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Judy Dunn
sorelle
e
fratelli
Sommario
Introduzione
Capitolo primo
I primi anni
7
15
Commento
Capitolo secondo
Conflitto, gioco e crescita della comprensione
35
Conflitto • Giochi di finzione imitativa • Commento
Capitolo terzo
I primi anni di scuola
49
Osservazione di fratelli e sorelle • Ruoli all’interno della famiglia
• Il mondo al di fuori della famiglia • Commento
Capitolo quarto
Ordine di nascita, sesso, differenze d’età
e famiglie numerose: cambia qualcosa?
75
Primogeniti e secondogeniti • Differenze di sesso
• Differenza d’età • Crescere in una famiglia numerosa
• Commento
Capitolo quinto
Genitori, fratelli e sorelle: modelli di influenza
Differenze di comportamento dei genitori verso i figli
99
• Figli primogeniti e figli nati successivamente • Figli dello
stesso sesso e di sesso diverso • Modelli di influenza fra madre e
fratelli e sorelle • Padri • Modelli nel corso del tempo: maschi
e femmine • Commento
Capitolo sesto
Problemi per i genitori
119
Problemi che seguono l’arrivo di un fratellino • Litigi e bisticci
• Il punto di vista dei genitori • Ricerche sui litigi • Aggressività
• Crescere con un fratello handicappato • Fratelli e sorelle come
terapeuti e fonti di sostegno in situazioni di stress • Commento
Capitolo settimo
Eredità e ambiente: genetica di somiglianze
e differenze tra fratelli
157
Somiglianze genetiche tra fratelli • Differenze genetiche tra
fratelli • I gemelli • Cambiamenti nella natura dell’influenza
genetica nell’infanzia • Commento
Capitolo ottavo
Continuità
169
Perché l’intimità tra fratelli e sorelle adulti? • Commento
Conclusioni
181
Indice analitico e dei nomi 189
Introduzione
Sally, di sei anni, dice di sua sorella Anny, che ne ha tre: «È
simpatica... sì, a volte è simpatica. È bello avere una sorella,
perché ci si può giocare... Io ho tanti amici, ma la mia migliore
amica è Anny».
Rachel telefona alla nonna, annunciandole che sta scri­vendo
un’autobiografia e che ha bisogno d’aiuto per la punteggiatura.
L’autobiografia comincia con una lista di ciò che le piace e di
ciò che detesta. La lista delle cose che detesta è semplice: «La
violenza, le melanzane e mio fra­tello».
Queste due bambine hanno un’opinione sorprendente­mente
diversa dei propri fratelli. Crescere con un fratello comporta
esperienze assai diverse per Sally e Rachel, e l’intensità di tali
esperienze è evidente. Fratelli e sorelle piccoli si amano e si
odiano, giocano e litigano, si prendo­no in giro e si stuzzicano
con una totale, incredibile man­canza d’inibizione. Alcuni litigano e si punzecchiano in continuazione, altri sono compagni
inseparabili ed affet­tuosi, altri ancora passano dal gioco in allegra cooperazio­ne all’aggressività feroce. Che tipo di influenza
hanno que­ste esperienze di un’infanzia passata con fratelli e
sorelle sullo sviluppo dei bambini? Perché alcuni vanno così
d’ac­cordo, mentre altri si azzuffano e bisticciano con tanta osti­
lità? E perché fratelli e sorelle sono così diversi fra di loro?
7
Dietro queste domande si celano due problemi, che sono poi
le tematiche sviluppate in questo libro. Nel primo caso ci si
chiede se fratelli e sorelle influenzino o meno lo sviluppo del
bambino. Nel secondo ci si chiede perché al­cuni fratelli e sorelle abbiano rapporti improntati all’armo­nia ed all’affettuosità,
mentre altri non fanno altro che az­zuffarsi e litigare.
Per chiunque sia interessato al perché le persone si svi­
luppano in un certo modo piuttosto che in un altro, questi sono
problemi importanti. Di certo lo sono per i genitori. Quanto
devono sentirsi responsabili, per esempio, se i figli litigano in
continuazione e sembrano detestarsi a vicenda? I libri che si
rivolgono ai genitori spesso suggeriscono che tale situazione
risulta primariamente dal modo in cui i genitori hanno allevato
i figli. è un’opinione ragionevole? Possiamo fidarci dei dati su
cui si basa? Il fatto che fratelli e sorelle appartenenti ad una
stessa famiglia differiscano in maniera marcata l’uno dall’altro
si presenta ai genitori e agli psicologi come un vero puzzle.
Effettivamente i figli degli stessi genitori hanno una personalità che varia dall’u­no all’altro quasi quanto quella dei bambini
cresciuti in fa­miglie diverse. A che si deve? Fratelli e sorelle,
dopo tutto, non soltanto crescono all’interno dello stesso ambiente fa­miliare, ma hanno in comune il 50 per cento del proprio patrimonio genetico. Tali differenze di personalità sono il
risultato di differenze nel modo in cui li hanno trattati i ge­nitori,
o può darsi anche che fratelli e sorelle esercitino una influenza
diretta gli uni sugli altri? Avere più di un fi­glio genera una serie
di quesiti per i genitori. Come può il rapporto che un genitore
ha con un figlio influenzare il modo in cui i fratelli e sorelle si
rapportano l’un l’altro? È importante la differenza d’età tra i
figli? In quale maniera il sesso influenza il modo in cui i figli
si rapportano l’un l’altro? Che grado di comprensione c’è tra
fratelli e sorelle?
8
È vero che un rapporto stretto tra di loro nella prima in­fanzia
continua quando crescono?
In questo libro ci occuperemo di tali quesiti sollevati dai
nostri due temi, servendoci di alcuni studi recenti su fratelli e
sorelle piccoli affinché ci aiutino a fornire delle risposte. La
nostra ricerca però si spingerà oltre i problemi pratici del come
confrontarsi con liti e bisticci, o delle dif­ficoltà risultanti dalla
nascita di un fratellino o di una so­rellina. Osservare ed ascoltare bambini che appartengono alla stessa famiglia e parlare con
loro dei rapporti che han­no con i membri del nucleo familiare
ci offre una prospet­tiva nuova ed illuminante sul modo in cui
i nostri figli ve­dono e comprendono il loro mondo. Nel gioco,
nei litigi, nel loro tiranneggiare, prendere in giro o consolare,
essi ci mostrano con splendida chiarezza che anche nei primi
anni di infanzia la loro capacità di comprendere gli altri è spesso ben più profonda di quanto abbiano ritenuto gli psi­cologi.
Se osserviamo i bambini in un ambiente davvero si­gnificativo
per loro, e cioè il mondo familiare di fratelli, sorelle e genitori,
otteniamo un quadro del loro sviluppo che per certi aspetti è
straordinariamente diverso dall’opi­nione generalmente “accettata”.
Il terzo tema di questo libro pertanto è quello dallo stu­dio
di fratelli e sorelle che crescono insieme; dall’osserva­zione dei
cambiamenti nel loro modo di litigare, giocare, competere o sostenersi a vicenda, possiamo ottenere nuovi elementi sostanziali per un’analisi dello sviluppo dei bam­bini a livello emotivo,
sociale ed intellettivo.
Ciascuno dei tre temi trattati nel nostro libro è impor­tante
sia per i genitori che per gli studenti di psicologia, ed esso è
stato scritto per entrambi. Gli argomenti e le ricer­che ai quali
ci interessiamo sono chiarificatori tanto per gli elementi d’approfondimento pratico che offrono ai genito­ri, quanto per quelli
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che forniscono su problemi assai com­plessi quali la motivazione del particolare tipo di sviluppo del bambino, e che cos’è
che egli comprende e sente rispet­to al proprio mondo familiare.
Prendiamo ad esempio il problema delle dispute e dell’ostilità
tra fratelli. Ne discutiamo nel capitolo 3 tenendo presente il nostro terzo tema: che cosa ci mostrano i litigi tra fratelli riguardo
al modo di pensare e sentire dei bambini, e riguardo a come
si svilup­pa in loro la comprensione? Nel capitolo 7, invece, i
litigi vengono esaminati all’interno del secondo tema. Qui l’ar­
gomento centrale è costituito dai problemi pratici del vive­re
con fratelli o sorelle litigiosi. I problemi pratici possono essere
di minor interesse per gli studenti che per i genitori (sebbene
per gli studenti che si dovranno occupare di bam­bini essi siano
di reale importanza). Ma il sottolineare dif­ferenze d’interessi
nei diversi gruppi di lettori di questa se­rie su Lo Sviluppo del
Bambino (The Developing Child) sa­rebbe fuorviante. Esistono
notevoli punti di contatto fra i vari gruppi di lettori: la maggior
parte dei genitori sono psicologi, almeno per quanto riguarda i
propri figli; e gli psicologi molto spesso sono genitori. I tre temi
del libro sono rilevanti per chi è padre e madre, e per coloro che
sono semplicemente interessati ai motivi alla base dello sviluppo dell’individuo, siano essi “psicologi” o no. Nel capitolo
finale torniamo alle domande poste da ognuno dei tre temi, ed
alle implicazioni delle ricerche su fratelli e so­relle che il libro
descrive, sia per i genitori che per gli psi­cologi.
La maggior parte dei bambini cresce con fratelli e sorel­le;
più precisamente, l’ottanta per cento negli Stati Uniti ed in Europa. Il tempo trascorso insieme in questi primi anni è spesso
superiore a quello passato con la madre o il padre. In molte
culture i bambini sono allevati dai propri fratelli; dall’età di uno
o due anni vengono allevati, nutriti, disciplinati e coinvolti a
giocare da un fratello o una sorel­la di soli tre o quattro anni più
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grande. È l’inizio di un rapporto che dura una vita; più lungo,
in effetti, di un ma­trimonio, o di quello tra padri e figli. Il nostro primo tema riguarda l’influenza esercitata dall’esperienza
di crescere con un fratello o una sorella sulla personalità del
bambino, sul modo in cui pensa a se stesso, alla sua famiglia
ed ai suoi amici, sulla sua intelligenza, sui suoi processi di pen­
siero e di linguaggio.
Se ci affidiamo al buon senso, sembra piuttosto proba­bile
che quest’esperienza sia importante. Alcuni psicologi sostengono, ed i genitori sicuramente concorderebbero, che ciò che
i bambini sentono nei confronti di altri bambini, e ciò che da
questi ultimi apprendono, può drammaticamen­te influenzarne
lo sviluppo. I bambini sono particolarmen­te propensi a prendersi a cuore ed a comprendere i senti­menti ed il punto di vista dei
loro amici. Quando i bambi­ni parlano con gli adulti e discutono
con loro, si trovano chiaramente in una posizione di svantaggio: il loro modo di vedere il mondo è diverso, il loro potere, la
loro condi­zione sociale ed il loro livello di comprensione sono
limi­tati, in confronto a quelli degli adulti. Tra bambini, invece,
c’è più uguaglianza. È più facile che comprendano come altri,
pure bambini come loro, pensano o vedono le cose.
Se si vuole scoprire se fratelli e sorelle davvero si in­fluenzano
a vicenda, e perché sono così diversi gli uni da­gli altri – cosa
che è tanto ovvia per i genitori, e che ora viene documentata accuratamente dagli studiosi – bisogna chiaramente osservare sia
il modo in cui i genitori trattano i propri figli diversi tra loro, sia
il modo in cui i figli si rapportano l’un l’altro. Potrebbe darsi benissimo che i figli stessi si influenzino reciprocamente in modo
tale da au­mentare le differenze esistenti tra di loro. Un bambino
può sentire ostilità verso la sorella e provare irritazione nei suoi
confronti, gelosia del rapporto di quest’ultima con i genito­ri;
può sentirsi fortemente irritato dalla sua personalità e dalle sue
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abitudini. Al contrario, la sorella può sentirsi contenta e priva
di problemi rispetto ad una competizione per l’attenzione dei
genitori; può avere ammirazione per le abilità di suo fratello,
essere desiderosa di piacere, eppure venire rifiutata aspramente
quando ci prova. Crescere all’interno dello stesso gruppo familiare significa qualcosa di molto diverso per i due bambini:
per l’uno, la famiglia in­clude qualcuno che suscita irritazione
e si accaparra l’attenzione e l’amore dei genitori; per l’altra c’è
qualcuno da ammirare, a cui tenere, da cui apprendere. E naturalmente le differenze nel comportamento tenuto dai figli l’uno
ver­so l’altro possono essere strettamente legate alle differenze
nel modo in cui i genitori trattano i vari figli, sia come causa sia
come conseguenza del comportamento di questi ultimi.
Se i fratelli s’influenzano davvero a vicenda in maniera diretta può darsi che tale influenza non sempre porti ad un aumento delle differenze esistenti tra di loro. Essi possono ammirare,
imitare ed identificarsi l’uno con l’altro, facendo fronte comune
davanti a problemi e difficoltà, emulando le qualità che amano
l’uno nell’altro. Vale la pena di sottoli­neare che se vogliamo
comprendere come si sviluppano i modelli di personalità non
dobbiamo ignorare la possibile influenza dei bambini con i quali i soggetti crescono e con i quali passano i loro primi anni: le
loro sorelle ed i loro fratelli.
Sono state formulate molte teorie, supposizioni ed ipo­tesi
riguardo all’influenza vicendevole di fratelli e sorelle, ma, fino
ad epoca recente, le ricerche sulla prima infanzia sono state
relativamente poche. Ciò è avvenuto perché si è generalmente ritenuto da parte degli psicologi che è il rap­porto dei figli
con i propri genitori (ed in particolare con la madre) ad avere
un’importanza predominante. I genitori, d’altro canto, spesso
sono sicuri di poter captare le maniere in cui i propri figli si influenzano vicendevolmente. Spesso sen­tono anche d’aver tirato
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su i vari figli in maniera diversa, e che ciò ne ha influenzato lo
sviluppo. Alcuni ritengono d’aver avuto sempre un particolare
attaccamento per il pri­mo nato, altri che con il secondo o terzo
figlio hanno pro­vato un calore ed un senso di tranquillità che
non erano stati in grado di dare al rapporto con il primo figlio.
Che cosa ci dicono le ricerche recenti sul rapporto tra fratelli e
sorelle e genitori? Nel libro ho cercato ovunque fosse possibile
di lasciar parlare direttamente i bambini ed i loro ge­nitori, usando citazioni ed osservazioni dirette. Queste “vi­gnette” e citazioni non sono semplici aneddoti. Li usiamo per illustrare punti che sono stati stabiliti con cura attra­verso studi sistematici.
Bambini che parlano della propria vita e della propria famiglia
spesso affermano con maggior vigore ed energia le stesse cose
esposte da prudenti accademici. Ma anche se i commenti e le
azioni dei bambini sono a volte commoventi, a volte divertenti,
essi non sono inclu­si semplicemente per commuovere o divertire, ma per met­tere in luce seri dati generali ricavati da ricerche. Vi sono delle eccezioni a tale regola, però. Nel capitolo 8 si
discute dell’importanza di fratelli e sorelle nell’adolescenza e
in età adulta. Per quel che riguarda adolescenti e giovani adulti
non disponiamo ancora del tipo di informazioni sistemati­che
su fratelli e sorelle di cui avremmo bisogno. In questo, mi sono
servita di lettere e ricordi per illustrare a livello di “storia del
caso” quanto possa essere significativo essere fratello o sorella.
Per quanto riguarda la prima infanzia, al contrario, disponiamo
oggi di ricerche dettagliate e siste­matiche sulle quali ci si può
basare.
Nei capitoli successivi pertanto ci occuperemo di bistic­ci,
giochi e discussioni di fratelli e sorelle in tenera età, e della
opinione degli stessi bambini su fratelli e sorelle, come pure
del tipo di impressione riportata dai genitori ri­guardo a tale
relazione in fase di sviluppo. L’esperienza di questi bambini,
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l’esperienza di imparare a vivere con un compagno che ti sfida
e ti fa divertire, un rivale nell’atten­zione e l’amore dei genitori,
è la storia di un’evoluzione profondamente commovente, che
riguarda il modo in cui la comprensione e le emozioni crescono
e cambiano. Cominciamo dal principio, quando il figlio unico
diviene pri­mogenito, con la nascita di un fratello o una sorella.
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Capitolo primo
I primi anni
I primogeniti reagiscono alla nascita di un fratellino o di
una sorellina in un modo molto caratteristico. In primo luogo,
la maggior parte di essi mostra segni di malessere: problemi
nel dormire, pianti frequenti, regressione nel di­simpegno delle funzioni corporee, perdita della capacità di giocare con una
buona dose di concentrazione, e, soprat­tutto, comportamento
dispettoso e continue richieste d’attenzione sono tutti fenomeni
frequenti. Questi problemi ri­flettono il forte impatto emotivo
causato dall’arrivo di un fratello sui bambini piccoli, e ne discutiamo per esteso nel capitolo 7. Ma la presenza di un neonato non è soltanto fonte di inquietudine; essa è anche di grandissimo interesse per la maggior parte dei primogeniti.
Nei primi giorni successivi alla nascita del fratellino, i primogeniti mostrano il proprio interesse verso il neonato in molti
modi. Commenti sul piccolo, tentativi di farlo di­vertire, sforzi
gentili di contribuire a prendersi cura del piccolo occorrono di
frequente persino in bambini al di sotto dei due anni. Attenti
studi sistematici negli Stati Uni­ti, in Canada ed in Gran Bretagna mostrano che l’imitazio­ne delle smorfie, gli sbadigli ed
i suoni prodotti dal neona­to, curiosità sul perché il piccolo si
comporta in quel modo, e giochi in cui si finge di essere il neo15
nato o la mamma, sono molto frequenti e riflettono l’interesse
che la maggior parte dei bambini primogeniti dimostra verso
una nuova sorellina o un nuovo fratellino.
L’intensità di questo interesse è rievocata dallo scrittore russo Sergei Aksakoff nel suo libro Anni d’infanzia (Years of Childhood), apparso per la prima volta nel 1858:
«La mia sorellina l’amai sin dal principio più dei miei ba­
locchi, più di mia madre, e quest’amore prese la forma di un
desiderio costante di vederla: m’immaginavo sempre che avesse freddo o fame, e che le necessitasse del cibo, e desideravo
costantemente darle ciò che mangiavo io e ve­stirla con i miei
vestiti; naturalmente non me lo consenti­vano e ciò mi faceva
piangere... Non potevo tollerare di ve­derla in lacrime né di sentirla piangere senza che io stesso iniziassi a versar lacrime...
Me ne stavo sdraiato per giorni interi nella culla con la mia
sorellina accanto a me, intrattenendola con balocchi diversi o
mostrandole disegni...».
Spesso però lo stesso bambino che mostra interesse amichevole nel far divertire il neonato, e preoccupazione per il suo
malessere, a volte deliberatamente lo irrita o spa­venta, afferrando il piccolo inerme e facendolo roteare per la stanza, scuotendo o sbattendo la culla finché il piccolo si sveglia e si mette
a piangere. Questa ambivalenza risultava spesso esplicitamente
negli studi da noi condotti a Cam­bridge, nei commenti dei bambini riguardanti il neonato.
Laura W. e sua madre
Bambina: [Al neonato] Va bene, piccolo [facendogli una carezza], [Alla mamma] Dagli uno schiaffo.
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Fay G. e sua madre
Bambino: Bimba. Bimba [accarezzandola]. Mostro. Mo­stro.
Madre: Lei non è un mostro.
Bambino: Mostro.
E parecchi bambini sono stati piuttosto espliciti riguar­do al
loro antagonismo nei confronti del neonato:
Marvin W. [in piedi sul predellino della carrozzina, fa­
cendola dondolare] e sua madre.
Madre: Non stare lì sopra, fai il bravo, la farai cadere dalla
carrozzina.
Bambino: Io voglio che cada.
Questa ambivalenza, osservabile nella maggior parte dei primogeniti nelle prime settimane del rapporto con il fra­tellino o la
sorellina, è stata commentata da psicologi che studiano i fratelli
a tutti gli stadi dell’infanzia e dell’adole­scenza. Ed è molto spesso menzionata dai genitori. Come ha detto una mamma di Cambridge: «Ma in fondo non si tratta che di amore e odio, no?».
L’ostilità diretta nei confronti di un fratello o di una so­rella
appena nati non si rivela di frequente negli studi con­dotti negli
Stati Uniti, in Canada ed in Gran Bretagna, seb­bene il comportamento aggressivo tra bambini piccoli, bambini in età prescolare e fratelli e sorelle più grandi sia, come vedremo, molto
comune. Al contrario, disubbidienza e aggressività verso la madre spesso aumentano drammati­camente dopo la nascita di un
fratello o una sorella. Nello studio di Cambridge, rilevammo un
aumento del triplo in incidenti di disubbidienza nella seconda e
terza settimana successive all’arrivo del neonato. (Nel capitolo
8 discutia­mo più a fondo dei problemi associati alla nascita di
un fratello o una sorella, esaminando che tipi di comporta­mento
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disturbato si manifestano e quanto tempo tendono a durare particolari problemi).
È chiaro quindi che i primogeniti sono molto interessati ai
loro fratelli e sorelle appena nati, e che l’arrivo del neo­nato e
la sua presenza sono materia di grande importanza emotiva. Il
palcoscenico è preparato in modo tale che si sviluppi un rapporto tra i bambini, ed è tale da indicare che non si tratta di una
vicenda emotivamente neutra; che potenzialmente questa nuova relazione può essere di gran­de importanza per il primo figlio,
ed invero per il figlio più giovane che crescerà con un bambino
fortemente coinvolto a livello emotivo ed assai interessato a lui.
Per quanto ri­guarda il nostro tema, il problema dell’influenza di
un fra­tello o una sorella sullo sviluppo del bambino, quest’inte­
resse e la qualità emotiva del comportamento del primoge­nito
indicano che il palcoscenico è preparato in maniera tale che
entrambi i bambini influenzeranno vicendevol­mente il loro sviluppo.
L’interesse vigile è particolarmente evidente nel con­trollo
molto ravvicinato esercitato dai bambini primogeniti sul comportamento della madre con il nuovo nato. Nello studio di Cambridge rilevammo che era proprio nei mo­menti in cui la madre
prendeva in braccio il piccolo per coccolarlo o prendersene cura che i primogeniti manifesta­vano una particolare tendenza a
fare esattamente la cosa che gli era stata esplicitamente proibita
dalla madre, o che la irritava in modo particolare. Far cadere
l’acqua del bagnetto del piccolo, giocherellare con il televisore,
ispezio­nare la credenza proibita in cucina, tutto ciò accadeva
pro­prio quando l’attenzione della madre era assorbita al mas­
simo dal neonato. Due esempi dallo studio di Cambridge:
«Un bambino, mentre la madre e la sorellina si scambiava­no
occhiate particolarmente lunghe e intense, prese la taz­za dalla
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quale stava bevendo, che era munita di un coper­chio con fori
in cima, e guardando in direzione della pic­cola e della mamma
estasiata, intenta a vezzeggiarla, iniziò a rovesciare il latte sul
divano. Un altro bambino corse in giardino e con aria mattacchiona tirò giù il filo dei panni pieno di roba appena lavata,
facendola cadere sull’erba pie­na di fango».
La maggior parte dei bambini, almeno i primi giorni, vorrebbe aiutare nel prendersi cura del fratellino o della sorellina
appena nati. Bambini di soli diciotto mesi cercano di aiutare a
fare il bagno al piccolo, nutrirlo e vestirlo. Cambiarlo e discutere di sporcizia, pulizia e funzioni inte­stinali sono spesso di
grande interesse, come illustra quanto detto da Melanie, di tre
anni, nello studio di Cambridge:
Melanie C. e sua madre
Bambina: Sta facendo pupù.
Madre: Sì, sapevo che ti saresti interessata. Già. Però lasciamogli in pace i piedini. Gli dai fastidio.
Bambina: Ha fatto pupù.
Madre: Non credo abbia finito. Dobbiamo aspettare un altro
po’.
Bambina: Va bene [scruta da vicino il piccolo e gli tira il
pannolino].
Madre: No, Melanie; lascialo prima finire. Stiamo buo­ne
finché finisce. No, non lo tirare.
Bambina: [Al neonato, in tono disgustato] Ma Keith! Hai
fatto pupù?
Madre: Beh, ogni tanto la deve pur fare, no? Non gli ti­rare
le gambe.
Bambina: Keith fatto pupù... Finito, Ma’?
Madre: Non lo so.
Bambina: Fa un’altra?
19
Madre: Ne ha fatte due, no?
Bambina: Keith ha fatto un’altra pupù. Mmm. Mmm. [Comincia a ispezionare il pannolino].
Madre: Pulisco prima quello, Melanie, grazie. Non so se ha
finito o no. [Al neonato] Perché non aspetti, eh?
Bambina: [al neonato] Perché non aspetti?
Madre: Mi sa che vuole collaborare, [al neonato] Hai fi­nito?
Adesso ti verrà un rigurgito, non è vero? [Alla bambi­na] Se
fossi in te, non ci metterei la mano... non toccarla. Dagli un
altro minuto.
In altre culture, i bambini hanno un ruolo importante nel
prendersi cura dei fratelli più piccoli, dopo la prima in­fanzia.
Una rassegna sul modo in cui si allevano i bambini in 186 società sulle quali sono disponibili dettagliate infor­mazioni antropologiche mostra che il 40 per cento dei pic­coli venivano
seguiti da persone diverse dalla madre, e che fratelli e sorelle
ne erano i principali compagni e custodi. I modi in cui i fratelli
agiscono in qualità di custodi, il tipo di responsabilità e compiti
domestici loro assegnati, l’età in cui ci si aspetta che “subentrino” nelle cure del Piccolino, variano grandemente da cultura a
cultura. Differenze nella natura della famiglia e della comunità
e nella concezione culturale della maturità dei bambini influenzano ciò che ci si aspetta dai bambini in qualità di custodi.
Uno studio dettagliato sul modo in cui vengono allevati i
bambini dai fratelli o le sorelle, condotto da Bea Whiting e Carolyn Pope-Edwards in Kenia, mostrava i bambini che si occupavano dei fratellini più piccoli, li riprendevano, aiutavano,
nutrivano e prestavano loro attenzione in modo piuttosto simile
a quello degli adulti; ma ci giocavano an­che di più ed erano più
spesso aggressivi con loro. In che modo l’esperienza d’essere
cresciuto da un fratello o una sorella influenza lo sviluppo del
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bambino? Ci possiamo va­lere di queste informazioni offerteci
da altre culture per rispondere alla nostra prima domanda: è
vero che fratelli e sorelle si influenzano a vicenda? Parecchi
studiosi hanno speculato su questa questione. Margaret Mead
ha sostenuto che lo sviluppo delle differenze di personalità è
ristretto in culture nelle quali i bambini vengono primariamente
alle­vati da fratelli o sorelle. La Mead supponeva che fratelli o
sorelle avessero minore capacità di percepire le caratteristiche
individuali di chi veniva loro affidato, rispetto agli adulti. Si
è anche notato che se i bambini sono affidati alle cure dei fratelli o delle sorelle essi sviluppano un minor attaccamento nei
confronti della madre. Ma abbiamo biso­gno di un numero ben
più vasto di informazioni sistematiche prima di poter verificare
la validità di tali ipotesi. L’ampia variazione nel modo in cui
fratelli e sorelle si prendono cura dei più piccoli deve essere
senz’altro tenuta in conto prima di giungere a qualsiasi generalizzazione sul­le sue conseguenze. Il dato che pare ragionevolmente ac­certato è che i bambini che passano la maggior parte
dei primi anni di vita affidati alle cure di fratellini o sorelline
tendono ad imparare a parlare più tardi di coloro che sono allevati da adulti.
Negli Stati Uniti ed in Europa, ai bambini piccoli di rado si
affida lo stesso genere di responsabilità nei confron­ti dei loro
fratelli più piccoli. Ma in molte famiglie essi mostrano senz’altro di fare tentativi d’occuparsene, e sono molto preoccupati se i
piccoli stanno male. Nella loro preoccupazione e nei loro sforzi
di consolarli vediamo i primi segni di ciò che diverrà il terzo
tema di questo libro: la comprensione che i bambini dimostrano
nel loro com­portamento verso fratelli e sorelle. Riconoscere che
un’al­tra persona sta male, e cercare di alleviarne il malessere, è
un comportamento sorprendentemente sofisticato per bam­bini
così piccoli. In uno studio si è analizzato specifica­mente il mo21
do in cui bambini di quattro anni si comporta­vano allorché i loro fratelli o le loro sorelle più piccoli ma­nifestavano malessere
perché separati dalla mamma in una stanza giochi di laboratorio.
Più della metà dei quattrenni cercava di consolare e rassicurare i
piccoli, e le loro azioni risultavano rapide ed efficaci.
Nel quotidiano, c’è un legame amichevole tra molti bambini
piccoli ed i loro fratelli: comportamento che tende alla cooperazione, preoccupazione alla vista d’uno stato di malessere. Possiamo considerare tale legame come “attac­camento” nel senso in
cui John Bowlby e Mary Ainswort usano il termine per il rapporto fra genitore e figlio, e cioè un rapporto in cui un bambino fornisce una base sicura per l’altro, fa sentire la propria mancanza
se è assente, ed è usato come fonte di conforto e sicurezza? La
risposta è sì, in alcune ma non in tutte le famiglie. Due degli importanti studi sull’attaccamento, uno in Scozia, l’altro in Uganda, dimostrarono che era normale per i bambini affezionarsi a
fratelli e sorelle più grandi. Non sappiamo se tale attacca­mento
seguisse un previo attaccamento alla madre. Nello studio di Cambridge risulta che il 50 per cento dei bambini di quattordici mesi
sentivano la mancanza dei fratelli più grandi se non c’erano, e
due terzi parevano sentire moltis­simo la mancanza del fratello o
della sorella maggiore. E persino ad otto mesi parecchi bambini
manifestavano un grande attaccamento ai fratelli più grandi:
Madre di Siobhan F.: La piccola pensa che suo fratello sia
meraviglioso. Lo venera come un eroe. Se le fa il solle­tico ad
un piede, muore dalle risate. Finché c’è lui nella stanza, non si
mette mai a piangere.
Madre di Jackie E.: Le manca moltissimo se non c’è. Urla
finché non lo sente, la mattina. Smania finché non lo vede. Io
non basto.
22
Parecchi dei bambini di quattordici mesi andavano a chiedere conforto ai fratelli più grandi:
Madre di Ian e Graham W.: Graham si rivolge a lui per avere conforto ed amore. Dicendo “ah” e facendo smorfie come
se volesse dire “ma quant’è dolce!” Ian spesso lo consola, e si
preoccupa molto quando sta male.
Ciò che è particolarmente notevole è che alcuni dei se­
condogeniti, di soli quattordici, quindici e sedici mesi, ten­tavano
di consolare i fratelli più grandi. Si tratta di un comportamento
sorprendentemente sofisticato per bambini così piccoli, ed è un
argomento sul quale torneremo alla fine del capitolo.
Fratelli e sorelle in tenera età danno sicurezza ai piccoli che
si trovano in uno spazio poco conosciuto. Osservazioni di bambini che frequentavano la scuola materna a tempo pieno dimostrarono che i piccoli si sentivano molto più a loro agio se un
fratello più grande frequentava la stessa scuola. Gli studi sperimentali forniscono le stesse indicazioni. In uno studio condotto
su bambini molto piccoli che venivano separati dalla madre in
una stanza giochi predi­sposta in laboratorio, si notò che quando
i fratellini più grandi tentavano di consolare i piccoli, questi ultimi risul­tavano più tranquilli e rassicurati ed iniziavano a giocare allegramente anche se la mamma non era tornata. Quando
entrava un estraneo nella stanza, la maggior parte dei pic­coli si
metteva vicino al fratellino più grande, e da questa “base sicura”
sorrideva allegramente all’estraneo. In un al­tro studio, bambini
dai sedici ai ventidue mesi si allontana­vano di più dalla madre
quando erano presenti fratelli o sorelle più grandi.
Anche i bambini di soli due o tre anni, quindi, possono consolare efficacemente e prendersi cura dei fratellini più piccoli, se
vogliono. Ma si occupano del piccolo e gli par­lano come farebbe
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la mamma, o lo trattano come se fosse un bambino della loro età?
Operano adattamenti nel modo di parlare e di comportarsi “adeguati” per un bambino pic­colo? Studi sul linguaggio di bambini
in tenera età che par­lano con i fratellini più piccoli mostrano che
i bambini adoperano molti degli adattamenti al “linguaggio dei
pic­coli” che vengono adoperati dalla madre. Nel nostro studio di
Cambridge i bambini si esprimevano con frasi molto più brevi
quando si rivolgevano ai fratellini più piccoli rispetto a quelle
rivolte alla madre, ripetevano i loro commenti ed usavano molti
espedienti “per catturare l’attenzione” del piccolo, proprio come farebbe la madre. Nell’esempio che riportiamo di seguito,
Duncan, di trentun mesi, cerca di impedire al fratellino Robin,
di quattordici mesi, di man­giare un dolce che Robin ha raccolto
da terra. Gli dice che lo mangerà Scottie, il cane, poi cerca di
distrarre il piccolo insistendo perché vada in cucina. Alla fine si
sente in do­vere di spingerlo oltre la soglia con un calcetto. La
cosa importante è che nei suoi tentativi di guidare Robin egli
adopera tutti gli espedienti che usano le mamme: ripete i suoi
commenti, li rende progressivamente più concisi, ed usa ripetutamente il nome del fratellino per catturarne l’at­tenzione:
Duncan K.: No, non lo mangiare. Lo mangia Scottie. Lo
mangia Scottie. No, non tu. Lo mangia Scottie. Tu no. Tu no.
Andiamo di là? Bravo. Dài. Dài. Di là, Robin. Di là.
Nello studio di Cambridge, alcuni bambini, anche se non
tutti, usavano domande e vezzeggiativi e diminutivi nel parlare
con i fratellini, proprio come avrebbe fatto la madre:
Ian W.: [Cercando di convincere il fratellino Graham ad andare a giocare con lui nella stanza accanto] Vieni, Gramie. Dài,
scansafatiche!
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Eve D.: [Mostrando alla sorella Rate alcuni giocattoli in una
scatola] Su, Kay-Kay, guarda! Kay-Kay, guarda! Kay-Kay!
Kay-Kay! Guarda, piccolina.
Sara Harkness, nel suo studio sui bambini del Kenya che si
occupavano di fratellini di due o tre anni, ha rileva­to che ripetizioni, spiegazioni e linguaggio “in cui ci si esercita a parlare”
erano ugualmente frequenti nel linguag­gio dei bambini che si
prendevano cura dei fratelli e in quello delle madri.
I bambini in età prescolare quindi si servono di adatta­menti
appropriati ed efficaci nel modo di parlare con i fra­tellini più
piccoli. Ovviamente i bambini piccoli non offro­no lo stesso tipo di linguaggio che viene provvisto dalla madre ai bimbi che
imparano a parlare; di fatto, come ab­biamo detto, i bambini che
passano molto tempo con altri bambini tendono ad imparare a
parlare più lentamente di coloro che passano la maggior parte
del tempo con gli adulti. Ma quando i bambini piccoli vogliono
comunicare con altri bambini molto piccoli, riescono a farlo
con gran­de efficacia.
Studi sul comportamento dei bambini nei confronti di fratellini molto piccoli hanno dimostrato chiaramente che la maggior
parte dei bambini piccoli sono molto interessati ai piccolissimi.
In molte culture se ne occupano in maniera responsabile, ed
alla fine del primo anno di vita molti pic­coli dimostrano grande
attaccamento per i fratelli più gran­di e sono felicissimi di vederli e di giocare con loro. Il gio­co tra il piccolo ed il fratellino
più grande aumenta di fre­quenza durante il primo anno, e verso
i sette, otto mesi l’importanza del primogenito per il piccolo è
ovvia sia per l’attenzione che il piccolo accorda al fratellino più
grande, sia per l’eccitazione con la quale il piccolo gioca con
lui, gli “parla” e lo imita. L’imitazione del fratello più grande
diviene sempre più frequente; mentre più o meno nei pri­mi otto
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mesi di vita è il bambino più grande ad imitare spesso il piccolo, raggiunto il primo anno d’età è il piccolo che imita quello
più grande con maggior frequenza. Man mano che i bambini
crescono l’imitazione diviene anche più frequente. In uno studio canadese condotto da Rona Abramovitch e colleghi, il 20
per cento delle interazioni tra i bambini secondogeniti di venti
mesi ed i loro fratellini più grandi comportava imitazione.
Questo copiare il comportamento di un fratello o una sorella
più grandi è interessante per una serie di ragioni di­verse. Consideriamo il seguente esempio:
Tom, di quattordici mesi, osserva Ned, il fratello più grande, il quale mette un pilota-giocattolo in un aeroplanino e lo fa
“volare”. Ned leva il pilota e poco dopo lascia la stanza. Tom
s’avvicina subito all’aeroplanino, prende il pi­lota, ve lo mette
dentro, e lo fa “volare”.
In quest’esempio, il fratellino minore, nell’imitare il più
grande, gioca ad un livello molto più maturo di quello che ha
quando gioca da solo. Tom, a quattordici mesi, è davve­ro molto
piccolo per giocare con figurine che stanno per persone vere
“come se” queste stessero compiendo azioni quali far volare
aeroplanini. Ancora non sappiamo se imitazioni di questo genere siano di fatto importanti in gene­rale per lo sviluppo delle
abilità intellettive del bambino, di certo però sembra probabile
che possano esserlo, come nel caso di Tom. L’imitazione di un
fratello più grande ci mostra molto chiaramente che i fratelli
maggiori possono in effetti avere un’influenza diretta sul modo di giocare dei bambini e sulle loro abilità nei confronti del
mondo degli oggetti.
I bambini copiano fratelli e sorelle in molti altri modi. Spesso il bambino imiterà un’azione del fratello o della so­rella che
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ha attirato l’attenzione di un adulto, anche se tale attenzione
comportava rimproveri e punizioni. A diciotto mesi il secondogenito, dopo aver assistito ad una discussio­ne tra la madre e il
fratellino più grande riguardante un’a­zione proibita commessa
da quest’ultimo, spesso copierà immediatamente l’azione proibita, ridendo e guardando la madre mentre lo fa. Questa gioia
nel trasgredire una regola sociale, la nuova consapevolezza di
ciò che è permesso e ciò che non lo è, è dimostrata molto chiaramente in queste imitazioni delle birichinate del fratello. E,
come sanno be­nissimo i genitori, i primogeniti spesso imitano
le azioni o i rumori infantili prodotti dai fratellini più piccoli
che atti­rano l’attenzione incantata dei genitori.
C’è ancora un altro aspetto caratteristico dell’imitazione tra
fratelli e sorelle che merita d’essere menzionato. I gio­chi tra
fratelli molto piccoli spesso richiedono che un bambino imiti
le azioni dell’altro: un balzo, un salto, una can­tilena, un gesto
comico, poi i due bambini continuano a giocare insieme con
urletti d’ilarità. Ecco un esempio dallo studio di Cambridge:
«Judy B mette una mano sul seggiolone in cui sta sedu­ta
Carole (otto mesi). Judy tamburella con le dita sul vas­soio del
seggiolone. Carole osserva. Judy muove le dita; en­trambe continuano ad agitare le dita insieme, scambiandosi sguardi e risate. Tre minuti dopo Carole, sempre nel seg­giolone, tamburella
con le dita sul vassoio, guarda Judy e vocalizza».
Giochi di questo tipo, in cui i bambini agiscono insie­me,
sono molto spesso fonte di gran divertimento e matte risate.
Non è ben chiaro perché fare le cose insieme sia una tale fonte
d’eccitazione e di piacere. Ma è interessante no­tare che questi
giochi avvengono con maggior frequenza nelle famiglie in cui
il primo nato ha manifestato calore ed affetto verso il fratellino
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più piccolo sin dalle prime setti­mane, e che in queste famiglie
il primogenito tende parti­colarmente ad imitare il fratellino
minore quando quest’ul­timo è molto piccolo. Poiché sappiamo che i piccolissimi sono particolarmente interessati alle persone che si dimo­strano molto sensibili alle loro azioni (il cui
comportamen­to è strettamente legato al loro nel tempo), e che
imitano chi si dimostra particolarmente protettivo e forte, non
sor­prende che proprio in famiglie di questo genere i secondo­
geniti molto spesso imitino i fratelli più grandi, e partecipi­no
alle loro azioni con entusiasmo. Quando il piccolo co­mincia
ad imitare il bambino più grande, si presume che aumenti la
gratificazione per il secondo, che si trova a far da modello ad un
pubblico così attento e di così facile sod­disfazione.
Ma esiste un’altra spiegazione possibile dell’eccitazione
espressa dai bambini in questi giochi imitativi. In essa è presente l’idea che l’eccitazione e il piacere dimostrato dai bambini rifletta in parte un qualche riconoscimento del fatto che il
bambino più grande è “come me”. Gli psicolo­gi hanno indicato
che i bambini più grandi, gli adolescenti e gli adulti sono maggiormente attratti da persone che sen­tono simili a se stessi.
Riconoscere che qualcuno è “come me” richiede natu­
ralmente l’utilizzazione di categorie piuttosto elaborate per
definire se stessi e l’altra persona. Può sembrare alquanto inappropriato suggerire che bambini al di sotto dei tre anni possano
pensare a se stessi e ad altri in questi termini. Ma un dato fornitoci dallo studio di Cambridge a favore di quest’ipotesi è che
i giochi di imitazione erano più fre­quenti tra coppie di fratelli
dello stesso sesso. Esiste l’inte­ressante possibilità che i piccolissimi fossero anch’essi più interessati ai fratelli più grandi,
perché si rendevano conto, anche all’inizio del secondo anno
di vita, che il fratellino o la sorellina più grandi erano “come
me” in termini di ses­so. Se è così, l’indicazione è ancora una
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volta che i bambi­ni mostrano un comportamento notevolmente
maturo nel contesto del rapporto tra fratelli.
L’imitazione tra fratelli o sorelle molto piccoli, quindi, non
soltanto ci indica la precisione con la quale i bambini si osservano vicendevolmente ed il potenziale del più gran­de come
modello per il più piccolo, ma anche il senso di particolare eccitazione che si produce in giochi in cui i due agiscono insieme
simultaneamente. Scambi amichevoli e scherzosi sono di fatto
frequenti tra fratellini, nonostante in molti scritti sui rapporti
tra fratelli si ponga l’accento sulla rivalità; e il comportamento
amichevole dei più piccoli nei confronti dei più grandi aumenta
man mano che i bambini crescono, almeno durante i primi tre
anni di vita. Non sol­tanto i bambini cooperano nel gioco ed
hanno manifesta­zioni d’affetto fisiche l’uno verso l’altro, ma
spesso mostra­no preoccupazione se l’altro sta male e fanno tentativi pra­tici per aiutarlo e confortarlo. Naturalmente anche il
com­portamento aggressivo è frequente. In uno studio condotto in Canada, il 29 per cento del comportamento osservato tra
fratelli o sorelle era ostile. Normalmente era il più grande ad
essere aggressivo con il piccolo, ma crescendo i secondogeniti
divenivano anch’essi sempre più aggressivi.
Il pattern che si manifesta nel comportamento amiche­vole
ed aggressivo tra fratelli sottolinea due importanti aspetti del
comportamento dei bambini. Primo, mentre al­cuni mostrano un
comportamento in prevalenza aggressivo verso i fratelli ed altri
sono di solito amichevoli e raramen­te aggressivi, molti bambini
mostrano sia un frequente comportamento amichevole che uno
ostile verso i fratelli e le sorelle. Sarebbe chiaramente un errore
descrivere il rap­porto tra questi bambini secondo un’unica dimensione di calore-ostilità, dato che in così gran numero essi
mostrano ambivalenza, piuttosto che semplicemente amicizia
o ag­gressività. Secondo, in molti incontri tra fratelli e sorelle,
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un bambino è amichevole, e l’altro è indifferente o ostile. Questa “mancanza d’affiatamento”, di emozioni è importan­te. Abbiamo sottolineato nel primo capitolo che ci sono sorprendenti
differenze tra fratelli per quanto riguarda personalità e comportamento – il secondo “tema” del nostro libro – ed abbiamo
suggerito che uno dei possibili modi in cui tali differenze tra
bambini cresciuti nella stessa famiglia possono sorgere stia nelle differenze di comportamento dei bambini l’uno verso l’altro.
L’osservazione di fratelli molto piccoli fornisce la prima prova
che tali differenze di com­portamento vicendevole possono in
effetti essere piuttosto comuni. Nel nostro studio di Cambridge,
il 21 per cento delle interazioni tra i primogeniti ed i fratellini
o le sorelli­ne di quattordici mesi risultavano “non affiatate”, e
cioè interazioni nelle quali un bambino era amichevole, l’altro
ostile.
Commento
Alla nostra prima domanda – è vero che fratelli e so­relle si
influenzano a vicenda? – possiamo cominciare a dare qualche
risposta, anche per quanto riguarda i primi mesi ed anni di vita
insieme. Proprio come nelle prime set­timane il palcoscenico
è preparato in base alla reazione emotiva del primo figlio nei
confronti del nuovo nato, così pure la storia del loro rapporto si sviluppa in termini forte­mente emotivi. La rilevanza del
comportamento di ciascun bambino per l’altro, l’imitazione ed
il modellamento (modelling), la carica emotiva delle loro interazioni stanno tutti ad indicare che anche nei primi due anni
il fratello o la sorella esercita un’importante influenza sia sul
primo che sul secondo nato. Le osservazioni di interazioni “non
affiatate” ci forniscono la prima prova del fatto che cresce­re con
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un fratello o una sorella può essere un’esperienza molto diversa
per i vari bambini all’interno di una fami­glia, e può senz’altro
contribuire alle sorprendenti differen­ze esistenti tra fratelli.
Per quanto riguarda il nostro terzo tema, il grado di comprensione che i bambini dimostrano nel contesto del rapporto
tra fratelli, le osservazioni sul rapporto tra fratelli molto piccoli
sono particolarmente rivelatone. Il compor­tamento amichevole
e aggressivo dei bambini l’uno verso l’altro ci dà un quadro
molto vivido degli inizi della “com­prensione sociale”; gli inizi
della comprensione da parte dei bambini di particolari sentimenti, intenzioni e bisogni di altre persone, e delle regole sociali della famiglia in cui crescono. Quando i bambini mostrano preoccupazione per il malessere dei propri fratelli o sorelle,
vanno a prendere i loro giocattoli preferiti, glieli offrono e li
accarezzano affet­tuosamente, essi hanno chiaramente afferrato qualcosa del­la natura dei sentimenti dell’altro, dimostrando
anche una qualche comprensione pratica di come consolarli. I
bambi­ni iniziano a mostrare questo tipo di comportamento empatico nei confronti dei fratelli durante il secondo anno d’età,
e si tratta di un’età ben più precoce per la comparsa di empatia
rispetto a quanto dimostrato da test più formali sulla comprensione da parte dei bambini dei sentimenti di altre persone. E
nel contesto del conflitto tra fratelli, i bambini spesso mostrano
piuttosto chiaramente di sapere come fare per far innervosire
e provocare un’altra persona. Prendiamo per esempio queste
testimonianze di comporta­mento “dispettoso” tratte dal nostro
studio di Cambridge:
Anne, 3 anni, sta giocando con un orsacchiotto, il suo oggetto di consolazione preferito. Gli sta facendo una “ten­da” in
cucina con una sedia e un pezzo di stoffa. Eric, il fratellino
più piccolo, osserva. Cinque minuti dopo tutti e due i piccoli
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si trovano in soggiorno, e litigano per una macchinetta. Anne
vince. Eric si arrabbia. Corre in cucina, fa a pezzi la “tenda” di
Anne e scaglia l’orsacchiotto dall’altra parte della stanza. Anne
scoppia in lacrime.
La mamma di Elly e Andrew sta raccontando ad una persona
che è venuta a trovarli che Elly (cinque anni) ha il terrore dei
ragni. “E c’è un giocattolo a forma di ragno che lei proprio non
può vedere”, commenta la mamma. An­drew esce di corsa dalla
cucina e va nella stanza dei giochi, fruga nella scatola dei giocattoli e trova il ragno-giocattolo, corre di nuovo in cucina e lo
preme in faccia ad Elly; lei piange, Andrew ride.
In questi esempi Andrew ed Eric si comportano in un modo
che indica che sanno come far arrabbiare i fratellini più grandi.
Eppure entrambi hanno soltanto sedici mesi, un’età in cui gli
psicologi hanno ritenuto che i bambini ab­biano una concezione
molto limitata dei desideri e senti­menti altrui.
Per quale motivo bambini così piccoli mostrano una comprensione relativamente sofisticata dei propri fratelli e sorelle?
Perché sono in grado di consolare e far arrabbiare un fratello
o una sorella ad un’età al di sotto dei due anni, quando test più
formali sull’abilità di comprendere le per­cezioni ed i sentimenti
degli altri indicano che tale com­prensione ha inizio soltanto allorché i bambini raggiungo­no l’età di quattro o cinque anni? Ci
sono una serie di pos­sibili spiegazioni della discrepanza tra le
osservazioni di fratelli e sorelle insieme, ed i test più formali.
Primo, probabilmente è importante che i bambini ab­biano
una tale familiarità con i propri fratelli e sorelle, bambini che
vedono quotidianamente in situazioni familia­ri di routine, e dei
quali osservano ogni giorno le reazioni e le azioni. Secondo,
probabilmente è anche importante che ciò che fa arrabbiare,
eccitare o fa piacere ad un fratellino spesso abbia lo stesso ef32
fetto sul bambino stesso. Le fonti di piacere, gioia e paura sono molto simili per i bambini. Terzo, è importante considerare
il contesto emotivo in cui fratelli e sorelle giocano, parlano e
litigano gli uni con gli altri. È un ambiente di reale importanza emotiva, e la pro­fondità di conflitti, gelosie o affetto tra i
bambini non do­vrebbe essere ignorata nel cercare di spiegare
perché i bam­bini afferrano così precocemente i sentimenti e le
intenzio­ni dei propri fratelli. Per i bambini piccoli conta davvero moltissimo capire che cosa sentono o cosa intendono fare i
fratelli e le sorelle.
Ciò vuol dire che il rapporto tra fratelli non è soltanto un
contesto nel quale il grado di comprensione sociale dei bambini
si rivela con particolare chiarezza, ma che si tratta di un contesto all’interno del quale tale comprensione ten­de ad essere
favorita. Il dramma del conflitto e l’eccitazio­ne della cooperazione con un fratello o una sorella forni­scono un ambiente
molto importante nel quale la com­prensione degli altri da parte
del bambino inizia a svilup­parsi. Per illustrare questo punto osserveremo più da vici­no i cambiamenti che avvengono nelle liti
dei bambini con fratelli e sorelle nel corso dei primi due o tre
anni, e le ma­niere in cui essi cooperano nei giochi di finzione.
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