Mine antiuomo: la guerra dopo la guerra
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Mine antiuomo: la guerra dopo la guerra
3 Esperienze di vita – La cultura della pace e della legalità Philippe Chabasse Mine antiuomo: la guerra dopo la guerra Le mine inesplose sono un ricordo della guerra ben conosciuto in molti Paesi. Abbandonati alla fine del conflitto, questi ordigni non hanno dispositivi di autodistruzione, per cui possono restare nascosti nel terreno anche per decenni. Molte mine hanno un aspetto ingannevole e sono fatte in modo da scoppiare non appena manomesse. Le mine antiuomo, l’arma della «guerra dei vili», costituiscono un dramma permanente di dimensioni planetarie. 1. proliferazione: dif- fusione. 2. della terra bruciata: della terra abbandonata; per «terra bruciata» s’intende più propriamente il territorio abbandonato in guerra al nemico dopo aver distrutto tutto quanto poteva essergli utile. 3. interdizione: proibizione autorevole. In più di trenta paesi, anche in tempo di pace, le mine antiuomo uccidono e mutilano, a migliaia e senza distinzioni, civili e militari, donne e bambini. La proliferazione1 sconsiderata di queste armi proibite impedisce il ritorno alla vita normale, ritarda il reinserimento dei profughi e riattiva una vera e propria politica della terra bruciata2. Bisogna risalire all’origine di questo flagello, esigendo l’interdizione3 della loro fabbricazione, della loro vendita e della loro utilizzazione. L’arma della «guerra dei vili»: queste sono le mine, in particolare le mine antiuomo. Nel Terzo mondo, le sue vittime sono soprattutto pastori nomadi e famiglie contadine, che vivono del prodotto delle loro terre. Quest’arma ha fatto drammatiche stragi in Afghanistan, Cambogia, Angola, Somalia, Etiopia, Sudan, Uganda, Ruanda, Mozambico, Nicaragua, Laos, Salvador, Vietnam, Irak, Iran, Sri Lanka, Birmania, Bosnia-Erzegovina eccetera. Le vittime hanno in comune la povertà, la condizione di non combattenti, la dipendenza dalla terra e l’incapacità non solo di sfuggire a un sanguinoso destino, ma anche di farlo conoscere al resto del mondo. Eppure non si tratta di casi isolati, ma di intere comunità che sono state così decimate: • in Cambogia, nel 1994, ogni mese, le mine hanno fatto in media più di 300 vittime, tra feriti e uccisi; • nella pianura di Jarres, in Laos, 46 persone sono state ferite e 23 uccise nel solo 1990. Diciassette anni dopo lo sganciamento delle ultime mine da parte degli aerei militari americani, il pericolo è sempre presente e il massacro continua; • nel 1993, nello spazio di dieci mesi, nell’ospedale di Hargeisa, nel nord della Somalia, sono state curate 147 vittime delle mine, tra le quali 113 minori di quindici anni; • nel 1989 e nel 1990, nel distretto di Spin Boldak, nella provincia di Kandahar, il 2% della popolazione sarebbe stato ucciso e il 3,5% mutilato dall’esplosione di mine; Rosetta Zordan, Il quadrato magico, Fabbri Editori © 2004 RCS Libri S.p.A. - Divisione Education 1 3 Esperienze di vita – La cultura della pace e della legalità 4. traumi: lesioni, feri- te. 5. raid aerei: incursio- ni aeree. • nell’ospedale di Sulaymania, nel Kurdistan irakeno, tra il marzo e il settembre 1991, sono stati curati più di 1.650 feriti dall’esplosione di mine, 398 dei quali presentavano traumi4 tali da richiedere una amputazione chirurgica. Le mine antiuomo, inventate e sviluppate durante le due guerre mondiali, erano all’inizio destinate a proteggere temporaneamente installazioni e obiettivi strategici. La loro utilizzazione indiscriminata è un fenomeno relativamente recente che ha assunto tutta la sua ampiezza agli inizi degli anni Ottanta, con l’intervento sovietico in Afghanistan. La mina antiuomo è stata utilizzata in modo massiccio, dato il suo basso costo, sia dagli eserciti regolari che dai movimenti di guerriglia per impedire, incanalare o provocare gli spostamenti della popolazione civile. Un’altra specificità di quest’arma è quella di rimanere attiva per molto tempo dopo la fine delle ostilità. Presente su vaste regioni potenzialmente agricole, il pericolo delle mine aumenta a mano a mano che l’esplosione demografica obbliga la popolazione a mettere nuove terre a coltura. Il permanere del pericolo e il fatto che le mine, una volta posate, sfuggono alla volontà umana differenziano fondamentalmente quest’arma da qualsiasi altra. Un soldato incaricato di disporre le mine ha lo scopo di interdire il terreno al nemico. Egli innesca un meccanismo in modo che la minima pressione provochi un’esplosione… in sua assenza. Il controllo dell’arma è allora perduto. Né il soldato, né i suoi superiori hanno la possibilità di determinarne con precisione l’obiettivo. Anche se interviene il cessate-il-fuoco, ogni mina conserva intatto per diverse decine di anni il suo micidiale potenziale. E non si tratta di un fenomeno marginale, poiché le Nazioni Unite valutano sui 100 milioni il numero delle mine attive, seppellite nel suolo del nostro pianeta. Per la sola Cambogia, si parla di 10 milioni di mine. È ben vero che, se viene dato l’ordine necessario, è tecnicamente possibile recuperare le mine, disinnescarle o distruggerle, per non considerare che dovrebbero esistere, in base alle precise convenzioni internazionali che regolano il diritto di guerra, i piani delle zone minate. Disgraziatamente, però, nella maggioranza dei casi questi piani non esistono affatto e non solo perché i militari sono stati negligenti o maleintenzionati, ma a causa della natura stessa delle mine e delle strategie che prevedono il loro impiego. Come si potrebbero, infatti, tenere delle registrazioni se le mine sono concepite per essere sparpagliate a migliaia mediante raid aerei5 o tiri di artiglieria (fino a quattromila al minuto) e sono fabbricate con materiali che rendono sempre più difficile il loro rilevamento? La mina, dunque, sopravvive alla guerra: è l’arma senza padrone, che da sola sceglierà la sua vittima. Dinanzi all’ampiezza e alla specificità di questo dramma, la sola so- Rosetta Zordan, Il quadrato magico, Fabbri Editori © 2004 RCS Libri S.p.A. - Divisione Education 2 3 Esperienze di vita – La cultura della pace e della legalità luzione realista è quella dell’interdizione totale della fabbricazione, dell’immagazzinamento, della vendita e dell’utilizzazione di ogni tipo di mina antiuomo. È questo che chiedono più di sessanta organizzazioni non governative, raggruppate nel quadro di una campagna internazionale. Si sono pronunciati in questo senso la Croce Rossa internazionale, l’Unicef, l’Alto Commissariato dell’ONU per i Rifugiati e il Segretario generale delle Nazioni Unite. (da Popolazioni in pericolo 1995, Rapporto Annuale, «Limes», Rivista Italiana di Geopolitica, Ed. Periodici Culturali, rid. e adatt.) 3 Rosetta Zordan, Il quadrato magico, Fabbri Editori © 2004 RCS Libri S.p.A. - Divisione Education