Bambini ai gay?

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Bambini ai gay?
Margherita Bottino e Daniela Danna
Bambini ai gay?
Indice:
Introduzione (Daniela Danna)
Cap. 1) Madri lesbiche (e qualche padre gay) (Daniela Danna)
pag. 5
8
Maschio e femmina: dalla biologia alla società
Lo scherno
Altri miti e pregiudizi
Cap. 2) Le ricerche sui figli di omosessuali (Margherita Bottino)
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L’eterosessismo e la teoria della “non differenza”
Le ricerche avverse
Le ricerche favorevoli
La consapevolezza della non differenza
I metodi di campionamento
I risultati delle ricerche
Genere
Orientamento sessuale
Salute mentale dei figli
Lo sviluppo sessuale e di genere dei figli
Pratiche genitoriali
Benessere dei genitori
Nessuna differenza preoccupante
Cap. 3) Stato e famiglia (Daniela Danna)
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Matrimoni
Adozioni
Responsabilità genitoriale
Inseminazione assistita
Affidamento post-divorzio
Riferimenti bibliografici
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1
Versione ridotta del testo “La gaia famiglia. Che cos’è l’omogenitorialità?”,
pubblicato nel 2005 da Asterios, Trieste, con prefazione dei giuristi Paolo Cendon e
Francesco Bigotta, e reperibile nelle librerie Feltrinelli di tutta Italia oppure
contattando l’editore www.asterios.it
Margherita Bottino ha collaborato a ricerche di psicologia della salute presso l'
Università degli
Studi di Milano e l'
Università del Surrey, e si è occupata del rapporto tra donne e devianza: il ruolo
delle donne nei maggiori gruppi terroristici europei e nelle organizzazioni di stampo mafioso
italiane.
Daniela Danna, è ricercatrice in Sociologia presso l'
Università degli studi di Milano. E'autrice di
“<Io ho una bella figlia…> Le madri lesbiche raccontano” (Zoe 1998), “Matrimonio omosessuale”
(Erre emme 1997) e di altri lavori sui temi dell'
omosessualità e della prostituzione. Ha un sito:
www.danieladanna.it, attraverso il quale è contattabile.
RINGRAZIAMENTI
Questo libro non avrebbe potuto essere scritto senza la collaborazione preziosa delle amiche e degli
amici ai quali dobbiamo la nostra gratitudine: Sara De Giovanni e il Centro di Documentazione del
Cassero di Bologna; il Dipartimento Studi Sociali e Politici, Università degli Studi di Milano; la
dott.ssa Ansa Ojanlatva, Università di Turku, Finlandia; Eva Dose e Lisa Del Torre, Arcilesbica di
Udine; la mailing list lli-mamme e l'
associazione Famiglie Arcobaleno; tutte le donne che hanno
voluto raccontare la propria esperienza personale per farne patrimonio comune; Nicoletta
Poidimani; Sandra Cossu e Natascia Barro.
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Margherita Bottino, Daniela Danna
Bambini ai gay?
Introduzione
La famiglia sta cambiando. Ma la famiglia è mai stata uguale a se stessa? Il modo di organizzare la
riproduzione, di provvedere all’educazione e all’istruzione dei figli, di organizzare la vita concreta e
quotidiana in casa sono in continuo cambiamento nello spazio e nel tempo, da una civiltà all’altra,
dalla campagna alla città, da famiglie che sono anche unità economiche di produzione a famiglie
che mettono in comune redditi procacciati altrove e decidono al proprio interno soltanto i consumi.
Le bambine e i bambini, i piccoli esseri umani, sono stati allevati nelle persuasioni più diverse, con i
metodi più diversi, con aspettative le più varie nei loro confronti, riguardo al loro ruolo, ai loro
compiti, alle tappe della loro autonomia. Non dobbiamo andare molto lontano nella nostra storia per
trovare un modello di famiglia fondato non sull’affettività, ma sulla lontananza affettiva, soprattutto
dei padri, concentrati nella severità della dignità virile; non sull’assunzione in prima persona del
carico di lavoro che un’infante richiede da parte della madre, ma sull’assunzione di balie, dove la
stessa riproduzione non era basata su un atto d’amore, ma su rapporti sessuali vissuti come dovere,
con mariti incuranti del consenso delle mogli1 e del loro piacere sessuale: una vera e propria forma
di riproduzione “senza sesso” per le donne - a meno di non volere chiamare “sessualità” il mero
incontro di genitali nel quale il desiderio non viene condiviso.
Lo sfondo sul quale collocare il nostro lavoro sulle famiglie che i francesi hanno preso a chiamare
“omoparentali”, cioè le coppie di donne e di uomini che decidono di allevare dei bambini, è quello
di una grande diversità storica dell’istituto sociale deputato alla procreazione, la famiglia. Ma il
nostro obiettivo non è ricorrere agli studi antropologici per mostrare come queste famiglie non siano
che una delle tante varianti che sono esistite o che esistono tuttora, né scenderemo nei dettagli della
ricerca storica per ricostruire i mondi separati maschili e femminili che sono stati di fatto gli
ambienti in cui i piccoli dell’uno e dell’altro sesso sono cresciuti, senza che ciò avesse mai destato
preoccupazioni per la carenza di “figure” e modelli del sesso opposto. Per tutto questo, basta aprire i
libri di storia che si occupano di famiglia, e i resoconti degli antropologi. Ci concentreremo invece
sul mondo contemporaneo, e descriveremo unicamente il contesto attuale del fenomeno delle
famiglie con genitori gay, andando a cercare all’interno di queste famiglie, con il supporto delle più
recenti ricerche fatte da psicologi e sociologi, le risposte a tutte quelle domande che circolano
1
Cosa riconosciuta dalle leggi, che solo recentemente hanno cominciato a proibire lo stupro all’interno del matrimonio.
Anzi, in passato lo stupro era un motivo di “matrimonio riparatore” (Aleramo 1906).
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nell’opinione pubblica a proposito del “bene del bambino”. E possiamo dire fin da ora che ciò che
scopriremo è una grande distanza tra i toni del dibattito politico, e della stessa vox populi, e la realtà
vissuta dalle bambine e dai bambini che crescono nelle famiglie con genitori omosessuali: una
distanza che, proprio in nome del “bene dei bambini”, ci auguriamo venga colmata al più presto.
Il nostro lavoro è un modesto contributo alla diffusione dei risultati delle ricerche più serie
sull’argomento, e un sincero incentivo a un dibattito che dovrebbe nutrirsi più di fatti e meno di
pregiudizi e poco meditati luoghi comuni.
Infatti sul tema della “omogenitorialità” c’è una distanza tra fantasie e realtà tale che è necessario
uno sforzo molto grande per riformulare le questioni sul tappeto nel dibattito politico e mettere le
cose nella giusta prospettiva. Il dibattito pubblico, impostato sul presupposto che l’omosessualità
sia solo maschile e che la priorità degli omosessuali che vogliono fondare una famiglia sia un
accesso a bambini abbandonati, o addirittura partoriti su commissione, si è incentrato sull’adozione,
sui “bambini ai gay”. E oltretutto ciò ha collocato la questione in un ipotetico futuro piuttosto che
nel presente, dal momento che in pochi luoghi è consentito a gay e lesbiche di adottare: sicuramente
non lo è nel nostro paese, dove solo coppie sposate possono far domanda di adozione.
Questo modo di “incorniciare” la questione è fuorviante e crea problemi enormi, infatti è più che
probabile2 che la reazione di rifiuto viscerale data dall’”adozione ai gay” o, come si esprimono
alcuni esponenti politici ad essa fortemente contrari, del “dare i bambini ai gay” sia provocata
sicuramente anche dall’arbitraria e insultante associazione tra omosessualità e pedofilia, ma
soprattutto dal semplice sconcerto nel pensare a due uomini – o anche uno solo! – che si occupano
di un bambino senza aiuto da parte di una donna, dal momento che il ruolo del padre non prevede
l’accudimento materiale e il forte legame emotivo necessario soprattutto nella prima infanzia.
Se riformuliamo la questione a partire dalla realtà delle “gaie famiglie” esistenti, vediamo che
crescere con genitori omosessuali significa oggi nella grandissima maggioranza dei casi avere una
madre lesbica. Il caso più frequente è che la madre abbia scelto di stare con una donna dopo un
divorzio, il caso più raro è che abbia deciso di avere un figlio consapevolmente da lesbica. La
questione della paternità gay è da noi in modo particolare una questione ancora più marginale: la
procreazione deve avvenire dal ventre di una donna, e pochi padri separati gay hanno l’affidamento
dei figli dopo un divorzio, perché in generale pochi uomini si sentono in grado di affrontare
l’allevamento dei figli senza avere una donna al fianco. In altri paesi la questione è più rilevante
perché i gay possono adottare o ricorrere alla molto discutibile pratica della maternità surrogata.
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Questa probabilità non è una certezza solo perché i sondaggi di opinione non distinguono mai tra adozione ai gay e
“adozione” (ma perché non parlare piuttosto di “procreazione”?) delle lesbiche nella formulazione delle domande –
altro esempio della perdurante inferiorità sociale del genere femminile, rivelata dal suo non ricevere adeguata
rappresentazione.
6
Dunque nel nostro paese la famiglia “senza madre” rimane un fenomeno raro e confinato a casi
molto particolari, mentre la famiglia “senza padre”, pur essendoci un divieto di fecondazione
assistita a donne anagraficamente singole, può essere realizzata molto facilmente.
È quindi delle famiglie “senza padre”, del modo che hanno di crescere i figli, dei loro rapporti con il
diritto, delle loro richieste alla società che dobbiamo ora occuparci.
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Cap. 1) Madri lesbiche (e qualche padre gay)
La “gaia famiglia” nascerà solo per un capriccio dell’impotente Parlamento Europeo. Lo si direbbe
leggendo sui quotidiani le dichiarazioni dei politici, per non menzionare quelle degli ecclesiastici:
quei frustrati pseudo-legislatori vogliono consegnare i “bambini ai gay” con l’adozione. I commenti
sono variazioni sul tema della decadenza dei costumi e dell’incapacità di un mondo in declino di
distinguere ancora i tratti costitutivi di una vera famiglia. L’Osservatore romano, nella campagna
martellante cominciata con la campagna elettorale del 2006, in risposta alla presa di posizione di
Rosi Bindi, neoministra per la Famiglia, a favore dei diritti di chi convive, scrive che
“«L'
impressione è - scrive l'
Osservatore - che le convivenze eterosessuali siano usate
semplicemente come grimaldello, perché più diffuse e maggiormente in grado di far convergere
comprensione e benevolenza. Il vero obiettivo appare essere un altro: la convivenza fra coppie
omosessuali, alle quali un riconoscimento pubblico darebbe un'
arma formidabile al fine di
accreditare l'
esistenza di una forma alternativa di famiglia. E dove c'
è famiglia, inevitabilmente,
prima o poi ci sono anche i figli. E i loro diritti»3.
Parimenti si direbbe, quando talvolta ci si ricorda che l’omosessualità riguarda anche il genere
femminile, che la “gaia famiglia” versione lesbica sia un evento e un avvento nuovo di zecca,
coniato nei misteriosi laboratori della ricerca medica: una novità da ventunesimo secolo, che come
tutte le scoperte scientifiche solleva problemi di legittimità morale costringendoci ad affrontare per
la prima volta qualcosa di ignoto.
Questi due miti paralleli portano le numerose persone messe a disagio dall’omosessualità a pensare
che la procreazione di lesbiche e gay possa essere bandita con un tratto di penna del legislatore,
proprio come accade oggi in Italia, dove non è possibile che una persona che non sia sposata adotti
un minore e dove la legge in vigore sulla fecondazione assistita (su cui la cittadinanza dovrà
pronunciarsi con un referendum abrogativo) garantisce unicamente a partner sposati l’accesso alle
nuove tecnologie riproduttive, e solo ad alcune di esse.
Ciononostante le famiglie gay esistono, anche in Italia. Donne che amano altre donne e uomini che
amano altri uomini diventano madri e padri, o lo sono diventati in una fase precedente della loro
vita, e i loro compagni e compagne sono presenti nella vita dei figli/e in vario modo: con la loro
semplice vicinanza al genitore biologico oppure assumendosi la responsabilità della cura dei figli/e
dell’altra o dell’altro, fino a condividere, nel caso di donne lesbiche, la decisione di procreare. La
capacità di avere figli/e delle lesbiche, non sarà superfluo ricordarlo, è pari a quella delle altre
donne, e per questa ragione il nostro discorso sull’omogenitorialità non potrà essere neutro, non
3
Citato da Rossi Barilli, G.: “Rosy sotto tiro. Mastella subdolo: tocca al parlamento”, Il Manifesto, 23.5.2006, p.3.
8
potrà dare lo stesso rilievo alle famiglie composte da lesbiche e a quelle composte da gay. Queste
ultime rappresentano davvero una minoranza di quelle ricostituite dopo un divorzio, anche perché
l’allevamento dei figli/e è ancora un fatto di donne, e anche l’affido dei figli/e minori a seguito di
un divorzio nella maggior parte dei casi spetta alla madre, che se ne occupava con più assiduità.
Infatti nel nostro paese la filiazione da un o una omosessuale riguarda ancora in grandissima
maggioranza bambini concepiti in unioni eterosessuali: i dati del questionario del Gruppo
soggettività lesbica rivelano che ha avuto figli il 6,5% delle 691 donne lesbiche che hanno risposto,
di cui l’82,2% in una relazione con un uomo, cioè 37 in numero assoluto, cui si aggiungono 5 che
hanno avuto figli da singole e 3 in una relazione con una donna (Gruppo soggettività lesbica 2005)4.
Per le generazioni più vecchie di omosessuali5, che sono cresciute con la rigida prospettiva del
matrimonio e della procreazione come destino ineluttabile, l’idea di poter trascorrere la vita con una
persona del proprio sesso ha faticato a farsi strada, ed è stata accettata solo dopo la nascita dei
figli/e, a volte proprio perché in quel momento si sente di aver adempiuto al proprio dovere sociale
e si è più libere di guardare dentro di sé alle proprie aspirazioni individuali. Non mancano nel
panorama dell’omogenitorialità le ragazze madri che incontrano una partner donna nel primissimo
periodo di vita del bambino/a, addirittura persino durante la gravidanza. E solo alla fine, ancora
sparuta minoranza benché in espansione, troviamo donne mediamente più giovani, cresciute in un
clima di visibilità degli omosessuali e di maggiore tolleranza nei loro confronti, che
consapevolmente decidono di avere dei figli essendo lesbiche: tramite inseminazione assistita (nelle
cliniche italiane quando ancora era possibile, e con viaggi all’estero oggi), tramite il dono da parte
di un amico (realizzando in questo modo anche la paternità gay) e forse anche tramite
un’intermediazione che garantisca l’anonimato reciproco della coppia lesbica e dell’uomo che vuole
solo essere donatore del seme senza assumersi responsabilità paterna6. Non ne siamo direttamente a
conoscenza, ma potrebbero esistere anche casi di ricorso alla pratica, rischiosa dal punto di vista
della trasmissione sessuale di malattie, di trovare un uomo per una sera nel periodo in cui si è più
fertili – difficilmente gli uomini insistono perché vengano prese precauzioni anticoncezionali.
I bambini figli di lesbiche, e da esse cresciuti, non sono pochi. Quanti sono esattamente? Abbiamo
stime e dati di censimenti per alcuni paesi stranieri, mentre nel nostro possiamo assumere come
4
Questo conferma il quadro emerso alcuni anni prima in un mio lavoro (Danna 1998).
Sembra implicita in questa formulazione un’adesione alla teoria dell’omosessualità come di una caratteristica stabile
ed esclusiva di alcune persone particolari, forse addirittura predeterminata geneticamente. In realtà vogliamo
semplicemente dire che in ogni epoca sono vissute persone che hanno avuto attrazione per il proprio sesso. Le cause
dell’omosessualità sono molteplici: si tratta di un comportamento che è nel potenziale della maggioranza degli esseri
umani, e che le circostanze sociali favoriscono o reprimono, suscitando a livello individuale risposte diverse,
dall’adeguamento alla ribellione.
6
Non conosciamo direttamente casi di procreazione di questo tipo, che però sono numerosi all’estero: Danimarca, Gran
Bretagna, Stati Uniti.
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9
indicatori le proporzioni di omosessuali7 che hanno generato emerse dalle due grandi ricerche
sociologiche realizzate negli ultimi anni, il 3,4% dei gay sono padri e il 5,4% delle lesbiche madri in
tutta Italia (Barbagli e Colombo 2001) e a Torino e provincia hanno figli/e l’8% delle intervistate e
il 5% degli intervistati (Saraceno 2003). I figli/e sono stati concepiti per il 76% dei casi in una
relazione matrimoniale, nell’11% in una relazione eterosessuale e il rimanente 13% con un rapporto
occasionale (Barbagli e Colombo 2001). Anche la ricerca “Modi di” coordinata nel 2005 da
Margherita Graglia ha trovato che il 4,7% dei gay intervistati e il 4,5% delle lesbiche hanno figli
biologicamente propri, e un ulteriore 0,3% dei maschi e 0,4% delle femmine hanno figli non di
sangue (www.modidi.net).
Una minoranza avanguardistica ha deciso non solo di rendere trasparente ai figli/e la propria
condizione, ma di uscire allo scoperto per chiedere che i propri legami familiari siano riconosciuti
pubblicamente: all’inizio del 2005 alcune decine di lesbiche, madri biologiche oppure co-madri (il
nome con cui indicano le madri sociali) e padri gay hanno fondato l’associazione Famiglie
Arcobaleno, con l’obiettivo di far sì che la genitorialità gay e lesbica sia presente nella realtà
giuridica e sociale del nostro paese e di lottare contro ogni forma di discriminazione verso gay,
lesbiche e i loro figli/e. Il numero è esiguo ma è ovvio che la parte visibile di un fenomeno sociale
soggetto a pubblica condanna da parte della chiesa cattolica e di esponenti politici a lei vicini di un
ampio arco costituzionale che va da Buttiglione a D’Alema, non può essere enorme, almeno ai suoi
inizi.
Il fenomeno è senz’altro più esteso rispetto alle poche famiglie di donne fondatrici, ma nel nostro
paese ancora non è manifesto quanto in quelli in cui già negli anni Novanta si è cominciato a parlare
di un “baby boom lesbico” in alcune città e zone degli Stati Uniti ad alta concentrazione di gay, in
Olanda, in Germania, in Gran Bretagna, boom legato non solo al moltiplicarsi delle “banche del
seme” ma anche all’inseminazione autogestita (Saffron 1995). Certamente le nuove tecnologie
riproduttive hanno aiutato: se in teoria è possibile per una donna lesbica concepire semplicemente
con l’aiuto di un donatore conosciuto o contattato da intermediari, in pratica l’opzione medica è
molto più semplice, anche perché solitamente la coppia non vuole interferenze ravvicinate da parte
del donatore e, benché in genere si preoccupi di avere figure maschili di riferimento per i bimbi, in
realtà non ha bisogno di un vero e proprio padre con cui doversi confrontare quotidianamente: le
dinamiche interpersonali tra tre adulti sono potenzialmente più conflittuali e molto più precarie.8 È
7
Indichiamo con “omosessuali” sia i gay che le lesbiche, è un maschile che ci serve da neutro.
Nell’inchiesta francese promossa dall’APGL, di cui parleremo tra poco, risulta che le coppie lesbiche che vogliono un
“donatore” che abbia un ruolo paterno in genere sottovalutano le perturbazioni nella vita di coppia portate dalla terza
figura. Il padre biologico e la compagna della madre si trovano in competizione per il posto di “secondo genitore”.
L’allattamento è per i padri un periodo particolarmente delicato, anche nelle coppie etero, ma nelle famiglie lesbiche la
frustrazione della figura maschile non è mitigata dal legame amoroso con la madre. Nelle configurazioni più complesse,
8
10
indubbio che con le nuove tecnologie mediche di assistenza alla fecondazione si sia semplificata la
scelta di maternità di donne che non gradiscono i rapporti eterosessuali, o che sono in coppia con
un’altra donna e considererebbero un tradimento il coito con un uomo anche solamente a fini
procreativi. L’opzione dell’autoinseminazione può anch’essa comportare difficoltà di gestione del
rapporto con il donatore.
Gli uomini gay hanno vie più tortuose per arrivare alla genitorialità, vie che coinvolgono altre
persone, dato che la gravidanza necessariamente deve avvenire al di fuori della coppia. Vi è
l’adozione nei paesi in cui è permessa ai singoli, e alcuni di quelli in cui le coppie omosessuali sono
giuridicamente riconosciute (ne parleremo nell’ultimo capitolo). Vi è l’affido temporaneo di
bambini che hanno difficoltà a vivere nelle proprie famiglie, cosa che ha coinvolto gay e lesbiche
come genitori affidatari (veri e propri record sono stati stabiliti da una coppia di donne inglesi, Pat
Romans e Judith Weeks con più di cinquanta minori in affido). Sono molto pochi invece i casi di
maternità surrogata, ovvero gli accordi, solitamente di carattere economico, con una donna che sarà
la gestante del bimbo concepito per inseminazione da un gay, la quale poi non lo riconoscerà
lasciando il padre come unico genitore. Sembra naturale lasciare la scelta alla donna fino in fondo:
se dopo la nascita deciderà di tenere con sé il neonato invece di farlo crescere da altri, deve
mantenere la possibilità legale di riconoscerlo. L’unico paese in cui invece in un caso di
controversia tra madre surrogata e padre biologico sulla potestà sul figlio/a è stata decisa dal
tribunale in favore del padre sono gli Stati Uniti (il caso “baby M”): un contratto è un contratto,
hanno argomentato i giudici di prima istanza, che hanno costretto la donna a cedere la figlia alla
coppia eterosessuale (non di gay maschi!) che glielo aveva commissionato. Tuttavia nel giudizio di
appello la Corte suprema dello stato di New York le accordò nel 1988 il riconoscimento della figlia
e ampi diritti di visita.
Gli Stati Uniti sono il paese in cui appaiono famiglie gaie in proporzioni più elevate: l’Ufficio del
censimento statunitense ha pubblicato nel febbraio 2003 un documento in cui compare il numero
delle coppie omosessuali conviventi e dichiarate, che costituiscono l’1% di tutte le famiglie (U.S.
Census Bureau 2003), dato che concorda con la stima, effettuata per altre vie, che l’1% dei minori
statunitensi viva in un contesto omogenitoriale (Stacey e Biblarz 2001, 164). Vivono con minori il
33% delle coppie lesbiche e ben il 22% di quelle gay. Un dato così alto, si commenta nel rapporto, è
dovuto probabilmente al fatto che coloro che hanno figli sono meno reticenti nel dichiarare di essere
una coppia a paragone dei gay che vivono insieme senza figli – dato che la domanda può essere
vissuta come una violazione della privacy e una possibile schedatura.
in cui vi è anche un compagno del padre biologico che partecipa all’allevamento del bambino, emerge una gerarchia di
ruoli: la madre ha il potere di dare o no un posto in famiglia alla comadre e al padre biologico, e il padre biologico
decide se dare o no un posto al proprio compagno (Gross 2003).
11
Le stime che circolano nella pubblicistica sono queste: la stima più bassa per gli Usa è di un milione
di bambini con padre o madre omosessuale, per la Germania si parla di un milione di genitori
(Lähnemann 1997), in Francia di centinaia di migliaia (una survey del 1997 ha rilevato che il 7%
dei gay e l’11% delle lesbiche sono genitori), in Canada un terzo delle lesbiche e un decimo dei gay,
in Olanda si stima che circa 20.000 bambini siano allevati da madri lesbiche (Minot 2000). In
Norvegia l’inchiesta realizzata con questionari distribuiti a 3.000 gay e lesbiche ha trovato che il
13% delle lesbiche e l’8% dei gay ha figli, che per l’80% circa sono stati concepiti in una
convivenza eterosessuale (Hegna et al. 1999).
Da quasi vent’anni è stata fondata in Francia l’Associazione dei genitori e futuri genitori gay e
lesbiche (APGL), che nel 2002 ha raggiunto la ragguardevole cifra di 1500 membri. Nel 2001 ha
promosso un’inchiesta tra gli associati cui hanno risposto in 285, formando un campione con
caratteristiche sociali molto elevate: ben l’84% ha fatto studi superiori, e un terzo sono insegnanti,
professionisti o medici. Tre quarti dei padri e la metà delle madri hanno vissuto un unione etero
precedente, all’interno della quale sono stati concepiti i loro bambini. I figli avuti con
l’inseminazione sono molto piccoli: la maggior parte di loro aveva meno di due anni.
Da una ricerca dell’Università di Gent in Belgio è risultato che il 14% delle donne lesbiche e l’8%
dei gay intervistati avevano dei bambini e circa la metà degli omosessuali desiderava averne. Dati
analoghi sulle aspirazioni genitoriali si trovano anche in Italia: il 40,3% dei gay e il 34,5% delle
lesbiche che non hanno ancora avuto figli ne vorrebbero avere.9 Significativamente più bassi i dati
norvegesi: il 29% delle lesbiche e il 26% dei gay, mentre altrettanti rispondono di non sapere se
vogliono figli. Il desiderio di diventare padri o madri in Italia è tanto più diffuso più si va a Sud e
quanto più bassa è l’età dei rispondenti. I religiosi praticanti desiderano più spesso avere figli dei
non praticanti. Tra chi desidera un figlio/a, vorrebbe adottarlo il 59% dei maschi e il 47% delle
femmine.
I dati torinesi mostrano, così come un livello di genitorialità quantitativamente maggiore, anche un
coinvolgimento maggiore di gay e lesbiche rispetto alla ricerca nazionale: il desiderio di maternità e
paternità viene espresso dal 48% delle donne e dal 41% degli uomini. Questa percentuale scende tra
coloro che hanno una relazione di coppia stabile all’11% degli uomini e al 29% delle donne (ma
non è più alta l’età media di chi vive in coppia). La metà degli uomini ricorrerebbe all’adozione e
un terzo delle donne all’inseminazione, che sia autogestita o praticata in una clinica. Una parte
minoritaria di coloro che esprimono il desiderio di diventare madri o padri dichiara che sarebbe
disposta persino a entrare in un’unione eterosessuale, a rinunciare all’omosessualità (perlomeno
esclusiva) per soddisfare il proprio desiderio.
9
Tra le donne italiane dai 20 ai 49 anni solo il 10% circa non intende avere figli, nel campione dell’indagine Inf-2 (De
Sandre et al. 1997, 158). Vedi anche nota 10.
12
Molti intervistati dichiarano di non volere concretamente avere figli anche se li desiderano, perché
ritengono che sarebbe un atto egoistico: i bambini nati in un contesto omogenitoriale ne
soffrirebbero. Molti omosessuali invece condividono l’idea che un bambino e una bambina abbiano
bisogno di un padre e di una madre, e anche che la loro situazione familiare li farebbe soffrire per lo
scherno degli altri bambini e il rifiuto da parte degli adulti.
Affrontiamo dunque questi due importanti argomenti da un punto di vista prevalentemente teorico,
mentre nel capitolo successivo vedremo come hanno risposto a queste e ad altre questioni le
ricerche effettuate da psicologi nei paesi in cui è più diffusa la scelta di diventare madri da parte
delle lesbiche.
Maschio e femmina: dalla biologia alla società
La domanda numero uno è: un bimbo ha bisogno di un padre e di una madre? In questa domanda
che fa scattare un “sì” di risposta rapido quanto un riflesso automatico è implicito un sottile gioco di
prestigio. Perché in realtà stiamo parlando di cose confuse tra loro. In primo luogo fa parte delle
leggi della Natura che la riproduzione umana avvenga per mezzo dell’unione dei gameti maschili e
femminili nell’utero della donna: senza l’apporto di entrambi i sessi nessuna nuova vita umana
potrà nascere.10 È il primo livello della maternità e paternità: quello biologico.
Ma dal principio biologico dell’unione dell’ovulo femminile e dello spermatozoo maschile
all’imperativo sociale che vuole che una famiglia debba essere fondata da due persone di sesso
diverso non c’è alcun automatismo: lo dimostrano le molteplici forme di famiglia che sono esistite
ed esistono tuttora. La famiglia “coniugale intima”, dunque eterosessuale, composta da un uomo, da
una donna e dalla loro prole, rappresenta oggi in Occidente il modello di famiglia dominante, in un
contesto in cui il mercato ha sottratto alla famiglia gran parte delle sue funzioni economiche11. Non
a caso si parla di famiglia nucleare: è avvenuta la riduzione dei rapporti familiari fino all’osso del
minimo apporto biologico indispensabile. E parallelamente alla sproporzione dell’apporto biologico
dei due sessi (orgasmo contro gravidanza), il contributo dei padri alla vita familiare è limitato,
prevale il ruolo esterno di “sostegno economico”: la dedizione dei padri è al proprio lavoro, solo
10
Anche se è vero che medici ricercatori in Giappone sono impegnati a esplorare la possibilità di fare a meno dello
spermatozoo inserendo il DNA direttamente nell’ovulo. Questo potrebbe essere fatto anche con il DNA di un altro
ovulo. La clonazione è già realtà per altri mammiferi, come il famoso caso della pecora Dolly, in cui il materiale
genetico da inserire nell’ovulo è stato prelevato da un’altra cellula dello stesso animale. Su queste nuove prospettive
della ricerca non vorremmo dilungarci, dal momento che si pongono come obiettivo un balzo troppo grande al di là dei
processi naturali, e dagli esiti di lungo periodo sconosciuti. È possibile che anche se una nascita “per partenogenesi” sia
tecnicamente possibile, la nuova vita nata in questo modo possa presentare dei deficit imprevisti e imprevedibili: ancora
pochissimo si sa di ciò che accade a livello biochimico nelle varie fasi dell’incontro tra ovulo e spermatozoo.
11
Ciò ha significato la cumulazione del lavoro di cura in una sola persona (moglie e madre) e la restrizione
dell’allevamento dei figli al focolare, mentre prima riguardava più luoghi e più persone: “la maternità viene iscritta
fortemente dentro la coniugalità, sanzionando penalmente la maternità illegittima, assegnando al marito il controllo
sulla fecondità della moglie, cui non sarà riconosciuta d’altra parte la pienezza dei diritti individuali” (Fiume 1997, 77).
13
quella delle madri è alla famiglia. Molti penseranno che, data l’evoluzione della tecnologia nel
mondo occidentale, la forma qui assunta dalla famiglia non rappresenti un adattamento ai rapporti
economici, quanto un punto di arrivo, un segno di progresso, un superiore stadio evolutivo. Ebbene,
anche fingendo di ammettere questa spiegazione, non è possibile dichiarare pregiudizialmente
migliori le “famiglie con un padre e una madre”, le cui uniche caratteristiche note, dunque, sono il
sesso dei genitori. Perché mai l’ambiente più adatto a crescere un bambino/a dovrebbe essere
determinato unicamente dal sesso di chi lo alleva? La qualità delle relazioni umane non è data
dall’appartenenza all’uno o all’altro sesso: il fatto di essere maschio non rende automaticamente un
buon genitore, così come nascere femmina predispone semplicemente alla gravidanza e
all’allattamento, ma non implica provare desiderio di maternità, né avere capacità concreta di
prendersi cura e di crescere amorevolmente dei figli e farne degli esseri umani con qualità
apprezzabili. Ancora più importante: la coppia che diventa coppia genitoriale deve possedere e
mantenere delle qualità non già proprie di ciascuno degli individui, ma della loro relazione: per
essere all’altezza del compito di allevare dei figli i due devono riuscire a creare un rapporto
armonico, un ambiente positivo. E naturalmente dare entrambi un contributo di affettività ma anche
di lavoro concreto di cura, cosa che configura in realtà una novità sociale: si parla molto nella
ricerca psicologica contemporanea della “nuova paternità”, nella quale i padri in un certo senso
stanno copiando il ruolo materno, vogliono essere partecipi di un legame profondo e quotidiano con
la prole molto diverso dal distacco che caratterizzava la figura paterna delle vecchie generazioni:
“Tutti noi vogliamo essere buoni padri: curare, educare, coinvolgerci con i nostri bambini in modi
in cui i nostri padri non sono mai stati con noi” (Marsiglio 1995, 7)12. Una doppia maternità
sembrerebbe addirittura rappresentare un modello ideale contemporaneo.
Gli esseri umani sono complessi, non si fanno ridurre al loro genere, cioè alla loro appartenenza
biologica al sesso maschile o femminile. La diversità tra i due genitori non è riconducibile solo alla
loro diversità di sesso. Se di questa diversità di sesso ne facciamo un feticcio intoccabile che è
12
Dalla prefazione del sociologo Michael Kimmel a un volume di studi contemporanei sulla paternità. E un altro
studioso delle maschilità così parla dell’esigenza di amore che provano gli uomini: «Il primo uomo da cui essi esigono
amore è generalmente il padre; visti però gli imperativi sulla mascolinità imposti agli uomini dalla cultura oltre che la
conseguente disfunzionale natura emotiva degli uomini, i padri frequentemente disattendono il bisogno dei figli. Non
sanno come rispondere; si rifiutano di rispondere; considerano i propri figli come rivali nelle attenzioni e nell’amore
delle loro partner; o forse vogliono fare dei propri figli dei “veri uomini”, un obiettivo che spesso esclude qualsiasi tipo
di tenerezza, vicinanza fisica e libera espressione di affetto, poiché troppo “sdolcinati” o “effeminati”. I padri possono
anche essere distanti dai figli o del tutto assenti. Non sorprende che numerosi studi di casi psicologici di uomini, così
come molti scritti di tipo autobiografico o confessionale, parlino in continuazione del dolore, del senso di perdita e di
tradimento causato dall’alienazione derivante dai propri padri: “Mio padre non mi ha mai amato”, “Mio padre non mi
ha mai detto che mi amava” sono parole chiave ricorrenti in questi testi. Un tale dolore può sfociare nella rabbia che a
sua volta risulta molto confusionaria poiché per questi uomini dimenticare l’infelice rapporto padre-figlio è arduo e
pertanto esigono una restituzione che è difficoltosa se non impossibile. Spesso hanno sete di vendetta nei confronti dei
loro padri, qualcosa rispetto a cui la cultura da un lato impone severe sanzioni ma che, dall’altro, incoraggia attraverso
la dinamica della rivalità maschile.» (Buchbinder 2004, 67).
14
proibito analizzare, semplicemente rifiutiamo di prendere atto del fatto che “maschi” e “femmine”
sono fabbricati dalla società in cui nascono: la Natura fornisce un substrato le cui caratteristiche ci
sono ancora in larga parte ignote13 e che, lo si vede dalla varietà di tipi umani maschili e femminili
descritti dall’antropologia (ad esempio Mead 1935), non hanno altrettanta importanza dei
condizionamenti sociali.14 Attenzione: dalla società, e non solo dai genitori o da chi li alleva, poiché
non si tratta di scelte individuali, ma di identità sociali stereotipate, trasmesse più o meno
consciamente da parte di tutti i componenti di una società, che ripetono le aspettative tradizionali su
che cosa sia più adatto a un bimbo a seconda che sia maschio o femmina. La ricerca ha illustrato
molti di questi stereotipi: dall’incoraggiamento dell’aggressività nei maschi, allenati alla
repressione della manifestazione di altri sentimenti, soprattutto di quelli che li mostrano come
“deboli”, alla limitazione dell’autonomia nelle femmine, incoraggiate a far leva sul fascino fisico,
sull’apparenza e sulle lusinghe e a inseguire quello che è stato chiamato “il mito della bellezza”
(Wolf 1991). Inoltre: nel passaggio dal sesso come apparato fisico all’identità maschile e femminile
vi sono condizionamenti sociali ispirati all’idea che il cattolicesimo chiama di “complementarietà”
tra i due sessi.
Ma questi stereotipi saranno poi confermati dalle caratteristiche delle persone in carne ed ossa che
incontriamo quotidianamente? Non verifichiamo piuttosto che mascolinità e femminilità sono
presenti come componenti della persona in proporzioni variabili, e questo sia negli eterosessuali che
negli omosessuali? Non vogliamo negare che caratteri di inversione nei modelli di ruolo siano più
spesso legati a un’attrazione verso il proprio sesso,15 ma non in tutti gli omosessuali: gay effeminati
e lesbiche mascoline sono più visibili e immediatamente riconoscibili, ma non sono affatto gli unici
modi di presentarsi degli omosessuali (e a volte lo sono di eterosessuali). Della presenza e incidenza
di queste caratteristiche psicologiche “invertite” le ricerche italiane citate non parlano, però rispetto
ai ruoli sociali – che ci interessano molto di più – traggono queste interessanti conclusioni: “Si
smentisce il mito secondo il quale i ruoli, e le asimmetrie, del “marito” e della “moglie” sono
universali nelle relazioni di coppia” (Saraceno 2003, 134). Non c’è divisione dei ruoli tradizionale
tra le coppie dello stesso sesso che vivono insieme: lo dicono tutte le ricerche, anche l’inglese
Lesbian household project, dove sono state intervistate 37 coppie di lesbiche con figli ancora
dipendenti, per la maggior parte avuti con l‘inseminazione. Le donne dichiarano (e i loro diari
13
Per un’analisi etologico-antropologica dell’”istinto di maternità” vedi Blaffer Hrdy (1995).
Quello che sappiamo della nostra natura come esseri dotati di sesso dimorfico, è coperto da spessi strati di
socializzazione. Se abbiamo ancora un istinto, questo non ci è d’aiuto per districarci nei complicati codici comunicativi
che costituiscono il nostro ambiente, che non è più immediatamente naturale ma mediato dalla cultura umana, tanto che
non siamo più in grado di scegliere ciò che è biologicamente più adatto alla nostra specie – altrimenti non rischieremmo
come stiamo facendo ora un’autoestinzione per sovrappopolazione, inquinamento, modifica artificiale del clima…
15
In Bailey (2003) sono citate le ricerche che mostrano un’associazione tra un comportamento atipico per il proprio
sesso da piccoli e l’omosessualità da grandi.
14
15
sull’uso del tempo tenuti appositamente per la ricerca lo confermano) una grande facilità nella
condivisione dei compiti, mentre donne che prima erano state sposate notano come non debbano più
lottare contro il marito e soprattutto contro le sue aspettative (socialmente costruite) che della casa e
dei figli si occupi la moglie: «“…la maggior parte delle volte mi lasciava con Jim (il figlio) per
andare al pub”. L’unico modo in cui l’intervistata può concludere che Neil fosse “piuttosto bravo”
era confrontare il suo contributo con quello di altri uomini piuttosto che con quello di una partner
donna» (Dunne 1999, 77).
Forse la domanda iniziale può allora essere riformulata come preoccupazione che i bambini siano
psicologicamente danneggiati dalla mancanza di una figura materna o paterna. Per dare a queste due
figure significato e contenuto che non siano tautologicamente quelli dell’appartenenza al sesso
femminile o maschile, possiamo interpretarle come funzione materna o paterna. La funzione
materna è soddisfare le esigenze affettive e di cura materiale, soprattutto nei bambini più piccoli,
quella paterna è di introdursi con autorità nella diade madre-bambino/a e scinderla, introducendo
disciplina e senso della realtà. Una considerazione molto generale è che attualmente anche le
famiglie coniugali vedono adempiuta molto poco la funzione paterna, dato che lo stile di
allevamento dei bambini che si osserva più di frequente li mette sempre al centro dell’attenzione
degli adulti, che riescono a fatica a imporre qualche limitazione. Persino nelle famiglie coniugali le
figure concrete che adempiono queste due funzioni non sono automaticamente determinate dal
sesso. Una madre (biologica) può addirittura esprimersi meglio rappresentando una figura paterna, e
un padre (biologico) una figura materna. Saranno eccezioni, ma esistono e provano che non esiste
determinismo biologico nelle faccende umane in cui vi è intreccio tra sesso e genere, tra biologia e
società. E infatti nelle famiglie lesbiche alcune madri biologiche preferiscono il ruolo paterno, in
altre lo lasciano alla co-madre (Wright 1998).
Per riassumere: parlando di genere e di ruoli sociali bisogna avere in mente che la distinzione è
triplice: il sesso biologico (quello designato dalla capacità di produrre ovuli o sperma, a sua volta
derivata dai cromosomi – anch’essi non privi di ambiguità, in casi abbastanza rari), l’identità di
genere (il sentirsi uomo o donna in generale, ma anche il mix unico in ogni essere umano tra
caratteristiche classificate come maschili o femminili, l’oscillazione tra i due poli nei vari aspetti del
carattere e del comportamento), e infine quello che generalmente si indica come l’orientamento
sessuale,16 detto anche preferenza o scelta (benché non si sappia quanta parte vi ha la genetica e
quanta la socialità) cioè l’omosessualità, l’eterosessualità o ancora una volta una distanza variabile
tra questi due poli. Queste tre componenti non sono deducibili l’una dall’altra. E parlando di
16
Cioè preferenza sessuale: ora la terminologia è cambiata perché questo termine sembra limitare alle pratiche sessuali
l’omosessualità, che in realtà è anche “omoaffettività”, “omosentimentalità”. L’omosessualità costituisce una scelta di
vita, la ricerca di partner che non siano solo sessuali.
16
genitorialità dobbiamo aggiungere una quarta e anche una quinta dimensione: la distinzione tra
genitore biologico e genitore sociale, e all’interno della genitorialità sociale una funzione materna e
paterna. Ora la genitorialità sociale e quella biologica tendono a sovrapporsi, a confluire nelle stesse
due persone, uomo e donna legati da matrimonio. Ma le forme di famiglia si stanno diversificando:
il ricorso alla fecondazione assistita riguarda anche (e soprattutto!) moltissime coppie eterosessuali
– che potendo fingere che il padre sociale sia il vero padre biologico tendono per lo più a non porsi
neppure la domanda del se e come dire ai figli che il vero genitore biologico è un altro. Va
riconosciuto che la questione dell’origine non può essere facilmente messa da parte, perché la
conoscenza dei genitori biologici è una richiesta chiara da parte di molti bambini, che spesso si fa
più pressante col passar del tempo e non cessa nemmeno da adulti17.
Lo scherno
Ma forse dietro alla frase “c’è bisogno di un padre e di una madre” si vuol dire semplicemente che è
meglio per i bambini crescere in una famiglia conforme alla norma, altrimenti la diversità li renderà
infelici. E si tratta proprio di diversità, e non di mancanza di uno dei genitori: infatti nelle famiglie
fondate da lesbiche il padre non c’è mai stato, i legami primari sono con la madre e la co-madre,
che assolvono le funzioni materna e paterna. Non ci sono traumi da abbandono o da divorzio. Il
“fantasma” del padre inesistente (quello dell’inseminazione anonima) può in alcuni casi diventare
ossessivo, perché è un modo di catalizzare altri problemi e disagi, mentre non può essere una
nostalgia per qualcuno che non si è conosciuto – anzi proprio per questo il padre può essere
immaginato in forma idealizzata, con tutte le qualità che possono mancare alle madri. In altri casi
invece il padre c’è: la coppia lesbica trova un “padre sociale” (che può coincidere o no con il padre
biologico) che faccia da figura di riferimento maschile per i propri figli, oppure si sceglie, nei paesi
che lo consentono come l’Olanda o che lo impongono come la Svezia, un donatore di cui si
conoscono alcune caratteristiche e che è disposto ad essere contattato su richiesta dei figli alla
maggiore età, un modo per non lasciarli completamente privi di informazioni sulla loro origine.
Nella ricerca francese le madri parlano apertamente con i figli del concepimento per inseminazione,
e il donatore di sperma è evocato come figura positiva: “un uomo generoso che ci ha voluto aiutare
a darti la vita”.
Il bisogno del padre e della madre è il bisogno di essere uguali agli altri: gli stessi bambini temono
la propria diversità, perché sanno di poter essere rifiutati dal gruppo dei pari. Alla luce delle
17
In una ricerca su 41 bambini di età da 7 a 17 anni nati con inseminazione assistita è emerso che mentre il 54% al
momento dell’intervista non voleva informazioni sul donatore, il 46% invece le desiderava, e la maggioranza di questi
voleva conoscere l’identità, in particolare i maschi (Vanfraussen et al. 2001).
17
considerazioni sopra esposte, forse il pericolo che i bambini vengono “scherzati” è l’unico motivo
per pensare che un bambino/a debba avere anche un padre.
La paura di essere oggetto di scherno è purtroppo un timore assolutamente fondato. Lo Studio
nazionale sulla famiglia gay e lesbica realizzato con un questionario distribuito negli Usa a 256
famiglie mostra che la maggior parte di loro lamenta che i propri bambini sono presi in giro per la
loro situazione familiare (Johnson e O’Connor 2001). I timori sono ancora più forti della realtà
sociale: i bambini che hanno partecipato alla ricerca qualitativa di Janet Wright (1998) hanno paura
di essere presi in giro, anche più di quanto effettivamente non accada. Addirittura in un diario
tenuto da una bimba appositamente per la ricerca lei ha confessato la paura di essere tutti uccisi
perché sono una famiglia lesbica. Ma è un problema nato dalle famiglie lesbiche o dalla società?18
Anche i figli di divorziati, quando il divorzio non era così comune, hanno sofferto stigmatizzazioni,
anche i figli di immigrati quando si trovano in minoranza vengono offesi e discriminati, anche i
bambini che provengono da famiglie povere, con un basso status sociale, vengono denigrati se
frequentano ambienti più agiati. La diversità di essere figli di omosessuali non è in nessun modo
peggiore di altre condizioni familiari – per non parlare dei rischi di stigmatizzazione che soffrono
bambini che portano in sé una diversità, direttamente e non nella loro origine: bambini troppo
grassi, troppo magri, maschi troppo femminili, femmine troppo maschili, disabili, stranieri. Che
cosa vi è di particolarmente svantaggioso nella diversità omosessuale?19
Come la diversità, vi sono altre condizioni che possono essere vissute sia da famiglie gay che etero,
come il fatto che i genitori possono non essere tali geneticamente e come le dinamiche peculiari
delle famiglie ricostituite, ma è vero anche che esistono dei tratti peculiari alle famiglie
omosessuali: il primo è che dovranno necessariamente parlare ai figli dell’omosessualità – mentre le
famiglie eterosessuali potrebbero non affrontare mai una discussione a cuore aperto su questo
argomento, cosa che rappresenta un chiaro svantaggio, in modo particolare se tra i figli vi è qualche
omosessuale. Se i bambini sono nati da una mamma o in una coppia apertamente lesbica,
arriveranno a comprendere che la propria situazione non solo non è tipica, ma che può essere
18
Nel 1984 la Corte suprema degli Stati Uniti (Palmore v. Sidoti) ha riconosciuto che le discriminazioni razziali
esistenti non possono fornire una base per decisioni giudiziarie, e ha annullato l’affidamento al padre nero invece che
alla mamma bianca di una bambina che avrebbe potuto essere discriminata per il suo colore: “I pregiudizi privati
possono trovarsi al di fuori del campo di azione della legge, ma la legge non può, direttamente o indirettamente, dar loro
effetto” (citato da Minot 2000, 90).
19
La Corte suprema d’appello del New Jersey ha usato queste parole per sdrammatizzare la questione della possibile
stigmatizzazione di due figlie di madri lesbiche (caso di M. P. v. S. P., 1979): “Se (la madre lesbica) ottiene
l’affidamento, può accadere che siccome la comunità è intollerante delle sue differenze queste ragazze potrebbero a
volte doversi comportare con una forza più grande dell’ordinario. Ma questo non implica necessariamente che il loro
benessere morale o la loro sicurezza siano messi in pericolo. Potremmo altrettanto ragionevolmente aspettarci che ne
usciranno equipaggiate meglio per trovare i propri criteri di giusto e sbagliato, più capaci di percepire che la
maggioranza non è sempre corretta nei propri giudizi morali, e più capaci di capire l’importanza di conformare le
proprie credenze ai requisiti della ragione e della conoscenza accertata, non agli automatismi dei sentimenti che di volta
in volta sono di moda o ai pregiudizi” (citato da Minot 2000, 89).
18
attaccata da persone che la giudicano male. Dovranno imparare il pregiudizio, dovranno capire
come affrontarlo, quali tattiche di volta in volta mettere in atto per affrontarlo o per evitarlo.
Negozieranno con le due mamme gli ambiti nei quali ritengono più opportuno non esporre la
relazione che le lega, e le persone e gli ambiti che al contrario sono fidati e affidabili, nei quali si
può parlare apertamente e liberamente. Nelle famiglie ricostituite invece è possibile che la
rivelazione dell’omosessualità della madre o del padre venga ritardata, o procrastinata sine die,
perché implica un cambiamento nella percezione del genitore, non più eterosessuale. In questo caso
gli esperti di infanzia sono concordi sul fatto che sia meglio parlare dell’omosessualità dei genitori
il prima possibile, fermo restando il grado di sviluppo intellettuale ed emotivo dei figli (Corley
1990). Meglio non aspettare l’adolescenza, che è il periodo peggiore per rivelarsi, data l’esigenza
della ragazza o del ragazzo di avere una chiara immagine di sé, per lo più conformista, dal momento
che la rivelazione dell’omosessualità di un genitore sarebbe vissuta come destabilizzante. In questo
periodo conflittuale, l’omosessualità di un genitore è brandita come un’arma dall’adolescente – ma
anche nei confronti di quel genitore che l’aveva messo al corrente prima dell’”età critica”.
Altri miti e pregiudizi
Il riflesso condizionato che rende così difficile da accettare l’omogenitorialità è fatto probabilmente
scattare dall’idea che i figli di omosessuali debbano necessariamente provenire dalle figure che
l’opinione comune etichetta come apertamente devianti, per quanto riguarda le convenzioni
dell’apparire maschio o femmina (convenzioni che non hanno niente di naturale e riguardano solo
quei modi di acconciarsi e abbigliarsi che ogni epoca ritiene appropriati solo agli appartenenti
all’uno o all’altro sesso). L’idea è che i figli siano destinati ad assomigliare ai genitori,
riproducendo modelli di mascolinità o di femminilità che la società giudica inaccettabili. In questo
giudizio di inaccettabilità vi è una componente di rifiuto derivante dal conformismo: la devianza
viene stigmatizzata in quanto tale, e dove l’identità di genere è rigidamente fissata in due sole
varianti (a differenza di molte altre culture dove un “terzo sesso” fa parte delle possibilità di
identificazione20), l’assumere caratteri pertinenti all’altro sesso, sia tratti esteriori (non solo vestiti e
acconciature, ma anche il tono di voce e la gestualità) che tratti che esprimono l’interiorità (un
atteggiamento più caldo e affettuoso, cioè “femminile”, materno appunto, versus un virile distacco
20
Come tra i nativi americani, per i quali, tra l’altro, tradizionalmente i bambini non hanno un solo padre e una sola
madre, ma vengono allevati dalla comunità, scegliendo essi stessi fin dalla più tenera età con chi vogliono vivere.
Questo modo comunitario di allevare i bambini, fa sì che tra i pellerossa non vi siano orfani né bambini illegittimi. E
l’educazione avviene all’insegna della condivisione con gli altri: “Queste agenzie (dei bianchi) – parla un indiano che è
funzionario del Consiglio per la protezione dei bambini nativi americani – vanno nelle case degli indiani e dicono che le
loro case sono inadeguate perché due o tre bambini che dormono in un solo letto… Per i bambini indiani non è
necessario avere un letto ciascuno. Penso anche che non sia un bene per i bambini dormire separati. I nostri bambini
imparano la condivisione fin dall’inizio” (Wright 1998, 7). Cosa veramente inconcepibile per le nostre famiglie, in cui
si trasmette e si applica anche ai bambini il principio sociale dominante della proprietà privata.
19
fisico e il controllo ossessivo dell’espressione delle proprie emozioni che rappresenta un traguardo
di virilità) rende passibili di violenza verbale o anche fisica.
Però, se per via familiare si tramandano molti tratti caratteriali e modi di essere e di esprimersi,
l’identificazione di genere e l’orientamento sessuale non seguono questa trasmissione diretta di
padre in figlio o di madre in figlia21. I bambini sono influenzati da una molteplicità di modelli, non
solo dal modo che i genitori hanno di abbinare sesso biologico ed identificazione sociale tra i poli
del maschile e del femminile: scelgono soprattutto in accordo al proprio sentire interno, e questo
tanto più quanto sono più liberi da condizionamenti su come debbano comportarsi un vero maschio
o una vera femmina.
La prova? I gay effeminati, le lesbiche mascoline, i transessuali – che oltre a identificarsi con il
sesso opposto vogliono cambiare il proprio corpo in accordo con la percezione interna dell’identità
di genere – provengono da famiglie qualsiasi, senza che i ricercatori abbiano potuto mai individuare
tratti specifici dei genitori che possano far prevedere lo sviluppo nei figli di questi “caratteri
devianti”22.
Ragionando a contrario, se anche i modelli di maschile e femminile dei genitori omosessuali si
discostano da quello che la società percepisce come mascolinità e femminilità pura, ciò significa
solo che i figli saranno esposti a una tra le possibili identificazioni, una variazione del modello
dominante (che non sarà affatto loro sconosciuto!), e avranno un’esperienza che potrà solo
arricchire il loro panorama del possibile, ma non predeterminarne le scelte.
È ovvio invece che la percezione quotidiana dell’amore omosessuale che lega i propri genitori
sociali potrà influire sull'
orientamento sessuale, dal momento che i bambini che vengono cresciuti
da una coppia gay apprenderanno che esiste anche questa possibilità di approdo nel viaggio verso la
maturità: se il loro corpo o il loro vissuto li porterà verso l’opzione omosessuale avranno meno
problemi psicologici nell’intraprendere questa strada. Se la loro affettività e sessualità saranno
invece rivolte al sesso opposto, semplicemente diventeranno più tolleranti verso le scelte altrui. Non
diventeranno tutti omosessuali – così come non diventano tutti eterosessuali i bimbi e le bimbe che
nascono da coppie formate da una donna e da un uomo.
Le famiglie omosessuali in realtà dicono una cosa che è già parte del senso comune della fine del
Ventesimo e Ventunesimo secolo: che per essere veramente madri e padri non è sufficiente il
contributo biologico – materiale genetico e gestazione – ci vogliono responsabilità e impegno nei
confronti dei bambini: seguirli quotidianamente, soddisfare i loro bisogni materiali, affettivi,
21
Per una rassegna di studi sull’origine dell’orientamento sessuale vedi Bailey (2003).
Forse non sarà male ricordare che l’omosessualità non è una patologia, né si lega con particolari tratti psicologici
morbosi: anche la scienza lo sa ufficialmente dagli anni Cinquanta , quando la psicologa Evelyn Hooker usando i test
proiettivi di Rorschach dimostrò che è impossibile distinguere se un rispondente era omo o eterosessuale (Hooker 1957;
1958).
22
20
intellettuali, spirituali è una condizione imprescindibile per essere riconosciuti come buoni genitori.
Persino i padri ormai pensano se stessi in questo modo.
Ciò che invece le gaie famiglie introducono di radicalmente diverso rispetto allo spirito del nostro
tempo è la sfida all’impossibilità di pensare la plurigenitorialità: poche generazioni di famiglie
nucleari ormai ci fanno pensare che la figura materna e quella paterna non possano più
moltiplicarsi. Ci sembra che i bambini debbano essere confusi quanto noi da questa pluralità: una
domanda tra le più stupefacenti che vengono fatte agli omosessuali per esprimere riprovazione
verso i loro progetti familiari è “Come faranno i bambini a distinguere una mamma dall’altra, un
papà dall’altro?”, come se non fossero due persone distinte! È chiaro che la domanda insensata
indica un disagio concettuale proprio in chi la pone. Invece i bambini non esperiscono dei nomi
prima che delle persone, e se danno il nome di “mamma” a qualcuno non impediscono a chiunque
altro di entrare nella stessa “scatola concettuale”. I bambini incontrano delle persone, e le
riconoscono e le amano nella loro unicità. La domanda vera riguarda non il bambino/a piccolo/a,
che troverà normale qualunque ambiente familiare nel quale gli sarà capitato di nascere dal
momento che è lì che si forma la pietra di paragone della sua esperienza, bensì il giudizio che di
questa situazione darà l’ambiente sociale circostante – non la famiglia allargata, che raramente è
ostile al neonato, che diventa inevitabilmente il nipotino anche dei genitori della compagna della
madre, come mostra anche l’inchiesta francese.23 Saranno forse vicini di casa, colleghi di lavoro,
personale dei nidi, degli asili e delle scuole, medici e pediatri a potersi stupire della situazione
inusuale del bimbo o della bimba figli di omosessuali. Non è garantito che lo facciano (ci si può
stupire invece delle descrizioni di vita normale nella comunità che fanno molte mamme lesbiche),
però è possibile, in molti luoghi probabile24. Ciò che non è ancora entrato nell’immaginario
collettivo porta difficoltà e fatiche a chi lo rappresenta. Non è detto che le prime siano
insormontabili e le seconde vane: il clima sociale può migliorare, e il pregiudizio arretrare. Queste
famiglie infatti non sono affette da una tara per il solo fatto di poggiare su due figure femminili (non
necessariamente entrambe materne) o, in casi molto più rari, due figure maschili, certamente non
entrambe paterne: quello che conta per il benessere del bambino/a è la qualità della genitorialità
23
In Rossi Barilli (2004) invece si trova il racconto di un rifiuto e distacco da parte dei genitori della compagna della
madre.
24
Scrive l’autrice di una ricerca in profondità su cinque famiglie lesbiche statunitensi: “Il posto in cui i bambini
spendono gran parte del loro tempo fuori casa sono le scuole. Quale impatto dunque possono avere le scuole nel creare
e mantenere le paure di questi bambini? Ciò mi ricorda una storia che ho sentito una volta per illustrare che cosa
significa crescere in una casa di alcolizzati. Benché ci fosse un elefante nella stanza (l'
alcolismo) nessuno ne parlava e
tutti si comportavano come se non ci fosse. È questo segreto che fa nascere una moltitudine di paure e insicurezze. I
figli delle lesbiche di solito non fanno esperienza dell'
elefante nella stanza a casa, dove il lesbismo è accettato come
normale. Ma credo che possano esperire qualcosa di simile a scuola, e nella società in generale, dove la loro esperienza
più basilare e importante - il loro porto più sicuro - è semplicemente cancellato. O non esiste oppure è definito come
cattivo, in quei pochi casi in cui se ne parla“ (Wright 1998,151-2).
21
sociale e non biologica. Contano i pregi di chi si prende cura dei figli giorno per giorno, e non di chi
li ha biologicamente generati.
Pare buffo, infine, che ci si preoccupi tanto della potenziale stigmatizzazione dei figli di
omosessuali, quando non si ritiene di dover agire contro quella verso gli omosessuali stessi.
22
Cap. 2) Le ricerche sui figli di omosessuali
Se nel primo capitolo abbiamo parlato dei molti, troppi miti che circondano la genitorialità omo, in
questo cercheremo invece di far luce su alcune importantissime incognite.
Per prima cosa dobbiamo affrontare le questioni relative alla validità e affidabilità degli studi
empirici che sono stati fatti: come sono stati reperiti i campioni di famiglie omosessuali, quali
metodi sono stati usati per studiarli, e la simpatia od ostilità degli stessi ricercatori in una questione
così politicamente delicata.
Contro la difesa a spada tratta della “non differenza”, un importante studio di Judith Stacey e
Timothy J. Biblarz sostiene, da una prospettiva tutt’altro che ostile alle famiglie omosessuali, che vi
sono differenze tra i figli/e di coppie omosessuali ed eterosessuali, ivi incluse differenze nei livelli
di attività sessuale e nell’espressione dell’appartenenza di genere. In questo studio, pubblicato
dall’American Sociological Review nel 2001, per la prima volta si ammette ciò che fino a quel
momento era stato “trascurato” dalle ricerche: l’orientamento sessuale dei genitori conta.
I figli/e dei genitori omosessuali si sentono infatti meno confinati dai ruoli di genere e hanno più
probabilità di prendere in considerazione relazioni omosessuali, sebbene non abbiano più
probabilità di identificarsi come lesbiche, gay o bisessuali. Benché sostengano che tali differenze
non rendono gli omosessuali genitori migliori o peggiori, ma solo diversi, gli stessi ricercatori sono
i primi a essere consapevoli e preoccupati per l’uso che gli attivisti antiomosessuali potrebbero fare
di questo studio, sfruttandolo a loro vantaggio.
Il lavoro riesamina ventuno precedenti ricerche sulla genitorialità omosessuale, rilevando le
differenze, estremamente interessanti seppur modeste, che in esse erano emerse. Esse si
concentrano proprio nell’ambito, particolarmente delicato dal punto di vista politico, del
comportamento sessuale e dell’identità dei figli/e. Useremo questo articolato studio come traccia
per analizzare il corpus di ricerche psicologiche che affrontano la tematica dell’omoparentalità, da
entrambi i fronti, dai critici ai sostenitori.
Ciò che Stacey e Biblarz escludono categoricamente, in ciò concordando con le ricerche esaminate,
è la presenza di un qualsiasi danno che possa essere causato ai figli dall’orientamento sessuale dei
genitori. Al contrario, poiché le coppie omosessuali pianificano le gravidanze, i figli sono sempre
desiderati dai genitori, fattore che, secondo innumerevoli ricerche, costituisce un grande vantaggio
rispetto ai figli di gravidanze indesiderate o accidentali. I figli sono inoltre tenuti in gran conto,
proprio per la scelta consapevole e molto complessa che implicano il concepimento (come la
questione di chi sarà il donatore e quale ruolo avrà) o l’adozione (come realizzare il progetto
familiare e l’accettazione sociale e legale) (Ariel 2003). Le coppie omosessuali tendono a essere in
23
qualche modo, al contrario di alcuni stereotipi popolari, più unite, flessibili ed egalitarie (Blumstein
e Schwarz 1983). Le comadri (le “madri sociali”) sono di norma più coinvolte dei padri o dei
partner eterosessuali nelle vite dei loro figli e se ne prendono maggior cura. I figli di coppie
omosessuali rivelano livelli di adattamento, autostima e altri indicatori di benessere emotivo, ma
anche di ansia e depressione, simili a quelli dei figli di coppie eterosessuali; analogamente avviene
per le funzioni cognitive; essi mostrano però tendenzialmente livelli più alti per ciò che riguarda la
tolleranza nei confronti degli altri, la popolarità sociale e i successi scolastici (O’Briant 2001).
I figli/e di coppie omosessuali, e specialmente le figlie, hanno più probabilità di non aderire ai
tradizionali ruoli di genere nell’abbigliamento, nelle attività e nelle aspirazioni occupazionali, ma il
numero di casi in cui l’identità di genere è acquisita e vissuta in maniera problematica non differisce
da quello dei figli di coppie eterosessuali. Le figlie di genitori omosessuali rivelano precocità
nell’inizio della vita sessuale attiva; al contrario i figli maschi rivelano la tendenza opposta e inoltre
mostrano tassi di aggressività inferiori rispetto ai figli maschi di coppie eterosessuali. Differenze,
quindi, che possono avere un impatto positivo sui figli stessi e sul mondo circostante (Gelnaw
2003).
Naturalmente viene messo in evidenza anche il lato negativo: come si può prevedere, i figli di
genitori omosessuali subiscono stigmatizzazioni da parte dei coetanei a proposito del loro stesso
orientamento sessuale.
L’eterosessismo e la teoria della “non differenza”
L’interesse di Judith Stacey per lo studio dei figli di coppie omosessuali ebbe inizio durante la sua
partecipazione a un simposio informale, organizzato da sociologi e avvocati per discutere gli
attacchi da parte dei conservatori alle ricerche a favore della genitorialità omosessuale. “Ho capito
che ci potevano essere motivi fondati per mettere in dubbio i risultati di quelle ricerche a favore
degli omosessuali che negano ogni differenza.” (O’Briant 2001).
La sua analisi mette dunque in discussione la struttura concettuale difensiva e pone in evidenza
come l’eterosessismo abbia ostacolato il progresso scientifico e culturale in questo campo. Le
ricerche spesso minimizzano e trascurano, infatti, i risultati che indicano differenze, e negli studi
possono essere rilevati limiti importanti per quanto riguarda le definizioni, i campioni, le analisi.
Rinunciare alla strategia difensiva significa perciò, allo stesso tempo, ambire a un maggiore rigore
scientifico e prendere le distanze dalla logica eterosessista che ha determinato, fino ad allora,
l’asserzione della “non differenza” come unica possibilità di sostenere la causa delle famiglie
omosessuali.
24
I lavori di ricerca attuali riportano infatti, quasi uniformemente, risultati che indicano differenze non
rilevanti tra i figli cresciuti in coppie omosessuali e in coppie eterosessuali; inoltre i genitori
omosessuali risultano altrettanto competenti ed efficaci di quelli eterosessuali. Gli avvocati e gli
attivisti che lottano per difendere l’affidamento dei figli e le richieste di adozione da parte di
omosessuali, o per ottenere gli stessi diritti al matrimonio per coppie omosessuali, hanno attinto con
un certo successo a queste ricerche. Questa strategia ha promosso, benché i progressi non si siano
verificati con un ritmo regolare, una graduale tendenza alla non discriminazione in base
all’orientamento sessuale nelle decisioni politiche e giudiziarie. Tuttavia le campagne di
opposizione contro i diritti delle famiglie omosessuali hanno iniziato a mettere in discussione la
validità di queste ricerche. Lerner e Nagai25 affermano che i metodi di analisi usati negli studi sono
inadeguati, e che gli studi stessi presentano tali vizi sostanziali e formali da non poter essere
utilizzati nelle sedi legislative o per ciò che riguarda iniziative legali a sostegno della maternità e
paternità omosessuale. Poco dopo Gallagher, dell’Institute for American Values, riportò le
osservazioni di Lerner e Nagai nella sua colonna sul New York Post, a diffusione nazionale, al fine
di minare l’utilizzo della “carta della scienza” da parte dei sostenitori del matrimonio omosessuale e
della “normalizzazione” omosessuale.
Benché divergano fortemente dalle teorie di Wardle e Gallagher sui meriti e i valori morali dei
genitori omosessuali, così come sulla loro analisi della ricerca sullo sviluppo infantile, Stacey e
Biblarz riconoscono che le pressioni ideologiche limitano lo sviluppo intellettuale in questo campo.
La pervasività del pregiudizio sociale e la discriminazione istituzionalizzata contro lesbiche e gay
esercitano un potente effetto di tipo politico proprio sulle basi della ricerca psicologica e
sull’opinione pubblica. In realtà, il danno maggiore per la ricerca in questo ambito non è
rappresentato dalle convinzioni ideologiche pubbliche degli studiosi, quanto piuttosto dalle infauste
conseguenze intellettuali derivanti dagli assunti etero-normativi impliciti che governano i termini
del dibattito, in primis: lo sviluppo regolare di un bambino dipende dall’essere figlio di un
matrimonio eterosessuale. Benché pochi ricercatori sottoscrivano personalmente questa opinione, la
maggior parte della ricerca indaga il rischio o il danno che le coppie omosessuali possono arrecare
ai propri figli, rispetto ai figli delle coppie eterosessuali. Poiché gli studiosi conservatori cercano le
prove del danno, i ricercatori simpatizzanti ne sottolineano difensivamente l’assenza.
La parte che le convinzioni politiche esercitano in questo corpus di ricerche è così importante che i
“valori familiari” a sfondo ideologico degli studiosi giocano un ruolo maggiore del solito nel modo
in cui essi disegnano, conducono e interpretano i loro studi. Ciò è altrettanto vero per coloro che
25
Lerner Robert e Nagai Althea K., “Out of Nothing Comes Nothing: Homosexual and Heterosexual Marriage Not
Shown to be Equivalent for Raising Children”, relazione presentata al convegno Revitalizing the Institution of Marriage
for the 21st Century, Brigham Young University, 2000.
25
criticano questi stessi studi, a causa della natura altamente ideologica ed emotiva di questo
argomento.
Le ricerche avverse
A tutt’oggi vi sono alcuni psicologi che sostengono che l’omosessualità rappresenti un peccato o
una malattia mentale e continuano a pubblicare lavori allarmisti sui presunti effetti nocivi
dell’omoparentalità. Uno tra questi è certamente Paul Cameron26. Benché egli sia stato espulso dalla
American Psychological Association e l’American Sociological Association l’abbia denunciato per
aver intenzionalmente manipolato le ricerche, le sue pubblicazioni continuano a essere citate in
amicus brief27, sentenze di tribunale e assemblee politiche. Ad esempio, il presidente dell’Arkansas
Child Welfare Agency Review Board ha ripetutamente citato le pubblicazioni del gruppo di
ricercatori di Cameron nei suoi rapporti presentati durante importanti udienze, e ciò ha avuto come
conseguenza che l’affidamento dei bambini fosse limitato esclusivamente a genitori eterosessuali.
Allo stesso modo, Lynn Wardle, docente di legge all’Università Brigham Young nello Utah, trae
spunto esplicitamente dai lavori di Cameron per costruire le sue argomentazioni contro i diritti dei
genitori omosessuali. La ricerca dimostra, secondo Wardle, che i genitori omosessuali espongono i
propri figli a rischi sproporzionati, che i figli di omosessuali hanno maggiori probabilità di
confusione nella loro identità di genere e sessuale, che si identificano più facilmente come noneterosessuali. Wardle ha anche aggiunto che i genitori omosessuali sono sessualmente più
promiscui degli eterosessuali e con più probabilità molestano i propri figli, che le coppie
omosessuali sono più instabili e si separano più di frequente delle coppie eterosessuali e che i loro
figli corrono un rischio maggiore di perdere un genitore a causa dell’Aids, di abuso di sostanze o
per suicidio, e di soffrire di depressione e di altri disagi emotivi. Infine, secondo l’autrice, lo stigma
sociale e l’imbarazzo di avere un genitore omosessuale ostracizza ingiustamente questi bambini,
ostacolando il loro rapporto con i coetanei.
Wardle, come altri oppositori della genitorialità omosessuale, si ispira anche a quella letteratura che
denuncia il presunto “rischio dell’assenza del padre”. L’autrice trae spunto da scritti di Popenoe,
Blankenhorn e Whitehead28 e in generale dalla ricerca sulle madri single, per rappresentare i figli
26
Cameron Paul e Cameron Kirk, “Homosexual parents”, Adolescence, n. 31, p. 757-776, 1996.
Cameron Paul, Cameron Kirk e Landess Thomas, “Errors by the American Psychiatric Association, the American
Psychological Association, and the National Educational Association in Representing Homosexuality in Amicus Briefs
about Amendment 2 to the U.S. Supreme Court.”, Psychological Reports, n. 79, pp. 383-404, 1996.
27
L’amicus brief è un documento, solitamente redatto da un gruppo o da un’organizzazione interessati alle questioni
dibattute in tribunale, ma che non sono parte in causa, al fine di aiutare la corte nelle sue decisioni; nel documento
l’organizzazione descrive la sua posizione al riguardo, fornendo un punto di vista differente sulle questioni dibattute, o
un panorama più generale, o, infine, uno sguardo sugli effetti a lungo termine delle decisioni delle corte.
28
Blankenhorn David, Fatherless America: Confronting Our Most Urgent Social Problem, Basic, New York.
26
delle madri lesbiche come più vulnerabili nei confronti di qualsiasi cosa, dalla delinquenza
all’abuso di sostanze, alla violenza, al crimine, alle gravidanze in età adolescenziale, all’abbandono
scolastico, al suicidio e perfino alla miseria. Tali conclusioni di Wardle non sono però, secondo
Stacey e Biblarz, corrette poiché la letteratura riguardante la struttura familiare su cui tali autori si
sono basati non ha mai preso in considerazione, come soggetto di studio, le famiglie composte da
genitori omosessuali: i campioni erano infatti sempre costituiti da madri single eterosessuali, e le
due condizioni per molti aspetti non sono paragonabili.
Alcuni giudici hanno citato gli articoli della Wardle per giustificare il trasferimento
dell’affidamento dei figli dalla madre lesbica al padre eterosessuale, ciò è accaduto ad esempio
presso la Corte Suprema dell’Alabama che proprio a questo fine ha citato il saggio della Wardle
(1997). Wardle ha inoltre usato le proprie conclusioni per redigere le bozze di progetti di legge
contro i diritti degli omosessuali sull’affidamento e sull’adozione, che sono poi divenuti legge nello
Utah. In breve dunque, gli studiosi che si oppongono ai diritti di maternità e paternità di genitori
omosessuali forniscono sostegno accademico alle convinzioni di molti giudici, giornalisti, politici e
gente comune, sul fatto che l’orientamento sessuale dei genitori abbia un’influenza molto forte sui
figli e che i genitori omosessuali rappresentino un pericolo per i propri figli e per la società.
Generalmente, tali studiosi offrono solo spiegazioni teoretiche molto limitate e spesso implicite per
gli svantaggi provocati dalla genitorialità omosessuale, solitamente combinando elementi delle
teorie evolutive biologiche con teorie sociali e cognitive dell’apprendimento (ad esempio,
Blankenhorn 1995).
Cameron (1996) sostiene senza mezzi termini che l’omosessualità è una “patologia acquisita” che i
genitori trasmettono ai figli attraverso i processi di emulazione del modello, di seduzione e di
“contagio”.
In conclusione, le convinzioni “eteronormative”, riguardanti ciò che costituisce un’identità di
genere, un orientamento sessuale e una composizione familiare sana e moralmente integra, sono
profondamente radicate nei sostenitori di questa letteratura, e ostacolano la loro abilità a condurre o
interpretare le ricerche con ragionevolezza, raffinatezza o attenzione.
Le ricerche favorevoli
Più complessa e delicata è, senza dubbio, la critica alle ricerche, numericamente superiori, che
invece hanno fornito prove e conclusioni favorevoli alla genitorialità omosessuale. Da un lato si
Popenoe David, 1993, “American Family Decline, 1960-1990: A Review and Appraisal”, Journal of Marriage and the
Family, n. 55, pp. 527-541, 1995.
Popenoe David, Life without Father, Free Press, New York, 1996.
Whitehead Barbara Dafoe, “Dan Quayle Was Right”, Atlantic Monthly, April, vol. 271, pp. 47-50, 1993.
27
teme di contraddire le fonti che sole possono essere di sostegno alla causa, di contestare gli esiti
tanto attesi e richiesti, di danneggiare gli strumenti che si possono utilizzare per ribattere alle tante
voci che protestano alla sola idea che coppie omosessuali possano generare o addirittura adottare
bambini; dall’altro vi è la difficoltà di contestare risultati di ottime ricerche, ben congegnate e
strutturate, rispetto alle ricerche degli oppositori che sono spesso contraddistinte da una certa
faciloneria e da luoghi comuni intrisi di bigottismo. È chiaramente un compito più arduo e sottile da
un punto di vista pratico, ma soprattutto piuttosto controverso da un punto di vista ideologico e
morale. Per fare chiarezza e avere la certezza di ciò che si sostiene, ma soprattutto per impedire che
le stesse critiche vengano avanzate, con atteggiamento radicalmente diverso, proprio da chi attende
il primo passo falso da tali ricercatori per avvalersene sia a livello scientifico sia in sedi legali. Si
tratta di un dibattito che all’estero è già esploso, e che vale la pena di osservare, senza
necessariamente prendere posizione, per le importanti ricadute sul piano metodologico e sociale.
Vedremo in seguito le reazioni − più o meno favorevoli − del dibattito alle conclusioni innovative
dell’articolo di Stacey e Biblarz, che disvelano un rischio pericoloso nella ricerca a sostegno dei
genitori omosessuali, ovvero l’atteggiamento difensivo. Seguendo la rassegna di Stacey e Biblarz
sugli studi più noti e importanti che hanno indagato come l’orientamento sessuale dei genitori abbia
influenzato i figli, esamineremo quali esiti, secondo gli autori, permangono validi e incontestabili,
quali invece possono essere suscettibili di attenzione ed eventualmente di correzione, scoprendo che
anche queste parzialità nelle ricerche favorevoli sono − purtroppo − ancora il frutto spurio
dell’eterosessismo e degli ostacoli che le famiglie omosessuali incontrano normalmente nei
confronti del conseguimento della maternità o paternità.
Ecco come gli autori introducono l’analisi delle ricerche favorevoli ai genitori omosessuali: “Forse
l’impatto più dirompente che l’eterosessismo esercita sulla ricerca sulla genitorialità omosessuale
agisce proprio dove è meno evidente: nella letteratura, di gran lunga più consapevole, ampiamente
favorevole alla tematica. È facile esporre le modalità con cui le vedute pregiudizievoli di chi è
dichiaratamente ostile alla genitorialità omosessuale distorcono le sue ricerche29. Inoltre, poiché i
ricercatori “anti-gay” considerano la stessa omosessualità come una forma di patologia, essi
tautologicamente interpretano ogni prova che i bambini possano con maggiore probabilità indulgere
in comportamenti omoerotici come prova del danno. Meno ovvi, comunque, sono i modi con cui
l’eterosessismo ostacola la ricerca e l’analisi anche tra chi sostiene esplicitamente i genitori
omosessuali. Con rare eccezioni, perfino i sostenitori più arditi procedono da una posizione
fortemente difensiva che accetta i genitori eterosessuali come lo “standard aureo” e incentrano la
29
Herek Gregory M. (a cura di), “Bad Science in the Service of Stigma: A Critique of the Cameron Group’s Survey
Studies”, pp. 223-55, in Stigma and Sexual Orientation: Understanding Prejudice against Lesbians, Gay Men, and
Bisexuals, Sage, Thousand Oaks, CA, 1998.
28
propria indagine sulla questione se i genitori omosessuali e i loro figli siano inferiori” (Stacey e
Biblarz 2001).
Gli autori sottolineano, nel passaggio successivo, che questa sorta di modello gerarchico implica
che differenza indica deficit. Invece di indagare se (e come) le differenze nell’orientamento sessuale
dell’adulto possano condurre a differenze significative nel modo in cui le persone gestiscono la
propria genitorialità e nel mondo in cui i loro figli si sviluppano, i disegni di ricerca predominanti
assegnano l’onere della prova ai genitori omosessuali, per dimostrare che essi non hanno meno
successo o minore valore dei genitori eterosessuali. Troppo spesso gli studiosi sembrano presumere
che tale approccio equivalga a non riconoscere quasi alcuna differenza nella genitorialità o negli
effetti sui figli. A questo proposito gli autori citano una rassegna di letteratura sul tema delle
famiglie con madri lesbiche che in modo piuttosto tipico conclude: “…un corpus di lavoro empirico
in rapida crescita e molto consistente non è riuscito a identificare differenze significative tra madri
lesbiche e le loro controparti eterosessuali, o tra i figli cresciuti da questi gruppi. Gli studiosi non
sono stati in grado di stabilire empiricamente il detrimento che risulta ai figli per il fatto di essere
cresciuti da madri lesbiche” (Falk 1994).
Considerate le forti implicazioni politiche di questo corpus di ricerca, è facile comprendere le
origini sociali di una tale posizione difensiva. Fintanto che l’orientamento sessuale può privare un
genitore gay dell’affidamento di un figlio, dei servizi per l’assistenza alla fecondazione, della
facoltà di adottare, i ricercatori più sensibili tendono a muoversi con molta cautela sul terreno delle
differenze. A questo proposito il parere di Stacey e Biblarz è molto chiaro: essi sostengono che,
sfortunatamente, tale reticenza compromette lo sviluppo della conoscenza, non solo riguardo allo
sviluppo e alla psicologia del bambino, ma anche, in senso più ampio, la sociologia della sessualità,
di genere e della famiglia. Se da un lato le teorie omofobiche sembrano piuttosto crude, troppi
psicologi solidali con le famiglie omosessuali sembrano esitanti sul teorizzare in generale. Quando i
ricercatori minimizzano la significatività di ogni risultato che indichi una qualche differenza, essi si
privano di un’opportunità unica per approfittare pienamente di quel “laboratorio naturale” che
l’avvento di famiglie omosessuali fornisce, per esplorare gli effetti sull’acquisizione dell’identità,
dell’ideologia e del comportamento sessuali e di genere.
Tale reticenza è particolarmente evidente nelle analisi del comportamento e dell’identità sessuali,
ovvero i temi del dibattito più delicati a livello politico. Virtualmente tutte le ricerche pubblicate
sostengono di non trovare alcuna differenza tra la sessualità dei bambini cresciuti da genitori
omosessuali e quelli cresciuti da genitori eterosessuali, ma nessuno tra gli studi che riportano tali
esiti tenta di proporre un’ipotesi teorica a supporto di un risultato così poco plausibile.
29
Prendendo in rassegna le principali teorie sullo sviluppo sessuale emerge come possa apparire poco
probabile la possibilità che in futuro i figli di coppie omosessuali non rivelino una qualche
maggiore incidenza di desiderio, comportamento e identità omosessuale rispetto ai figli di genitori
eterosessuali. Stacey e Biblarz osservano come, ad esempio, la teoria biologica determinista
dovrebbe predire almeno qualche differenza a livello di predisposizione ereditaria al desiderio per
lo stesso sesso; mentre secondo una prospettiva sistemica sociocostruzionista ci si aspetta che
genitori omosessuali costituiscano un ambiente in cui i bambini si sentano più liberi di esplorare e
affermare tali desideri; la teoria psicoanalitica può ipotizzare che l’assenza di un genitore di sesso
maschile indebolirebbe il bisogno della figlia di rinunciare al proprio desiderio pre-edipico per la
madre, o che l’assenza di un genitore di sesso maschile favorirebbe l’amore pre-edipico di un figlio
per il proprio padre, senza che alcuna paura di castrazione o crisi edipica interferisca o interrompa
tali processi. Inoltre, poiché i genitori determinano dove i figli risiedono, perfino chi sostiene la
teoria dissidente della studiosa Judith R. Harris30, per cui i genitori sono virtualmente impotenti
rispetto ai coetanei nell’influenzare lo sviluppo dei figli, dovrebbe prevedere che genitori
omosessuali probabilmente alleveranno i propri figli tra coetanei meno omofobici.
Gli autori prendono in considerazione inoltre la teoria dell’orientamento sessuale di Daryl J. Bem31
il cui focus è “esotico diviene erotico”. Secondo tale teoria, in una società polarizzata dai generi i
bambini erotizzano il genere dei coetanei i cui interessi e temperamenti differiscono maggiormente
dai propri. La maggior parte dei bambini perciò diventa eterosessuale, ma i ragazzi attratti da
attività “femminili” e le ragazze che sono “maschiacci” tendono a sviluppare desideri omoerotici.
L’impatto dei geni dei genitori e delle pratiche di allevamento dei figli resta implicito, poiché i
genitori contribuiscono geneticamente ai fattori caratteriali che Bem identifica come precursori
delle preferenze innate del bambino riguardo le sue attività, e, inoltre, gli atteggiamenti dei genitori
nei confronti della polarizzazione di genere dovrebbero influenzare il modo in cui tali preferenze
innate si trasferiscono nella cognizione e nel gioco dei bambini. A questo punto Stacey e Biblarz
concludono che, effettivamente, l’unica “teoria” evolutiva immaginabile per la quale lo sviluppo
sessuale dei figli non sia correlato ai geni, alle pratiche, all’ambiente, alle credenze dei genitori
sarebbe una teoria basata sul capriccio. Questo è proprio il risultato che molti studiosi riportano,
benché le limitate basi empiriche non lo giustifichino.
30
Harris Judith Rich, The Nurture Assumption: Why Children Turn Out the Way They Do, Free Press, New York, 1998.
Bem Daryl J., “Exotic Becomes Erotic: A Developmental Theory of Sexual Orientation”, Psychological Review, n.
103, pp. 320-335, 1996.
31
30
La consapevolezza della non differenza
È dai primi anni Novanta che eminenti psicologi hanno iniziato a promuovere e a richiedere stili di
ricerca meno “difensivi”, a cominciare dal saggio di Dorsey G. Green e Frederick W. Bozett
“Lesbian Mothers and Gay Fathers”32, passando per l’articolo di Charlotte J. Patterson “Children of
Lesbian and Gay Parents” del 1992, fino all’articolo di Celia Kitzinger e Adrian Coyle “Lesbian
and Gay Couples: Speaking of Difference” del 1995. Riconsiderando la dottrina della “non
differenza”, la tendenza più forte presso alcuni ricercatori è stata quella di cercare potenziali effetti
benefici che potrebbero derivare ai bambini da tali aspetti distintivi della genitorialità omosessuale,
come ad esempio le relazioni più egualitarie che questi genitori sembrano creare (Dunne 2000;
Patterson 1995).
Più radicalmente, un gruppo di ricercatori, tra cui la stessa Kitzinger (Kitzinger 1987, 1989;
Kitzinger e Coyle 1995), proposero di abbandonare del tutto le ricerche comparative tra genitori
omosessuali e eterosessuali, per sostituirle con ricerche che ponessero la questione: “perché e come
le madri lesbiche sono oppresse e come si può cambiare?” (Clarke 2000).
Benché Stacey e Biblarz percepiscano il potenziale di questi approcci e concordino con Kitzinger e
Coyle e con Clarke che gli ostacoli sociali alla genitorialità omosessuale meritano attenzione
rigorosa, a loro avviso ciò dovrebbe completare, e non sostituire, la ricca opportunità che le
maternità lesbiche e le paternità omosessuali pianificate offrono per l’esplorazione delle interazioni
del genere, dell’orientamento sessuale e delle strutture biosociali familiari sulla genitorialità e sullo
sviluppo dei bambini.
Gli autori quindi, non solo accolgono le ricerche che rivelano i potenziali punti di forza, così come
di vulnerabilità della genitorialità omosessuale, essi sostengono anche che ciò che può
maggiormente servire alla conoscenza e alla consapevolezza politica è la libertà dei ricercatori di
sostituire un modello gerarchico, il quale assegna “voti” ai genitori e ai figli secondo la loro identità
sessuale, con un approccio più genuinamente pluralista alla diversità familiare.
32
Pubblicato nel volume del 1991 a cura di J. C. Gonsiorek e J. D. Weinrich, Homosexuality: Research Implications for
Public Policy.
31
*Tabella 1. Risultati dell’associazione tra l’orientamento sessuale dei genitori e gli effetti
(selezionati) sui figli: 21 studi, 1981 - 1998
Variabile misurata
Direzione
dell’effetto
Comportamento/Preferenze di genere
Allontanamento delle ragazze dalle aspettative e comportamenti tradizionali del ruolo di generenell’abbigliamento, gioco, fisicità, attività scolastiche, aspirazioni occupazionali (Hoeffer 1981;
Golombok et al. 1983; R. Green et al. 1986; Steckel 1987; Hotvedt e Mandel 1982).
0/+
Allontanamento dei ragazzi dalle aspettative e comportamenti tradizionali del ruolo di generenell’abbigliamento, gioco, fisicità, attività scolastiche, aspirazioni occupazionali (Hoeffer 1981;
Golombok et al. 1983; R. Green et al. 1986; Steckel 1987; Hotvedt e Mandel 1982).
0/+
Livello di aggressività e indole autoritaria nei ragazzi (Steckel 1987).
–
Desiderio del/la bambino/a di essere dell’altro sesso (Green et al. 1986).
0
Comportamento sessuale/Preferenze sessuali
Il/la figlio/a adolescente ha preso in considerazione relazioni sessuali con lo stesso sesso; ha avuto
relazioni sessuali con lo stesso sesso (Tasker e Golombok 1997).
+
Il/la figlio/a adolescente si identifica stabilmente come bisessuale, gay o lesbica (Tasker e Golombok 1997).
0
La probabilità che i ragazzi rivelino un orientamento sessuale omosessuale in età adulta, per l’omosessualità
del padre (Bailey et al. 1995).
(+)
Il numero di partner sessuali delle ragazze dalla pubertà alla prima età adulta (Tasker e Golombok 1997).
+
Il numero di partner sessuali dei ragazzi dalla pubertà alla prima età adulta (Tasker e Golombok 1997).
(-)
La qualità delle relazioni intime nell’adolescenza e prima età adulta (Tasker e Golombok 1997).
0
Hanno amici gay o lesbiche (Tasker e Golombok 1997).
+
Autostima e benessere psicologico
Autostima, ansia, depressione, disturbi internalizzati del comportamento, disturbi esternalizzati del
comportamento, disturbi complessivi del comportamento, performance in contesti sociali (amicizie,
sport, scuola), frequentazione servizio di counseling psicologico, resoconti di madri e/o insegnanti
di iperattività, scontrosità, problemi emotivi, problemi di condotta, altri disturbi del comportamento
(Golombok, Spencer e Rutter 1983; Huggins 1989; Patterson 1994; Flaks et al. 1995; Tasker e
Golombok 1997;Chan, Raboy e Patterson 1998; Chan, Brooks et al. 1998).
0
Il livello di popolarità a scuola e nel quartiere che le figlie riferiscono (Hotvedt e Mandel 1982).
+
Resoconti di madri e/o insegnanti del livello di affetto, comprensione e interesse nei confronti dei
bambini più piccoli (Steckel 1987).
+
Esperienza di stigmatizzazione da parte dei coetanei riguardante la propria sessualità (Tasker e Golombok 1997).
+
Funzionalità cognitive (IQ, performance verbale, ecc…) (Flaks et al. 1995; R. Green et al. 1986).
0
Esperienze di difficoltà nell’ottenere un impiego nella prima età adulta (Tasker e Golombok 1997).
0
32
Fonti: i 21 studi considerati nelle tabelle 1 e 2 sono, per ordine di data: Hoeffer (1981); Kweskin e Cook (1982);
Miller, Jacobsen e Bigner (1982); Rand, Graham e Rawlings (1982); Golombok, Spencer e Rutter (1983); R.
Green et al. (1986); M. Harris e Turner (1986); Bigner e Jacobsen (1989); Hotvedt e Mandel (1982); Huggins
(1989); Steckel (1987); Bigner e Jacobsen (1992); Jenny, Roesler e Poyer (1994); Patterson (1994); Bailey et al.
(1995); Flaks et al. (1995); Brewaeys et al. (1997); Tasker e Golombok (1997); Chan, Raboy e Patterson (1998);
Chan, Brooks et al. (1998); McNeill, Rienzi e Kposowa (1998).
+
0
( )
0/+
= significativamente più alto nel contesto genitoriale omosessuale che in quello eterosessuale
= nessuna significativa differenza tra il contesto genitoriale omosessuale e quello eterosessuale
= significativamente più basso nel contesto genitoriale omosessuale che in quello eterosessuale
= limiti della significatività statistica
= esiti misti
* Tabella rielaborata da Stacey e Biblarz (2001) pag. 169.
33
*Tabella 2. Risultati delle associazioni tra orientamento sessuale dei genitori, altri attributi dei
genitori e rapporti tra genitori e figli: 21 studi, 1981 - 1998
Variabile misurata
Direzione
dell’effetto
Comportamento dei genitori nei confronti del genere e dello sviluppo sessuale dei bambini
La madre preferisce che il/la figlio/a intraprenda attività di gioco appropriate al proprio genere
(Hoeffer 1981; R. Green et al. 1986; M. Harris e Turner 1986).
0/-
La madre classifica il figlio ideale mascolino (se ragazzo) e femminile (se ragazza) (Kweskin e
Cook 1982).
0
La madre preferisce che il/la figlio/a sia gay/lesbica in età adulta (Golombok et al. 1983; Tasker
e Golombok 1997).
0
Il/la figlio/a crede che la madre preferisca che egli/ella sviluppi un orientamento sessuale omosessuale
(Tasker e Golombok 1997).
+
Pratiche genitoriali: orientamenti educativi e abilità genitoriali
L’orientamento educativo della madre nell’allevamento dei figli e abilità genitoriali (Miller et al. 1982;
0/+
McNeill et al. 1998; Flaks et al. 1995).
L’orientamento educativo della partner nell’allevamento dei figli e abilità genitoriali (Flaks et al. 1995;
Brewaeys et al. 1997).
+
Il desiderio della partner di una condivisione equa dell’allevamento dei figli (Chan, Brooks et al. 1998).
+
Il grado in cui madre e partner condividono le attività di allevamento dei figli (Brewaeys et al. 1997;
Chan, Brooks et al. 1998).
+
Affinità tra le abilità genitoriali della madre e della partner (Flaks et al. 1995).
+
Affinità tra la valutazione della madre e della partner del comportamento e del benessere del/la figlio/a
(Chan, Raboy e Patterson 1998; Chan, Brooks et al. 1998).
+
La madre ha permesso al/la ragazzo/a del/la figlio/a di fermarsi a dormire (Tasker e Golombok 1997).
0
Rapporti tra il/la figlio/a e il genitore con cui abita
La valutazione della madre sulla qualità del rapporto con il/la figlio/a (Golombok et al. 1983; M. Harris e
0
Turner 1986; Brewaeys et al. 1997; McNeill et al. 1998).
Le probabilità che la madre inizi una convivenza dopo il divorzio (Kweskin e Cook 1982; R. Green et al. 1986).
+
La valutazione della partner sulla qualità del rapporto con il/la figlio/a (Brewaeys et al. 1997).
+
Le dichiarazioni del/la figlio/a sulla vicinanza con la madre biologica durante la crescita (Tasker e
Golombok 1997; Brewaeys et al. 1997).
0
34
Le dichiarazioni del/la figlio/a sulla vicinanza con la partner della madre biologica durante la crescita
0/+
(Tasker e Golombok 1997; Brewaeys et al. 1997).
Il/la figlio/a si è sentito in grado di discutere del proprio sviluppo sessuale con il/i genitore/i durante la crescita
+
(Tasker e Golombok 1997).
Rapporti tra il/la figlio/a e il genitore con cui non abita
Il livello di coinvolgimento del padre con i figli, lo stabilire limiti e l’orientamento educativo nell’allevamento
dei figli (Bigner e Jacobsen 1989, 1992).
0/+
L’incoraggiamento della madre ai contatti del/la figlio/a con il padre (Hotvedt e Mandel 1982).
0
I contatti della madre divorziata con il padre dei suoi figli negli ultimi anni (Golombok et al. 1983).
+
La frequenza dei contatti del/la figlio/a con il padre (Golombok et al. 1983).
+
I sentimenti positivi del/la figlio/a nei confronti del padre (Hotvedt e Mandel 1982; Tasker e Golombok 1997).
0/(+)
Autostima e benessere psicologico del genitore
Il livello di depressione, l’autostima della madre (Rand et al. 1982; R. Green et al. 1986; Chan, Raboy e
0/+
Patterson 1998; Golombok et al. 1983).
Il livello di leadership, indipendenza, orientamento al successo della madre (R. Green et al. 1986;
0/+
Rand et al. 1982).
L’utilizzo da parte della madre di sedativi, stimolanti, o il ricorso a cure psichiatriche, ambulatoriali o con
ricovero, negli ultimi anni (Golombok et al. 1983).
0
La madre ha mai ricevuto cure psichiatriche in età adulta? (Golombok et al. 1983).
+
Il livello di stress che la madre dichiara, associato alla condizione di madre single (R. Green et al. 1986).
0
Fonti: vedi Tabella 1.
+
0
( )
0/+
= significativamente più alto nel contesto genitoriale omosessuale che in quello eterosessuale
= nessuna significativa differenza tra il contesto genitoriale omosessuale e quello eterosessuale
= significativamente più basso nel contesto genitoriale omosessuale che in quello eterosessuale
= al limite della significatività statistica
= esiti misti
.
* Tabella rielaborata da Stacey e Biblarz (2001) pagg. 173-174.
35
I metodi di campionamento
I problemi metodologici riguardano in particolare il campionamento. Per esaminare la vasta
rassegna di ricerche riportate nelle Tabelle 1 e 2, Stacey e Biblarz si interrogano in primo luogo
sulla correttezza delle metodologie applicate dai ricercatori nella selezione dei campioni di genitori
(omosessuali ed eterosessuali) da confrontare. Innanzitutto, come la maggior parte dei ricercatori
riconosce, poiché parecchie persone − in maniera del tutto legittima − temono le conseguenze
sociali del riconoscersi pubblicamente in un’identità omosessuale, e poiché non vi sono che poche
indagini a livello nazionale in cui siano state poste domande sull’orientamento sessuale, è
impossibile raccogliere dati affidabili su questioni demografiche di fondo, come ad esempio quanti
gay e lesbiche si contino nella popolazione generale, quanti abbiano bambini, o quanti bambini
abitino (o abbiano contatti importanti) con genitori omosessuali. Stranamente, chi è ostile ai genitori
gay tende a minimizzare l’incidenza dell’orientamento omosessuale all’interno della popolazione,
mentre gli studiosi simpatizzanti registrano, tipicamente, stime numeriche tanto alte quanto
improbabili. In tal modo, entrambe le fazioni implicitamente presumono che più rara è l’incidenza,
meno legittimo è per lesbiche e gay rivendicare i propri diritti.
Stacey e Biblarz osservano che le preoccupazioni di tipo politico hanno ingarbugliato il già difficile
compito di rispondere a questioni demografiche di base. Dal 1984, la gran parte dei ricercatori ha
riprodotto gli stessi numeri di dubbia origine, proponendo una stima che va da 1 a 5 milioni per le
madri lesbiche, da 1 a 3 milioni per i padri gay e da 6 a 14 milioni per i figli di genitori omosessuali
negli Stati Uniti (Patterson 1992, 1996). Stime più recenti sono prodotte da Patterson e Freil (2000),
estrapolate dai dati del National Health and Social Life Survey (Laumann 1995). A seconda della
definizione di orientamento sessuale dei genitori che viene utilizzata, Patterson e Freil propongono
un limite inferiore attuale di 800.000 genitori omosessuali, la cui età varia tra i 18 e i 59 anni, con
1,6 milioni di bambini, e un limite superiore di 7 milioni di genitori omosessuali, con 14 milioni di
bambini: queste stime tuttavia includono molti “bambini” che sono ora adulti. Per valutare il
numero di figli a carico (minori di 18 anni), si è moltiplicato il numero di figli per 0.66, che è la
proporzione di figli a carico di tutti i genitori di età compresa tra i 18 e i 59 anni, secondo la
National Survey of Families and Households (Sweet e Bumpass 1996), ritenuta molto
rappresentativa. Di conseguenza, la stima dei figli attualmente a carico di genitori omosessuali
dovrebbe ridursi a un range da 1 a 9 milioni, e ciò implica che più o meno tra l’1% e il 12% del
totale dei ragazzi al di sotto dei 19 anni d’età negli Stati Uniti (78 milioni) hanno almeno un
genitore omosessuale. Il limite massimo del 12% dipende dal fatto che sia classificato come
genitore omosessuale chiunque dichiari che anche la sola idea di rapporto sessuale omosessuale sia
attraente, mentre la percentuale più bassa, 1%, deriva dalla definizione di genitore omosessuale, più
36
ristretta e più politicamente saliente, che si riferisce esclusivamente a chiunque si identifichi come
tale (Badgett 1998; Black, Maker et al. 1998).
Studiosi, giornalisti e attivisti di tutte le tendenze ideologiche sembrano presumere che far rientrare
nella normalità la sessualità di lesbiche e gay debba incrementare la schiera di bambini con genitori
omosessuali. Per contro, Stacey e Biblarz sostengono che la normalizzazione possa, con più
probabilità, ridurre la percentuale dei bambini con genitori omosessuali. La maggior parte degli
omosessuali che oggi sono genitori hanno generato figli all’interno di matrimoni eterosessuali, da
molti contratti con la speranza di evitare le conseguenze sociali ed emotive dell’omofobia. Se
l’omosessualità fosse legittimata, un numero sempre minore di omosessuali dovrebbe sentirsi
obbligato a contrarre un matrimonio eterosessuale e perciò ancora meno a diventare genitori.
Naturalmente continuerebbero, però, ad aumentare le gravidanze pianificate di omosessuali
consapevoli, ma è improbabile che ciò sia sufficiente a compensare il declino del numero di
omosessuali divenuti genitori in seguito a un matrimonio.
Di conseguenza, la percentuale di madri lesbiche non dovrebbe cambiare di molto. Molte donne con
inclinazioni omosessuali, che una volta si sposavano e sottostavano alle pressioni sociali per
divenire madre, non lo faranno più; altre donne che rimangono single e senza figli per le loro
preferenze omosessuali si sentiranno più libere di scegliere una maternità lesbica. È difficile
prevedere l’effetto finale al netto di queste tendenze opposte.
Comunque, dato che un numero ancora inferiore di uomini gay si impegneranno in matrimoni
eterosessuali, il numero di padri gay dovrebbe ridursi. Anche se gli uomini gay fossero tanto
desiderosi quanto le lesbiche di diventare genitori, la possibilità di diventarlo ha dei chiari limiti
biologici. Inoltre, vi sono prove sperimentali riguardo al fatto che un minor numero di uomini − di
qualsiasi orientamento sessuale − desidera avere figli in modo altrettanto forte delle donne (Groze
1991; Shireman 1996), e la maggior parte degli studi demografici sull’orientamento sessuale
riscontra una più alta incidenza dell’omosessualità tra gli uomini che tra le donne (Kinsey et al.
1948; Kinsey et al. 1953; Laumann et al. 1994; Michael et al. 1994). In conclusione, anche se tra i
maschi gay il numero di genitori consapevoli dovesse aumentare, non è pensabile che ciò possa
compensare il numero, in costante calo, di gay non dichiarati che diventano padri attraverso
matrimoni eterosessuali. Di qui la stima dall’1% al 12% di figli di genitori omosessuali potrebbe
rappresentare in realtà un picco destinato a calare in qualche misura con la normalizzazione.
Un secondo problema fondamentale nel campionamento coinvolge l’ambiguità, la mutevolezza e la
complessità della definizione di orientamento sessuale. “Il tipo tradizionale di inchieste sulla
prevalenza di ‘omosessuali’ − osserva un importante sociologo danese − rischia di diventare
obsoleto ancor prima di essere effettuato; le domande rivolte agli intervistati si rivelano
37
parzialmente irrilevanti; la sessualità non è più ciò che era” (Bech 1997, 211). Che cosa definisce un
genitore (o un figlio) come lesbica, gay o eterosessuale? Sono categorie comportamentali, sociali,
emotive o politiche? Le identità sessuali sono categorie la cui definizione varia ampiamente, non
solo tra le culture, lo spazio e il tempo, ma anche tra e all’interno degli individui (Katz 1995;
Seidman 1997). Alcuni uomini gay, per esempio, praticano il celibato; alcuni uomini eterosessuali
sono coinvolti in occasionali relazioni omosessuali. Alcune lesbiche rifiutano la loro identità lesbica
per sposarsi; alcune rifiutano il matrimonio a favore dell’identità lesbica. Cosa possiamo dire di
genitori bisessuali, transessuali, o transgender con persone dello stesso o diverso genere? Il
desiderio sessuale, gli atteggiamenti, i significati e le identità non sono espressi in pacchetti fissi e
prevedibili.
Ma vi è un’ulteriore osservazione molto importante: la visibilità dei genitori omosessuali è un
fenomeno così recente che la maggior parte degli studi coinvolge necessariamente i figli di gay e
lesbiche consapevoli divenuti genitori in un contesto di matrimonio o relazioni eterosessuali, che si
sono sciolte prima o dopo che essi assumessero un’identità omosessuale. Si tratta di una
generazione di transizione, di una condizione storica unica, e ciò rende impossibile discriminare
l’impatto dell’orientamento sessuale del genitore sul bambino dall’impatto di altri fattori quali il
divorzio, il rifidanzamento, il mantenimento del segreto, il processo del coming out o le
conseguenze sociali della stigmatizzazione. Solo una minoranza di ricerche ha tentato di controllare
il numero e il genere dei genitori di un bambino, prima e dopo che un genitore si identificasse come
gay o lesbica. Poiché le madri lesbiche, precedentemente sposate, hanno avuto l’affidamento dei
loro figli molto più spesso dei padri gay, la maggior parte delle ricerche in realtà è condotta sulla
maternità lesbica dopo il divorzio (Bigner e Jacobsen 1989, 1992). Se un numero sempre minore di
lesbiche e gay diventeranno genitori attraverso matrimoni eterosessuali, le ricerche finora condotte
su questa tipologia di genitori omosessuali diventerà assai meno rilevante sia dal punto di vista
scientifico sia da quello politico.
Infine, poiché mancano dati affidabili sul numero e la localizzazione dei genitori omosessuali
all’interno della popolazione generale, non esistono studi sullo sviluppo dei bambini che siano
basati su campioni casuali e rappresentativi di tali famiglie. La maggior parte delle ricerche sono a
piccola scala, con campioni scelti per opportunità, in primo luogo tramite reti o agenzie personali o
di comunità. Per cui, ad esempio, la quasi totalità degli studi, ad oggi, sono stati condotti su madri
lesbiche bianche, con un certo livello di istruzione, di età matura e che risiedono in centri urbani
con orientamento relativamente progressista, per lo più in California o nel Nordovest degli USA.
Benché alcuni di questi problemi siano riconosciuti dagli studiosi (Bozett 1989; Patterson e Friel
2000; Rothblum 1994), sono poche le ricerche che esplicitamente si confrontino con le questioni di
38
definizione del campione. Molti studi semplicemente fanno riferimento all’identità sessuale del
genitore al tempo dell’indagine, e ciò contribuisce involontariamente allo sbilanciamento, dal punto
di vista razziale, etnico e di classe, della popolazione presa in esame. Studi etnografici indicano che
l’identità “lesbica”, “gay” e “bisessuale” è generalmente meno visibile o meno affermata tra chi è
socialmente subordinato e tra le popolazioni non urbane, rispetto ai bianchi di un certo ceto sociale,
con un certo livello di istruzione, e alle popolazioni urbane (Boykin 1996; Cantu 2000; Carrier
1992; Greene e Boyd-Franklin 1996; Hawkeswood 1997; Lynch 1992; Peterson 1992).
I progetti di ricerca più rigorosi pongono a confronto la genitorialità tramite inseminazione con
donatore tra coppie lesbiche e eterosessuali o madri single (ad esempio, Chan, Brooks et.al. 1998;
Flaks et al. 1995). Che si sappia, non vi è alcuno studio condotto esclusivamente su genitori adottivi
omosessuali o paragonando i figli pianificati di padri gay con figli nati in altre forme di famiglia. I
ricercatori non sanno fino a che punto lo status socioeconomico relativamente alto dei genitori “da
inseminazione” studiati rifletta la demografia dei genitori omosessuali in generale, ma, considerato
il grado di sforzo, di supporto culturale e legale necessario e, frequentemente, il livello di spesa da
sostenere, i membri di gruppi sociali relativamente privilegiati sarebbero quelli maggiormente in
grado di servirsi della tecnologia riproduttiva e/o dell’adozione indipendente.
In breve, gli effetti indiretti dell’eterosessismo hanno posto insolite limitazioni alla maggior parte
della ricerca sugli effetti della genitorialità omosessuale. Si pensa, comunque, che ora possa essere
il momento propizio per iniziare a riformulare i termini di base dell’impresa.
I risultati delle ricerche
I risultati presi in esame dalle tabelle 1 e 2 si riferiscono a 21 ricerche psicologiche pubblicate tra il
1981 e il 1998, considerate da Stacey e Biblarz indicative per affrontare la domanda su quale sia
l’influenza sui figli dell’orientamento sessuale dei genitori.
Diciotto ricerche (delle quali undici sono incluse nelle ventuno esaminate da Stacey e Biblarz)
concludono che “non vi è alcuna differenza (riguardo ad alcuno degli indici presi in esame) tra
genitori omosessuali ed eterosessuali, per ciò che concerne lo stile genitoriale, l’equilibrio
emozionale e l’orientamento sessuale dei figli” (Allen e Burrell 1996:19). L’analisi accurata
compiuta da Stacey e Biblarz sui risultati delle ricerche porta invece a evidenziare (riguardo ad
alcune dimensioni, e principalmente quelle correlate al genere e alla sessualità) che l’orientamento
sessuale dei genitori influisce sui figli in misura più rilevante di quanto affermino i ricercatori.
Le ricerche prese in esame si sono svolte su un campione di genitori omosessuali e uno di genitori
eterosessuali fra loro comparabili, hanno trovato differenze statisticamente significative, e
presentano risultati rilevanti riguardo allo sviluppo dei bambini.
39
La Tabella 1 sintetizza i dati riguardanti l’orientamento sessuale dei genitori e tre classi di variabili
per ciò che concerne i “risultati” dei figli: 1) comportamento di genere/preferenze di genere; 2)
comportamento sessuale/preferenze sessuali; 3) benessere psicologico. La Tabella 2 sintetizza i dati
riguardanti la relazione tra l’orientamento sessuale dei genitori e altre caratteristiche degli stessi, ivi
compreso: 1) comportamento nei confronti del genere dei figli e dello sviluppo sessuale; 2) abilità
genitoriali; 3) relazioni con i figli; 4) benessere psicologico. Il segno + indica un livello più alto
della variabile (statisticamente significativo) per i genitori omosessuali o i loro figli, il segno –
indica un livello più alto per i genitori eterosessuali o i loro figli, lo 0 indica che non esistono
differenze significative.
Genere
I risultati sono nel riquadro superiore della Tabella 1 ed evidenziano che, per quanto riguarda alcune
dimensioni significative, sono state osservate differenze in direzioni predicibili. Per esempio, in
Green et al. (1986) madri lesbiche riferiscono che le figlie con maggiore frequenza si comportano,
vestono e giocano secondo modalità non conformi alle norme culturali. Queste ragazze mostrano un
interesse maggiore per attività associate a qualità sia “maschili” che “femminili”, mentre le figlie di
madri eterosessuali mostrano un interesse significativamente più alto per attività tradizionalmente
femminili. Inoltre, le figlie di donne lesbiche aspirano a professioni non tradizionalmente tipiche del
loro genere (il 53% nelle ricerche di Green et al.), come avvocato, astronauta, ingegnere, contro il
21% delle figlie di donne eterosessuali. Per i maschi le risposte paiono più complesse. Riguardo ad
alcune dimensioni come l’aggressività e il gioco, il comportamento dei figli di donne lesbiche è
meno tradizionalmente mascolino, ma ciò non avviene per quanto riguarda il modo di vestire o le
aspirazioni occupazionali. Ciò porta a pensare − secondo Stacey e Biblarz − che l’orientamento
sessuale materno interferisca secondo modalità complesse con l’identità di genere dei figli; Stacey e
Biblarz si chiedono, provocatoriamente, come i ragazzi in realtà assimilino la cultura e gli interessi
legati al genere, e rilevano che a queste domande gli studiosi, troppo occupati a sottovalutare o a
ignorare le differenze, tendono a non dare alcuna importanza.
Orientamento sessuale
Il secondo riquadro della Tabella 1 riporta prevalentemente i risultati molto significativi della
ricerca di Tasker e Golombok (1997), l’unico studio comparativo che ha seguito fino all’età adulta i
bambini allevati in famiglie lesbiche. È proporzionalmente superiore (e statisticamente
significativo) il numero di giovani allevati in famiglie lesbiche che dichiarano di aver avuto una
relazione omosessuale, o che hanno pensato di poterne avere. Naturalmente, il fatto che anche una
40
certa percentuale dei giovani allevati in famiglie eterosessuali dichiari qualche apertura alle
relazioni omosessuali, e una percentuale doppia di ragazzi omosessuali allevati in famiglie
omosessuali invece non la dichiari, dimostra quanto l’influenza dei genitori sui desideri sessuali dei
figli sia indiretta e difficilmente predicibile.
Tuttavia, questi stessi giovani che mostrano una maggiore apertura nei confronti delle diverse
possibilità di relazioni sessuali, non risultano (almeno non in modo significativo) disponibili a
riconoscersi un’identità gay o lesbica o bisessuale.
Nella stessa ricerca si trovano risultati interessanti riguardo all’attività sessuale nell’adolescenza,
attività che appare significativamente superiore nelle ragazze figlie di donne lesbiche confrontate
con quelle figlie di donne eterosessuali, riguardo in particolare al numero di partner, mentre è
significativamente inferiore nei ragazzi, il che sembrerebbe provare, ancora una volta, che i figli/e
di donne lesbiche non si conformano alle norme culturali di genere.
Naturalmente, sottolineano Stacey e Biblarz nel loro commento, tutti questi risultati possono essere
influenzati dalle dimensioni utilizzate per misurare l’orientamento sessuale, tramite le quali viene
costruito un mondo dicotomico inesistente nella realtà, la cui rappresentazione più fedele sarebbe
più probabilmente un continuum.
Salute mentale dei figli
Il problema più grave, per quanto riguarda l’affidamento dei figli a genitori omosessuali, è
senz’altro legato al danno emotivo e psicologico che questi potrebbero subire. Le ricerche a questo
proposito sono perciò numerose, ma non mostrano significative differenze per ciò che concerne
ansia, depressione, livello di autostima e molte altre dimensioni prese in esame. Le poche differenze
significative tendono a favorire i figli di madri lesbiche (Patterson 1994).
Nessuna differenza è stata rilevata neppure per le abilità cognitive, anche se nessuna ricerca ha
finora affrontato le possibili differenze a lungo termine per ciò che riguarda iter scolastico,
occupazione, reddito, ecc.
Lo sviluppo sessuale e di genere dei figli
Gli elementi esaminati nella Tabella 1 sembrano configurare un quadro in cui la genitorialità
omosessuale è associata a un ampliamento dei repertori sessuali e di genere dei figli. Ma ciò accade
perché i genitori omosessuali cercano attivamente di ottenere tali risultati?
Nel primo riquadro della Tabella 2 i dati non provano con sufficiente sicurezza che l’orientamento
sessuale dei genitori sia correlato in modo forte con le loro preferenze riguardo all’orientamento
sessuale o di genere dei figli. Per esempio, le madri lesbiche sono altrettanto in grado di quelle
41
eterosessuali di assegnare qualità maschili o femminili a un ragazzo o ragazza “ideale” (secondo il
ben noto Bem Sex Role Iventory33). Tuttavia, in genere le madri tendono a desiderare di vedere
riprodotte nei figli le proprie caratteristiche, e poiché le madri lesbiche si vedono come meno
caratterizzate in senso femminile rispetto alle madri eterosessuali, potrebbero desiderare dalla figlia
gli stessi tratti che riconoscono in se stesse.
Ugualmente, sono meno preoccupate delle madri eterosessuali riguardo al fatto che i figli si
impegnino in attività appropriate secondo il genere. Nella ricerca di Hoeffer (1981), ad esempio, si
rileva come le madri lesbiche, a differenza di quelle eterosessuali, non abbiano interesse nel fatto
che i loro figli si impegnino in attività “maschili” e le figlie in attività “femminili”.
Pratiche genitoriali
I numerosi risultati relativi alle abilità genitoriali e all’allevamento dei figli evidenziano queste
differenze: 1) le comadri (le “madri sociali” lesbiche in Brewaeys et al. 1997) presentano abilità
genitoriali e impegno verso i figli molto superiori a quelle dei padri; 2) la coppia lesbica ha un
livello molto più alto di sincronicità nell’esercitare la genitorialità rispetto alle coppie eterosessuali:
la madre e la comadre manifestano una totale identità di vedute riguardo al comportamento e alla
vita emotiva dei figli, a differenza delle coppie eterosessuali. In tutti gli aspetti, le madri sociali
interagiscono con i bambini, li accudiscono, li seguono negli studi in modo significativamente
superiore rispetto non solo agli eterosessuali divenuti padri tramite fecondazione eterologa, ma
anche ai padri biologici nelle coppie eterosessuali.
Le competenze delle partner lesbiche come madri sono quindi particolarmente alte. I figli di madri
lesbiche dichiarano di sentirsi in grado di discutere il loro sviluppo sessuale con la madre e la sua
partner in misura molto maggiore di quelli di coppie eterosessuali,.
Stacey e Biblarz ritengono (con Brewaeys et al. 1997, Chan et al. 1998, Flaks et al. 1995) che questi
punti di forza esibiti dalle comadri abbiano più a che fare con il genere, con l’essere donna, che con
l’orientamento sessuale: probabilmente il fattore discriminante per le abilità nell’allevare i bambini
e per la sincronicità nella valutazione dei figli. La ricerca suggerisce che in media le madri tendono
a un maggiore investimento nella cura dei figli rispetto ai padri, e siano più adatte alle attività di
cura cruciali per il loro sviluppo cognitivo, emotivo e sociale (Furstenberg e Cherlin 1991, Simons
and Associates 1996). In effetti, le donne, in ogni categoria: madri lesbiche, madri eterosessuali e
33
Si tratta di un questionario autosomministrato creato tra il 1971 e il 1974 da Sandra Bem, nell’ambito dei suoi studi
sui ruoli di genere, in cui il soggetto assegna a se stesso un punteggio da uno a sette su una serie di 60 aggettivi, di cui
20 considerati desiderabili per gli uomini, 20 desiderabili per le donne e 20 neutri. La novità di questo strumento
consiste nel fatto che possono risultare contemporaneamente caratteristiche sia maschili che femminili, poiché si tratta
di gruppi di aggettivi separati e non in alternativa, a differenza di altri test che invece restringono le caratteristiche del
soggetto ad un unico genere.
42
comadri, per ciò che riguarda la cura dei bambini, hanno tutte più o meno lo stesso punteggio, che è
significativamente più alto di quello degli uomini.
“Tuttavia - affermano Stacey e Biblarz - a nostro avviso queste tipologie familiari riflettono
qualcosa di più di un semplice “effetto di genere”, poiché l’orientamento sessuale è la “variabile
esogena” chiave per la quale genitori di sesso diverso o uguale si uniscono e costituiscono nuclei
familiari. Orientamento sessuale e genere dovrebbero, perciò, essere visti in interazione tra loro, nel
creare nuove tipologie di strutture e di processi, tra cui ad esempio una divisione egualitaria della
cura dei figli, che comportano conseguenze affascinanti sia per tutte le relazioni all’interno della
triade, sia per lo sviluppo del bambino.” Alcuni esiti suggeriscono che due donne comadri possono
creare un contesto sinergico in cui la genitorialità si esprime in modo egualitario e i rapporti con i
figli sono di comprensione e comunicazione. La genesi di tali strutture, concludono quindi gli
autori, non può essere compresa sulla base del solo genere, né del solo orientamento sessuale.
Non risultano dati significativi riguardo all’influenza dell’orientamento sessuale dei padri che non
abitano con i loro figli sulla relazione con i figli stessi; pare comunque (Bigner e Jacobsen 1989,
1992) che non vi siano differenze sensibili tra genitori omosessuali ed eterosessuali; i figli di padri
gay (Bozett 1987a, 1987 b, 1989) hanno in maggioranza sentimenti molto positivi nei confronti del
genitore, pur temendo di essere a loro volta identificati come omosessuali dal gruppo dei pari.
Benessere dei genitori
Il riquadro inferiore della Tabella 2 dimostra che i dati non forniscono alcun supporto a coloro,
come Wardle (1997), i quali affermano che le madri lesbiche soffrano di problemi psicologici
(depressione, bassa autostima) in misura maggiore delle madri eterosessuali. Al contrario, le poche
differenze evidenziate suggeriscono che le madri lesbiche in effetti presentano livelli più alti di
risorse psicologiche positive. Vi sono comunque fattori etnici che possono modificare questi dati: in
generale, la solidarietà etnica, ad esempio nella popolazione nera, è più forte di quella di
orientamento sessuale, per cui può avvenire che le persone omosessuali di colore più difficilmente
facciano coming out e quindi soffrano di più per la clandestinità, ma, al contrario, in confronto agli
omosessuali bianchi possano godere di una maggiore tolleranza da parte dei genitori (Boykin 1996).
Nessuna differenza preoccupante
In definitiva, concludono Stacey e Biblarz, l’affermazione che non esistano differenze preoccupanti
riceve un forte supporto empirico dai risultati sintetizzati nelle due tabelle. I genitori omosessuali e i
loro figli non presentano differenze per ciò che concerne benessere psichico o funzioni cognitive. Il
punteggio degli stili genitoriali e del livello di investimento sui figli è almeno pari a quello dei
43
genitori eterosessuali. La qualità delle relazioni non pare differenziarsi a causa dell’orientamento
sessuale, ma, indirettamente, tramite il genere dei genitori. Considerando inoltre che i bambini con
genitori omosessuali devono probabilmente battersi contro la stigmatizzazione sociale, la similarità
dei risultati suggerisce che all’interno delle loro famiglie si metta in atto un processo di
compensazione.
Per quanto riguarda, invece, l’ambito delle preferenze e del comportamento sessuale, i dati non
supportano l’affermazione che non esistano differenze. I figli di genitori omosessuali presentano
minore conformità con gli stereotipi di genere e più apertura a esperienze omosessuali. Inoltre,
l’identità sessuale e di genere fra i due genitori vengono a interagire, creando processi familiari del
tutto particolari le cui conseguenze sui ragazzi devono ancora essere studiate.
La discussione dei risultati delle ricerche sintetizzati nelle due tabelle portano Stacey e Biblarz a
considerare come gli stessi risultati possano essere influenzati da aspetti e fattori che non sono
direttamente inerenti all’orientamento sessuale. Ad esempio, a causa della stigmatizzazione sociale
che colpisce le coppie omosessuali e delle difficoltà che esse incontrano nel diventare genitori, i
genitori omosessuali sono solitamente più anziani, urbanizzati, con un più alto grado di istruzione e
di autoconsapevolezza dei genitori eterosessuali, e ciò ha un’influenza positiva sullo sviluppo dei
bambini. Si tratta di effetti di selezione ed effetti contestuali, che interagiscono con i fattori genetici
e la socializzazione familiare. D’altra parte, per gli stessi motivi (stigmatizzazione e limitazioni
sociali e legali) le coppie omosessuali possono presentare un tasso di separazioni più alto di quello
delle coppie eterosessuali (Bell e Weinberg 1978).
Inoltre, perseguire uno stile di vita ostracizzato dalla società implica spesso un investimento molto
alto nell’ambito della vita emotiva, nei termini di “relazione pura” e “amore totalizzante”. Quindi
l’alto tasso di separazioni potrebbe essere correlato, ma non in rapporto causale, con l’orientamento
sessuale, e tale differenza potrebbe gradualmente diminuire se si concedesse a lesbiche e gay di
sposarsi legalmente.
In definitiva, la maggior parte delle differenze evidenziate dalle ricerche, quando non favoriscono i
genitori omosessuali, sono effetti secondari del pregiudizio sociale oppure rappresentano una di
quelle differenze che le società democratiche dovrebbero rispettare e proteggere. Stacey e Biblarz
propongono infatti di considerare l’omofobia e le discriminazioni i soli motivi per cui
l’orientamento sessuale dei genitori può avere influenza sui figli.
L’unico punto su cui la differenza evidenziata non può essere attribuita allo stigma sociale è che, in
effetti, i figli dei genitori omosessuali sono più aperti a relazioni omosessuali, anche se, comunque,
la maggioranza di essi si identifica come eterosessuale.
44
Questo dato che – affermano Stacey e Biblarz – è certamente rischioso dal punto di vista politico, in
quanto presta il fianco agli attacchi dei movimenti antigay (soprattutto riguardo alla affidamento
dei figli) va comunque riconosciuto, sia per onestà intellettuale, sia perché negarlo significherebbe
arrendersi all’ideologia eterosessista. D’altra parte, osservano sempre gli studiosi, se fosse il
pregiudizio sociale a discriminare chi è in grado di essere genitore, a qualificarsi darebbe un numero
davvero piccolo di adulti!
E concludono: continuare a considerare le differenze sessuali come deficit non fa – in effetti – che
incrementare le stesse situazioni di svantaggio sociale che gli studiosi si sforzano di scoprire.
Seppur accademicamente pionieristica, la ricerca di Stacey e Biblarz riflette ciò che gli autori hanno
da sempre sperimentato con i figli di genitori omosessuali da loro frequentati: “Trovavo molto
curioso che le persone continuassero a sostenere che non ci fossero differenze, perché questa non
era la mia esperienza personale nel quotidiano.” Affermazione confermata dalle esperienze dirette
sul comportamento e sul carattere dei propri figli riportate da varie madri lesbiche, tra cui Aimee
Gelnaw, direttrice esecutiva del Family Pride Coalition (un gruppo di sostegno per famiglie
omosessuali), e Kate Kendall, direttrice esecutiva del National Center for Lesbian Rights e madre di
due figli.
Elizabeth O’Connor, madre lesbica e coautrice di For Lesbian Parents, non si sente affatto turbata
dalla maggior parte dei risultati: “Le differenze rivelano ciò che ci si può aspettare: le nostre figlie
sono molto androgine, più propense a entrare in campi tradizionalmente maschili, giocano in modo
meno stereotipato per il genere, come può essere negativo tutto ciò? I maschi mostrano una
tendenza simile, hanno una propensione più forte all’accudimento, e anche ciò non può essere
negativo.” O’Connor non paventa il fatto che i figli di coppie omosessuali abbiano probabilità
maggiori di mettere in dubbio la propria identità sessuale. “La maggior parte di essi alla fine
realizza di essere eterosessuale” conclude O’Connor. “Come psicologa, penso che sia tutt’altro che
negativo poter considerare tutte le possibilità prima di decidere chi si è.”
Aimee Gelnaw non mette in discussione gli esiti del nuovo studio: “Penso che gli autori della
ricerca abbiano rappresentato la verità. A lungo ho dubitato dell’atteggiamento difensivo con cui
descriviamo le nostre differenze. I sostenitori dei diritti dei genitori omosessuali devono riconoscere
che ‘differenza non è deficit’.”
Kate Kendall si compiace della dimostrazione sperimentale con la quale si afferma che i figli di
genitori omosessuali sono meno confinati in rigidi ruoli di genere e che non limitano la propria
espressione sessuale all’eterosessualità. “Dire che c’è qualcosa di sbagliato in ciò o difendersi
dicendo che non è vero, o rispondere in altri modi che non siano ‘E allora?’ implica che vi sia
qualcosa di sbagliato nel fatto che un figlio, crescendo, si riveli omosessuale.”
45
Le reazioni a questi risultati originali non possono essere esclusivamente positive, ma soprattutto,
come gli stessi autori temevano, c’è chi ne ha approfittato per sostenere tesi loro opposte. I
ricercatori con tendenze conservatrici sostengono, ovviamente, che i genitori omosessuali non solo
differiscono da quelli eterosessuali, ma sono ad essi inferiori, e che perciò non dovrebbe essere loro
permesso di allevare figli. Molti di questi critici si appellano alla tradizione, dominante in ambito
teorico, secondo la quale l’ambiente migliore per i figli è un focolare composto da due genitori: un
padre e una madre.
Nonostante fosse consapevole di tale possibilità, Stacey ha deciso di pubblicare la sua ricerca. Dopo
essersi consultata con una rappresentante del National Center for Lesbian Rights ha compreso che:
“è tempo di essere quanto più rigorosamente onesti si può essere su qualunque risultato si ottenga.”
Kendall assolve Stacey dalle possibili accuse di aver dato un’arma agli oppositori, considerando che
purtroppo questi continueranno a ostacolare le famiglie omoparentali comunque, a prescindere da
una particolare nuova ricerca (O’Briant 2001).
46
Cap. 3) Stato e famiglia
Come si forma una famiglia pubblicamente riconosciuta come tale? Il potere di stabilire le norme
che tribunali e forza pubblica obbligheranno a rispettare, spetta all’apparato statale: è lo Stato a
tracciare i confini, ad enumerare i diritti e i doveri reciproci, i modi di fondazione e di scioglimento
di quel gruppo umano che chiamiamo famiglia legittima, descritta nel diritto di famiglia e a cui si fa
riferimento in numerosissime altre leggi di carattere sia civile che penale. I vincoli riconosciuti sono
tre: il sangue, il matrimonio, l’adozione. Tutte queste strade nel nostro paese sono sbarrate agli
omosessuali: le gaie famiglie possono avere un vincolo di sangue solo con un componente della
coppia, non con il genitore sociale; il matrimonio è precluso alle persone dello stesso sesso,
l’adozione, che rimane in molte parti del mondo l’istituto giuridico che può essere meglio utilizzato
per arrivare a un riconoscimento della famiglia, e a volte anche a una sua formazione (“adozione
come secondo genitore”), in Italia è riservata ai coniugi. E non esiste ancora il quarto modo, che sta
prendendo forma nei codici di alcuni paesi occidentali: la “responsabilità genitoriale”, un istituto
giuridico che affianca la potestà genitoriale come sua versione in minore: l’adulto che convive con
il genitore biologico legalmente riconosciuto ne assume gli stessi diritti e doveri nei confronti dei
minori conviventi, in un rapporto che cessa al compimento della maggiore età. La “responsabilità
genitoriale” è stata inizialmente pensata per le famiglie ricostituite, in cui dopo un divorzio subentra
un “terzo genitore”, ed è parso naturale estenderlo alle famiglie omosessuali in quei paesi dove le
coppie omosessuali hanno già avuto un pubblico riconoscimento.
Lo Stato sta quindi ora cercando soluzioni nuove a problemi che non si erano posti fino a tempi
recenti, data la repressione dell’omosessualità nel mondo occidentale – repressione che poteva non
riguardare i singoli atti, ma che sicuramente ha riguardato l’omosessualità come stile di vita. La
rilevanza sociale che le famiglie omosessuali hanno oggigiorno è infatti inedita nella storia
dell’occidente cristiano – e anche tra gli altri popoli ormai viene fatta sembrare tale: la morale
cristiana o pezzi di essa hanno fatto breccia tra le popolazioni più diverse valendosi del braccio
secolare delle leggi coloniali così come dei prodotti culturali occidentali che veicolano l’obbligo
sociale dell’eterosessualità e del matrimonio. La famiglia coniugale è presa a modello e
l’omosessualità rappresentata come schifosa e degradante, cancellando i costumi sessuali
tradizionali persino di africani, indiani, cinesi (Baird 2003) che avevano al contrario un’accettazione
e a volte anche davano una valutazione sociale positiva delle relazioni omosessuali, come il
matrimonio tra donne in Kenya, tra gli Azande e presso altri popoli africani, il fatto che alcuni
templi indiani (Konark, Khajuraho e altri) fossero decorati con immagini di accoppiamenti anche tra
uomini e tra donne, l’esistenza di comunità solo femminili nello Guangdon cinese (per i riferimenti
47
bibliografici vedi Blackwood e Wieringa 2003). La possibilità di vivere la propria esistenza con
relazioni sentimentali e sessuali esclusivamente con il proprio sesso era invece preclusa dalle leggi
in Occidente (ma anche in molte altre parti del mondo), vituperata nelle omelie, repressa con i
roghi. Come poteva porsi la questione delle famiglie “omogenitoriali”? Le famiglie con uno o
entrambi i genitori omosessuali però esistevano: si trattava delle famiglie “di copertura”. Gay e
lesbiche diventavano padri e madri: è stata una costante nella storia: nella ricerca di Hirschfeld
(vedi oltre) su un campione di 500 omosessuali il 16% risultava sposato (molti dicevano che
l’avevano fatto su consiglio del medico): 83 matrimoni in cui erano nati 112 bambini34. Non
mancano gli esempi celebri: Oscar Wilde, la figura emblematica dell’omosessualità maschile
vittoriana e del suo pubblico calvario, era sposato a Constante Mary Lloyd da cui aveva avuto due
figli; Vita Sackville West, che fu innamorata e amante di Virginia Woolf, e suo marito il
diplomatico Harold Nicholson, che si legò sentimentalmente con altri uomini, ebbero insieme due
figli (Nicholson 1974). Si amavano e si comprendevano, e avevano bisogno di un coniuge. Vite gay
e procreazione non erano in antitesi, in un’epoca in cui l’avere figli era considerato destino comune
e inevitabile, e il movimento per la diffusione delle pratiche anticoncezionali perché la procreazione
fosse voluta e responsabile muoveva appena i primi passi, represso dagli apparati dello Stato e della
Chiesa. All’inizio del Novecento Magnus Hirschfeld, scienziato e pioniere dei diritti degli
omosessuali scrisse un volume di ricerca facendo riferimento alle migliaia di casi di omosessualità
di cui era a conoscenza, condizione che stimava riguardare il 2,2% della popolazione. Indirizzò
quindi un appello all’opinione pubblica perché comprendesse che gli omosessuali non devono
essere forzati a sposarsi: ne sarebbe derivata l’infelicità loro e delle famiglie che avrebbero
invariabilmente fondato (Hirschfeld 1914).
Nel passaggio da società contadine a società urbane gli spazi dell’esistenza apertamente
omosessuale si sono gradualmente allargati. Gli omosessuali e le lesbiche hanno partecipato ai
rivolgimenti culturali del Sessantotto e, a differenza degli altri soggetti collettivi di quei movimenti,
non hanno cessato di crescere. Crescono numericamente: sempre più persone vengono allo scoperto
dichiarandosi lesbiche o omosessuali, e crescono anche “spazialmente”, ovvero si rendono più
visibili nella sfera pubblica, scendendo nelle strade a manifestare o semplicemente mostrandosi
affettuosi con il partner, frequentando locali e spazi pubblici notoriamente o dichiaratamente
omosessuali, entrando in quanto omosessuali nei luoghi della politica, dalle sedi locali dei partiti ai
parlamenti, e persino, come accade a Berlino e in molte altre città, mettendo alle proprie finestre
bandiere arcobaleno in segno di fierezza.
34
Altre ragioni addotte per l’essersi sposati erano: la speranza di potersi liberare delle passioni omosessuali,
l’inconsapevolezza di esse, l’essere stati persuasi, il desiderio dei genitori, voler mettere fine alle chiacchiere di parenti
e conoscenti, avere una casa, la dote, o per ragioni di lavoro (Hirschfeld 1914, 88).
48
Non stiamo dicendo che le pratiche omosessuali siano cresciute: anzi è vero che la società urbana
pone tabù più forti sulla sessualità tra maschi di quanto non accadesse nell’Italia ottocentesca, meta
di viaggi per gay di tutta l’Europa del Nord: il mondo che Pasolini vedeva scomparire con rimpianto
era effettivamente un mondo di relazioni sessuali tra uomini estremamente facili, fondate
com’erano su una rigida divisione di ruoli sessuali e che però continuavano ad essere stigmatizzanti
per colui che le viveva come partner passivo. E inoltre tutto ciò avveniva di nascosto, in un mondo
che prevedeva la vita in comune di un uomo e di una donna, e l’obbligo sociale della procreazione.
E se in civiltà non cristiane l’omosessualità non era repressa, raramente questo prevedeva la
possibilità di vivere una vita secondo le proprie inclinazioni individuali, soprattutto per le donne.
Invece l’individualismo occidentale della civiltà urbana ha portato, insieme allo sgretolamento della
coesione sociale, la possibilità di espressione di inclinazioni e scelte personali, cosa che si sta
lentamente iscrivendo nel diritto, forse anche perché il riconoscimento delle coppie porta con sé una
responsabilità economica reciproca per il benessere del partner, fonte di risparmio per il welfare
state.
Vediamo ora più organicamente quali cambiamenti sono avvenuti nei diversi paesi che hanno dato
tale pubblico riconoscimento alla gaia famiglia35.
Matrimoni
Da molto tempo ormai il matrimonio non significa più procreazione, eppure Stato e Chiesa
continuano a fingere che questo istituto giuridico non possa essere aperto anche alle coppie
omosessuali dal momento che sarebbe appunto “finalizzato alla procreazione”. Ironia del
pregiudizio, il matrimonio non viene concesso alle lesbiche, benché siano in grado di procreare36.
Nelle “Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone
omosessuali” della Congregazione per la dottrina della fede (2003) si ribadisce la condanna del
sesso omosessuale perché non “aperto alla procreazione”: il sesso, ribadisce il Vaticano, anche nel
Ventunesimo secolo può avvenire solo nel matrimonio per produrre bambini.
Sorprendentemente la Spagna – che credevamo tanto devotamente cattolica quanto l’Italia, se non
di più – è diventata il paese di riferimento per i cambiamenti in positivo della condizione
omosessuale: con il matrimonio la legittimazione dei figli nati dopo l’istituzionalizzazione della
coppia e la possibilità di fare domanda di adozione saranno una realtà (a meno di capriole giuridiche
35
Dove non altrimenti specificato questo capitolo è basato sulle informazioni raccolte dall'
International Lesbian and
Gay Association (ILGA) e pubblicate sul web: www.ilga.org con l’indicazione delle fonti primarie. Molto utile è anche
Logue (2001).
36
Non si obietti che la compagna della madre biologica non può, ovviamente, essere il padre dei figli di questa: in caso
di procreazione tramite inseminazione assistita (nonché di adulterio) nemmeno il coniuge maschio è il padre biologico
della prole. Infatti il matrimonio vi è presunzione di paternità, e non dimostrazione.
49
inserite all’ultimo minuto: al momento in cui scriviamo il matrimonio omosessuale rimane ancora
un progetto di legge). Il capo del governo socialista Zapatero non ha fatto altro che prendere atto del
clima sociale: secondo un sondaggio di El pais il 61,6% degli spagnoli è favorevole al matrimonio
omosessuale, cifra che coincide con i rilevamenti della Gallup secondo i quali il matrimonio
omosessuale nel 2003 era approvato dal 61,2% degli spagnoli, contrari il 20,8%, il resto indeciso. Il
54,1% era favorevole anche all’adozione da parte di omosessuali. Il partito popolare ha ribadito la
propria opposizione al matrimonio gay e alle adozioni, mentre è disponibile a concedere agli
omosessuali conviventi gli stessi diritti delle coppie di fatto. Naturalmente anche i vescovi spagnoli,
come i francesi, i tedeschi, ecc., hanno ribadito la loro contrarietà a ogni forma di riconoscimento
delle coppie omosessuali mano a mano che venivano istituite forme di riconoscimento comunque
separate dal matrimonio. In Germania si sono invece avute posizioni variegate da parte delle diverse
anime del protestantesimo, mentre in Danimarca la Chiesa luterana di Stato ha accettato se non di
celebrare le unioni di gay e lesbiche almeno di benedirle.
Altri due paesi hanno preceduto la Spagna aprendo il matrimonio alle coppie dello stesso sesso:
l’Olanda dall’aprile 2001 (3.500 coppie di uomini e 3.100 di donne fino alla fine del 2003) e il
Belgio dal giugno 2003 (nei primi dodici mesi si sono sposate 300 coppie). In questo paese però
dalla versione gay delle nozze sono state cancellate tutte le norme relative alla filiazione.
In Canada sei delle dieci province (Ontario, Columbia Britannica, Quebec, Yukon, Manitoba e
Nuova Scozia) oggi prevedono il matrimonio omosessuale sulla base di sentenze delle Corti
supreme (federale e provinciali)37 che hanno dichiarato anticostituzionale la discriminazione in base
al sesso: sposarsi è un diritto (menzionato anche nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo dell’Onu)
di due individui, che devono potersi scegliere senza che lo stato limiti la loro facoltà di sposarsi solo
a una persona del sesso opposto. La prima provincia ad aprire questa possibilità è stata l’Ontario nel
giugno 2003, e da allora i matrimoni sono stati centinaia, tra cui anche molti di statunitensi che
sperano in un riconoscimento dell’unione anche in patria.38
Il ministro della Giustizia tedesco Brigitte Zypries (SPD) ha depositato una proposta di legge per
aprire alle coppie dello stesso sesso il matrimonio con quasi tutte le sue prerogative (tranne, al
37
Una delle più importanti sentenze è stata quella della Corte suprema del Canada nel caso M. v H. & Ontario: la
definizione di “coniuge”, che già era stata estesa alle unioni eterosessuali di fatto, avrebbe dovuto essere applicata anche
alle unioni di fatto omosessuali sulla base della Carta dei diritti e delle libertà approvata nel 1982. Il parere del giudice
Cory J. è stato questo: “Il significato sociale dei benefici conferiti dalla legge non può essere sminuito. L’esclusione dei
partner dello stesso sesso dai benefici dell’art. 29 del diritto di famiglia promuove l’idea che M., e le persone che hanno
relazioni omosessuali, siano meno degne di riconoscimento e protezione. Implica che, in relazione a coppie di sesso
opposto, siano giudicate come incapaci di formare relazioni intime di interdipendenza economica senza guardare ciò
che effettivamente fanno. Come ha fatto notare in aula Egale (organizzazione per i diritti gay), tale esclusione perpetua
gli svantaggi sofferti dagli individui nelle relazioni omosessuali e contribuisce alla cancellazione della loro esistenza”
(Wintemute e Adenas 2004, 211).
38
Cosa impedita in 11 stati tra i più conservatori dai referendum che si sono svolti contemporaneamente alle elezioni
presidenziali Usa nel novembre 2004.
50
solito, l’adozione di bambini che non siano nati nella coppia, come vedremo nel paragrafo
successivo).
Nel nostro paese vi sono precedenti legali di richiesta ai comuni da parte di coppie dello stesso
sesso delle pubblicazioni per contrarre matrimonio: al comune di Roma ne venne presentata una nel
1980, che fu respinta dando avvio a un ricorso legale, nel quale si rilevava che le norme italiane non
indicano la diversità di sesso tra i requisiti essenziali del matrimonio (si parla infatti di persone), e
che il rifiuto ledeva la Costituzione, limitando il diritto alle libertà di espressione, di pensiero e
sessuale. Questo ricorso venne respinto, perché secondo il tribunale il requisito della diversità di
sesso si può dedurre da altre norme (D’Angeli 2003). Nonostante ciò, altre coppie sono tornate
“all’attacco”, come la coppia di Latina che ha richiesto la convalida del matrimonio contratto a
L’Aja nel 2002, che si sono sentiti rispondere dal Comune che il loro matrimonio era contrario
all’ordine pubblico (Ansa del 22.10.04).
Il Parlamento europeo nell’ambito della relazione annuale sullo stato dei diritti umani nella UE
(gennaio 2003) ha nuovamente chiesto agli stati che non l’abbiano già fatto di legalizzare le
relazioni di coppia anche tra persone dello stesso sesso, con gli stessi diritti riconosciuti al
matrimonio: il Parlamento, nonostante il suo nome, non ha nell’UE alcun potere legislativo e può
solo formulare richieste alla Commissione o ai governi (in questo caso ai governi perché la
Commissione non ha potere in materia di diritto di famiglia). Favorevoli sono stati i gruppi
parlamentari delle sinistre e i liberali, contrari le destre e i popolari. È stato invece bocciato (279
voti contrari, 259 a favore) l’articolo che invitava i paesi comunitari a “consentire il matrimonio tra
persone dello stesso sesso”: molti del gruppo liberale hanno votato contro, con un passo indietro
rispetto alla famosa risoluzione dell'
8 febbraio 1994 sulla parità di diritti per gli omosessuali (A30028/94).
Le posizioni del Parlamento Europeo hanno una buona eco nell’opinione pubblica, secondo un
sondaggio che la Gallup ha realizzato nel gennaio 2003 in 30 paesi europei, su un campione di circa
15.000 residenti a partire dai 15 anni di età. Le due domande del sondaggio affrontavano di petto
proprio le controverse questioni del matrimonio e dell’adozione: “Siete d’accordo con
l’autorizzazione ai matrimoni omosessuali in tutta Europa?” e “Siete d’accordo con l’adozione da
parte di coppie gay in Europa?” (Gallup 2003). Il matrimonio omosessuale è stato approvato dal
53% di tutti i paesi dell’attuale Unione Europea (57% nell’Unione a 15), e in Italia ben dal 47%
degli intervistati, posizione che non è lontana dal raggiungere la maggioranza assoluta, considerato
anche che i più giovani si dichiarano più facilmente favorevoli. Il consenso a questi riconoscimenti
giuridici è più grande inoltre tra le donne, tra i più istruiti e tra i non credenti. Cristiani e musulmani
sono un po’ meno favorevoli, ma non di molto: per quanto riguarda il matrimonio le cifre dei
51
favorevoli in questi due gruppi sono rispettivamente del 53 e del 54%, sempre nei paesi dell’Unione
a quindici.
Lo scetticismo è maggiore sulle adozioni, approvate comunque dal 42% del campione dell’UE a
quindici39, dato che scende al 38% per tutti i paesi dell’Unione del 2004, e che non rappresenta un
risultato disprezzabile, dato che la formulazione “neutra” della domanda fa associare ai più alla
parola “omosessuale” solo un’identità maschile, il sesso che notoriamente non si occupa dei
bambini. Per quanto riguarda i singoli paesi, lo spettro va dal 64% dell’Olanda al 10% della Polonia
e al 6% di Cipro. L’Italia si trova nella parte più bassa della scala di “gradimento” delle adozioni ad
omosessuali con il 25% di favorevoli e il 50% di assolutamente sfavorevoli. L’approvazione delle
gaie famiglie crolla drasticamente nei 13 paesi che allora erano ancora “candidati” all’Unione: solo
il 23% è favorevole al matrimonio e il 17% all’adozione.
Adozioni
Come abbiamo fatto notare in precedenza, le richieste principali che le gaie famiglie fanno agli stati
sono l’avere una legittimazione delle proprie situazioni di fatto piuttosto che poterne creare di
nuove con l’adozione di bambini abbandonati, anche se è vero che molti omosessuali preferiscono
questa opzione alla procreazione diretta, ritenendo più giusto prendersi cura di bambini già esistenti
e in stato di bisogno che non mettere al mondo una nuova vita. Tuttavia nel dibattito pubblico è
quest’ultimo tema ad aver raggiunto per primo la ribalta. E dunque vediamo in quali luoghi la
facoltà di adottare da parte di gay e lesbiche è diventata realtà.
Tra i paesi dove ci si può sposare, l’Olanda, il Belgio, e le province canadesi sopra ricordate
consentono di condividere la potestà di figli nati nella coppia; per la Spagna la legge è, al momento
in cui scriviamo, ancora allo stato di prima stesura, ma le intenzioni del governo sono di non porre
limitazioni: la vicepresidente del governo Zapatero, María Teresa Fernández de la Vega, ha
affermato che '
'
non ci sono prove che dimostrino che i genitori omosessuali siano peggiori degli
altri nell'
educazione dei figli'
'(Adnkronos, 1.10.04). L’unica limitazione alle facoltà conferite dal
matrimonio in Olanda è l’adozione di bambini provenienti dall’estero, per non pregiudicare il
rapporto con gli stati da cui provengono i bambini.
Queste prerogative di comune potestà sui figli nati dopo la formazione della coppia non sono
limitate agli stati che ammettono il matrimonio omosessuale, ma si trovano anche in alcuni di quelli
che prevedono la “registrazione della coppia”, la forma di riconoscimento presente in Scandinavia
che presenta alcune limitazioni rispetto al matrimonio, essenzialmente la forma solo civile e spesso
appunto l’impossibilità di condividere la potestà genitoriale. In Danimarca invece la “Legge sul
39
Un dato curioso è che i musulmani che approvano l’adozione sono il 36%, nonostante il fatto che questo istituto non
sia ufficialmente ammesso dall’islamismo.
52
miglioramento della registrazione delle coppie” approvata nel 1999, dieci anni dopo l'
atto iniziale,
che fu il primo al mondo a riconoscere pubblicamente le coppie dello stesso sesso, ha stabilito che i
due partner insieme possano richiedere l’adozione o l’affidamento congiunto di minori e che un
partner in una coppia registrata possa adottare i figli dell’altro (tranne nel caso in cui il bambino/a
sia adottato da una nazione straniera). Gli stessi sviluppi si sono avuti in Svezia: dal 2002 è
consentito alle coppie omosessuali registrate di adottare minori ed anche gli eventuali figli di uno
dei partner avuti da un’unione precedente. Anche in una regione spagnola, la Navarra, nel luglio
2000 una sentenza aveva previsto la condivisione della potestà genitoriale da parte di una coppia
lesbica40, e la stessa cosa in ambito extraeuropeo avviene in New Jersey, Vermont e Connecticut
(per decisioni giudiziarie di varia datazione), e nel Quebec dal giugno 2002 (prima che il
matrimonio gay venisse autorizzato). In Germania è stata concessa dal 1° gennaio 2005 la
possibilità di adozione come secondo genitore al partner di una coppia registrata.
L’adozione come secondo genitore è una facoltà piuttosto diversa dall’adozione di minori in stato di
abbandono, ma viene chiamata con lo stesso nome dal momento che il procedimento giudiziario per
la dichiarazione della compagna della madre come “secondo genitore” ufficiale avviene con le
stesse modalità di un’adozione (giudizio di idoneità e attribuzione del titolo di genitore adottivo da
parte di un tribunale): è una realtà per coppie dello stesso sesso anche non sposate in una ventina
degli stati degli USA41 e in metà delle province del Canada. I benefici per il figlio/a, al di là della
garanzia che non verranno separati dal secondo genitore in caso di morte del primo genitore o di
separazione dei due, sono la copertura dell’assistenza sanitaria e di altre assicurazioni sottoscritte
anche del secondo genitore, il godere della sicurezza sociale in caso di morte del secondo genitore e
del risarcimento assicurativo per morte o disabilità causata da altri. In caso di emergenza il secondo
genitore può prendere decisioni di tipo medico. L’Accademia americana di cui sono membri 55.000
pediatri nel febbraio 2002 si è espressa a favore dell’istituto dell’adozione come secondo genitore,
perché tutela il diritto del bambino/a a mantenere la relazione con tutti e i due genitori.
In Francia alla pretura di Parigi il 27 giugno 2001 una donna ha adottato le tre figlie ancora
minorenni della sua compagna, con la quale aveva vissuto per più di 20 anni (Adolff 2002). Le
figlie portano ora il nome di tutte e due le genitrici, però la madre biologica è stata privata
dell’autorità genitoriale, conferita alla seconda madre sociale. Questo caso non ha costituito un
precedente, perché il tribunale di Colmar proprio il 28 giugno 2000 (giorno del Gay Pride, della
40
Era stato previsto anche che le coppie di fatto registrate dei paesi baschi potessero fare domanda di adozione dei figli
dell’altro, ma il precedente governo spagnolo aveva opposto ricorso, volendo mantenere questa prerogativa riservata
agli sposi eterosessuali. Ora il ricorso è stato ritirato da Zapatero.
41
Pioniera è stata l’Alaska nel 1985, mentre ora in aree come la Baia di San Francisco le adozioni come secondo
genitore si contano a migliaia. La genitorialità per coppie dello stesso sesso è stata conferita dalle corti supreme di
cinque stati e del distretto di Columbia, da giudici di prima istanza in altri quindici stati e dall’azione parlamentare o
dell'
esecutivo in tre stati (Vermont, New Jersey e Connecticut).
53
fierezza gay!) ha invece rifiutato di accordare l’adozione perché non è nell’interesse del bambino –
che era tra le parti autrici della domanda – avere due madri.
L’adozione comunemente intesa è già una realtà per i single omosessuali, la stessa Convenzione
internazionale sull’adozione approvata a Strasburgo nel 1967 prevede che questo istituto, destinato
ad aiutare i bambini privi di famiglia, non sia limitato alle coppie sposate, ma aperto anche ai single,
se rispondenti a requisiti di affidabilità, perché l'
adozione va intesa come una soluzione per bambini
in stato di bisogno, benchè sia preferibile che i genitori siano più di uno, anche a fini pratici di
condivisione della fatica di crescere un figlio/a.
Negli Stati Uniti le adozioni ai gay singoli avvengono in 49 stati e sono numerosissime, e da questa
esperienza sono state tratte conseguenze assolutamente positive. L’associazione degli psicoanalisti
americani (e gli psicanalisti, almeno in Italia, sono tra le categorie più ancorate all’idea del “bisogno
del padre”42) nel maggio 2002 ha adottato una posizione sull’adozione che riportiamo
integralmente: “Le prove accumulate suggeriscono che il migliore interesse del bambino/a richiede
un attaccamento a genitori devoti, bravi, e competenti educatori. La valutazione di queste qualità
genitoriali in un individuo o in una coppia dovrebbe avvenire senza pregiudizi riguardo
all’orientamento sessuale. Gli individui e le coppie gay e lesbiche sono capaci di soddisfare
l’interesse del bambino/a: dovrebbero ottenere gli stessi diritti e poter accettare le stesse
responsabilità dei genitori eterosessuali”.43
Anche in Brasile nel 1999 la Corte di giustizia di Rio ha permesso che un bambino di 9 anni venisse
adottato da un insegnante gay, trovando che la discriminazione che inizialmente era stata fatta a
causa della sessualità del richiedente fosse assurda e offendesse i principi costituzionali, i diritti
umani e i diritti dei bambini (Turra 2004, 344).
Un altro paese cui guardare con interesse dal punto di vista giuridico è il Sudafrica, che riconosce la
possibilità di adozione per gli omosessuali. La fine dell’apartheid e l’avvento di un governo guidato
dall’ANC non hanno risolto i problemi della povertà della maggior parte della popolazione nera, e i
42
Una recentissima ricerca di Margherita Graglia sugli psicoterapeuti italiani mostra che: “La maggior parte degli
psicoterapeuti da me intervistati tuttavia vede nell’eterosessualità la norma o l’opzione superiore, nel senso di meta
naturale dello sviluppo psicosessuale. La concezione dell’orientamento omosessuale come effetto di un’eterosessualità
fallita è un’ipotesi che raccoglie consensi, non solo nelle fila freudiane. Qui numerose e diversificate sono le
interpretazioni sull’omosessualità, la più citata delle quali è quella eziologica del “blocco evolutivo” di freudiana
memoria. Questo concetto assume accezioni dissimili e poco sovrapponibili: da un lato viene inteso come prova di una
determinante patologica, e quindi l’orientamento omosessuale per alcuni si avvicina alla patologia, dall’altro gli stessi
terapeuti che ritengono l’orientamento omosessuale una disposizione erotica naturale se ne servono. Gli psicoterapeuti
che condividono questa rappresentazione “né patologia, né naturalità” tendono a manifestare una certa ambivalenza
verso i gay e le lesbiche, considerandoli da un lato pari agli eterosessuali e dall’altro esprimendo giudizi negativi su
alcune questioni (l’autoetichettamento, il coming out, la maternità lesbica)” (intervista a Graglia in Colosio 2004).
43
Un articolo sullo sviluppo morale dei figli di lesbiche a confronto con figli di genitori eterosessuali che non ha trovato
significative differenze è apparso in Gender & Psychoanalysis. (Drexler 2001) mentre in Psychoanalytic Psychology è
apparso un articolo che affronta direttamente le grandi questioni dell’Edipo, proponendo una teoria che riconosca la non
necessità di relazionarsi a genitori di due sessi (Heineman 2004).
54
gay fungono ancora da capro espiatorio sociale. Ma nonostante discriminazione e pregiudizi diffusi
contro gli omosessuali, il Sudafrica ha iscritto nella nuova costituzione del 1996 i pari diritti per gli
omosessuali con un articolo che proibisce esplicitamente la discriminazione in base all'
orientamento
sessuale. Il Sudafrica è uno dei paesi dove "single" che vivono apertamente in una relazione di
coppia omosessuale hanno adottato dei bambini, cresciuti poi dalla coppia. Il primo caso, in cui la
richiedente era una donna lesbica, venne approvato nel 1995 dall'
Agenzia per il benessere del
bambino/a di Johannesburg. Sono misure d’avanguardia in un luogo in cui la maternità delle donne
lesbiche nere è ancora un obbligo sociale, e serve a mascherare le proprie reali scelte di vita44. Il
vescovo anglicano Desmond Tutu ha dichiarato che la fine della discriminazione contro gay e
lesbiche è il prossimo traguardo morale dell’umanità.
Altri casi di adozione da parte di single sono avvenuti in Gran Bretagna, in Australia (Nuovo Galles
del Sud), e in Canada (Columbia Britannica, Ontario, Alberta). Inoltre nell'
Alberta il giudizio finale
nei confronti delle partner di due madri lesbiche è stato che possono adottare i figli che hanno
voluto insieme alle madri biologiche e che hanno contribuito fin dalla nascita ad allevare. La corte
ha dichiarato che entrambe le adozioni erano nell'
interesse dei figli, e ha condannato il governo
dell'
Alberta, che ripetutamente aveva fatto ricorso contro l'
adozione, a pagare i più di 300.000
dollari di spese legali di questa lunghissima disputa.
In Ontario un tribunale ha messo nero su bianco che: "Non ci sono prove che le famiglie con
genitori eterosessuali siano maggiormente in grado di soddisfare i bisogni psicologici, emotivi o
intellettuali dei bambini di quanto non lo siano famiglie con genitori omosessuali. Se si riflette
sull'
incessante teoria di bambini trascurati, abbandonati e abusati che quotidianamente compaiono
davanti ai nostri tribunali per chiedere protezione, tutti provenienti dalle cure di genitori
eterosessuali in una struttura famigliare "tradizionale", è nient’altro che ridicolo suggerire che mai
potrebbe essere nel migliore interesse di questi bambini venir cresciuti da genitori amorevoli,
protettivi e responsabili, che forse potrebbero anche essere lesbiche o gay".
In Gran Bretagna le linee guida sull’adozione, come in molti altri ambiti, non sono nazionali e la
policy delle diverse agenzie locali può essere più o meno aperta nei confronti di gay e lesbiche
dichiarati, sia single che in coppia. Comunque è degno di menzione il fatto che i tribunali abbiano
cessato la routine di sottoporre gli omosessuali dichiarati a una apposita perizia psichiatrica.
E, parlando invece di affido temporaneo, nel luglio 1999 la Società dei Bambini, un'
organizzazione
caritatevole vicina alla Chiesa d'
Inghilterra, ha cessato di bandire gay e lesbiche dall'
affido
temporaneo di bambini in difficoltà nelle famiglie di origine, adattando la propria posizione agli
sviluppi legali che hanno reso possibile l'
affido a omosessuali dichiarati. Lo spirito del tempo che
44
Cheryl-Ann Potgieter: “Motherhood and the Construction of Black Lesbian Identity: Some South African Stories,
Motherhood and Female Subjectivity”, relazione presentata al convegno Women’s world 99, Tromsø 21.6.1999.
55
cambia è sottolineato da colei che nel Regno Unito è riconosciuta come la giudice più esperta di
questioni di famiglia, Elizabeth Butler-Sloss, 66 anni, che ha dichiarato: “Quando cominciai la mia
carriera ero incerta e dubbiosa sull’equilibrio dei bambini che vivono in famiglie con due genitori
dello stesso sesso. Ma con gli anni la ricerca ha mostrato che per alcuni bambini questo risulta
essere il meglio possiamo offrirgli”, dal momento che “bambini diversi hanno bisogno di genitori
diversi”. Negli Stati Uniti sia l’Associazione degli psicologi americani che l’Associazione nazionale
degli assistenti sociali approvano l’affido a omosessuali. Una coppia gay dell’Iowa è stata premiata
come “genitori affidatari dell'
anno” dall'
Associazione statale dei genitori affidatari e adottivi: erano
stati segnalati dal diciassettenne che avevano in affidamento, e nei 7 anni precedenti avevano
seguito altri 13 ragazzi, uno dei quali è stato da loro adottato.
Anche in Italia è possibile avere bambini in affido temporaneo, dato che la normativa non restringe
l’istituto alla coppia coniugata. Invece l’adozione risulta impossibile: benché l’Italia abbia ratificato
la convenzione di Strasburgo del 1967 che prevede l’adozione ai singoli, il suo recepimento (è
valida la “Disciplina dell’adozione e dell’affidamento”, legge 184/83) non ha menzionato altri che
le coppie coniugate. A partire dal principio della convenzione, per cui l’adozione è finalizzata ad
assicurare la più conveniente forma di assistenza ai minori abbandonati, garantendo nell’esclusivo
interesse del bambino/a il suo inserimento in un ambiente familiare stabile ed armonioso,
l’interpretazione del legislatore e dei tribunali italiani è stata – nelle parole di una giurista – che solo
“il vincolo matrimoniale garantisce stabilità, certezza, reciprocità e corrispettività dei diritti e dei
doveri del nucleo in cui il minore sarà accolto” (D’Angeli 2003, 22): una vera e propria petizione di
principio dal momento che il matrimonio è negato alle coppie dello stesso sesso.
Il presidente di Telefono azzurro, Ernesto Caffo, ha sottolineato quali sono i veri fattori di rischio
nei confronti dei bambini che crescono con una coppia dello stesso sesso, fattori che possono essere
presenti o assenti: “isolamento sociale, mancanza di un coming out con i figli, negazione della
realtà nel proprio orientamento sessuale e i problemi psicolosciali dei genitori derivanti da forme di
discriminazione, omofobia e non riconoscimento dei diritti/doveri di entrambe le figure genitoriali”
(Caffo 2005).
Responsabilità genitoriale
Dove sono state inventate forme giuridiche nuove per le coppie omosessuali (coppia registrata o
parternariato – riservati ai gay – oppure patto civile di solidarietà – per gay, etero e convivenze di
solidarietà), non necessariamente questo progresso è andato di pari passo con un riconoscimento
delle loro famiglie. È stata invece importante, come abbiamo anticipato nella parte introduttiva di
questo capitolo, l’invenzione di una forma “in minore” della potestà genitoriale, chiamata
56
“responsabilità genitoriale”, che può essere condivisa da una coppia che abbia con sé minori
conviventi, e questo anche se la potestà viene mantenuta dall’altro genitore, divorziato e quindi non
più convivente. Come l’adozione, la responsabilità genitoriale si ottiene sulla base di una sentenza
di tribunale. La responsabilità (detta anche autorità) genitoriale esiste in Gran Bretagna, Canada,
Olanda, Inghilterra e Galles, Francia, Germania e in tutti i paesi del Nord Europa: dall’Islanda alla
Danimarca.
In Gran Bretagna la Legge sui bambini del 1989 permette di chiedere al tribunale che si occupa dei
minori un "ordine di residenza congiunta" che riconosca la famiglia di fatto, in cui può comparire
ogni adulto che sia “significativo" nella vita dei bambini. Simile il caso della Francia, dove la legge
che nel 2002 ha istituito l’autorità genitoriale ha dichiarato che questa può essere condivisa e non
deve necessariamente essere trasferita a terzi: padre e madre possono delegare altri a ricoprire
questa figura che assume profilo legale. Un giudice deve comunque approvare la loro scelta.
L’Islanda, dove la condivisione della responsabilità genitoriale era già normale per famiglie
ricostituite, è stato il primo paese a prevederla formalmente anche per le coppie omosessuali,
quando ne ha introdotto nel 1996 la registrazione.
Invece in Francia entrare in un Pacs (patto civile di solidarietà), cosa possibile dal novembre 1999
non solo a coppie etero e omosessuali ma anche a due persone che si sostengono materialmente e
moralmente, risulta essere uno svantaggio per chi chiede l’adozione come singolo, perché rende
visibile la possibile omosessualità, ancora giudicata un handicap per un possibile genitore adottivo.
Nei Paesi Bassi, dove l’istituto della responsabilità genitoriale è stato introdotto nel 1998, vi è una
sorta di automatismo nel conferirla quando i figli nascono in una coppia di due lesbiche se il padre
non compare nell’atto di nascita. Anche in Germania se un genitore entra in un “parternariato”, il
compagno assume automaticamente facoltà di decisione comune sulle condizioni di vita del bimbo,
e può sostituirsi al genitore in caso di rischio di ritardare una decisione urgente. Il partner può
inoltre porre in essere tutte quelle attività giuridiche che sono necessarie per il benessere del minore,
fermo restando che il genitore che ha la potestà ne sia tempestivamente informato. Tuttavia la
predetta facoltà può essere limitata o esclusa dal tribunale della famiglia, se lo ritiene necessario
nell’interesse del bambino/a, a meno che non vi sia l’approvazione della domanda di adozione da
parte del partner genitore sociale (possibile dall’inizio del 2005).
Inseminazione assistita
Molto più rilevante della facoltà di adottare è l’accesso paritario di donne lesbiche ed eterosessuali
alle tecnologie mediche di assistenza alla riproduzione. I paesi europei dove l’inseminazione
assistita dai medici può essere richiesta da donne singole o da coppie di lesbiche sono la Spagna,
57
l’Inghilterra, il Portogallo, il Belgio e l’Olanda – questi due ultimi lasciano la decisione alle singole
cliniche, molte delle quali lo permettono.
In Olanda è anche possibile avere un donatore non anonimo, in modo che se il figlio/a una volta
compiuti 16 anni decide in tal senso, l’informazione sull’identità paterna possa essere rivelata e si
possano stabilire dei contatti. La stessa cosa è obbligatoria in Svezia, dove l’anonimato dei donatori
è impossibile per legge.
L’orrenda legge italiana sulla fecondazione assistita voluta dal governo Berlusconi permette
l’accesso alle tecniche gestite dai ginecologi solo a coppie sposate, stabilendo così un imprimatur
statale alla gravidanza, che (per lo meno dove lo Stato può arrivare) deve avvenire soltanto in un
matrimonio tradizionale. In Francia si è andati oltre: è stata proibita l’inseminazione con sperma
fresco (cioè non congelato) di donatore, in modo da sanzionare la pratica dell’autoinseminazione,
che in Inghilterra è proibita punendo l'
intermediazione anche a titolo gratuito: una terza parte non
può maneggiare gameti donati (Legge sulla fecondazione umana e sull'
embriologia 1990).
Affidamento post-divorzio
Ma se, come è certo sia nel nostro paese, la maggior parte di figli di lesbiche e gay ha avuto origine
da unioni eterosessuali, il problema più grosso rimane la possibile discriminazione dei tribunali che
si occupano dei divorzi. Se i giudici sono convinti che un omosessuale non può essere un buon
genitore, si potrebbe essere esclusi dall’affido dei figli, e vedersi limitati i diritti di visita. In Italia
fortunatamente ci sono dei precedenti favorevoli, in cui sia per le madri lesbiche che per i padri gay
è stato rispettato il principio di non discriminazione. Molto citato è il caso della Cassazione di
Latina che ha affidato il figlio quindicenne al padre dichiaratamente gay. Casi di madri lesbiche non
sono stati commentati sulle maggiori riviste giuridiche, ma ne siamo a conoscenza per
comunicazioni personali: una donna è stata attaccata dall’ex marito in quanto lesbica, ma il
tribunale ha stimato la cosa indifferente ai fini del procedimento di divorzio.
È vero anche che, in mancanza di chiare direttive legislative, l’ombra del ricatto da parte dell’ex
coniuge è difficile da esorcizzare: il rischio di vedersi negato l’affido dei figli perché “una lesbica
non può essere una buona madre” è ancora percepito e ancora spinge ad accettare condizioni
economiche sfavorevoli per paura che il lesbismo sia menzionato in tribunale. Le donne che
lasciano il marito per un’altra donna temono che la separazione venga loro addebitata, permettendo
all’ex coniuge di non pagare gli alimenti.
In Australia è raro che ci siano discriminazioni in caso di divorzio: secondo la mappa giuridica
dell’Ilga (International Lesbian and Gay Association) è questo il paese dove l’affidamento postdivorzio a genitori omosessuali viene contestato di meno sulla base della sola omosessualità. Anche
58
il Canada e la Nuova Zelanda si distinguono per non ritenere la sola omosessualità, senza evidenza
di effetti negativi sui figli, ragione per non affidare il figlio/a a un particolare genitore.
La Corte europea dei diritti umani ha approvato nel 1999 il ricorso per discriminazione di un padre
gay: Salgueiro da Silva Mouta contro il Portogallo, decidendo di annullare l’affidamento della figlia
alla madre deciso solamente sulla base dell’omosessualità del padre. Infatti nella sentenza del 1996
i giudici portoghesi scrissero che la bambina “dovrebbe stare con una famiglia portoghese
tradizionale, e suo padre evidentemente non ha scelto una tale famiglia, preferendo vivere con un
altro uomo come sposo” (cit. da Minot 2000, 86). La corte ha condannato il rifiuto dell’affidamento
dei figli sulla sola base dell’orientamento sessuale della persona.
In Gran Bretagna si è avuta a lungo una situazione di discriminazione, ma ora sembra che i giudici
tengano sempre meno in conto l'
orientamento sessuale nelle decisioni di affido dei figli in caso di
divorzio (Williams 1994), mentre i padri gay soffrono ancora limitazioni.
Negli Stati Uniti sia a gay che lesbiche separati è stato impedito di convivere con il partner o di
passare la notte insieme quando i bambini sono a casa, restrizioni a cui non possono porre rimedio
ufficializzando in un matrimonio la nuova relazione.
In un clamoroso caso avvenuto nel 1998 in Alabama, un tribunale ha revocato l’affidamento di una
bambina dopo che per sei anni era stata cresciuta dalla madre con la sua nuova partner per affidarla
al padre, che si era appena risposato, nonostante il parere contrario del terapista che seguiva la
bambina. La corte ha esplicitamente condannato la madre per aver stabilito: "un ambiente
domestico con due partner dove la loro relazione omosessuale è praticata apertamente e presentata
alla bambina come l'
equivalente sociale e morale di un matrimonio eterosessuale" (Polikoff 2004,
156).
In Francia si sono avute sentenze che hanno permesso ai figli la residenza abituale presso la madre
omosessuale a condizione che non coabitasse con una terza persona (CA Parigi 25 settembre 1992),
una restrizione raramente imposta ad eterosessuali, così come il fatto che il padre gay debba
esercitare il suo diritto di visita e di ospitalità obbligatoriamente in assenza di terzi, ovvero del
nuovo compagno (CA Metz 13 maggio 1997) (Gross 2003, 34).
Oltre a queste restrizioni, già assurde di per sé, i giudici di altre parti del mondo hanno fatto persino
di peggio: in Belgio una donna lesbica divorziata da un partner violento si è vista togliere i figli per
affidarli all’ex marito (Minot 2000).
Non solo nei casi di divorzio il diritto può finire per calpestare le famiglie lesbiche: nel 1999 in
Sudafrica una coppia gay ottenne l’affido pre-adozione di un bambino solo perché questi non aveva
praticamente alcuna alternativa dal momento che risultava sieropositivo alle analisi. Al termine del
"periodo di prova" però il bimbo era tornato sieronegativo, per cui i giudici dichiararono la coppia
59
inadatta ad adottare, con l’intenzione di affidare il bambino ad altri. Questa decisione è stata
fortunatamente ribaltata dopo il ricorso in appello della coppia.
Negli Stati Uniti la co-madre Michelle G. è stata dichiarata un’“estranea biologica” in un caso di
“divorzio” di coppia lesbica del 1990 a Los Angeles in cui la madre biologica, Nancy S., non ha
avuto scrupolo nell’usare tutti i privilegi che il diritto le conferiva, tagliando fuori dalla vita dei
bambini la compagna con la quale li aveva voluti e cresciuti. Ci auguriamo che queste posizioni non
vengano condivise nel nostro paese, anche se è dubbio che i giudici italiani saranno più illuminati di
quelli statunitensi, in mancanza di chiari riferimenti legislativi.
La conclusione non può che essere il rammarico perché purtroppo nel nostro paese il diritto fatica
ad accorgersi di queste realtà, fatica ad accettare una definizione di famiglia che vada al di là dei tre
vincoli sopra ricordati (sangue, coniugio, adozione) riconoscendo che la famiglia è basata
innanzitutto su un vincolo di fatto, l’unico che può renderla autenticamente tale: è una convivenza
basata sull’affetto e sul sostegno reciproco, non solo economico (dove si fermano le prescrizioni
della famiglia “tradizionale”) ma soprattutto morale.
E dove c’è anche solo un bambino o bambina la cui situazione familiare non è riconosciuta dal
diritto, là si rischia di dover assistere impotenti a delle ingiustizie. Il bene del bambino non è questo.
Con questi nuovi riconoscimenti la famiglia non esplode, non si disintegra. Al contrario, sta
integrando aspetti dell'
esistenza umana prima misconosciuti, riconoscendo l'
esistenza di amori
diversi, valorizzando rapporti socialmente fondati e non limitati a un input biologico. Sta
semplicemente diventando umana: meno sacra ma molto più umana.
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