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La coltura del castagno La coltura del castagno (castanea sativa) ha rappresentato per secoli una risorsa fondamentale nell'economia dei Monti Lepini, come di altre zone di Italia, sia per il suo legname che per il suo frutto pregiato, che hanno alimentato a lungo un mercato fiorente e un indotto importante. A partire dalla fine degli anni Cinquanta del secolo XX il mercato del legname è andato in crisi in quanto è stato sostituito con altro materiale, come dal cemento o da legname proveniente da altre essenze, spesso di importazione. A determinare questa situazione hanno contribuito il cambiamento dei gusti nella popolazione e il diffondersi di alcune malattie specialmente il cancro del castagno e la malattia dell'inchiostro, che hanno seriamente danneggiato i castagneti con conseguenze negative anche sui loro derivati. Attualmente c'è un altro nemico molto pericoloso da combattere: il cinipide, ma occorrono interventi dello Stato o della Regione. Oggi sembra che ci sia un ritorno d'amore per il castagno. Il suo legno viene ampiamente utilizzato per la costruzione di verande, soppalchi, sottotetti, e stanno tornando di moda anche gli infissi e alcuni mobili di castagno. Di qui la nascita anche di alcune industrie di settore, presenti anche nel nostro territorio. C'è da sperare che la tendenza si consolidi nel futuro e torni di nuovo economicamente appetibile impiantare castagneti. Ne guadagnerebbero anche l'assetto del territorio, il paesaggio e la salute dei cittadini. Per inciso, si sottolinea che nella Conca di Suso non vengono impiantati nuovi castagneti da almeno settanta/ottanta anni. Il castagno è una pianta spontanea, ma i castagneti presenti nelle nostre zone sono stati generalmente impiantati dall'uomo. Allo scopo una volta si sceglievano terreni poco fertili, scoscesi e non facilmente coltivabili. Per avere un buon castagneto si parte dalla messa a dimora del frutto nel mese di Novembre-Dicembre su terreno appositamente dissodato. Esso germoglia già in pieno inverno. A partire dalla primavera successiva bisogna zappare il terreno per tenere la piantina libera dalle erbacce che potrebbero soffocarla, e difenderla dagli animali, specialmente pecore e capre, che sono ghiotte di teneri germogli. La cura continua anche nel secondo anno. Compiuti i due anni la piantina, ormai alta 40-50 centimetri, viene recisa per consentirle di rafforzarsi. Bisogna ricordare che il castagno è una pianta cedua. Alla base dello stelo reciso si sviluppano nuovi virgulti che rapidamente si accrescono raggiungendo in qualche mese anche l'altezza di un metro. La crescita continua anche negli anni successivi. Dopo 13 anni dalla recisione si può effettuare il primo taglio del castagneto. Prima di questa operazione radicale ci sono però altre tappe da rispettare. Quando i virgulti hanno quattro/cinque anni bisogna “assestarli”. Si devono, cioè, eliminare dal ceppo quelli superflui che non possono raggiungere dimensioni apprezzabili. Ogni giovane ceppo può “allevare” non più di 4/5 pertiche, tutte le altre vanno eliminate. Nello stesso tempo si procede a scampare la macchia, liberandola da eventuali rovi e altre piante estranee sviluppatesi spontaneamente. Il castagneto deve essere tenuto ben pulito. Con il materiale di risulta si fanno fascine da utilizzare nei forni per la cottura del pane. Un tempo esse erano molto richieste perché tutti i forni erano alimentati a legna. Oggi i forni elettrici o a gas hanno in larga parte sostituito quelli tradizionali e le frasche del castagno rimangono spesso nei boschi. Questa scelta contribuisce ad appesantire la nostra bilancia dei pagamenti e ci riserva pane e pizza di qualità e sapore inferiori, per non parlare della fragranza, rispetto agli stessi prodotti cotti nei forni a legna. Un'ulteriore operazione da fare prima del primo taglio, fissato, come si è detto a 13 anni, è il cosiddetto “sfollamento”. Nello sfollamento, che si pratica dopo circa 10 anni dal taglio, si eliminano alcune altre pertiche non sufficientemente sviluppate, spezzate o malate. La legna ricavata viene usata per farne fascetti o legna da ardere. Fino agli anni sessanta dello scorso secolo il taglio del castagneto veniva effettuato a mano da operai specializzati (i tagliatori), a partire dal mese di Ottobre e, possibilmente, sempre in periodo di luna calante. Ciò era necessario per avere la sicurezza di poter avere legname destinato a durare molto a lungo. Armati di accette affilatissime, procedevano innanzi tutto alla “gettata”, all'abbattimento, cioè, di un buon numero di pertiche, avendo cura, però, di lasciarne una ogni 1215 metri, detta guida o matricina. In questa fase venivano momentaneamente lasciate in piedi anche le vecchie guide, pertiche di dimensioni più grandi da cui si ricavano travi e tavole. Su di esse si tornerà in seguito. Subito dopo altri operai procedevano a liberare (sfrascare) le singole pertiche dai rami. Dopo il compimento di tale lavoro i tagliatori si dedicavano a sezionare le pertiche con seghe affilate, dette stronconi o stronconetti. A seconda della robustezza e della lunghezza della pertica si potevano ricavare: filagne da filo, filagne di prima scelta, di seconda o terza, pali di 2,50/3,00 metri e passoni di 2,00 metri, sempre di prima, di seconda e di terza scelta, paletti di terza scelta, detti anche reginelle. Lo stroncone utilizzato per sezionare le pertiche era lungo un metro ed era perciò utilizzato anche come strumento di misura nell'attività di sezionamento delle pertiche, esso aveva un manico ricurvo, fatto in genere di legno di castagno, ed era azionato da due uomini posizionati alle due estremità dell'attrezzo. Doveva tagliare come un rasoio per garantire rapidità nell'esecuzione dei lavori e minor fatica agli addetti. Dietro i segatori un altro operaio provvedeva ad accatastare il legname sezionato in più mucchi, detti morse (morze) dal nome di un attrezzo utilizzato per l'afficatura o profilatura del legname stesso. A questo punto intervenivano gli affacciatori, operai specializzati nel profilare i singoli pezzi ricavati. In genere erano gli stessi tagliatori, ma c'erano anche persone che svolgevano esclusivamente questo tipo di lavoro. Era un'attività molto impegnativa e di alta precisione perché bisognava trasformare il legname grezzo in materiale da costruzione. Gli errori eventualmente commessi rendevano il pezzo inutilizzabile con conseguenze gravi sul piano economico. Per questa operazione si usava un altro tipo di accetta più leggera e con lama più larga che doveva essere sempre affilatissima. Se la lama dell'arnese presentava imperfezioni, lasciava segni evidenti sul legname affacciato, imperfezione anche questa che lo rendeva di qualità meno pregiata e, quindi, di minor prezzo. In questi casi si diceva: “l'accetta scrive”. Bisognava immediatamente fermarsi e procedere ad un'attenta arrotatura e affilatura dell'attrezzo. Per affacciare i vari pezzi, l'operaio addetto non aveva altri mezzi che la sua abilità e il suo occhio. Soprattutto le filagne da filo, usate per i tetti degli edifici, dovevano essere ben dritte e dello stesso spessore alla base come al vertice. Con l'affacciatore operava un ragazzo che aveva il compito di scorzare i vari pezzi, di rimuovere cioè dagli stessi la corteccia. Era chiamato scorzino. Armato di un piccolo falcetto, anche esso molto arrotato, e avvolto da uno straccio nella parte mediana della lama per evitare l'insorgere di calli sulle dita, egli toglieva tutta la corteccia alle filagne e ai passoni di due metri, che al termine dell'operazione apparivano bianchi candidi. Per quanto riguarda i pali di tre metri e le reginelle, solitamente si rimuoveva la scorza per una lunghezza di circa due metri, la parte restante veniva lasciata intatta. L'affacciatore e lo scorzino, in genere, svolgevano il loro lavoro a cottimo e percepivano un compenso per ciascun pezzo lavorato. Lo scorzino aveva anche il compito di sistemare i pezzi in cataste perfettamente ordinate allo scopo di garantire una rapida conta di tutto il legname lavorato. Mentre gli affacciatori e gli scorzini svolgevano il loro lavoro, altri operai, in questo caso sia uomini che donne, provvedevano ad eliminare le frasche rimaste a terra e a trasformarle in fascine (fascetti) destinate, come si è detto, ai forni di Sezze. I fascetti venivano radunati in mucchi di sei, detti some. Era il numero che poteva essere caricato sul dorso di un mulo o di un asino. All'interno dei fascetti venivano collocati anche i ricci, la corteccia ricavata dall'affacciatura e dall'attività dello scorzino. Insomma non si doveva sprecare nulla e, soprattutto, il castagneto doveva essere lasciato perfettamente pulito entro il 31 Marzo a garanzia di una sana ricrescita dei nuovi virgulti destinati ad un altro taglio in capo a 13 anni. Si danno qui i nomi di alcuni affacciatori e segatori molto esperti che hanno lavorato nell'area di Suso nel corso della prima metà del Novecento: Pietro Salvatori detto zi' Pietro i segatore e figli, Ercole Fratarcangeli detto Fulla, Antonio Marchetti detto Le migliori macchine e Luigi Rapone detto La soricaccia. Ripulito il castagneto dalle frasche, bisognava portare a termine altri lavori. La cioccatura dei ceppi e il taglio delle guide vecchie. La cioccatura consiste nella rimozione delle parti secche dai ceppi o anche nell'eliminazione di parti eccessivamente rialzate che non garantirebbero una buona ricrescita per il nuovo taglio. Il taglio delle guide viene effettuato, invece, per avere a disposizione piante più grandi da trasformare in tavole o travi da costruzione. Dopo l'abbattimento, le guide venivano sfrascate, trainate intere da muli fuori dal castagneto e dopositate in uno spiazzo libero. Va da sé che le nuove frasche venivano trasformate in altre fascette. Quando tutti questi lavori erano terminati, arrivavano sul posto i vetturali che con l'aiuto di muli ed asini caricavano il legname e lo trasportavano in centri di raccolta per la successiva vendita. A volte la vendita avveniva già all'interno del castagneto ed allora erano gli acquirenti che si impegnavano a cercare i vetturali per il trasporto. Sul posto di vendita il legname veniva perfettamente ordinato a seconda del tipo di taglio e di scelta. Tutto ciò per presentare agli acquirenti nel modo migliore possibile. Il legname di Suso era molto ricercato perché molto resistente. Era utilizzato in grande quantità nella Pianura Pontina per la costruzione di pergole, staccionate, capanne, palizzate varie, baracche, recinti per animali (cavalli e bovini). Era notevole anche la richiesta per i vigneti e, naturalmente, per la costruzione di edifici piccoli o grandi, dallo scentì (casetta con una unica stanza) alla villa. Le vecchie guide depositate fuori dal bosco venivano anche esse lavorate. Da esse si potevano ricavare, come si è detto, travi per costruzione oppure tavole. In quest'ultimo caso i lavori di segatura iniziavano alcuni mesi dopo il taglio, in genere nel mese di Agosto. La guida veniva sezionata in rocchi di 2,22 metri, la misura standard richiesta dai falegnami per porte ed infissi. Una volta affacciato, il rocchio veniva posizionato all'interno di una fossa con un'inclinazione di circa 60 gradi e tre segatori, uno in alto e due in basso, segavano verticalmente il rocchio, seguendo scrupolosamente una linea tratteggiata in precedenza sul rocchio stesso con un filo impregnato di fango. Le tavole ricavate, dello spessore di 3 centimetri, venivano accatastate e messe a stagionare per diverso tempo all'aperto. Ma, in genere, si cercava di venderle prima possibile anche per evitare furti. Inoltre, ogni tavola nel corso della stagionatura andava attentamente controllata per evitare che si spaccasse verticalmente. Per evitare questi pericoli si ricorreva a delle fascette che tenevano stretta la parte della tavola in cui era apparsa l'eventuale crepa. In genere, per la stagionatura naturale delle tavole di castagno si richiede un periodo di almeno tre/quattro anni. È necessario un anno di stagionatura per ogni centimetro di spessore della tavola. Le guide potevano essere trasformate anche in travi da costruzione. In questo caso si poteva procedere alla loro affacciatura, come per gli altri pezzi sopra menzionati, ma il lavoro da eseguire sulle travi era molto più accurato perché essi normalmente nelle case restavano a vista e avevano anche la funzione di abbellirla. Esauriti tutti i lavori il castagneto poteva tornare a crescere. Bisognava vigilare però che in esso non entrassero animali come pecore e capre. Si diceva che sul castagneto c'era un vincolo che tutti erano tenuti a rispettare. Purtroppo a volte la golosità degli animali, che non sempre si riusciva a controllare, creava gravi danni. Allora scoppiavano litigi furibondi che spesso finivano in tribunale. Aldo Orsini