Aspetti legali connessi al bullismo e alla violenza giovanile

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Aspetti legali connessi al bullismo e alla violenza giovanile
XIV
LA SOCIETÀ FORMATIVA
Collana di studi e problemi di Pedagogia Sociale
diretta da
UMBERTO MARGIOTTA
Comitato scientifico della collana:
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IVANA PADOAN (Università Ca’ Foscari, Venezia)
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JOHN POLESEL (Università di Melbourne, Australia)
MARIA TOMARCHIO (Università di Catania)
ISABELLA LOIODICE (Università di Foggia)
MAURA STRIANO (Università di Napoli Federico II)
SILVIA KANIZSA (Università di Milano Bicocca)
SIMONETTA ULIVIERI (Università di Firenze)
GIUSEPPE ELIA (Università di Bari)
I volumi di questa collana sono sottoposti a un sistema di double blind referee
PREVENIRE
LA VIOLENZA GIOVANILE
Il contributo della Pedagogia sociale
a cura di
Esoh Elamé
Pensa
MULTIMEDIA
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Capitolo 3
Aspetti legali connessi al bullismo
e alla violenza giovanile
Lorenzo Pasculli
Dipartimento di diritto pubblico, internazionale e comunitario dell’Università degli Studi di Padova
Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università degli Studi di Trento
1.
La complessità del bullismo e le risposte diversificate del sistema di
giustizia minorile
1.1
Bullismo e devianza minorile nel sistema di giustizia minorile: la contrapposizione fra le istanze di tutela del minore e di controllo sociale
Il bullismo è un fenomeno complesso e ricco di implicazioni. Complesse e molteplici sono le cause che danno origine al bullismo, così come molteplici possono esserne le conseguenze. Diverse sono le persone coinvolte nel fenomeno (il
bullo, la vittima, i c.d. spettatori non coinvolti, i genitori, gli insegnanti etc.) e
diversi sono pure i tipi e le forme di manifestazione del bullismo (fisico, verbale, diretto, indiretto, esclusione sociale etc.).
La progressiva emersione di frequenti episodi di bullismo, l’allarme sociale
che ne è derivato, nonché l’attenzione mediatica richiamata sul tema hanno portato di recente alla presentazione in Parlamento di specifiche proposte di legge
volte a contrastare il fenomeno. Ad oggi, tuttavia, come fenomeno unitario, il
bullismo non è ancora oggetto di una disciplina legislativa ad hoc.
Ciò non significa, però, che il diritto non si occupi del bullismo e non offra
risposte di alcun tipo. Le varie forme di manifestazione del fenomeno, infatti,
ben si prestano a trovare una compiuta e soddisfacente disciplina nel ricco e diversificato apparato di provvedimenti previsto dal nostro sistema di giustizia
minorile. Tale sistema, per quanto ancora perfezionabile, contiene già in sé tutte le risposte alle problematiche e alle istanze di tutela sollevate dal bullismo,
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CAPITOLO 3
che, del resto, spesso si sovrappongono con quelle proprie della devianza minorile in generale.
In particolare, in entrambi i casi, le due esigenze fondamentali che occorre
contemperare sono:
A) l’esigenza di tutela dei minori autori di condotte di bullismo o devianti, che implica la necessità di:
a.1) porre in essere interventi di educazione e socializzazione nei confronti
del minore, anziché di mera repressione;
a.2) intervenire, se del caso, sull’ambiente sociale e famigliare che dovesse essere inadeguato a garantire un’idonea educazione e uno sviluppo armonioso al minore;
a.3) evitare ogni tipo di stigmatizzazione, prima fra tutte quella rappresentata dall’ingresso del minore nel circuito penale;
B) l’esigenza di controllo sociale e di tutela delle vittime, che implica la necessità di:
b.1) prevenire i comportamenti del minore che possono essere dannosi o pericolosi;
b.2) garantire un’idonea riparazione dei danni cagionati dal minore con la
propria condotta;
b.3) responsabilizzare il minore, mediante le misure o le sanzioni più opportune a seconda dei casi;
b.4) responsabilizzare i genitori e gli educatori del minore.
Il diritto minorile oscilla, pertanto, fra istanze protezionistiche e assistenziali e istanze di responsabilizzazione. La difficile conciliazione fra tali istanze è stata perseguita, nel nostro ordinamento, mediante la predisposizione di istituti assai diversificati, nella natura (disciplinare, civile, penale e amministrativa) e nei
contenuti (educativi, assistenziali, preventivi, sanzionatori). In questo modo il
sistema offre la possibilità di far ricorso, di volta in volta, agli strumenti giuridici che risultino più adeguati e più rispondenti alle esigenze del caso.
A garantire una compiuta individualizzazione dei singoli istituti alle peculiari esigenze del caso concreto contribuisce anche la particolare elasticità dei
contenuti di tali provvedimenti e la discrezionalità concessa ai giudici ai fini della loro determinazione.
In questo articolato e differenziato strumentario l’operatore e l’interprete devono cercare – e possono trovare – le risposte normative più idonee a reagire alle più disparate forme di manifestazione del fenomeno del bullismo.
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1.2
Le caratteristiche del bullismo quali primi criteri per l’individuazione dei provvedimenti applicabili
1.2.1 Il rapporto fra gli atti di bullismo e i fatti di reato
Le considerazioni appena svolte impongono alcune precisazioni, onde evitare facili equivoci.
Per un verso, occorre rifuggire la semplicistica identificazione tout court del
bullismo con la delinquenza giovanile. Tale identificazione comporta l’etichettamento del minore autore di atti di bullismo come delinquente. Si tratta di una
stigmatizzazione assolutamente da evitare, in quanto:
– favorisce l’immedesimazione del minore in un soggetto delinquente avvicinandolo, quindi, al mondo della criminalità;
– impedisce di cogliere le caratteristiche specifiche di ogni situazione, la cui individuazione è, invece, il presupposto per una corretta scelta dei provvedimenti da adottare.
Per altro verso, però, occorre smentire la convinzione per cui le condotte di
bullismo non siano in nessun caso condotte criminose. Al contrario, è indispensabile prendere atto che molte forme di manifestazione del bullismo consistono
proprio in fatti di reato (lesioni personali, violenza privata, furto, rapina, ingiurie, atti di discriminazione) che in taluni casi possono assumere anche particolare gravità (violenza sessuale, estorsione, sequestro di persona). Obliterare questa
verità significherebbe sottovalutare il fenomeno e le sue possibili degenerazioni,
con la conseguenza di impedire, ancora una volta, di identificare i giusti provvedimenti da adottare nei confronti di tutti i soggetti coinvolti (siano essi bulli, vittime, spettatori o educatori).
In conclusione, qualsiasi forma di intervento non potrà prescindere da un’attenta considerazione e comprensione delle caratteristiche assunte nel caso concreto dal singolo episodio di bullismo. Le tutele e le risposte approntate dal diritto variano, infatti, sensibilmente a seconda che i fatti di cui trattasi concretizzino dei reati ovvero si limitino a rimanere mere manifestazioni di irregolarità caratteriali o inquietudini che non preludono neppure alla commissione di
un reato e, spesso, a ben vedere, non dipendono dal minore ma sono indotte dall’ambiente in cui vive o dalle persone che lo circondano.
1.2.2 L’età dell’autore di atti di bullismo
Un’altra variabile che orienta immediatamente l’operatore nelle modalità di intervento è senz’altro l’età del minore autore di atti di bullismo. Altro è un atto
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CAPITOLO 3
di prevaricazione posto in essere da un bambino di otto anni, altro è un atto di
prevaricazione posto in essere da un adolescente.
Si potrebbe distinguere, in due fasce di età:
A) dai 7 ai 12 anni: in questi casi il minore è davvero un bambino. L’accento deve necessariamente cadere sull’esigenza di tutela e di educazione del minore,
il cui esclusivo e superiore interesse dovrà costituire la ragione ultima di ogni
intervento nei suoi confronti.
B) dai 12 ai 18 anni: si tratta di una fascia d’età in cui il minore potrebbe presentare una maturità tale da consentirgli di comprendere le conseguenze delle proprie azioni e, quindi, anche provvedimenti più responsabilizzanti. Il
minore potrebbe, inoltre, rivestire una pericolosità sociale ben maggiore, per
cui non è possibile, in tale ipotesi, prescindere da esigenze di controllo sociale.
L’età del minore assume, inoltre, una specifica rilevanza per il diritto penale
e, quindi, in tutti quei casi in cui gli atti di bullismo dovessero tradursi in reati. Il codice penale prevede, infatti, una presunzione assoluta di inimputabilità
per il minore degli anni quattordici (art. 97). Ciò significa che la legge ritiene,
senza ammettere prova contraria, che chi non abbia ancora compiuto quattordici anni non sia ancora sufficientemente maturo da comprendere il significato che
le proprie azioni assumono per il diritto penale e da potersi determinare alla
commissione del fatto illecito in modo autonomo e responsabile. Ne consegue
che il minore degli anni quattordici che commettesse un reato, per quanto grave, non può esserne considerato (soggettivamente) responsabile. Non gli potrà
essere applicata, pertanto, una pena in senso stretto, ma – se del caso – solo una
misura di sicurezza.
Per quanto riguarda, invece, i minori che abbiano compiuto i quattordici anni, ma non ancora i diciotto, il codice prevede che essi possano essere ritenuti imputabili solo laddove si accerti che essi abbiano la capacità di intendere e di volere, in quanto considerati sufficientemente maturi (art. 98). In questo caso, il
minore è considerato pienamente responsabile delle proprie condotte criminose
ed è passibile tanto di pena quanto di misura sicurezza.
2.
Le forme di intervento previste dal sistema di giustizia minorile
I provvedimenti previsti dal diritto minorile nei confronti dei minori devianti o
comunque a rischio di diventare devianti, quali molte volte sono i minori autori di atti di bullismo, possono essere distinti, a seconda della loro natura, in
provvedimenti civili, amministrativi e penali. Sono previste anche sanzioni di
carattere disciplinare.
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Con un certo grado di approssimazione, si può dire che nei primi si compie
una forma di intervento prevalentemente, se non esclusivamente, finalizzata a
garantire al minore un ambiente familiare, un’educazione, un’istruzione idonei
a soddisfare le sue esigenze primarie e a garantirne un armonioso sviluppo.
I provvedimenti di tipo amministrativo sono, invece, caratterizzati da una finalità di prevenzione speciale. Mirano, cioè, ad evitare che il minore che abbia
già dato prova di una certa irregolarità nella condotta e di una certa pericolosità
possa arrivare a commettere reati.
I provvedimenti penali, ben più stigmatizzanti dei precedenti, sono funzionali sia alla repressione che alla prevenzione dei fatti di reato. Benché in astratto sia possibile applicare anche ai minori autori di reato le stesse pene e misure
di sicurezza applicabili per gli adulti, sono previsti dalla legge appositi istituti
volti a consentire al minore una rapida uscita dal circuito penale.
2.1
I provvedimenti civili
I provvedimenti civili sono particolarmente indicati per i casi in cui gli atti di
bullismo trovino le loro cause in un ambiente familiare inidoneo, se non addirittura nocivo, per il minore.
Agli stessi può essere opportuno far ricorso quando non appaia sufficiente un
mero intervento disciplinare interno all’ambito scolastico. In particolare, quando gli atti di bullismo siano la spia di un disagio profondo del minore, generato dall’ambiente familiare e sociale.
Tali provvedimenti sono previsti in parte dal codice civile, in parte dalla legge in materia di adozione (legge n. 184 del 4 maggio 1983, significativamente
intitolata “Diritto del minore ad una famiglia”, successivamente modificata dalla
legge n. 149 del 28 marzo 2001).
2.1.1 I provvedimenti previsti dalla legge sull’adozione: l’affidamento del minore
La legge sull’adozione tutela il diritto del minore di crescere ed essere educato
nell’ambito della propria famiglia. Per rendere effettiva questa tutela, essa prevede che lo Stato, le regioni e gli enti locali sostengano i nuclei famigliari a rischio (art. 1). Si tratta di una primissima forma di intervento, squisitamente assistenziale, anche nei confronti di quei minori che commettano atti di bullismo
in virtù delle carenze educative e formative cui sono esposti nell’ambito della
propria famiglia, anche solo per via delle condizioni di indigenza dei genitori. Il
messaggio del legislatore è chiaro: le famiglie non possono essere lasciate sole
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CAPITOLO 3
nelle loro difficoltà ed i servizi locali devono intervenire, offrendo alla famiglia
ed al minore tutti i supporti necessari a superare le difficoltà di crescita ed educative del minore.
Quando tali interventi di aiuto e sostegno non siano sufficienti, la legge prevede (art. 2) che il minore temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo sia affidato:
A) ad un’altra famiglia in grado di assicurargli il mantenimento, l’istruzione e le
relazioni affettive di cui ha bisogno;
B) o, quando ciò non sia possibile, ad una comunità di tipo familiare che abbia sede preferibilmente nel luogo ove risiede il nucleo familiare d’origine.
Si distingue fra
– affidamento familiare consensuale: si ha quando i genitori del minore acconsentano. In questo caso è disposto con provvedimento del servizio sociale locale reso esecutivo dal giudice tutelare del luogo ove si trova il minore;
– affidamento familiare giudiziale: se i genitori non prestano il consenso, provvede il Tribunale per i minorenni, che potrà adottare, fra l’altro, anche i provvedimenti previsti dal codice civile.
L’affidamento familiare è una misura di carattere temporaneo: di norma cessa quando sia venuta meno la situazione di difficoltà della famiglia d’origine o
quando la sua prosecuzione rechi pregiudizio al minore (art. 4).
Il ruolo del servizio sociale locale nell’ambito dell’affidamento è assolutamente cruciale, infatti esso:
1. è responsabile dello specifico programma di assistenza secondo cui si svolge
ogni affidamento;
2. vigila sull’andamento dell’affidamento;
3. svolge opera di sostegno educativo e psicologico, agevola i rapporti con la famiglia di provenienza ed il rientro del minore nella stessa;
4. ha l’obbligo di tenere costantemente informati il giudice tutelare o il Tribunale per i minorenni, a seconda dei casi.
2.1.2 I provvedimenti previsti dal codice civile: la decadenza dalla potestà genitoriale e l’allontanamento dalla residenza familiare del minore o del genitore che maltratta o abusa di lui
Il codice civile prevede dei provvedimenti più radicali, che si connotano non solo quali interventi di assistenza nei confronti del minore, bensì anche quali sanzioni nei confronti dei genitori che in qualsiasi modo contravvengano ai propri
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doveri parentali, sia intenzionalmente, sia per mera incuria e /o incapacità. Assolvono, pertanto, una funzione di tutela del minore e di responsabilizzazione
degli esercenti la potestà genitoriale. Essi sono adottati direttamente dal Tribunale per i minorenni.
Un primo istituto, il cui carattere sanzionatorio è evidente, è quello della decadenza dalla potestà genitoriale, che il Tribunale può pronunciare quando il genitore viola o trascura i doveri ad essa inerenti con grave pregiudizio per il figlio
(art. 330, comma 1).
Laddove, poi, ricorrano gravi motivi il Tribunale può anche ordinare l’allontanamento del figlio dalla residenza familiare o l’allontanamento del genitore o del convivente che maltratta o abusa del minore (art. 330, comma 2). Qualora la condotta
di uno o di entrambi i genitori, pur non essendo tale da portare alla decadenza
della potestà, si rivela comunque pregiudizievole per il figlio il Tribunale può
parimenti intervenire (art. 333).
La legge non predetermina i contenuti dei provvedimenti che può adottare il
Tribunale in entrambe le due situazioni enunciate, ma rimette alla discrezionalità dei giudici l’individuazione degli interventi e delle prescrizioni più confacenti alle peculiarità del caso concreto. Competente a vigilare sull’osservanza
delle condizioni stabilite dal Tribunale è il giudice tutelare.
Nell’ambito della propria discrezionalità il Tribunale per i minorenni può, fra
l’altro:
– disporre l’affidamento del minore ai servizi sociali locali;
– incaricare i servizi di svolgere determinate attività di assistenza al minore,
fermo restando l’affidamento ai genitori;
– imporre particolari adempimenti ai genitori, come l’obbligo di sottoporsi a
psicoterapia o a programmi di riabilitazione dalla dipendenza da alcool o stupefacenti.
Anche in questo caso è evidente la centralità dei servizi sociali, le cui strutture e le cui competenze possono svolgere un ruolo fondamentale nell’educazione del minore che commetta atti di bullismo e, ove possibile, nell’attività di recupero e di sostegno del suo nucleo famigliare.
I provvedimenti civili di cui sopra sono adottati su ricorso dell’altro genitore, dei parenti e del pubblico ministero. A quest’ultimo quindi può essere fatta
la segnalazione, da parte di chi per la propria attività professionale si trovi a conoscenza di situazioni dannose per il minorenne. I menzionati provvedimenti
possono essere sempre revocati dal Tribunale, laddove lo richieda l’interesse del
minore. Analogamente il genitore decaduto può essere reintegrato nella potestà
parentale quando siano cessate le ragioni per cui è stata pronunciata la decadenza ed è escluso ogni pericolo di pregiudizio per il figlio.
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CAPITOLO 3
2.2
I provvedimenti amministrativi
I provvedimenti amministrativi che possono essere adottati nei confronti dei minori autori di atti di bullismo sono previsti dal regio decreto legge n. 1404 del
20 luglio 1934, istitutivo del Tribunale per i minorenni.
Agli stessi è possibile ricorrere quando gli atti di bullismo abbiano una consistenza e ripetitività tali da essere considerati gravi, pur non richiedendo ancora un vero e proprio intervento penale e/o siano commessi da soggetti già adolescenti, ma non ancora sufficientemente maturi da giustificare, o consentire, l’intervento penale.
Si tratta di misure applicabili al minore che abbia dato manifeste prove di irregolarità della condotta o del carattere, senza che tali irregolarità si siano tradotte nella commissione di reati. La funzione di tali misure è, infatti, proprio
quella di prevenire, tramite interventi di carattere educativo-assistenziale, che il
minore irregolare diventi un minore delinquente. Non a caso tali provvedimenti vengono comunemente definiti anche quali misure di rieducazione.
Non vi è chi non veda come nella vasta categoria delle irregolarità della condotta o del carattere possano benissimo essere ricondotte tutte le più svariate forme di manifestazione del bullismo che non assurgano a fatti di reato, ma che abbiano già superato la soglia di trasgressioni proprie dei gruppi adolescenziali, assumendo i connotati di una vera e propria condotta deviante.
Nonostante la formulazione letterale attuale dell’art. 25 del regio decreto legge preveda due tipi di misure, attualmente si deve ritenere che l’unica misura
applicabile sia l’affidamento del minore al servizio sociale.
L’attribuzione della competenza per l’esecuzione di tali provvedimenti, così
come anche di quelli civili, ai servizi sociali degli enti locali (d.p.r. n. 616/1977)
ha, infatti, conferito a tali misure un carattere prettamente assistenziale, con l’abrogazione implicita della misura del collocamento in una casa di rieducazione
o in un istituto medico-psico-pedagogico, pure in apparenza prevista dalla norma.
Competente ad applicare tale misura è il Tribunale dei minorenni, dietro segnalazione del procuratore della Repubblica, dei servizi sociali, dei genitori o del
tutore, degli organismi di protezione e di assistenza dell’infanzia e dell’adolescenza. Prima di applicare la misura, il Tribunale deve esplicare approfondite indagini sulla personalità del minore.
Il Tribunale deve indicare le prescrizioni che il minore dovrà seguire, a seconda dei casi, in ordine alla sua istruzione, alla preparazione professionale, al lavoro, all’utilizzazione del tempo libero e ad eventuali terapie, nonché le linee direttive dell’assistenza, alle quali egli dev’essere sottoposto.
Nei casi più gravi, di una irregolarità che è già sfociata in “devianza”, il Tri60
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bunale può anche disporre l’allontanamento del minore dalla casa familiare, indicando il luogo in cui il minore deve vivere e la persona o l’ente che si deve
prendere cura del suo mantenimento e della sua educazione. In tal caso il minore può anche essere collocato presso una comunità di tipo familiare.
La legge prevede il limite massimo di età, fissato ai diciott’anni, per l’applicabilità di tali misure, ma non prevede un limite minimo. Poiché si tratta di
provvedimenti di contenuto responsabilizzante nei confronti del minore si ritiene che, ai fini dell’applicazione, questi debba essere già sufficientemente sviluppato per poter essere interlocutore diretto del giudice minorile. Non è, invece,
indispensabile che egli possieda già la maturità necessaria per essere considerato
penalmente responsabile. Una soglia di età minima potrebbe, pertanto, essere
individuata nei dodici anni di età. Resta fermo che il giudice dovrà in ogni caso
valutare la capacità del minore, che abbia eventualmente superato tale limite di
età, di percepire la valenza educativa dei provvedimenti in questione.
2.3
I provvedimenti penali
Laddove gli atti di bullismo integrino fattispecie di reato la risposta dell’ordinamento sarà senz’altro quella penale. In astratto, anche al minore autore di reato, così come agli adulti, sono applicabili pene e misure di sicurezza.
Il carattere notevolmente stigmatizzante di tali sanzioni e, prima ancora, del
procedimento penale stesso potrebbe, tuttavia, risultare incompatibile con le esigenze di tutela e di educazione del minore che, pur in presenza di forti istanze
di controllo sociale, non possono in nessun caso essere ignorate.
Ciò giustifica la resistenza, molte volte, a denunciare i fatti alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni, anche quando si tratti di fatti di una certa gravità (lesioni, furti, estorsioni, danneggiamenti aggravati) e gli
autori abbiano già compiuto i 14 anni e possono pertanto essere ritenuti penalmente responsabili.
Al riguardo va precisato che l’attuale sistema penale minorile prevede che il
ricorso a pene e misure di sicurezza sia subordinato all’adozione di tutta una serie di istituti che favoriscono l’uscita del minore dal circuito penale il prima possibile ed il più delle volte senza che si renda necessaria la pronuncia di condanna.
2.3.1 Le pene
Le pene sono sanzioni penali (in senso stretto) consistenti in una privazione diretta o indiretta della libertà personale. Sono applicate dal Tribunale per i minorenni sono applicabili ai minori imputabili sul presupposto dell’accertamento
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CAPITOLO 3
della responsabilità per il reato commesso. I minori beneficiano di una riduzione di pena rispetto agli adulti, in caso di condanna (art. 98 cod. pen.).
Le pene previste dal nostro sistema penale (artt. 17-26) e applicabili anche nei
confronti dei minori imputabili sono:
a) la reclusione: detenzione in apposito istituto da quindici giorni a ventiquattro anni;
b) la multa: pagamento di una somma non inferiore a 50 Euro né superiore a
50.000 Euro;
c) l’arresto: detenzione da cinque giorni a tre anni in una sezione speciale di un
istituto di reclusione;
d) l’ammenda: pagamento di una somma non inferiore a 20 Euro né superiore a
10.000 Euro.
I delitti, cioè i reati più gravi, sono puniti con l’ergastolo, la reclusione e la
multa, mentre le contravvenzioni, reati meno gravi, sono punite con l’arresto e
l’ammenda.
La durata della pena detentiva è commisurata alla gravità del reato e la capacità a delinquere del reo dal giudice, che la determina entro i limiti minimi e
massimi stabiliti dalla legge. L’ergastolo, cioè la reclusione a vita, non è più applicabile ai minori grazie all’intervento della Corte costituzionale (sentenza 28
aprile 1994, n. 168).
È previsto, inoltre, un apparato di pene accessorie, di carattere per lo più interdittivo, che, tuttavia non si applicano ai minori condannati a pena detentiva
inferiore ai cinque anni.
2.3.2 Le misure di sicurezza
Le misure di sicurezza sono sanzioni penali (in senso lato) consistenti in limitazioni della libertà personale, in teoria a scopo più preventivo-rieducativo che repressivo, applicabili sulla base di un duplice presupposto:
1. la previa commissione di un fatto costituente reato (o quasi-reato);
2. l’accertamento della pericolosità sociale dell’autore.
Poiché si tratta di misure volte a porre rimedio alla pericolosità del soggetto,
esse sono applicabili sia agli autori di reato imputabili, dopo l’esecuzione della
pena, sia agli autori di reato inimputabili, non assoggettabili a pena. Per la stessa ragione la durata delle misure di sicurezza è indeterminata ed è destinata a
protrarsi fintanto che perdura la pericolosità dell’interessato. Il giudice procede
periodicamente al riesame della pericolosità.
Le misure di sicurezza nei confronti dei minori possono essere applicate:
– in via provvisoria nei confronti di minore non imputabile dal giudice per le
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Lorenzo Pasculli – Aspetti legali connessi al bullismo e alla violenza giovanile
indagini preliminari o dal giudice per l’udienza preliminare, su richiesta del
pubblico ministero, quando per le specifiche modalità e circostanze del fatto
e per la personalità dell’imputato sussista concreto pericolo che questi commetta delitti con uso di armi o altri mezzi di violenza personale o contro la
sicurezza collettiva o l’ordine costituzionale o ancora gravi delitti di criminalità organizzata. In tal caso il giudice deve trasmettere gli atti al Tribunale per i minorenni, che procede al giudizio di pericolosità e, sentiti il minore, l’esercente la potestà genitoriale, l’affidatario e i servizi decide con sentenza, eventualmente modificando o revocando la misura disposta in via
provvisoria;
– con la sentenza di condanna o di non luogo a procedere per inimputabilità dal
Tribunale per i minorenni.
Le misure di sicurezza applicabili ai minori sono la libertà vigilata, eseguita
nelle forme delle prescrizioni e della permanenza in casa, e il ricovero in riformatorio giudiziario, eseguito nella forma del collocamento in comunità. Esse sono
previste e disciplinate in parte dal codice penale (art. 224 ss.) e in parte dalle
norme del decreto del Presidente della Repubblica sul processo penale a carico
di imputati minorenni (d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, artt. 34 ss.).
Competente per l’esecuzione di tali misure è il magistrato di sorveglianza per
i minorenni del luogo ove debbono essere eseguite. Egli impartisce le disposizioni concernenti le modalità di esecuzione della misura e vigila costantemente
anche mediante frequenti contatti informali con il minore, l’affidatario, l’esercente la potestà genitoriale e i servizi minorili.
I casi di applicazione di misure di sicurezza nei confronti di minorenni sono
davvero pochi. Come si è detto, si tende a privilegiare misure che consentano al
minore di non accedere al circuito penale. In proposito, vi è da tenere presente
che la legge propone una valida alternativa all’applicazione delle misure di sicurezza di cui sopra nei casi in cui:
– sia in corso un procedimento penale a carico del minore ma non sia ancora
stata pronunciata sentenza (e cioè nei casi in cui sarebbe possibile l’applicazione provvisoria della misura di sicurezza);
– il minore sia stato prosciolto per difetto di imputabilità senza che sia stata applicata una misura di sicurezza.
In questi casi, su proposta del pubblico ministero, il giudice può applicare la
misura amministrativa dell’affidamento del minore al servizio sociale (art. 26 r.d.l. n.
1404/1934).
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CAPITOLO 3
2.3.3 Il perdono giudiziale
Il perdono giudiziale (art. 169 cod. pen.) è un istituto premiale che può essere
concesso agli autori di reato minori degli anni diciotto, quando ricorrano cumulativamente le seguenti condizioni:
1. il reato commesso non sia di particolare gravità (e cioè sia passibile di essere punito, in concreto, con pena detentiva non superiore nel massimo a due anni
e/o con pena pecuniaria non superiore nel massimo a 5 Euro);
2. il giudice, tenuto conto della gravità del reato e della capacità a delinquere
del minore, presume che questi si asterrà dal commettere ulteriori reati.
Il perdono può essere concesso:
– prima del giudizio, dal giudice per l’udienza preliminare, il quale, in caso
di concessione, si asterrà dal pronunciare il rinvio a giudizio;
– a seguito del giudizio, dal Tribunale per i minorenni, che si asterrà dal pronunciare sentenza di condanna.
2.3.4 La sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto e la mediazione
penale
Si tratta di un istituto finalizzato a garantire una rapidissima uscita del minore
dal procedimento penale qualora il reato commesso sia un reato c.d. “bagatellare”, ossia di minimo contenuto offensivo ed espressivo più che altro di atteggiamenti trasgressivi propri dell’età evolutiva. In questi casi, infatti, l’interesse alla celebrazione del processo è minimo. L’irrilevanza del fatto è prevista e disciplinata dal d.P.R. 448/1988 (art. 27).
Ai fini dell’applicazione devono ricorrere contemporaneamente i seguenti
presupposti:
1. la tenuità del fatto;
2. l’occasionalità del comportamento;
3. la possibilità che l’ulteriore corso del procedimento pregiudichi le esigenze
educative del minore.
Quando ricorrano tali presupposti il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere per l’irrilevanza del fatto.
L’istituto può essere applicato:
a) durante le indagini preliminari, su richiesta del pubblico ministero, dal giudice per le indagini preliminari;
b) nell’udienza preliminare, anche d’ufficio, dal giudice per l’udienza preliminare;
c) durante tutto il dibattimento, anche d’ufficio, dal Tribunale per i minorenni
(grazie all’intervento della Corte costituzionale: sentenza 9 maggio 2003, n.
149).
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Lorenzo Pasculli – Aspetti legali connessi al bullismo e alla violenza giovanile
La pronuncia di sentenza di non luogo a procedere per l’irrilevanza del fatto
non lascia tracce nemmeno sul futuro del minore. La legge prevede, infatti, che
essa non venga iscritta nel casellario giudiziale.
Gli interessi educativi del minore, così come l’interesse della vittima a vedere riconosciute le proprie ragioni, potranno essere soddisfatti facendo precedere
la sentenza di non luogo a procedere dall’attività di mediazione penale – originariamente prevista solo per la sospensione del processo con messa alla prova, ma
oggi applicata anche, come prassi ai casi di irrilevanza del fatto –, al fine di stimolare nell’autore l’offerta di un risarcimento o anche solo di scuse formali.
La mediazione penale rappresenta un’importante sintesi fra gli obiettivi di
tutela delle esigenze educative e di responsabilizzazione del minore autore di
reato e delle istanze di riparazione invocate dalla vittima. Essa consiste in un’attività di conciliazione del minorenne con la vittima del reato. Può essere prevista dal giudice insieme ad altre prescrizioni dirette alla riparazione delle conseguenze dannose della condotta criminosa, o praticata direttamente dai servizi, o
stimolata dal Pubblico Ministero, qualora la ritenga necessaria proprio per addivenire alla richiesta del non luogo a procedere per irrilevanza del fatto.
Prevista anche dalle legislazioni di altri Paesi europei, la mediazione è espressione di una giustizia conciliativa e ripartiva che pone il minore nelle condizioni di meritarsi l’uscita dal processo penale tramite il riconoscimento del danno
cagionato alla vittima e tramite il confronto diretto con quest’ultima.
2.3.5 La sospensione del processo con messa alla prova
Nei casi di reati medio-gravi, per i quali non è possibile il ricorso agli istituti sopra
esaminati, la sentenza di condanna può ancora essere evitata grazie alla sospensione
del processo con messa alla prova (artt. 28 e 29 d.p.r. n. 448/1988 e art. 27 d.lgs. n.
272/1989). In particolare, quando il giudice ritiene di dover valutare la personalità
del minore all’esito di un periodo di prova, può disporre la sospensione del processo
per un periodo non superiore ad un anno, per i reati meno gravi e non superiore a
tre anni nei casi di reati puniti con una pena superiore ai 12 anni o con l’ergastolo.
In questo modo al minore è dato modo di evitare il rinvio a giudizio o la condanna
sottoponendosi ad un percorso educativo-assistenziale.
La funzione della sospensione è, dunque, spiccatamente rieducativa, tanto
che, ai fini della sua applicazione non rilevano:
– la gravità del reato;
– gli eventuali precedenti penali e giudiziali del minore.
Con il provvedimento di sospensione, il giudice affida il minore ai servizi minorili dell’amministrazione della giustizia per lo svolgimento, in collaborazione
65
CAPITOLO 3
coi servizi sociali degli enti locali, delle più opportune attività di osservazione,
trattamento e sostegno. Il giudice può inoltre imporre al minore attività di mediazione penale, nei termini sopra descritti.
L’affidamento si svolge in base a un progetto elaborato da detti servizi che preveda, fra l’altro:
a) le modalità di coinvolgimento del minore;
b) gli impegni specifici che il minore assume;
c) le modalità di partecipazione al progetto degli operatori della giustizia e dell’ente locale;
d) le modalità di attuazione eventualmente dirette a riparare le conseguenze del
reato e a promuovere la conciliazione del minorenne con la persona offesa.
Il progetto di intervento è senz’altro il cuore dell’istituto della sospensione,
in quanto rappresenta quello strumento grazie al quale il minore viene coinvolto in un programma di vita responsabilizzante che lo aiuti progressivamente nel
superamento della sua devianza. Anche in questo caso, non può ignorarsi la centralità delle attività di mediazione.
I servizi informano periodicamente il giudice e propongono eventuali modifiche al progetto in considerazione dell’evoluzione della personalità del minore
o, in caso di gravi e ripetute trasgressioni, la revoca del provvedimento di sospensione.
La prova avrà esito positivo quando, decorso il periodo di sospensione:
– risulti che il minore abbia adempiuto alle prescrizioni impartitegli nel progetto e
– la sua personalità abbia subito una effettiva e positiva evoluzione.
In questo caso il giudice dichiara estinto il reato con sentenza. Diversamente, il processo prosegue il suo iter ordinario (senza che l’esito negativo della prova possa influire in alcun modo sul giudizio).
2.4
I provvedimenti disciplinari e le azioni a livello nazionale
Benchè non esista, al momento, un apparato normativo espressamente dedicato al bullismo, recentemente sono state elaborate dall’allora Ministro della Pubblica Istruzione delle linee di indirizzo generali ed azioni a livello nazionale per la
prevenzione e la lotta al bullismo (direttiva ministeriale n. 16 del 5 febbraio 2007).
L’emanazione di tale direttiva, che in quanto tale non ha forza di legge, è il
chiaro segnale della crescente attenzione e dell’allarme che il fenomeno sta destando.
La direttiva enfatizza l’importanza dell’istituzione scolastica ai fini ella prevenzione e del contrasto al bullismo, in virtù della sua fisiologica funzione edu66
Lorenzo Pasculli – Aspetti legali connessi al bullismo e alla violenza giovanile
cativa, e si propone di metterle a disposizione opportunità, risorse e strumenti
ulteriori.
In primo luogo, la direttiva fissa dei principi a presidio dell’applicazione delle sanzioni disciplinari in ambito scolastico. Si tratta di principi ispirati alle più
evolute aquisizioni della giustizia minorile. Si afferma, infatti, il principio per
cui la sanzione disciplinare, anziché configurarsi quale mera espulsione del minore irregolare, debba tradursi in una responsabilizzazione dello studente all’interno della sua comunità e condurlo ad assumere consapevolezza del disvalore sociale della propria condotta, nonché a riparare il danno arrecato.
Lo strumento disciplinare viene così collocato «in uno spazio intermedio fra
l’essenziale momento di formazione/prevenzione e quello del ricorso all’autorità
giudiziaria». Sanzioni più severe sono consentite solo nei casi in cui:
– gli atti di bullismo assurgano a fatti di reato o
– vi sia pericolo per l’incolumità delle persone.
In secondo luogo, la dirittiva prevede una serie di azioni a livello nazionale e cioè:
1. una campagna di comunicazione e di informazione rivolta agli studenti, ai dirigenti scolastici, ai docenti, al personale Ata e alle famiglie, diversificata per
la scuola dell’infanzia e primaria e per la scuola secondaria;
2. la costituzione di osservatori regionali permanenti sul bullismo, cui è affidata l’adozione di strategie operative di
a) prevenzione e lotta al bullismo;
b) di promozione di percorsi di educazione alla legalità;
c) monitoraggio del fenomeno bullismo;
d) monitoraggio e verifica delle attività svolte dai vari soggetti coinvolti.
3. l’attivazione di un numero verde nazionale (800.669696) cui poter segnalare
casi e chiedere informazioni sul bullismo;
4. una serie di interventi e iniziative nel settore della comunicazione e delle reti informatiche, per favorire nei ragazzi comportamenti di salvaguardia e contrasto rispetto al fenomeno del c.d. “cyberbullismo”.
3. L’esperienza di altri Paesi europei
Anche i sistemi di giustizia minorile di altri Paesi europei oscillano fra un modello c.d. del “welfare” (o “welfare-oriented approach”), per cui il minore autore di
condotte devianti è considerato più bisognoso di tutela che di repressione – e
quindi meritevole di esser assoggettato a misure educative più che a sanzioni di
carattere penale – e un modello responsabilizzante meno incline a giustificare il
minore e più attento alle esigenze di controllo sociale.
Proprio fenomeni come il bullismo hanno recentemente ispirato diversi in67
CAPITOLO 3
terventi di riforma della legislazione minorile di certi Paesi, come, ad esempio,
la Francia e il Regno Unito. Tali riforme sono state criticate da parte della dottrina che le ha considerate di stampo marcatamente repressivo.
In realtà, non sempre tale critica risulta giustificata. In certi casi, infatti, sembra più corretto leggere in tali iniziative legislative la volontà di continuare ricercare nuove ed efficaci forme di intervento nei confronti di fenomeni di devianza giovanile, fra cui appunto il bullismo, che fino a pochi decenni fa non erano ancora emersi compiutamente.
Se è vero che l’interesse del minore deve pur sempre guidare l’interprete nell’applicazione dei provvedimenti più idonei, è altrettanto vero che non è possibile ignorare la pericolosità e la gravità di certe forme di manifestazione della devianza minorile.
3.1 L’esperienza francese
Il sistema di giustizia minorile francese è stato improntato, a partire dal secondo dopoguerra, ad uno spirito protezionista. Per i minori devianti era previsto
un sistema di misure c.d. educative, aventi funzione dichiaratamente (special)preventiva, diversificate a seconda che si trattasse di minore che avesse superato o meno i tredici anni d’età. Solo in casi eccezionali, laddove lo imponessero le
circostanze e la personalità del minore delinquente, era consentito a ai giudici
pronunciare una condanna penale nei confronti dei minori che avessero almeno
tredici anni ed anche in questi casi la sanzione penale applicabile doveva esser
necessariamente contenuta entro certi limiti.
La c.d. Loi Perben del 2002 (legge del 9 settembre 2002, n. 1138) ha sensibilmente mutato tale assetto. Oggi, ai minori che abbiano un’età compresa fra i
dieci e i tredici anni sono applicabili sia le tradizionali misure educative che un
nuovo tipo di sanzioni, le c.d. sanzioni educative (fra cui la confisca, il divieto di
permanere in certi luoghi, il divieto di incontrare i complici del reato, obblighi
di aiuto o riparazione nei confronti della vittima, il collocamento in un istituto
di educazione, etc.). Ai minori che abbiano compiuto i tredici anni, invece, sono applicabili sia le misure educative, che le sanzioni educative, che le sanzioni
penali vere e proprie.
Tali misure sono, tuttavia, applicabili solo a seguito della commissione di un
reato da parte del minore. Per i casi in cui la condotta del minore non arrivi ad
integrare un fatto di reato, in Francia si è cercato di implementare un ampio e
articolato sistema sociale, più che penale o amministrativo, di prevenzione della
delinquenza giovanile destinato ad intervenire in quegli ambiti della società ove
più facilmente possono svilupparsi le cause della criminalità minorile.
68
Lorenzo Pasculli – Aspetti legali connessi al bullismo e alla violenza giovanile
In questa prospettiva si collocano le più recenti proposte contenute nei rapporti ministeriali francesi, che invocano, fra l’altro l’apertura delle scuole alle famiglie per favorirne l’integrazione, lo sviluppo di programmi scolastici di prevenzione della delinquenza, un’adeguata formazione dei soggetti deputati all’educazione dei minori e al sostegno dei genitori e degli agenti di polizia anche in
relazione alle diverse caratteristiche dei singoli quartieri, nonché una sempre
maggior collaborazione fra tutti i soggetti coinvolti .
3.2
L’esperienza del Regno Unito
Così come in Francia, anche in Gran Bretagna negli ultimi decenni si è assistito
a un révirement in materia di prevenzione della delinquenza minorile, che trova
il suo manifesto nel programma politico criminale laburista del 1997 (significativamente intitolato «No more excuses»).
Tale evoluzione non ha, tuttavia, comportato un abbandono di ogni intento
specialpreventivo nei confronti dei minori a rischio. Lo stesso programma laburista afferma la compatibilità fra il benessere del minore e la protezione della società. E, difatti, oltre ad un ampio sistema di prevenzione secondaria applicabile ai minori che abbiano già commesso un reato, l’ordinamento del Regno Unito prevede anche misure di prevenzione ante delictum, che rappresentano una risposta a quei comportamenti che, pur non costituendo reato, risultano nondimeno antisociali (c.d. anti-social behaviours).
Nell’ambito delle misure del primo tipo si può distinguere fra:
– sanzioni di tipo detentivo (c.d. custodial sentences);
– misure di carattere sociale (c.d. community sentences, misure di diverso contenuto generalmente consistenti nell’imposizione di particolari attività rieducative o riparative, programmi risocializzanti o altre prescrizioni volte al recupero sociale del minore).
Quanto, invece, alle misure di prevenzione ante delictum va detto che esse in
un certo senso favoriscono, sia pur indirettamente, l’accesso del minore al sistema penale. Esse sono:
A) gli Acceptable Behaviour Contracts and Agreements: contratti scritti stipulati fra
un minore coinvolto in condotte anti-sociali e le autorità locali, nell’ambito
dei quali il primo riconosce l’impatto negativo del suo comportamento sulla
collettività e si impegna ad astenersi da condotte analoghe e, talvolta, ad
adempiere a prestazioni determinate. Quale sanzione per l’inosservanza delle
disposizioni contrattuali da parte del minore è prevista, solitamente, la possibilità per l’autorità di fare istanza al giudice civile per l’applicazione di un
Anti-social Behaviour Order;
69
CAPITOLO 3
B) gli Anti-social Behaviour Orders: ordinanze emanate dal giudice civile su istanza delle autorità locali, della polizia, nonché di proprietari di immobili che
gestiscono abitazioni o pensionati. Tali ordinanze vietano ai destinatari di
porre in essere determinati comportamenti o dal frequentare determinate zone. Benché si tratti di provvedimenti di carattere civile, gli Anti-social Behaviour Orders si prestano facilmente a spingere nel circuito penale un minore
che non abbia commesso alcun reato o alcuna condotta realmente offensiva,
dal momento che la violazione dei divieti contenuti nell’Order integra reato
ed è, quindi, penalmente sanzionata anche con l’inprisonment.
Va, comunque, segnalato che fra le misure di prevenzione ante delictum non
mancano misure di carattere squisitamente assistenziale, finalizzate anche a formare, sostenere e responsabilizzare i genitori, come i Parenting Programmes (con i
quali si insegna ai genitori come migliorare la condotta dei propri figli), i Parenting Contracts (contratti con i quali i genitori si impegnano nei confronti delle autorità locali a seguire determinati programmi formativi e/o a garantire che
i propri figli frequentino regolarmente la scuola) e i Parenting Orders (ordinanze
del giudice civile o penale che impongono ai genitori specifiche prescrizioni, come frequentare programmi di assistenza o di sostegno, dietro la minaccia di una
sanzione).
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