Bambini ai gay?
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Bambini ai gay?
Margherita Bottino e Daniela Danna Bambini ai gay? Indice: Introduzione (Daniela Danna) Cap. 1) Madri lesbiche (e qualche padre gay) (Daniela Danna) pag. 5 8 Maschio e femmina: dalla biologia alla società Lo scherno Altri miti e pregiudizi Cap. 2) Le ricerche sui figli di omosessuali (Margherita Bottino) 23 L’eterosessismo e la teoria della “non differenza” Le ricerche avverse Le ricerche favorevoli La consapevolezza della non differenza I metodi di campionamento I risultati delle ricerche Genere Orientamento sessuale Salute mentale dei figli Lo sviluppo sessuale e di genere dei figli Pratiche genitoriali Benessere dei genitori Nessuna differenza preoccupante Cap. 3) Stato e famiglia (Daniela Danna) 47 Matrimoni Adozioni Responsabilità genitoriale Inseminazione assistita Affidamento post-divorzio Riferimenti bibliografici 61 1 Versione ridotta del testo “La gaia famiglia. Che cos’è l’omogenitorialità?”, pubblicato nel 2005 da Asterios, Trieste, con prefazione dei giuristi Paolo Cendon e Francesco Bigotta, e reperibile nelle librerie Feltrinelli di tutta Italia oppure contattando l’editore www.asterios.it Margherita Bottino ha collaborato a ricerche di psicologia della salute presso l' Università degli Studi di Milano e l' Università del Surrey, e si è occupata del rapporto tra donne e devianza: il ruolo delle donne nei maggiori gruppi terroristici europei e nelle organizzazioni di stampo mafioso italiane. Daniela Danna, è ricercatrice in Sociologia presso l' Università degli studi di Milano. E'autrice di “<Io ho una bella figlia…> Le madri lesbiche raccontano” (Zoe 1998), “Matrimonio omosessuale” (Erre emme 1997) e di altri lavori sui temi dell' omosessualità e della prostituzione. Ha un sito: www.danieladanna.it, attraverso il quale è contattabile. RINGRAZIAMENTI Questo libro non avrebbe potuto essere scritto senza la collaborazione preziosa delle amiche e degli amici ai quali dobbiamo la nostra gratitudine: Sara De Giovanni e il Centro di Documentazione del Cassero di Bologna; il Dipartimento Studi Sociali e Politici, Università degli Studi di Milano; la dott.ssa Ansa Ojanlatva, Università di Turku, Finlandia; Eva Dose e Lisa Del Torre, Arcilesbica di Udine; la mailing list lli-mamme e l' associazione Famiglie Arcobaleno; tutte le donne che hanno voluto raccontare la propria esperienza personale per farne patrimonio comune; Nicoletta Poidimani; Sandra Cossu e Natascia Barro. 2 • • • 3 ! " # $ " 4 Margherita Bottino, Daniela Danna Bambini ai gay? Introduzione La famiglia sta cambiando. Ma la famiglia è mai stata uguale a se stessa? Il modo di organizzare la riproduzione, di provvedere all’educazione e all’istruzione dei figli, di organizzare la vita concreta e quotidiana in casa sono in continuo cambiamento nello spazio e nel tempo, da una civiltà all’altra, dalla campagna alla città, da famiglie che sono anche unità economiche di produzione a famiglie che mettono in comune redditi procacciati altrove e decidono al proprio interno soltanto i consumi. Le bambine e i bambini, i piccoli esseri umani, sono stati allevati nelle persuasioni più diverse, con i metodi più diversi, con aspettative le più varie nei loro confronti, riguardo al loro ruolo, ai loro compiti, alle tappe della loro autonomia. Non dobbiamo andare molto lontano nella nostra storia per trovare un modello di famiglia fondato non sull’affettività, ma sulla lontananza affettiva, soprattutto dei padri, concentrati nella severità della dignità virile; non sull’assunzione in prima persona del carico di lavoro che un’infante richiede da parte della madre, ma sull’assunzione di balie, dove la stessa riproduzione non era basata su un atto d’amore, ma su rapporti sessuali vissuti come dovere, con mariti incuranti del consenso delle mogli1 e del loro piacere sessuale: una vera e propria forma di riproduzione “senza sesso” per le donne - a meno di non volere chiamare “sessualità” il mero incontro di genitali nel quale il desiderio non viene condiviso. Lo sfondo sul quale collocare il nostro lavoro sulle famiglie che i francesi hanno preso a chiamare “omoparentali”, cioè le coppie di donne e di uomini che decidono di allevare dei bambini, è quello di una grande diversità storica dell’istituto sociale deputato alla procreazione, la famiglia. Ma il nostro obiettivo non è ricorrere agli studi antropologici per mostrare come queste famiglie non siano che una delle tante varianti che sono esistite o che esistono tuttora, né scenderemo nei dettagli della ricerca storica per ricostruire i mondi separati maschili e femminili che sono stati di fatto gli ambienti in cui i piccoli dell’uno e dell’altro sesso sono cresciuti, senza che ciò avesse mai destato preoccupazioni per la carenza di “figure” e modelli del sesso opposto. Per tutto questo, basta aprire i libri di storia che si occupano di famiglia, e i resoconti degli antropologi. Ci concentreremo invece sul mondo contemporaneo, e descriveremo unicamente il contesto attuale del fenomeno delle famiglie con genitori gay, andando a cercare all’interno di queste famiglie, con il supporto delle più recenti ricerche fatte da psicologi e sociologi, le risposte a tutte quelle domande che circolano 1 Cosa riconosciuta dalle leggi, che solo recentemente hanno cominciato a proibire lo stupro all’interno del matrimonio. Anzi, in passato lo stupro era un motivo di “matrimonio riparatore” (Aleramo 1906). 5 nell’opinione pubblica a proposito del “bene del bambino”. E possiamo dire fin da ora che ciò che scopriremo è una grande distanza tra i toni del dibattito politico, e della stessa vox populi, e la realtà vissuta dalle bambine e dai bambini che crescono nelle famiglie con genitori omosessuali: una distanza che, proprio in nome del “bene dei bambini”, ci auguriamo venga colmata al più presto. Il nostro lavoro è un modesto contributo alla diffusione dei risultati delle ricerche più serie sull’argomento, e un sincero incentivo a un dibattito che dovrebbe nutrirsi più di fatti e meno di pregiudizi e poco meditati luoghi comuni. Infatti sul tema della “omogenitorialità” c’è una distanza tra fantasie e realtà tale che è necessario uno sforzo molto grande per riformulare le questioni sul tappeto nel dibattito politico e mettere le cose nella giusta prospettiva. Il dibattito pubblico, impostato sul presupposto che l’omosessualità sia solo maschile e che la priorità degli omosessuali che vogliono fondare una famiglia sia un accesso a bambini abbandonati, o addirittura partoriti su commissione, si è incentrato sull’adozione, sui “bambini ai gay”. E oltretutto ciò ha collocato la questione in un ipotetico futuro piuttosto che nel presente, dal momento che in pochi luoghi è consentito a gay e lesbiche di adottare: sicuramente non lo è nel nostro paese, dove solo coppie sposate possono far domanda di adozione. Questo modo di “incorniciare” la questione è fuorviante e crea problemi enormi, infatti è più che probabile2 che la reazione di rifiuto viscerale data dall’”adozione ai gay” o, come si esprimono alcuni esponenti politici ad essa fortemente contrari, del “dare i bambini ai gay” sia provocata sicuramente anche dall’arbitraria e insultante associazione tra omosessualità e pedofilia, ma soprattutto dal semplice sconcerto nel pensare a due uomini – o anche uno solo! – che si occupano di un bambino senza aiuto da parte di una donna, dal momento che il ruolo del padre non prevede l’accudimento materiale e il forte legame emotivo necessario soprattutto nella prima infanzia. Se riformuliamo la questione a partire dalla realtà delle “gaie famiglie” esistenti, vediamo che crescere con genitori omosessuali significa oggi nella grandissima maggioranza dei casi avere una madre lesbica. Il caso più frequente è che la madre abbia scelto di stare con una donna dopo un divorzio, il caso più raro è che abbia deciso di avere un figlio consapevolmente da lesbica. La questione della paternità gay è da noi in modo particolare una questione ancora più marginale: la procreazione deve avvenire dal ventre di una donna, e pochi padri separati gay hanno l’affidamento dei figli dopo un divorzio, perché in generale pochi uomini si sentono in grado di affrontare l’allevamento dei figli senza avere una donna al fianco. In altri paesi la questione è più rilevante perché i gay possono adottare o ricorrere alla molto discutibile pratica della maternità surrogata. 2 Questa probabilità non è una certezza solo perché i sondaggi di opinione non distinguono mai tra adozione ai gay e “adozione” (ma perché non parlare piuttosto di “procreazione”?) delle lesbiche nella formulazione delle domande – altro esempio della perdurante inferiorità sociale del genere femminile, rivelata dal suo non ricevere adeguata rappresentazione. 6 Dunque nel nostro paese la famiglia “senza madre” rimane un fenomeno raro e confinato a casi molto particolari, mentre la famiglia “senza padre”, pur essendoci un divieto di fecondazione assistita a donne anagraficamente singole, può essere realizzata molto facilmente. È quindi delle famiglie “senza padre”, del modo che hanno di crescere i figli, dei loro rapporti con il diritto, delle loro richieste alla società che dobbiamo ora occuparci. 7 Cap. 1) Madri lesbiche (e qualche padre gay) La “gaia famiglia” nascerà solo per un capriccio dell’impotente Parlamento Europeo. Lo si direbbe leggendo sui quotidiani le dichiarazioni dei politici, per non menzionare quelle degli ecclesiastici: quei frustrati pseudo-legislatori vogliono consegnare i “bambini ai gay” con l’adozione. I commenti sono variazioni sul tema della decadenza dei costumi e dell’incapacità di un mondo in declino di distinguere ancora i tratti costitutivi di una vera famiglia. L’Osservatore romano, nella campagna martellante cominciata con la campagna elettorale del 2006, in risposta alla presa di posizione di Rosi Bindi, neoministra per la Famiglia, a favore dei diritti di chi convive, scrive che “«L' impressione è - scrive l' Osservatore - che le convivenze eterosessuali siano usate semplicemente come grimaldello, perché più diffuse e maggiormente in grado di far convergere comprensione e benevolenza. Il vero obiettivo appare essere un altro: la convivenza fra coppie omosessuali, alle quali un riconoscimento pubblico darebbe un' arma formidabile al fine di accreditare l' esistenza di una forma alternativa di famiglia. E dove c' è famiglia, inevitabilmente, prima o poi ci sono anche i figli. E i loro diritti»3. Parimenti si direbbe, quando talvolta ci si ricorda che l’omosessualità riguarda anche il genere femminile, che la “gaia famiglia” versione lesbica sia un evento e un avvento nuovo di zecca, coniato nei misteriosi laboratori della ricerca medica: una novità da ventunesimo secolo, che come tutte le scoperte scientifiche solleva problemi di legittimità morale costringendoci ad affrontare per la prima volta qualcosa di ignoto. Questi due miti paralleli portano le numerose persone messe a disagio dall’omosessualità a pensare che la procreazione di lesbiche e gay possa essere bandita con un tratto di penna del legislatore, proprio come accade oggi in Italia, dove non è possibile che una persona che non sia sposata adotti un minore e dove la legge in vigore sulla fecondazione assistita (su cui la cittadinanza dovrà pronunciarsi con un referendum abrogativo) garantisce unicamente a partner sposati l’accesso alle nuove tecnologie riproduttive, e solo ad alcune di esse. Ciononostante le famiglie gay esistono, anche in Italia. Donne che amano altre donne e uomini che amano altri uomini diventano madri e padri, o lo sono diventati in una fase precedente della loro vita, e i loro compagni e compagne sono presenti nella vita dei figli/e in vario modo: con la loro semplice vicinanza al genitore biologico oppure assumendosi la responsabilità della cura dei figli/e dell’altra o dell’altro, fino a condividere, nel caso di donne lesbiche, la decisione di procreare. La capacità di avere figli/e delle lesbiche, non sarà superfluo ricordarlo, è pari a quella delle altre donne, e per questa ragione il nostro discorso sull’omogenitorialità non potrà essere neutro, non 3 Citato da Rossi Barilli, G.: “Rosy sotto tiro. Mastella subdolo: tocca al parlamento”, Il Manifesto, 23.5.2006, p.3. 8 potrà dare lo stesso rilievo alle famiglie composte da lesbiche e a quelle composte da gay. Queste ultime rappresentano davvero una minoranza di quelle ricostituite dopo un divorzio, anche perché l’allevamento dei figli/e è ancora un fatto di donne, e anche l’affido dei figli/e minori a seguito di un divorzio nella maggior parte dei casi spetta alla madre, che se ne occupava con più assiduità. Infatti nel nostro paese la filiazione da un o una omosessuale riguarda ancora in grandissima maggioranza bambini concepiti in unioni eterosessuali: i dati del questionario del Gruppo soggettività lesbica rivelano che ha avuto figli il 6,5% delle 691 donne lesbiche che hanno risposto, di cui l’82,2% in una relazione con un uomo, cioè 37 in numero assoluto, cui si aggiungono 5 che hanno avuto figli da singole e 3 in una relazione con una donna (Gruppo soggettività lesbica 2005)4. Per le generazioni più vecchie di omosessuali5, che sono cresciute con la rigida prospettiva del matrimonio e della procreazione come destino ineluttabile, l’idea di poter trascorrere la vita con una persona del proprio sesso ha faticato a farsi strada, ed è stata accettata solo dopo la nascita dei figli/e, a volte proprio perché in quel momento si sente di aver adempiuto al proprio dovere sociale e si è più libere di guardare dentro di sé alle proprie aspirazioni individuali. Non mancano nel panorama dell’omogenitorialità le ragazze madri che incontrano una partner donna nel primissimo periodo di vita del bambino/a, addirittura persino durante la gravidanza. E solo alla fine, ancora sparuta minoranza benché in espansione, troviamo donne mediamente più giovani, cresciute in un clima di visibilità degli omosessuali e di maggiore tolleranza nei loro confronti, che consapevolmente decidono di avere dei figli essendo lesbiche: tramite inseminazione assistita (nelle cliniche italiane quando ancora era possibile, e con viaggi all’estero oggi), tramite il dono da parte di un amico (realizzando in questo modo anche la paternità gay) e forse anche tramite un’intermediazione che garantisca l’anonimato reciproco della coppia lesbica e dell’uomo che vuole solo essere donatore del seme senza assumersi responsabilità paterna6. Non ne siamo direttamente a conoscenza, ma potrebbero esistere anche casi di ricorso alla pratica, rischiosa dal punto di vista della trasmissione sessuale di malattie, di trovare un uomo per una sera nel periodo in cui si è più fertili – difficilmente gli uomini insistono perché vengano prese precauzioni anticoncezionali. I bambini figli di lesbiche, e da esse cresciuti, non sono pochi. Quanti sono esattamente? Abbiamo stime e dati di censimenti per alcuni paesi stranieri, mentre nel nostro possiamo assumere come 4 Questo conferma il quadro emerso alcuni anni prima in un mio lavoro (Danna 1998). Sembra implicita in questa formulazione un’adesione alla teoria dell’omosessualità come di una caratteristica stabile ed esclusiva di alcune persone particolari, forse addirittura predeterminata geneticamente. In realtà vogliamo semplicemente dire che in ogni epoca sono vissute persone che hanno avuto attrazione per il proprio sesso. Le cause dell’omosessualità sono molteplici: si tratta di un comportamento che è nel potenziale della maggioranza degli esseri umani, e che le circostanze sociali favoriscono o reprimono, suscitando a livello individuale risposte diverse, dall’adeguamento alla ribellione. 6 Non conosciamo direttamente casi di procreazione di questo tipo, che però sono numerosi all’estero: Danimarca, Gran Bretagna, Stati Uniti. 5 9 indicatori le proporzioni di omosessuali7 che hanno generato emerse dalle due grandi ricerche sociologiche realizzate negli ultimi anni, il 3,4% dei gay sono padri e il 5,4% delle lesbiche madri in tutta Italia (Barbagli e Colombo 2001) e a Torino e provincia hanno figli/e l’8% delle intervistate e il 5% degli intervistati (Saraceno 2003). I figli/e sono stati concepiti per il 76% dei casi in una relazione matrimoniale, nell’11% in una relazione eterosessuale e il rimanente 13% con un rapporto occasionale (Barbagli e Colombo 2001). Anche la ricerca “Modi di” coordinata nel 2005 da Margherita Graglia ha trovato che il 4,7% dei gay intervistati e il 4,5% delle lesbiche hanno figli biologicamente propri, e un ulteriore 0,3% dei maschi e 0,4% delle femmine hanno figli non di sangue (www.modidi.net). Una minoranza avanguardistica ha deciso non solo di rendere trasparente ai figli/e la propria condizione, ma di uscire allo scoperto per chiedere che i propri legami familiari siano riconosciuti pubblicamente: all’inizio del 2005 alcune decine di lesbiche, madri biologiche oppure co-madri (il nome con cui indicano le madri sociali) e padri gay hanno fondato l’associazione Famiglie Arcobaleno, con l’obiettivo di far sì che la genitorialità gay e lesbica sia presente nella realtà giuridica e sociale del nostro paese e di lottare contro ogni forma di discriminazione verso gay, lesbiche e i loro figli/e. Il numero è esiguo ma è ovvio che la parte visibile di un fenomeno sociale soggetto a pubblica condanna da parte della chiesa cattolica e di esponenti politici a lei vicini di un ampio arco costituzionale che va da Buttiglione a D’Alema, non può essere enorme, almeno ai suoi inizi. Il fenomeno è senz’altro più esteso rispetto alle poche famiglie di donne fondatrici, ma nel nostro paese ancora non è manifesto quanto in quelli in cui già negli anni Novanta si è cominciato a parlare di un “baby boom lesbico” in alcune città e zone degli Stati Uniti ad alta concentrazione di gay, in Olanda, in Germania, in Gran Bretagna, boom legato non solo al moltiplicarsi delle “banche del seme” ma anche all’inseminazione autogestita (Saffron 1995). Certamente le nuove tecnologie riproduttive hanno aiutato: se in teoria è possibile per una donna lesbica concepire semplicemente con l’aiuto di un donatore conosciuto o contattato da intermediari, in pratica l’opzione medica è molto più semplice, anche perché solitamente la coppia non vuole interferenze ravvicinate da parte del donatore e, benché in genere si preoccupi di avere figure maschili di riferimento per i bimbi, in realtà non ha bisogno di un vero e proprio padre con cui doversi confrontare quotidianamente: le dinamiche interpersonali tra tre adulti sono potenzialmente più conflittuali e molto più precarie.8 È 7 Indichiamo con “omosessuali” sia i gay che le lesbiche, è un maschile che ci serve da neutro. Nell’inchiesta francese promossa dall’APGL, di cui parleremo tra poco, risulta che le coppie lesbiche che vogliono un “donatore” che abbia un ruolo paterno in genere sottovalutano le perturbazioni nella vita di coppia portate dalla terza figura. Il padre biologico e la compagna della madre si trovano in competizione per il posto di “secondo genitore”. L’allattamento è per i padri un periodo particolarmente delicato, anche nelle coppie etero, ma nelle famiglie lesbiche la frustrazione della figura maschile non è mitigata dal legame amoroso con la madre. Nelle configurazioni più complesse, 8 10 indubbio che con le nuove tecnologie mediche di assistenza alla fecondazione si sia semplificata la scelta di maternità di donne che non gradiscono i rapporti eterosessuali, o che sono in coppia con un’altra donna e considererebbero un tradimento il coito con un uomo anche solamente a fini procreativi. L’opzione dell’autoinseminazione può anch’essa comportare difficoltà di gestione del rapporto con il donatore. Gli uomini gay hanno vie più tortuose per arrivare alla genitorialità, vie che coinvolgono altre persone, dato che la gravidanza necessariamente deve avvenire al di fuori della coppia. Vi è l’adozione nei paesi in cui è permessa ai singoli, e alcuni di quelli in cui le coppie omosessuali sono giuridicamente riconosciute (ne parleremo nell’ultimo capitolo). Vi è l’affido temporaneo di bambini che hanno difficoltà a vivere nelle proprie famiglie, cosa che ha coinvolto gay e lesbiche come genitori affidatari (veri e propri record sono stati stabiliti da una coppia di donne inglesi, Pat Romans e Judith Weeks con più di cinquanta minori in affido). Sono molto pochi invece i casi di maternità surrogata, ovvero gli accordi, solitamente di carattere economico, con una donna che sarà la gestante del bimbo concepito per inseminazione da un gay, la quale poi non lo riconoscerà lasciando il padre come unico genitore. Sembra naturale lasciare la scelta alla donna fino in fondo: se dopo la nascita deciderà di tenere con sé il neonato invece di farlo crescere da altri, deve mantenere la possibilità legale di riconoscerlo. L’unico paese in cui invece in un caso di controversia tra madre surrogata e padre biologico sulla potestà sul figlio/a è stata decisa dal tribunale in favore del padre sono gli Stati Uniti (il caso “baby M”): un contratto è un contratto, hanno argomentato i giudici di prima istanza, che hanno costretto la donna a cedere la figlia alla coppia eterosessuale (non di gay maschi!) che glielo aveva commissionato. Tuttavia nel giudizio di appello la Corte suprema dello stato di New York le accordò nel 1988 il riconoscimento della figlia e ampi diritti di visita. Gli Stati Uniti sono il paese in cui appaiono famiglie gaie in proporzioni più elevate: l’Ufficio del censimento statunitense ha pubblicato nel febbraio 2003 un documento in cui compare il numero delle coppie omosessuali conviventi e dichiarate, che costituiscono l’1% di tutte le famiglie (U.S. Census Bureau 2003), dato che concorda con la stima, effettuata per altre vie, che l’1% dei minori statunitensi viva in un contesto omogenitoriale (Stacey e Biblarz 2001, 164). Vivono con minori il 33% delle coppie lesbiche e ben il 22% di quelle gay. Un dato così alto, si commenta nel rapporto, è dovuto probabilmente al fatto che coloro che hanno figli sono meno reticenti nel dichiarare di essere una coppia a paragone dei gay che vivono insieme senza figli – dato che la domanda può essere vissuta come una violazione della privacy e una possibile schedatura. in cui vi è anche un compagno del padre biologico che partecipa all’allevamento del bambino, emerge una gerarchia di ruoli: la madre ha il potere di dare o no un posto in famiglia alla comadre e al padre biologico, e il padre biologico decide se dare o no un posto al proprio compagno (Gross 2003). 11 Le stime che circolano nella pubblicistica sono queste: la stima più bassa per gli Usa è di un milione di bambini con padre o madre omosessuale, per la Germania si parla di un milione di genitori (Lähnemann 1997), in Francia di centinaia di migliaia (una survey del 1997 ha rilevato che il 7% dei gay e l’11% delle lesbiche sono genitori), in Canada un terzo delle lesbiche e un decimo dei gay, in Olanda si stima che circa 20.000 bambini siano allevati da madri lesbiche (Minot 2000). In Norvegia l’inchiesta realizzata con questionari distribuiti a 3.000 gay e lesbiche ha trovato che il 13% delle lesbiche e l’8% dei gay ha figli, che per l’80% circa sono stati concepiti in una convivenza eterosessuale (Hegna et al. 1999). Da quasi vent’anni è stata fondata in Francia l’Associazione dei genitori e futuri genitori gay e lesbiche (APGL), che nel 2002 ha raggiunto la ragguardevole cifra di 1500 membri. Nel 2001 ha promosso un’inchiesta tra gli associati cui hanno risposto in 285, formando un campione con caratteristiche sociali molto elevate: ben l’84% ha fatto studi superiori, e un terzo sono insegnanti, professionisti o medici. Tre quarti dei padri e la metà delle madri hanno vissuto un unione etero precedente, all’interno della quale sono stati concepiti i loro bambini. I figli avuti con l’inseminazione sono molto piccoli: la maggior parte di loro aveva meno di due anni. Da una ricerca dell’Università di Gent in Belgio è risultato che il 14% delle donne lesbiche e l’8% dei gay intervistati avevano dei bambini e circa la metà degli omosessuali desiderava averne. Dati analoghi sulle aspirazioni genitoriali si trovano anche in Italia: il 40,3% dei gay e il 34,5% delle lesbiche che non hanno ancora avuto figli ne vorrebbero avere.9 Significativamente più bassi i dati norvegesi: il 29% delle lesbiche e il 26% dei gay, mentre altrettanti rispondono di non sapere se vogliono figli. Il desiderio di diventare padri o madri in Italia è tanto più diffuso più si va a Sud e quanto più bassa è l’età dei rispondenti. I religiosi praticanti desiderano più spesso avere figli dei non praticanti. Tra chi desidera un figlio/a, vorrebbe adottarlo il 59% dei maschi e il 47% delle femmine. I dati torinesi mostrano, così come un livello di genitorialità quantitativamente maggiore, anche un coinvolgimento maggiore di gay e lesbiche rispetto alla ricerca nazionale: il desiderio di maternità e paternità viene espresso dal 48% delle donne e dal 41% degli uomini. Questa percentuale scende tra coloro che hanno una relazione di coppia stabile all’11% degli uomini e al 29% delle donne (ma non è più alta l’età media di chi vive in coppia). La metà degli uomini ricorrerebbe all’adozione e un terzo delle donne all’inseminazione, che sia autogestita o praticata in una clinica. Una parte minoritaria di coloro che esprimono il desiderio di diventare madri o padri dichiara che sarebbe disposta persino a entrare in un’unione eterosessuale, a rinunciare all’omosessualità (perlomeno esclusiva) per soddisfare il proprio desiderio. 9 Tra le donne italiane dai 20 ai 49 anni solo il 10% circa non intende avere figli, nel campione dell’indagine Inf-2 (De Sandre et al. 1997, 158). Vedi anche nota 10. 12 Molti intervistati dichiarano di non volere concretamente avere figli anche se li desiderano, perché ritengono che sarebbe un atto egoistico: i bambini nati in un contesto omogenitoriale ne soffrirebbero. Molti omosessuali invece condividono l’idea che un bambino e una bambina abbiano bisogno di un padre e di una madre, e anche che la loro situazione familiare li farebbe soffrire per lo scherno degli altri bambini e il rifiuto da parte degli adulti. Affrontiamo dunque questi due importanti argomenti da un punto di vista prevalentemente teorico, mentre nel capitolo successivo vedremo come hanno risposto a queste e ad altre questioni le ricerche effettuate da psicologi nei paesi in cui è più diffusa la scelta di diventare madri da parte delle lesbiche. Maschio e femmina: dalla biologia alla società La domanda numero uno è: un bimbo ha bisogno di un padre e di una madre? In questa domanda che fa scattare un “sì” di risposta rapido quanto un riflesso automatico è implicito un sottile gioco di prestigio. Perché in realtà stiamo parlando di cose confuse tra loro. In primo luogo fa parte delle leggi della Natura che la riproduzione umana avvenga per mezzo dell’unione dei gameti maschili e femminili nell’utero della donna: senza l’apporto di entrambi i sessi nessuna nuova vita umana potrà nascere.10 È il primo livello della maternità e paternità: quello biologico. Ma dal principio biologico dell’unione dell’ovulo femminile e dello spermatozoo maschile all’imperativo sociale che vuole che una famiglia debba essere fondata da due persone di sesso diverso non c’è alcun automatismo: lo dimostrano le molteplici forme di famiglia che sono esistite ed esistono tuttora. La famiglia “coniugale intima”, dunque eterosessuale, composta da un uomo, da una donna e dalla loro prole, rappresenta oggi in Occidente il modello di famiglia dominante, in un contesto in cui il mercato ha sottratto alla famiglia gran parte delle sue funzioni economiche11. Non a caso si parla di famiglia nucleare: è avvenuta la riduzione dei rapporti familiari fino all’osso del minimo apporto biologico indispensabile. E parallelamente alla sproporzione dell’apporto biologico dei due sessi (orgasmo contro gravidanza), il contributo dei padri alla vita familiare è limitato, prevale il ruolo esterno di “sostegno economico”: la dedizione dei padri è al proprio lavoro, solo 10 Anche se è vero che medici ricercatori in Giappone sono impegnati a esplorare la possibilità di fare a meno dello spermatozoo inserendo il DNA direttamente nell’ovulo. Questo potrebbe essere fatto anche con il DNA di un altro ovulo. La clonazione è già realtà per altri mammiferi, come il famoso caso della pecora Dolly, in cui il materiale genetico da inserire nell’ovulo è stato prelevato da un’altra cellula dello stesso animale. Su queste nuove prospettive della ricerca non vorremmo dilungarci, dal momento che si pongono come obiettivo un balzo troppo grande al di là dei processi naturali, e dagli esiti di lungo periodo sconosciuti. È possibile che anche se una nascita “per partenogenesi” sia tecnicamente possibile, la nuova vita nata in questo modo possa presentare dei deficit imprevisti e imprevedibili: ancora pochissimo si sa di ciò che accade a livello biochimico nelle varie fasi dell’incontro tra ovulo e spermatozoo. 11 Ciò ha significato la cumulazione del lavoro di cura in una sola persona (moglie e madre) e la restrizione dell’allevamento dei figli al focolare, mentre prima riguardava più luoghi e più persone: “la maternità viene iscritta fortemente dentro la coniugalità, sanzionando penalmente la maternità illegittima, assegnando al marito il controllo sulla fecondità della moglie, cui non sarà riconosciuta d’altra parte la pienezza dei diritti individuali” (Fiume 1997, 77). 13 quella delle madri è alla famiglia. Molti penseranno che, data l’evoluzione della tecnologia nel mondo occidentale, la forma qui assunta dalla famiglia non rappresenti un adattamento ai rapporti economici, quanto un punto di arrivo, un segno di progresso, un superiore stadio evolutivo. Ebbene, anche fingendo di ammettere questa spiegazione, non è possibile dichiarare pregiudizialmente migliori le “famiglie con un padre e una madre”, le cui uniche caratteristiche note, dunque, sono il sesso dei genitori. Perché mai l’ambiente più adatto a crescere un bambino/a dovrebbe essere determinato unicamente dal sesso di chi lo alleva? La qualità delle relazioni umane non è data dall’appartenenza all’uno o all’altro sesso: il fatto di essere maschio non rende automaticamente un buon genitore, così come nascere femmina predispone semplicemente alla gravidanza e all’allattamento, ma non implica provare desiderio di maternità, né avere capacità concreta di prendersi cura e di crescere amorevolmente dei figli e farne degli esseri umani con qualità apprezzabili. Ancora più importante: la coppia che diventa coppia genitoriale deve possedere e mantenere delle qualità non già proprie di ciascuno degli individui, ma della loro relazione: per essere all’altezza del compito di allevare dei figli i due devono riuscire a creare un rapporto armonico, un ambiente positivo. E naturalmente dare entrambi un contributo di affettività ma anche di lavoro concreto di cura, cosa che configura in realtà una novità sociale: si parla molto nella ricerca psicologica contemporanea della “nuova paternità”, nella quale i padri in un certo senso stanno copiando il ruolo materno, vogliono essere partecipi di un legame profondo e quotidiano con la prole molto diverso dal distacco che caratterizzava la figura paterna delle vecchie generazioni: “Tutti noi vogliamo essere buoni padri: curare, educare, coinvolgerci con i nostri bambini in modi in cui i nostri padri non sono mai stati con noi” (Marsiglio 1995, 7)12. Una doppia maternità sembrerebbe addirittura rappresentare un modello ideale contemporaneo. Gli esseri umani sono complessi, non si fanno ridurre al loro genere, cioè alla loro appartenenza biologica al sesso maschile o femminile. La diversità tra i due genitori non è riconducibile solo alla loro diversità di sesso. Se di questa diversità di sesso ne facciamo un feticcio intoccabile che è 12 Dalla prefazione del sociologo Michael Kimmel a un volume di studi contemporanei sulla paternità. E un altro studioso delle maschilità così parla dell’esigenza di amore che provano gli uomini: «Il primo uomo da cui essi esigono amore è generalmente il padre; visti però gli imperativi sulla mascolinità imposti agli uomini dalla cultura oltre che la conseguente disfunzionale natura emotiva degli uomini, i padri frequentemente disattendono il bisogno dei figli. Non sanno come rispondere; si rifiutano di rispondere; considerano i propri figli come rivali nelle attenzioni e nell’amore delle loro partner; o forse vogliono fare dei propri figli dei “veri uomini”, un obiettivo che spesso esclude qualsiasi tipo di tenerezza, vicinanza fisica e libera espressione di affetto, poiché troppo “sdolcinati” o “effeminati”. I padri possono anche essere distanti dai figli o del tutto assenti. Non sorprende che numerosi studi di casi psicologici di uomini, così come molti scritti di tipo autobiografico o confessionale, parlino in continuazione del dolore, del senso di perdita e di tradimento causato dall’alienazione derivante dai propri padri: “Mio padre non mi ha mai amato”, “Mio padre non mi ha mai detto che mi amava” sono parole chiave ricorrenti in questi testi. Un tale dolore può sfociare nella rabbia che a sua volta risulta molto confusionaria poiché per questi uomini dimenticare l’infelice rapporto padre-figlio è arduo e pertanto esigono una restituzione che è difficoltosa se non impossibile. Spesso hanno sete di vendetta nei confronti dei loro padri, qualcosa rispetto a cui la cultura da un lato impone severe sanzioni ma che, dall’altro, incoraggia attraverso la dinamica della rivalità maschile.» (Buchbinder 2004, 67). 14 proibito analizzare, semplicemente rifiutiamo di prendere atto del fatto che “maschi” e “femmine” sono fabbricati dalla società in cui nascono: la Natura fornisce un substrato le cui caratteristiche ci sono ancora in larga parte ignote13 e che, lo si vede dalla varietà di tipi umani maschili e femminili descritti dall’antropologia (ad esempio Mead 1935), non hanno altrettanta importanza dei condizionamenti sociali.14 Attenzione: dalla società, e non solo dai genitori o da chi li alleva, poiché non si tratta di scelte individuali, ma di identità sociali stereotipate, trasmesse più o meno consciamente da parte di tutti i componenti di una società, che ripetono le aspettative tradizionali su che cosa sia più adatto a un bimbo a seconda che sia maschio o femmina. La ricerca ha illustrato molti di questi stereotipi: dall’incoraggiamento dell’aggressività nei maschi, allenati alla repressione della manifestazione di altri sentimenti, soprattutto di quelli che li mostrano come “deboli”, alla limitazione dell’autonomia nelle femmine, incoraggiate a far leva sul fascino fisico, sull’apparenza e sulle lusinghe e a inseguire quello che è stato chiamato “il mito della bellezza” (Wolf 1991). Inoltre: nel passaggio dal sesso come apparato fisico all’identità maschile e femminile vi sono condizionamenti sociali ispirati all’idea che il cattolicesimo chiama di “complementarietà” tra i due sessi. Ma questi stereotipi saranno poi confermati dalle caratteristiche delle persone in carne ed ossa che incontriamo quotidianamente? Non verifichiamo piuttosto che mascolinità e femminilità sono presenti come componenti della persona in proporzioni variabili, e questo sia negli eterosessuali che negli omosessuali? Non vogliamo negare che caratteri di inversione nei modelli di ruolo siano più spesso legati a un’attrazione verso il proprio sesso,15 ma non in tutti gli omosessuali: gay effeminati e lesbiche mascoline sono più visibili e immediatamente riconoscibili, ma non sono affatto gli unici modi di presentarsi degli omosessuali (e a volte lo sono di eterosessuali). Della presenza e incidenza di queste caratteristiche psicologiche “invertite” le ricerche italiane citate non parlano, però rispetto ai ruoli sociali – che ci interessano molto di più – traggono queste interessanti conclusioni: “Si smentisce il mito secondo il quale i ruoli, e le asimmetrie, del “marito” e della “moglie” sono universali nelle relazioni di coppia” (Saraceno 2003, 134). Non c’è divisione dei ruoli tradizionale tra le coppie dello stesso sesso che vivono insieme: lo dicono tutte le ricerche, anche l’inglese Lesbian household project, dove sono state intervistate 37 coppie di lesbiche con figli ancora dipendenti, per la maggior parte avuti con l‘inseminazione. Le donne dichiarano (e i loro diari 13 Per un’analisi etologico-antropologica dell’”istinto di maternità” vedi Blaffer Hrdy (1995). Quello che sappiamo della nostra natura come esseri dotati di sesso dimorfico, è coperto da spessi strati di socializzazione. Se abbiamo ancora un istinto, questo non ci è d’aiuto per districarci nei complicati codici comunicativi che costituiscono il nostro ambiente, che non è più immediatamente naturale ma mediato dalla cultura umana, tanto che non siamo più in grado di scegliere ciò che è biologicamente più adatto alla nostra specie – altrimenti non rischieremmo come stiamo facendo ora un’autoestinzione per sovrappopolazione, inquinamento, modifica artificiale del clima… 15 In Bailey (2003) sono citate le ricerche che mostrano un’associazione tra un comportamento atipico per il proprio sesso da piccoli e l’omosessualità da grandi. 14 15 sull’uso del tempo tenuti appositamente per la ricerca lo confermano) una grande facilità nella condivisione dei compiti, mentre donne che prima erano state sposate notano come non debbano più lottare contro il marito e soprattutto contro le sue aspettative (socialmente costruite) che della casa e dei figli si occupi la moglie: «“…la maggior parte delle volte mi lasciava con Jim (il figlio) per andare al pub”. L’unico modo in cui l’intervistata può concludere che Neil fosse “piuttosto bravo” era confrontare il suo contributo con quello di altri uomini piuttosto che con quello di una partner donna» (Dunne 1999, 77). Forse la domanda iniziale può allora essere riformulata come preoccupazione che i bambini siano psicologicamente danneggiati dalla mancanza di una figura materna o paterna. Per dare a queste due figure significato e contenuto che non siano tautologicamente quelli dell’appartenenza al sesso femminile o maschile, possiamo interpretarle come funzione materna o paterna. La funzione materna è soddisfare le esigenze affettive e di cura materiale, soprattutto nei bambini più piccoli, quella paterna è di introdursi con autorità nella diade madre-bambino/a e scinderla, introducendo disciplina e senso della realtà. Una considerazione molto generale è che attualmente anche le famiglie coniugali vedono adempiuta molto poco la funzione paterna, dato che lo stile di allevamento dei bambini che si osserva più di frequente li mette sempre al centro dell’attenzione degli adulti, che riescono a fatica a imporre qualche limitazione. Persino nelle famiglie coniugali le figure concrete che adempiono queste due funzioni non sono automaticamente determinate dal sesso. Una madre (biologica) può addirittura esprimersi meglio rappresentando una figura paterna, e un padre (biologico) una figura materna. Saranno eccezioni, ma esistono e provano che non esiste determinismo biologico nelle faccende umane in cui vi è intreccio tra sesso e genere, tra biologia e società. E infatti nelle famiglie lesbiche alcune madri biologiche preferiscono il ruolo paterno, in altre lo lasciano alla co-madre (Wright 1998). Per riassumere: parlando di genere e di ruoli sociali bisogna avere in mente che la distinzione è triplice: il sesso biologico (quello designato dalla capacità di produrre ovuli o sperma, a sua volta derivata dai cromosomi – anch’essi non privi di ambiguità, in casi abbastanza rari), l’identità di genere (il sentirsi uomo o donna in generale, ma anche il mix unico in ogni essere umano tra caratteristiche classificate come maschili o femminili, l’oscillazione tra i due poli nei vari aspetti del carattere e del comportamento), e infine quello che generalmente si indica come l’orientamento sessuale,16 detto anche preferenza o scelta (benché non si sappia quanta parte vi ha la genetica e quanta la socialità) cioè l’omosessualità, l’eterosessualità o ancora una volta una distanza variabile tra questi due poli. Queste tre componenti non sono deducibili l’una dall’altra. E parlando di 16 Cioè preferenza sessuale: ora la terminologia è cambiata perché questo termine sembra limitare alle pratiche sessuali l’omosessualità, che in realtà è anche “omoaffettività”, “omosentimentalità”. L’omosessualità costituisce una scelta di vita, la ricerca di partner che non siano solo sessuali. 16 genitorialità dobbiamo aggiungere una quarta e anche una quinta dimensione: la distinzione tra genitore biologico e genitore sociale, e all’interno della genitorialità sociale una funzione materna e paterna. Ora la genitorialità sociale e quella biologica tendono a sovrapporsi, a confluire nelle stesse due persone, uomo e donna legati da matrimonio. Ma le forme di famiglia si stanno diversificando: il ricorso alla fecondazione assistita riguarda anche (e soprattutto!) moltissime coppie eterosessuali – che potendo fingere che il padre sociale sia il vero padre biologico tendono per lo più a non porsi neppure la domanda del se e come dire ai figli che il vero genitore biologico è un altro. Va riconosciuto che la questione dell’origine non può essere facilmente messa da parte, perché la conoscenza dei genitori biologici è una richiesta chiara da parte di molti bambini, che spesso si fa più pressante col passar del tempo e non cessa nemmeno da adulti17. Lo scherno Ma forse dietro alla frase “c’è bisogno di un padre e di una madre” si vuol dire semplicemente che è meglio per i bambini crescere in una famiglia conforme alla norma, altrimenti la diversità li renderà infelici. E si tratta proprio di diversità, e non di mancanza di uno dei genitori: infatti nelle famiglie fondate da lesbiche il padre non c’è mai stato, i legami primari sono con la madre e la co-madre, che assolvono le funzioni materna e paterna. Non ci sono traumi da abbandono o da divorzio. Il “fantasma” del padre inesistente (quello dell’inseminazione anonima) può in alcuni casi diventare ossessivo, perché è un modo di catalizzare altri problemi e disagi, mentre non può essere una nostalgia per qualcuno che non si è conosciuto – anzi proprio per questo il padre può essere immaginato in forma idealizzata, con tutte le qualità che possono mancare alle madri. In altri casi invece il padre c’è: la coppia lesbica trova un “padre sociale” (che può coincidere o no con il padre biologico) che faccia da figura di riferimento maschile per i propri figli, oppure si sceglie, nei paesi che lo consentono come l’Olanda o che lo impongono come la Svezia, un donatore di cui si conoscono alcune caratteristiche e che è disposto ad essere contattato su richiesta dei figli alla maggiore età, un modo per non lasciarli completamente privi di informazioni sulla loro origine. Nella ricerca francese le madri parlano apertamente con i figli del concepimento per inseminazione, e il donatore di sperma è evocato come figura positiva: “un uomo generoso che ci ha voluto aiutare a darti la vita”. Il bisogno del padre e della madre è il bisogno di essere uguali agli altri: gli stessi bambini temono la propria diversità, perché sanno di poter essere rifiutati dal gruppo dei pari. Alla luce delle 17 In una ricerca su 41 bambini di età da 7 a 17 anni nati con inseminazione assistita è emerso che mentre il 54% al momento dell’intervista non voleva informazioni sul donatore, il 46% invece le desiderava, e la maggioranza di questi voleva conoscere l’identità, in particolare i maschi (Vanfraussen et al. 2001). 17 considerazioni sopra esposte, forse il pericolo che i bambini vengono “scherzati” è l’unico motivo per pensare che un bambino/a debba avere anche un padre. La paura di essere oggetto di scherno è purtroppo un timore assolutamente fondato. Lo Studio nazionale sulla famiglia gay e lesbica realizzato con un questionario distribuito negli Usa a 256 famiglie mostra che la maggior parte di loro lamenta che i propri bambini sono presi in giro per la loro situazione familiare (Johnson e O’Connor 2001). I timori sono ancora più forti della realtà sociale: i bambini che hanno partecipato alla ricerca qualitativa di Janet Wright (1998) hanno paura di essere presi in giro, anche più di quanto effettivamente non accada. Addirittura in un diario tenuto da una bimba appositamente per la ricerca lei ha confessato la paura di essere tutti uccisi perché sono una famiglia lesbica. Ma è un problema nato dalle famiglie lesbiche o dalla società?18 Anche i figli di divorziati, quando il divorzio non era così comune, hanno sofferto stigmatizzazioni, anche i figli di immigrati quando si trovano in minoranza vengono offesi e discriminati, anche i bambini che provengono da famiglie povere, con un basso status sociale, vengono denigrati se frequentano ambienti più agiati. La diversità di essere figli di omosessuali non è in nessun modo peggiore di altre condizioni familiari – per non parlare dei rischi di stigmatizzazione che soffrono bambini che portano in sé una diversità, direttamente e non nella loro origine: bambini troppo grassi, troppo magri, maschi troppo femminili, femmine troppo maschili, disabili, stranieri. Che cosa vi è di particolarmente svantaggioso nella diversità omosessuale?19 Come la diversità, vi sono altre condizioni che possono essere vissute sia da famiglie gay che etero, come il fatto che i genitori possono non essere tali geneticamente e come le dinamiche peculiari delle famiglie ricostituite, ma è vero anche che esistono dei tratti peculiari alle famiglie omosessuali: il primo è che dovranno necessariamente parlare ai figli dell’omosessualità – mentre le famiglie eterosessuali potrebbero non affrontare mai una discussione a cuore aperto su questo argomento, cosa che rappresenta un chiaro svantaggio, in modo particolare se tra i figli vi è qualche omosessuale. Se i bambini sono nati da una mamma o in una coppia apertamente lesbica, arriveranno a comprendere che la propria situazione non solo non è tipica, ma che può essere 18 Nel 1984 la Corte suprema degli Stati Uniti (Palmore v. Sidoti) ha riconosciuto che le discriminazioni razziali esistenti non possono fornire una base per decisioni giudiziarie, e ha annullato l’affidamento al padre nero invece che alla mamma bianca di una bambina che avrebbe potuto essere discriminata per il suo colore: “I pregiudizi privati possono trovarsi al di fuori del campo di azione della legge, ma la legge non può, direttamente o indirettamente, dar loro effetto” (citato da Minot 2000, 90). 19 La Corte suprema d’appello del New Jersey ha usato queste parole per sdrammatizzare la questione della possibile stigmatizzazione di due figlie di madri lesbiche (caso di M. P. v. S. P., 1979): “Se (la madre lesbica) ottiene l’affidamento, può accadere che siccome la comunità è intollerante delle sue differenze queste ragazze potrebbero a volte doversi comportare con una forza più grande dell’ordinario. Ma questo non implica necessariamente che il loro benessere morale o la loro sicurezza siano messi in pericolo. Potremmo altrettanto ragionevolmente aspettarci che ne usciranno equipaggiate meglio per trovare i propri criteri di giusto e sbagliato, più capaci di percepire che la maggioranza non è sempre corretta nei propri giudizi morali, e più capaci di capire l’importanza di conformare le proprie credenze ai requisiti della ragione e della conoscenza accertata, non agli automatismi dei sentimenti che di volta in volta sono di moda o ai pregiudizi” (citato da Minot 2000, 89). 18 attaccata da persone che la giudicano male. Dovranno imparare il pregiudizio, dovranno capire come affrontarlo, quali tattiche di volta in volta mettere in atto per affrontarlo o per evitarlo. Negozieranno con le due mamme gli ambiti nei quali ritengono più opportuno non esporre la relazione che le lega, e le persone e gli ambiti che al contrario sono fidati e affidabili, nei quali si può parlare apertamente e liberamente. Nelle famiglie ricostituite invece è possibile che la rivelazione dell’omosessualità della madre o del padre venga ritardata, o procrastinata sine die, perché implica un cambiamento nella percezione del genitore, non più eterosessuale. In questo caso gli esperti di infanzia sono concordi sul fatto che sia meglio parlare dell’omosessualità dei genitori il prima possibile, fermo restando il grado di sviluppo intellettuale ed emotivo dei figli (Corley 1990). Meglio non aspettare l’adolescenza, che è il periodo peggiore per rivelarsi, data l’esigenza della ragazza o del ragazzo di avere una chiara immagine di sé, per lo più conformista, dal momento che la rivelazione dell’omosessualità di un genitore sarebbe vissuta come destabilizzante. In questo periodo conflittuale, l’omosessualità di un genitore è brandita come un’arma dall’adolescente – ma anche nei confronti di quel genitore che l’aveva messo al corrente prima dell’”età critica”. Altri miti e pregiudizi Il riflesso condizionato che rende così difficile da accettare l’omogenitorialità è fatto probabilmente scattare dall’idea che i figli di omosessuali debbano necessariamente provenire dalle figure che l’opinione comune etichetta come apertamente devianti, per quanto riguarda le convenzioni dell’apparire maschio o femmina (convenzioni che non hanno niente di naturale e riguardano solo quei modi di acconciarsi e abbigliarsi che ogni epoca ritiene appropriati solo agli appartenenti all’uno o all’altro sesso). L’idea è che i figli siano destinati ad assomigliare ai genitori, riproducendo modelli di mascolinità o di femminilità che la società giudica inaccettabili. In questo giudizio di inaccettabilità vi è una componente di rifiuto derivante dal conformismo: la devianza viene stigmatizzata in quanto tale, e dove l’identità di genere è rigidamente fissata in due sole varianti (a differenza di molte altre culture dove un “terzo sesso” fa parte delle possibilità di identificazione20), l’assumere caratteri pertinenti all’altro sesso, sia tratti esteriori (non solo vestiti e acconciature, ma anche il tono di voce e la gestualità) che tratti che esprimono l’interiorità (un atteggiamento più caldo e affettuoso, cioè “femminile”, materno appunto, versus un virile distacco 20 Come tra i nativi americani, per i quali, tra l’altro, tradizionalmente i bambini non hanno un solo padre e una sola madre, ma vengono allevati dalla comunità, scegliendo essi stessi fin dalla più tenera età con chi vogliono vivere. Questo modo comunitario di allevare i bambini, fa sì che tra i pellerossa non vi siano orfani né bambini illegittimi. E l’educazione avviene all’insegna della condivisione con gli altri: “Queste agenzie (dei bianchi) – parla un indiano che è funzionario del Consiglio per la protezione dei bambini nativi americani – vanno nelle case degli indiani e dicono che le loro case sono inadeguate perché due o tre bambini che dormono in un solo letto… Per i bambini indiani non è necessario avere un letto ciascuno. Penso anche che non sia un bene per i bambini dormire separati. I nostri bambini imparano la condivisione fin dall’inizio” (Wright 1998, 7). Cosa veramente inconcepibile per le nostre famiglie, in cui si trasmette e si applica anche ai bambini il principio sociale dominante della proprietà privata. 19 fisico e il controllo ossessivo dell’espressione delle proprie emozioni che rappresenta un traguardo di virilità) rende passibili di violenza verbale o anche fisica. Però, se per via familiare si tramandano molti tratti caratteriali e modi di essere e di esprimersi, l’identificazione di genere e l’orientamento sessuale non seguono questa trasmissione diretta di padre in figlio o di madre in figlia21. I bambini sono influenzati da una molteplicità di modelli, non solo dal modo che i genitori hanno di abbinare sesso biologico ed identificazione sociale tra i poli del maschile e del femminile: scelgono soprattutto in accordo al proprio sentire interno, e questo tanto più quanto sono più liberi da condizionamenti su come debbano comportarsi un vero maschio o una vera femmina. La prova? I gay effeminati, le lesbiche mascoline, i transessuali – che oltre a identificarsi con il sesso opposto vogliono cambiare il proprio corpo in accordo con la percezione interna dell’identità di genere – provengono da famiglie qualsiasi, senza che i ricercatori abbiano potuto mai individuare tratti specifici dei genitori che possano far prevedere lo sviluppo nei figli di questi “caratteri devianti”22. Ragionando a contrario, se anche i modelli di maschile e femminile dei genitori omosessuali si discostano da quello che la società percepisce come mascolinità e femminilità pura, ciò significa solo che i figli saranno esposti a una tra le possibili identificazioni, una variazione del modello dominante (che non sarà affatto loro sconosciuto!), e avranno un’esperienza che potrà solo arricchire il loro panorama del possibile, ma non predeterminarne le scelte. È ovvio invece che la percezione quotidiana dell’amore omosessuale che lega i propri genitori sociali potrà influire sull' orientamento sessuale, dal momento che i bambini che vengono cresciuti da una coppia gay apprenderanno che esiste anche questa possibilità di approdo nel viaggio verso la maturità: se il loro corpo o il loro vissuto li porterà verso l’opzione omosessuale avranno meno problemi psicologici nell’intraprendere questa strada. Se la loro affettività e sessualità saranno invece rivolte al sesso opposto, semplicemente diventeranno più tolleranti verso le scelte altrui. Non diventeranno tutti omosessuali – così come non diventano tutti eterosessuali i bimbi e le bimbe che nascono da coppie formate da una donna e da un uomo. Le famiglie omosessuali in realtà dicono una cosa che è già parte del senso comune della fine del Ventesimo e Ventunesimo secolo: che per essere veramente madri e padri non è sufficiente il contributo biologico – materiale genetico e gestazione – ci vogliono responsabilità e impegno nei confronti dei bambini: seguirli quotidianamente, soddisfare i loro bisogni materiali, affettivi, 21 Per una rassegna di studi sull’origine dell’orientamento sessuale vedi Bailey (2003). Forse non sarà male ricordare che l’omosessualità non è una patologia, né si lega con particolari tratti psicologici morbosi: anche la scienza lo sa ufficialmente dagli anni Cinquanta , quando la psicologa Evelyn Hooker usando i test proiettivi di Rorschach dimostrò che è impossibile distinguere se un rispondente era omo o eterosessuale (Hooker 1957; 1958). 22 20 intellettuali, spirituali è una condizione imprescindibile per essere riconosciuti come buoni genitori. Persino i padri ormai pensano se stessi in questo modo. Ciò che invece le gaie famiglie introducono di radicalmente diverso rispetto allo spirito del nostro tempo è la sfida all’impossibilità di pensare la plurigenitorialità: poche generazioni di famiglie nucleari ormai ci fanno pensare che la figura materna e quella paterna non possano più moltiplicarsi. Ci sembra che i bambini debbano essere confusi quanto noi da questa pluralità: una domanda tra le più stupefacenti che vengono fatte agli omosessuali per esprimere riprovazione verso i loro progetti familiari è “Come faranno i bambini a distinguere una mamma dall’altra, un papà dall’altro?”, come se non fossero due persone distinte! È chiaro che la domanda insensata indica un disagio concettuale proprio in chi la pone. Invece i bambini non esperiscono dei nomi prima che delle persone, e se danno il nome di “mamma” a qualcuno non impediscono a chiunque altro di entrare nella stessa “scatola concettuale”. I bambini incontrano delle persone, e le riconoscono e le amano nella loro unicità. La domanda vera riguarda non il bambino/a piccolo/a, che troverà normale qualunque ambiente familiare nel quale gli sarà capitato di nascere dal momento che è lì che si forma la pietra di paragone della sua esperienza, bensì il giudizio che di questa situazione darà l’ambiente sociale circostante – non la famiglia allargata, che raramente è ostile al neonato, che diventa inevitabilmente il nipotino anche dei genitori della compagna della madre, come mostra anche l’inchiesta francese.23 Saranno forse vicini di casa, colleghi di lavoro, personale dei nidi, degli asili e delle scuole, medici e pediatri a potersi stupire della situazione inusuale del bimbo o della bimba figli di omosessuali. Non è garantito che lo facciano (ci si può stupire invece delle descrizioni di vita normale nella comunità che fanno molte mamme lesbiche), però è possibile, in molti luoghi probabile24. Ciò che non è ancora entrato nell’immaginario collettivo porta difficoltà e fatiche a chi lo rappresenta. Non è detto che le prime siano insormontabili e le seconde vane: il clima sociale può migliorare, e il pregiudizio arretrare. Queste famiglie infatti non sono affette da una tara per il solo fatto di poggiare su due figure femminili (non necessariamente entrambe materne) o, in casi molto più rari, due figure maschili, certamente non entrambe paterne: quello che conta per il benessere del bambino/a è la qualità della genitorialità 23 In Rossi Barilli (2004) invece si trova il racconto di un rifiuto e distacco da parte dei genitori della compagna della madre. 24 Scrive l’autrice di una ricerca in profondità su cinque famiglie lesbiche statunitensi: “Il posto in cui i bambini spendono gran parte del loro tempo fuori casa sono le scuole. Quale impatto dunque possono avere le scuole nel creare e mantenere le paure di questi bambini? Ciò mi ricorda una storia che ho sentito una volta per illustrare che cosa significa crescere in una casa di alcolizzati. Benché ci fosse un elefante nella stanza (l' alcolismo) nessuno ne parlava e tutti si comportavano come se non ci fosse. È questo segreto che fa nascere una moltitudine di paure e insicurezze. I figli delle lesbiche di solito non fanno esperienza dell' elefante nella stanza a casa, dove il lesbismo è accettato come normale. Ma credo che possano esperire qualcosa di simile a scuola, e nella società in generale, dove la loro esperienza più basilare e importante - il loro porto più sicuro - è semplicemente cancellato. O non esiste oppure è definito come cattivo, in quei pochi casi in cui se ne parla“ (Wright 1998,151-2). 21 sociale e non biologica. Contano i pregi di chi si prende cura dei figli giorno per giorno, e non di chi li ha biologicamente generati. Pare buffo, infine, che ci si preoccupi tanto della potenziale stigmatizzazione dei figli di omosessuali, quando non si ritiene di dover agire contro quella verso gli omosessuali stessi. 22 Cap. 2) Le ricerche sui figli di omosessuali Se nel primo capitolo abbiamo parlato dei molti, troppi miti che circondano la genitorialità omo, in questo cercheremo invece di far luce su alcune importantissime incognite. Per prima cosa dobbiamo affrontare le questioni relative alla validità e affidabilità degli studi empirici che sono stati fatti: come sono stati reperiti i campioni di famiglie omosessuali, quali metodi sono stati usati per studiarli, e la simpatia od ostilità degli stessi ricercatori in una questione così politicamente delicata. Contro la difesa a spada tratta della “non differenza”, un importante studio di Judith Stacey e Timothy J. Biblarz sostiene, da una prospettiva tutt’altro che ostile alle famiglie omosessuali, che vi sono differenze tra i figli/e di coppie omosessuali ed eterosessuali, ivi incluse differenze nei livelli di attività sessuale e nell’espressione dell’appartenenza di genere. In questo studio, pubblicato dall’American Sociological Review nel 2001, per la prima volta si ammette ciò che fino a quel momento era stato “trascurato” dalle ricerche: l’orientamento sessuale dei genitori conta. I figli/e dei genitori omosessuali si sentono infatti meno confinati dai ruoli di genere e hanno più probabilità di prendere in considerazione relazioni omosessuali, sebbene non abbiano più probabilità di identificarsi come lesbiche, gay o bisessuali. Benché sostengano che tali differenze non rendono gli omosessuali genitori migliori o peggiori, ma solo diversi, gli stessi ricercatori sono i primi a essere consapevoli e preoccupati per l’uso che gli attivisti antiomosessuali potrebbero fare di questo studio, sfruttandolo a loro vantaggio. Il lavoro riesamina ventuno precedenti ricerche sulla genitorialità omosessuale, rilevando le differenze, estremamente interessanti seppur modeste, che in esse erano emerse. Esse si concentrano proprio nell’ambito, particolarmente delicato dal punto di vista politico, del comportamento sessuale e dell’identità dei figli/e. Useremo questo articolato studio come traccia per analizzare il corpus di ricerche psicologiche che affrontano la tematica dell’omoparentalità, da entrambi i fronti, dai critici ai sostenitori. Ciò che Stacey e Biblarz escludono categoricamente, in ciò concordando con le ricerche esaminate, è la presenza di un qualsiasi danno che possa essere causato ai figli dall’orientamento sessuale dei genitori. Al contrario, poiché le coppie omosessuali pianificano le gravidanze, i figli sono sempre desiderati dai genitori, fattore che, secondo innumerevoli ricerche, costituisce un grande vantaggio rispetto ai figli di gravidanze indesiderate o accidentali. I figli sono inoltre tenuti in gran conto, proprio per la scelta consapevole e molto complessa che implicano il concepimento (come la questione di chi sarà il donatore e quale ruolo avrà) o l’adozione (come realizzare il progetto familiare e l’accettazione sociale e legale) (Ariel 2003). Le coppie omosessuali tendono a essere in 23 qualche modo, al contrario di alcuni stereotipi popolari, più unite, flessibili ed egalitarie (Blumstein e Schwarz 1983). Le comadri (le “madri sociali”) sono di norma più coinvolte dei padri o dei partner eterosessuali nelle vite dei loro figli e se ne prendono maggior cura. I figli di coppie omosessuali rivelano livelli di adattamento, autostima e altri indicatori di benessere emotivo, ma anche di ansia e depressione, simili a quelli dei figli di coppie eterosessuali; analogamente avviene per le funzioni cognitive; essi mostrano però tendenzialmente livelli più alti per ciò che riguarda la tolleranza nei confronti degli altri, la popolarità sociale e i successi scolastici (O’Briant 2001). I figli/e di coppie omosessuali, e specialmente le figlie, hanno più probabilità di non aderire ai tradizionali ruoli di genere nell’abbigliamento, nelle attività e nelle aspirazioni occupazionali, ma il numero di casi in cui l’identità di genere è acquisita e vissuta in maniera problematica non differisce da quello dei figli di coppie eterosessuali. Le figlie di genitori omosessuali rivelano precocità nell’inizio della vita sessuale attiva; al contrario i figli maschi rivelano la tendenza opposta e inoltre mostrano tassi di aggressività inferiori rispetto ai figli maschi di coppie eterosessuali. Differenze, quindi, che possono avere un impatto positivo sui figli stessi e sul mondo circostante (Gelnaw 2003). Naturalmente viene messo in evidenza anche il lato negativo: come si può prevedere, i figli di genitori omosessuali subiscono stigmatizzazioni da parte dei coetanei a proposito del loro stesso orientamento sessuale. L’eterosessismo e la teoria della “non differenza” L’interesse di Judith Stacey per lo studio dei figli di coppie omosessuali ebbe inizio durante la sua partecipazione a un simposio informale, organizzato da sociologi e avvocati per discutere gli attacchi da parte dei conservatori alle ricerche a favore della genitorialità omosessuale. “Ho capito che ci potevano essere motivi fondati per mettere in dubbio i risultati di quelle ricerche a favore degli omosessuali che negano ogni differenza.” (O’Briant 2001). La sua analisi mette dunque in discussione la struttura concettuale difensiva e pone in evidenza come l’eterosessismo abbia ostacolato il progresso scientifico e culturale in questo campo. Le ricerche spesso minimizzano e trascurano, infatti, i risultati che indicano differenze, e negli studi possono essere rilevati limiti importanti per quanto riguarda le definizioni, i campioni, le analisi. Rinunciare alla strategia difensiva significa perciò, allo stesso tempo, ambire a un maggiore rigore scientifico e prendere le distanze dalla logica eterosessista che ha determinato, fino ad allora, l’asserzione della “non differenza” come unica possibilità di sostenere la causa delle famiglie omosessuali. 24 I lavori di ricerca attuali riportano infatti, quasi uniformemente, risultati che indicano differenze non rilevanti tra i figli cresciuti in coppie omosessuali e in coppie eterosessuali; inoltre i genitori omosessuali risultano altrettanto competenti ed efficaci di quelli eterosessuali. Gli avvocati e gli attivisti che lottano per difendere l’affidamento dei figli e le richieste di adozione da parte di omosessuali, o per ottenere gli stessi diritti al matrimonio per coppie omosessuali, hanno attinto con un certo successo a queste ricerche. Questa strategia ha promosso, benché i progressi non si siano verificati con un ritmo regolare, una graduale tendenza alla non discriminazione in base all’orientamento sessuale nelle decisioni politiche e giudiziarie. Tuttavia le campagne di opposizione contro i diritti delle famiglie omosessuali hanno iniziato a mettere in discussione la validità di queste ricerche. Lerner e Nagai25 affermano che i metodi di analisi usati negli studi sono inadeguati, e che gli studi stessi presentano tali vizi sostanziali e formali da non poter essere utilizzati nelle sedi legislative o per ciò che riguarda iniziative legali a sostegno della maternità e paternità omosessuale. Poco dopo Gallagher, dell’Institute for American Values, riportò le osservazioni di Lerner e Nagai nella sua colonna sul New York Post, a diffusione nazionale, al fine di minare l’utilizzo della “carta della scienza” da parte dei sostenitori del matrimonio omosessuale e della “normalizzazione” omosessuale. Benché divergano fortemente dalle teorie di Wardle e Gallagher sui meriti e i valori morali dei genitori omosessuali, così come sulla loro analisi della ricerca sullo sviluppo infantile, Stacey e Biblarz riconoscono che le pressioni ideologiche limitano lo sviluppo intellettuale in questo campo. La pervasività del pregiudizio sociale e la discriminazione istituzionalizzata contro lesbiche e gay esercitano un potente effetto di tipo politico proprio sulle basi della ricerca psicologica e sull’opinione pubblica. In realtà, il danno maggiore per la ricerca in questo ambito non è rappresentato dalle convinzioni ideologiche pubbliche degli studiosi, quanto piuttosto dalle infauste conseguenze intellettuali derivanti dagli assunti etero-normativi impliciti che governano i termini del dibattito, in primis: lo sviluppo regolare di un bambino dipende dall’essere figlio di un matrimonio eterosessuale. Benché pochi ricercatori sottoscrivano personalmente questa opinione, la maggior parte della ricerca indaga il rischio o il danno che le coppie omosessuali possono arrecare ai propri figli, rispetto ai figli delle coppie eterosessuali. Poiché gli studiosi conservatori cercano le prove del danno, i ricercatori simpatizzanti ne sottolineano difensivamente l’assenza. La parte che le convinzioni politiche esercitano in questo corpus di ricerche è così importante che i “valori familiari” a sfondo ideologico degli studiosi giocano un ruolo maggiore del solito nel modo in cui essi disegnano, conducono e interpretano i loro studi. Ciò è altrettanto vero per coloro che 25 Lerner Robert e Nagai Althea K., “Out of Nothing Comes Nothing: Homosexual and Heterosexual Marriage Not Shown to be Equivalent for Raising Children”, relazione presentata al convegno Revitalizing the Institution of Marriage for the 21st Century, Brigham Young University, 2000. 25 criticano questi stessi studi, a causa della natura altamente ideologica ed emotiva di questo argomento. Le ricerche avverse A tutt’oggi vi sono alcuni psicologi che sostengono che l’omosessualità rappresenti un peccato o una malattia mentale e continuano a pubblicare lavori allarmisti sui presunti effetti nocivi dell’omoparentalità. Uno tra questi è certamente Paul Cameron26. Benché egli sia stato espulso dalla American Psychological Association e l’American Sociological Association l’abbia denunciato per aver intenzionalmente manipolato le ricerche, le sue pubblicazioni continuano a essere citate in amicus brief27, sentenze di tribunale e assemblee politiche. Ad esempio, il presidente dell’Arkansas Child Welfare Agency Review Board ha ripetutamente citato le pubblicazioni del gruppo di ricercatori di Cameron nei suoi rapporti presentati durante importanti udienze, e ciò ha avuto come conseguenza che l’affidamento dei bambini fosse limitato esclusivamente a genitori eterosessuali. Allo stesso modo, Lynn Wardle, docente di legge all’Università Brigham Young nello Utah, trae spunto esplicitamente dai lavori di Cameron per costruire le sue argomentazioni contro i diritti dei genitori omosessuali. La ricerca dimostra, secondo Wardle, che i genitori omosessuali espongono i propri figli a rischi sproporzionati, che i figli di omosessuali hanno maggiori probabilità di confusione nella loro identità di genere e sessuale, che si identificano più facilmente come noneterosessuali. Wardle ha anche aggiunto che i genitori omosessuali sono sessualmente più promiscui degli eterosessuali e con più probabilità molestano i propri figli, che le coppie omosessuali sono più instabili e si separano più di frequente delle coppie eterosessuali e che i loro figli corrono un rischio maggiore di perdere un genitore a causa dell’Aids, di abuso di sostanze o per suicidio, e di soffrire di depressione e di altri disagi emotivi. Infine, secondo l’autrice, lo stigma sociale e l’imbarazzo di avere un genitore omosessuale ostracizza ingiustamente questi bambini, ostacolando il loro rapporto con i coetanei. Wardle, come altri oppositori della genitorialità omosessuale, si ispira anche a quella letteratura che denuncia il presunto “rischio dell’assenza del padre”. L’autrice trae spunto da scritti di Popenoe, Blankenhorn e Whitehead28 e in generale dalla ricerca sulle madri single, per rappresentare i figli 26 Cameron Paul e Cameron Kirk, “Homosexual parents”, Adolescence, n. 31, p. 757-776, 1996. Cameron Paul, Cameron Kirk e Landess Thomas, “Errors by the American Psychiatric Association, the American Psychological Association, and the National Educational Association in Representing Homosexuality in Amicus Briefs about Amendment 2 to the U.S. Supreme Court.”, Psychological Reports, n. 79, pp. 383-404, 1996. 27 L’amicus brief è un documento, solitamente redatto da un gruppo o da un’organizzazione interessati alle questioni dibattute in tribunale, ma che non sono parte in causa, al fine di aiutare la corte nelle sue decisioni; nel documento l’organizzazione descrive la sua posizione al riguardo, fornendo un punto di vista differente sulle questioni dibattute, o un panorama più generale, o, infine, uno sguardo sugli effetti a lungo termine delle decisioni delle corte. 28 Blankenhorn David, Fatherless America: Confronting Our Most Urgent Social Problem, Basic, New York. 26 delle madri lesbiche come più vulnerabili nei confronti di qualsiasi cosa, dalla delinquenza all’abuso di sostanze, alla violenza, al crimine, alle gravidanze in età adolescenziale, all’abbandono scolastico, al suicidio e perfino alla miseria. Tali conclusioni di Wardle non sono però, secondo Stacey e Biblarz, corrette poiché la letteratura riguardante la struttura familiare su cui tali autori si sono basati non ha mai preso in considerazione, come soggetto di studio, le famiglie composte da genitori omosessuali: i campioni erano infatti sempre costituiti da madri single eterosessuali, e le due condizioni per molti aspetti non sono paragonabili. Alcuni giudici hanno citato gli articoli della Wardle per giustificare il trasferimento dell’affidamento dei figli dalla madre lesbica al padre eterosessuale, ciò è accaduto ad esempio presso la Corte Suprema dell’Alabama che proprio a questo fine ha citato il saggio della Wardle (1997). Wardle ha inoltre usato le proprie conclusioni per redigere le bozze di progetti di legge contro i diritti degli omosessuali sull’affidamento e sull’adozione, che sono poi divenuti legge nello Utah. In breve dunque, gli studiosi che si oppongono ai diritti di maternità e paternità di genitori omosessuali forniscono sostegno accademico alle convinzioni di molti giudici, giornalisti, politici e gente comune, sul fatto che l’orientamento sessuale dei genitori abbia un’influenza molto forte sui figli e che i genitori omosessuali rappresentino un pericolo per i propri figli e per la società. Generalmente, tali studiosi offrono solo spiegazioni teoretiche molto limitate e spesso implicite per gli svantaggi provocati dalla genitorialità omosessuale, solitamente combinando elementi delle teorie evolutive biologiche con teorie sociali e cognitive dell’apprendimento (ad esempio, Blankenhorn 1995). Cameron (1996) sostiene senza mezzi termini che l’omosessualità è una “patologia acquisita” che i genitori trasmettono ai figli attraverso i processi di emulazione del modello, di seduzione e di “contagio”. In conclusione, le convinzioni “eteronormative”, riguardanti ciò che costituisce un’identità di genere, un orientamento sessuale e una composizione familiare sana e moralmente integra, sono profondamente radicate nei sostenitori di questa letteratura, e ostacolano la loro abilità a condurre o interpretare le ricerche con ragionevolezza, raffinatezza o attenzione. Le ricerche favorevoli Più complessa e delicata è, senza dubbio, la critica alle ricerche, numericamente superiori, che invece hanno fornito prove e conclusioni favorevoli alla genitorialità omosessuale. Da un lato si Popenoe David, 1993, “American Family Decline, 1960-1990: A Review and Appraisal”, Journal of Marriage and the Family, n. 55, pp. 527-541, 1995. Popenoe David, Life without Father, Free Press, New York, 1996. Whitehead Barbara Dafoe, “Dan Quayle Was Right”, Atlantic Monthly, April, vol. 271, pp. 47-50, 1993. 27 teme di contraddire le fonti che sole possono essere di sostegno alla causa, di contestare gli esiti tanto attesi e richiesti, di danneggiare gli strumenti che si possono utilizzare per ribattere alle tante voci che protestano alla sola idea che coppie omosessuali possano generare o addirittura adottare bambini; dall’altro vi è la difficoltà di contestare risultati di ottime ricerche, ben congegnate e strutturate, rispetto alle ricerche degli oppositori che sono spesso contraddistinte da una certa faciloneria e da luoghi comuni intrisi di bigottismo. È chiaramente un compito più arduo e sottile da un punto di vista pratico, ma soprattutto piuttosto controverso da un punto di vista ideologico e morale. Per fare chiarezza e avere la certezza di ciò che si sostiene, ma soprattutto per impedire che le stesse critiche vengano avanzate, con atteggiamento radicalmente diverso, proprio da chi attende il primo passo falso da tali ricercatori per avvalersene sia a livello scientifico sia in sedi legali. Si tratta di un dibattito che all’estero è già esploso, e che vale la pena di osservare, senza necessariamente prendere posizione, per le importanti ricadute sul piano metodologico e sociale. Vedremo in seguito le reazioni − più o meno favorevoli − del dibattito alle conclusioni innovative dell’articolo di Stacey e Biblarz, che disvelano un rischio pericoloso nella ricerca a sostegno dei genitori omosessuali, ovvero l’atteggiamento difensivo. Seguendo la rassegna di Stacey e Biblarz sugli studi più noti e importanti che hanno indagato come l’orientamento sessuale dei genitori abbia influenzato i figli, esamineremo quali esiti, secondo gli autori, permangono validi e incontestabili, quali invece possono essere suscettibili di attenzione ed eventualmente di correzione, scoprendo che anche queste parzialità nelle ricerche favorevoli sono − purtroppo − ancora il frutto spurio dell’eterosessismo e degli ostacoli che le famiglie omosessuali incontrano normalmente nei confronti del conseguimento della maternità o paternità. Ecco come gli autori introducono l’analisi delle ricerche favorevoli ai genitori omosessuali: “Forse l’impatto più dirompente che l’eterosessismo esercita sulla ricerca sulla genitorialità omosessuale agisce proprio dove è meno evidente: nella letteratura, di gran lunga più consapevole, ampiamente favorevole alla tematica. È facile esporre le modalità con cui le vedute pregiudizievoli di chi è dichiaratamente ostile alla genitorialità omosessuale distorcono le sue ricerche29. Inoltre, poiché i ricercatori “anti-gay” considerano la stessa omosessualità come una forma di patologia, essi tautologicamente interpretano ogni prova che i bambini possano con maggiore probabilità indulgere in comportamenti omoerotici come prova del danno. Meno ovvi, comunque, sono i modi con cui l’eterosessismo ostacola la ricerca e l’analisi anche tra chi sostiene esplicitamente i genitori omosessuali. Con rare eccezioni, perfino i sostenitori più arditi procedono da una posizione fortemente difensiva che accetta i genitori eterosessuali come lo “standard aureo” e incentrano la 29 Herek Gregory M. (a cura di), “Bad Science in the Service of Stigma: A Critique of the Cameron Group’s Survey Studies”, pp. 223-55, in Stigma and Sexual Orientation: Understanding Prejudice against Lesbians, Gay Men, and Bisexuals, Sage, Thousand Oaks, CA, 1998. 28 propria indagine sulla questione se i genitori omosessuali e i loro figli siano inferiori” (Stacey e Biblarz 2001). Gli autori sottolineano, nel passaggio successivo, che questa sorta di modello gerarchico implica che differenza indica deficit. Invece di indagare se (e come) le differenze nell’orientamento sessuale dell’adulto possano condurre a differenze significative nel modo in cui le persone gestiscono la propria genitorialità e nel mondo in cui i loro figli si sviluppano, i disegni di ricerca predominanti assegnano l’onere della prova ai genitori omosessuali, per dimostrare che essi non hanno meno successo o minore valore dei genitori eterosessuali. Troppo spesso gli studiosi sembrano presumere che tale approccio equivalga a non riconoscere quasi alcuna differenza nella genitorialità o negli effetti sui figli. A questo proposito gli autori citano una rassegna di letteratura sul tema delle famiglie con madri lesbiche che in modo piuttosto tipico conclude: “…un corpus di lavoro empirico in rapida crescita e molto consistente non è riuscito a identificare differenze significative tra madri lesbiche e le loro controparti eterosessuali, o tra i figli cresciuti da questi gruppi. Gli studiosi non sono stati in grado di stabilire empiricamente il detrimento che risulta ai figli per il fatto di essere cresciuti da madri lesbiche” (Falk 1994). Considerate le forti implicazioni politiche di questo corpus di ricerca, è facile comprendere le origini sociali di una tale posizione difensiva. Fintanto che l’orientamento sessuale può privare un genitore gay dell’affidamento di un figlio, dei servizi per l’assistenza alla fecondazione, della facoltà di adottare, i ricercatori più sensibili tendono a muoversi con molta cautela sul terreno delle differenze. A questo proposito il parere di Stacey e Biblarz è molto chiaro: essi sostengono che, sfortunatamente, tale reticenza compromette lo sviluppo della conoscenza, non solo riguardo allo sviluppo e alla psicologia del bambino, ma anche, in senso più ampio, la sociologia della sessualità, di genere e della famiglia. Se da un lato le teorie omofobiche sembrano piuttosto crude, troppi psicologi solidali con le famiglie omosessuali sembrano esitanti sul teorizzare in generale. Quando i ricercatori minimizzano la significatività di ogni risultato che indichi una qualche differenza, essi si privano di un’opportunità unica per approfittare pienamente di quel “laboratorio naturale” che l’avvento di famiglie omosessuali fornisce, per esplorare gli effetti sull’acquisizione dell’identità, dell’ideologia e del comportamento sessuali e di genere. Tale reticenza è particolarmente evidente nelle analisi del comportamento e dell’identità sessuali, ovvero i temi del dibattito più delicati a livello politico. Virtualmente tutte le ricerche pubblicate sostengono di non trovare alcuna differenza tra la sessualità dei bambini cresciuti da genitori omosessuali e quelli cresciuti da genitori eterosessuali, ma nessuno tra gli studi che riportano tali esiti tenta di proporre un’ipotesi teorica a supporto di un risultato così poco plausibile. 29 Prendendo in rassegna le principali teorie sullo sviluppo sessuale emerge come possa apparire poco probabile la possibilità che in futuro i figli di coppie omosessuali non rivelino una qualche maggiore incidenza di desiderio, comportamento e identità omosessuale rispetto ai figli di genitori eterosessuali. Stacey e Biblarz osservano come, ad esempio, la teoria biologica determinista dovrebbe predire almeno qualche differenza a livello di predisposizione ereditaria al desiderio per lo stesso sesso; mentre secondo una prospettiva sistemica sociocostruzionista ci si aspetta che genitori omosessuali costituiscano un ambiente in cui i bambini si sentano più liberi di esplorare e affermare tali desideri; la teoria psicoanalitica può ipotizzare che l’assenza di un genitore di sesso maschile indebolirebbe il bisogno della figlia di rinunciare al proprio desiderio pre-edipico per la madre, o che l’assenza di un genitore di sesso maschile favorirebbe l’amore pre-edipico di un figlio per il proprio padre, senza che alcuna paura di castrazione o crisi edipica interferisca o interrompa tali processi. Inoltre, poiché i genitori determinano dove i figli risiedono, perfino chi sostiene la teoria dissidente della studiosa Judith R. Harris30, per cui i genitori sono virtualmente impotenti rispetto ai coetanei nell’influenzare lo sviluppo dei figli, dovrebbe prevedere che genitori omosessuali probabilmente alleveranno i propri figli tra coetanei meno omofobici. Gli autori prendono in considerazione inoltre la teoria dell’orientamento sessuale di Daryl J. Bem31 il cui focus è “esotico diviene erotico”. Secondo tale teoria, in una società polarizzata dai generi i bambini erotizzano il genere dei coetanei i cui interessi e temperamenti differiscono maggiormente dai propri. La maggior parte dei bambini perciò diventa eterosessuale, ma i ragazzi attratti da attività “femminili” e le ragazze che sono “maschiacci” tendono a sviluppare desideri omoerotici. L’impatto dei geni dei genitori e delle pratiche di allevamento dei figli resta implicito, poiché i genitori contribuiscono geneticamente ai fattori caratteriali che Bem identifica come precursori delle preferenze innate del bambino riguardo le sue attività, e, inoltre, gli atteggiamenti dei genitori nei confronti della polarizzazione di genere dovrebbero influenzare il modo in cui tali preferenze innate si trasferiscono nella cognizione e nel gioco dei bambini. A questo punto Stacey e Biblarz concludono che, effettivamente, l’unica “teoria” evolutiva immaginabile per la quale lo sviluppo sessuale dei figli non sia correlato ai geni, alle pratiche, all’ambiente, alle credenze dei genitori sarebbe una teoria basata sul capriccio. Questo è proprio il risultato che molti studiosi riportano, benché le limitate basi empiriche non lo giustifichino. 30 Harris Judith Rich, The Nurture Assumption: Why Children Turn Out the Way They Do, Free Press, New York, 1998. Bem Daryl J., “Exotic Becomes Erotic: A Developmental Theory of Sexual Orientation”, Psychological Review, n. 103, pp. 320-335, 1996. 31 30 La consapevolezza della non differenza È dai primi anni Novanta che eminenti psicologi hanno iniziato a promuovere e a richiedere stili di ricerca meno “difensivi”, a cominciare dal saggio di Dorsey G. Green e Frederick W. Bozett “Lesbian Mothers and Gay Fathers”32, passando per l’articolo di Charlotte J. Patterson “Children of Lesbian and Gay Parents” del 1992, fino all’articolo di Celia Kitzinger e Adrian Coyle “Lesbian and Gay Couples: Speaking of Difference” del 1995. Riconsiderando la dottrina della “non differenza”, la tendenza più forte presso alcuni ricercatori è stata quella di cercare potenziali effetti benefici che potrebbero derivare ai bambini da tali aspetti distintivi della genitorialità omosessuale, come ad esempio le relazioni più egualitarie che questi genitori sembrano creare (Dunne 2000; Patterson 1995). Più radicalmente, un gruppo di ricercatori, tra cui la stessa Kitzinger (Kitzinger 1987, 1989; Kitzinger e Coyle 1995), proposero di abbandonare del tutto le ricerche comparative tra genitori omosessuali e eterosessuali, per sostituirle con ricerche che ponessero la questione: “perché e come le madri lesbiche sono oppresse e come si può cambiare?” (Clarke 2000). Benché Stacey e Biblarz percepiscano il potenziale di questi approcci e concordino con Kitzinger e Coyle e con Clarke che gli ostacoli sociali alla genitorialità omosessuale meritano attenzione rigorosa, a loro avviso ciò dovrebbe completare, e non sostituire, la ricca opportunità che le maternità lesbiche e le paternità omosessuali pianificate offrono per l’esplorazione delle interazioni del genere, dell’orientamento sessuale e delle strutture biosociali familiari sulla genitorialità e sullo sviluppo dei bambini. Gli autori quindi, non solo accolgono le ricerche che rivelano i potenziali punti di forza, così come di vulnerabilità della genitorialità omosessuale, essi sostengono anche che ciò che può maggiormente servire alla conoscenza e alla consapevolezza politica è la libertà dei ricercatori di sostituire un modello gerarchico, il quale assegna “voti” ai genitori e ai figli secondo la loro identità sessuale, con un approccio più genuinamente pluralista alla diversità familiare. 32 Pubblicato nel volume del 1991 a cura di J. C. Gonsiorek e J. D. Weinrich, Homosexuality: Research Implications for Public Policy. 31 *Tabella 1. Risultati dell’associazione tra l’orientamento sessuale dei genitori e gli effetti (selezionati) sui figli: 21 studi, 1981 - 1998 Variabile misurata Direzione dell’effetto Comportamento/Preferenze di genere Allontanamento delle ragazze dalle aspettative e comportamenti tradizionali del ruolo di generenell’abbigliamento, gioco, fisicità, attività scolastiche, aspirazioni occupazionali (Hoeffer 1981; Golombok et al. 1983; R. Green et al. 1986; Steckel 1987; Hotvedt e Mandel 1982). 0/+ Allontanamento dei ragazzi dalle aspettative e comportamenti tradizionali del ruolo di generenell’abbigliamento, gioco, fisicità, attività scolastiche, aspirazioni occupazionali (Hoeffer 1981; Golombok et al. 1983; R. Green et al. 1986; Steckel 1987; Hotvedt e Mandel 1982). 0/+ Livello di aggressività e indole autoritaria nei ragazzi (Steckel 1987). – Desiderio del/la bambino/a di essere dell’altro sesso (Green et al. 1986). 0 Comportamento sessuale/Preferenze sessuali Il/la figlio/a adolescente ha preso in considerazione relazioni sessuali con lo stesso sesso; ha avuto relazioni sessuali con lo stesso sesso (Tasker e Golombok 1997). + Il/la figlio/a adolescente si identifica stabilmente come bisessuale, gay o lesbica (Tasker e Golombok 1997). 0 La probabilità che i ragazzi rivelino un orientamento sessuale omosessuale in età adulta, per l’omosessualità del padre (Bailey et al. 1995). (+) Il numero di partner sessuali delle ragazze dalla pubertà alla prima età adulta (Tasker e Golombok 1997). + Il numero di partner sessuali dei ragazzi dalla pubertà alla prima età adulta (Tasker e Golombok 1997). (-) La qualità delle relazioni intime nell’adolescenza e prima età adulta (Tasker e Golombok 1997). 0 Hanno amici gay o lesbiche (Tasker e Golombok 1997). + Autostima e benessere psicologico Autostima, ansia, depressione, disturbi internalizzati del comportamento, disturbi esternalizzati del comportamento, disturbi complessivi del comportamento, performance in contesti sociali (amicizie, sport, scuola), frequentazione servizio di counseling psicologico, resoconti di madri e/o insegnanti di iperattività, scontrosità, problemi emotivi, problemi di condotta, altri disturbi del comportamento (Golombok, Spencer e Rutter 1983; Huggins 1989; Patterson 1994; Flaks et al. 1995; Tasker e Golombok 1997;Chan, Raboy e Patterson 1998; Chan, Brooks et al. 1998). 0 Il livello di popolarità a scuola e nel quartiere che le figlie riferiscono (Hotvedt e Mandel 1982). + Resoconti di madri e/o insegnanti del livello di affetto, comprensione e interesse nei confronti dei bambini più piccoli (Steckel 1987). + Esperienza di stigmatizzazione da parte dei coetanei riguardante la propria sessualità (Tasker e Golombok 1997). + Funzionalità cognitive (IQ, performance verbale, ecc…) (Flaks et al. 1995; R. Green et al. 1986). 0 Esperienze di difficoltà nell’ottenere un impiego nella prima età adulta (Tasker e Golombok 1997). 0 32 Fonti: i 21 studi considerati nelle tabelle 1 e 2 sono, per ordine di data: Hoeffer (1981); Kweskin e Cook (1982); Miller, Jacobsen e Bigner (1982); Rand, Graham e Rawlings (1982); Golombok, Spencer e Rutter (1983); R. Green et al. (1986); M. Harris e Turner (1986); Bigner e Jacobsen (1989); Hotvedt e Mandel (1982); Huggins (1989); Steckel (1987); Bigner e Jacobsen (1992); Jenny, Roesler e Poyer (1994); Patterson (1994); Bailey et al. (1995); Flaks et al. (1995); Brewaeys et al. (1997); Tasker e Golombok (1997); Chan, Raboy e Patterson (1998); Chan, Brooks et al. (1998); McNeill, Rienzi e Kposowa (1998). + 0 ( ) 0/+ = significativamente più alto nel contesto genitoriale omosessuale che in quello eterosessuale = nessuna significativa differenza tra il contesto genitoriale omosessuale e quello eterosessuale = significativamente più basso nel contesto genitoriale omosessuale che in quello eterosessuale = limiti della significatività statistica = esiti misti * Tabella rielaborata da Stacey e Biblarz (2001) pag. 169. 33 *Tabella 2. Risultati delle associazioni tra orientamento sessuale dei genitori, altri attributi dei genitori e rapporti tra genitori e figli: 21 studi, 1981 - 1998 Variabile misurata Direzione dell’effetto Comportamento dei genitori nei confronti del genere e dello sviluppo sessuale dei bambini La madre preferisce che il/la figlio/a intraprenda attività di gioco appropriate al proprio genere (Hoeffer 1981; R. Green et al. 1986; M. Harris e Turner 1986). 0/- La madre classifica il figlio ideale mascolino (se ragazzo) e femminile (se ragazza) (Kweskin e Cook 1982). 0 La madre preferisce che il/la figlio/a sia gay/lesbica in età adulta (Golombok et al. 1983; Tasker e Golombok 1997). 0 Il/la figlio/a crede che la madre preferisca che egli/ella sviluppi un orientamento sessuale omosessuale (Tasker e Golombok 1997). + Pratiche genitoriali: orientamenti educativi e abilità genitoriali L’orientamento educativo della madre nell’allevamento dei figli e abilità genitoriali (Miller et al. 1982; 0/+ McNeill et al. 1998; Flaks et al. 1995). L’orientamento educativo della partner nell’allevamento dei figli e abilità genitoriali (Flaks et al. 1995; Brewaeys et al. 1997). + Il desiderio della partner di una condivisione equa dell’allevamento dei figli (Chan, Brooks et al. 1998). + Il grado in cui madre e partner condividono le attività di allevamento dei figli (Brewaeys et al. 1997; Chan, Brooks et al. 1998). + Affinità tra le abilità genitoriali della madre e della partner (Flaks et al. 1995). + Affinità tra la valutazione della madre e della partner del comportamento e del benessere del/la figlio/a (Chan, Raboy e Patterson 1998; Chan, Brooks et al. 1998). + La madre ha permesso al/la ragazzo/a del/la figlio/a di fermarsi a dormire (Tasker e Golombok 1997). 0 Rapporti tra il/la figlio/a e il genitore con cui abita La valutazione della madre sulla qualità del rapporto con il/la figlio/a (Golombok et al. 1983; M. Harris e 0 Turner 1986; Brewaeys et al. 1997; McNeill et al. 1998). Le probabilità che la madre inizi una convivenza dopo il divorzio (Kweskin e Cook 1982; R. Green et al. 1986). + La valutazione della partner sulla qualità del rapporto con il/la figlio/a (Brewaeys et al. 1997). + Le dichiarazioni del/la figlio/a sulla vicinanza con la madre biologica durante la crescita (Tasker e Golombok 1997; Brewaeys et al. 1997). 0 34 Le dichiarazioni del/la figlio/a sulla vicinanza con la partner della madre biologica durante la crescita 0/+ (Tasker e Golombok 1997; Brewaeys et al. 1997). Il/la figlio/a si è sentito in grado di discutere del proprio sviluppo sessuale con il/i genitore/i durante la crescita + (Tasker e Golombok 1997). Rapporti tra il/la figlio/a e il genitore con cui non abita Il livello di coinvolgimento del padre con i figli, lo stabilire limiti e l’orientamento educativo nell’allevamento dei figli (Bigner e Jacobsen 1989, 1992). 0/+ L’incoraggiamento della madre ai contatti del/la figlio/a con il padre (Hotvedt e Mandel 1982). 0 I contatti della madre divorziata con il padre dei suoi figli negli ultimi anni (Golombok et al. 1983). + La frequenza dei contatti del/la figlio/a con il padre (Golombok et al. 1983). + I sentimenti positivi del/la figlio/a nei confronti del padre (Hotvedt e Mandel 1982; Tasker e Golombok 1997). 0/(+) Autostima e benessere psicologico del genitore Il livello di depressione, l’autostima della madre (Rand et al. 1982; R. Green et al. 1986; Chan, Raboy e 0/+ Patterson 1998; Golombok et al. 1983). Il livello di leadership, indipendenza, orientamento al successo della madre (R. Green et al. 1986; 0/+ Rand et al. 1982). L’utilizzo da parte della madre di sedativi, stimolanti, o il ricorso a cure psichiatriche, ambulatoriali o con ricovero, negli ultimi anni (Golombok et al. 1983). 0 La madre ha mai ricevuto cure psichiatriche in età adulta? (Golombok et al. 1983). + Il livello di stress che la madre dichiara, associato alla condizione di madre single (R. Green et al. 1986). 0 Fonti: vedi Tabella 1. + 0 ( ) 0/+ = significativamente più alto nel contesto genitoriale omosessuale che in quello eterosessuale = nessuna significativa differenza tra il contesto genitoriale omosessuale e quello eterosessuale = significativamente più basso nel contesto genitoriale omosessuale che in quello eterosessuale = al limite della significatività statistica = esiti misti . * Tabella rielaborata da Stacey e Biblarz (2001) pagg. 173-174. 35 I metodi di campionamento I problemi metodologici riguardano in particolare il campionamento. Per esaminare la vasta rassegna di ricerche riportate nelle Tabelle 1 e 2, Stacey e Biblarz si interrogano in primo luogo sulla correttezza delle metodologie applicate dai ricercatori nella selezione dei campioni di genitori (omosessuali ed eterosessuali) da confrontare. Innanzitutto, come la maggior parte dei ricercatori riconosce, poiché parecchie persone − in maniera del tutto legittima − temono le conseguenze sociali del riconoscersi pubblicamente in un’identità omosessuale, e poiché non vi sono che poche indagini a livello nazionale in cui siano state poste domande sull’orientamento sessuale, è impossibile raccogliere dati affidabili su questioni demografiche di fondo, come ad esempio quanti gay e lesbiche si contino nella popolazione generale, quanti abbiano bambini, o quanti bambini abitino (o abbiano contatti importanti) con genitori omosessuali. Stranamente, chi è ostile ai genitori gay tende a minimizzare l’incidenza dell’orientamento omosessuale all’interno della popolazione, mentre gli studiosi simpatizzanti registrano, tipicamente, stime numeriche tanto alte quanto improbabili. In tal modo, entrambe le fazioni implicitamente presumono che più rara è l’incidenza, meno legittimo è per lesbiche e gay rivendicare i propri diritti. Stacey e Biblarz osservano che le preoccupazioni di tipo politico hanno ingarbugliato il già difficile compito di rispondere a questioni demografiche di base. Dal 1984, la gran parte dei ricercatori ha riprodotto gli stessi numeri di dubbia origine, proponendo una stima che va da 1 a 5 milioni per le madri lesbiche, da 1 a 3 milioni per i padri gay e da 6 a 14 milioni per i figli di genitori omosessuali negli Stati Uniti (Patterson 1992, 1996). Stime più recenti sono prodotte da Patterson e Freil (2000), estrapolate dai dati del National Health and Social Life Survey (Laumann 1995). A seconda della definizione di orientamento sessuale dei genitori che viene utilizzata, Patterson e Freil propongono un limite inferiore attuale di 800.000 genitori omosessuali, la cui età varia tra i 18 e i 59 anni, con 1,6 milioni di bambini, e un limite superiore di 7 milioni di genitori omosessuali, con 14 milioni di bambini: queste stime tuttavia includono molti “bambini” che sono ora adulti. Per valutare il numero di figli a carico (minori di 18 anni), si è moltiplicato il numero di figli per 0.66, che è la proporzione di figli a carico di tutti i genitori di età compresa tra i 18 e i 59 anni, secondo la National Survey of Families and Households (Sweet e Bumpass 1996), ritenuta molto rappresentativa. Di conseguenza, la stima dei figli attualmente a carico di genitori omosessuali dovrebbe ridursi a un range da 1 a 9 milioni, e ciò implica che più o meno tra l’1% e il 12% del totale dei ragazzi al di sotto dei 19 anni d’età negli Stati Uniti (78 milioni) hanno almeno un genitore omosessuale. Il limite massimo del 12% dipende dal fatto che sia classificato come genitore omosessuale chiunque dichiari che anche la sola idea di rapporto sessuale omosessuale sia attraente, mentre la percentuale più bassa, 1%, deriva dalla definizione di genitore omosessuale, più 36 ristretta e più politicamente saliente, che si riferisce esclusivamente a chiunque si identifichi come tale (Badgett 1998; Black, Maker et al. 1998). Studiosi, giornalisti e attivisti di tutte le tendenze ideologiche sembrano presumere che far rientrare nella normalità la sessualità di lesbiche e gay debba incrementare la schiera di bambini con genitori omosessuali. Per contro, Stacey e Biblarz sostengono che la normalizzazione possa, con più probabilità, ridurre la percentuale dei bambini con genitori omosessuali. La maggior parte degli omosessuali che oggi sono genitori hanno generato figli all’interno di matrimoni eterosessuali, da molti contratti con la speranza di evitare le conseguenze sociali ed emotive dell’omofobia. Se l’omosessualità fosse legittimata, un numero sempre minore di omosessuali dovrebbe sentirsi obbligato a contrarre un matrimonio eterosessuale e perciò ancora meno a diventare genitori. Naturalmente continuerebbero, però, ad aumentare le gravidanze pianificate di omosessuali consapevoli, ma è improbabile che ciò sia sufficiente a compensare il declino del numero di omosessuali divenuti genitori in seguito a un matrimonio. Di conseguenza, la percentuale di madri lesbiche non dovrebbe cambiare di molto. Molte donne con inclinazioni omosessuali, che una volta si sposavano e sottostavano alle pressioni sociali per divenire madre, non lo faranno più; altre donne che rimangono single e senza figli per le loro preferenze omosessuali si sentiranno più libere di scegliere una maternità lesbica. È difficile prevedere l’effetto finale al netto di queste tendenze opposte. Comunque, dato che un numero ancora inferiore di uomini gay si impegneranno in matrimoni eterosessuali, il numero di padri gay dovrebbe ridursi. Anche se gli uomini gay fossero tanto desiderosi quanto le lesbiche di diventare genitori, la possibilità di diventarlo ha dei chiari limiti biologici. Inoltre, vi sono prove sperimentali riguardo al fatto che un minor numero di uomini − di qualsiasi orientamento sessuale − desidera avere figli in modo altrettanto forte delle donne (Groze 1991; Shireman 1996), e la maggior parte degli studi demografici sull’orientamento sessuale riscontra una più alta incidenza dell’omosessualità tra gli uomini che tra le donne (Kinsey et al. 1948; Kinsey et al. 1953; Laumann et al. 1994; Michael et al. 1994). In conclusione, anche se tra i maschi gay il numero di genitori consapevoli dovesse aumentare, non è pensabile che ciò possa compensare il numero, in costante calo, di gay non dichiarati che diventano padri attraverso matrimoni eterosessuali. Di qui la stima dall’1% al 12% di figli di genitori omosessuali potrebbe rappresentare in realtà un picco destinato a calare in qualche misura con la normalizzazione. Un secondo problema fondamentale nel campionamento coinvolge l’ambiguità, la mutevolezza e la complessità della definizione di orientamento sessuale. “Il tipo tradizionale di inchieste sulla prevalenza di ‘omosessuali’ − osserva un importante sociologo danese − rischia di diventare obsoleto ancor prima di essere effettuato; le domande rivolte agli intervistati si rivelano 37 parzialmente irrilevanti; la sessualità non è più ciò che era” (Bech 1997, 211). Che cosa definisce un genitore (o un figlio) come lesbica, gay o eterosessuale? Sono categorie comportamentali, sociali, emotive o politiche? Le identità sessuali sono categorie la cui definizione varia ampiamente, non solo tra le culture, lo spazio e il tempo, ma anche tra e all’interno degli individui (Katz 1995; Seidman 1997). Alcuni uomini gay, per esempio, praticano il celibato; alcuni uomini eterosessuali sono coinvolti in occasionali relazioni omosessuali. Alcune lesbiche rifiutano la loro identità lesbica per sposarsi; alcune rifiutano il matrimonio a favore dell’identità lesbica. Cosa possiamo dire di genitori bisessuali, transessuali, o transgender con persone dello stesso o diverso genere? Il desiderio sessuale, gli atteggiamenti, i significati e le identità non sono espressi in pacchetti fissi e prevedibili. Ma vi è un’ulteriore osservazione molto importante: la visibilità dei genitori omosessuali è un fenomeno così recente che la maggior parte degli studi coinvolge necessariamente i figli di gay e lesbiche consapevoli divenuti genitori in un contesto di matrimonio o relazioni eterosessuali, che si sono sciolte prima o dopo che essi assumessero un’identità omosessuale. Si tratta di una generazione di transizione, di una condizione storica unica, e ciò rende impossibile discriminare l’impatto dell’orientamento sessuale del genitore sul bambino dall’impatto di altri fattori quali il divorzio, il rifidanzamento, il mantenimento del segreto, il processo del coming out o le conseguenze sociali della stigmatizzazione. Solo una minoranza di ricerche ha tentato di controllare il numero e il genere dei genitori di un bambino, prima e dopo che un genitore si identificasse come gay o lesbica. Poiché le madri lesbiche, precedentemente sposate, hanno avuto l’affidamento dei loro figli molto più spesso dei padri gay, la maggior parte delle ricerche in realtà è condotta sulla maternità lesbica dopo il divorzio (Bigner e Jacobsen 1989, 1992). Se un numero sempre minore di lesbiche e gay diventeranno genitori attraverso matrimoni eterosessuali, le ricerche finora condotte su questa tipologia di genitori omosessuali diventerà assai meno rilevante sia dal punto di vista scientifico sia da quello politico. Infine, poiché mancano dati affidabili sul numero e la localizzazione dei genitori omosessuali all’interno della popolazione generale, non esistono studi sullo sviluppo dei bambini che siano basati su campioni casuali e rappresentativi di tali famiglie. La maggior parte delle ricerche sono a piccola scala, con campioni scelti per opportunità, in primo luogo tramite reti o agenzie personali o di comunità. Per cui, ad esempio, la quasi totalità degli studi, ad oggi, sono stati condotti su madri lesbiche bianche, con un certo livello di istruzione, di età matura e che risiedono in centri urbani con orientamento relativamente progressista, per lo più in California o nel Nordovest degli USA. Benché alcuni di questi problemi siano riconosciuti dagli studiosi (Bozett 1989; Patterson e Friel 2000; Rothblum 1994), sono poche le ricerche che esplicitamente si confrontino con le questioni di 38 definizione del campione. Molti studi semplicemente fanno riferimento all’identità sessuale del genitore al tempo dell’indagine, e ciò contribuisce involontariamente allo sbilanciamento, dal punto di vista razziale, etnico e di classe, della popolazione presa in esame. Studi etnografici indicano che l’identità “lesbica”, “gay” e “bisessuale” è generalmente meno visibile o meno affermata tra chi è socialmente subordinato e tra le popolazioni non urbane, rispetto ai bianchi di un certo ceto sociale, con un certo livello di istruzione, e alle popolazioni urbane (Boykin 1996; Cantu 2000; Carrier 1992; Greene e Boyd-Franklin 1996; Hawkeswood 1997; Lynch 1992; Peterson 1992). I progetti di ricerca più rigorosi pongono a confronto la genitorialità tramite inseminazione con donatore tra coppie lesbiche e eterosessuali o madri single (ad esempio, Chan, Brooks et.al. 1998; Flaks et al. 1995). Che si sappia, non vi è alcuno studio condotto esclusivamente su genitori adottivi omosessuali o paragonando i figli pianificati di padri gay con figli nati in altre forme di famiglia. I ricercatori non sanno fino a che punto lo status socioeconomico relativamente alto dei genitori “da inseminazione” studiati rifletta la demografia dei genitori omosessuali in generale, ma, considerato il grado di sforzo, di supporto culturale e legale necessario e, frequentemente, il livello di spesa da sostenere, i membri di gruppi sociali relativamente privilegiati sarebbero quelli maggiormente in grado di servirsi della tecnologia riproduttiva e/o dell’adozione indipendente. In breve, gli effetti indiretti dell’eterosessismo hanno posto insolite limitazioni alla maggior parte della ricerca sugli effetti della genitorialità omosessuale. Si pensa, comunque, che ora possa essere il momento propizio per iniziare a riformulare i termini di base dell’impresa. I risultati delle ricerche I risultati presi in esame dalle tabelle 1 e 2 si riferiscono a 21 ricerche psicologiche pubblicate tra il 1981 e il 1998, considerate da Stacey e Biblarz indicative per affrontare la domanda su quale sia l’influenza sui figli dell’orientamento sessuale dei genitori. Diciotto ricerche (delle quali undici sono incluse nelle ventuno esaminate da Stacey e Biblarz) concludono che “non vi è alcuna differenza (riguardo ad alcuno degli indici presi in esame) tra genitori omosessuali ed eterosessuali, per ciò che concerne lo stile genitoriale, l’equilibrio emozionale e l’orientamento sessuale dei figli” (Allen e Burrell 1996:19). L’analisi accurata compiuta da Stacey e Biblarz sui risultati delle ricerche porta invece a evidenziare (riguardo ad alcune dimensioni, e principalmente quelle correlate al genere e alla sessualità) che l’orientamento sessuale dei genitori influisce sui figli in misura più rilevante di quanto affermino i ricercatori. Le ricerche prese in esame si sono svolte su un campione di genitori omosessuali e uno di genitori eterosessuali fra loro comparabili, hanno trovato differenze statisticamente significative, e presentano risultati rilevanti riguardo allo sviluppo dei bambini. 39 La Tabella 1 sintetizza i dati riguardanti l’orientamento sessuale dei genitori e tre classi di variabili per ciò che concerne i “risultati” dei figli: 1) comportamento di genere/preferenze di genere; 2) comportamento sessuale/preferenze sessuali; 3) benessere psicologico. La Tabella 2 sintetizza i dati riguardanti la relazione tra l’orientamento sessuale dei genitori e altre caratteristiche degli stessi, ivi compreso: 1) comportamento nei confronti del genere dei figli e dello sviluppo sessuale; 2) abilità genitoriali; 3) relazioni con i figli; 4) benessere psicologico. Il segno + indica un livello più alto della variabile (statisticamente significativo) per i genitori omosessuali o i loro figli, il segno – indica un livello più alto per i genitori eterosessuali o i loro figli, lo 0 indica che non esistono differenze significative. Genere I risultati sono nel riquadro superiore della Tabella 1 ed evidenziano che, per quanto riguarda alcune dimensioni significative, sono state osservate differenze in direzioni predicibili. Per esempio, in Green et al. (1986) madri lesbiche riferiscono che le figlie con maggiore frequenza si comportano, vestono e giocano secondo modalità non conformi alle norme culturali. Queste ragazze mostrano un interesse maggiore per attività associate a qualità sia “maschili” che “femminili”, mentre le figlie di madri eterosessuali mostrano un interesse significativamente più alto per attività tradizionalmente femminili. Inoltre, le figlie di donne lesbiche aspirano a professioni non tradizionalmente tipiche del loro genere (il 53% nelle ricerche di Green et al.), come avvocato, astronauta, ingegnere, contro il 21% delle figlie di donne eterosessuali. Per i maschi le risposte paiono più complesse. Riguardo ad alcune dimensioni come l’aggressività e il gioco, il comportamento dei figli di donne lesbiche è meno tradizionalmente mascolino, ma ciò non avviene per quanto riguarda il modo di vestire o le aspirazioni occupazionali. Ciò porta a pensare − secondo Stacey e Biblarz − che l’orientamento sessuale materno interferisca secondo modalità complesse con l’identità di genere dei figli; Stacey e Biblarz si chiedono, provocatoriamente, come i ragazzi in realtà assimilino la cultura e gli interessi legati al genere, e rilevano che a queste domande gli studiosi, troppo occupati a sottovalutare o a ignorare le differenze, tendono a non dare alcuna importanza. Orientamento sessuale Il secondo riquadro della Tabella 1 riporta prevalentemente i risultati molto significativi della ricerca di Tasker e Golombok (1997), l’unico studio comparativo che ha seguito fino all’età adulta i bambini allevati in famiglie lesbiche. È proporzionalmente superiore (e statisticamente significativo) il numero di giovani allevati in famiglie lesbiche che dichiarano di aver avuto una relazione omosessuale, o che hanno pensato di poterne avere. Naturalmente, il fatto che anche una 40 certa percentuale dei giovani allevati in famiglie eterosessuali dichiari qualche apertura alle relazioni omosessuali, e una percentuale doppia di ragazzi omosessuali allevati in famiglie omosessuali invece non la dichiari, dimostra quanto l’influenza dei genitori sui desideri sessuali dei figli sia indiretta e difficilmente predicibile. Tuttavia, questi stessi giovani che mostrano una maggiore apertura nei confronti delle diverse possibilità di relazioni sessuali, non risultano (almeno non in modo significativo) disponibili a riconoscersi un’identità gay o lesbica o bisessuale. Nella stessa ricerca si trovano risultati interessanti riguardo all’attività sessuale nell’adolescenza, attività che appare significativamente superiore nelle ragazze figlie di donne lesbiche confrontate con quelle figlie di donne eterosessuali, riguardo in particolare al numero di partner, mentre è significativamente inferiore nei ragazzi, il che sembrerebbe provare, ancora una volta, che i figli/e di donne lesbiche non si conformano alle norme culturali di genere. Naturalmente, sottolineano Stacey e Biblarz nel loro commento, tutti questi risultati possono essere influenzati dalle dimensioni utilizzate per misurare l’orientamento sessuale, tramite le quali viene costruito un mondo dicotomico inesistente nella realtà, la cui rappresentazione più fedele sarebbe più probabilmente un continuum. Salute mentale dei figli Il problema più grave, per quanto riguarda l’affidamento dei figli a genitori omosessuali, è senz’altro legato al danno emotivo e psicologico che questi potrebbero subire. Le ricerche a questo proposito sono perciò numerose, ma non mostrano significative differenze per ciò che concerne ansia, depressione, livello di autostima e molte altre dimensioni prese in esame. Le poche differenze significative tendono a favorire i figli di madri lesbiche (Patterson 1994). Nessuna differenza è stata rilevata neppure per le abilità cognitive, anche se nessuna ricerca ha finora affrontato le possibili differenze a lungo termine per ciò che riguarda iter scolastico, occupazione, reddito, ecc. Lo sviluppo sessuale e di genere dei figli Gli elementi esaminati nella Tabella 1 sembrano configurare un quadro in cui la genitorialità omosessuale è associata a un ampliamento dei repertori sessuali e di genere dei figli. Ma ciò accade perché i genitori omosessuali cercano attivamente di ottenere tali risultati? Nel primo riquadro della Tabella 2 i dati non provano con sufficiente sicurezza che l’orientamento sessuale dei genitori sia correlato in modo forte con le loro preferenze riguardo all’orientamento sessuale o di genere dei figli. Per esempio, le madri lesbiche sono altrettanto in grado di quelle 41 eterosessuali di assegnare qualità maschili o femminili a un ragazzo o ragazza “ideale” (secondo il ben noto Bem Sex Role Iventory33). Tuttavia, in genere le madri tendono a desiderare di vedere riprodotte nei figli le proprie caratteristiche, e poiché le madri lesbiche si vedono come meno caratterizzate in senso femminile rispetto alle madri eterosessuali, potrebbero desiderare dalla figlia gli stessi tratti che riconoscono in se stesse. Ugualmente, sono meno preoccupate delle madri eterosessuali riguardo al fatto che i figli si impegnino in attività appropriate secondo il genere. Nella ricerca di Hoeffer (1981), ad esempio, si rileva come le madri lesbiche, a differenza di quelle eterosessuali, non abbiano interesse nel fatto che i loro figli si impegnino in attività “maschili” e le figlie in attività “femminili”. Pratiche genitoriali I numerosi risultati relativi alle abilità genitoriali e all’allevamento dei figli evidenziano queste differenze: 1) le comadri (le “madri sociali” lesbiche in Brewaeys et al. 1997) presentano abilità genitoriali e impegno verso i figli molto superiori a quelle dei padri; 2) la coppia lesbica ha un livello molto più alto di sincronicità nell’esercitare la genitorialità rispetto alle coppie eterosessuali: la madre e la comadre manifestano una totale identità di vedute riguardo al comportamento e alla vita emotiva dei figli, a differenza delle coppie eterosessuali. In tutti gli aspetti, le madri sociali interagiscono con i bambini, li accudiscono, li seguono negli studi in modo significativamente superiore rispetto non solo agli eterosessuali divenuti padri tramite fecondazione eterologa, ma anche ai padri biologici nelle coppie eterosessuali. Le competenze delle partner lesbiche come madri sono quindi particolarmente alte. I figli di madri lesbiche dichiarano di sentirsi in grado di discutere il loro sviluppo sessuale con la madre e la sua partner in misura molto maggiore di quelli di coppie eterosessuali,. Stacey e Biblarz ritengono (con Brewaeys et al. 1997, Chan et al. 1998, Flaks et al. 1995) che questi punti di forza esibiti dalle comadri abbiano più a che fare con il genere, con l’essere donna, che con l’orientamento sessuale: probabilmente il fattore discriminante per le abilità nell’allevare i bambini e per la sincronicità nella valutazione dei figli. La ricerca suggerisce che in media le madri tendono a un maggiore investimento nella cura dei figli rispetto ai padri, e siano più adatte alle attività di cura cruciali per il loro sviluppo cognitivo, emotivo e sociale (Furstenberg e Cherlin 1991, Simons and Associates 1996). In effetti, le donne, in ogni categoria: madri lesbiche, madri eterosessuali e 33 Si tratta di un questionario autosomministrato creato tra il 1971 e il 1974 da Sandra Bem, nell’ambito dei suoi studi sui ruoli di genere, in cui il soggetto assegna a se stesso un punteggio da uno a sette su una serie di 60 aggettivi, di cui 20 considerati desiderabili per gli uomini, 20 desiderabili per le donne e 20 neutri. La novità di questo strumento consiste nel fatto che possono risultare contemporaneamente caratteristiche sia maschili che femminili, poiché si tratta di gruppi di aggettivi separati e non in alternativa, a differenza di altri test che invece restringono le caratteristiche del soggetto ad un unico genere. 42 comadri, per ciò che riguarda la cura dei bambini, hanno tutte più o meno lo stesso punteggio, che è significativamente più alto di quello degli uomini. “Tuttavia - affermano Stacey e Biblarz - a nostro avviso queste tipologie familiari riflettono qualcosa di più di un semplice “effetto di genere”, poiché l’orientamento sessuale è la “variabile esogena” chiave per la quale genitori di sesso diverso o uguale si uniscono e costituiscono nuclei familiari. Orientamento sessuale e genere dovrebbero, perciò, essere visti in interazione tra loro, nel creare nuove tipologie di strutture e di processi, tra cui ad esempio una divisione egualitaria della cura dei figli, che comportano conseguenze affascinanti sia per tutte le relazioni all’interno della triade, sia per lo sviluppo del bambino.” Alcuni esiti suggeriscono che due donne comadri possono creare un contesto sinergico in cui la genitorialità si esprime in modo egualitario e i rapporti con i figli sono di comprensione e comunicazione. La genesi di tali strutture, concludono quindi gli autori, non può essere compresa sulla base del solo genere, né del solo orientamento sessuale. Non risultano dati significativi riguardo all’influenza dell’orientamento sessuale dei padri che non abitano con i loro figli sulla relazione con i figli stessi; pare comunque (Bigner e Jacobsen 1989, 1992) che non vi siano differenze sensibili tra genitori omosessuali ed eterosessuali; i figli di padri gay (Bozett 1987a, 1987 b, 1989) hanno in maggioranza sentimenti molto positivi nei confronti del genitore, pur temendo di essere a loro volta identificati come omosessuali dal gruppo dei pari. Benessere dei genitori Il riquadro inferiore della Tabella 2 dimostra che i dati non forniscono alcun supporto a coloro, come Wardle (1997), i quali affermano che le madri lesbiche soffrano di problemi psicologici (depressione, bassa autostima) in misura maggiore delle madri eterosessuali. Al contrario, le poche differenze evidenziate suggeriscono che le madri lesbiche in effetti presentano livelli più alti di risorse psicologiche positive. Vi sono comunque fattori etnici che possono modificare questi dati: in generale, la solidarietà etnica, ad esempio nella popolazione nera, è più forte di quella di orientamento sessuale, per cui può avvenire che le persone omosessuali di colore più difficilmente facciano coming out e quindi soffrano di più per la clandestinità, ma, al contrario, in confronto agli omosessuali bianchi possano godere di una maggiore tolleranza da parte dei genitori (Boykin 1996). Nessuna differenza preoccupante In definitiva, concludono Stacey e Biblarz, l’affermazione che non esistano differenze preoccupanti riceve un forte supporto empirico dai risultati sintetizzati nelle due tabelle. I genitori omosessuali e i loro figli non presentano differenze per ciò che concerne benessere psichico o funzioni cognitive. Il punteggio degli stili genitoriali e del livello di investimento sui figli è almeno pari a quello dei 43 genitori eterosessuali. La qualità delle relazioni non pare differenziarsi a causa dell’orientamento sessuale, ma, indirettamente, tramite il genere dei genitori. Considerando inoltre che i bambini con genitori omosessuali devono probabilmente battersi contro la stigmatizzazione sociale, la similarità dei risultati suggerisce che all’interno delle loro famiglie si metta in atto un processo di compensazione. Per quanto riguarda, invece, l’ambito delle preferenze e del comportamento sessuale, i dati non supportano l’affermazione che non esistano differenze. I figli di genitori omosessuali presentano minore conformità con gli stereotipi di genere e più apertura a esperienze omosessuali. Inoltre, l’identità sessuale e di genere fra i due genitori vengono a interagire, creando processi familiari del tutto particolari le cui conseguenze sui ragazzi devono ancora essere studiate. La discussione dei risultati delle ricerche sintetizzati nelle due tabelle portano Stacey e Biblarz a considerare come gli stessi risultati possano essere influenzati da aspetti e fattori che non sono direttamente inerenti all’orientamento sessuale. Ad esempio, a causa della stigmatizzazione sociale che colpisce le coppie omosessuali e delle difficoltà che esse incontrano nel diventare genitori, i genitori omosessuali sono solitamente più anziani, urbanizzati, con un più alto grado di istruzione e di autoconsapevolezza dei genitori eterosessuali, e ciò ha un’influenza positiva sullo sviluppo dei bambini. Si tratta di effetti di selezione ed effetti contestuali, che interagiscono con i fattori genetici e la socializzazione familiare. D’altra parte, per gli stessi motivi (stigmatizzazione e limitazioni sociali e legali) le coppie omosessuali possono presentare un tasso di separazioni più alto di quello delle coppie eterosessuali (Bell e Weinberg 1978). Inoltre, perseguire uno stile di vita ostracizzato dalla società implica spesso un investimento molto alto nell’ambito della vita emotiva, nei termini di “relazione pura” e “amore totalizzante”. Quindi l’alto tasso di separazioni potrebbe essere correlato, ma non in rapporto causale, con l’orientamento sessuale, e tale differenza potrebbe gradualmente diminuire se si concedesse a lesbiche e gay di sposarsi legalmente. In definitiva, la maggior parte delle differenze evidenziate dalle ricerche, quando non favoriscono i genitori omosessuali, sono effetti secondari del pregiudizio sociale oppure rappresentano una di quelle differenze che le società democratiche dovrebbero rispettare e proteggere. Stacey e Biblarz propongono infatti di considerare l’omofobia e le discriminazioni i soli motivi per cui l’orientamento sessuale dei genitori può avere influenza sui figli. L’unico punto su cui la differenza evidenziata non può essere attribuita allo stigma sociale è che, in effetti, i figli dei genitori omosessuali sono più aperti a relazioni omosessuali, anche se, comunque, la maggioranza di essi si identifica come eterosessuale. 44 Questo dato che – affermano Stacey e Biblarz – è certamente rischioso dal punto di vista politico, in quanto presta il fianco agli attacchi dei movimenti antigay (soprattutto riguardo alla affidamento dei figli) va comunque riconosciuto, sia per onestà intellettuale, sia perché negarlo significherebbe arrendersi all’ideologia eterosessista. D’altra parte, osservano sempre gli studiosi, se fosse il pregiudizio sociale a discriminare chi è in grado di essere genitore, a qualificarsi darebbe un numero davvero piccolo di adulti! E concludono: continuare a considerare le differenze sessuali come deficit non fa – in effetti – che incrementare le stesse situazioni di svantaggio sociale che gli studiosi si sforzano di scoprire. Seppur accademicamente pionieristica, la ricerca di Stacey e Biblarz riflette ciò che gli autori hanno da sempre sperimentato con i figli di genitori omosessuali da loro frequentati: “Trovavo molto curioso che le persone continuassero a sostenere che non ci fossero differenze, perché questa non era la mia esperienza personale nel quotidiano.” Affermazione confermata dalle esperienze dirette sul comportamento e sul carattere dei propri figli riportate da varie madri lesbiche, tra cui Aimee Gelnaw, direttrice esecutiva del Family Pride Coalition (un gruppo di sostegno per famiglie omosessuali), e Kate Kendall, direttrice esecutiva del National Center for Lesbian Rights e madre di due figli. Elizabeth O’Connor, madre lesbica e coautrice di For Lesbian Parents, non si sente affatto turbata dalla maggior parte dei risultati: “Le differenze rivelano ciò che ci si può aspettare: le nostre figlie sono molto androgine, più propense a entrare in campi tradizionalmente maschili, giocano in modo meno stereotipato per il genere, come può essere negativo tutto ciò? I maschi mostrano una tendenza simile, hanno una propensione più forte all’accudimento, e anche ciò non può essere negativo.” O’Connor non paventa il fatto che i figli di coppie omosessuali abbiano probabilità maggiori di mettere in dubbio la propria identità sessuale. “La maggior parte di essi alla fine realizza di essere eterosessuale” conclude O’Connor. “Come psicologa, penso che sia tutt’altro che negativo poter considerare tutte le possibilità prima di decidere chi si è.” Aimee Gelnaw non mette in discussione gli esiti del nuovo studio: “Penso che gli autori della ricerca abbiano rappresentato la verità. A lungo ho dubitato dell’atteggiamento difensivo con cui descriviamo le nostre differenze. I sostenitori dei diritti dei genitori omosessuali devono riconoscere che ‘differenza non è deficit’.” Kate Kendall si compiace della dimostrazione sperimentale con la quale si afferma che i figli di genitori omosessuali sono meno confinati in rigidi ruoli di genere e che non limitano la propria espressione sessuale all’eterosessualità. “Dire che c’è qualcosa di sbagliato in ciò o difendersi dicendo che non è vero, o rispondere in altri modi che non siano ‘E allora?’ implica che vi sia qualcosa di sbagliato nel fatto che un figlio, crescendo, si riveli omosessuale.” 45 Le reazioni a questi risultati originali non possono essere esclusivamente positive, ma soprattutto, come gli stessi autori temevano, c’è chi ne ha approfittato per sostenere tesi loro opposte. I ricercatori con tendenze conservatrici sostengono, ovviamente, che i genitori omosessuali non solo differiscono da quelli eterosessuali, ma sono ad essi inferiori, e che perciò non dovrebbe essere loro permesso di allevare figli. Molti di questi critici si appellano alla tradizione, dominante in ambito teorico, secondo la quale l’ambiente migliore per i figli è un focolare composto da due genitori: un padre e una madre. Nonostante fosse consapevole di tale possibilità, Stacey ha deciso di pubblicare la sua ricerca. Dopo essersi consultata con una rappresentante del National Center for Lesbian Rights ha compreso che: “è tempo di essere quanto più rigorosamente onesti si può essere su qualunque risultato si ottenga.” Kendall assolve Stacey dalle possibili accuse di aver dato un’arma agli oppositori, considerando che purtroppo questi continueranno a ostacolare le famiglie omoparentali comunque, a prescindere da una particolare nuova ricerca (O’Briant 2001). 46 Cap. 3) Stato e famiglia Come si forma una famiglia pubblicamente riconosciuta come tale? Il potere di stabilire le norme che tribunali e forza pubblica obbligheranno a rispettare, spetta all’apparato statale: è lo Stato a tracciare i confini, ad enumerare i diritti e i doveri reciproci, i modi di fondazione e di scioglimento di quel gruppo umano che chiamiamo famiglia legittima, descritta nel diritto di famiglia e a cui si fa riferimento in numerosissime altre leggi di carattere sia civile che penale. I vincoli riconosciuti sono tre: il sangue, il matrimonio, l’adozione. Tutte queste strade nel nostro paese sono sbarrate agli omosessuali: le gaie famiglie possono avere un vincolo di sangue solo con un componente della coppia, non con il genitore sociale; il matrimonio è precluso alle persone dello stesso sesso, l’adozione, che rimane in molte parti del mondo l’istituto giuridico che può essere meglio utilizzato per arrivare a un riconoscimento della famiglia, e a volte anche a una sua formazione (“adozione come secondo genitore”), in Italia è riservata ai coniugi. E non esiste ancora il quarto modo, che sta prendendo forma nei codici di alcuni paesi occidentali: la “responsabilità genitoriale”, un istituto giuridico che affianca la potestà genitoriale come sua versione in minore: l’adulto che convive con il genitore biologico legalmente riconosciuto ne assume gli stessi diritti e doveri nei confronti dei minori conviventi, in un rapporto che cessa al compimento della maggiore età. La “responsabilità genitoriale” è stata inizialmente pensata per le famiglie ricostituite, in cui dopo un divorzio subentra un “terzo genitore”, ed è parso naturale estenderlo alle famiglie omosessuali in quei paesi dove le coppie omosessuali hanno già avuto un pubblico riconoscimento. Lo Stato sta quindi ora cercando soluzioni nuove a problemi che non si erano posti fino a tempi recenti, data la repressione dell’omosessualità nel mondo occidentale – repressione che poteva non riguardare i singoli atti, ma che sicuramente ha riguardato l’omosessualità come stile di vita. La rilevanza sociale che le famiglie omosessuali hanno oggigiorno è infatti inedita nella storia dell’occidente cristiano – e anche tra gli altri popoli ormai viene fatta sembrare tale: la morale cristiana o pezzi di essa hanno fatto breccia tra le popolazioni più diverse valendosi del braccio secolare delle leggi coloniali così come dei prodotti culturali occidentali che veicolano l’obbligo sociale dell’eterosessualità e del matrimonio. La famiglia coniugale è presa a modello e l’omosessualità rappresentata come schifosa e degradante, cancellando i costumi sessuali tradizionali persino di africani, indiani, cinesi (Baird 2003) che avevano al contrario un’accettazione e a volte anche davano una valutazione sociale positiva delle relazioni omosessuali, come il matrimonio tra donne in Kenya, tra gli Azande e presso altri popoli africani, il fatto che alcuni templi indiani (Konark, Khajuraho e altri) fossero decorati con immagini di accoppiamenti anche tra uomini e tra donne, l’esistenza di comunità solo femminili nello Guangdon cinese (per i riferimenti 47 bibliografici vedi Blackwood e Wieringa 2003). La possibilità di vivere la propria esistenza con relazioni sentimentali e sessuali esclusivamente con il proprio sesso era invece preclusa dalle leggi in Occidente (ma anche in molte altre parti del mondo), vituperata nelle omelie, repressa con i roghi. Come poteva porsi la questione delle famiglie “omogenitoriali”? Le famiglie con uno o entrambi i genitori omosessuali però esistevano: si trattava delle famiglie “di copertura”. Gay e lesbiche diventavano padri e madri: è stata una costante nella storia: nella ricerca di Hirschfeld (vedi oltre) su un campione di 500 omosessuali il 16% risultava sposato (molti dicevano che l’avevano fatto su consiglio del medico): 83 matrimoni in cui erano nati 112 bambini34. Non mancano gli esempi celebri: Oscar Wilde, la figura emblematica dell’omosessualità maschile vittoriana e del suo pubblico calvario, era sposato a Constante Mary Lloyd da cui aveva avuto due figli; Vita Sackville West, che fu innamorata e amante di Virginia Woolf, e suo marito il diplomatico Harold Nicholson, che si legò sentimentalmente con altri uomini, ebbero insieme due figli (Nicholson 1974). Si amavano e si comprendevano, e avevano bisogno di un coniuge. Vite gay e procreazione non erano in antitesi, in un’epoca in cui l’avere figli era considerato destino comune e inevitabile, e il movimento per la diffusione delle pratiche anticoncezionali perché la procreazione fosse voluta e responsabile muoveva appena i primi passi, represso dagli apparati dello Stato e della Chiesa. All’inizio del Novecento Magnus Hirschfeld, scienziato e pioniere dei diritti degli omosessuali scrisse un volume di ricerca facendo riferimento alle migliaia di casi di omosessualità di cui era a conoscenza, condizione che stimava riguardare il 2,2% della popolazione. Indirizzò quindi un appello all’opinione pubblica perché comprendesse che gli omosessuali non devono essere forzati a sposarsi: ne sarebbe derivata l’infelicità loro e delle famiglie che avrebbero invariabilmente fondato (Hirschfeld 1914). Nel passaggio da società contadine a società urbane gli spazi dell’esistenza apertamente omosessuale si sono gradualmente allargati. Gli omosessuali e le lesbiche hanno partecipato ai rivolgimenti culturali del Sessantotto e, a differenza degli altri soggetti collettivi di quei movimenti, non hanno cessato di crescere. Crescono numericamente: sempre più persone vengono allo scoperto dichiarandosi lesbiche o omosessuali, e crescono anche “spazialmente”, ovvero si rendono più visibili nella sfera pubblica, scendendo nelle strade a manifestare o semplicemente mostrandosi affettuosi con il partner, frequentando locali e spazi pubblici notoriamente o dichiaratamente omosessuali, entrando in quanto omosessuali nei luoghi della politica, dalle sedi locali dei partiti ai parlamenti, e persino, come accade a Berlino e in molte altre città, mettendo alle proprie finestre bandiere arcobaleno in segno di fierezza. 34 Altre ragioni addotte per l’essersi sposati erano: la speranza di potersi liberare delle passioni omosessuali, l’inconsapevolezza di esse, l’essere stati persuasi, il desiderio dei genitori, voler mettere fine alle chiacchiere di parenti e conoscenti, avere una casa, la dote, o per ragioni di lavoro (Hirschfeld 1914, 88). 48 Non stiamo dicendo che le pratiche omosessuali siano cresciute: anzi è vero che la società urbana pone tabù più forti sulla sessualità tra maschi di quanto non accadesse nell’Italia ottocentesca, meta di viaggi per gay di tutta l’Europa del Nord: il mondo che Pasolini vedeva scomparire con rimpianto era effettivamente un mondo di relazioni sessuali tra uomini estremamente facili, fondate com’erano su una rigida divisione di ruoli sessuali e che però continuavano ad essere stigmatizzanti per colui che le viveva come partner passivo. E inoltre tutto ciò avveniva di nascosto, in un mondo che prevedeva la vita in comune di un uomo e di una donna, e l’obbligo sociale della procreazione. E se in civiltà non cristiane l’omosessualità non era repressa, raramente questo prevedeva la possibilità di vivere una vita secondo le proprie inclinazioni individuali, soprattutto per le donne. Invece l’individualismo occidentale della civiltà urbana ha portato, insieme allo sgretolamento della coesione sociale, la possibilità di espressione di inclinazioni e scelte personali, cosa che si sta lentamente iscrivendo nel diritto, forse anche perché il riconoscimento delle coppie porta con sé una responsabilità economica reciproca per il benessere del partner, fonte di risparmio per il welfare state. Vediamo ora più organicamente quali cambiamenti sono avvenuti nei diversi paesi che hanno dato tale pubblico riconoscimento alla gaia famiglia35. Matrimoni Da molto tempo ormai il matrimonio non significa più procreazione, eppure Stato e Chiesa continuano a fingere che questo istituto giuridico non possa essere aperto anche alle coppie omosessuali dal momento che sarebbe appunto “finalizzato alla procreazione”. Ironia del pregiudizio, il matrimonio non viene concesso alle lesbiche, benché siano in grado di procreare36. Nelle “Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali” della Congregazione per la dottrina della fede (2003) si ribadisce la condanna del sesso omosessuale perché non “aperto alla procreazione”: il sesso, ribadisce il Vaticano, anche nel Ventunesimo secolo può avvenire solo nel matrimonio per produrre bambini. Sorprendentemente la Spagna – che credevamo tanto devotamente cattolica quanto l’Italia, se non di più – è diventata il paese di riferimento per i cambiamenti in positivo della condizione omosessuale: con il matrimonio la legittimazione dei figli nati dopo l’istituzionalizzazione della coppia e la possibilità di fare domanda di adozione saranno una realtà (a meno di capriole giuridiche 35 Dove non altrimenti specificato questo capitolo è basato sulle informazioni raccolte dall' International Lesbian and Gay Association (ILGA) e pubblicate sul web: www.ilga.org con l’indicazione delle fonti primarie. Molto utile è anche Logue (2001). 36 Non si obietti che la compagna della madre biologica non può, ovviamente, essere il padre dei figli di questa: in caso di procreazione tramite inseminazione assistita (nonché di adulterio) nemmeno il coniuge maschio è il padre biologico della prole. Infatti il matrimonio vi è presunzione di paternità, e non dimostrazione. 49 inserite all’ultimo minuto: al momento in cui scriviamo il matrimonio omosessuale rimane ancora un progetto di legge). Il capo del governo socialista Zapatero non ha fatto altro che prendere atto del clima sociale: secondo un sondaggio di El pais il 61,6% degli spagnoli è favorevole al matrimonio omosessuale, cifra che coincide con i rilevamenti della Gallup secondo i quali il matrimonio omosessuale nel 2003 era approvato dal 61,2% degli spagnoli, contrari il 20,8%, il resto indeciso. Il 54,1% era favorevole anche all’adozione da parte di omosessuali. Il partito popolare ha ribadito la propria opposizione al matrimonio gay e alle adozioni, mentre è disponibile a concedere agli omosessuali conviventi gli stessi diritti delle coppie di fatto. Naturalmente anche i vescovi spagnoli, come i francesi, i tedeschi, ecc., hanno ribadito la loro contrarietà a ogni forma di riconoscimento delle coppie omosessuali mano a mano che venivano istituite forme di riconoscimento comunque separate dal matrimonio. In Germania si sono invece avute posizioni variegate da parte delle diverse anime del protestantesimo, mentre in Danimarca la Chiesa luterana di Stato ha accettato se non di celebrare le unioni di gay e lesbiche almeno di benedirle. Altri due paesi hanno preceduto la Spagna aprendo il matrimonio alle coppie dello stesso sesso: l’Olanda dall’aprile 2001 (3.500 coppie di uomini e 3.100 di donne fino alla fine del 2003) e il Belgio dal giugno 2003 (nei primi dodici mesi si sono sposate 300 coppie). In questo paese però dalla versione gay delle nozze sono state cancellate tutte le norme relative alla filiazione. In Canada sei delle dieci province (Ontario, Columbia Britannica, Quebec, Yukon, Manitoba e Nuova Scozia) oggi prevedono il matrimonio omosessuale sulla base di sentenze delle Corti supreme (federale e provinciali)37 che hanno dichiarato anticostituzionale la discriminazione in base al sesso: sposarsi è un diritto (menzionato anche nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo dell’Onu) di due individui, che devono potersi scegliere senza che lo stato limiti la loro facoltà di sposarsi solo a una persona del sesso opposto. La prima provincia ad aprire questa possibilità è stata l’Ontario nel giugno 2003, e da allora i matrimoni sono stati centinaia, tra cui anche molti di statunitensi che sperano in un riconoscimento dell’unione anche in patria.38 Il ministro della Giustizia tedesco Brigitte Zypries (SPD) ha depositato una proposta di legge per aprire alle coppie dello stesso sesso il matrimonio con quasi tutte le sue prerogative (tranne, al 37 Una delle più importanti sentenze è stata quella della Corte suprema del Canada nel caso M. v H. & Ontario: la definizione di “coniuge”, che già era stata estesa alle unioni eterosessuali di fatto, avrebbe dovuto essere applicata anche alle unioni di fatto omosessuali sulla base della Carta dei diritti e delle libertà approvata nel 1982. Il parere del giudice Cory J. è stato questo: “Il significato sociale dei benefici conferiti dalla legge non può essere sminuito. L’esclusione dei partner dello stesso sesso dai benefici dell’art. 29 del diritto di famiglia promuove l’idea che M., e le persone che hanno relazioni omosessuali, siano meno degne di riconoscimento e protezione. Implica che, in relazione a coppie di sesso opposto, siano giudicate come incapaci di formare relazioni intime di interdipendenza economica senza guardare ciò che effettivamente fanno. Come ha fatto notare in aula Egale (organizzazione per i diritti gay), tale esclusione perpetua gli svantaggi sofferti dagli individui nelle relazioni omosessuali e contribuisce alla cancellazione della loro esistenza” (Wintemute e Adenas 2004, 211). 38 Cosa impedita in 11 stati tra i più conservatori dai referendum che si sono svolti contemporaneamente alle elezioni presidenziali Usa nel novembre 2004. 50 solito, l’adozione di bambini che non siano nati nella coppia, come vedremo nel paragrafo successivo). Nel nostro paese vi sono precedenti legali di richiesta ai comuni da parte di coppie dello stesso sesso delle pubblicazioni per contrarre matrimonio: al comune di Roma ne venne presentata una nel 1980, che fu respinta dando avvio a un ricorso legale, nel quale si rilevava che le norme italiane non indicano la diversità di sesso tra i requisiti essenziali del matrimonio (si parla infatti di persone), e che il rifiuto ledeva la Costituzione, limitando il diritto alle libertà di espressione, di pensiero e sessuale. Questo ricorso venne respinto, perché secondo il tribunale il requisito della diversità di sesso si può dedurre da altre norme (D’Angeli 2003). Nonostante ciò, altre coppie sono tornate “all’attacco”, come la coppia di Latina che ha richiesto la convalida del matrimonio contratto a L’Aja nel 2002, che si sono sentiti rispondere dal Comune che il loro matrimonio era contrario all’ordine pubblico (Ansa del 22.10.04). Il Parlamento europeo nell’ambito della relazione annuale sullo stato dei diritti umani nella UE (gennaio 2003) ha nuovamente chiesto agli stati che non l’abbiano già fatto di legalizzare le relazioni di coppia anche tra persone dello stesso sesso, con gli stessi diritti riconosciuti al matrimonio: il Parlamento, nonostante il suo nome, non ha nell’UE alcun potere legislativo e può solo formulare richieste alla Commissione o ai governi (in questo caso ai governi perché la Commissione non ha potere in materia di diritto di famiglia). Favorevoli sono stati i gruppi parlamentari delle sinistre e i liberali, contrari le destre e i popolari. È stato invece bocciato (279 voti contrari, 259 a favore) l’articolo che invitava i paesi comunitari a “consentire il matrimonio tra persone dello stesso sesso”: molti del gruppo liberale hanno votato contro, con un passo indietro rispetto alla famosa risoluzione dell' 8 febbraio 1994 sulla parità di diritti per gli omosessuali (A30028/94). Le posizioni del Parlamento Europeo hanno una buona eco nell’opinione pubblica, secondo un sondaggio che la Gallup ha realizzato nel gennaio 2003 in 30 paesi europei, su un campione di circa 15.000 residenti a partire dai 15 anni di età. Le due domande del sondaggio affrontavano di petto proprio le controverse questioni del matrimonio e dell’adozione: “Siete d’accordo con l’autorizzazione ai matrimoni omosessuali in tutta Europa?” e “Siete d’accordo con l’adozione da parte di coppie gay in Europa?” (Gallup 2003). Il matrimonio omosessuale è stato approvato dal 53% di tutti i paesi dell’attuale Unione Europea (57% nell’Unione a 15), e in Italia ben dal 47% degli intervistati, posizione che non è lontana dal raggiungere la maggioranza assoluta, considerato anche che i più giovani si dichiarano più facilmente favorevoli. Il consenso a questi riconoscimenti giuridici è più grande inoltre tra le donne, tra i più istruiti e tra i non credenti. Cristiani e musulmani sono un po’ meno favorevoli, ma non di molto: per quanto riguarda il matrimonio le cifre dei 51 favorevoli in questi due gruppi sono rispettivamente del 53 e del 54%, sempre nei paesi dell’Unione a quindici. Lo scetticismo è maggiore sulle adozioni, approvate comunque dal 42% del campione dell’UE a quindici39, dato che scende al 38% per tutti i paesi dell’Unione del 2004, e che non rappresenta un risultato disprezzabile, dato che la formulazione “neutra” della domanda fa associare ai più alla parola “omosessuale” solo un’identità maschile, il sesso che notoriamente non si occupa dei bambini. Per quanto riguarda i singoli paesi, lo spettro va dal 64% dell’Olanda al 10% della Polonia e al 6% di Cipro. L’Italia si trova nella parte più bassa della scala di “gradimento” delle adozioni ad omosessuali con il 25% di favorevoli e il 50% di assolutamente sfavorevoli. L’approvazione delle gaie famiglie crolla drasticamente nei 13 paesi che allora erano ancora “candidati” all’Unione: solo il 23% è favorevole al matrimonio e il 17% all’adozione. Adozioni Come abbiamo fatto notare in precedenza, le richieste principali che le gaie famiglie fanno agli stati sono l’avere una legittimazione delle proprie situazioni di fatto piuttosto che poterne creare di nuove con l’adozione di bambini abbandonati, anche se è vero che molti omosessuali preferiscono questa opzione alla procreazione diretta, ritenendo più giusto prendersi cura di bambini già esistenti e in stato di bisogno che non mettere al mondo una nuova vita. Tuttavia nel dibattito pubblico è quest’ultimo tema ad aver raggiunto per primo la ribalta. E dunque vediamo in quali luoghi la facoltà di adottare da parte di gay e lesbiche è diventata realtà. Tra i paesi dove ci si può sposare, l’Olanda, il Belgio, e le province canadesi sopra ricordate consentono di condividere la potestà di figli nati nella coppia; per la Spagna la legge è, al momento in cui scriviamo, ancora allo stato di prima stesura, ma le intenzioni del governo sono di non porre limitazioni: la vicepresidente del governo Zapatero, María Teresa Fernández de la Vega, ha affermato che ' ' non ci sono prove che dimostrino che i genitori omosessuali siano peggiori degli altri nell' educazione dei figli' '(Adnkronos, 1.10.04). L’unica limitazione alle facoltà conferite dal matrimonio in Olanda è l’adozione di bambini provenienti dall’estero, per non pregiudicare il rapporto con gli stati da cui provengono i bambini. Queste prerogative di comune potestà sui figli nati dopo la formazione della coppia non sono limitate agli stati che ammettono il matrimonio omosessuale, ma si trovano anche in alcuni di quelli che prevedono la “registrazione della coppia”, la forma di riconoscimento presente in Scandinavia che presenta alcune limitazioni rispetto al matrimonio, essenzialmente la forma solo civile e spesso appunto l’impossibilità di condividere la potestà genitoriale. In Danimarca invece la “Legge sul 39 Un dato curioso è che i musulmani che approvano l’adozione sono il 36%, nonostante il fatto che questo istituto non sia ufficialmente ammesso dall’islamismo. 52 miglioramento della registrazione delle coppie” approvata nel 1999, dieci anni dopo l' atto iniziale, che fu il primo al mondo a riconoscere pubblicamente le coppie dello stesso sesso, ha stabilito che i due partner insieme possano richiedere l’adozione o l’affidamento congiunto di minori e che un partner in una coppia registrata possa adottare i figli dell’altro (tranne nel caso in cui il bambino/a sia adottato da una nazione straniera). Gli stessi sviluppi si sono avuti in Svezia: dal 2002 è consentito alle coppie omosessuali registrate di adottare minori ed anche gli eventuali figli di uno dei partner avuti da un’unione precedente. Anche in una regione spagnola, la Navarra, nel luglio 2000 una sentenza aveva previsto la condivisione della potestà genitoriale da parte di una coppia lesbica40, e la stessa cosa in ambito extraeuropeo avviene in New Jersey, Vermont e Connecticut (per decisioni giudiziarie di varia datazione), e nel Quebec dal giugno 2002 (prima che il matrimonio gay venisse autorizzato). In Germania è stata concessa dal 1° gennaio 2005 la possibilità di adozione come secondo genitore al partner di una coppia registrata. L’adozione come secondo genitore è una facoltà piuttosto diversa dall’adozione di minori in stato di abbandono, ma viene chiamata con lo stesso nome dal momento che il procedimento giudiziario per la dichiarazione della compagna della madre come “secondo genitore” ufficiale avviene con le stesse modalità di un’adozione (giudizio di idoneità e attribuzione del titolo di genitore adottivo da parte di un tribunale): è una realtà per coppie dello stesso sesso anche non sposate in una ventina degli stati degli USA41 e in metà delle province del Canada. I benefici per il figlio/a, al di là della garanzia che non verranno separati dal secondo genitore in caso di morte del primo genitore o di separazione dei due, sono la copertura dell’assistenza sanitaria e di altre assicurazioni sottoscritte anche del secondo genitore, il godere della sicurezza sociale in caso di morte del secondo genitore e del risarcimento assicurativo per morte o disabilità causata da altri. In caso di emergenza il secondo genitore può prendere decisioni di tipo medico. L’Accademia americana di cui sono membri 55.000 pediatri nel febbraio 2002 si è espressa a favore dell’istituto dell’adozione come secondo genitore, perché tutela il diritto del bambino/a a mantenere la relazione con tutti e i due genitori. In Francia alla pretura di Parigi il 27 giugno 2001 una donna ha adottato le tre figlie ancora minorenni della sua compagna, con la quale aveva vissuto per più di 20 anni (Adolff 2002). Le figlie portano ora il nome di tutte e due le genitrici, però la madre biologica è stata privata dell’autorità genitoriale, conferita alla seconda madre sociale. Questo caso non ha costituito un precedente, perché il tribunale di Colmar proprio il 28 giugno 2000 (giorno del Gay Pride, della 40 Era stato previsto anche che le coppie di fatto registrate dei paesi baschi potessero fare domanda di adozione dei figli dell’altro, ma il precedente governo spagnolo aveva opposto ricorso, volendo mantenere questa prerogativa riservata agli sposi eterosessuali. Ora il ricorso è stato ritirato da Zapatero. 41 Pioniera è stata l’Alaska nel 1985, mentre ora in aree come la Baia di San Francisco le adozioni come secondo genitore si contano a migliaia. La genitorialità per coppie dello stesso sesso è stata conferita dalle corti supreme di cinque stati e del distretto di Columbia, da giudici di prima istanza in altri quindici stati e dall’azione parlamentare o dell' esecutivo in tre stati (Vermont, New Jersey e Connecticut). 53 fierezza gay!) ha invece rifiutato di accordare l’adozione perché non è nell’interesse del bambino – che era tra le parti autrici della domanda – avere due madri. L’adozione comunemente intesa è già una realtà per i single omosessuali, la stessa Convenzione internazionale sull’adozione approvata a Strasburgo nel 1967 prevede che questo istituto, destinato ad aiutare i bambini privi di famiglia, non sia limitato alle coppie sposate, ma aperto anche ai single, se rispondenti a requisiti di affidabilità, perché l' adozione va intesa come una soluzione per bambini in stato di bisogno, benchè sia preferibile che i genitori siano più di uno, anche a fini pratici di condivisione della fatica di crescere un figlio/a. Negli Stati Uniti le adozioni ai gay singoli avvengono in 49 stati e sono numerosissime, e da questa esperienza sono state tratte conseguenze assolutamente positive. L’associazione degli psicoanalisti americani (e gli psicanalisti, almeno in Italia, sono tra le categorie più ancorate all’idea del “bisogno del padre”42) nel maggio 2002 ha adottato una posizione sull’adozione che riportiamo integralmente: “Le prove accumulate suggeriscono che il migliore interesse del bambino/a richiede un attaccamento a genitori devoti, bravi, e competenti educatori. La valutazione di queste qualità genitoriali in un individuo o in una coppia dovrebbe avvenire senza pregiudizi riguardo all’orientamento sessuale. Gli individui e le coppie gay e lesbiche sono capaci di soddisfare l’interesse del bambino/a: dovrebbero ottenere gli stessi diritti e poter accettare le stesse responsabilità dei genitori eterosessuali”.43 Anche in Brasile nel 1999 la Corte di giustizia di Rio ha permesso che un bambino di 9 anni venisse adottato da un insegnante gay, trovando che la discriminazione che inizialmente era stata fatta a causa della sessualità del richiedente fosse assurda e offendesse i principi costituzionali, i diritti umani e i diritti dei bambini (Turra 2004, 344). Un altro paese cui guardare con interesse dal punto di vista giuridico è il Sudafrica, che riconosce la possibilità di adozione per gli omosessuali. La fine dell’apartheid e l’avvento di un governo guidato dall’ANC non hanno risolto i problemi della povertà della maggior parte della popolazione nera, e i 42 Una recentissima ricerca di Margherita Graglia sugli psicoterapeuti italiani mostra che: “La maggior parte degli psicoterapeuti da me intervistati tuttavia vede nell’eterosessualità la norma o l’opzione superiore, nel senso di meta naturale dello sviluppo psicosessuale. La concezione dell’orientamento omosessuale come effetto di un’eterosessualità fallita è un’ipotesi che raccoglie consensi, non solo nelle fila freudiane. Qui numerose e diversificate sono le interpretazioni sull’omosessualità, la più citata delle quali è quella eziologica del “blocco evolutivo” di freudiana memoria. Questo concetto assume accezioni dissimili e poco sovrapponibili: da un lato viene inteso come prova di una determinante patologica, e quindi l’orientamento omosessuale per alcuni si avvicina alla patologia, dall’altro gli stessi terapeuti che ritengono l’orientamento omosessuale una disposizione erotica naturale se ne servono. Gli psicoterapeuti che condividono questa rappresentazione “né patologia, né naturalità” tendono a manifestare una certa ambivalenza verso i gay e le lesbiche, considerandoli da un lato pari agli eterosessuali e dall’altro esprimendo giudizi negativi su alcune questioni (l’autoetichettamento, il coming out, la maternità lesbica)” (intervista a Graglia in Colosio 2004). 43 Un articolo sullo sviluppo morale dei figli di lesbiche a confronto con figli di genitori eterosessuali che non ha trovato significative differenze è apparso in Gender & Psychoanalysis. (Drexler 2001) mentre in Psychoanalytic Psychology è apparso un articolo che affronta direttamente le grandi questioni dell’Edipo, proponendo una teoria che riconosca la non necessità di relazionarsi a genitori di due sessi (Heineman 2004). 54 gay fungono ancora da capro espiatorio sociale. Ma nonostante discriminazione e pregiudizi diffusi contro gli omosessuali, il Sudafrica ha iscritto nella nuova costituzione del 1996 i pari diritti per gli omosessuali con un articolo che proibisce esplicitamente la discriminazione in base all' orientamento sessuale. Il Sudafrica è uno dei paesi dove "single" che vivono apertamente in una relazione di coppia omosessuale hanno adottato dei bambini, cresciuti poi dalla coppia. Il primo caso, in cui la richiedente era una donna lesbica, venne approvato nel 1995 dall' Agenzia per il benessere del bambino/a di Johannesburg. Sono misure d’avanguardia in un luogo in cui la maternità delle donne lesbiche nere è ancora un obbligo sociale, e serve a mascherare le proprie reali scelte di vita44. Il vescovo anglicano Desmond Tutu ha dichiarato che la fine della discriminazione contro gay e lesbiche è il prossimo traguardo morale dell’umanità. Altri casi di adozione da parte di single sono avvenuti in Gran Bretagna, in Australia (Nuovo Galles del Sud), e in Canada (Columbia Britannica, Ontario, Alberta). Inoltre nell' Alberta il giudizio finale nei confronti delle partner di due madri lesbiche è stato che possono adottare i figli che hanno voluto insieme alle madri biologiche e che hanno contribuito fin dalla nascita ad allevare. La corte ha dichiarato che entrambe le adozioni erano nell' interesse dei figli, e ha condannato il governo dell' Alberta, che ripetutamente aveva fatto ricorso contro l' adozione, a pagare i più di 300.000 dollari di spese legali di questa lunghissima disputa. In Ontario un tribunale ha messo nero su bianco che: "Non ci sono prove che le famiglie con genitori eterosessuali siano maggiormente in grado di soddisfare i bisogni psicologici, emotivi o intellettuali dei bambini di quanto non lo siano famiglie con genitori omosessuali. Se si riflette sull' incessante teoria di bambini trascurati, abbandonati e abusati che quotidianamente compaiono davanti ai nostri tribunali per chiedere protezione, tutti provenienti dalle cure di genitori eterosessuali in una struttura famigliare "tradizionale", è nient’altro che ridicolo suggerire che mai potrebbe essere nel migliore interesse di questi bambini venir cresciuti da genitori amorevoli, protettivi e responsabili, che forse potrebbero anche essere lesbiche o gay". In Gran Bretagna le linee guida sull’adozione, come in molti altri ambiti, non sono nazionali e la policy delle diverse agenzie locali può essere più o meno aperta nei confronti di gay e lesbiche dichiarati, sia single che in coppia. Comunque è degno di menzione il fatto che i tribunali abbiano cessato la routine di sottoporre gli omosessuali dichiarati a una apposita perizia psichiatrica. E, parlando invece di affido temporaneo, nel luglio 1999 la Società dei Bambini, un' organizzazione caritatevole vicina alla Chiesa d' Inghilterra, ha cessato di bandire gay e lesbiche dall' affido temporaneo di bambini in difficoltà nelle famiglie di origine, adattando la propria posizione agli sviluppi legali che hanno reso possibile l' affido a omosessuali dichiarati. Lo spirito del tempo che 44 Cheryl-Ann Potgieter: “Motherhood and the Construction of Black Lesbian Identity: Some South African Stories, Motherhood and Female Subjectivity”, relazione presentata al convegno Women’s world 99, Tromsø 21.6.1999. 55 cambia è sottolineato da colei che nel Regno Unito è riconosciuta come la giudice più esperta di questioni di famiglia, Elizabeth Butler-Sloss, 66 anni, che ha dichiarato: “Quando cominciai la mia carriera ero incerta e dubbiosa sull’equilibrio dei bambini che vivono in famiglie con due genitori dello stesso sesso. Ma con gli anni la ricerca ha mostrato che per alcuni bambini questo risulta essere il meglio possiamo offrirgli”, dal momento che “bambini diversi hanno bisogno di genitori diversi”. Negli Stati Uniti sia l’Associazione degli psicologi americani che l’Associazione nazionale degli assistenti sociali approvano l’affido a omosessuali. Una coppia gay dell’Iowa è stata premiata come “genitori affidatari dell' anno” dall' Associazione statale dei genitori affidatari e adottivi: erano stati segnalati dal diciassettenne che avevano in affidamento, e nei 7 anni precedenti avevano seguito altri 13 ragazzi, uno dei quali è stato da loro adottato. Anche in Italia è possibile avere bambini in affido temporaneo, dato che la normativa non restringe l’istituto alla coppia coniugata. Invece l’adozione risulta impossibile: benché l’Italia abbia ratificato la convenzione di Strasburgo del 1967 che prevede l’adozione ai singoli, il suo recepimento (è valida la “Disciplina dell’adozione e dell’affidamento”, legge 184/83) non ha menzionato altri che le coppie coniugate. A partire dal principio della convenzione, per cui l’adozione è finalizzata ad assicurare la più conveniente forma di assistenza ai minori abbandonati, garantendo nell’esclusivo interesse del bambino/a il suo inserimento in un ambiente familiare stabile ed armonioso, l’interpretazione del legislatore e dei tribunali italiani è stata – nelle parole di una giurista – che solo “il vincolo matrimoniale garantisce stabilità, certezza, reciprocità e corrispettività dei diritti e dei doveri del nucleo in cui il minore sarà accolto” (D’Angeli 2003, 22): una vera e propria petizione di principio dal momento che il matrimonio è negato alle coppie dello stesso sesso. Il presidente di Telefono azzurro, Ernesto Caffo, ha sottolineato quali sono i veri fattori di rischio nei confronti dei bambini che crescono con una coppia dello stesso sesso, fattori che possono essere presenti o assenti: “isolamento sociale, mancanza di un coming out con i figli, negazione della realtà nel proprio orientamento sessuale e i problemi psicolosciali dei genitori derivanti da forme di discriminazione, omofobia e non riconoscimento dei diritti/doveri di entrambe le figure genitoriali” (Caffo 2005). Responsabilità genitoriale Dove sono state inventate forme giuridiche nuove per le coppie omosessuali (coppia registrata o parternariato – riservati ai gay – oppure patto civile di solidarietà – per gay, etero e convivenze di solidarietà), non necessariamente questo progresso è andato di pari passo con un riconoscimento delle loro famiglie. È stata invece importante, come abbiamo anticipato nella parte introduttiva di questo capitolo, l’invenzione di una forma “in minore” della potestà genitoriale, chiamata 56 “responsabilità genitoriale”, che può essere condivisa da una coppia che abbia con sé minori conviventi, e questo anche se la potestà viene mantenuta dall’altro genitore, divorziato e quindi non più convivente. Come l’adozione, la responsabilità genitoriale si ottiene sulla base di una sentenza di tribunale. La responsabilità (detta anche autorità) genitoriale esiste in Gran Bretagna, Canada, Olanda, Inghilterra e Galles, Francia, Germania e in tutti i paesi del Nord Europa: dall’Islanda alla Danimarca. In Gran Bretagna la Legge sui bambini del 1989 permette di chiedere al tribunale che si occupa dei minori un "ordine di residenza congiunta" che riconosca la famiglia di fatto, in cui può comparire ogni adulto che sia “significativo" nella vita dei bambini. Simile il caso della Francia, dove la legge che nel 2002 ha istituito l’autorità genitoriale ha dichiarato che questa può essere condivisa e non deve necessariamente essere trasferita a terzi: padre e madre possono delegare altri a ricoprire questa figura che assume profilo legale. Un giudice deve comunque approvare la loro scelta. L’Islanda, dove la condivisione della responsabilità genitoriale era già normale per famiglie ricostituite, è stato il primo paese a prevederla formalmente anche per le coppie omosessuali, quando ne ha introdotto nel 1996 la registrazione. Invece in Francia entrare in un Pacs (patto civile di solidarietà), cosa possibile dal novembre 1999 non solo a coppie etero e omosessuali ma anche a due persone che si sostengono materialmente e moralmente, risulta essere uno svantaggio per chi chiede l’adozione come singolo, perché rende visibile la possibile omosessualità, ancora giudicata un handicap per un possibile genitore adottivo. Nei Paesi Bassi, dove l’istituto della responsabilità genitoriale è stato introdotto nel 1998, vi è una sorta di automatismo nel conferirla quando i figli nascono in una coppia di due lesbiche se il padre non compare nell’atto di nascita. Anche in Germania se un genitore entra in un “parternariato”, il compagno assume automaticamente facoltà di decisione comune sulle condizioni di vita del bimbo, e può sostituirsi al genitore in caso di rischio di ritardare una decisione urgente. Il partner può inoltre porre in essere tutte quelle attività giuridiche che sono necessarie per il benessere del minore, fermo restando che il genitore che ha la potestà ne sia tempestivamente informato. Tuttavia la predetta facoltà può essere limitata o esclusa dal tribunale della famiglia, se lo ritiene necessario nell’interesse del bambino/a, a meno che non vi sia l’approvazione della domanda di adozione da parte del partner genitore sociale (possibile dall’inizio del 2005). Inseminazione assistita Molto più rilevante della facoltà di adottare è l’accesso paritario di donne lesbiche ed eterosessuali alle tecnologie mediche di assistenza alla riproduzione. I paesi europei dove l’inseminazione assistita dai medici può essere richiesta da donne singole o da coppie di lesbiche sono la Spagna, 57 l’Inghilterra, il Portogallo, il Belgio e l’Olanda – questi due ultimi lasciano la decisione alle singole cliniche, molte delle quali lo permettono. In Olanda è anche possibile avere un donatore non anonimo, in modo che se il figlio/a una volta compiuti 16 anni decide in tal senso, l’informazione sull’identità paterna possa essere rivelata e si possano stabilire dei contatti. La stessa cosa è obbligatoria in Svezia, dove l’anonimato dei donatori è impossibile per legge. L’orrenda legge italiana sulla fecondazione assistita voluta dal governo Berlusconi permette l’accesso alle tecniche gestite dai ginecologi solo a coppie sposate, stabilendo così un imprimatur statale alla gravidanza, che (per lo meno dove lo Stato può arrivare) deve avvenire soltanto in un matrimonio tradizionale. In Francia si è andati oltre: è stata proibita l’inseminazione con sperma fresco (cioè non congelato) di donatore, in modo da sanzionare la pratica dell’autoinseminazione, che in Inghilterra è proibita punendo l' intermediazione anche a titolo gratuito: una terza parte non può maneggiare gameti donati (Legge sulla fecondazione umana e sull' embriologia 1990). Affidamento post-divorzio Ma se, come è certo sia nel nostro paese, la maggior parte di figli di lesbiche e gay ha avuto origine da unioni eterosessuali, il problema più grosso rimane la possibile discriminazione dei tribunali che si occupano dei divorzi. Se i giudici sono convinti che un omosessuale non può essere un buon genitore, si potrebbe essere esclusi dall’affido dei figli, e vedersi limitati i diritti di visita. In Italia fortunatamente ci sono dei precedenti favorevoli, in cui sia per le madri lesbiche che per i padri gay è stato rispettato il principio di non discriminazione. Molto citato è il caso della Cassazione di Latina che ha affidato il figlio quindicenne al padre dichiaratamente gay. Casi di madri lesbiche non sono stati commentati sulle maggiori riviste giuridiche, ma ne siamo a conoscenza per comunicazioni personali: una donna è stata attaccata dall’ex marito in quanto lesbica, ma il tribunale ha stimato la cosa indifferente ai fini del procedimento di divorzio. È vero anche che, in mancanza di chiare direttive legislative, l’ombra del ricatto da parte dell’ex coniuge è difficile da esorcizzare: il rischio di vedersi negato l’affido dei figli perché “una lesbica non può essere una buona madre” è ancora percepito e ancora spinge ad accettare condizioni economiche sfavorevoli per paura che il lesbismo sia menzionato in tribunale. Le donne che lasciano il marito per un’altra donna temono che la separazione venga loro addebitata, permettendo all’ex coniuge di non pagare gli alimenti. In Australia è raro che ci siano discriminazioni in caso di divorzio: secondo la mappa giuridica dell’Ilga (International Lesbian and Gay Association) è questo il paese dove l’affidamento postdivorzio a genitori omosessuali viene contestato di meno sulla base della sola omosessualità. Anche 58 il Canada e la Nuova Zelanda si distinguono per non ritenere la sola omosessualità, senza evidenza di effetti negativi sui figli, ragione per non affidare il figlio/a a un particolare genitore. La Corte europea dei diritti umani ha approvato nel 1999 il ricorso per discriminazione di un padre gay: Salgueiro da Silva Mouta contro il Portogallo, decidendo di annullare l’affidamento della figlia alla madre deciso solamente sulla base dell’omosessualità del padre. Infatti nella sentenza del 1996 i giudici portoghesi scrissero che la bambina “dovrebbe stare con una famiglia portoghese tradizionale, e suo padre evidentemente non ha scelto una tale famiglia, preferendo vivere con un altro uomo come sposo” (cit. da Minot 2000, 86). La corte ha condannato il rifiuto dell’affidamento dei figli sulla sola base dell’orientamento sessuale della persona. In Gran Bretagna si è avuta a lungo una situazione di discriminazione, ma ora sembra che i giudici tengano sempre meno in conto l' orientamento sessuale nelle decisioni di affido dei figli in caso di divorzio (Williams 1994), mentre i padri gay soffrono ancora limitazioni. Negli Stati Uniti sia a gay che lesbiche separati è stato impedito di convivere con il partner o di passare la notte insieme quando i bambini sono a casa, restrizioni a cui non possono porre rimedio ufficializzando in un matrimonio la nuova relazione. In un clamoroso caso avvenuto nel 1998 in Alabama, un tribunale ha revocato l’affidamento di una bambina dopo che per sei anni era stata cresciuta dalla madre con la sua nuova partner per affidarla al padre, che si era appena risposato, nonostante il parere contrario del terapista che seguiva la bambina. La corte ha esplicitamente condannato la madre per aver stabilito: "un ambiente domestico con due partner dove la loro relazione omosessuale è praticata apertamente e presentata alla bambina come l' equivalente sociale e morale di un matrimonio eterosessuale" (Polikoff 2004, 156). In Francia si sono avute sentenze che hanno permesso ai figli la residenza abituale presso la madre omosessuale a condizione che non coabitasse con una terza persona (CA Parigi 25 settembre 1992), una restrizione raramente imposta ad eterosessuali, così come il fatto che il padre gay debba esercitare il suo diritto di visita e di ospitalità obbligatoriamente in assenza di terzi, ovvero del nuovo compagno (CA Metz 13 maggio 1997) (Gross 2003, 34). Oltre a queste restrizioni, già assurde di per sé, i giudici di altre parti del mondo hanno fatto persino di peggio: in Belgio una donna lesbica divorziata da un partner violento si è vista togliere i figli per affidarli all’ex marito (Minot 2000). Non solo nei casi di divorzio il diritto può finire per calpestare le famiglie lesbiche: nel 1999 in Sudafrica una coppia gay ottenne l’affido pre-adozione di un bambino solo perché questi non aveva praticamente alcuna alternativa dal momento che risultava sieropositivo alle analisi. Al termine del "periodo di prova" però il bimbo era tornato sieronegativo, per cui i giudici dichiararono la coppia 59 inadatta ad adottare, con l’intenzione di affidare il bambino ad altri. Questa decisione è stata fortunatamente ribaltata dopo il ricorso in appello della coppia. Negli Stati Uniti la co-madre Michelle G. è stata dichiarata un’“estranea biologica” in un caso di “divorzio” di coppia lesbica del 1990 a Los Angeles in cui la madre biologica, Nancy S., non ha avuto scrupolo nell’usare tutti i privilegi che il diritto le conferiva, tagliando fuori dalla vita dei bambini la compagna con la quale li aveva voluti e cresciuti. Ci auguriamo che queste posizioni non vengano condivise nel nostro paese, anche se è dubbio che i giudici italiani saranno più illuminati di quelli statunitensi, in mancanza di chiari riferimenti legislativi. La conclusione non può che essere il rammarico perché purtroppo nel nostro paese il diritto fatica ad accorgersi di queste realtà, fatica ad accettare una definizione di famiglia che vada al di là dei tre vincoli sopra ricordati (sangue, coniugio, adozione) riconoscendo che la famiglia è basata innanzitutto su un vincolo di fatto, l’unico che può renderla autenticamente tale: è una convivenza basata sull’affetto e sul sostegno reciproco, non solo economico (dove si fermano le prescrizioni della famiglia “tradizionale”) ma soprattutto morale. E dove c’è anche solo un bambino o bambina la cui situazione familiare non è riconosciuta dal diritto, là si rischia di dover assistere impotenti a delle ingiustizie. Il bene del bambino non è questo. Con questi nuovi riconoscimenti la famiglia non esplode, non si disintegra. Al contrario, sta integrando aspetti dell' esistenza umana prima misconosciuti, riconoscendo l' esistenza di amori diversi, valorizzando rapporti socialmente fondati e non limitati a un input biologico. Sta semplicemente diventando umana: meno sacra ma molto più umana. 60 Riferimenti bibliografici Adolff, L.: Reflexions autor de l’affaire Frette, Mémoire, Université Robert Schuman Année universitaire 2002-2003 (http://www.france.qrd.org/assocs/apgl/documents/ladolff_memoire.pdf consultato il 1.12.2004) Albertson Fineman, M.: The neutered mother, the sexual family and other twentieth century tragedies, Routledge, New York 1995. Aleramo, S: Una donna, Feltrinelli, Milano 1988 (ed. originale 1906). Bailey, J. 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