analoga si può fare a proposito della vita che abbiamo riconosciuto anche al mondo
minerale e a tutto il cosmo. Ma poichè sappiamo con certezza che le stelle che formano le galassie
hanno un ciclo vitale limitato, il loro movimento-vita degli atomi che lo compongono, è autonomo
per un certo tempo, ma dev’essere considerato eteronomo quanto alla sua origine. A questo punto
cadiamo necessariamente nel problema affrontato da S. Tommaso con l’argomento del moto:
"Quidquid movetur ab alio movetur". Ma siccome la serie infinita di esseri mossi non ha in se stessa
la propria giustificazione logica, è necessario pensare all’esistenza di un motore primo, eterno che
ha dato movimento a tutto l’universo. A questo punto possiamo non tener presente la dottrina del
"motore immobile" formulata dalla dall’altissima speculazione di Aristotele nella fisica (VII - VIII)
e nella Metafisica (XII). Dopo queste riflessioni sembra doveroso modificare la precedente
definizione del termine "vita" che potrebbe essere formulata in questi termini: "movimento di
origine eteronoma interno ad ogni essere". Ogni conoscenza che abbia per oggetto l’uomo è
conoscenza della vita: vita fisica, psichica, intellettuale, culturale, morale, sociale, politica artistica,
religiosa. Ogni conoscenza che abbia per oggetto il mondo animale o vegetale è conoscenza della
vita. La fisica, la chimica, la matematica, esplorano le leggi dei fenomeni vitali, atomi e realtà
subatomiche al fine di difendere e promuovere la vita. E anche quando si studia per produrre
un’arma nucleare di distruzione, non si mira alla distruzione di tutto il genere umano, ma alla
distruzione di una parte a vantaggio dell’altra, che aspira a salvare o migliorare la propria vita. Per
questo mentre si producono le armi distruttive si preparano rifugi antiatomici.
Tutte le scienze che hanno per oggetto il mondo vegetale o animale hanno per oggetto la vita. Per il
mondo minerale e cosmico valgono le osservazioni fatte più sopra. Anche lo studio dei fossili e
dell’archeologia è lo studio di forme di vita. Sembra legittimo poter concludere che la vita è la
condizione, lo stimolo e l’oggetto unico e necessario della conoscenza.
Capitolo terzo - Vita, linguaggio e verità
Senza vita non c’è linguaggio, anzi non c’è comunicazione , cioè possibilità di relazione tra un
essere umano e l’altro.
C’è una relazione tra il gelo o il sole che spaccano certe
pietre? Il gelo e il sole agiscono sulle pietre, quindi c’è
una relazione tra causa ed effetto. Si direbbe che basta
l’esistenza per creare una possibilità di relazione. In
chimica si parla di "valenza" come capacità di un atomo di
un elemento di legarsi con uno o più atomi di idrogeno.
Nel mondo vegetale, animale e umano, all’interno di ogni
singolo regno e tra un regno e l’altro, le relazioni sono
molto più complesse fino a diventare linguaggi veri e
propri. Funzione essenziale del linguaggio è la
comunicazione. È evidente la comunicazione tra il regno
minerale e quello vegetale. Questo riceve gli stimoli del
mondo fisico e reagisce di conseguenza. In presenza di
acqua il vegetale si sviluppa meglio; in mancanza di acqua
o investito dal fuoco o da un gran freddo muore. Un abete
isolato, che non ha problemi di luce e spazio, cresce in
modo diverso dagli abeti di un fitto bosco che crescono
molto in altezza, in cerca della luce che per essi è solo in
alto. Un fagiolo, comunque si metta nella terra, emette la
protuberanza che sarà radice verso il basso e quella che sarà arbusto verso l’alto. Si direbbe che ha
una conoscenza della terra, dell’aria e del sole. Vi sono anche esempi di rapporto conflittuale tra
vegetali, quando uno emette veleni dalle sue radici per eliminare il vegetale vicino e avare maggiore
disponibilità di alimento e spazio. Vi è anche la relazione della simbiosi: l’edera e il vischio sono
certo in relazione con gli alberi su cui vivono da parassiti. Nel regno animale abbiamo una gamma
infinita di comunicazioni, dalle più semplici che osserviamo a livello molecolare e cellulare alle più
complesse che notiamo negli insetti, nei pesci, negli uccelli, nei rettili, nei quadrupedi. In molti casi
si può parlare di linguaggio vero e proprio che esige e ottiene risposte o modifiche di
comportamento. Con la modulazione della voce
e l’atteggiamento del corpo molti animali
esprimono
desiderio,
timore,
rabbia.
Comunicano coi loro simili, assistono la prole,
mettono in fuga gli avversari. Il loro linguaggio
è una proprietà della loro vita che ha per scopo
la conservazione della vita propria o delle parole
del clan. Ma questo linguaggio non raggiunge lo
scopo per cui è formulato se a una determinata
modulazione non corrisponde una data
situazione; per esempio se a un segnale di
pericolo, o a un segnale di presenza di cibo non
corrisponde la vera disponibilità di cibo. Nel
regno animale il linguaggio è in funzione della conservazione della vita e raggiunge questo scopo
quando a un determinato segno o "parola" corrisponde una precisa realtà e sempre la stessa, cioè il
linguaggio ha la caratteristica della "verità". Per analogia questa riflessione è valida anche per il
genere umano. Riassumendo: la comunicazione, specialmente nella forma del linguaggio, ha il suo
fondamento nell’essere che ha la vita e la funzione preminente, se non unica, di conservare la vita
stessa. Ma questo scopo non può essere raggiunto se il linguaggio non è autentico, cioè se non
corrisponde a una situazione di fatto, in altre parole se non è vero. Il linguaggio ha nell’intimo della
sua natura e della sua funzione l’esigenza della verità, se per verità s’intende la corrispondenza del
messaggio a una data realtà o situazione oggettiva. Ogni linguaggio ha il suo fondamento nella vita
ed è autentico se è finalizzato alla conservazione della vita.
Riletture
MONCALVO NEL “DIZIONARIO” DELL’ABATE CASALIS
Gli storici locali e i giornalisti che dalla metà dell’Ottocento in poi hanno trattato di Moncalvo non
hanno potuto fare a meno di attingere per i loro scritti ad un’opera fondamentale, sebbene non
scevra da errori ed imprecisioni, che data agli anni ‘30 del secolo
XIX. È il "Dizionario geografico - storico - statistico - commerciale degli Stati del Re di Sardegna",
compilato da Goffredo Casalis, opera monumentale che per quanto riguarda il Basso Monferrato è
stata emulata, in forma più moderna ed accattivante, da Aldo di Ricaldone nei due ponderosi volumi
del suo recente "Monferrato tra Po e Tanaro". Goffredo Casalis nacque a Saluzzo nel 1781. Orfano
di padre, di intelligenza precocissima e di poca salute, venne accolto gratis nel seminario saluzzese,
dove compì gli studi teologici fino all’ordinazione sacerdotale. Iscrittosi non senza difficoltà
all’Università di Torino, vi conseguì il dottorato in Belle lettere. Mal sopportando il ruolo di
precettore dei rampolli di famiglie nobili ed ostacolato nelle sue aspirazioni dalle mene dei Gesuiti,
cercò per tutta la vita protezioni e sicurezza economica, che gli permettessero di attendere in pace ai
suoi studi storiografici. Nel 1833 Carlo Alberto fonda la "Regia Deputazione sopra gli studi di
Storia patria" ed apre agli studiosi gli archivi di Corte che fino ad allora erano stati gelosamente
preservati da qualsiasi intromissione esterna. Nasce nell’abate Casalis l’idea di compilare un’opera
che tratteggiasse per ciascuno Comune dello Stato sabaudo storia, caratteristiche geografiche e
peculiarità socio-economiche. Nel 1838 vedono la luce i primi tre volumi del "Dizionario": altri 23
ne seguiranno, fino al 1855, quando l’autore, già infermo, detterà l’appendice del XXVI volume.
Goffredo Casalis morì il 10 marzo 1856, ma il suo "Dizionario" continua ad essere consultato e
citato anche in opere di rigore scientifico certamente superiore.
a.a.
Qui proponiamo la parte, contenuta nel X volume (pp. 561-573), riguardante la descrizione di
Moncalvo. Alcune annotazioni redazionali sono necessarie per adeguare la narrazione alla realtà di
un secolo e mezzo dopo.
MONCALVO (Mons Calvus), città capoluogo di mandamento nella provincia e diocesi di Casale,
divisione di Alessandria. Dipende dal senato di Casale, intendenza, prefettura, [ufficio delle]
ipoteche di Casale. Sorge a libeccio da Casale nel mezzo di un’altura limitata a borea dai monti di
Crea; a ponente dai poggi di Santo Spirito di Alfiano; e a levante da quelli della Serra de’ Monti: ad
ostro l’orizzonte vi si estende verso l’astigiana. L’aggiunto di Calvo pare che le sia venuto dalla
natura dello sterile ed elevato suolo, su cui venne fabbricata. Le appartengono come frazioni le
borgate di Castellino e s. Vincenzo. Come capo di mandamento ha soggetti i comuni di Grazzano,
Ponzano e Salabue. Vi sono il tribunale di giudicatura del mandamento, l’uffizio d’insinuazione, un
percettore de’ regii tributi, un uffizio di posta, un banco di sali e tabacchi, un banco del regio lotto.
Evvi una stazione di reali carabinieri a piedi. Ne compongono il consiglio civico il sindaco, di regia
nomina, sei consiglieri, un archivista, ed un catastraro. Questa città è lontana otto miglia da Asti, e
dieci da Casale. La circondano parecchi villaggi non distanti da essa che due o tre miglia. La strada
provinciale che si dirige ad Asti dal lato di mezzodì, ed a Casale da quello di levante, ne rende
facile le comunicazioni tra le contermine provincie, e ne risultano incalcolabili vantaggi. Le vie che
corrono su questo territori, quantunque in parte montuose, sono pure assai comode, e praticabili
anche nella cattiva stagione. Il suolo vi è bagnato da tre torrenti, o rivi: sono essi il Menga, il
Valsesio ed il Grana: si tragittano per mezzo di ponti costrutti parte in legno, e parte in cotto. La
direzione del Menga è da ponente a levante: il Valsesio ed il Grana scorrono da ponente ad ostro. Il
primo ha le fonti nel comune di Castelletto Merli: interseca l’agro di Moncalvo per l’estensione
d’un miglio, e mette capo nello Stura. Il Valsesio ha principio nel distretto di Alfiano, attraversa
l’agro di Moncalvo, ed entra in quello di Penango, e va a riunirsi al Versa, nella provincia d’Asti.
Del Grana, che scaturisce in una piccola valle pressochè sotto le mure dell’antica fortificazione di
Moncalvo, dovemmo parlare nel vol. III, pag. 658, e vol. VIII, pag. 232. I letti del Menga, del
Valsesio e del Grana sono della larghezza d’un metro e mezzo circa. Sul loro corso trovansi alcuni
edifizii meccanici: le loro acque non contengono pesci di qualche riguardo. Non esistono nè laghi,
nè stagni: solo qua e là si vedono alcuni ricettacoli destinati a ricevere in certe stagioni le acque
piovane per macerarvi la canapa. Il suolo in generale assai fertile, e coltivato con diligenza, produce
in copia vegetabili d’ogni sorta: di buona qualità vi riescono i cereali, le frutta di varie specie, e
singolarmente le uve che forniscono in abbondanza ottimi vini. Il numero de’ buoi, delle vacche, dei
cavalli e dei somarelli è proporzionato ai bisogni dell’agricoltura, ed al trasporto delle derrate locali.
Ad avviare l’industria degli abitanti vi hanno alcune fabbriche di cannette da lizzo, che si
spediscono nella Svizzera, ove servono alle manifatture di tele e di stoffe. Le canne che a tale
bisogna offre il suolo di Moncalvo, sono generalmente stimate di qualità eccellente. Vi hanno
inoltre filatoi per la seta e pel cotone; parecchie filature di bozzoli; varie concie di pelli; ed alcune
fabbriche, o fornaci, ove si fa cenere ad uso dei colori, che si spedisce nel genovesato. I filatoi non
si trovano di presente in esercizio: nelle filature de’ bozzoli sono impiegate, nell’estiva stagione,
cinquecento persone circa. Le concie offrono in tutto l’anno un’occupazione a buon numero di
operai. L’industria degli abitanti poco agiati consiste per lo più nell’intessere tele di diverse qualità,
e soprattutto quella di grosso fil di canapa, atta a far sacchi, pagliericci, ed invogli per lo servizio
del commercio. Deriva un vantaggio notevole a questo comune dall’esistenza di alcune sue cave;
chè ne possiede alcune di pietra calcare, di pietre da taglio, di gesso, e di terra molto acconcia alla
formazione delle stoviglie. Chiese. Nell’antica cittadella di Moncalvo, di cui esistono ancora varii
tratti di muraglia, e rivellini mezzo distrutti, eravi una chiesa edificata secondo il sistema gotico,
della quale, malgrado le ingiurie del tempo, si poterono conservare il coro ed il presbiterio, a cui
venne poi unito un vasto tempio di ordine composito per uso dei frati minori conventuali di s.
Francesco. Questo tempio che fu costrutto mercè delle pie oblazioni dei Principi monferrini, ed
eziandio pei donativi degli abitanti, fu quindi conceduto per sovrano decreto alla città per le
funzioni parrocchiali. Due stendardi molto antichi, stati presi da quei principi all’oste infedele nelle
guerre delle crociate, e l’avello di alcuni di essi, che si trovano nel presbiterio, fanno fede che
questo sacro edifizio era sotto la loro particolar protezione. Quelli, di cui ivi giacciono le salme,
sono Guglielmo e Teodoro: il primo fuvvi sepolto nel 1400, ed il secondo nel 1418.
La pala attribuita a Macrino d'Alba
Questa chiesa è adorna di alcune buone tavole del celebre pittore Guglielmo Caccia, di cui faremo
alcun cenno qui sotto: fra esse primeggiano quella che rappresenta Gesù nel deserto servito dagli
angeli; ed un’altra che offre allo sguardo la risurrezione di un morto per l’intercessione di s.
Antonio da Padova; il qual dipinto si può dire il capolavoro del Caccia. Vi sono anche pregevoli
un’Assunta della scuola del Rubens, ed altri quadri del Sacchi, fra cui è molto stimato quello
dell’adorazione dei Magi. Vi si osservano ancora tre statue in legno di eccellenti autori; una
rappresenta N.D. Concetta senza peccato, L’altra s. Francesco d’Assisi, la terza s. Antonio da
Padova: sono tutte e tre maestrevolmente colorite. In una lapide ivi si legge la seguente epigrafe:
D.O.M.
INSIGNIUM . MONTISFERRATI . MARCHIONUM
QUI
DOMI . ET . FORIS . EXCELLUERUNT
HICQUE . SEDEM . ALIQUANDO . HABUERUNT MONUMENTA . ANTIQUITATE
OBSOLETA
VINCENTIUS . GONZAGA . SERENISSIMUS
MANTUAE . DUX . IV
MONTISFERRATI . II
RELIGIOSA . IN . MAIORES . PIETATE
AD . HONESTIOREM . FACIEM
RESTITUENDA . CURAVIT
M . D . LXXXXI
Vi esistono inoltre le chiese di s. Antonio abate, della Beata Vergine, di s. Marco, e due rurali
tempietti, uno sotto il titolo di s. Rocco, e l’altro sotto quello di s. Giovanni Battista. La prima,
spettante alla confraternita dei santi Pietro e Giovanni, contiene un quadro di s. Anna, ed uno di N.
S. del Carmine, lavori del Caccia; contiene pure un quadro di s. Carlo, che alcuni vogliono essere
opera del Sacchi, ed altri del Crespi: l’icona principale ne è del pennello di Carlo Gorzio valente
pittore nativo di questa città. La chiesa della B. Vergine, d’ordine corinzio, fu edificata secondo il
bellissimo disegno del conte Magnocavalli: nel coro vi si ammira un Crocifisso del prelodato
Caccia. Di questo egregio autore vi hanno anche parecchie tavole nel campestre oratorio di s.
Giovanni Battista, ed una se ne vede in quello di s. Rocco, rappresentante questo santo consolato
dall’angelo; e un altro nella chiesa di s. Marco, il quale è tenuto in somma riputazione. Nella stessa
chiesa di s. Marco, spettante all’ospedale, si ammirano un ottimo dipinto di Ferdinando Dal Pozzo,
moncalvese, che ricorda l’incoronazione di spine, ed una pregievole statua plastica del morto
Salvatore. Oltre il sopraccennato convento dei minori conventuali, già ve n’erano due altri, uno di
minori osservanti della provincia di s. Diego, l’altro di cappuccini, e di più eravi un monastero di
orsoline. Vuolsi infine por mente che nel 1278 l’abazia di Lucedio già aveva un piccolo cenobio.
Una finestra della casa Demaria, detta "casa dei marchesi", in via Testafochi
Fortezza. Evvi un castello che fu costrutto
sulle rovine di un palazzo, già residenza dei
marchesi del Monferrato; del quale si
veggono tuttora gli avanzi in alcuni rozzi
tronconi di colonne, e in un resto di muro,
verso levante, rivestito in parte di quello della
fortezza. Nel recinto del medesimo esisteva
pure un tempietto, di cui l’icona fu trasportata
nella sacrestia della chiesa di N. D. delle
Grazie, spettante ad una confraternita col
titolo di s. Michele. Quest’icona che è un
dipinto sul legno, rappresentante Maria
Vergine, è lavoro dei primitivi tempi del
risorgimento delle arti. Dietro la chiesa
parrocchiale di s. Francesco stanno tuttora gli
avanzi di un antico forte, avente
comunicazione col castello per vie
sotterranee: fu esso aspramente battuto dalle
artiglierie, e lacerato dai proiettili durante la
guerra per la successione de Monferrato: è voce che quivi abbiano soggiornato s. Vincenzo Ferrero
e s. Luigi Gonzaga. Piazze e palazzi. In sito elevato ed amenissimo giace la bella e vasta piazza del
mercato. Un’altra piazza quadrata, ed assai capace vi venne ultimamente formata davanti al palazzo
civico. In prospetto a quella del mercato un palazzo di architettura secondo il sistema gotico, che
vuolsi abbia abbia servito di abitazione ai marchesi Paleologhi del Monferrato. Un’amena pubblica
allea, destinata al passeggio, abbellisce Moncalvo nella parte diretta al Tanaro. Opere pie. Di
fondazione molto antica è l’ospedale della carità eretto in Moncalvo sotto il titolo di s. Marco: vi
venne, non è gran tempo, costrutta una grandiosa fabbrica: questo pio stabilimento già contiene
dodici letti pei malati poveri del comune: l’annua sua rendita è di lire sei mila circa. Evvi ancora
uno orfanotrofio delle fanciulle, provveduto di un’annua rendita di circa quattro mila lire, con cui
può ricoverare le povere orfane della città, educarle nella religione e nella morale, e indirizzarle ai
donneschi lavori. Istruzione pubblica. Vi esiste un collegio comunale con un pensionato aperto
durante tutto l’anno scolastico, la cui ispezione è affidata al rappresentante il magistrato della
riforma in questa città. Il pubblico insegnamento vi si estende sino alla classe di rettorica. Assai
lodevole fu sempre il modo con cui fu diretta l’istruzione della gioventù studiosa di Moncalvo; e se
ne rendette fra gli altri benemerito il professore D. T. Camagna, la cui morte fu lamentata da questa
città che gli diede i natali. Fiere e mercati. Vi si tengono in ogni anno cinque fiere, alle quali
intervengono molti forestieri: la prima dicesi dell’Annunziata; la seconda dell’Ascensione; la terza
del Corpus Domini; la quarta dell’Assunta; la quinta della Natività di Maria Vergine. Floridissimo è
il mercato che si tiene in Moncalvo nel giovedì di ogni settimana: chè si mettono in vendita cereali
di ogni sorta, bestiame, stoffe di ogni qualità, vini, olii, liquori, pesci in barile, pollame,
selvaggiume, ortaggi, burro, caci, frutta, tartufi, paste, stoviglie, e molti altri oggetti ad uso di ogni
classe di persone; a tal che sono sempre in gran numero i forestieri che accorrono a farne incetta.
Pesi e misure del Monferrato.
Vetture. In ogni giorno della settimana, tranne il venerdì, vi hanno vetture in corso regolare, cioè,
da Moncalvo ad Asti nei giorni di martedì, giovedì e domenica, e da questa medesima città per
Casale nel lunedì, nel mercoledì e nel sabato, così per partenza, come per arrivo. Non vi mancano
vetturali, e tenenti cavalli da nolo, in ogni tempo a piacimento di chi vuole servirsene.
Gli abitanti respirando un’aria molto salubre sono generalmente robusti e vivaci: molti di loro
mostrano una grande attitudine alle scienze ed alle arti, ma per lo più si applicano al commercio, e a
diversi rami dell’industria. La popolazione ascende a 5686, non compresi gli ebrei che vi hanno un
ghetto da lungo tempo, e vi si trovano in numero di 280 circa.
[seguono alcuni cenni storici che per ragioni di spazio ometteremo, ndr]
Questa città si onora del famoso Guglielmo Caccia oriondo di Novara e nato in Montabone, il quale
ebbe il soprannome di Moncalvo per avervi avuto assai lunga e deliziosa dimora, ed esservi
mancato ai vivi nel 1626. Venne egli in fama di pittore eccellente sì per l’avvenenza dei volti, come
per la semplicità delle attitudini. Trattò gli affreschi con tanto amore e con tanto studio, che giunse
ad ottenervi le più belle tinte ed un meraviglioso secreto per farle resistere alle ingiurie del tempo;
ond’è che i suoi lavori di tal genere si conservano veramente freschi con istupore dell’arte. Fu uomo
di somma pietà, e non dipinse mai oggetti profani. Fondò in Moncalvo il monastero delle orsoline,
di cui parlammo qui sopra; e vi introdusse cinque sue figliuole, due delle quali, Orsola Maddalena e
Francesca, così felicemente seguirono le tracce del padre, che le loro dipinture da quelle di lui non
si sanno distinguere. Visse cinquantotto anni. Moncalvo diede valenti pittori e scultori, quali furono
i Sacchi, i Dal Pozzo, i Gorzio, i Varalli; e ne diede eziando che si distinsero nelle buone lettere, fra
i quali si notano un Aredano, un Tesio, un Magnocavalli. Come dotto giurisprudente venne in chiara
fama il cavaliere Ferdinando Dal Pozzo. A buon diritto questa città si gloria d’esser patria
dell’eminentissimo
P. Placido Tadini, già carmelitano. Pel valore dell’ingegno, per l’estesissima sua erudizione salì
questi ai primi onori della chiesa: fu consecrato vescovo di Biella in Roma l’anno 1829: venne
traslato alla sede arcivescovile di Genova; ebbe la decorazione del gran cordone dell’ordine
mauriziano; e fu insignito della sacra porpora nell’anno 1855.
Casa Lanfrancone, architettura gotica lungo "la Fracia", testimonianza del periodo d'oro della Moncalvo paleologa
SAPORE D’ALTRI TEMPI
Angela Biedermann commenta il sonetto XIX di Cesare Vincobrio
SONETTO XIX.
ANS AL MARCÀ ‘D MOUNCARV
Sour brigadiè, mi j ho catà ‘n boucin
Da ‘n fourest, bel’e qui, mes’oura fa:
J ho facc countrat a tranta marenghinn,
J ho dacc in biet da mila da scambià.
Signor brigadiere, io ho comperato un vitello
Da un forestiero, proprio qui, mezz’ora fa:
Ho fatto un contratto a trenta marenghi.
Ho dato un biglietto da mille da scambiare.
Coul galantom ant al cà voeuij am fa,
Lestou ‘mbrancanda ‘l biet: – Scciè ‘n
moumentin:
Vad a fà ‘d la mouneida: e m’ha butà
Non specc-mi-qui coul brut ladar sasín!
Quel galantuomo nelle case vuote mi fa,
Lesto agguantando il biglietto- Aspettate un
momentino:
Vado a fare della moneta: e mi ha messo
Nome aspettami-qui quel brutto ladro assassino!
I counoutati al voeu? Ch’al senta ben:
Grand - vistì ‘d giald - ‘na ghigna
d’impoustura...
Citou, sour brigadiè, l’è là ch’al ven.
I connotati vuole? Senta bene:
Alto - vestito di giallo - una faccia da
impostore...
Zitto, signor brigadiere, è là che viene.
Ma l’è qui, mounsù? Quanta premura!
Quatt sentt liri, sisgnour, va tantou ben:
L’hava temp coun so comoud, ch’as figura!
Ma è già qui, signore? Quanta premura!
Quattrocento lire, sissignore, va tanto bene:
Aveva tempo con suo comodo, si figuri!
Nelle riviste, alla televisione, negli spot, trionfa la giovinezza. Una rosa appena fiorita attrae più
d’una rosa appassita. Il profumo, il colore, le sfumature, la corposità dei petali sono altra cosa. Ma
quando mi allungo più che posso per raggiungere gli ultimi scaffali della biblioteca, dove ci sono i
vecchi libri sui quali ancora palpitano le impronte delle generazioni passate, provo una sensazione
profonda che non è soltanto nostalgia, ma incanto che si sprigiona da un tempo che non ci sarebbe
più, se non ci fosse quel vecchio libro, un po’ sfasciato, dalla carta ingiallita, dal profumo
caratteristico della rosa appassita. Il fascino che sprigiona da un vecchio libro è un qualcosa
d’indescrivibile. Bisogna sentirlo. Bisogna provarlo. Era incolonnato fra altri della sua stessa
statura. Ed è rimasto un vuoto. Lo guardo. È stato stampato a Casale nel 1925. Altri tempi, altro
mondo, altra cultura. Ma l’intimo dell’uomo, i suoi sentimenti, le sue ansie, i suoi dubbi, rimangono
sempre gli stessi. In questo vecchio libro ingiallito e dalla carta resa fragile dal logorio del tempo,
ho trovato l’uomo del 2000, con le sue stesse paure. Sono i Sonetti Monferrini d’un certo Cesare
Vincobrio. E chi lo conosce? Eppure in essi ho trovato l’essenziale. La forza meravigliosa della
poesia che riesce a farti trasalire. È il sonetto diciannovesimo. "Ans al marcà ‘d Mouncarv". Come
non c’è Arabo che non sogni d’andare, almeno una volta nella vita, alla Mecca, così non c’è
Monferrino che non sia andato, più volte, al mercato che si tiene ogni settimana a Moncalvo.
Moncalvo. Tra Asti e Casale. Nel cuore. E nel cuore di Moncalvo c’è la piazza del mercato.
Caratteristica, con i portici da un lato e le torri medioevali residuo d’un vecchio castello travolto dai
secoli. Dove un tempo vivevano i potenti, oggi scalpitano buoi e vitelli. E c’è un ometto, un
contadino venuto dai paesi vicini, per comperare un "boucin". Lo ha adocchiato, gli è piaciuto e ha
concluso l’affare. Trenta marenghi. Un piccolo affare. Affonda la mano nella tasca della giacca e
tira fuori un biglietto da mille. Ma anche il venditore è un povero ometto, venuto al mercato per
guadagnare quattro soldi. "Specc-mi-qui". E si allontana, con passo svelto, per scambiare il
bigliettone. Ed è qui che l’autore del sonetto rivela tutta la sua profonda psicologia. Una psicologia
spicciola, non studiata sui libri, non ancora grande scienza approfondita all’Università, ma perfetta
nel cogliere l’essenziale. Tutti abbiamo provato quella strana sensazione che si prova nel dover
aspettare.
Il tempo si raddoppia. Cinque minuti, sembrano mezz’ora. E subito si è portati a pensare male.
Piccole nubi diventano nuvoloni tempestosi. E se non tornasse e sparisse col bigliettone da mille
lire?
"Sono stato un minchione", pensa. E i pensieri si accavallano. Si intrecciano e fanno una trama così
fitta da non lasciargli spiraglio di salvezza. Ma nel mercato circola sempre un brigadiere, un uomo
in divisa, un rappresentante della Legge. Qui bisogna fare qualcosa. E l’omino spiffera tutto ciò che
sa. "È un forestiero, alto, forte, vestito di giallo con una faccia da imbroglione...".
Ma in quel momento, ecco spuntare, fra la gente che affolla il mercato, l’imbroglione, vestito di
giallo, col viso sorridente e i soldini stretti nella mano. Nel sonetto bastano poche parole per
dipingere un quadretto d’una vivezza eccezionale. Li si vede lì, leggermente scostati dal via vai
della gente. L’omino, che implora il brigadiere di tacere. Il brigadiere che, sotto sotto, sorride,
compiaciuto d’essere stato interpellato come la massima autorità di quel gran groviglio di gente che
è sempre un mercato. E l’uomo vestito di giallo che, dopo aver tribolato per scambiare le mille lire,
restituisce il resto col viso pulito. E come dopo un temporale, basta un colpo di vento per far
risplendere il sole, così nella mente dell’omino i pensieri cattivi, cupi, irritati, lasciano il posto al più
dolciastro dei complimenti. "Ma è già qui, così in fretta? C’era tempo...". E il tempo realmente c’era
e c’è tutte le volte che siamo portati a giudicare, a pensare male, ad arrovellarci il cervello in mille
supposizioni negative. È vero - come dice un famoso nostro politico - che a pensar male raramente
si sbaglia. Ma forse è meglio sbagliare per troppo ottimismo, che essere fregati da un pessimismo
che fa vedere tutto nero. Rileggendo il sonetto del poeta Vincobrio, appare evidente quanto la
poesia, con poche indovinate parole, sia più efficace d’una stucchevole prosa. Per questo si
apprezzano i poeti. E veri poeti ce ne sono pochi. E di questi pochi, molti sono sconosciuti e
dimenticati. Come dimenticato è Vincobrio, ma per fortuna di lui resta ancora, nell’ultimo scaffale
d’una anonima biblioteca, un libretto ingiallito dal tempo e profumato di rosa appassita.
CURIOSITÀ
ANTICHI CASI DI TERREMOTI IN MONFERRATO
Quando, nel pomeriggio del 21 agosto 2000, una vasta parte del territorio monferrino è stata colpita
da una forte quanto inattesa scossa tellurica, dopo il primo comprensibile sgomento, si sono levate
alte voci a sottolineare la assoluta eccezionalità dell’evento, definito più unico che raro. Scorrendo
solo alcune delle tante storie locali e consultando qualche manuale sulla storia geologica del
Piemonte si possono invece trovare memorie di terremoti che, sebbene poco frequenti nel tempo,
hanno interessato le nostre terre nei secoli passati, e spesso con grave bilancio di vittime e danni.
Intanto pare che dall’inizio del secolo XIII ad oggi si siano registrate in Piemonte più di cento
scosse di intensità superiore al 6° grado della scala Mercalli (scossa molto forte), con qualche
evento di intensità 8° e 9° (scossa, rispettivamente rovinosa e disastrosa). Al 1275 risale la prima
memoria scritta di un sisma, a San Damiano d’Asti. A Cuneo nel 1301 un terremoto "atterrò
numerose case e desolò numerose famiglie", riuscendo avvertibile anche nell’Alessandrino. Nella
notte tra l’1 e il 2 febbraio 1369 una violenta scossa fece crollare parecchi edifici in Alessandria,
mentre altrettanto rovinosa almeno per i danni statici fu il sisma che il 23 settembre 1502 colpì
Cuneo. Ancora la città di Alessandria sopportò gravi danni ed alcune vittime per l’evento
dell’ottobre 1541. Il Pinerolese, area sismicamente più attiva del Monferrato, dovette registrare un
gravissimo terremoto il 30 marzo 1753, con numerose vittime tra la popolazione: persistendo le
scosse di assestamento, per tre mesi la gente preferì dimorare all’aperto per paura dei crolli.
Cinquant’anni dopo, il 2 aprile 1808, molti crolli di edifici si verificarono nelle Valli Pellice e
Chisone. A Nizza Monferrato nella notte tra l’8 e il 9 ottobre 1828 un forte boato preannunciò una
violenta scossa, durata circa dieci secondi. Il panico fu grande; i danni, per fortuna, scarsi. Si sparse
anche la voce che ad Acqui Terme la famosa fontana detta "la Bollente" avesse cessato di dare
acqua. Nei giorni successivi si ripeterono le scosse e la gente preferì accamparsi all’aperto. Nel
1887 un grave sisma sconvolse la Liguria di Ponente, con gravissimo bilancio in termini di vite
umane: particolarmente colpite le località di Diano Marina (Savona) e Bussana, presso Sanremo.
Anche in Monferrato si risentì delle scosse, con forte panico, pochissimi danni e alcune notti a
dormire nelle campagne (si era alla fine di febbraio!). Nel secolo XX si ha memoria di altre scosse
il 16 ottobre 1943, senza danni né vittime, e del gennaio e febbraio 1944, con il solito panico che si
aggiungeva alle angosce della guerra. Per venire nella parte di Monferrato a noi più vicina, le
vicende della fontana situata nella valle tra Calliano e Castell’Alfero e notissima come Pirenta sono
legate a corsi e ricorsi sismici. Sino al secolo XVI era fonte di acqua dolce: in seguito ad un
terremoto divenne sulfurea, per ridivenire dolce nel 1850, sempre in seguito ad un evento sismico:
la sua caratteristica attuale di fonte tipicamente solforosa gli è ritornata dopo un ennesimo terremoto
risalente ai primi anni del secolo XX.
PRESENTAZIONE DI "UNO SCUDO BLU"
È stato presentato sabato 24 giugno il volume "Uno scudo blu per la protezione del patrimonio
mondiale", contenente gli atti del III Convegno internazionale sulla protezione di beni culturali,
tenutosi a Padova il 19 e 20 marzo 1999. Sulla struttura dell’opera ha relazionato Massimo
Carcione, funzionario dell’Assessorato alla Cultura della Provincia di Alessandria, Consigliere
regionale della Croce Rossa Italiana e Consigliere della Società Italiana per la Protezione dei Beni
Culturali (SIPBC); il dottor Carcione, che è anche curatore del volume, ha evidenziato le
problematiche nuove emerse dopo il I Convegno svoltosi ad Alessandria nel 1997. Dei vari aspetti
legali connessi alla salvaguardia dei beni culturali in situazioni di conflitto armato ha parlato il
dottor Massimo Iaretti, giornalista e cultore di diritto militare. Ha quindi preso la parola il
Presidente del Comitato di Alessandria della Croce Rossa Italiana, Dante Ferraris, il quale ha
sottolineato l’importanza della divulgazione presso il personale militare e, più in generale, presso
l’opinione pubblica, dei principi enunciati dalle Dichiarazioni internazionali. Nel dibattito che è
seguito alle relazioni, il Brig. Generale Luigi Ghezzi ha riferito sull’effettiva attuale diffusione delle
norme in ambito militare, rilevando la necessità di estendere i corsi di diritto umanitario dei conflitti
armati anche a livello di sottufficiali e in ambito delle medie unità. All’iniziativa di Moncalvo, che
costituisce la presentazione ufficiale del volume nel Nord Italia, hanno dato la loro adesione, tra gli
altri, il Magg. Generale Giorgio Blais, Vicepresidente dell’Istituto Internazionale di Diritto
Umanitario di Sanremo, e il Comando del III Centro di mobilitazione del Corpo Militare CRI
(Milano).
PRESENTATO "ANCORA UN SECOLO AL 2000" DI ALESSANDRO ALLEMANO
Nella solita cornice del salone della Biblioteca di Moncalvo è stato presentato nel pomeriggio di
sabato 2 settembre il libro "Ancora un secolo al 2000. Uomini e cose di cent’anni fa nel mondo, in
Italia, nel Monferrato" scritto da Alessandro Allemano, Presidente della Biblioteca di Moncalvo e
del Centro culturale "Pietro Badoglio" di Grazzano. Il volume è stato presentato con grande
efficacia da Teresio Malpassuto, maestro elementare, studioso di storia locale e collaboratore del
"Monferrato". Nella sua relazione, Malpassuto ha sottolineato più volte l’importanza divulgativa
dell’opera di Allemano, che ripercorre l’anno 1900 sia negli aspetti più noti ed eclatanti, sia nei fatti
spiccioli e locali, offrendo un quadro vivissimo della vita di cento anni fa. L’Autore, come già in
occasione di una precedente presentazione, ha devoluto a favore della Biblioteca l’intero incasso
derivato dalla vendita del libro ed ha anche donato la raccolta completa rilegata delle annate 18991900 del settimanale milanese "Il Secolo illustrato". Ecco quanto a proposito del libro di Allemano
ha scritto giesse [n.d.r. Giuseppe Spina] in una sua nota. "Proseguendo in un’attività proficua e
puntigliosa, il Circolo Parrocchiale "Luigia Bersano" di Santa Maria di Moncalvo ha organizzato
la festa biennale del 2000 con la presentazione della più recente fatica di Alessandro Allemano:
"Ancora un secolo al 2000", un singolare libro che offre una panoramica degli avvenimenti
accaduti esattamente un secolo fa, nel 1900. Dalla piccola frazione di Santa Maria lo sguardo
dell’Autore spazia su Penango, Moncalvo, il Monferrato, l’Italia, il mondo intero. Opera
culturalmente interessante ma anche divertente per i numerosi riferimenti a curiosità, costumi
locali, personaggi caratteristici, macchiette. Ancora una volta Alessandro Allemano ha mostrato di
possedere quelle solide capacità di ricercatore, ordinatore di dati e comunicatore che abbiamo
favorevolmente rilevato nei suoi numerosi scritti, dal poderoso volume "Come da memorie antiche"
(1998) ai contributi ospitati sul periodico "Pagine Moncalvesi". Un’attività di cospicuo spessore
culturale che ha modo di esplicarsi nelle tante iniziative patrocinate dalla Biblioteca Civica "F.
Montanari" di Moncalvo in cui il Presidente Allemano è felicemente affiancato dal Direttore
Antonio Barbato di cui, nel nostro Monferrato, sono ben conosciuti i multiformi interessi".
LA "MEDAGLIA DEL GRAZIE" AL SINDACO DI MONCALVO
Domenica 3 settembre si è svolta a Casale Monferrato la Giornata Europea della Cultura Ebraica,
celebrata dalla Comunità israelitica casalese con una serie di manifestazioni.
In tale occasione al Sindaco di Moncalvo, Aldo Fara, è stata consegnata la "Medaglia del Grazie",
un conio appositamente predisposto e recante la parola "todà", appunto "grazie", in considerazione
dell’impegno dimostrato per il recupero delle memorie legate all’antica comunità ebraica di
Moncalvo. In occasione della Giornata, è rimasto aperto il (finalmente) ripulito cimitero degli ebrei,
lungo la strada per Grazzano.
La Medaglia del Grazie è stata anche attribuita al primo cittadino di Casale, Paolo Mascarino.
"CON CESARE NEL PARCO"
Nello scorso mese di ottobre la Biblioteca civica è stata impegnata in una vasta serie di
manifestazioni in occasione del 50° anniversario della morte di Cesare Pavese.
"Con Cesare nel parco" ha preso spunto dal soggiorno dello scrittore a Serralunga di Crea, negli
anni dal 1943 al 1945, presso la sorella Maria Sini: mostre, spettacoli teatrali, convegni, libri,
proiezioni di video hanno caratterizzato questa iniziativa promossa dal Parco Naturale ed area
Attrezzata del Sacro Monte di Crea nella persona del Direttore, Amilcare Barbero. Il 25 agosto, con
il concorso del Centro civico "Montanari", è stato rappresentato uno spettacolo teatrale dell’attore
Renzo Arato dal titolo "Al di là delle gialle colline c’è il mare", rappresentato nella suggestiva
cornice di una cascina di Serralunga; dal 5 al 15 ottobre in biblioteca è stata allestita la mostra "Il
Monferrato de-scritto", con esposizione di libri e pubblicazioni relativi a Pavese e a tutti gli scrittori
contemporanei che hanno trattato dei luoghi monferrini. In tale occasione sono state esposte due
lettere inedite dello scrittore di Santo Stefano Belbo, lette da Alessandro Allemano e Antonio
Barbato in apertura dei lavori della giornata di studi "Colline e mito in Cesare Pavese", tenutasi a
Crea il 6 ottobre.
All’interno della mostra una sezione a cura della Scuola media di Moncalvo proponeva il
laboratorio di scrittura creativa "Il viaggio di Diomeca" con esposizione di vari lavori degli alunni;
inoltre era a disposizione dei visitatori il video "Cesare Pavese" prodotto dai francesi Philippe
Béziat e Célia Houdart.
La sera del 6 ottobre è stato poi presentato il video "Cesare nel parco" dell’astigiano Livio Musso,
accolto da tanto favorevoli consensi, da farlo riproporre presso la Sala consigliare della Provincia di
Asti in dicembre.
Alle varie manifestazioni della serie pavesiana hanno assistito le nipoti di Cesare Pavese, Cesarina e
Maria Luisa Sini, che in forma privata avevano visitato la Biblioteca di Moncalvo alla fine di
agosto, omaggiandola di volumi delle opere dell’illustre zio.
PRESENTATA LA DONAZIONE DI FERNANDA BORIO
Per l’occasione l’Artista ha realizzato una
stampa d’arte in tiratura limitata e ne ha fatto
omaggio con dedica a numerosi dei presenti.
Fernanda Borio, che ha insegnato
Educazione Artistica presso la Scuola Media
Capello di Moncalvo dal 1978 al 1986
partecipando alle attività artistiche della
Cittadina, dopo il pensionamento e il ritorno
a Milano ha offerto al Comune di Moncalvo,
che ha accettato la donazione di una scelta
rappresentativa e documentata della sua
attività artistica dal 1949 al 1996,
comprensiva di: opere e scritti, la collezione
personale di arte moderna dal 1949 al 1996 per un totale di 38 pezzi e la parte migliore della sua
biblioteca di arte e storia dell’arte per un insieme di oltre 500 volumi. Fernanda Borio è nata a
Milano nel 1925 da famiglia piemontese (è nipote dello scrittore della Scapigliatura piemontese
Roberto Sacchetti), si è diplomata presso l’Accademia di Belle Arti di Brera in Milano dove, tra
l’altro, è stata allieva dello scultore Giacomo Manzù. Le principali esposizioni iniziano con la
partecipazione con le sue ceramiche alla X Triennale di Milano del 1954 e con la prima personale di
pittura e grafica presso la Biblioteca comunale di Segrate (Milano). Del 1994 è la sua prima
personale di scultura presso la Galleria d’arte Zunino di Milano. Nel 1997 espone sculture in
plexiglas in una personale presso la Galleria Vinciana di Milano. Nel 2000 la vede protagonista con
un personale presso la Galleria d’arte Osemont di Albissola Mare (Savona). Alcune sue opere si
trovano presso la Civica Galleria d’Arte Moderna di Gallarate (Varese).
MOSTRA DI ALBERTO BERLIAT
E’ tradizione consolidata, ormai, che Moncalvo, in occasione dell’antica Fiera del Tartufo, dedichi
uno spazio anche alla cultura contemporanea e alle sue molteplici espressioni.
Quest’anno, sotto l’egida della Città di Moncalvo, dell’Assessorato alla Cultura e della Fiera del
Tartufo, è stato portato alla ribalta Alberto Berliat in una mostra intitolata "indelebile", "visibile".
Pitture su carta e sculture in ferro.
La vernice è avvenuta, con un notevole concorso di pubblico, sabato 14 ottobre in Casa Montanari
alla presenza dell’artista, delle autorità comunali e degli organizzatori.
Angela Strona, Presidente della Fiera del Tartufo, ha sottolineato la valenza culturale di questo
evento e ha presentato altresì il manifesto della mostra, progettato nella grafica dallo stesso Berliat,
riproducente l’opera acquisita dal Comune: una tempera del 1968 dal titolo "Crescendo" che andrà
ad arricchire l’importante collezione d’arte contemporanea della Città di Moncalvo.
La mostra doveva concludersi il 5 novembre ma per soddisfare le numerose richieste giunte dagli
ambienti di appassionati d’arte contemporanea (e con l’intento di offrire anche a coloro che stentano
di familiarizzare con i linguaggi dell’arte non figurativa l’occasione di poter visitare una mostra
fuori dagli schemi correnti) gli organizzatori di "indelebile", "visibile" pitture e sculture di Berliat,
hanno prorogato la manifestazione fino al 19 novembre. Interessante il percorso artistico allestito
nelle stanze di Casa Montanari: si inizia con una serie di tempere del ‘68, di ispirazione musicale,
che danno l’attacco e fanno citazione alle festose carte, i "segni", realizzate a distanza di quasi
trent’anni, che chiudono la mostra. Seguono alcuni schizzi preparatori per i "gesti" – altro ciclo di
opere rappresentate nella seconda sezione – contrapposti alle tempere, che sottolineano il
progressivo distacco dell’artista da ogni vincolo formale e materico. Si continua con i "gesti, così
noncuranti all’apparenza, che esprimono una raffinata e straordinaria sensibilità cromatica.
Attraverso la loro atmosfera limpida, quasi impalpabile, si giunge ai collages delle "forme"
raggruppati in una saletta attigua: preziosi momenti di transizione, presagi dei "sogni", solo citati
sulla copertina della monografia dedicata alle opere su carta, ma qui già presenti alla stato
embrionale. Con le sculture, metamorfosi del ferro, l’artista ci prende per mano e ci mostra ciò che
abbiamo dimenticato. Con tocco magico, di volta in volta, ci lascia oziare, invita al gioco (i
"rottabili"), o, con sottile ironia, ci fa sorridere.
"Indelebile" e, benché "visibile", "inutile", come tutta l’arte che sta al di là di ogni teorema, è
stata benefica fonte di distacco dalla spesso grigia realtà.
Alberto Berliat, nasce a Dübendorf, Zurigo nel 1930. Ventiduenne, il giovane grafico e designer si
trasferisce in Italia. Ha successo come free-lance nella pubblicità e nell’editoria. Dipinge. All’inizio,
quando può. Poi anche quando non potrebbe. Infine decide di dipingere comunque e, quando può,
di dedicarsi anche alla scultura. Dal 1999 vive e lavora a Cioccaro di Penango, nel Basso
Monferrato. Ha esordito con una personale alla Galleria Fumagalli di Bergamo (1976), Di recente
ha esposto alla Galleria Entracte, Lugano, alla Galleria 2000 & Novecento, Reggio Emilia e a "Arte
in Cantina" (Cantine Bonelli), Rivergaro (PC).
"ARTE E STORIA" IN VISITA A MONCALVO
Nel pomeriggio di sabato 25 novembre una folta rappresentanza di soci dell’Associazione Casalese
Arte e Storia è giunta in visita alla città di Moncalvo, inserita nell’itinerario dei luoghi monferrini di
maggiore rilevanza storica.
Guidati dal Vicepresidente professor Antonino Angelino, in rappresentanza del Presidente professor
Aldo A. Settia, e coordinati dalla Segretaria Edda Gastaldi, un centinaio di appassionati sono stati
ricevuti in Biblioteca da Alessandro Allemano e Antonio Barbato. È quindi seguita una visita al
Palazzo civico, con illustrazione delle opere del Caccia e del quattrocentesco fondo di cannone
conservato nei corridoi degli uffici comunali. Il Sindaco Aldo Fara ha accolto gli illustri ospiti,
dichiarandosi onorato della loro prestigiosa presenza.
Il Presidente Allemano ha poi accompagnato la comitiva lungo le vie di Moncalvo, soffermandosi
in particolare sul teatro, sulla cosiddetta "casa dei Marchesi", sulla caratteristica "Fracia" con la
gotica "casa Lanfrancone" e il rione dell’antico ghetto ebraico. La tappa successiva è stata poi la
chiesa di San Francesco, dove si sono ammirate le tele del Caccia e della sua scuola e le tombe dei
Paleologi in presbiterio.
La visita è terminata all’abside trecentesca della parrocchiale.
14 DICEMBRE: BAMBINI CASALESI IN BIBLIOTECA
Il gruppo è stato accolto presso la
Biblioteca Civica dal Sindaco Aldo
Fara che si è intrattenuto a lungo
con i ragazzi parlando con loro
delle antiche e storiche tradizioni
della Città di Moncalvo e dei suoi
abitanti. Erano altresì presenti il
Presidente della Fiera del Tartufo
Angela Strona e Primo Favarin
costruttore dei subiet ‘d Patro di cui
un esemplare è stato donato a
ognuno degli insegnanti e degli
alunni. Il direttore della Biblioteca e
dell’Archivio storico, Antonio
Barbato, ha quindi spiegato ai
ragazzi il funzionamento e i
regolamenti delle due istituzioni
pubbliche facendo anche vedere ai ragazzi antichi e originali libri e documenti storici: pergamene
con sigilli, gli statuti cinquecenteschi, libri dei convocati e del catasto. A metà mattina il gruppo è
stato accompagnato sulla piazza del mercato dove si è svolta la Fiera del Bue Grasso e l’esposizione
bovina e dove i ragazzi hanno avuto l’occasione, quasi unica, di vedere bellissimi esemplari di tori,
manzi, vitelli, mucche e buoi.
PRESENTAZIONE DEI LIBRI DI FEDERICA FACCARO
Inaugurando un copione un poco insolito, sabato 16 dicembre sono stati presentati presso la
Biblioteca civica due volumi di narrativa della scrittrice Federica Faccaro, "Partenza da Oganon" e
"Tempi di donna".
Nel primo dei libri l’autrice, torinese di nascita, ma ormai monferrina a tutti gli effetti (insegna alle
scuole elementari di Grazzano e vive a Penango), affronta il racconto fantastico-fantascientifico,
mentre nell’altro tratteggia i ritratti di quattro donne che, muovendosi in epoche storiche assai
diverse (dal Medioevo alla fine del Settecento, dagli anni che precedono e accompagnano la Grande
Guerra fino all’epoca attuale), rivelano aspetti delicatissimi dell’animo femminile.
Delle due opere hanno parlato due amiche e colleghe di Federica Faccaro, Anna Maria Musso e
Maria Rita Laio, che è anche membro del Consiglio di biblioteca. Le conversazioni sono state
intervallate da letture di brani dalla viva voce dell’Autrice. La danzatrice Melissa Balbo ha poi
eseguito alcune apprezzate figurazioni nel pur ristretto spazio del salone di lettura, seguita da Laura
Alasio, che ha cantato accompagnandosi con la chitarra. È quindi stata la volta di Stefania Zanello,
una deliziosa "Bettina delle bambole", che ha delineato la figura di una delle quattro donne - la più
piccola - protagoniste del libro della Faccaro.
Da ultima, la soprano Giuditta De Rosa, come in un augurio per le prossime festività, ha eseguito un
tradizionale quanto magistrale "Adeste fideles".
I LIONS RESTAURANO L’ACQUERELLO DI GIUSEPPE BAGETTI
Nell’ambito della loro attività di servizio, i Lions del Club "Moncalvo Aleramica", presieduto da
Sergio Alessio, hanno finanziato interamente il restauro dell’acquerello "Vue de la Ville de
Mouncalv", opera del pittore ed incisore Giuseppe Bagetti riproducente una vista della Moncalvo di
fine Settecento. Il restauro del quadro, esposto nell’ufficio del Sindaco di Moncalvo, si era reso
necessario per eliminare alcuni danni dovuti al trascorrere di oltre due secoli e rimediare a certi
difetti di incorniciatura che avevano portato la stessa Sovrintendenza ai Beni Artistici e Storici a
proporre l’intervento conservativo, compiuto presso il laboratorio astigiano di Valter Vinai. Il costo
del restauro è stato di lire 1.980.000. Nel corso dello smontaggio dell’acquerello, si è constatato
come sul retro del foglio sia presente uno schizzo a china, probabile traccia per un successivo
lavoro del pittore famoso soprattutto per le vedute di località napoleoniche. L’opera restaurata verrà
presentata ufficialmente ai soci del Lions Club moncalvese nel prossimo febbraio, in occasione
della visita del Governatore distrettuale.
RESTAURATO IL MANOSCRITTO DI AGOSTINO DELLA SALA SPADA
Usufruendo di fondi propri, è stato restaurato e rilegato nelle scorse settimane il copione
manoscritto della commedia "Le elession d’ Roca Taià", l’unica scritta in dialetto piemontese
dall’avvocato Agostino Della Sala Spada. Il manoscritto, restaurato dalla ditta Vinai di Asti, era
stato donato alla Biblioteca civica dal compianto dottor Umberto Micco, già Sindaco di Moncalvo.
UN COMUNICATO
Riceviamo e volentieri pubblichiamo, per opportuna divulgazione:
Concorso archivi della memoria del ‘900
DALLE STORIE ALLA STORIA. INCONTRO TRA GENERAZIONI ATTRAVERSO LA MEMORIA.
Il racconto è dolore
ma anche il silenzio è dolore.
(Eschilo, Prometeo).
Spesso ci chiediamo che senso ha il male nella storia, perché esiste. Vorremmo che l’Olocausto
fosse stato compiuto da esseri abominevoli, uomini non comuni. In questo modo daremmo una
spiegazione al fatto, sicuri che difficilmente potrebbe ripetersi. Purtroppo la lettura delle
testimonianze, la conoscenza sincera dei sopravvissuti ci dice che i carnefici erano persone
"normali". Come raccontano studi recenti (Kren e Rappoport, New York,1980) "… a nostro
giudizio la stragrande maggioranza delle SS, sia degli ufficiali che dei soldati, avrebbe senza
difficoltà superato gli esami psichiatrici a cui si devono sottoporre le reclute dell’esercito americano
o i poliziotti di Kansas City". Individui come noi, che vivono tra noi, possono coltivare in sé il
germe della sopraffazione, dell’intolleranza, dell’odio fino al punto da creare un sistema
giustizialista, totalitario e aberrante come già nel passato. L’Associazione "Comunicando" ha posto
il recupero della memoria storica tra i suoi principali obiettivi: capire e conoscere il "secolo breve"
per combattere gli errori del passato. Ricostruire le proprie radici animati dalla passione storica che
ci spinge ad essere protagonisti consapevoli. La cultura storica più ricca e vitale spesso non
attraversa i circuiti dell’accademia, ma nasce dalle ricerche di amanti della propria terra, da
frammenti raccolti da ricercatori appassionati. Così è nata l’idea di un progetto sulla memoria a cui
è coordinato un concorso, caratterizzato da finalità scientifiche e pedagogiche.
REGOLAMENTO DI PARTECIPAZIONE AL PROGETTO-CONCORSO.
È in preparazione un archivio della memoria del ‘900. La principale area di riferimento è quella
relativa al Basso Monferrato, ma non si escludono fonti relative ad altre zone geografiche. La
ricostruzione della memoria storica del secolo breve comprende testimonianze di protagoniste o di
protagonisti su ogni aspetto della vita quotidiana: dall’impegno politico, sociale, economico, alle
condizioni materiali. Senza escludere la tradizione religiosa, gli elementi antropologici e relativi alla
cultura popolare (feste, leggende, proverbi, vita contadina ecc.). Particolare attenzione sarà rivolta
alla storia delle donne, con un approccio di genere. L’obiettivo è di far emergere le soggettività, i
ruoli, le condizioni femminili. A questo scopo è indetto un concorso aperto a tutti, in particolare
rivolto alle scuole ed ai giovani. Sono ammesse opere di qualsiasi genere: filmati, fotografie,
interviste, lettere, oggetti della cultura materiale, disegni, racconti, proverbi, canzoni ecc. Tutte le
fonti saranno catalogate ed esaminate da un’apposita giuria. I documenti entreranno a far parte di un
archivio, custodito dall’Associazione, e saranno a disposizione per ricerche, studi, pubblicazioni.
Ad ogni fonte dovrà essere allegata una SCHEDA TECNICA da cui risulti:
1
nome, cognome, luogo e data di nascita, indirizzo, recapito telefonico (fax ed e- mail) del
concorrente (o concorrenti, classi, gruppi ecc.)
2
modalità di raccolta del documento storico (ricerca in classe ecc.)
3
dati anagrafici e personali relativi al testimone oggetto della ricerca.
4
descrizione della fonte (orale, iconografica, fotografica, filmica ecc.)
5
periodo storico cui si riferisce
6
rapporti di parentela con il testimone
7
motivazione alla ricerca
8
studi o ricerche fatti in precedenza.
Per i minori di anni 18 la scheda di partecipazione dovrà essere firmata da chi ne esercita la patria
potestà. Si dovrà inoltre allegare la seguente dichiarazione:" Autorizzo l’Associazione
Comunicando al trattamento dei miei dati personali ai sensi della legge 31/12/1996 n° 675".
I materiali andranno recapitati a mano o spediti entro e non oltre il 30 maggio 2001 al seguente
indirizzo:
Associazione Comunicando c/o Maria Teresa Gavazza Via Marconi 13 – 15044 Quargnento (AL)
Tel. 0131-219638 Fax 0131-219555 E-mail [email protected]
Le ricerche (fonti) scelte, ad insindacabile giudizio della Giuria appositamente costituita, verranno
premiate nel corso di una cerimonia pubblica, cui saranno invitati tutti i partecipanti al concorso. I
materiali non verranno restituiti. La partecipazione è gratuita. I partecipanti dovranno autorizzare
per iscritto la conservazione dei materiali nell’archivio dell’Associazione Comunicando, secondo le
norme delle leggi vigenti.
Con il patrocinio della Provincia di Alessandria, Assessorato alla Pubblica Istruzione; dell’Istituto
Storico della Resistenza e della Società Contemporanea in provincia di Alessandria.
Per informazioni: Giandomenica Daziano: tel. 0131217397 Cristina Rossi: tel. 0131778449
RECENSIONI
Alessandro Allemano
Ancora un secolo al 2000.
Uomini e cose di cent’anni fa nel mondo, in Italia, nel Monferrato
Circolo parrocchiale "Luigia Bersano" - Santa Maria di Moncalvo; 2000
Questo volume, di 150 pagine con molte illustrazioni, raccoglie una vastissima serie di notizie sulla
realtà storica dell’anno 1900.
Dalla guerra anglo-boera alla rivolta dei Boxer e la conseguente spedizione multinazionale europea
in Cina, dall’assassinio di Re Umberto alle elezioni politiche generali, dagli avvenimenti dell’Anno
Santo alla canonizzazione di Santa Rita da Cascia, dalle pionieristiche Olimpiadi parigine alla
Grande Esposizione, alle novità della moda femminile, viene tratteggiata con dovizia di particolari e
moltissime note esplicative un’epoca importante, quando il secolo nuovo sembrava promettere
lunghi decenni di pace e concordia universale.
Attingendo agli archivi comunali di Moncalvo e Penango e all’archivio parrocchiale di Moncalvo,
Allemano ha raccontato come si svolgeva la vita in due piccole realtà locali, con gli inevitabili
problemi amministrativi, le ristrettezze economiche del mondo rurale (l’infezione di fillossera stava
facendo la sua devastante comparsa anche nei vigneti monferrini), le fatiche degli scolari.
Con una narrazione vivace e semplice questo libro, dall’aspetto elegante seppure austero, sa
integrare mirabilmente le piccole storie della realtà quotidiana e locale all’interno della più
imponente ed ufficiale Storia dei grandi eventi.
Il volume è disponibile presso la Biblioteca di Moncalvo al prezzo di lire 30.000: gli introiti
sono stati interamente destinati dall’Autore alle esigenze della Biblioteca stessa.
Paola Di Cori (a cura)
Storia al presente - Kosovo 1999
Trauben, Torino, 2000.
All’interno dell’ infuocato dibattito sull’uso dei manuali di storia nella scuola italiana ben si
inserisce questa agile pubblicazione, frutto di un percorso didattico presso il Dipartimento di storia
dell’Università di Torino. Si tratta di una raccolta di testi elaborati da studenti iscritti al corso di
Storia della storiografia contemporanea, condotto dalla professoressa Di Cori, la quale sviluppa
alcune riflessioni stimolanti nella prima parte del libro. Fin dalla genesi del lavoro si sottolinea la
radicalità di una concezione didattica da me condivisa, frutto di lunghe sperimentazioni nella scuola
superiore, indirizzate ad una riforma sempre sognata ma mai pienamente realizzata. La
dichiarazione di guerra del 24 marzo 1999 e le incursioni aeree su Belgrado sono l’occasione per
rivedere l’impostazione del corso: è giusto continuare l’insegnamento con un conflitto in atto? Qual
è il ruolo pubblico dell’intellettuale? Può l’insegnante rinunciare ad offrire un quadro di valori, un
profilo pedagogico ricco di impegno civile? Queste domande percorrono drammaticamente tutto il
testo e sono le stesse che ognuno di noi si è fatto nella sua aula di fronte agli studenti in quei lunghi
mesi di guerra. Il rischio era di cadere in una concezione di storia "militante" di cui l’autrice
sottolinea "i risultati spesso molto negativi frutto di tante pratiche didattiche selvagge degli anni
Settanta" (p.7). Ma il presente entrava prepotentemente nella nostra lezione e ci obbligava a fare i
conti con l’eccezionalità degli eventi (ho letto insieme ai miei studenti le poesie di guerra, mai sono
state così dense di significato!).
Di Cori usa "gli strumenti del mestiere" senza cadere in un mero attualismo ed evitando un
approccio semplicemente événementielle quale i media tendevano a dare giorno dopo giorno. "Il
fenomeno più eclatante a cui si è assistito, come era quasi ovvio che fosse, è stato infatti quello di
un ritorno in gran forma della storia con la S maiuscola al centro di tutti i dibattiti sulla guerra"
(p.16). Tutti abbiamo ascoltato i paralleli tra Milosevic e Hitler e il confronto tra i serbi e i nazisti.
L’argomento del corso universitario della docente, La cultura postcoloniale e la storiografia
contemporanea, nel fornire strumenti di comprensione dei modelli storiografici occidentali a partire
dei cambiamenti avvenuti alla fine degli anni Sessanta, suggerisce percorsi e risposte alle domande
degli studenti. "La interpretazione storica dell’attualità si offriva così come inevitabile lettura
differita del presente; e il passato, una volta posto in relazione con il contesto attuale, acquisiva
dimensioni diverse da quelle consuete" (p.11).
L’intreccio tra nuova storiografia e nuova didattica diventa così paradigmatico esempio di un
insegnamento di alto profilo, dove l’obiettivo ambizioso ma sicuramente legittimo, è quello di
modificare il rapporto dello studente con quell’oggetto misterioso e spesso studiato con un certo
fastidio, denominato la Storia con la S maiuscola. Già negli appunti sulla didattica universitaria
scritti da Di Cori in insegnare di storia (Trauben, Torino, 1999), si legge la sfida di una docente che
è consapevole di non avere più ricette preconfezionate e deve volta per volta costruirsi da sé una
pratica di insegnamento, tenendo conto dei vari contesti e della popolazione studentesca con cui ha
a che fare.
Spesso "il sapere è congelato, imposto con la maiuscola, come autorità intellettuale che si riproduce
una generazione dopo l’altra in maniera sempre identica e mai (ri)messa in discussione, dipendente
dalla buona volontà e intelligenza di chi studia, non criticamente rivisitato e riproposto in modi
diversi a seconda delle capacità di chi insegna" (ivi, p. 90). E’ invece "l’atmosfera" che si riesce a
creare, quel rovesciamento dei luoghi comuni in un processo di potenziamento dell’immaginazione
e della creatività ormai sacrificate al pensiero unico, a stimolare l’apprendimento dei giovani.
La guerra del Kosovo ha messo alla prova questa sperimentazione: in pochi mesi gli studenti hanno
individuato tre aree di problemi: la condizione dei profughi, i campi e la biopolitica. Una ricca
bibliografia ha accompagnato la ricerca, suscitando discussioni ed interesse tra i giovani. Sappiamo
bene quanti rischi si corrano nel mettere in crisi uno studio passivo e manualistico, dove le domande
o le discussioni collettive non sono una consuetudine diffusa. Di Cori non adotta libri di testo, ma li
fa costruire man mano dagli studenti attraverso brani, articoli di giornale, passi di classici della
storiografia e della filosofia quali Hannah Arendt e Foucault, o ancora pagine indimenticabili di
Primo Levi e Robert Antelme.
La dimensione del tempo e l’evento sono posti come oggetto di ragionamento storico: la temporalità
è collocata in rapporto ad un fatto improvviso, la guerra, che però richiama legami ed analogie
lontane. Gli strumenti della storiografia studiati nella prima parte del corso assumono un ruolo
nuovo, sono utili cioè "per reinterpretare non solo il Kosovo di oggi, ma anche le altre guerre del
secolo" (p.18). Un vero laboratorio didattico in cui sperimentare il lavoro dello storico, spinti dalla
drammaticità del presente.
Gli scritti raccolti nel libro sono infine il risultato di un incontro pubblico, dove gli studenti si sono
confrontati collettivamente sulla ricerca e sulle riflessioni scaturite dall’indagine. Ognuno di loro ha
preparato un breve intervento su argomenti significativi, elaborati nei mesi precedenti. Il risultato è
stato efficace: "letti e pronunciati uno dopo l’altro, pur nella loro brevità, sono riusciti a offrire un
quadro interpretativo variegato (…)" (p.19). Ma è soprattutto la dimensione drammatica che ha
stimolato l’intelligenza e la partecipazione dei giovani, delineando collettivamente un’idea di storia
al presente. Ho trovato molte analogie pedagogiche e storiografiche nell’esperienza del laboratorio
di lettura dei testi storici (Acqui Storia) e nelle sperimentazioni condotte dalla sezione didattica
dell’Istituto Storico (ISRAL) insieme alle scuole della provincia.
Ancora una doverosa citazione dei testi prodotti dalle/dai giovani autori, pubblicati nella seconda
parte del libro, Un percorso didattico di guerra: "L’epoca del biopotere" (Rossano Raspo.
Giuseppina Morandini); "La differenza sessuale" (Anna Badino); "La tortura" (Manuela Bolognini,
Elena Cottini); "L’arte. Marina Abramovich, un’artista testimone della guerra nei Balcani" (Allegra
Alasevic), "Il discorso della guerra. Discorsi, pratiche e identità nell’era della guerra totale" (Beppe
De Sario).
Un apprendimento che ha spinto i giovani a sentirsi meno impotenti di fronte alla minaccia di un
potere lontano, li ha posti di fronte ad un impegno civile dove la
coscienza critica diventa arma di difesa in una strategia di educazione alla non violenza.
(…) il mio sogno, del tutto personale, non è propriamente quello di costruire delle bombe, poiché
non mi piace uccidere la gente. Vorrei piuttosto scrivere dei libri che fossero come bombe, vale a
dire dei libri che venissero utilizzati nel momento esatto in cui vengono scritti o vengono letti da
qualcuno. Dopodiché, dovrebbero scomparire. Libri, insomma, destinati a scomparire poco tempo
dopo essere stati letti o utilizzati. I libri dovrebbero essere delle bombe, e nient’altro (p.13, da M.
Foucault, Bisogna difendere la società, Feltrinelli, Milano, 1998, p.254). Maria Teresa Gavazza
ACQUISTO DI NUOVI LIBRI
Sono stati compiuti nei mesi scorsi gli acquisti di nuovi libri, secondo la disponibilità del bilancio
comunale dell’anno 2000. Nel prossimo numero di "Pagine Moncalvesi" verrà dato un dettagliato
resoconto delle nuove dotazioni bibliografiche, che cercano di coprire tutti i settori del sapere
rappresentati in biblioteca.
DONI DI LIBRI
− Il dottor Giuseppe Spina ha donato parecchi altri volumi di vario argomento (narrativa, storia,
saggistica).
− Il presidente Allemano ha donato una rara edizione popolare del "Gelindo", dramma popolare di
ambiente natalizio in dialetto alessandrino, alcuni volumi di storia e la raccolta completa rilegata
delle annate 1899-1900 del "Secolo illustrato".
− Antonio Barbato ha donato l’enciclopedia "Il mondo domani", edizioni CDS Roma, in 16
volumi.
− Il dottor Paolo Cavallo ha donato il Bollettino della Società Storica Pinerolese, relativamente
agli anni 1997, 1998 e 1999.
− L’editore Lorenzo Fornaca, in considerazione del notevole aiuto dato dalla Biblioteca alla
realizzazione e alla divulgazione dell’opera "Monferrato tra Po e Tanaro", ha donato: "La storia
della Juventus" (2 volumi), "Asti: dal gioco allo sport", "Scuola di tennis" (4 volumi), "Pertini,
Presidente di tutti gli italiani", "Cronache dell’impossibile" di Ito De Rolandis e "L’utopia
vissuta" di Oddino Bo.
− L’ANPI di Asti tramite l’on. Oddino Bo ha donato la raccolta del notiziario "Resistenza oggi".
− Vanna Lachello ha donato vari volumi di letteratura e per ragazzi.
− Carla Rossi Castellano ha donato diversi volumi (testi scolastici, romanzi, saggi).
− Giuseppe Zanello di Penango ha donato la collana "La nostra biblioteca. Classici di tutti i Paesi
in 100 volumi".
− L’Associazione Casalese Arte e Storia ha donato il volume "Il Castello di Casale Monferrato"
che raccoglie gli atti del Convegno di studi tenuto a Casale dall’1 al 3 ottobre 1993.
− Il Comune di Cherasco (CN) ha donato il volume "Cherasco, Urbs Firmissima Pacis".
− Cesarina e Maria Luisa Sini, nipoti di Cesare Pavese, hanno donato vari volumi di letteratura
(narrativa, poesia e saggistica) dell’illustre zio.
− Il prof. Corrado Camandone ha donato alcuni libri scolastici della fine degli anni ‘20.
RIVISTE E LIBRI GIUNTI
− "Asti contemporanea" n. 7, edito dall’Istituto per la storia della resistenza e della società
contemporanea in provincia di Asti
− "Monferrato arte e storia" n. 12, edito dall’Associazione casalese Arte e Storia
− "Il Platano", anno XXV - 2000 (I e II semestre)
− "Curzio Gonzaga fedele d’amore letterato e politico", atti del convegno di studi, Torino 1999
(dono delle Edizioni Verso l’Arte di Cerrina)
− "al païs d’Lu", periodico mensile; numeri vari.
ADESIONI AL BOLLETTINO “PAGINE MONCALVESI”
Elenco aggiornato al 31 dicembre 2000
Aldo di Ricaldone – Ottiglio (AL)
Giuseppe Alessio – Montemagno (AT)
Carlo Aletto – Rosignano Monf. (AL)
Rita Allara – Grazzano Badoglio. (AT)
Gaetano Amante – Penango (AT)
Irene Amarotto – Genova
Antonino Angelino – Casale Monf. (AL)
Rosalba Ansaldi – Moncalvo (AT)
Giovanni Ardizzone – Moncalvo (AT)
Associazione culturale “Aquesana” Acqui Terme
Archivio storico diocesano – Casale Monf. (AL)
Associazione Casalese Arte e Storia – Casale M.
Associazione naz.le Combattenti e Reduci Moncalvo
Cristina Bacco - Moncalvo (AT)
Stefano Baldi - Torino
Enrica Baralis Coppa - Moncalvo (AT)
Roberto Barberis – San Salvatore Monf. (AL)
Amilcare Barbero – Ponzano (AL)
Simona Bargero – Moncalvo (AT)
Clelia Beccaris – Moncalvo (AT)
Stefano Beccaris – Moncalvo (AT)
Adriana Bechis Piacenza – Torino
Ezio Belforte – Torino
Cinzia Bendanti – Imola (BO)
Clara Bergamin - Montechiaro (AT)
Alberto Berliat - Penango (AT)
Cesare Berruti – Calliano (AT)
Gianni Berta – Alessandria
Mario Bertana – Moncalvo (AT)
Ugo Bertana – Castelletto Merli (AL)
Clara Besso – Moncalvo (AT)
Claudio Bestente - Moncalvo (AT)
Paola Bianco - Moncalvo (AT)
Biblioteca civica “G. Canna” – Casale Monf. (AL)
Biblioteca civica – Moncucco Torinese (AT)
Biblioteca comunale – Calamandrana (AT)
Biblioteca comunale – Calliano (AT)
Biblioteca comunale – Castelletto Merli (AL)
Biblioteca comunale – Grazzano B. (AT)
Biblioteca del Seminario vescovile – Asti
Biblioteca del Seminario vescovile – Casale Monf.
Biblioteca nazionale centrale – Firenze
Biblioteca storica della Provincia di Torino –
Torino Biblioteche civiche e Raccolte storiche – Torino
Angela Biedermann – Andora (SV) Raimondo
Biglione di Viarigi – Brescia Alessandro Biletta Moncalvo (AT) Guido Boano – Moncalvo (AT) Alfio
Bonelli – Calliano (AT) Maria Bonzano Strona – Asti
Alberto Borghini – Massa Mauro Bosco – Casale
Monf. (AL) Pier Giuseppe Bosco - Montalero (AL)
Enrichetta Bosia – Torino Vittorio Brandi - Asti
Armando Brignolo – Asti Francesco Broda - Moncalvo
Luigi Broda – Asti Luisa Brovero – Casale Monf. (AL)
Franco Buano – Moncalvo (AT) Maria Pia Buronzo Torino Domenico Bussi – Asti Luigi Caligaris – Roma
Corrado Camandone – Andora (SV) Marcello
Cambiaso – Moncalvo (AT)
Felice Camerano – Moncalvo (AT)
Marco Canepa – Alessandria
Maria Capra - Moncalvo (AT)
Pierina Capra - Moncalvo (AT)
Gaia Caramellino – Torino
Giancarlo Caramellino - Odalengo Piccolo (AL)
Massimo Carcione – Asti
Vittorio Giovanni Cardinali – Torino
Dina Cariola – Moncalvo (AT)
Mario Casalone - Torino
don Gian Paolo Cassano – Occimiano (AL)
Maria Castellano – Torino
Alba Cattaneo – Casale Monf. (AL)
Angela Cavallito – Moncalvo (AT)
Paolo Cavallo – Pinerolo (TO)
Luigi Cavallotto – Moncalvo (AT)
Carla Cavanna Broda – Moncalvo (AT)
Luciano Cecca - Moncalvo (AT)
Centro Studi Piemontesi – Torino
Centro UNESCO di Firenze – Firenze
Centro UNESCO di Torino – Torino
Mario Cerrano - Moncalvo (AT)
Annalisa Cerruti – Moncalvo (AT)
Maria Clerici – Pino Torinese (TO)
Comando provinciale dell’Arma dei Carabinieri – Asti
Comando Stazione Carabinieri – Moncalvo (AT)
Commissione nazionale della CRI per la Diffusione del
Diritto Internazionale Umanitario – Roma
Consorzio per la gestione della Biblioteca Astense Asti
Carla Coppo Sorba - Moncalvo (AT)
Giuseppe Coppo - Casorzo (AT)
Giuseppe Coppo – Moncalvo (AT)
Enrico Corzino – Moncalvo (AT)
Giuseppe Cova – Alessandria
Luigi Cravino - Frassinello Monf. (AL)
Maria Eleonora Cravino – Torino
Mario Cravino – Casale Monf. (AL)
Graziella Crosetto - Arese (MI)
Elisabetta Cuniberti - Torino
Piergiuseppe Cuniberti – Calliano (AT)
suor Elsa Cuppini – Torino
Franca Dagnino - Genova Sestri Ponente
Carlo Debernardi - Moncalvo (AT)
Patrizia Debernardi - Moncalvo (AT)
Armando De Coppi – Milano
Carlotta Della Sala Spada Lombardi Quattordio (AL)
Maria Cristina Della Sala Spada - Asti
Aldo Demaria - Asti
Direzione didattica – Moncalvo (AT)
Antonio Dogliani – Bra (CN)
Marco Dolermo – Acqui Terme (AL)
Elèna Dolino – Torino
Diana Donna - Moncalvo (AT)
Nadia Durante - Ponzano (AL)
Gigi Efisio - Casale Monf. (AL)
Emeroteca Storica Italiana – Verona
Tino Evaso – Casale Monf. (AL)
Aldo Fara - Moncalvo (AT)
Cesare Fara – Sanremo (IM)
Giovanni Fara – Torino
Franco Fassio – Moncalvo (AT)
Romano Fea - Torino
Giovanna Ferraro - Moncalvo (AT)
Marco Ferrero – Vicenza
Ornella Fino – Asti
Gennaro Fiscariello - Napoli
Fondazione San Vincenzo - Mirabello Monf. (AL)
Lorenzo Fornaca – Asti
Renzo Fracchia – Casale Monf. (AL)
Marta Franzoso – Asti
Iraide Gabiano - Moncalvo (AT)
Carla Galetto Broglia - S. Marcherita Ligure (GE)
Bruno Gallo – Buenos Ayres (Argentina)
Ugo Gallo – Casale Monf. (AL)
Francesca Gamba – Moncalvo (AT)
Fiorenzo Gambino – Monale (AT)
Maria Teresa Gavazza - Quargnento (AL)
Renato Gendre – Villafranca (AT)
Carlo Francesco Genta – Asti
Cleto Girino – Torino
Mario Andrea Gerbi – Roma
Fiorenza Gherlone – Revigliasco (AT)
Rosanna Gherlone – Moncalvo (AT)
Teresio Gonella - Moncalvo (AT)
Vittorio Graziano – Ponzano (AL)
Stefano Grillo – Casale Monf. (AL)
Walter Haberstumpf – Torino
Josette Hallet – Limal (Belgio)
Marco Illengo – Serralunga di Crea (AL)
Michele Isacco – Trino (VC)
Istituto Internazionale di Diritto Umanitario Sanremo
Maria Rita Laio Cerruti - Moncalvo (AT)
Claudio Lamberti Corbella - Moncalvo (AT)
Angela Laurella - Torino
Roberto Laurella - Moncalvo (AT)
Silvio Lavagnino – Asti
Emma Lazzarini Delponte - Alessandria
Giancarlo Libert – Torino
Liceo Ginnasio “V. Alfieri” – Asti
Elisa Ludergnani Magnani - Moncalvo (AT)
Armida Lunghi Salatino – Moncalvo (AT)
Alberto Lupano - Torino
Americo Luparia – Moncalvo (AT)
Giovanni Macagno – Asti
Lorenzo Magrassi – Mombello (AL)
Giampiero Maio – Moncalvo (AT)
Teresio Malpassuto – Casale Monf. (AL)
Giuseppe Mantelli – Casale Monf. (AL)
Arturo Marcheggiano – Pitigliano (GR)
Carlo Antonio Marchesi - Milano
Giuseppandrea Martinetti – Moncalvo (AT)
Aldo Marzano – Moncalvo (AT)
Rita Marzano – Moncalvo (AT)
Rita Marzola - Moncalvo (AT)
Marco Massaglia – Moncalvo (AT)
Giorgio Massola – Casale Monf. (AL)
Alfredo Matuonto – Milano
Ferruccio Mazzariol – Treviso
Oreste Mazzucco – Torino
Roberto Mercuri – Viterbo
Rinaldo Merlone – Piobesi (TO)
Giovanni Minoglio Chionio – Torino
Olga Miravalle - Moncalvo (AT)
Aldo Alessandro Mola – Torre San Giorgio (CN)
Renzo Mombellardo - Moncalvo (AT)
Roberto Mombellardo – Moncalvo (AT)
Elda Mongardi – Imola (BO)
Nancy Montanari - Palermo
Wendy Montanari - Alexandria, Va. - U.S.A.
Giuliano Monti – Moncalvo (AT)
Orazia Montiglio – Moncalvo (AT)
Marco Morra – Asti
Mirella Mortarotti - Moncalvo (AT)
Lyda Mosca – Asti
Pier Luigi Muggiati – Casale Monf. (AL)
Olimpio Musso - Colle Val d’Elsa (SI)
Angelo Muzio – Casale Monf. (AL)
Giovanni Navazzotti – Villanova Monf. (AL)
Gino Nebiolo – Roma
Vincenzo Nebiolo – Asti
Daniela Nebiolo Sacco – Asti
Pierina Nicolini - Mombello Monf. (AL)
Livia Novelli – Borgo San Martino (AL)
Nevilda Oddone - Grana (AT)
Giuseppe Opezzo – Omegna (VB)
Oscar Ottone – Moncalvo
Monica Parola – Portacomaro (AT)
Parrocchia di S. Antonio di Padova – Moncalvo
Parrocchia del Santo Nome di Maria – Calliano
Vittorio Pasteris - Moncalvo (AT)
Mario Pavese – Torino
Renato Peirone – Penango (AT)
Fratelli Pelazza – Milano
Marcella Perotti - Quattordio (AL)
Franco Piacenza – Torino
Gino Piacenza – Torino
Giulia Piacenza Amerio – Torino
Alfredo Poli – Calliano (AT)
Studio Poli - Sanremo (IM)
Francesco Porcellana – Asti
Pontificio Consiglio per la Cultura – Città del Vaticano
Anna Prato Sarzano - Torino
Rodolfo Prosio – Asti
Carlo Prosperi – Acqui Terme (AL)
Achille Raimondo – Moncalvo (AT)
don Severino Ramello – Agliano Terme (AT)
Gian Luigi Rapetti Bovio Della Torre – Strevi (AL)
Alice Raviola – Asti
Carlo Raviola – Asti
Pierantonia Raviola - Moncalvo (AT)
Giovanni Rebora – Acqui Terme (AL)
Giuseppina Redoglia Sarzano - Moncalvo (AT)
Piera Redoglia – Grazzano Badoglio (AT)
Pia Re Ombra – Casale Monf. (AL)
don Francesco Ricossa – Verrua Savoia (TO)
Alberto Rissone – Asti
Luigi Rizzo – Lecce
Mario Andrea Rocco – Castell’Alfero (AT)
Dionigi Roggero – Casale Monf. (AL)
Giovanni Roggero – Asti
Rubèn Darío Romani Ferreira – Mendoza (Argentina)
Riccardo Romano – Venezia Lido
Giuseppe Rosina – Moncalvo (AT)
Enrica Rossetti Rampi - Alessandria
Renato Rossi – Moncalvo (AT)
Learco Sandi – Milano
Paolo Santoro – Firenze
Raffaele Santoro – Roma
Laura Santoro Ragaini – Milano
Claudio Saporetti – Roma
Mariella Sarzano – Vinchio (AT)
Giovanni Scaiola – Moncalvo (AT)
Massimo Scaglione – Torino
Mariangela Scarsi Barberis – Moncalvo (AT)
Scuola elementare “Ten. Riva” – Montemagno
Scuola media statale “Capello” – Moncalvo (AT)
Carlo Serra – Moncalvo (AT)
Elisabetta Serra – Torino
Mirella Simoni Locatelli - Piacenza
Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti Torino
Fernando Sorisio – Asti
Roberto Sorisio - Asti
Emilio Spallicci – Alessandria
Giuseppe Spina – Treville (AL)
Maria Spinoglio – Moncalvo (AT)
Angela Strona – Moncalvo (AT)
Vincenzo Strona – Moncalvo (AT)
Studio Poli - Sanremo (IM)
Giorgio Tacchini - Vercelli
Marco Tappa - Moncalvo (AT)
Giuseppe Tardito – Moncalvo (AT)
Mario Testa – Torino
“Tridinum” – Società per l’Archeologia, la Storia
e le Belle Arti – Trino (VC)
Pierluigi Truffa – Gabiano (AL)
Ufficio Storico Stato Maggiore Esercito – Roma
UTEA (Università Terza Età) – Asti
Francesco Vaglio- Givoletto (TO)
Giuseppe Vaglio – Torino
Anna Varvelli – Castelletto Merli (AL)
Laura Venesio – Moncalvo (AT)
Elena Verrua – Moncalvo (AT)
Alberto Verdelli – Moncalvo (AT)
Sergio Vidinich – Genova
Aldo Vigna - Asti
“Villaviva” – Società culturale – Villanova Monf. (AL)
Anna Visca Martinotti – Moncalvo (AT)
Luisa Volta – Moncalvo (AT)
Franco Zampicinini – Cocconato (AT)
Giuseppe Zanello – Penango (AT)
Igor Zanzottera – Alessandria
Domenico Zoccola – Lecco
Mario Zonca – Moncalvo (AT)