Ricordo di Mattioli.L` osservatore politico letterario

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Ricordo di Mattioli.L` osservatore politico letterario
RICORDO DI MATTIOLI
di Ugo Facco De Lagarda
È passato un anno dalla scomparsa di Raffaele Mattioli. Dura
vivo il rimpianto nei due vasti campi, apparentemente antitetici, della
finanza e della cultura scientifico-letterario-artistico, nei quali egli
aveva vigoreggiato da signore e da esperto, oltre un cinquantennio.
Dire Mattioli, almeno dal 1930 in poi, voleva dire egualmente Banca
Commerciale Italiana e fedeltà costruttiva, ed espansiva, a Benedetto
Croce e al di lui magistero storico. Dire Mattioli voleva altresì dire
libertà: libertà a tutti i livelli e a tutti i costi, operante, inesausto
antifascismo dal 1920 al 1945. Voleva pure dire illuminato mecenatismo non articolato in clamorose elargizioni, ma piuttosto da una
tenace, intelligente protezione, sì da portare un vero poeta alla ribalta
ed ivi conservarlo (o un Manzi', uno per tutti, alla fama).
La sua entrata alla Comit ebbe un avvio abbastanza curioso. Vediamo prima davvicino il precoce Mattioli e poi la famosa grande
Banca milanese di piazza della Scala. Il giovane abruzzese conquista
la maturità classica a 17 anni al Liceo di Chieti e la laurea in Economia politica all'Università di Genova non ancora ventunenne.
Scoppia la guerra ed egli si arruola volontario e combatte su più
fronti; a 23 anni è capitano, decorato due volte al valore. Insegna
Economia e Istituzioni di commercio alla Bocconi di Milano, mentre
entra nell'organico direttivo della Camera di Commercio del centro
lombardo. Nel 1924 capita allo scrittore di queste note (allora funzionario della Comit a Monza) di essere chiamato a sciogliere un
dubbio espressogli da un vecchio amico del posto, Conservatore delle
ipoteche e del Registro locale. È costui uno zio acquisito per parte
di moglie del Mattioli che da due anni è direttore reggente della
Camera di Commercio di Milano e gli si promette ora una sistema-
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zione stabile con uno stipendio annuale di L. 40.000, una bazza per
quei tempi. Giuseppe Toeplitz, allora Amministratore Delegato unico
della Comit, un finanziere tedesco-polacco succeduto ai due famosi
consanguinei Joel e Weil, fondatori a Milano nel 1894 della Banca
Commerciale Italiana, un modello di serietà organizzativa dopo le
tristi vicende creditizie conseguenti al crollo della Banca Romana di
Tanlongo, fiduciario privato, e confidente di Vittorio Emanuele II,
letta una certa relazione sul nuovo assetto dei mercati internazionali
resa pubblica nel bollettino della Camera di Commercio di Milano,
volle conoscerne l'autore (che un poco nel suo studio aveva attaccato
certi sistemi bancari privati).
Un giorno si trovarono così di fronte uno smilzo giovane ventinovenne dalle sopracciglia folte, e un elegante anziano bassotto portatore di un lauto ventre fasciato da un gilé bianco, attraversato da
una catena d'oro: un signore dal sorriso suasivo, a cui, a quanto si
diceva, non resistevano né prefetti, né Ministri, né Cardinali e nemmeno le belle donne. Senza molti preamboli — a parte le preliminari
formalità della cortesia civile nelle quali Giuseppe Toeplitz era maestro — l'uomo di piazza della Scala invitò Mattioli, il giovane studioso, a lasciare la Camera di Commercio (ove, disse, veniva sfruttato) e a optare per la Comit; non specificava il grado né precisava
l'entità del trattamento economico, pur sottolineando subito che alla
Comit era tutto un altro mondo e tutto, anche dal lato delle retribuzioni, sarebbe stato subito diverso.
All'amico funzionario Monfrini, sembrava che non ci fosse sicurezza al di fuori dello Stato e atteggiava la bocca ad una smorfia
amara, soffermandosi all'ipotesi d'un cedimento del nipote davanti
alle profferte di Toeplitz, di cui io non potei tacere il fascino e il
talento, attraverso i quali la Comit era da quindici anni in piena
ascesa, superando perfino la Guerra 1915-18, irta di pressioni e seduzioni politico-finanziarie, cui aveva per contro ceduto la Banca di
Sconto, legata agli Ansaldo e crollata miseramente nel 1921. Lo zio,
al quale dissi chiaro che non era il caso di esitare un istante, andò
via scontento e incerto borbottando tra i denti qualche cosa.
Bene. Nel 1925 Mattioli entrava alla Comit in sostituzione del
bravo ed utile Ferruccio Stazzi — diligente storico del teatro — che
era stato per oltre un decennio segretario personale, ed ombra a tutte
le ore, di Toeplitz. Dal 1925 al 1930 Mattioli fu a capo della segre-
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teria generale del potente amministratore delegato e nel 1931 ebbe
la nomina, d'un balzo, di direttore centrale dell'Istituto. Quando
nel 1933, Giuseppe Toeplitz, attaccato da tempo dai banchieri e dagli
industriali patrioti e, soprattutto, dai gerarchi del fascio, lasciò l'Istituto, Mattioli prese il di lui posto.
Nella relazione di bilancio del 1934, in pieno clima di obbedienza e di censura, Mattioli dedicò parte della premessa ad un aperto,
incondizionato elogio dell'uomo che aveva in Europa e nel mondo
assicurati la consolidata espansione e il duraturo prestigio della Banca
Commerciale Italiana. Ricordo che sul « Travaso delle idee », quando
ci fu il gran cambio della guardia, il pittore Tabet tracciò un disegno
caricaturale con due figure accostate: un alto ragazzone trentottenne
(Mattioli) e un tarchiato sessantenne (Michelangelo Facconi); lo
schizzo portava la seguente didascalia: « Ieri la Comit li ha nominati / Co-consiglieri, Co-delegati». (Ma nella coppia il vero capo
era l'uomo nuovo Mattioli, avverso alle inframettenze dei grossi baroni appoggiati dal fascio e incline alla iniziativa pubblica, si da diventare uno dei più convinti assertori, dopo la grande crisi del 1929dapprima
1935 dell'Istituto per la Ricostruzione Industriale,
ospedale delle aziende malate, poi motore industriale in proprio con
intenti normativi per tutto lo schiarimento della nascente industria
italiana e dell'attività terziaria, anche all'estero, del nostro paese.
Egli aveva pure favorito 11.M.I. per gli investimenti a lunga scadenza
e il Mediocredito per appoggiare le medie e piccole industrie).
Negli anni in cui la Comit, mercé il dinamismo non spettacolare
del silenzioso, infaticabile Mattioli, si espandeva nella penisola nonché
in Europa ed oltre Oceano mediante l'istituzione di nuove sedi organiche (Londra, Smirne, etc.) ed uffici di rappresentanza (vedi Parigi,
New York, Mosca) oppure con istituti in partecipazione (come in
Francia, nei Balcani, in Sud America etc), la Banca milanese di piazza
della Scala, era diventata positivamente — con disappunto di Mussolini — uno Stato nello Stato.
Mattioli — ideale, fedele discepolo di Croce — coltivava i propri
autonomi studi e interessi umanistici: soprattutto nel campo della
saggistica storica e dell'arte in genere. Fu amico oltre che di Benedetto Croce, di Libero Bovio, di Ricciardi e di tanti, tanti altri filosofi
crociani, narratori, poeti, pittori, scultori, grafici ed editori fuori classe.
Da oltre due decenni sostenitore della gloriosa e raffinata Casa Edi-
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trice Ricciardi di Napoli-Milano e presidente dell'Istituto di studi storici di Napoli-Roma, Raffaele Mattioli lasciò nel 1972 in punta di
piedi la Comit, nella quale dal 1960 era diventato attivissimo Presidente al posto lasciato vuoto da Camillo Giussani, altro umanista di
rilievo, felice traduttore dei classici greci e latini.
La Comit, detta anche la Banca dei molti ,x m », era diventata
con l'avvento di Raffaele Mattioli, oltre che il rifugio di non pochi
intellettuali antifascisti, il ricetto di uomini ragguardevoli, ognuno
con una propria impronta personale, a parte la M del loro cognome,
di cultura specifica. Aveva avuto così i suoi Malagodi, Marchesano,
Migliorisi, Merzagora, ma aveva anche avuto La Malfa (un senza
grado, braccato dal fascio, preposto all'Ufficio Studi della direzione
centrale), Sergio Solmi, poeta e capo dei Servizi legali, Giuseppe Saragat, funzionario a Torino, Stanislao Fusco passato poi alla Presidenza del Banco di Napoli, Leo Valiani, ecc., ecc.
Alla stretta finale delle camicie nere dal 1943 al 1945, con l'Italia
divisa in due, Mattioli, ricercato dagli scherani di Salò, si trasferì a
Roma, lasciando a Milano in qualità di co-amministratori delegati
Antonio Rossi e, poi, Corrado Franzi, i quali difesero egregiamente
al Nord le incerte sorti dell'Istituto. Va da sé che il soggiorno romano di Mattioli non fu un divertimento; egli, mentre predisponeva
i piani della ripresa generale, attuata poi dal 1946 al 1955, punto per
punto, apriva le sedi della Banca (e i cancelli della sua villa in Toscana), ai perseguitati politici più in: vista, tra i quali Luigi Russo,
che lo ricambiò di stima e di ammirazione senza riserve. (Quest'uomo
versatile in profondità, diceva Russo, mi incanta senza riserve).
Infatti Mattioli fu un uomo eccezionale, un poliedrico privo di
superbia e di irresponsabile superficialità; lo potemmo constatare in
varie occasioni. Due qui ne ricordo. Per i collaboratori con 40 anni di
servizio — lui, parsimonioso e alieno dal buttar via i quattrini dalla
finestra e gonfiare le tasche dei già ben provveduti —, fece coniare
una medaglia d'oro incisa da Mangi con la formica del risparmio;
(si sa che egli aveva sempre dato enorme importanza alla liquidità
bancaria e, in genere alla raccolta del denaro privato). Poi, in occasione del settantacinquesimo anniversario della fondazione dell'Istituto (1894-1969), fece distribuire in dono a tutti i 12.000 dipendenti
della Banca, un grande medaglione bronzeo ove campeggiava la
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figura di un geniale pensoso, sormontato dalla scritta in greco antico
nokuncx8pancr;.
Mattioli era certamente un intrepido fortunato Ulisside, anche
se nei suoi rari discorsi in pubblico, aveva la civetteria di buttar là
nel suo perfetto francese locuzioni leggermente acute come: l'esprit
de l'escalier... on ne prête q'aux riches ecc. ecc.
In quali rapporti si trovò Raffaele Mattioli con i vari Governi
dopo la Liberazione? Possiamo dire corretti, ma distaccati (se pure
non pochi ministri fecero tesoro delle « lezioni » da lui impartite
ogni anno a marzo nella sua sempre attesa relazione di bilancio). A
un cittadino benemerito si usa conferire un ragguardevole ciondolo o,
un'alta distinzione, su su fino alla nomina di senatore h.c. Scaduta
d'importanza, a motivo degli sprechi vergognosi e dei madornali
abusi, sia dei ciondoli, sia del laticlavio a vita, Mattioli — di cui raccogliamo una immensa eredità spirituale — non ebbe ciondoli, né
fu senatore.
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