Scheda opera - Fondazione Giulio e Anna Paolini

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Scheda opera - Fondazione Giulio e Anna Paolini
Casa di Lucrezio, 1981
Sei calchi di gesso interi e due in frantumi, tessuti, frammenti di tavoletta di gesso incisa, basi bianche opache
Calchi interi h 47 cm ciascuno, otto basi 120 x 30 x 30 cm ciascuna, misure complessive variabili
Collezione Marco Noire Contemporary Art, Torino
L’opera costituisce la settima versione di un gruppo di lavori intitolati Casa di Lucrezio, progettati
contemporaneamente. Il filo conduttore tra le diverse versioni è la frammentazione di una tavoletta di gesso
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che reca inciso il disegno del labirinto scalfito su un pilastro dell’abitazione di Lucrezio a Pompei , abbinata
a una rassegna di possibili sembianze del poeta latino, evocato attraverso il calco in gesso di una testa
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apollinea classica e un tessuto drappeggiato. Il ricalco dell’antica incisione è frantumato di volta in volta
in un numero crescente di frammenti – a cominciare dalla rottura in due parti nel primo lavoro – che
accentua la componente labirintica. La graduale suddivisione del disegno definisce anche una
complementare moltiplicazione dei volti del poeta – a partire da due teste e due tessuti nella versione iniziale
– che insieme alle diverse posizioni del calco e alle variazioni di colore dei tessuti amplifica via via
la domanda sulla possibilità di definizione di una figura inafferrabile.
Nella settima versione di Casa di Lucrezio il disegno del labirinto è spezzato in otto parti, correlate a otto
diversi “volti” del poeta, “vestito” con un tessuto blu scuro. Le otto diverse situazioni vedono gli elementi
dell’opera associati tra loro in varie collocazioni e posizioni: i calchi e i frammenti di tavoletta sono posati
o appoggiati ora sopra la base, ora a terra, mentre il tessuto è dispiegato al suolo o disposto sulla base
in modo da ricadere lungo i lati, oppure avvolge un elemento di gesso, oppure è appallottolato o ripiegato
sopra la base. Secondo la situazione espositiva, le otto basi possono essere allineate in un’unica fila
a ridosso di una parete o in più file parallele in ordine alterno, oppure variamente raggruppate.
“L’intenzionalità di questo lavoro sta nell’evocare – e non nel rappresentare – l’idea del continuo divenire
di uno spazio possibile, abitato dalla poesia. Il titolo porta a un altro luogo, i calchi indicano un loro luogo
d’origine, il disegno del labirinto evoca non solo un altro luogo – la Casa di Lucrezio – ma anche la figura
simbolica del labirinto. Sono vari elementi tutti intenzionati a sottrarsi alla visione per suggerire, invece,
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un vuoto denso di evocazione, un fare spazio alla possibilità di immaginazione che ognuno di noi ha” .
Il motivo del labirinto pone in risalto il tema principale implicito a Casa di Lucrezio: l’idea di forma come
ricerca e possibilità di definizione, come congettura costantemente smentita, rinnovata e potenzialmente
illimitata. “Dal labirinto, una volta non trovatane la via d’uscita, si è liberi di immaginare altri innumerevoli
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labirinti che conducono, tutti, al punto di partenza” .
Nel 1982 e nel 1984, nell’ambito di due occasioni espositive, Paolini ha realizzato due versioni ulteriori
di Casa di Lucrezio, costituite rispettivamente da quattro e da dodici basi. La prima si trova nella collezione
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dell’Institut d’art contemporain di Villeurbanne , la seconda presso The Schaufler Foundation a Sindelfingen.
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Il disegno originale con la scritta “Labyrinthus Hic Habitat Mynotaurus” – tratto dall’Enciclopedia Einaudi, Giulio Einaudi editore,
Torino 1979, vol. 8, p. 12, voce “labirinto” – è stato inciso su sette tavolette di gesso di 35 x 35 cm ciascuna. Sul labirinto come spunto
del lavoro si rimanda alle dichiarazioni dell’artista nell’intervista di C. Grenier, in “Flash Art” (edizione francese), n. 2, Milano, febbraio 1984,
p. 41 (ripubblicata in italiano in Giulio Paolini. La voce del pittore - Scritti e interviste 1965-1995, a cura di M. Disch, ADV Publishing House,
Lugano 1995, p. 191).
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La replica di una testa classica di Apollo (470/460 a.C.) è stata identificata anche come Testa d’angelo (1640) di Alessandro Algardi
(Gipsoteca Mondazzi, cat. B 49), attribuzione che non trova però alcun riscontro nel Catalogo ragionato dell’artista.
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L’artista nell’intervista di F. Pasini, in “L’Illustrazione italiana”, nuova serie, anno V, n. 24, Milano, novembre 1985, p. 21 (ripubblicato
in Giulio Paolini. La voce del pittore cit., p. 208).
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G. Paolini, Les fausses confidences, Giulio Einaudi editore, Torino 1983 (ripubblicato in Giulio Paolini. La Casa di Lucrezio, catalogo
della mostra, Palazzo Rosari Spada, Spoleto, Grafis Edizioni, Casalecchio di Reno 1984, p. 33). In un successivo commento a queste
parole, Paolini ha precisato che “sono un’allusione al percorso dell’artista, all’itinerario della storia dell’arte. È una metafora, un’immagine
del voler sempre riprendere da capo la ricerca di un esito, come nel lavoro dell’artista che consiste nell’inanellare opere una dopo l’altra,
nel proporre varianti che sono duplicazioni e al tempo stesso ritorni all’origine. […] Quella dichiarazione è un po’ una confessione cifrata
del tema dominante nella mia attività” (l’artista nell’intervista di E. Pizzo in Giulio Paolini. Casa di Lucrezio 1981-84, Castello di Rivoli
Museo d’Arte Contemporanea, Rivoli 1987, scheda monografica).
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Cfr. in questo sito web alla pagina “Opere/Collezioni pubbliche/Francia/Villeurbanne/Institut d’art contemporain”.
Esposizioni e bibliografia cfr. M. Disch, Giulio Paolini. Catalogo ragionato 1960-1999, Skira editore,
Milano 2008, vol. 2, p. 975, cat. n. 458.
© Maddalena Disch